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Incontro della Chiesa Pistoiese Vigilia di Pentecoste 2011 | Diocesi di Pistoia

CAMMINARE SULLE ACQUE Verso la riva dove il Signore ci manda e ci precede (Mt 14,22-33)

Dal programma Pastorale Diocesano 2010 “Abbiamo bisogno di ripartire da lì, dove la Chiesa sgorga dal cuore della Trinità ed entra nella storia del mondo, nella mia vita per essere dono, un evento di gioia nata dall’Amore Fontale: Gaudium ex Charitate”

(Mansueto Bianchi, Vescovo di Pistoia)

Piazza Duomo Sabato 11 giugno 2011 ore 18,30 - 22,30


Presentazione del Vescovo Carissimi, accompagno volentieri con queste brevi righe, l’iniziativa di una convocazione diocesana prevista per la veglia di Pentecoste. Essa era già stata annunciata nel Programma Pastorale di quest’anno (2010-2011) ed è stata “costruita” con la collaborazione dei Direttori degli Uffici Pastorali Diocesani, dei Vicari Foranei e della Commissione Pastorale Diocesana. Si tratta di un “evento Ecclesiale” che porta a sintesi il cammino pastorale dell’anno; raccoglie i diversi percorsi delle Parrocchie, Comunità Religiose, Aggregazioni Laicali, singoli gruppi e famiglie in un momento di unità e di incontro che evidenzia ed insieme costruisce il nostro essere Chiesa attorno al Signore. Non ci interessa la celebrazione di noi stessi, dei nostri risultati, ci interessa invece “imparare” la Chiesa, sperimentare l’unità nella diversità, la convergenza sugli obiettivi nella pluralità dei percorsi e delle esperienze. Ci interessa ripercorrere l’esperienza da cui siamo nati: accogliere insieme il dono dello Spirito che, rispettandoci nelle nostre individualità, ci compagina nell’unità, nella polifonia del canto che la Chiesa di Pistoia cerca, con la propria vita, di innalzare al Signore Risorto. Per questo vi chiedo di preparare spiritualmente ed anche di organizzare le vostre Parrocchie,le Comunità, le Associazioni, movimenti e gruppi in modo da essere parte presente e viva a questo evento di Chiesa. C’è un percorso biblico e spirituale di preparazione da compiere in vista della celebrazione vigiliare della Pentecoste: è la riflessione e la preghiera, il dialogo fraterno sul brano di Matteo 14: il cammino di Pietro incontro a Gesù sulle acque. Esso è accompagnato dal valido sussidio che vi vieni inviato. La riflessione su tale brano evangelico potrà ben essere integrata nei gruppi di ascolto del vangelo che già sono in atto nelle famiglie delle Parrocchie, come anche essere utilizzata nelle diverse occasioni di incontri o ritiri (Catechisti, Operatori Caritas, incaricati liturgia, ministri straordinari Comunione gruppi di Catechismo, corsi di preparazione al matrimonio, ecc) ed anche nelle riunioni vicariali dei Sacerdoti. È un testo biblico che può darci grande luce e forza, come Chiesa di Pistoia, per la nostra “traversata del lago”, cioè per la vicenda della nostra presenza e della nostra testimonianza in questo tempo, ricca di speranza e di attesa ma anche squassata, dentro e fuori la Chiesa, da molte tempeste e minacce. Carissimi Sacerdoti, religiosi e laici vi affido con speranza e con fiducia questa iniziativa, mentre ringrazio coloro che l’hanno articolata e sussidiata; chiedo e prego che essa giunga ad una giornata positiva e serena nella vigilia di Pentecoste, perché si accresca in noi la gioia per il dono ricevuto e lo slancio nel comunicarla ai fratelli. Pistoia, 2 Febbraio 2011

† Mansueto Bianchi

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Lettera di Accompagnamento Carissimi, vi scrivo per invitarvi all’Incontro della Chiesa pistoiese della vigilia di Pentecoste il Sabato 11 Giugno 2011 .

