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PERIODICO DELLA DIOCESI DI S. MARINO-MONTEFELTRO - NUOVA SERIE - Anno LIX - N. 9 - OTTOBRE 2013 Poste Italiane s.p.a. - Sped. abb. post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 1 - CN/FC - Direttore responsabile: Francesco Partisani
A SETTE MESI DALLA PARTENZA DEL VESCOVO LUIGI
La Chiesa sammarinese-feretrana attende con fiduciosa speranza l’arrivo del nuovo pastore P
er una Chiesa la partenza del proprio Pastore è come il distacco da un padre. Ed è maturo il tempo anche per fare qualche riflessione, a freddo, su quello che è stato il nostro rapporto con la fede, con la nostra Chiesa di San Marino-Montefeltro, con il Vescovo che ci ha lasciato. Non pesiamo l’affetto che ci lega a Mons. Negri, né a chi lo ha preceduto, ché questo sentimento non si misura in alcun modo; piuttosto, se proprio dobbiamo guardare a ritroso, verifichiamo se di fatto questo affetto lo abbiamo manifestato, con atti concreti e trasparenti e, soprattutto, se lo abbiamo meritato. Insomma verifichiamo se anche questi quasi otto anni con il nostro vescovo Luigi ci hanno fatto crescere in consapevolezza, capacità di giudizio, e continua elaborazione del nostro cammino di fede. Non che il nostro Vescovo ci abbia chiesto poco, anzi. Possiamo affermare che ci ha chiesto molto ma che questo molto è, comunque, il minimo che un cristiano deve dare per servire la propria Chiesa, per aiutare il proprio Pastore e ripagarlo di quanto ha ricevuto. Temo, purtroppo, che in tanti avremo fatto, in molte occasioni, solo il minimo indispensabile, quando invece per portare con puntualità la nostra Chiesa all’incontro con Cristo, il nostro impegno doveva essere costante, sincero, senza limiti. Scrivo queste righe sette mesi esat-
ti dopo la partenza di Mons. Negri per la Diocesi di Ferrara-Comacchio come già è accaduto per il precedente, Mons. Rabitti, pure lui passato da San MarinoMontefeltro prima di approdare alla medesima Arcidiocesi. Nella Chiesa nulla è esclusivo di una parte, ma tutto è di tutti e quindi rallegriamoci, come possiamo, per aver accompagnato alla Diocesi ferrarese, un altro Pastore magnanimo anche lui forgiato, lo diciamo con una punta di orgoglio, ad una scuola e ad una Chiesa che è stata retta, nella sua lunga storia, da pastori buoni e giusti: da G. Francesco Sormani ad Antonio Begni, da Martino Caliendi a Luigi Mariotti, da Vittorio De Zanche ad Antonio Bergamaschi solo per citarne alcuni dei sessantaquattro succedutisi dal novembre dell’826 con Agato, primo Pastore. Ma la nostra storia e la nostra Chiesa non si fermano all’anno 2013, anzi, da questa data è ripartito un nuovo, stimolante impegno: tener viva la Chiesa sammarinese-feretrana nell’attesa del nuovo Pastore. Ce la faremo a meritare la fiducia che il nostro Vescovo Luigi ha sempre riposto in noi? Nella sua lettera alla Diocesi, successiva alla nomina ad Arcivescovo di Ferrara-Comacchio, scriveva fra l’altro: «[…] Conserverò per tutta la vita una gratituContinua a pag. 2
MONTEFELTRO dine grande a tutti voi, che mi avete consentito di fare un’esperienza indimenticabile di fede e di carità pastorale […]. Ci siamo fatti posto nel cuore l’uno per l’altro e questo è il grande evento che riempie la vita di sacrificio e di letizia. […] Ricordo con particolare commozione lo straordinario avvenimento della Visita Pastorale del Santo Padre Benedetto XVI alla nostra diocesi: la Sua grandissima affezione e il Suo Magistero, che ha confermato e dilatato il nostro cammino. Ci siamo conosciuti, accolti e voluti bene». Allora, tocca a noi mettere in campo tutta la fedeltà alla nostra Chiesa, tutto il nostro impegno, tutta la nostra intelligenza per trasformare un tempo di attesa in un tempo di continua fiduciosa preghiera e di gioia quando il Santo Padre tornerà, con la benevolenza e l’amore paterni già dimostrati verso la nostra Diocesi, ad occuparsi di noi, della Chiesa di Marino e Leo, inviandoci un nuovo Pastore. Quindi, bando alle insofferenze, ai contrasti, al disimpegno, al disinteresse alla sfiducia per far posto ad un concorde apporto di energie, di entusiasmo, di preghiere nella massima umiltà, perché le nostre attese siano premiate e le nostre richieste, infine, accolte. Da queste pagine mandiamo un saluto affettuoso a Mons. Negri e a Mons. RaContinua da pag. 1
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PERIODICO DELLA DIOCESI DI SAN MARINO -MONTEFELTRO NUOVA SERIE Anno LIX - N. 9 - ottobre 2013 Poste Italiane s.p.a. - Sped. abb. post. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 1 - CN/FC Aut. Trib. di Pesaro n. 72 del 3.4.1956 Iscritta al R.O.C. n. 22192 del 19.4.2012
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DALLA PRIMA PAGINA
bitti ringraziandoli nuovamente per quanto hanno fatto per questa Chiesa che hanno rincuorato e riscaldato con il loro amore e la loro fedeltà ci rivolgiamo fin d’ora al Pastore che sarà chiamato a succedergli nella Cattedra che fu dei Santi Marino e Leo, anticipandogli il nostro af-
fettuoso e deferente saluto di benvenuto, chiunque il Signore ci abbia destinato. Il resto lo faranno il tempo e la fedeltà di tutti a questa Chiesa e nell’attesa del nuovo Pastore questa Chiesa si impegni e preghi per il proprio futuro. Francesco Partisani
CELEBRAZIONE CONCLUSIVA DIOCESANA DELL’ANNO DELLA FEDE Sabato 23 novembre, alle ore 16,00, in Cattedrale a Pennabilli avrà luogo una solenne Celebrazione eucaristica a chiusura dell’Anno della Fede indetto con la Lettera apostolica Porta fidei dell’11 ottobre 2011, dal Santo Padre Benedetto XVI. Esso ha avuto inizio l’11 ottobre 2012, nel 50º anniversario dell’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II e la sua conclusione è stabilita per il 24 novembre 2013, Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo. Con l’Anno della Fede la Chiesa ha voluto creare i presupposti per una rinnovata conversione al Signore Gesù e alla riscoperta della fede, affinché tutti i membri della Chiesa siano testimoni credibili e gioiosi del Signore risorto nel mondo di oggi, capaci di indicare alle tante persone in ricerca la “porta della fede”, questa “porta” spalanca lo sguardo dell’uomo su Gesù Cristo, presente in mezzo a noi «tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20).
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LA TERZA
“ L’ARTE COME PREDICAZIONE EVANGELICA” Un fatto al mese di Suor Maria Gloria Riva *
La fede antinomia della luce
La Lumen Fidei passerà alla storia come la prima Enciclica papale scritta a quattro mani. Si era già verificato nella storia uno “sdoppiamento” del soglio petrino, ma in armonia e collaborazione come in questo nostro secolo no. È la prima volta. Fra le tante voci discordanti a favore di un papa o dell’altro, credo vada sottolineato anzitutto questo: in un panorama mondiale dove la collaborazione fra persone e stati, e potremmo dire, semplificando, fra poteri, è sempre più difficile i nostri due Papi, Papa Francesco e Papa Benedetto XVI ci stanno offrendo un esempio splendido di comunione e armonia, nel rispetto delle reciproche evidenti differenze. Vorrei dedicare alcune pagine di questa rubrica alle riflessioni sulla Lumen Fidei rivisitate attraverso un’opera d’arte. L’enciclica apre la sua riflessione sulla fede, parlando di antinomia della luce. La fede, cioè, è da un lato luce e, dall’altro, implicando un salto nel buio, rimane tenebra. Così inizia infatti l’Enciclica: «La Luce della fede: con quest’espressione, la tradizione della Chiesa ha indicato il grande dono portato da Gesù, il quale, nel Vangelo di Giovanni, così si presenta: “Io sono venuto nel mondo come luce, perché́ chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre” (Gv 12,46). Anche san Paolo si esprime in questi termini: “E Dio, che disse: ‘Rifulga la luce dalle tenebre’, rifulge nei nostri cuori” (2 Cor 4,6)». Ed è per quest’accenno all’Apostolo Paolo e per le ripetute citazioni che il Papa fa dell’Apostolo che desideriamo rivisitare questa prima parte dell’Enciclica attraverso un’opera di Rembrandt che riproduce appunto San Paolo allo Scrittoio. Rembrandt ci introduce nello studio di Paolo, quello del suo domicilio coatto a Roma, in cui Paolo trascorre i suoi ultimi giorni su questa terra. Immediatamente ci imbattiamo in due fonti luminose, una a sinistra e l’altra a destra, e in una zona d’ombra molto ampia rappresentata dagli scritti e dalle pergamene ammassate sopra lo scrittoio di Paolo. Il Papa all’inizio dell’Enciclica parla della fede come luce, ma una luce diversa da quella che i pagani erano abituati a salutare: «Nel mondo pagano, affamato di luce, si era sviluppato il culto al dio Sole, Sol Invictus, invocato nel suo sorgere. Anche se il sole rinasceva ogni giorno, si capiva bene che era incapace di irradia-
re la sua luce sull’intera esistenza dell’uomo. «Per la sua fede nel sole — afferma san Giustino Martire — non si è mai visto nessuno pronto a morire». Tuttavia per quanti non hanno fede quest’ultima appare piuttosto come ombra, come oscurità. Soprattutto per tanti nostri contemporanei, scrive il Santo Padre, la luce della fede appare come illuso-
Rembrandt, San Paolo allo scrittoio (1629-1630 ca.)
ria e sembra opporsi alla volontà di ricerca dell’uomo: «A partire da qui, Nietzsche svilupperà̀ la sua critica al cristianesimo per aver sminuito la portata dell’esistenza umana, togliendo alla vita novità̀ e avventura. La fede sarebbe allora come un’illusione di luce che impedisce il nostro cammino di uomini liberi verso il domani. In questo processo, la fede ha finito per essere associata al buio». Ed è proprio in questa antinomia della luce, che ci conduce Rembrandt ritraendo l’apostolo Paolo. Un Paolo vecchio che ha dietro le spalle due spade, quasi l’esemplificazione simbolica del suo percorso umano: Paolo fu colto dalla luce mentre si accingeva a passare a fil di spada i cristiani, sulla via di Damasco e morirà di spada, giustiziato dai Romani. L’oscurità grava sulle lettere che Paolo sta scrivendo, il suo dialogo con le chiese da lui fondate, segnate dalle sfide di un mondo pagano che, con le sue ragioni, si opponeva alle ragioni della fede. Paolo sta dunque
facendo il bilancio della sua vita. Anche il Papa, in fondo all’inizio di questa enciclica ci spinge ad un bilancio: che posizione prendiamo noi di fronte a chi accusa la nostra fede di essere incapace di rispondere alle sfide dell’uomo moderno? Quale luce porta la fede nella nostra vita? È la domanda dell’Apostolo Paolo colto in una sosta contemplativa. La luce che entra da sinistra viene dall’alto ed è una luce artificiale. Essa illumina il braccio destro di Paolo che cade come vinto dalla stanchezza e dal sonno. Nella mano s’intravede una penna: Paolo ha scritto ai suoi cristiani tutto ciò che era in suo potere scrivere ora, non gli resta che sciogliere gli ormeggi e navigare verso l’altra riva. L’altra riva, il tramonto della vita, è significato proprio dall’altra fonte di luce quella che proviene da destra. Si tratta, infatti, di una luce calda e radente che proviene da un abbaino. La stessa luce che si verifica al tramonto, quando il sole al sopraggiunger della notte, getta gli ultimi bagliori prima di essere inghiottito dall’oscurità. Questa citazione temporale è un rimando al tramonto appunto della vita di Paolo. Ma la luce che viene da destra, così calda e radente, illumina il braccio sinistro di Paolo e con esso la mano. Scopriamo allora, proprio in questa mano, quello che l’apostolo va veramente meditando in quest’ora serale: la mano poggia sul desco con le nocche e sembra proprio lo sforzo di un anziano che, raccolte tutte le forze che ancora possiede, poggiandosi sulle nocche della mano decide di alzarsi e riprendere il cammino. Sì, Paolo ha già scritto tutto ciò che era in suo potere, sarebbe meglio per lui stare con Cristo per sempre, ma vede bene quanto sia meglio per i suoi che egli rimanga ancora fino a che ciascuno non abbia raggiunto la piena maturità di Cristo. Ecco, la fede è questa luce piena di speranza, capace di illuminare sempre e in ogni circostanza la vita dell’uomo, così, infatti, si conclude il primo capitolo dell’Enciclica: Proprio di questa luce della fede vorrei parlare, perché cresca per illuminare il presente fino a diventare stella che mostra gli orizzonti del nostro cammino, in un tempo in cui l’uomo è particolarmente bisognoso di luce. * Monache dell’Adorazione Eucaristica Pietrarubbia
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ANGELUS
NON GETTARE LA SPUGNA!
Nel nome di Maria: sotto la Croce “fedele e forte!” Maria creatura umile e debole come noi. Papa Francesco celebra in piazza San Pietro nella giornata mariana. C’è l’immagine della Madonna di Fatima. Sono passati sette mesi da quel 13 marzo quando il cardinale Jorge Mario Bergoglio è diventato Papa Francesco. Omelia nel nome di Maria, per riflettere su tre realtà: Dio ci sorprende, ci chiede fedeltà, ed è la nostra forza. “Dio ci sorprende; è proprio nella povertà, nella debolezza, nell’umiltà che si manifesta e ci dona il suo amore che ci salva, ci guarisce e ci da forza. Chiede solo che seguiamo la sua parola”. È l’esperienza di Maria che di fronte all’annuncio dell’angelo si fida della parola e del Signore. Così i dieci lebbrosi del brano di Luca, dieci “morti viventi” cui era impedito di entrare nei villaggi; chiedono misericordia a Gesù. Si fidano, i dieci, della parola del Signore che dice loro di rispettare la legge e di andare dai sacerdoti perché verificassero lo stato della loro malattia ed eventualmente li reinserissero nella comunità. Ma c’è un comportamento diverso tra loro: lungo il cammino si rendono conto di essere guariti, e uno, uno solo torna indietro per ringraziare; un samaritano, cioè, in un certo senso, un eretico per il giudaismo del tempo. Se è vero che Dio “ci sorprende sempre, rompe i nostri schemi, mette in crisi i nostri progetti”, ciò che ci chiede è di non avere paura, di seguirlo; di non chiuderci nelle nostre sicurezze, nei nostri progetti, ma aprirci a lui. Ai dieci lebbrosi Gesù non chiede cose straordinarie; la novità non è nelle pratiche, nelle norme, ma nell’incontro con lui. Ecco la fedeltà nel seguirlo. Quante volte, dice il vescovo di Roma, “ci siamo entusiasmati per qualcosa, per qualche iniziativa, per qualche impegno, ma poi, di fronte ai primi problemi, abbiamo gettato la spugna”. E questo avviene anche nelle scelte fondamentali, come quella del matrimonio. Il modello da imitare è Maria che ha ripetuto il suo sì ogni giorno, anche sotto la croce, durante l’agonia e la morte del figlio: “La donna fedele, in piedi, distrutta dentro, ma fedele e forte”.
