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Preti che danno la vita

Preti che danno la vita

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Venticinque anni fa veniva

ucciso don Pino Puglisi. Un prete scomodo. Un prete che faceva il prete. Dobbiamo stare attenti a non rinchiudere don Pino nel cerchio asfissiante della lotta alla mafia. Non era iscritto all’antimafia militante di certi intellettuali, politici e… preti. Non partecipava alle manifestazioni. Aveva altro da fare. Aveva una famiglia di cui preoccuparsi, a cominciare dai piccoli e dai poveri. C’era sempre tanta gente da accogliere e da consolare. E poi c’era la vita ordinaria di una parrocchia, quella che non fa cronaca e non interessa a nessuno. Ucciso perché prete. Un prete non si fa mai i fatti suoi, la sua vocazione lo immerge in u- na storia e gli chiede di condividere gioie e dolori degli altri. Per lui non sono estranei ma fratelli e figli per i quali è possibile non solo dare tempo ed energie ma la vita stessa. Lui non combatteva la mafia ma la rassegnazione e l’ignavia di chi pensa che sia meglio adattarsi all’ingiustizia. Lui sapeva bene che la mafia era forte e ben radicata ma sapeva anche che il Dio in cui ha creduto è capace di “rovesciare i potenti dai troni e innalzare gli umili”. La sua voce è stata soffocata nel sangue. Eppure quella voce oggi risuona ancora più potente.

Nel 1818, esattamente duecento anni fa, Jean-Marie Vianney, un giovane sacerdote della diocesi di Lione, veniva inviato in un piccolo villaggio della Francia centrale che grazie a lui sarebbe poi diventato famoso: Ars. Nell’affidargli questa parrocchia, che allora contava duecento a-

bitanti, il Vicario generale gli disse semplicemente: “In questa comunità non c’è molto amore verso il buon Dio, lo metterete voi”. Quel giovane era diventato prete non senza difficoltà all’età di 29 anni, le sue capacità intellettive apparivano insufficienti. Ma con la sua fede appassionata riportò il Vangelo in quell’angolo di mondo. Rimase in quella parrocchia fino alla morte, avvenuta nel 1859. Per quarant’anni ha svolto il suo ministero attraverso i canali ordinari della pastorale: la preghiera, la predicazione, la Messa e il sacramento della Riconciliazione. Ma aveva anche dato vita ad una serie di iniziative caritative. Parole e opere scaturivano da una fede ardente, da una vita santa che si nutriva di preghiera e di penitenza. Non faceva miracoli eppure attirava le folle. Se qualcuno gli avesse chiesto di definire, a- vrebbe risposto così: sono un semplice prete!

Pino Puglisi e Jean-Marie Vianney appartengono alla stessa razza: preti straordinari eppure normali. Preti senz’altri aggettivi perché l’essere ministri di Cristo basta e avanza per definire la loro carta d’identità. Preti che non hanno tempo per pensare a se stessi perché sono troppo impegnati a servire gli altri. Preti che sanno stare in disparte per imparare a fare la loro parte. Preti che non hanno paura di perdere tempo se restano un po’ più a lungo ai piedi del Tabernacolo perché sanno che la preghiera diventa acqua che irriga i deserti più aridi dell’esistenza. Di questi preti ha bisogno la Chiesa.

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