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Nel programma pastorale di quest’anno il vescovo ha chiesto un evento di chiesa che ci permettesse di fare esperienza del dono della fede e del nostro essere chiesa. La Pentecoste è per certi versi la data di nascita della chiesa, un momento fondamentale in cui i discepoli, riempiti del dono dello Spirito, diventano capaci di comunicare al mondo il dono della fede e del vangelo. La capacità di annunciare all’uomo di ogni tempo la speranza che Cristo è per il mondo nasce dall’amore che riempie i cuori, cioè dallo Spirito Santo. Il prossimo decennio (2010-2020) ci vedrà impegnati a lavorare per far crescere nel mondo il regno di Dio con il lievito del vangelo educandoci ed educando “alla vita buona del Vangelo”.

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In questo primo anno vogliamo porre le premesse a questo decennio, vivendo una veglia di Pentecoste in cui condividere e fare esperienza del dono che la fede e la chiesa sono per ognuno di noi. Quando parlo di condividere, intendo proprio “condividere”, cioè fare l’esperienza di raccontarsi i doni che il Signore ha fatto alla nostra vita e alle nostre realtà di chiesa. Questo ci aiuterà a prendere coscienza di quella che è la novità fondamentale della vita cristiana: il nostro Signore, Gesù Cristo, vivo e vivente in mezzo a noi. Ma soprattutto ci aiuterà a maturare una consapevolezza ecclesiale e un’identità diocesana più matura, facendoci fare esperienza delle diversità dei doni e dei carismi che sono tra noi e che insieme, mai da soli e mai separatamente, costituiscono l’unica e multiforme chiesa di Cristo. Naturalmente questo è un cammino che la chiesa deve sempre fare e rinnovare ad ogni stagione, ma in questo tempo in cui in Diocesi vogliamo lanciare un decennio forte di evangelizzazione, è particolarmente importante ripartire dall’essenziale, da ciò che ci fa essere Chiesa, nella convinzione che ciò che fonda il nostro essere chiesa, è anche la forza della missione e dell’evangelizzazione. In questo incontro, dunque, vogliamo condividere, ascoltarci, soprattutto vogliamo celebrare, cioè dare a Dio l’occasione di manifestarsi e di parlarci attraverso i doni che ha fatto ad ognuno di noi, per questo dopo un momento di scambio fatto nel tardo pomeriggio del Sabato, concluderemo con la veglia di preghiera in cattedrale la sera alle ore 21.15. In vista di questo evento di Chiesa chiedo ad ogni realtà ecclesiale di prepararsi leggendo, pregando e confrontandosi con l’episodio evangelico raccontato da Matteo al capitolo 14 versetti 22-33.

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NB: in caso di pioggia l’incontro si svolge al Palazzetto dello Sport di Pistoia.

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Cfr. “Educare alla vita buona del Vangelo. Orientamenti pastorali dell’episcopato italiano per il decennio 2010-2020”.


L’invito è esteso a tutti: presbiteri e diaconi, religiosi e religiose, credenti di ogni età e condizioni, parrocchie, movimenti, associazioni ecclesiali, aggregazioni laicali, gruppi di ascolto della parola di Dio, gruppi di spiritualità familiare, gruppi giovani, insegnanti di religione, gruppi di volontariato cristiano nelle misericordie e nelle associazioni di volontariato, consigli pastorali, catechisti e genitori del catechismo, coppie dei corsi matrimoniali e famiglie dei battesimi, caritas parrocchiali e operatori pastorali, malati e anziani, persone nelle carceri, e ogni realtà e gruppo che faccia riferimento alla chiesa.