Si domanda Papa Francesco: “Sono un cristiano ‘a singhiozzo’, o sono un cristiano sempre? La cultura del provvisorio, del relativo entra anche nel vivere la fede. Dio ci chiede di essergli fedeli, ogni giorno, nelle azioni quotidiane”. Il Signore non si stanca di tenderci la mano per risollevarci, “incoraggiarci a riprendere il cammino, di ritornare a lui e dirgli la nostra debolezza perché ci doni la sua forza”. Dei dieci lebbrosi del Vangelo, uno solo torna indietro per lodare Dio a gran voce, ringraziarlo, e riconoscere così che lui è la nostra forza. Torna colui che è escluso non solo a causa della malattia, ma anche per la sua origine. Luca sembra quasi dirci che gli altri nove malati forse ritenevano fosse un loro diritto la guarigione. Chi non aveva alcun diritto, privilegio, sa cogliere la gratuità dell’intervento di Dio. E riconosce nell’incontro un dono più grande che richiede la capacità di riconoscerlo, di viverlo nella fedeltà. Ecco la terza realtà che il Papa mette in evidenza nella sua omelia: Dio è la nostra forza. “Saper ringraziare, saper lodare per quanto il Signore fa per noi”. Nella celebrazione che vede al centro Maria presente nell’immagine di Fatima, Francesco, con le parole pronunciate da Giovanni Paolo II il 13 maggio 1982, cioè l’anno successivo all’attentato di piazza San Pietro, affida alla Madonna “l’umanità afflitta dal male e ferita dal peccato”. Lei ci dice che il “cammino definitivo è sempre con il Signore, anche con le nostre debolezze”. Tutto è suo dono. Poi con parole che attinge dalla saggezza popolare, Francesco lascia alle famiglie una piccola ricetta per la convivenza: permesso, scusa e grazie. E dice: “Se in una famiglia si dicono queste tre parole, la famiglia va avanti”. Quante volte, afferma, “diciamo grazie in famiglia? Quante volte diciamo grazie a chi ci aiuta, ci è vicino, ci accompagna nella vita? Spesso diamo tutto per scontato! E questo avviene anche con Dio. È facile andare dal Signore a chiedere qualcosa, ma andare a ringraziarlo: mah, non mi viene”. Fabio Zavattaro
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SOSTENTAMENTO DEL CLERO
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CARITAS DIOCESANA
6 OTTOBRE 2013: È INIZIATO UFFICIALMENTE L’ANNO PASTORALE CARITAS
PROSSIMITÀ: alle radici del servizio
“Dobbiamo saperci incontrare. Dobbiamo edificare, creare, costruire una cultura dell’incontro. Quante divergenze, guai in famiglia, sempre! Guai nel quartiere, guai sul lavoro, guai ovunque. E le divergenze non aiutano. La cultura dell’incontro. Uscire ad incontrarci… la cosa di cui la Chiesa ha più bisogno oggi è la capacità di curare le ferite e di riscaldare il cuore dei fedeli, la vicinanza, la prossimità” (Papa Francesco)
Domenica 6 ottobre, nella suggestiva cornice dell’Eremo di Montefiorentino di Frontino (PU), la Caritas Diocesana, nelle persone del Direttore Giovanni Ceccoli, dei volontari ed operatori, dei loro sacerdoti, ha inaugurato l’anno pastorale 20132014 con una riflessione su: “Prossimità: alle radici del servizio”. Ci siamo ritrovati insieme dopo che le ferie estive hanno fatto rallentare i ritmi del nostro “operare” e tanta è la gioia di incrociare gli sguardi e scambiare abbracci con chi condivide una parte del cammino della nostra vita, una parte importante… quella del servizio agli altri, al prossimo. Sono molto emozionata e contenta… “Ohi”, mi dico, “oggi Mons. Elio Ciccioni ci conferirà di nuovo il mandato di operatori pastorali della carità!”. Avverto in me la responsabilità e la gioia di tutto ciò, ma voglio vivere ed assaporare ogni momento ed ogni emozione di questa giornata insieme. Il luogo dell’incontro è all’interno della chiesa di Montefiorentino dove, ad attenderci, c’è fra’ Pierluigi il quale, con la sua spontaneità e simpatia, ci fa sentire subito a nostro agio. È lui che, per iniziare, ci racconta un po’ la storia del Convento di Montefiorentino, ora Eremo, convento francescano risalente al XIII secolo, ma più volte modificato nel corso dei secoli. All’interno della Chiesa, e risalente al periodo rinascimentale (1484), vi è la cappella dei Conti Oliva (eretta su probabile disegno di Francesco di Simone Ferrucci, dietro commissione di Carlo Oliva,
conte di Piagnano e Piandimeleto. Del Ferrucci sono anche le tombe gemelle del conte Gianfrancesco Oliva e della di lui consorte Marsibilia Trinci). Importantissima, dal punto di vista pittorico, è la pala con una ricca cornice intagliata, Madonna con il Bambino e Santi, eseguita, nel 1489, da Giovanni Santi (padre di Raffaello Sanzio), oltre a due bellissimi inginocchiatoi intarsiati da Maestro Zocchino (1493). La struttura dell’Eremo, così come è attualmente, risale al 1600. Visitiamo anche il chiostro che ha la caratteristica di avere al centro ben due pozzi: uno che raccoglie l’acqua di “vena” e l’altro l’acqua piovana. Ma ecco che entriamo nel vivo del nostro incontro: fra’ Pierluigi ci invita a riflettere sulla prossimità, partendo dall’unica sorgente vera, viva, attuale: la Parola di Dio. È la Parola il “criterio” che ci deve animare come operatori Caritas, ma prima ancora, come credenti, perché la Parola di Dio è una Parola viva, non morta, una Parola che, anche se scritta duemila anni fa, è presente adesso, nella nostra vita di uomini del XXI secolo. La Parola è sempre pronta a rivelarci qualcosa: lo stesso brano, letto a 10, 20, 30 o 60 anni, ci dirà cose diverse... essa accompagna la nostra vita, la nostra crescita e maturità. Leggiamo insieme un brano della Lettera di San Paolo Apostolo ai Filippesi:
“Se c’è pertanto qualche consolazione in Cristo, se c’è conforto derivante dalla carità, se c’è qualche comunanza di spirito, se ci sono sentimenti di amore e di compassione, rendete piena la mia gioia con l’unione dei vostri spiriti, con la stessa carità, con i medesimi sentimenti. Non fate nulla per spirito di rivalità o per vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a sé stesso, senza cercare il proprio interesse, ma quello degli altri” (Fil 2,1-4) Questo bellissimo brano di San Paolo ci obbliga ad interrogarci su più fronti: 1) Comunanza di Spirito: se non siamo capaci di donarci totalmente al Signore, non possiamo occuparci degli altri, perché questo vuol dire farlo come lo fa Cristo! Infatti, Cristo non dona, ma si dona, e noi dobbiamo portare Cristo al nostro fratello, al nostro prossimo. È questa l’unità di Cristo e con Cristo di cui dobbiamo essere testimoni credibili, credibili nell’unità che è forza. Possiamo avere punti di vista diversi, ma quello che ci unisce sia Cristo, il nostro sguardo sia sempre rivolto a Lui. 2) Gratuità: è un segno distintivo di chi ama come ama Gesù. Non dobbiamo aspettarci che Dio contraccambi il nostro fare del bene facendo scorrere la nostra vita senza “intoppi”, né che coloro che si
MONTEFELTRO rivolgono alla Caritas ci ricoprano di ringraziamenti e riverenze! Servendo il fratello non abbiamo alcun merito: facciamo il nostro dovere di cristiani! Siamo servi inutili! La Parola di Dio letta in seguito: “Abbiate gli stessi sentimenti che furono di Cristo Gesù, il quale, pur essendo di natura divina non considerò un tesoro prezioso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo… umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce…” (Fil 2,5-8), ci ha fatto riflettere, con le parole di fra’ Pierluigi, sull’umiltà, intesa non come atteggiamento “piagnucoloso”, ma come capacità di riconoscere qual è il proprio posto, qual è la parte che ognuno di noi deve fare, avendo davanti a noi il Signore e senza mai distogliere lo sguardo da Lui. «Il Signore disse ad Abram: “Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò…”» (Gn 12,1). Abram lo fece, perché, pur non comprendendo i disegni di Dio, si fidava di Lui. Ed è anche a noi, oggi, adesso, qui, che Dio chiede la stessa cosa: “Abbandona le tue sicurezze, mettiti in gioco, fidati, assumi i miei stessi sentimenti, poi ci penso io!”. La lettura della Parabola del Buon Samaritano ci sollecita questa domanda: chi è il mio prossimo? Tutti sono il prossimo, il prossimo non ha limite. Per questa ragione ed in questa prospettiva il cristiano è sempre missionario (cioè deve portare Cristo e portare l’altro verso Cristo), missionario non solo nei Paesi poveri del mondo, ma anche verso chi ci è vicino: familiari, amici, anziani, stranieri che vivono tra noi… ogni persona è il nostro prossimo! Così come fra’ Bonaventura da San Severino (Fonti Francescane 1878) che, occupandosi di un lebbroso, ma essendogli stato comandato di recarsi in altro luogo distante 15 chilometri, non volendo abbandonarlo, se lo caricò sulle spalle e lo portò con sé per tutti e 15 i chilometri… Quindi, con UNITÀ, UMILTÀ, CARITÀ e FEDE, in una parola CON UN CUORE RINNOVATO, andiamo verso l’altro, con gioia e tanta delicatezza, per-
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APPUNTAMENTI DIOCESANI
ché di fronte abbiamo persone con una loro storia, con problemi, sofferenze manifeste o celate… Delicatezza… quella del frate guardiano di Santa Maria degli Angeli, quando a San Francesco, ormai in fin di vita, coricato nudo sulla nuda terra, e rispettoso della povertà a cui Francesco aveva dedicato tutta la sua vita, disse: “Per obbedienza, prendi questa tunica, che io ti PRESTO, ma che poi mi renderai”. Francesco l’accettò, per obbedienza, ma anche perché non le era stata regalata, bensì prestata. Meravigliosa la delicatezza del frate guardiano… Ascoltare, guardare negli occhi, scrutare con delicatezza nel cuore del mio prossimo per fargli sentire che il mio cuore è lì vicino a lui e per lui… Dopo questa profonda lezione di fra’ Pierluigi, ci siamo suddivisi in tre gruppi per meditare su due domande: 1) Attraverso cosa sento che Dio è prossimo a me? 2) Che cosa significa per me essere prossimo all’altro? Le risposte, scaturite dai lavori di gruppo e dal successivo confronto, sono state varie: c’è chi ha risposto in modo specifico a ciascuna delle domande (“prossimo è colui che mette in crisi le nostre certezze, quello che abbiamo costruito di noi, per poterlo poi riedificare su basi nuove”; “prossimo è colui che ci consente di rendere concrete le parole di Gesù: ‘Avevo fame… Ero forestiero, malato, carcerato…’ e, nello stesso tempo, di vedere Cristo nel prossimo”), e chi ha fatto un discorso più generale, ricomprendente entrambe le domande (preghiera come base e fonte di ogni nostro agire per gli altri; pregare anche per coloro che non vediamo; gratuità = fare senza chiedere niente in cambio e, da qui, progettare un accompagnamento; ascolto e silenzio; sensibilizzazione della comunità; pazienza; arricchimento; carità della parola, con specifico riferimento ai catechisti; accoglienza non solo qui, ma anche nei luoghi di appartenenza). Ed ecco, è arrivato tra noi Mons. Ciccioni, Amministratore Diocesano, che ha presieduto la celebrazione eucaristica, durante la quale ha invocato il Padre con queste parole: “Guarda con bontà, Padre, questi tuoi figli, che si offrono per il servizio della carità; confermali nel loro
proposito con la tua benedizione, perché nell’ascolto assiduo della tua Parola, e sostenuti dalla grazia dell’Eucaristia, si impegnino a servire i fratelli più poveri, con generosa dedizione nell’amore e nella gratuità, a lode e gloria del tuo nome...”. Noi, operatori pastorali della carità, abbiamo risposto: “Signore, ti chiediamo di rinnovare in noi ogni giorno il desiderio di stare con te. Vogliamo lasciarci educare dall’Eucaristia e testimoniare, visibilmente e nelle opere, il mistero di amore che essa esprime. Vogliamo vivere, Signore Gesù, il tuo Vangelo di carità nelle situazioni che ci farai sperimentare, attenti al grido di chi soffre accanto a noi nel dolore e nella solitudine. Rendi veri i passi della nostra comunità sulla strada della prossimità, perché sia ogni giorno segno e strumento del tuo amore gratuito, senza incertezze o compromessi, ricca solo della tua misericordia infinita. Amen”. Al termine della Santa Messa, leggo sugli sguardi di tutti una grande serenità e la gioia di aver trascorso insieme – con al centro il Cristo incarnato e Crocifisso per noi, e con l’esempio di San Francesco di Assisi – una bella giornata di fraternità, preludio di un intenso anno di lavoro. Ma lo sappiamo, il giogo del Signore è leggero se portato insieme a Lui… Sonia Rosaspina
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ATTUALITÀ
A RAVENNA NELLA BASILICA DI SAN VITALE
NASCE O.PE.RO. OPERA PELLEGRINAGGI ROMANA Lunedì 23 settembre, a Ravenna, nello splendido contesto della basilica di San Vitale, ha mosso i primi passi O.Pe.Ro., Opera Pellegrinaggi Romagna. Si tratta di un’associazione senza scopo di lucro, espressione delle diocesi di Romagna. Ne parliamo con il presidente don Tiziano Zoli, della Diocesi di Faenza-Modigliana. Perché O.Pe.Ro.? Di che si tratta?