Come usare il sussidio Il sussidio che segue, dal titolo “Camminare sulle acque”, è l’itinerario in preparazione all’incontro Diocesano della vigilia di Pentecoste. Si tratta di una meditazione pastorale e spirituale da utilizzare per una giornata di ritiro, ad esempio nel tempo di Quaresima, o per uno o più incontri di formazione. In fondo ai paragrafi del sussidio trovate alcune domande e tracce di riflessione che fissano i punti chiavi del discorso e possono essere utilizzate per aiutare a fare sintesi e ad applicare alla propria vita quanto suggerito dal testo. La preparazione costituisce parte essenziale dell’incontro, senza la quale la celebrazione della vigilia di Pentecoste rischierebbe di essere un’esperienza vuota e infruttuosa. Esorto pertanto tutti, nessuno escluso, a programmare per tempo l’incontro qui proposto nel calendario delle proprie attività, componendolo e armonizzandolo con esso, e vivendolo con disponibilità e gioia. In fondo al sussidio trovate la Scheda per la condivisione con due domande a cui vi prego di rispondere e di rimandare in Diocesi entro e non oltre il 15 Maggio 2011, possibilmente per mail a pentecoste2011@diocesipistoia.it, oppure lasciando il contributo scritto presso la segreteria pastorale del seminario, la mattina dal lunedì al sabato dalle 9 alle 12.30, dalle signore Giovanna e Daniela. Alcuni di questi contributi saranno letti durante la vigilia di Pentecoste e serviranno per comporre un libretto che poi sarà distribuito a tutti i presenti alla veglia. Vi prego di accogliere e condividere lo spirito di questa iniziativa che vuole essere un’esperienza di chiesa e di fraternità, rispondendo con fiducia e coinvolgendo personalmente voi stessi e le vostre realtà ecclesiali In attesa di incontrarsi, vi saluto con amicizia e affetto,

don Cristiano D’Angelo

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Incontro Diocesano per la Veglia di Pentecoste Schema per la preparazione > Condivisione con il Consiglio Pastorale degli scopi e degli obbiettivi della giornata > Giornata di ritiro o Incontro su Mt 14,22-33 (si faccia nei vicariati per i preti; in parrocchia, nel proprio gruppo, in qualche luogo di ospitalità per i ritiri spirituali). > Scambio nella propria realtà sul brano e riempimento della Scheda per la condivisione > Consegna in diocesi dei contributi scritti entro il 15 Maggio 2011

SABATO 11 giugno | Incontro in Piazza Duomo Programma della giornata ore 18.00 > Arrivo e accoglienza dei gruppi (In caso di pioggia l’incontro si svolge al Palazzetto dello Sport di Pistoia)

ore 18.30 - 20.30 > Preghiera, scambio e testimonianze a partire dai contributi scritti. ore 20.30 - 21.00 > Tempo per la cena al sacco ore 21.15 > VEGLIA DI PENTECOSTE

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CAMMINARE SULLE ACQUE Verso la riva dove il Signore ci manda e ci precede (Mt 14,22-33)

Subito dopo costrinse i discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull'altra riva, finché non avesse congedato la folla. Congedata la folla, salì sul monte, in disparte, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava lassù, da solo. La barca intanto distava già molte miglia da terra ed era agitata dalle onde: il vento infatti era contrario. Sul finire della notte egli andò verso di loro camminando sul mare. Vedendolo camminare sul mare, i discepoli furono sconvolti e dissero: "È un fantasma!" e gridarono dalla paura. Ma subito Gesù parlò loro dicendo: "Coraggio, sono io, non abbiate paura!". Pietro allora gli rispose: "Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque". Ed egli disse: "Vieni!". Pietro scese dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. Ma, vedendo che il vento era forte, s'impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: "Signore, salvami!". E subito Gesù tese la mano, lo afferrò e gli disse: "Uomo di poca fede, perché hai dubitato?". Appena saliti sulla barca, il vento cessò. Quelli che erano sulla barca si prostrarono davanti a lui, dicendo: "Davvero tu sei Figlio di Dio!".