Si tratta di un’iniziativa che nasce per volontà dei sette vescovi della Romagna con tre obiettivi. Innanzi tutto, valorizzare il nostro territorio dal punto di vista del turismo religioso e culturale. Quindi una Romagna che non è solo spiaggia o grandi parchi di divertimento, ma che vuole valorizzare quel molto di più che è frutto di una storia secolare. Secondo: intendiamo formare guide e operatori turistici dal punto di vista cristiano, teologico e artistico. Infine, ci proponiamo di coordinare i pellegrinaggi diocesani per evitare che ogni diocesi vada in ordine sparso rischiando magari di rinunciare ad alcune proposte per scarsità di adesioni.
sidente, il dottor Luciano Veneri di Cesena-Sarsina è il tesoriere, i riminesi dottor Marco Bruckner e Francesco Ramberti, sono rispettivamente segretario generale e responsabile comunicazione. Gli altri consiglieri sono don Gianni Regoli di Imola, don Pier Luigi Fiorini di Forlì, l’architetto Maria Chiara Ferranti di San Marino-Montefeltro, il professor Natalino Valentini dell’Issr Marvelli di Rimini e Nunzia Celli di Ariminum. Perché queste due ultime realtà?
L’Istituto di Scienze Religiose Marvelli di Rimini ha un corso di laurea magistrale in Arte sacra e Turismo religioso, mentre Ariminum è l’agenzia viaggi di proprietà della Diocesi di Rimini. E sono un tesoro prezioso per raggiungere gli obiettivi di questa nuova realtà. Qual è l’idea base di O.pe.ro.?
Quindi c’è un coinvolgimento diretto di ogni diocesi?
L’idea base è che il viaggio e il pellegrinaggio, oltre che essere una metafora della vita, sono una grande opportunità di evangelizzazione, sia quando siamo noi a muoverci che quando, invece, accogliamo ospiti o pellegrini nelle nostre terre.
Sì, sono tutte rappresentate nel Consiglio da persone indicate dai singoli vescovi. Io per Faenza-Modigliana, don Arienzo Colombo di Ravenna è vice pre-
Intanto diciamo che O.Pe.Ro. diventa operativa proprio da quel giorno. Siamo
Cosa accade lunedì 23 settembre?
partiti a marzo con questo obiettivo e a giugno abbiamo registrato lo statuto dell’associazione. E per diventare operativi abbiamo pensato di presentarci. Al mattino con una conferenza stampa convocata a San Vitale. Dalle 15, invece, abbiamo programmato un educational per gli operatori del turismo e non solo, “alla scoperta della Romagna cristiana nei mosaici di Ravenna”. Guarderemo i mosaici con un occhio biblico e teologico-sacramentale di San Vitale e poi ci sposteremo in centro per visitare il museo arcivescovile di Ravenna. Per l’occasione, ingresso gratis per tutti i partecipanti, grazie alla disponibilità dell’Opera di Religione di Ravenna e del suo presidente, mons. Guido Marchetti. E la sera si torna a San Vitale
Esattamente. Alle 20 c’è il primo appuntamento con “Illuminaci. Un percorso tra arte e fede alla scoperta di San Vitale”. Lo faremo attraverso le letture a cura del professor Gianni Morelli e le musiche dal vivo del maestro Paolo Olmi. Anche questo evento è gratuito. Poi O.Pe.Ro. Comincerà a muovere i primi passi di quello che speriamo sia un lungo viaggio. A cura di Giulio Donati
APPUNTAMENTO AL CINEMA APPUNTAMENTO AL CINEMA UNA CANZONE PER MARION
di Melissa Nanni
Una storia originale, senza dubbio non ripetitiva che ci racconta una drammatica vicenda sotto un punto di vista positivo e sorridente. Una canzone per Marion narra la vita di Arthur (Terence Stamp), un anziano un po’ scorbutico e scontroso, e di sua moglie Marion (Vanessa Redgrave), una donna positiva, ottimista e allegra, che vivono in un piovoso paesino inglese e che per passare le loro giornate frequentano un coro diretto dalla giovane Elizabeth (Gemma Arterton). Ma ciò che cambia la vita all’anziana coppia inglese sarà la malattia di Marion che infatti scopre di essere ammalata di cancro e saranno proprio la musica e il canto che la aiuteranno ad affrontare tutto con sempre più positività. Anche Arthur in cuor suo si lascia “scongelare” dal coro e dalla musica che sembra tanto affascinare la moglie e sarà proprio nel momento più drammatico della sua vita, ovvero alla morte di Marion, che ci sarà una vera e propria rinascita in questo uomo che decide di portare avanti la passione della moglie partecipando ad un concorso dove per la prima volta in assoluto riuscirà a far sentire la sua voce.
In questo film riusciamo completamente ad immergerci in quelli che sono gli ultimi anni della vita di due persone dal carattere l’uno l’opposto dell’altra e che proprio per questa ragione riescono a compensarsi e ad equilibrarsi facendoci scoprire quanto in realtà con una grande passione come quella di Marion anche la terza età che può sembrare la più triste e malinconica possa invece riservarci dei magnifici momenti. Ed è proprio in questo modo, davvero lontano dal malinconico e piuttosto raccontato con grande ironia, che il regista Paul Andrew Williams ci lascia fare una panoramica su quella che potrebbe essere la nostra vita di persone anziane se vissuta con grande ottimismo e positività. Inoltre, così come è accaduto ad Arthur, questo grande film ci dimostra che non è mai troppo tardi per cambiare nella vita. Infatti anche nel rapporto con il figlio Christopher, Arthur si dimostra molto scontroso e per questo il figlio sentirà che ogni suo pensiero sarà sicuramente in contrasto con quello del padre, perciò sarà sempre Marion a tenere insieme le fila della famiglia e quando lei verrà a mancare Arthur dovrà fare i conti con il suo carattere e mantenere stretto il rapporto con il figlio. Per tutto questo il film può essere considerato un vero e proprio inno alla vita e alla famiglia dove si raccontano amori, speranze e passioni, i principali valori che ci permettono di vivere una vita felice e con ottimismo.
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IO SONO DI GESÙ
Aveva 14 anni. È la prima volta che viene beatificato un seminarista martire italiano. Chiediamo allora che per sua intercessione insieme all’intercessione della Madonna delle Grazie non manchino vocazioni sacerdotali nella Chiesa e in particolare nella nostra diocesi di San Marino-Montefeltro. *** Che i giovani si facciano avanti senza paura, con coraggio, forza e gioia perché è cosa bella donarsi totalmente a Dio, rispondendo alla sua chiamata di amore. A concelebrare, insieme al card. Amato, l’arcivescovo mons. Antonio Lanfranchi che ha presentato la petizione per l’iscrizione del giovane seminarista ucciso alle piane di Monchio, il vescovo di Reggio Emilia-Guastalla mons. Massimo Camisasca, il cardinale arcivescovo di Bologna mons. Carlo Caffarra, il vescovo di Ferrara mons. Luigi Negri, presidente del Comitato “Amici di Rolando Rivi”, oltre ad altri vescovi della nostra regione. Oltre 150 i sacerdoti, così come nutrito anche il numero di diaconi presenti, di seminaristi e di ministranti, i chierichetti. Tutti noi seminaristi della regione Emilia-Romagna eravamo presenti a questo grande evento. È stato un bel richiamo principalmente a noi seminaristi ma anche a tutti i cristiani presenti alla celebrazione e che lo sia per chi legge la sua storia, cioè, vivere sempre la nostra vocazione e la nostra risposta al Signore con coraggio rischiando come veri cristiani ogni giorno le sfide che la vita ci presenta. Questo si fa quando amiamo Dio con tutto il nostro essere e tutto il nostro cuore, perché l’Amore lo raggiunge tutto come l’Amore di Dio per noi. Credo che la stessa vita di Rolando e la sua testimonianza parlano da sole. Per cui riporto a seguito una breve biografia presa dal libretto della celebrazione eucaristica e beatificazione di Rolando Rivi che può aiutarci a capire che amava tanto Gesù fino a donare la vita e che è stata così forte la sua appartenenza a Cristo in vita da seminarista e perché anche noi possiamo dire come lui: Io sono di Gesù. In Gesù e Maria, Larry Jaramillo, seminarista ROLANDO MARIA RIVI nacque il 7 gennaio 1931 a San Valentino, borgo rurale del Comune di Castellarano (Reggio Emilia), in una famiglia profondamente cattolica. Il 16 giugno 1938, nella solennità del Corpus Domini, ricevette la Prima Comunione e questa fu davvero per lui una festa umile e solenne: Gesù diventava il suo intimo Amico. A scuola seppe dare buoni risultati, sotto la guida della maestra Clotilde Selmi, giovane donna di grande pietà, assai preparata e tutta dedita alla sua missione di educatrice cristiana: sostenuto da una vivace intelligenza, imparava con facilità e aiutava volentieri i compagni. Era generosissimo con i poveri di passaggio, ai quali donava con larghezza, dicendo: “La carità non rende povero nessuno. Ogni povero per me è Gesù”. Ricevette la Cresima il 24 giugno 1940 dal Vescovo diocesano di Reggio Emilia, mons. Edoardo Brettoni. Da allora si sentì ancora più obbligato con il Signore Gesù, “un soldato di Cristo”, come allora si diceva, e prese forti impegni con Lui: la Messa e Comunione quotidiana, la Confessione settimanale, il Rosario alla Madonna ogni giorno, da solo e in famiglia. Rolando cercava di portare i suoi piccoli amici coetanei in chiesa, al catechismo, davanti al Tabernacolo, per crescere nella fede e nell’amore al Signore. Papà Roberto si chiedeva: “Chi mai sarà questo bambino?”. Rolando finì le elementari in modo
AGLI ALTARI Lo scorso sabato 5 ottobre 2013, alle ore 16,00, presso il Palazzo dello Sport di Modena (PalaPanini) è stato beatificato ROLANDO RIVI, seminarista martire, ucciso in odio alla fede cattolica
brillante. La maestra ricorderà sempre “i suoi occhi vivi, espressivi al massimo, cui non sfuggiva nulla, la sua intuizione immediata, la logica serrata dei suoi ragionamenti, la sua ottima memoria”. A Rolando però, ciò che più importava era il rapporto, intenso, sempre più intimo con Gesù. Il sacerdote – in particoBEATO ROLANDO RIVI, seminarista martire lare don Olinto Mar(7 gennaio 1931 - 13 aprile 1945) zocchini, suo parroco, guida e modello di vita – quando all’altare consacrava il pane e il vino nella Messa, gli appariva così grande da toccare il Cielo: “Perché – si domandava – non potrei essere come lui?”. All’inizio dell’ottobre 1942, terminate le scuole elementari, entrò nel Seminario di Marola (Carpineti, Reggio Emilia). Si distinse subito per la sua profonda fede. Amante della musica, entrò a far parte della corale e suonava l’armonium e l’organo. Ha testimoniato di lui un suo compagno di Seminario, divenuto poi prete e parroco: “Rolando era vivace e svelto in tutti i giochi, a pallone e a pallavolo. Il campione della classe, della sua camerata. Attentissimo a scuola, molto studioso, esemplare, innamoratissimo di Gesù. Tutto in lui era superlativo. Si stava volentieri con lui: contagiava gioia e ottimismo. Era l’immagine perfetta del ragazzo santo, ricco di ogni virtù, portata nella vita quotidiana all’eroismo”. Quando Rolando stava per terminare la seconda media, i tedeschi occuparono il Seminario e gli alunni furono mandati alle loro dimore. Egli però continuò a sentirsi seminarista: la chiesa e la casa parrocchiale furono i suoi luoghi prediletti. Continuava, nonostante le difficoltà, la stessa vita ardente e luminosa, intessuta di preghiera e di studio, di amore intenso a Gesù Eucaristico, di pietà mariana. La situazione era pericolosissima, per le scorribande di tedeschi, fascisti e partigiani; l’odio alla Chiesa e ai preti era diffuso e rabbioso, in particolare da parte di quei gruppi di partigiani in cui si era affermata un’ideologia che voleva cancellare Cristo e la sua Chiesa dalla storia dell’uomo. Anche il parroco, più volte minacciato, fu costretto ad abbandonare la parrocchia e fu sostituito da un giovane curato, don Alberto Camellini. Rolando diceva spesso ai suoi amici seminaristi di San Valentino: “Preghiamo per tornare al più presto in Seminario. Quando sarò prete, partirò come missionario a portare Gesù a quelli che non lo conoscono”. Sue occupazioni quotidiane, oltre allo studio, erano la Santa Messa, la preghiera davanti al Tabernacolo, il Santo Rosario. I genitori, spaventati dall’odio partigiano, invitarono il figlio a togliersi la talare; ed egli rispose: “Ma perché? Che male faccio a portarla? Non ho voglia di togliermela. Io studio da Continua a pag. 10
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ATTUALITÀ
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prete e la veste è il segno che io sono di Gesù”. Questa pubblica manifestazione di appartenenza a Cristo gli fu fatale. Un giorno, mentre i genitori si recavano a lavorare nei campi, Rolando prese i libri e si allontanò, come al solito, per studiare in un boschetto. Arrivati alcuni partigiani, accecati dall’odio ideologico contro la Chiesa, lo sequestrarono, gli tolsero la talare e lo torturarono. Rimase per tre giorni loro prigioniero, subendo offese e violenze; poi lo condannarono a morte. Lo condussero in un bosco, presso Piane di Monchio (Modena); gli fecero scavare la sua fossa, lo fecero inginocchiare sul bordo e gli spararono due colpi di rivoltella, una al cuore e una alla fronte. Poi, della sua nera e immacolata talare, ne fecero un pallone da prendere a calci. Era il venerdì 13 aprile 1945. La memoria e la venerazione per il giovane martire si mantennero sempre vive, sebbene le circostanze dei tempi non abbiano permesso per lunghi anni l’avvio di alcuna iniziativa ufficiale per l’avvio di una Causa di beatificazione con il riconoscimento del martirio in odio alla fede. Essa, auspicata per tanto tempo, poté poi essere iniziata ed ebbe un iter sorprendentemente rapido. Il 14 luglio 2004 si riunì per la prima volta il Comitato “Amici di Rolando Rivi” attore e promotore della Causa, che provvide a nominare la postulatrice, Francesca Consolini. Il processo diocesano si svolse dal 7 gennaio dal 24 giugno 2006 ad opera del Tribunale ecclesiastico della Arcidiocesi di Modena-Nonantola, nella cui giurisdizione rientra Monchio, dove Rolando venne ucciso. Nel giugno 2010 venne protocollata presso la Congregazione delle Cause dei Santi la Posizione sul martirio in odio alla fede; questa venne discussa dal Congresso teologico il 18 maggio 2012 e dalla Congregazione plenaria degli Em.mi Cardinali ed Ecc.mi Vescovi l’8 gennaio 2013; il 28 marzo 2013 Papa Francesco ha firmato il decreto di riconoscimento del martirio. PREGHIERA: O Dio, Padre misericordioso, che scegli i piccoli per confondere i potenti del mondo, Ti ringrazio per averci donato, nel seminarista Rolando Rivi, una testimonianza di amore totale al Tuo Figlio Gesù e alla sua Chiesa, fino al sacrificio della vita. Illuminato da questo esempio e per intercessione di Rolando, Ti chiedo di darmi la forza di essere sempre segno vivo del Tuo amore nel mondo e Ti supplico di volermi concedere la grazia che ardentemente desidero. Amen.