Introduzione: un brano per prepararsi al cammino L’episodio evangelico che ci guiderà nella preparazione dell’incontro diocesano della vigilia di Pentecoste è quello di Pietro che, sulla parola di Gesù, cammina sulle acque. Come vedremo nell’analisi del brano la barca è simbolo della Chiesa, il mare del mondo e della storia, e Pietro della chiesa e di ogni credente chiamato ad affrontare il grande viaggio della vita incontro al Signore. Questo brano evangelico non è tanto il racconto del miracolo di Gesù che cammina sulle acque, quanto la storia della barca, cioè della Chiesa, che attraversa il mare del mondo. Il problema del racconto infatti è la traversata del mare in tempesta e la fede nel Signore che agli occhi dei discepoli appare inizialmente come un fantasma. Il racconto mostrerà come la barca toccherà l’altra riva solo dopo aver riconosciuto, in quello che all’inizio appariva un fantasma, il volto amato del suo Signore. La lettura e la preghiera di questo brano ci aiuteranno a riflettere sulla nostra vita, personale ed ecclesiale, guardando verso l’altra riva, cioè verso la meta a cui il Signore ci chiama, la riva della fede che dà la forza di attraversare la storia, di vincere il male e iniziare sulla terra la costruzione del Regno di Dio.


«Li costrinse a salire sulla barca» Dopo il miracolo dei pani e dei pesci, il Signore Gesù “costringe” (enànkasen) i discepoli a salire in barca e, da soli, a precederlo sull’altra riva. Stando al racconto parallelo di Giovanni (Gv 6,15), questo avvenne perché le folle, visto il miracolo della moltiplicazione dei pani, volevano fare re Gesù. Gesù fugge le folle che vogliono farlo re, perché egli non è re al modo degli altri re del mondo, così cerca di evitare ai suoi discepoli di trovarsi coinvolti in un’interpretazione della sua persona che porti alla costituzione di un movimento di rivolta di tipo politico, violento e rivoluzionario.

Gesù vuole evitare che sia l’entusiasmo di un azione portentosa a suscitare la sequela delle folle, e non vuole che i discepoli si esaltino. In quel tentativo Gesù vede, evidentemente, il rischio di un fraintendimento e di una riduzione del vangelo e della sua persona inaccettabili.

Il vangelo ci invita a pensare che le tempeste, le tenebre e i venti contrari della nostra vita non sono il segno della sua assenza o del suo abbandono, ma l’opera di Dio che vuole purificarci ed educarci a vivere di fede

La Chiesa non deve nascere e non deve costruirsi preoccupandosi del suo potere, ma della forza della fede e dell’amore

Gesù è re, ma il suo regno non si afferma con il potere, ma con la sola forza dell’amore, nella rinuncia ad ogni forma di violenza e di potere. La Chiesa pertanto non deve nascere e non deve costruirsi preoccupandosi del suo potere, ma della forza della fede e dell’amore che soli hanno il potere di cambiare il mondo e di trasformarlo a immagine del regno di Dio. Per questo Gesù mette i discepoli sulla barca e li lascia soli in viaggio verso l’altra riva del lago. E i discepoli si trovano sul mare di notte, “costretti” dal Signore, ad affrontare un tempo e una situazione che non avevano previsto e in cui Dio sembra averli abbandonati.

Se leggiamo in questa ottica la nostra esperienza ecclesiale attuale, come quella personale, non possiamo non prendere atto che a volte il Signore “costringe” anche noi a vivere tempi che non avremmo immaginato o voluto. Il vangelo ci invita a pensare che le tempeste, le tenebre e i venti contrari della nostra vita ecclesiale e personale non sono tanto il segno della sua assenza o del suo abbandono, ma sono l’opera di Dio che vuole purificarci ed educarci a vivere di fede. Pertanto dobbiamo vivere le difficoltà del presente abbandonando ogni lettura pessimista e vittimista delle situazioni dove prevale il senso della sconfitta, dello sfaldamento o dell’inesorabile declino della fede.