DENTRO LA TV “Radio Belva” non ci mancherà A FRONTE DI UN PROGRAMMA SOSPESO PER VOLGARITÀ, MOLTI ALTRI VANNO IN ONDA Bene ha fatto il direttore di Rete 4 a sospendere la messa in onda di “Radio Belva”, la neonata trasmissione che ha portato in prima serata televisiva Giuseppe Cruciani e David Parenzo, affermatisi negli ultimi anni come pungenti conduttori del programma radiofonico “La zanzara” su Radio 24. Nella motivazione ufficiale del provvedimento, si spiega che la trasmissione “non ha le caratteristiche di tono e contenuto confacenti al prime time della rete”. Meno male… Resta il sospetto che anche i bassissimi ascolti ottenuti dalla puntata d’esordio – uno share del 2,79% – abbiano avuto il loro peso in negativo, ma tant’è. Per una volta la tv fa ammenda, ammette di aver proposto un prodotto non adeguato al target e alle attese degli spettatori, decide di fare marcia indietro e chiede scusa. Meglio ancora sarebbe stato se “Radio Belva” non fosse andato in onda per niente, almeno non nella versione che è stata proposta nella puntata d’esordio: era da illusi pensare che un salotto con i militanti di Forza Nuova, Alba Parietti e, soprattutto, Vittorio Sgarbi potesse favorire un confronto calmo e tranquillo di fronte alle provocazioni di Cruciani. Quest’ultimo, insieme al suo compare, si è inebriato della diretta televisiva al punto da perdere ogni controllo, confondendo il palcoscenico del piccolo schermo con l’esposizione più contenuta che ottiene quotidianamente via etere. Chi ci ha fatto la figura peggiore è il solito Sgarbi, ma dei suoi eccessi verbali ormai non ci si può più sorprendere, talmente tante sono le volte in cui li ha sbattuti in faccia ai telespettatori. A fronte di un programma sospeso per volgarità eccessiva, molti altri del genere continuano ad andare in onda su tutte le reti a tutte le ore. E, anche se non arrivano alla quantità di parolacce e improperi elargiti da “Radio Belva”, propongono contenuti quanto meno discutibili. I reality show sono stati fra i primi a sdoganare comportamenti e linguaggi di un certo tipo, dietro il pretesto di voler mostrare la realtà così com’è, senza mediazioni né censure. La tendenza a esagerare si è rapidamente estesa anche al mondo (non più) dorato delle fiction, che dietro alla logica della verosimiglianza si concedono da tempo il lusso di mettere in bocca ai loro protagonisti un intercalare che non lesina parolacce e doppi sensi. I programmi di approfondimento e i talk show seguono a ruota, giustificandosi agli occhi degli spettatori con l’imprevedibilità della diretta ma non facendo niente per placare gli animi nel caso di scontri verbali (che, anzi, sono spesso fomentati dagli stessi conduttori per aumentare gli ascolti). Oltre allo scontato giudizio negativo, il fenomeno induce alcune considerazioni tanto su chi produce un certo tipo di televisione quanto su chi ne fruisce. Gli autori e i conduttori delle trasmissioni televisive non si fanno alcuno scrupolo nel fomentare i litigi, meglio se conditi da reciproci insulti fra gli ospiti. E questo è un chiaro segno della mancanza di idee e di voglia di sperimentare nuove produzioni, magari smettendo di comprare format stranieri già collaudati. Dal canto nostro, noi spettatori a parole ci scandalizziamo di fronte agli eccessi ma poi – telecomando alla mano – se ci imbattiamo in due individui che litigano in tv a suon di offese e parolacce ci lasciamo abbindolare e seguiamo il programma con maggiore attenzione, se non altro “per vedere come va a finire”. E così si alimenta il circolo vizioso che spinge la volgarità del piccolo schermo sempre più in alto (nei toni e negli ascolti) e la qualità dell’offerta sempre più in basso. Per non parlare dell’effetto diseducativo sui nostri figli e su noi stessi…
Marco Deriu (SIR)
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PREGHIERA
APOSTOLATO DELLA PREGHIERA - NOVEMBRE 2013
’offerta quotidiana santifica la tua giornata. Cuore divino di Gesù, io ti offro, per mezzo del Cuore Immacolato di Maria, madre della Chiesa, in unione al Sacrificio eucaristico, le preghiere e le azioni, le gioie e le sofferenze di questo giorno: in riparazione dei peccati, per la salvezza di tutti gli uomini, nella grazia dello Spirito Santo, a gloria del divin Padre. In particolare, per le intenzioni affidate all’AdP dal Papa.
❏ “Perché
i SACERDOTI che sperimentano difficoltà siano CONFORTATI nelle loro sofferenze, SOSTENUTI nei loro dubbi e CONFERMATI nella loro fedeltà”.
INTENZIONE PROPOSTA DAL PAPA NEL MESE DI NOVEMBRE
Sacerdoti in crisi
ell’anno 2000 erano già più di 50.000 i sacerdoti che avevano abbandonato il loro ministero: 30.000 appartenenti al clero diocesano, 20.000 i religiosi. Aride cifre, dietro alle quali si nascondono vicende umane assai diverse: la generosità del dono di se stessi a Dio e alla Chiesa, la gioia e la fatica della fedeltà quotidiana, drammi personali e grandi sofferenze. Tutto questo non può riguardare soltanto i vescovi ed il clero in generale, ma deve interessare tutta la comunità cristiana, chiamata a riflettere, a comprendere, ad aiutare e ad accompagnare con la preghiera e con il sostegno concreto le vocazioni sacerdotali. È bene, dunque, non lasciar cadere l’invito alla riflessione, che l’intenzione, suggerita dal Santo Padre per questo mese di novembre, ci propone. I problemi sono molti e complessi: si va dalla formazione al celibato fatta nei seminari, alle difficoltà in cui si vengono a trovare i preti nei primi anni dopo l’ordinazione, fino al problema dell’inse-rimento nella comunità ecclesiale di chi ha lasciato il sacerdozio. Per questo le diocesi e le congregazioni religiose stanno sperimentando sempre nuovi metodi educativi e, per lasciare ai ragazzi il calore dell’affetto della famiglia, si stanno orientando sempre più sui giovani. Anche le difficoltà dei giovani sacerdoti, spesso sballottati di qua e di là perché le necessità pastorali son tante e urgenti, sono oggetto di particolari premure da parte dei vescovi, i quali, consapevoli della fragilità psicologica delle giovani generazioni, stanno correndo ai ripari, organizzando incontri e provvedendo ad aiutare i giovani preti attraverso il dialogo e l’accompagnamento spirituale. Ciononostante, succede che tanti giovani sacerdoti si sentano solamente dei numeri, degli impiegati, abbandonati a se stessi. Lo stress, causato dal superlavoro e dal sentirsi incompresi, spinge a cercare l’aiuto ed il conforto di qualcuno: spesso si tratta di una donna, vista la particolare sensibilità della natura femminile.
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❏ “Perché
C’è da dire che le tante attività ed i compiti sempre più impegnativi inducono molti presbiteri a trascurare la preghiera ed il cammino spirituale; ora è risaputo che, senza l’unione con Gesù Cristo e la sua grazia, le forze umane ben presto vengono meno. Scrive Wilfried Hagemann: “La maturità oggi, anche la maturità psicologica, non si raggiunge facilmente: è un lungo processo di perdersi, di donarsi e facilmente un giovane, diventando sacerdote, cerca subito il successo. Egli deve essere pronto a non vedere niente, a vivere questa esperienza di insuccesso in una visione di fede. È con la sua morte che Gesù ha generato la Chiesa. Non dico che i giovani preti questo non lo sappiano, ma dico che devono imparare a viverlo concretamente”. Una prima difficoltà nasce dal fatto che i giovani parroci non trovano la comunità cristiana che hanno sognato, ma parrocchie frantumate, a volte già secolarizzate. Notano che sono piuttosto pochi i cristiani che frequentano la messa domenicale, e tanto più quella feriale, e per di più anziani. I giovani non sembrano mostrare particolare interesse per le cose riguardanti la fede: vengono piuttosto per motivi di ritrovo e chiedono al giovane prete di organizzare il loro divertimento. Giustamente il giovane sacerdote allora si chiede: “Ma cosa ci sto a fare qui, se il mio ministero non interessa quasi nessuno?”. Da qui la crisi, spesso precoce. In attesa che una svolta pastorale profonda prepari nei seminari sacerdoti pronti con la propria vita ad insegnare a vivere il Vangelo, accogliamo il suggerimento del Papa e facciamo diventare una bella abitudine quotidiana quella di pregare per i sacerdoti, specialmente per i più giovani, affinché sappiano “perdersi in Dio”. Più uno è “perso”, più sa uscire da se stesso, più è persona e più è anche capace di dialogare con il mondo.
LA FEDE NELLA VITA ETERNA ci renda liberi dall’attaccamento al denaro e più capaci di gesti di solidarietà e di condivisione”.
INTENZIONE PROPOSTA DAI VESCOVI
Credo nella vita eterna
e pensiamo ai due millenni di storia della Chiesa, possiamo osservare che – come aveva preannunciato il Signore Gesù (cfr. Mt 10,16-33) – non sono mai mancate per i cristiani le prove, che in alcuni periodi e luoghi hanno assunto il carattere di vere e proprie persecuzioni. “Queste, però, malgrado le sofferenze che provocano, non costituiscono il pericolo più grave per la Chiesa. Il danno maggiore, infatti, essa lo subisce da ciò che inquina la fede e la vita cristiana dei suoi membri e delle sue comunità, intaccando l’integrità del Corpo mistico, indebolendo la sua capacità di profezia e di testimonianza, appannando la bellezza del suo volto” (Papa Benedetto XVI). Questa realtà è attestata fin dalle lettere di San Paolo, che parlano di egoismo, vanità, orgoglio, attaccamento al denaro come di atteggiamenti negativi che appartengono al mondo e che possono contagiare la comunità cristiana. Ma la conclusione dell’Apostolo è rassicurante: gli uomini che operano il male “non andranno molto lontano, per-
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ché la loro stoltezza sarà manifesta a tutti”. Vi è dunque una garanzia di libertà assicurata da Dio alla Chiesa, libertà sia dai lacci materiali, che cercano di impedire o coartarne la missione, sia dai mali spirituali e morali, che possono intaccarne l’autenticità e la credibilità. La fede cristiana chiama giustamente “vita eterna” la vittoria dell’amore sulla morte. Questa vita eterna consiste nella visone di Dio, iniziata nel tempo della fede e portata a compimento nel “faccia a faccia” del Regno. Le espressioni “visione”, “vedere Dio”, conoscere Dio “faccia a faccia” riprendono tutta la forza che il verbo “conoscere” possiede nella Scrittura. Non si tratta di un conoscere intellettuale, ma di un convivere, di entrare in comunione personale, di un godere dell’intimità, condividendo la vita di Dio, partecipando della divinità. Conoscere Dio significa ricevere la sua vita che deifica. Stare con Cristo, vivere di Cristo, che ci dà la fede e il battesimo, è l’inizio della risurrezione, come superamento della morte.