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Quel mare in tempesta è un vero e proprio battesimo di conversione e di rigenerazione dove, se si accoglie con fede i tempi che Dio ci “costringe” a vivere, può nascere una Chiesa nuova e un uomo nuovo. Il vangelo ci obbliga a credere che il tempo, qualunque esso sia, e a volte proprio quello che ci sembra oscuro e contrario, è in realtà la grande occasione che il Signore ci dà per diventare la Chiesa che egli vuole. Dobbiamo interrogarci perciò su perché il Signore “ci costringe a vivere” tempi che ci sembrano difficili, tempi dove il senso stesso di Dio è messo da parte, dove la giustizia, la verità e la pace sono sempre più minacciate, tempi dove prevale l’Io sul noi, e dove l’egoismo personale, di gruppo o di stato troppo spesso prevalgono sul bene comune. Dobbiamo interrogarci sul perché il Signore ci fa vivere una stagione di chiesa dai molti tratti oscuri e difficili. Come i discepoli quella notte così il Signore ci costringe perché impariamo a vivere in maniera nuova il vangelo, domandandoci in che modo dobbiamo cambiare, in cosa dobbiamo avere il coraggio di investire, cosa dobbiamo abbandonare e cosa invece promuovere, perchè possiamo essere la Chiesa di Cristo. Sono tempi da vivere con grande fiducia ed entusiasmo, perché attraverso questo 3 mare in tempesta del nostro tempo, sta nascendo una Chiesa nuova, la Chiesa che Cristo vuole e che noi dobbiamo riconoscere, accogliere e realizzare con il “sì” della nostra fede, con la forza della speranza e la concretezza dell’amore.

Questo antefatto del racconto ci permette di Dobbiamo perciò domandarci se non siamo fare un’importante considerazione: Gesù ha anche noi condizionati da un’idea di fede sfamato le folle (Mt 14,13-21), ma non vuole legata alla potenza di Dio, se cerchiamo che i discepoli si approfittino del potere cioè un Dio che è potente, dal quale ci che viene dalla fama di quel miracolo per aspettiamo qualcosa, o se piuttosto affermare la loro potenza e per costituire il seguiamo Dio perché abbiamo riconosciuto in lui l’amore che condivide il pane. regno di Dio. Dio ci dà il pane, ma non vuole che noi lo seguiamo per quel pane, il pane cioè dei nostri bisogni sfamati, ma per l’amore che quel pane significa, liberamente e consapevolmente, senza il condizionamento di un dono ricevuto che potrebbe creare dipendenza e servitù, clientelismo e potere. Dobbiamo riflettere su questo Dio che fa i miracoli e poi si nasconde, congeda le folle, scappa sul monte a pregare, evita in ogni modo che le persone si attacchino a lui per il suo potere e costringe i discepoli a un viaggio in mare di notte da soli. Dobbiamo perciò domandarci se a livello personale non siamo anche noi condizionati da un’idea di fede legata alla potenza di Dio, se cioè cerchiamo e seguiamo un Dio che è potente, dal quale ci aspettiamo qualcosa, o se piuttosto seguiamo Dio perché abbiamo riconosciuto in lui l’amore che condivide il pane. Dio fugge le folle che cercano in lui il distributore di pane, il Dio che ci serve per i nostri bisogni, mentre Dio vuole semplicemente condividere quello che è.

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Cfr. Benedetto XVI, “Luce del mondo. Il Papa, la Chiesa e i segni dei tempi” p.89-90: “Anche da noi in occidente c’è un fiorire di nuove iniziative cattoliche […]; sono iniziative che non sono disposte da una struttura, da una burocrazia. La burocrazia è consumata e stanca. Sono iniziative che nascono dal di dentro, dalla gioia dei giovani. Il Cristianesimo forse assumerà un volto nuovo, forse anche un aspetto culturale diverso.