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ANNIVERSARI
LA COMUNITÀ DI SERRAVALLE IN FESTA SI È STRETTA ATTORNO AL SUO PARROCO
Mons. GIUSEPPE INNOCENTINI ha salutato il 60º di ordinazione sacerdotale Nel giorno dell’ordinazione sacerdotale Don Peppino così supplicava Iddio: «Signore dammi la tua benedizione perché meditando la tua legge ciò che leggo creda, ciò che credo insegni, ciò che insegno faccia. Concedi ai genitori e a quanti debbo affetto e riconoscenza le tue benedizioni». Questa preghiera testimonia l’atteggiamento con cui lui accoglieva la vocazione sacerdotale. La Provvidenza ha voluto che Don Giuseppe Innocentini appena divenuto sacerdote, il 28 giugno 1953, fosse inviato nella parrocchia di Serravalle. Celebrare quindi il sacerdote che ha detto la sua prima messa 60 anni orsono, e che ha celebrato il 25° e il 50° a Serravalle, significa lodare Dio per i suoi mirabili disegni e perché ha inviato un suo ministro che ha annunciato il Regno di Dio agli uomini e donne che ha incontrato nella sua vita. La bontà di Dio si è manifestata in questa parrocchia nel «Dono e mistero» della vocazione di Don Peppino. La parrocchia di Serravalle è stata la prima e l’unica di Don Peppino; è sempre rimasto qui, per questo possiamo dire che è stato ordinato presbitero per questa chiesa. La sua vita e opera sacerdotale s’inseriscono nella storia della parrocchia e della Diocesi, nonché della Repubblica di San Marino, e continuano quella dei suoi immediati predecessori. Nell’arco di questi decenni di ministero pastorale Don Peppino ha logorato chissà quante talari, perché alle volte neanche per giocare a calcetto la toglieva, ma il suo fervore sacerdotale non si è sciupato per niente: è un parroco accogliente, che cammina con il suo popolo sapendo essere esigente e gentile, con una buona dose di umorismo e altrettanto di rigore. Durante i suoi primi anni di sacerdozio come cappellano, ha girato la parrocchia come un “laboratorio”, nella realtà sociale dei fedeli, come a voler riconoscere e avere «l’odore delle pecore», come ammoniva Papa Francesco nella Messa crismale del 28 marzo 2013; da questa prima esperienza Don Peppino ha «programmato» le principali attività pastorali che hanno reso evidente la sua tempra spirituale e l’hanno confermato come un parroco zelante. Da allora innumerevoli attività pastorali e sociali cominciarono a congiungersi come anelli di una catena, forgiati dalla premura di Don Peppino e la disponibilità dei fedeli, per seguire insieme il progetto salvifico di Dio. Così confermano le celebrazioni giubilari del suo 25° e del suo 50° quando umilmente pregava: «Chiedo di essere ancora aiutato nel cammino verso il traguardo finale, mentre rinnovo il mio impegno sacerdotale e l’offerta quotidiana per il bene di tutti». La Provvidenza ha trovato nella persona di Don Peppino un amministratore fedele e un terreno fertile. La prima e la principale opera è quella per cui si diventa sacerdoti: amministrare i divini misteri, presentare a Dio il Sacrificio per la santificazione propria e altrui (Eb 4,15), celebrare il culto divino per il quale si riceve, si mantiene e si tramanda la fede della Chiesa (2Cor 13,13; 1Cor 11,26). Don Peppino, mosso dallo zelo pastorale, ha lavorato per questo scopo senza risparmiare energie o mezzi: verso i piccoli, i giovani, gli anziani, le copie, le famiglie, i vicini e i lontani, a tutti ha cercato di far pervenire la Parola salvifica del vangelo, giacché «il sacerdote non è soltanto “davanti” alla chiesa, ma anzitutto “nella” chiesa. È fratello tra fratelli. Don Peppino, consapevole che il futuro di un popolo sono i bambini e i giovani ha riservato loro una speciale attenzione sin dall’inizio del suo
ministero. La preparazione alla celebrazione dei sacramenti ha fatto sì che in pratica tutti i fedeli potessero ricevere una catechesi solida e costante superando la difficoltà e gli scoraggiamenti trovati di volta in volta. La catechesi ai bambini, la pastorale giovanile, gli incontri con le famiglie e attività del genere hanno impegnato sempre Don Peppino e l’hanno spinto a coltivare una fede dinamica, a viverla in modo gioioso, a celebrarla con entusiasmo e a pregare fiduciosamente. L’impegno di Don Peppino, coadiuvato da un folto gruppo di collaboratori parrocchiali, merita particolare attenzione per quanto riguarda la Colonia Montana di Chiusi della Verna, la Società Sportiva «Juvenes» e il Centro Sociale S. Andrea. Chiusi della Verna è la tappa definitiva di un percorso che Don Peppino ha provato in diversi luoghi con i giovani e i bambini che durante i mesi estivi hanno vissuto questa esperienza di formazione umana e cristiana. Tutte queste e tante altre attività sono state ideate da Don Peppino con l’obiettivo preciso di comunicare il Vangelo. Il Parroco non è stato mai solo in tutti questi anni, è da notare che il suo operare è stato accompagnato da molti fedeli della parrocchia di varie realtà ecclesiali, in particolare dai gruppi di Azione Cattolica, riuscendo in un clima di reciproca stima e cooperazione, a collaborare insieme per costruire la comunità parrocchiale. Don Elia Cirigliano, un giovane prete dagli Stati Uniti, è ora il vicario parrocchiale e, come tale, il più stretto collaboratore di Don Peppino; il Diacono Domenico Cecchetti e tre Suore Francescane, poi, svolgono anche un servizio impagabile in parrocchia. Senza voler dimenticare nessuno dei collaboratori in tutti questi anni, ma piuttosto facendo eco del ringraziamento di Don Peppino a ciascuno di loro è bene richiamare, come esempio, alcuni nomi. Come Lino Guidi che, già collaboratore di Don Tullio Gabellini, è stato sempre a fianco di Don Peppino per tutto quel che occorre in parrocchia; inoltre, come non nominare Amedeo Innocentini e la sua sposa, Alba Rossi, che vivendo sempre in canonica hanno dato non soltanto testimonianza esemplare di vita cristiana ma anche di un amore incondizionato e sollecito per la Chiesa e il ministero di Don Peppino? La famiglia di Don Peppino da sessant’anni continua a sostenerlo: tra le persone adulte della parrocchia, chi non ricorda la presenza rassicurante di «mamma Italia» sia in parrocchia sia nella Colonia montana? La lista di collaboratori è tanto lunga e ricca quanto gli anni di sacerdozio di Don Peppino, perciò, più che stampata nella carta, resta nella memoria di chi l’ha vissuto, di chi racconta, di chi ascolta quello che Dio ha fatto grazie al ministero sacerdotale di Don Innocentini e la disponibilità dei fedeli e di ciò si ringrazia la Provvidenza in questo lieto anno giubilare del sessantesimo di Messa. Il sacerdote è un uomo «preso fra gli uomini, costituito per il bene degli uomini nelle cose che riguardano Dio» (Eb 5,1). È ciò che ha fatto Don Peppino in questi sessant’anni: cercare di essere vicino a tutti, nonostante i limiti e le difficoltà, che benché ci siano, non offuscano la fecondità del suo ministero. Tanti auguri Don Peppino! Vadano pure i medesimi sentimenti di gioia alla parrocchia Sant’Andrea di Serravalle che, celebrando il suo sessantesimo di sacerdozio, celebra Cristo Sommo ed eterno Sacerdote che ha voluto farlo partecipe del divino ministero! Fr. Agustín Hernández, OFM (Padre Agostino)
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FESTA GRANDE NELLA PARROCCHIA DI SAN MICHELE ARCANGELO
Don PINO e don GABRIELE festeggiano il 40º anniversario di ordinazione sacerdotale È stata festa grande nella Parrocchia di San Michele Arcangelo in Domagnano il 29 settembre scorso per la ricorrenza del 40° anniversario della Consacrazione al sacerdozio di Don Pino Iannuzzi (5 agosto 1973-2013) e Don Gabriele Mangiarotti (22 settembre 1973-2013). È dal 1989 che Don Pino ci ha accompagnato donando se stesso a tutta la comunità, in modo particolare col suo “saper essere” e “stare con le persone”. Una camminata tutta in salita la sua, degna di essere riconosciuta con tutta la nostra gratitudine, insieme a Don Gabriele Mangiarotti (22 settembre 1973-2013) da cinque anni con noi e per noi a Domagnano, con il suo servizio, la sua esperienza e il suo prezioso sapere che ci hanno ancor più illuminati e arricchiti nella fede. La nostra comunità si è incontrata e “riunita con gioia” per celebrare questo straordinario evento, proprio nel giorno in cui il calendario liturgico festeggia San Michele Arcangelo. La giornata ha avuto inizio alle 10:45 con la processione quindi con la benedizione dell’icona in pietra che porta scolpito l’Arcangelo nella sua missione, acquistata da alcuni parrocchiani durante un pellegrinaggio e ora posta all’interno della Chiesa. Una “Festa insieme”, un’occasione che ci ha riunito tutti, a partire dalla S. Messa celebrata in questa speciale occasione da Don Giuseppe Innocentini, parroco di Serravalle che quest’anno, fra l’altro, festeggia i sessant’anni di sacerdozio e con
il quale Don Pino ha vissuto i primi anni della sua ordinazione. Straordinaria anche la collaborazione di tutta la comunità parrocchiale che unita ha reso possibile questa festa, dove l’emozione e la gioia per la condivisione di una giornata così speciale, hanno lasciato un’impronta nel cuore di ciascuno. Guardando dentro ad ogni momento vissuto si cela sempre il messaggio che vuole richiamare “l’essere dono” tanto prezioso alla vita quotidiana della comunità, nell’impegno, nella devozione e nell’amore di coloro che sono chiamati alla missione e carità. Ai nostri Sacerdoti vanno la gratitudine per questi anni di servizio vissuti insieme e l’augurio per il cammino che abbiamo innanzi, nella speranza che sia carico di luce e di pace, fecondo di doni dello Spirito, ricco della grazia del Signore. Le parole di Papa Francesco ci accompagnino: “Chiediamo al Signore che il nostro lavoro ci faccia più umili, più miti, più pazienti, più fiduciosi di Dio perché così la Chiesa possa dare una bella testimonianza alla gente e vedendo il popolo di Dio, vedendo la Chiesa, sentano la voglia di venire con noi”. Da qui la nostra preghiera che vogliamo condividere con tutta la Diocesi, come richiesta d’invito a relazioni sempre nuove: “l’unione delle comunità nella vita cristiana, porti a costruire una Chiesa sempre più accogliente, dinamica e viva”. I parrocchiani di Domagnano “insieme”
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Lungi dall’essere stato connivente con il regime dei desaparecidos, l’allora provinciale dei gesuiti d’Argentina, oggi papa Francesco, ha compiuto un’azione da vero “007 del bene” istituendo una rete clandestina informale, ma assai efficace, per portare in salvo decine e decine di ricercati.
per il quale Bergoglio approntò una via di fuga verso l’Europa attraverso il Brasile. Scavo getta, inoltre, piena luce sul caso Jalics-Yorio, ovvero la drammatica vicenda dei due gesuiti rapiti e torturati dai militari. Per la prima volta viene qui mostrata la lettera che Bergoglio scrisse alla famiglia di padre Jalics, in cui manifestava tutto il suo impegno per riavere salvo il suo confratello. Inoltre, anche grazie all’interrogatorio che Bergoglio ebbe nel 2010 in qualità di testimone al processo Esma a Buenos Aires e che viene pubblicato in esclusiva mondiale in appendice al libro, Scavo ricostruisce per la prima volta l’incontro tra Bergoglio e l’ammiraglio Massera durante il quale il gesuita esigette la liberazione immediata dei due religiosi. Inoltre, Scavo ha scoperto la vicenda di tre seminaristi alunni del grande vescovo Angelelli, ucciso dalla giunta militare con un finto incidente stradale: alcuni giorni prima di venir ammazzato, Angelelli, temendo per la sicurezza propria e dei suoi, affidò a Bergoglio tre suoi studenti. E proprio una notte l’allora padre Jorge Mario dovette respingere letteralmente un’irruzione dei militari al Colegio Máximo, venuti per cercare i tre ragazzi. Scavo svela poi un’altra vicenda inedita, quella riguardante il celebre teologo Juan Carlos Scannone, il massimo esponente della teologia del popolo (versione argentina della teologia della liberazione) il quale venne protetto e nascosto da Bergoglio sia dalla giunta militare che da quei vescovi che avrebbero voluto zittirlo.
Dalle voci che Scavo ha interpellato in Argentina e in altri Paesi sudamericani, si evince che sono stati oltre un centinaio le persone che padre Bergoglio ha messo al sicuro grazie a stratagemmi da consumato uomo d’azione: l’utilizzo del centro gesuita di San Miguel come nascondiglio di presunti “giovani in ritiro spirituale”, quando invece si trattava di perseguitati dal regime; fughe sulla propria auto di notte; telefonate criptiche e realizzate da telefoni pubblici per evitare intercettazioni; corrispondenza fatta recapitare attraverso originali stratagemmi; organizzazione di fughe all’estero lungo l’asse Argentina-Brasile-Europa; complicità con diplomatici stranieri per l’ottenimento di passaporti e lasciapassare...
In definitiva, scrive Scavo a mo’ di sintesi della sua inchiesta, «a voler azzardare una stima prudenziale, si direbbe che padre Jorge abbia messo al sicuro più di un centinaio di persone. Decine, come vedremo, sono poi i salvati “preventivamente”, cioè messi in guardia dal futuro papa prima che potessero finire sequestrati. E a questi si aggiungono quanti furono risparmiati “a loro insaputa”» dal regime, perché, grazie alle manovre di padre Jorge, «scongiurando nuovi arresti si evitò – come ci raccontano alcuni dei protagonisti – che nel corso degli interrogatori condotti sotto tortura potessero emergere altri nomi, che altrimenti oggi sarebbero annoverati nello sterminato elenco dei desaparecidos».
Sono numerose le storie di cui Scavo, reporter di «Avvenire», dà conto nel suo libro-inchiesta: quella del sindacalista Gonzalo Mosca, nascosto al Colegio Máximo e poi fatto espatriare in Brasile: «Padre Jorge non solo mi accompagnò in aeroporto, ma venne fino al portellone dell’aereo», per assicurarsi che il suo protetto potesse veramente fuggire sano e salvo; Alicia Oliveira, l’attivista civile, entrata in clandestinità perché ricercata dai militari che Bergoglio faceva incontrare con i figli in strutture dei gesuiti andandola a prendere di nascosto in auto; Alfredo Somoza, all’epoca giovane studente universitario di sinistra, oggi residente in Lombardia,
Il premio Nobel per la pace Adolfo Pérez Esquivel, dissidente argentino, firma la prefazione.
LA LISTA DI BERGOGLIO I salvati da Francesco durante la dittatura La storia mai raccontata L’inchiesta di Nello Scavo che svela il lato inedito da “007 del bene” di padre Bergoglio La lista di Bergoglio. I salvati da Francesco durante la dittatura. La storia mai raccontata è l’inchiesta del giornalista Nello Scavo che per la prima volta fa luce in maniera ampia e grazie a documenti inediti sul ruolo dell’allora padre Mario Jorge Bergoglio durante gli anni della dittatura argentina (1976-1983).