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Come Chiesa dobbiamo perciò impegnarci a vivere come Gesù, preoccupati di condividere più che di dare, attenti a creare la possibilità della comunione nella libertà più che a fare segni che cercano consenso e creano potere 4. Dio fugge dall’idea di una chiesa che usi del potere religioso per creare dipendenza nelle folle, e non teme di lasciare la Chiesa sola sul mare in tempesta, perché sa che in quella tempesta, se troveremo la fede e ci faremo guidare da essa, se ci lasceremo purificare dalle nostre idee sbagliate, dalle nostre abitudini, dalle nostre paure e timidezze, diventeremo non la Chiesa che noi pensiamo, ma la sua Chiesa, quella che Lui ha pensato e voluto. Per questo motivo Gesù “costringe” i discepoli a salire sulla barca, per evitare la tentazione di pensarsi come una Chiesa potente o già arrivata, che si afferma per il successo delle sue opere e con la presunzione del suo passato. Gesù vuole evitare ai discepoli la tentazione del potere, delle pietre che diventano pane, e vuole invece educarli alla chiesa della comunione e della condivisione che nasce dalla fede. Perché i pani si moltiplicano condividendosi, il miracolo infatti avviene semplicemente nella comunione vera ed autentica che, senza che ce n’accorgiamo, moltiplica i pani e i pesci. Una moltiplicazione opera dello Spirito che raggiunge gli uomini nella comunione dei cuori e della vita. La Chiesa, dunque, non deve appropriarsi di quanto è opera di Dio e dello Spirito, ma deve semplicemente preoccuparsi di vivere la comunione, di creare i presupposti della condivisione, perché Dio passa e si manifesta dove gli uomini allargano i cuori e fanno spazio dentro di sé all’altro. Su questo Gesù non indugia, perché di mezzo ne và della sua missione e della missione della chiesa, anzi ne va di più, ne va dell’identità stessa della Chiesa, chiamata a costruirsi come comunità che fa lievitare il mondo, che dà sapore al mondo, che raccoglie il bene nel mondo creando la possibilità dell’incontro e della comunione. Gesù dunque non indugia e costringe i discepoli a mettersi in viaggio verso un’altra riva, abbandonando la riva della tentazione del potere e delle scorciatoie, del consenso e della celebrità, per scegliere la via della fede e dell’amore che si condivide. La Chiesa deve semplicemente preoccuparsi di vivere la comunione, di creare i presupposti della condivisione, perché Dio passa e si manifesta dove gli uomini allargano i cuori e fanno spazio dentro di sé all’altro

1) La salvezza passa dalla condivisione, di Dio con gli uomini, tra noi e con il mondo. Cosa nella nostra vita ci rende difficile condividere? 2) Dio “costringe” i discepoli ad andare da soli in mare. Come viviamo i tempi difficili della nostra vita personale ed ecclesiale? Siamo la chiesa del lamento e del pessimismo, o del coraggio e della fiducia? 3) Quale conversione e purificazione sono necessarie nella nostra vita personale ed ecclesiale, perché impariamo a vivere di fede, con speranza e amore, ogni tempo che il Signore ci dà da vivere? 4

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TRACCE PER LA RIFLESSIONE

La nostra missione non è quella di far trionfare la verità, ma di essere suoi testimoni. (H. de Lubac)

“Per stabilire un rapporto educativo occorre un incontro che susciti una relazione personale: non si tratta di trasmettere nozioni astratte, ma di offrire un’esperienza da condividere”; cfr. “Educare alla vita buona del vangelo, III,25.


«Verso l’altra riva» La Chiesa che Gesù vuole costruire non è quella della riva del lago dove è avvenuta la moltiplicazione dei pani, su questa parte del lago il rischio di un fraintendimento del messaggio evangelico e della Chiesa è grande. La Chiesa che Gesù vuol costruire è da un’altra parte, e la traversata che chiede ai discepoli è quella verso una nuova realtà di Chiesa, verso un modo diverso di vivere la vita. È, per molti versi, un viaggio purificatore quello a cui Gesù sottopone i discepoli, quasi una prova, un viaggio educativo che deve portarli a fare esperienza di quello che sono e di quello che possono diventare se si fidano di lui, se trovano cioè la forza di compiere quella traversata verso l’altra riva, verso la riva dove il Signore li manda.

Gesù ci manda avanti Gesù invia i discepoli sulla barca verso l’altra riva del lago, ma non li raggiunge appena congedata la folla, come aveva promesso, anzi li lascia soli, mentre lui va in disparte a pregare. Non è un particolare da poco. Quel viaggio dei discepoli è un viaggio fisico e spirituale, è il simbolo di ogni passaggio e di ogni cambiamento che la vita ci chiede. Gesù costringe i discepoli a partire, poi li lascia soli. Vuole che siano loro a sperimentare e a trovare la strada nel mare. Dio ha fiducia nell’uomo, sa che possiamo farcela, che possiamo precederlo, per questo ci lascia soli. Dentro la vita di ognuno, dentro ogni comunità ecclesiale, esiste la forza per affrontare il viaggio, la forza per cambiare, la forza per capire. Dio affida la nostra vita, quella personale e quella ecclesiale a noi stessi, a noi è data la responsabilità del cambiamento. Dobbiamo prendere coscienza di questa responsabilità, perché Dio non farà per noi quello che possiamo e che dobbiamo fare da soli. Dio ha grande fiducia nell’uomo e nella Chiesa, sa che possiamo farcela, basta scoprire la forza che c’è dentro di noi, lo Spirito, che lui stesso ci ha messo. La responsabilità affidataci è grande: condurre la nostra vita e la chiesa verso il futuro di Dio. Una responsabilità che comporta la fedeltà al passato, la Dentro la vita di conoscenza di quello che siamo stati, e la speranza per il futuro. ognuno, dentro ogni Non ci può essere vero cambiamento nella vita senza la comunità ecclesiale, esiste la forza per coscienza del passato e senza il coraggio di scommettere in un affrontare il futuro diverso che nasca dalla storia e dalla speranza. viaggio, la forza Responsabilità che comporta il coraggio di mettersi in viaggio, per cambiare, la di provare strade nuove, di credere che è sempre possibile un forza per capire. cambiamento, un miglioramento e una crescita. Anche nella più oscura delle notti è possibile trovare la luce, Dio ha fiducia in noi, sa che possiamo farcela. Abbiamo bisogno di questa convinzione e fiducia, in un tempo come il nostro dove, soprattutto nelle nostre comunità cristiane, domina a volte la virtù non evangelica del lamento, che talora si traduce in un pessimismo e in una pigrizia e immobilismo non cristiani; quando invece il Signore ci spinge sul mare della vita, e ci invita a remare!

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In mezzo al mare Quella barca dei discepoli è la barca della nostra vita e della chiesa. L’evangelista Matteo, unico tra gli evangelisti, dice che la barca era distante da riva “tormentata” dalle onde, mentre per Marco “tormentati” erano i discepoli nel remare (Mc 6,48), non la barca! Questo perché per Matteo quella barca è la chiesa. E’ qui utile ricordare il testo di Apocalisse 12,2 dove si dice che la “donna vestita di sole”, combattuta dal drago, simbolo del male, era incinta e gridava per le doglie e il tormento del partorire”. Questo accostamento è interessante perché il tormento delle onde del mare, come il tormento delle doglie del partorire, è il tempo doloroso dove la vita e la morte si affrontano, dove può nascere un uomo nuovo, un nuovo futuro, un nuovo mondo. Quella piccola barca in balia delle onde è la chiesa che deve nascere, che nascerà se saprà affrontare il viaggio del mare e della notte, vincitrice contro le forze che la respingono indietro e che le impediscono il cammino. Per comprendere il portato simbolico di questo episodio bisogna ricordare che il mare richiama il mare di Genesi 1, quando prima dell’opera creatrice di Dio regnava il caos e il disordine. Il mare è simbolo dei grandi abissi impenetrabili alla conoscenza umana, dell’ignoto e del futuro; spesso usato nella Bibbia per evocare il male e quanto l’uomo non ha il potere di prevedere e controllare. Per questo nella Gerusalemme celeste, vinto ogni male, quel mare non ci sarà più, perché allora Dio sarà con noi per sempre (Ap 21,1). I discepoli dunque sono soli sulla barca, di notte, alla quarta veglia della notte, nell’ora che precede il mattino. Notte, come è notte il tempo in cui si è presi Notte sul mare in tempesta, dall’incertezza delle situazioni, in cui non si vede chiaro, lontani dalle stelle, come in cui non si sa cosa è giusto fare e vivere, in cui la notte di ogni scegliere tra bene e male sembra difficile, in cui indecisione umana, di ogni mancano punti di riferimento e ci sente persi. Notte sul mare in tempesta, lontani dalle stelle, come la notte di paura legata alla ogni indecisione umana, di ogni angoscia e di ogni difficoltà del presente e dubbio, di ogni paura legata alla difficoltà del presente all’incertezza del domani. e all’incertezza del domani. E Il vento che soffia sulla barca, come il vento delle contrarietà della vita, come le forze contrarie alle nostra volontà e ai nostri progetti, come i venti delle idee sbagliate che ci combattono e che ci sviano dalla verità e dal bene (Ef 4,14). Notte, vento, mare in tempesta, tre potenti simboli per parlare delle difficoltà e delle fatiche della vita personale ed ecclesiale che bloccano la Chiesa nel mezzo del suo cammino, lontani dalla riva e lontani da tutto. Capita sempre questa notte e questo mare in tempesta, perché è il mare della vita dove si deve ogni volta riscegliere il progetto di Dio, dove si deve trovare la forza di lottare e vincere contro le forze e le paure che vogliono bloccarci e impedirci il cammino.