La lista di Bergoglio. I salvati da Francesco durante la dittatura. La storia mai raccontata Autore: Nello Scavo pp. 192, euro 11,90 Editrice Missionaria Italiana Via di Corticella, 179/4 – 40128 Bologna tel. 051.326027 – fax 051.327552 – www.emi.it Ufficio Stampa: stampa@emi.it
MONTEFELTRO
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DAL SIR
LEGGE DI STABILITÀ
NIENTE MACELLERIA SOCIALE E N E P P U R E G R A N D I S V O LT E Il governo sceglie la strada degli aggiustamenti. Piccolissimo, forse impercettibile taglio del cuneo fiscale e poi tante limature per far quadrare i conti. In attesa di capire il vero peso della nuova tassa sui servizi locali, la Trise. Poi si aspetta che l’Europa si rimetta in moto e traini anche l’Italia. Speriamo... di NICOLA SALVAGNIN
Quindi la realtà è un’altra, anche se sottaciuta. Questo governo non farà mai alcuna “macelleria sociale”, ma pure nessuna riforma strutturale dell’economia di questo Paese. Lo governerà in modo soft, aspettando che la ripresa economica arrivi sotto altre forme: l’abbassamento dello spread sui titoli di Stato ci regalerà alcuni miliardi di euro di minori spese per interessi; il rilancio delle altre economie europee ci porterà un piccolo effetto-traino; il progressivo scioGià nei momenti preparatori si era capito l’andazzo: una liglimento della congiuntura libererà nuove risorse finanziarie matina di qua, un’aggiustatina di là. Mai il discorso politida banche che oggi sono sull’orlo del precipizio. co-economico era scivolato fuori dai consueti binari di questi mesi: “Adelante con juicio”, dicono gli spagnoli. Avanti Aggiungiamoci qualche artifizio contabile (la rivalutazione del patrimonio della Banca d’Italia), il progressivo spegnisì, ma senza strappi, passo dopo passo. mento della onerosa voce “cassa integrazione”, un più intelE così è stato. Nonostante le dichiarazioni governative (“è ligente utilizzo dei fondi europei, la cartolarizzazione degli una manovra da investimenti e non da tasse”), lo sapevano immobili di proprietà pubblica e altro ancora, e pure l’Italia anche i muri che bisognava raccattare alcuni miliardi di eudovrebbe ricominciare a camminare. Senza alcun cambiaro. Con due vincoli: non aumentare la tassazione; mettere mento strutturale, ma pure senza manifestazioni di piazza. una ciliegina su una torta che rischiava di risultare indigeSe tutto ciò invece non dovesse avverarsi, parleremo di sta. Ciò ha costretto il governo a tagliare la spesa pubblica: grande occasione perduta in questi anni in cui si poteva e la solita limatina alle pensioni (quelle oltre i 3mila euro lorforse doveva cambiare questo Paese. Ma lo faremo domani, di mensili non saranno rivalutate al costo della vita); il solinon oggi. to taglietto alle retribuzioni dei dipendenti pubblici, con congelamento per un altro anno dei contratti e altro ancora. Come giudicare la legge di stabilità appena varata dal governo Letta? Dipende: se l’auspicio era quello di cambiare tutto per non cambiare nulla, c’è da esserne soddisfatti. E in Italia sono in milioni a volere che nulla cambi, anche se la situazione è quella che è. Chi invece sperava in una manovra di svolta, in un ruggito dopo tanti belati, non rimarrà deluso solo perché non si era prima illuso.
La ciliegina poteva invece essere saporita. Il cuneo fiscale è, in pratica, la differenza tra lo stipendio netto del lavoratore dipendente e il salario lordo in carico all’azienda. In Italia questa differenza è enorme, dovuta all’alta tassazione e ai contributi Inps. Enrico Letta aveva annunciato un deciso taglio al cuneo. Ne è partorito un topolino da 2,5 miliardi di euro che, nel migliore dei casi, permetterà ai lavoratori a medio-basso reddito di ritrovarsi uno stipendio più alto di 10-15 euro. Pochi? Teniamoceli cari, perché l’Imu uscita dalla porta tornerà come Trise, che assorbirà appunto imposte sulla casa, sui rifiuti e altri servizi pubblici. Se l’obiettivo era quello di rilanciare i consumi lasciando più soldi nelle tasche degli italiani, si può già dire fin da oggi che tale obiettivo farà la fine dell’identica manovra fatta nel 2007 dal governo Prodi: di quel mini-taglio del cuneo fiscale non se ne accorse nessuno.
Il Manifesto per uno sport educativo
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INTERVISTA RILASCIATA DA MONS. CARLO MAZZA
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PELLEGRINAGGI
ELABORATO DALLA COMMISSIONE REGIONALE PER LA PASTORALE DELLO SPORT E APPROVATO DALLA CONFERENZA DEI VESCOVI DELL’EMILIA-ROMAGNA VEDE LA LUCE Lunedì 28 ottobre alle 11:00 presso l’Aula Clelia Barbieri della Curia Arcivescovile di Bologna, alla presenza del Card. Carlo Caffarra, sarà presentato il “Manifesto per uno sport educativo” elaborato dalla Commissione Regionale per la Pastorale dello Sport e approvato dalla Conferenza dei Vescovi dell’Emilia-Romagna. La Commissione è presieduta da Mons. Carlo Mazza, vescovo di Fidenza, ma fin dalle Olimpiadi di Seul del 1988 cappellano della Nazionale Italiana come direttore dell’Ufficio Nazionale della CEI per la Pastorale del Tempo Libero, Turismo e Sport. A lui abbiamo chiesto di analizzare le novità di questo documento, che ha basi solide e antiche, visto che da tempo la Chiesa ha visto nella pratica sportiva un importante mezzo per l’educazione dei giovani: “L’attenzione educativa verso i giovani – afferma Mons. Mazza – sta al centro della pastorale ecclesiale attraverso una dedizione di gratuità e di tensione spirituale. In tale contesto, lo sport svolge una funzione del tutto singolare, quella di richiamare, con il valore del corpo, il primato dello spirito superando un dualismo che sovente separa e divide la stessa persona come fosse polarizzata da un’ambivalenza irrisolvibile. Invece lo sport è fattore di unità della persona e dunque di integrità educativa ed etica, dove e l’anima e il corpo trovano una feconda armonia. Il ‘documento’ (è veramente un ‘Manifesto’!) risponde al principio della corretta “funzionalità” dello sport, in un quadro di riferimento valoriale ben espresso dagli Orientamenti della CEI ‘Educare alla vita buona del Vangelo’. In tal senso il ‘Manifesto per uno sport educativo’ coltiva la pretesa di essere un’autentica Regola di vita per ogni sportivo”. Può essere il “Manifesto” uno strumento per convincere i giovani presi dall’edonismo di modelli bravi tecnicamente ma poveri di valori che i soldi non valgono il buttare la propria vita?
“La domanda guarda più lontano rispetto al ristretto ‘spazio’ sportivo. In realtà il fascino di modelli edonistici lambisce anche lo sport e tuttavia il vero sport, come la Chiesa insegna, quello che coniuga i va-
lori umano-cristiani con la cultura sportiva, si adegua ad una visione dell’uomo che esalta ‘ciò che non perisce’ rispetto a quanto è provvisorio e posticcio e dunque volubile e vuoto. Chi fa sport con dignità e impegno, sa bene per esperienza che l’attività ludico-sportiva non consente deviazioni al ribasso di ciò che conta veramente per essere uomini e donne ben riusciti e felici, non annacqua i valori ma li esalta attraverso il rigore della disciplina sportiva e la gioia di vivere insieme”. Il documento affronta in maniera precisa anche il ruolo dell’allenatore il quale, specie per gli adolescenti, ha una valenza a volte più importante di genitori e insegnanti. Come fare sentire loro questa responsabilità e che rapporto deve avere con le altre agenzie comunicative?
“L’allenatore rappresenta la ‘stella polare’ dei ragazzi sportivi. Assume un ruolo determinante, nel bene e nel male, riguardo alla crescita integrale degli atleti. Personalmente ammiro l’allenatore umile e umanamente ‘buono’, cioè credibile nel suo servizio competente, dotato di vera ‘affezione’ verso i ragazzi, capace di gestire autorità e benevolenza con stile di ‘padre’. Oggi abbiamo bisogno di allenatori lungimiranti e miti, autentici educatori di ragazzi, così sovente fragili e soli. In tale prospettiva, l’allenatore dialoga con le famiglie, con le società sportive, con l’oratorio per tessere qull’‘alleanza’ educativa del tutto necessaria”. Sport e parrocchia:sì è proposta una collaborazione che spesso è risultata più antagonista che mezzo di vera educazione. Come riuscire a unire le due necessità?
“Il rapporto sport-parrocchia negli ultimi decenni ha subito diverse e non sempre brillanti vicissitudini. Noto è lo scarto che si attua quando lo sport ritiene di ‘emanciparsi’ dalla parrocchia, come se avesse raggiunto la maggiore età. Ciò è comprensibile sotto diversi profili, ma non auspicabile. Lo sport ha bisogno della parrocchia e la parrocchia ha bisogno dello sport. Si tratta con tutta evidenza di trova-
re il giusto equilibrio e la corretta autonomia, senza privare lo sport dei valori etici insurrogabili e dei valori spirituali ad esso correlati. Lo sport senz’anima diventa una ‘cosa’ ingombrante”.
Come si pone la Chiesa nei confronti delle tematiche più controverse dello sport di questi giorni. Dai cori razzisti alla violenza fuori dagli stadi, dalle polemiche arbitrali ai guadagni spropositati, a giocatori che chiedono aumenti dopo una partita ben riuscita nonostante contratti lunghi.
“Se lo sport rappresenta lo specchio rifrangente della società, nei suoi valori e disvalori, è plausibile che il pensiero della Chiesa non possa avallare fenomeni attinenti lo sport che stridono pesantemente con la dignità umana, con la giustizia, con la civile convivenza, l’accoglienza fraterna delle diversità etniche. Tutto ciò che è ‘violento’ e discriminatorio, sia nell’espressione fisica che morale, è inaccettabile e inescusabile per definizione. Lo sport per sua natura genera festa, amicizia, partecipazione, fratellanza larga e tollerante. Se avviene il contrario – a partire da un ‘acceso’ contesto sportivo – va giustamente recriminato, impedito e, possibilmente, sottoposto a vigile prevenzione. Ciò suppone una forte compagna di educazione civile e di rispetto dei diritti, in vista di una cultura sportiva degna di un paese civile. Rispetto alle proteste riguardo a presunti errori arbitrali, va detto che devono essere circoscritte in un’opinabilità legittima e a patto che siano rispettose. Riguardo invece alle richieste di premi-partita, queste sono questioni da valutare secondo i contratti vigenti”. Da sacerdote che ha vissuto personalmente diverse Olimpiadi insieme alla Nazionale come vedrebbe la candidatura dell’Italia ai giochi olimpici. Una risorsa o una scommessa in un momento difficile per la vita del Paese?
“La richiesta di candidatura italiana per le future Olimpiadi mi pare che sia da sostenere. Esse rappresentano un ‘evento globale’, con ricadute positive per il nostro Paese, idoneo a far conoscere l’Italia, la sua cultura, la sua civiltà sportiva”.
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CULTURA E FEDE
Corso di laurea in Scienze religiose
L’Istituto Superiore di Scienze Religiose “Alberto Marvelli”, della Diocesi di Rimini, riprende nei prossimi giorni la sua attività formativa. Il ciclo di studi offre la possibilità di intraprendere un approfondito e affascinante percorso di ricerca alla scoperta dei fondamenti della sapienza ebraico-cristiana e delle altre culture religiose, grazie anche alla guida di qualificati docenti specialisti nelle diverse aree disciplinari: bibliche, teologiche, storico-patristiche, filosofiche, spirituali, morali e delle scienze umane ecc.; un percorso arricchito annualmente da corsi opzionali nelle lingue bibliche (ebraico e greco), ma anche da seminari di ricerca, conferenze, giornate di studio su specifiche tematiche, con la presenza di studiosi di rilievo internazionale. Alla luce delle crescenti sfide culturali ed educative alle quali siamo oggi chiamati, sollecitati anche dal rapido espandersi della società multietnica e multireligiosa, riteniamo di particolare rilevanza offrire l’opportunità di un’accurata e approfondita qualificazione culturale e professionale su versanti della formazione e ricerca generalmente molto trascurati anche dall’Università italiana. Dal settembre 2006 l’Istituto Superiore è stato approvato e riconosciuto dalla Congregazione per l’Educazione Cattolica (della Santa Sede vaticana), come istituzione accademica autonoma della Diocesi di Rimini, collegata alla Facoltà Teologica dell’EmiliaRomagna. Per la prima volta è stato possibile dare avvio anche nel nostro territorio a un percorso formativo nelle Scienze Religiose di carattere universitario (laurea triennale e laurea magistrale), riconosciuto anche a livello europeo. L’Istituto Superiore di Scienze Religiose (con l’annessa Biblioteca Diocesana, che dispone di oltre 70.000 volumi nell’ambito delle scienze storico-religiose), costituisce indubbiamente una preziosa risorsa e opportunità di formazione culturale non soltanto per la Chiesa locale, ma anche per l’intera comunità civile presente nel nostro territorio. Dal 2010 sono stati attivati anche i corsi dei due Bienni di Specializzazione, consentendo un percorso formativo completo (3+2) e il conseguimento anche della Laurea Magistrale in Scienze Religiose. I due indirizzi riconosciuti dalla Congregazione per l’Educazione Cattolica riguardano i seguenti ambiti: Pedagogico-didattico/Pastorale; Arte sacra e Turismo religioso. L’indirizzo Pedagogico-didattico/Pastorale intende offrire l’opportunità di una formazione completa non solo a tutti gli aspiranti insegnanti di religione cattolica nella scuola pubblica e privata (titolo ritenuto indispensabile anche in vista del prossimo concorso), ma anche a tutti coloro che intendono qualificarsi nell’ambito socio-pedagogico e pastorale per una concreta risposta alla sfida educativa in atto. L’intento, infatti, è quello di formare educatori con un’ottima conoscenza delle scienze teologiche e religiose al servizio della comunità ecclesiale, ma anche educatori di comunità, animatori di oratori, centri educativi, docenti per attività educative e integrative; operatori culturali e pastorali, esperti di comunicazione sociale. Il secondo indirizzo di Arte sacra e turismo religioso intende invece corrispondere alla specifica vocazione economica e turistica del nostro contesto, puntando già dai prossimi anni alla valorizzazione della cultura e dell’arte come straordinario potenziale di sviluppo economico e civile del nostro territorio. Oltre all’obiettivo di creare un polo qualificato di formazione, studio e ricerca sull’Arte sacra (a partire dall’area romagnola), l’intento è soprattutto quello di offrire concrete opportunità professionali connesse al turismo culturale e religioso, finora generalmente trascurato, valorizzando il patrimonio artistico di Rimini e del ricco entroterra.
In questo caso si intende puntare alla formazione di precise figure professionali: esperti e responsabili di arte sacra e di Beni culturali ecclesiali; responsabili della tutela e valorizzazione dei Beni artistici del territorio; animatori di pellegrinaggi; consulenti di architettura religiosa; educatori all’immagine; operatori della cultura, organizzatori di eventi culturali ecc. Per lo svolgimento dell’attività didattica nei due indirizzi di specializzazione sono stati coinvolti qualificati e autorevoli studiosi, in diversi casi di rilievo nazionale. Nel suo complesso si tratta di una proposta formativa che non ha eguali sul nostro territorio per sistematicità, qualità scientifica e completezza del percorso. Le lezioni del Triennio sono concentrate in due sole serate settimanali, il giovedì e il venerdì, dalle 17,10 alle 22,25. Per coloro che frequenteranno i Bienni di specializzazione le lezioni si svolgeranno il martedì e il mercoledì. Le iscrizioni per l’anno in corso resteranno aperte fino al 15 ottobre. Coloro che non intendono conseguire il titolo accademico possono frequentare (in qualità di studenti uditori) anche singoli corsi del piano di studi. Informazioni più dettagliate relative al Piano di Studi (discipline, docenti, strutture ecc.) sono reperibili sul sito internet: www.issrmarvelli.it e nell’Annuario dell’Istituto, disponibile presso la Segreteria, via Covignano, n. 265, 47923 Rimini – tel. (e fax) 0541.751367, segreteria@isrmarvelli.it.
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APPUNTAMENTI COMUNICATO STAMPA
PROGRAMMA ATTIVITÀ USTAL-UNITALSI 2013-2014 domenica 27 ottobre domenica 1° dicembre domenica di dicembre domenica 22 dicembre martedì 11 febbraio domenica 16 febbraio febbraio-marzo 4-6 marzo domenica 9 marzo 14-16 marzo domenica 30 marzo giovedì 3 aprile sabato 3 maggio 23-26 luglio fine agosto Da definire N.B.
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Formazione volontari CaritasAC-Ustal (San Marino) Ritiro avvento Caritas-AC-Ustal (da definire dove) Adesione intera giornata a Valdragone anniversario Fausto Casa di Riposo Cailungo ed eventuali altre case Giornata del malato c/o Cappella Ospedale Incontro Novafeltria (intera giornata) Esercizi Spirituali UNITALSI a Loreto Giornata Nazionale UNITALSI (Ulivi) Ritiro quaresimale Caritas-AC-USTAL (da definire) Assemblea Nazionale UNITALSI Formazione Caritas-AC-USTAL (da definire dove) anniversario Don Eligio Pellegrinaggio a Montefiore Pellegrinaggio a Loreto Pellegrinaggio a Lourdes Pellegrinaggio in Polonia
Il programma è indicativo e può subire modifiche Per ogni iniziativa verrà data comunicazione dettagliata
Fate parte di un coro? Siete un bel gruppo di cantori intraprendenti e appassionati
vorrebbe conoscervi È rivolto ai cori di tutta Italia l’annuncio con cui Tv2000 si prepara alla messa in onda di un nuovo programma per la prima serata. Non importa che siano professionisti o dilettanti, maschili o femminili, di parrocchia o di montagna: Tv2000 apre a cori di ogni tipo. L’invito è a mettersi in contatto con la redazione chiamando il numero 0666508937 e a mandare all’indirizzo: nuoviprogrammi@tv2000.it il video di un’esibizione. Tra i cori che risponderanno all’annuncio nei prossimi mesi verranno individuati quelli che, a gennaio, diventeranno i protagonisti di una prima serata che li vedrà impegnati, in diretta, in una vera e propria competizione con tanto di prove e scrutinio della giuria. Intanto, sin dalle prossime settimane, i video pervenuti verranno mandati in onda nello spazio pomeridiano del contenitore “Nel cuore dei giorni”.
Uno squarcio di Lourdes
La casa della Natività all’interno della Basilica di Loreto
Ogni singola proposta non verrà giudicata solo per tecnica e repertorio. Tv2000 vuole raccontare, con i toni che ormai la contraddistinguono, l’umanità di chi coltiva un talento per passione, non per ambizione; aprire a un intrattenimento “leggero” e divertente impreziosito dalle storie di vita che s’intrecciano nella musica. Info per la stampa: 06 66 508 931
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CONFERENZA INTERNAZIONALE (CRACOVIA - 11-12 OTTOBRE 2013)
La Santa Sede sulla scena internazionale durante il Pontificato di Giovanni Paolo II (1978-2005) Nei giorni 11-12 ottobre 2013 all’UniversitĂ Jagellonica di Cracovia si è svolta la conferenza internazionale “La Santa Sede sulla scena internazionale durante il pontificato di Giovanni Paolo II (19782005)â€?. Organizzatori della conferenza: FacoltĂ di Studi Internazionali e Politici dell’UniversitĂ Jagellonica, Istituto per il Dialogo Interculturale “Giovanni Paolo IIâ€? di Cracovia, Fondazione Internazionale “Giovanni Paolo IIâ€? per il Magistero Sociale della Chiesa di San Marino, in collaborazione con la Fondazione “Europa CiviltĂ â€? di Milano e le Poste Polacche S.A. La conferenza è stata organizzata sotto l’alto patronato di Sua Eminenza il Card. StanisĹ‚aw Dziwisz, Metropolita di Cracovia, nonchĂŠ del patrocinio del Ministero degli Affari Esteri della Repubblica di Polonia, del Maresciallo del Voivodato della MaĹ‚opolska (Piccola Polonia), del Sindaco della CittĂ di Cracovia e del Rettore della Pontificia UniversitĂ â€œGiovanni Paolo IIâ€?. La conferenza era finalizzata a presentare il messaggio, la dottrina, i valori universali e le azioni intraprese dalla Sede Apostolica sulla scena internazionale durante il pontificato di Papa Giovanni Paolo II e l’influsso esercitato da tali azioni sulla situazione generale dominante in Europa e nel mondo negli anni 19782005. Trascorsi alcuni anni dalla conclusione di questo grande pontificato la memoria di esso è sempre viva. Al contempo le operazioni e il coinvolgimento della Sede Apostolica nella vita della comunitĂ internazionale hanno conosciuto un notevole rafforzamento radicando l’autoritĂ morale ed etica del Papa nel mondo contemporaneo. L’ormai prossima canonizzazione del Beato Giovanni Paolo II ed il cambiamento avvenuto in questo anno al Soglio di Pietro costituiscono ulteriori impulsi alla riflessione sull’operato internazionale del Papa Polacco. Durante le tre sessioni in cui si è articolata la conferenza sono state discusse le principali problematiche dello straordinario, grande insegnamento di Giovanni Paolo II nell’ambito delle relazioni internazionali e illustrate concrete operazioni intra-
prese dalla Santa Sede sulla scena internazionale e nei confronti delle piÚ importanti aree del mondo negli anni 1978-2005. Non sono mancati riferimenti alla questione dell’Europa Centro-Orientale e della Polonia, motivati fra l’altro dalla ricorrenza del XX anniversario della firma del Concordato fra la Repubblica di Polonia e la Santa Sede. Hanno preso parte alla con-
ferenza numerosi illustri rappresentanti della Chiesa, testimoni e collaboratori di Giovanni Paolo II, diplomatici, specialisti della politica internazionale nonchĂŠ studiosi e giornalisti rappresentanti di vari paesi; ha partecipato anche Mons. Luigi Negri che ha svolto un intervento su “Il significato internazionale del magistero sociale del Beato Papa Giovanni Paolo IIâ€?.
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MONTEFELTRO
IN DIFESA DELLA VITA
GLI EMBRIONI NON SONO «COSE»
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COMUNICATO STAMPA
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l 4 ottobre 2013, il Presidente dei Giuristi per la Vita, avv. Gianfranco Amato, ha presentato al Presidente della Corte Costituzionale un’istanza con cui chiede la nomina di un curatore speciale per la difesa di nove embrioni, attualmente congelati e custoditi presso un centro per la fertilità di Firenze. Gli embrioni sono stati prodotti con la fecondazione in vitro insieme ad un decimo, già morto, approfittando dell’eliminazione del divieto di produrre più di tre embrioni per ogni ciclo, da una coppia della quale un componente è affetto da patologia genetica; cinque di essi sono risultati affetti da quella patologia, mentre la condizione degli altri quattro è rimasta ignota. La coppia ha chiesto al Tribunale di Firenze di sancire il diritto della donna a rifiutare l’impianto di quei nove embrioni e di autorizzarla a produrre altri embrioni; inoltre ha chiesto di affermare il diritto dei genitori a destinare i nove embrioni alla ricerca scientifica indirizzata alla cura della patologia genetica da cui sono affetti.
Il 4 ottobre 2013, il Presidente dei Giuristi per la Vita, avv. Gianfranco Amato, ha presentato al Presidente della Corte Costituzionale un’istanza con cui chiede la nomina di un curatore speciale per la difesa di nove embrioni, attualmente congelati e custoditi presso un centro per la fertilità di Firenze Riportiamo a fianco il Comunicato e il testo della Istanza
Il Tribunale di Firenze, nel sollevare la questione di costituzionalità, sostiene che la legge 40 del 2004 sulla fecondazione artificiale è illegittima perché non permette alla coppia di revocare il consenso al trattamento dopo che il concepimento è avvenuto e non permette di destinare gli embrioni non utilizzati alla ricerca scientifica. L’ordinanza del Giudice di Firenze mira a “chiudere il cerchio” aperto da quelle emesse da altri giudici civili: ottenuta l’autorizzazione a creare più di tre embrioni per ogni ciclo, se ne producono nel numero più alto possibile, si sottopongono alla diagnosi genetica preimpianto, si selezionano e di essi si fa quello che più interessa: si possono utilizzare per instaurare una gravidanza (altri giudici cercano, nel frattempo, di abbattere il divieto di fecondazione eterologa), ma anche per la “ricerca scientifica”, espressione niente affatto specificata ma che contempla con assoluta certezza il risultato finale della morte dell’embrione, congelato, sezionato, “dissolto”, ma anche sottoposto alle sperimentazioni più varie (possiamo dimenticare che, in altri Paesi, alcuni “ricercatori” sono giunti ad impiantare embrioni umani nell’utero di scimmie?); utilizzati gli embrioni creati in un ciclo, se ne potranno produrre altri – perché si sa, la ricerca scientifica cerca sempre nuovo “materiale”.
MONTEFELTRO Con l’istanza al Presidente della Corte Costituzionale, i Giuristi per la Vita vogliono rilanciare concretamente due affermazioni, vere e necessarie. 1. Gli embrioni umani non sono “materiale” e non sono nemmeno “cose” di proprietà dei genitori che li hanno prodotti: sono esseri umani vivi, cui deve essere riconosciuta la dignità che spetta a tutti gli uomini. Questa dignità non viene meno se l’uomo è malato o debole; anzi: la civiltà di una nazione si misura proprio dalla sua capacità di tutelare e difendere i deboli dalle aggressioni da parte dei più forti.
2. Un processo non è giusto se non garantisce un effettivo contraddittorio tra tutti gli interessati: lo dice solennemente l’art. 111 della Costituzione. Tutte le cause civili promosse per far cadere i fragili paletti della legge 40 sono controversie fittizie, nelle quali i promotori – le coppie che si sottopongono alla fecondazione artificiale – sono d’accordo con i convenuti (le cliniche di fertilità): gli operatori, infatti, vogliono riprendere in pieno le pratiche che già prima della legge svolgevano e non hanno mai spento i frigoriferi per gli embrioni, ben consapevoli della concorrenza internazionale e della lucrosità di questa attività (ora, per di più pagata in parte dallo Stato). Ma queste pratiche hanno delle vittime: gli embrioni; essi, che già hanno visto violato il proprio diritto ad essere generati naturalmente, devono avere, almeno, una chance di nascere, con il trasferimento nel corpo della donna. Certamente gli embrioni hanno diritto a non essere uccisi, a non essere sottoposti a sperimentazione, a non essere dissezionati e dissolti!
Solo un curatore speciale – una figura creata per tutelare i diritti dei minori quando la volontà dei genitori entra in conflitto con i loro interessi – può contribuire a difenderli, intervenendo
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COMUNICATO STAMPA
nel giudizio e rappresentando ai giudici il loro punto di vista sulle domande presentate. I Giuristi per la Vita si sono rivolti al Presidente della Corte Costituzionale con fiducia: per la prima volta, la Corte Costituzionale può concretamente realizzare quella tutela dei diritti fondamentali dell’embrione che, in numerose pronunce, quell’alto consesso ha solennemente proclamato; lo può fare perché la legge 40 riconosce gli embrioni “soggetti di diritto” (che, quindi, possono intervenire in una controversia) e perché i nove embrioni sono
lì, davanti a tutti, vivi e in attesa che gli adulti decidano della loro sorte. Inoltre la Corte Costituzionale può ricordare ai giudici che le cause non servono a scardinare le leggi dello Stato, ma a risolvere controversie, e che, di fronte a evidenti tentativi di strumentalizzazione della funzione giudiziaria, occorre avere riguardo alla tutela dei diritti di tutti i soggetti coinvolti, soprattutto quelli più deboli. Avv. Gianfranco Amato
IL PRESIDENTE
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TRA STORIA E FEDE
La “bufera dell’odio” non la ebbe vinta sui “ribelli per amore” DI ANGELO PAOLUZI LA PARTECIPAZIONE ALLA RESISTENZA – NOTANO GLI STORICI – FU UN FATTO NATURALE FRA IL CLERO, I RELIGIOSI E LE SUORE; L’85 PER CENTO DI LORO AIUTÒ, CON CRISTIANA SPONTANEITÀ, GLI EBREI, I PERSEGUITATI POLITICI, I PARTIGIANI, I GIOVANI IN FUGA DALL’ESERCITO DI SALÒ, I SOLDATI ALLEATI IN CERCA DI RIFUGIO, SENZA CHIEDERE POSTUMI ATTESTATI. NEL MEMORIALE YAD VASHEM DI GERUSALEMME, FRA I “GIUSTI DELLE NAZIONI”, È SIGNIFICATIVA LA PRESENZA DI 62 FRA CARDINALI E VESCOVI, PRETI, FRATI E SUORE Sono beati e santi cattolici, decorati al valore militare e civile per la partecipazione alla Resistenza, inclusi in Israele fra i “giusti delle nazioni” per aver salvato ebrei. Parliamo di religiosi italiani. Vanno ricordati in questi settant’anni dalla caduta del fascismo il 25 luglio 1943 con il successivo armistizio dell’8 settembre, seguito dall’occupazione nazista del Paese e dai diciotto mesi di guerra partigiana. Gli eccidi dei tedeschi contro le popolazioni erano cominciati ancor prima che le forze dell’Asse, in agosto, dovessero lasciare la Sicilia: a Mascalucia, a Pedana, a Castiglione; con l’uccisione, a Messina, del primo prete italiano, don Antonio Musumeci, accorso a difendere la gente. Dopo l’armistizio, a Napoli tocca a don Gino Cruschelli; il 19 settembre a Boves con la prima rappresaglia nazista: cadono don Giuseppe Bernardi e don Mario Gribaudo, in via di beatificazione ambedue. Don Pietro Morosini, medaglia d’oro al valor militare, sarà fucilato a Roma, dove morirà alle Fosse Ardeatine anche don Pietro Pappagallo, decorato al valor civile e incluso da Giovanni Paolo II fra i martiri della Chiesa. L’Italia detiene un triste record: nel 1923 don Giovanni Minzoni, decorato di guerra, avversario della dittatura, fu il primo prete assassinato dalla destra per ordine del ras fascista di Ferrara. Anni dopo il nazismo in Germania seguirà quelle piste di sangue, con più di trecento consacrati fatti morire in dodici anni e migliaia inviati nei Lager. In Italia, in appena diciotto mesi fra il ’43 e il ’45, le vittime furono fra loro oltre 280. Numerose le medaglie, al valor militare e civile: 17 d’oro, 34 d’argento, 46 di bronzo e 50 le croci di guerra. La partecipazione alla Resistenza – notano gli storici – fu un fatto naturale fra il clero, i religiosi e le suore; l’85 per cento
di loro aiutò, con cristiana spontaneità, gli ebrei, i perseguitati politici, i partigiani, i giovani in fuga dall’esercito di Salò, i soldati alleati in cerca di rifugio, senza chiedere postumi attestati. Non a caso Israele onora nel memoriale Yad Vashem di Gerusalemme quei “giusti delle nazioni” che hanno aiutato e salvato ebrei dai nazifascismi di tutta Europa durante il conflitto. Sul totale di 24.375, gli italiani sono 525, e all’interno di quella cifra è significativa la presenza di 62 fra cardinali e vescovi, preti, frati e suore. Il paganesimo nazista in tutta l’Europa occupata non fece a tempo ad attuare la “soluzione finale” anche per la Chiesa e i fedeli cristiani. Ma si riprometteva – a guerra terminata e vinta, secondo la sua folle illusione – di farla finita una volta per sempre con i seguaci dell’ebreo Gesù Cristo. Don Roberto Angeli, deportato per parecchi mesi in un Lager, a chi gli chiedeva il perché delle uccisioni di tanti suoi confratelli, rispondeva: “Quando un prete si imbatteva nel vero volto del nazifascismo, egli veniva a trovarsi, proprio perché sacerdote, in atteggiamento di opposizione. Il nazismo non poteva sopportare, e condannava come il più terribile dei delitti, la pratica delle virtù teologali della fede e dell’amore…”. Il dovere dell’asilo era stato affermato in modo chiaro da don Sergio Pignedoli su «L’Osservatore Romano» del 30 dicembre 1943 – in piena occupazione nazista di Roma – scrivendo di un necessario, irrinunciabile comportamento dei preti a favore dei perseguitati. E così anche parlava in quel medesimo periodo di tempo di passione morale don Primo Mazzolari, ricordando come spesso i sacerdoti precedessero nella sofferenza e nella morte i loro assistiti. La Resistenza, oltre che opposizione armata, è stata un reticolo di azioni e di comportamenti che ha coinvolto la grande
maggioranza della popolazione, nelle città e nelle campagne; e ciò spiega le centinaia di feroci e indiscriminate vendette contro civili inermi, da parte dei tedeschi e dei militi della RSI. Basterà ricordare preti martiri sui quali è concluso o in corso il percorso di beatificazione; come don Giovanni Fornasini, don Ferdinando Casagrande, don Ubaldo Marchiori a Marzabotto, e con loro – anch’essi decorati – don Aldo Moretti in Veneto, don Pietro Cortiula in Friuli, don Giovanni Battista Bobbio in Liguria, i dodici certosini dell’Abbazia di Farneta, il francescano P. Placido Cortese. E, per tutti, le parole di don Aldo Mei (anche lui medaglia d’argento e “giusto delle nazioni”), fucilato a Lucca nell’agosto 1944: muoio, scrive, “… 1° per aver protetto e nascosto un giovane di cui volevo salvare l’anima. 2° per aver amministrato i sacramenti ai partigiani, e cioè aver fatto il prete… Muoio travolto dalla tenebrosa bufera dell’odio io che non ho voluto vivere che per l’amore!...”. Questa “bufera dell’odio” scatenata dal nazismo ebbe purtroppo altre conseguenze legate non alla Resistenza ma a fanatismi politici e vendette private, coperte da motivi ideologici, con l’assassinio di oltre un centinaio di sacerdoti. Ricordiamo Rolando Rivi, un seminarista quattordicenne che, nell’aprile del 1945, in provincia di Reggio Emilia fu ucciso a freddo da un gruppo di partigiani comunisti con l’accusa – rivelatasi falsa – di essere una spia, ma in verità soltanto perché indossava la tonaca (il suo carnefice avrebbe detto: “Domani, un prete di meno”). Papa Francesco ne ha riconosciuto il martirio, con la beatificazione in ottobre. Paradossalmente, come santo della Resistenza, che era appunto quella dei “ribelli per amore” dei combattenti cristiani.
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PRIMO PIANO
Accanto ai poveri anche con la penna “Per scrutare la realtà ci vogliono cuore e occhi attenti, quelli che si rinnovano con lo stupore di ogni giorno dato”. Così Francesco Zanotti (presidente FISC) riflette, per «Avvenire», sulle provocazioni lanciate alla stampa cattolica dal tema della prossima Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali. «Il sudario non ha tasche». Così raccontava nonna Rosa al piccolo Jorge Mario Bergoglio. Oggi divenuto Papa, il bambino di allora non dimentica quelle esperienze così vere e autentiche. Non smarrisce la memoria perché quelle frasi non erano vuote, ma erano incarnate e vissute nella quotidianità di un’esperienza di famiglia. Chiamati a narrare l’esperienza delle comunità cristiane, l’avvento di papa Francesco con il suo modo nuovo e travolgente di stare in mezzo alla gente ci interroga e anche ci inquieta.
Ecco il nostro compito, quello di sempre, da realizzare ancora con maggiore passione e rinnovata convinzione, sotto la spinta del Papa italo-argentino: dire al mondo ciò che altri non vedono o non vogliono vedere. Ciò che pare non essere notizia, ma in realtà costituisce l’autentica novità. È l’esperienza del «centuplo quaggiù», di chi dona tutto ciò che ha e riceve moltiplicato. È la vita che scorre nei territori, nelle famiglie, nelle parrocchie.
È l’esperienza di chi si spende per preparare i pasti alle mense della caritas, per accudire gli ammalati, assistere gli anziani, ascoltare chi non ha nessuno, accogliere Dice «buona sera» e dochi non ha un letto. In manda «una Chiesa pouna parola, è l’esperienza vera per i poveri». Chiedi chi incarna il Vangelo de di aprire i monasteri, e lo traduce in pratica di smetterla con le chiaclontano dai riflettori delchiere e si confronta con Francesco Zanotti la ribalta nazionale, ma il mondo, nessuno escluvicino alle nostre antenso. Questa «rivoluzione» ne di cattolici prestati al nel metodo mette in discussione il nostro quieto vivere e ci interpella, senza giornalismo, prossimi a tutte le periferie. possibilità di scampo. O teniamo il passo o veniamo travolti dall’onda del Papa venuto «dalla fine del mondo». Certo, per scrutare la realtà ci vogliono cuore e occhi attenti, quelli che si rinnovano con lo stupore di ogni giorPochi giorni dopo l’elezione, Francesco incontrò i giorna- no dato. Alla maniera di Francesco che incalza e sorride, listi, in un’udienza particolare a loro dedicata, nell’aula sospinge e sorregge quanti si rivolgono a lui con cuore Paolo VI. Chiese a tutti gli operatori della comunicazione sincero. di parlare di Verità, bontà e bellezza. In sostanza, ci doFrancesco Zanotti mandò di andare al centro della notizia, di andarci fino in Presidente della Federazione italiana fondo, per cercare la Buona Notizia per eccellenza, quelsettimanali cattolici (Fisc) la che racconta di un incontro che trasforma la vita e la (da «Avvenire» dell’8 ottobre 2013, p. 26) rende piena. Il Pontefice usa parole semplici, immediate, senza bizantinismi. Va dritto al cuore di chi gli sta di fronte.
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NOTIZIARIO FISC
Conosciamo meglio la FISC (FEDERAZIONE ITALIANA SETTIMANALI CATTOLICI) A PPARE C OME U NA REA LTÀ EDITO RIA LE FORTE, POSI TIVA E O RGAN IZZATA O TTIM AMEN TE E ALLA QU ALE ANCH E NOI ADERI AMO DA DI VERSI A NNI La federazione italiana dei settimanali cattolici (Fisc) nasce nel 1966, ma affonda le sue radici in quel vivace clima di impegno sociale e culturale, quando all’indomani dell’unità d’Italia e alla luce della Rerum Novarum si avviò una nuova stagione di presenza del cattolicesimo. Si decise di investire in un’opera di informazione e di formazione, ritenendo che in tale congiuntura fosse ancor più necessario sostenere voci autorevoli e credibili in stretto rapporto con il territorio. Attualmente la Fisc riunisce 186 periodici diocesani: e cioè un quotidiano, 2 bisettimanali, 128 settimanali, 18 quindicinali, 25 mensili, 5 giornali esteri e un’agenzia di stampa (Sir) e siti on line. Il fenomeno riguarda 170 diocesi su 226. Si tratta, dunque, di un dato significativo anche se normalmente sottostimato se si considera che il numero complessivo delle copie ancora oggi sfiora le 800mila unità, pur registrandosi un calo complessivo. Nei nostri giornali, nel complesso, lavorano come dipendenti almeno 500 persone (non meno di 200 i giornalisti assunti), ma collaborano migliaia di giornalisti fra volontari e collaboratori occasionali. Salvo eccezioni, però, non si ha la percezione chiara del valore strategico e dell’impatto comunicativo di una tale rete di periodici che nerva il tessuto vivo della Penisola. Il valore di questa informazione vicina alla gente è capace di raccontare la Chiesa e il paese. È un dato che non ha riscontri in altri contesti europei. L’informazione così capillarmente diffusa rappresenta dunque, una risorsa inesplorata che altri soggetti sociali o istituzionali ci invidiano e che dimostra la concreta vitalità delle Chiese locali che trovano modo, non solo di esprimersi, ma anche di fare opinione. Ciò che oggi fa problema in questa risorsa così unica è la sostenibilità economica, in ragione anche del drastico ridimensiona-
mento dei fondi per l’editoria. Tale riduzione rappresenta obiettivamente un motivo di preoccupazione non solo perché mette a rischio il pluralismo informativo del Paese, ma anche perché costringe a sforzi esigenti e, in alcuni casi, al limite del possibile. È da notare che solo una settantina di nostre testate percepisce contribuiti governativi: sono quelle più strutturate e con più dipendenti. Dinanzi al diminuire degli aiuti statali, si è impegnati a ottenere almeno quel che era stato promesso, ma sembra realistico ipotizzare, nel contesto della crisi economica una progressiva riduzione fino alla fatale estinzione delle provvigioni. Accanto a questo problema economico, se ne affaccia un secondo, che è legato alla credibilità di questi strumenti che vanno sempre meglio orientati a dar conto della vita e della visione ecclesiale, così da accompagnare il dibattito franco e argomentato, su quelli che sono oggi le sfide culturali ed etiche più delicate. A garantire un’impostazione editoriale che privilegi al lettura ecclesiale della realtà contribuisce non poco il rapporto con l’agenzia Sir, nata negli anni ’80 proprio come frutto dell’esperienza della Fisc e a servizio, innanzi tutto, degli stessi settimanali diocesani. In tal modo questi sono in grado di avere uno sguardo attento all’Italia, all’Europa e al mondo, in un rapporto di costante e crescente sinergia con l’agenzia che – insieme ad «Avvenire» – costituisce una preziosa bussola per orientare il lavoro delle redazioni. Lo sviluppo tecnologico ha suggerito a molte testate dia vere, accanto alla carta anche la versione digitale. Se è certo che non si può pensare a testate solo digitali, perché verrebbe meno l’identità e la riconoscibilità di giornali che hanno fatto la storia dei nostri centri – senza contare che molti dei lettori sono ancora lontani dall’alfabetizzazione digitale che consentirebbe loro di accedere all’on line in modo adeguato – non si può restare con le mani in mano ri-
spetto al ritmo che la rete impone al mondo della comunicazione. Per questa ragione, oltre 70 testate hanno ormai un sito internet con modalità molto variegate. Si va dai siti più strutturati, come quello di «Toscana Oggi», «Incroci News» di Milano, «Valli BBt» di Acqui Terme, «Roma Sette», o quello del quotidiano di Lodi «Il Cittadino», fino ad alcuni che sono presenti sulla rete, per il momento, solo come vetrina. Dallo scorso anno, è messo a punto un progetto che offre, a tutti i soci della Fisc, la possibilità di sbarcare sulla rete. È un progetto pensato insieme al Sicei e in collaborazione con l’Ufficio nazionale per le Comunicazioni sociali. Si stanno verificando le reali intenzioni delle singole diocesi di aderirvi, nella consapevolezza che la rete e la carta stampata non si elidono, ma si integrano. La sfida, anzi, è proprio quella di trovare formule in grado di realizzare sinergie che valorizzano la richiesta e la vivacità della vita nei territori, dando loro una visibilità nazionale e sovranazionale che solo la rete, oggi, è in grado di garantire. Una prospettiva ancora inedita, riguarda la raccolta pubblicitaria della rete: gli introiti sono ancora insignificanti, ma le cose potrebbero cambiare velocemente e bisogna essere pronti a cogliere questa eventualità non troppo remota. Ciò che sta davanti è un periodo impegnativo in cui i periodici di ispirazione cristiana sono chiamati a misurarsi con la crisi facendo quadrare i bilanci e senza perdere nulla del proprio radicamento sul territorio. È questa una sfida che non ammette ritardi o distrazioni e chiede a questa significativa esperienza editoriale di cambiare pelle senza perdere il cuore che ha – fin qui – consentito di rendere prossima alla gente una comunicazione fatta di cose e di valori che si identificano con la vita della Chiesa dentro un preciso contesto socio culturale. Il sostegno dei vescovi ne è condizione inderogabile.