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Il mare che noi siamo e che è il nostro presente

Dobbiamo evitare di pensare che ci siano tempi in cui siamo lontani da questo mare, perché quel mare è in realtà il mare della vita e del tempo, il mare della storia dove sempre ci troviamo e dove ogni volta siamo chiamati ad imparare a riconoscere il Signore che ci viene incontro e che ci apre il cammino in mezzo alle acque. Dobbiamo imparare a vivere con serenità le onde della vita, senza creare mostri e nemici. Un cammino di discernimento ecclesiale e personale deve guardare in faccia questo mare, dargli nome, per capire quali strade sono più adatte per attraversarlo. Noi siamo il popolo che Dio ha salvato facendoci passare in mezzo al mare, il popolo che come Israele dall’Egitto è chiamato ad attraversare il mare della vita verso la salvezza che solo il Signore può darci. Ma lungi da noi il pensare che esista una sola strada o delle strade ben delimitate per attraversare il mare. Il mare non si attraversa cercando una strada dove mettere i piedi, ma trovando la fede che rende leggeri i piedi. Non le strade, i metodi o le strategie salveranno la Chiesa, ma il suo Signore e il suo Spirito, e la fede, lo sguardo fisso verso di lui.

La Chiesa si salverà, come ogni singolo credente, Un cammino di discernimento ecclesiale e personale deve se prima di essere preoccupata del cammino da guardare in faccia questo mare, compiere è preoccupata di guardare Cristo e di dargli un nome, per capire quali camminare incontro a lui. Non a caso i salmi canstrade sono più adatte per tano la strada di Dio in mezzo al mare, ma dove le attraversarlo. sue orme rimangono invisibili (Sl 77,20; Is 43,16). Il nostro sguardo fisso su di lui farà sì che dimentichi di noi, riempiti e fiduciosi del suo amore, saremo capaci di compiere l’impossibile, di attraversare il mare della vita e della morte e di giungere alla riva del Regno di Dio, della vita eterna e della giustizia. Dio permette questo mare, permette la fatica del viaggio e delle contrarietà, perché impariamo a vivere di fiducia. Il tempo della Chiesa è sempre il tempo in mezzo al mare, perché la Chiesa non è mai arrivata e mai compiutamente realizzata. Non è dato a noi realizzare il Regno di Dio sulla terra, perché se così fosse finiremmo per identificare il Regno di Dio con le nostre realizzazioni umane. Invece il Regno di Dio si realizza per la forza di Dio, per la fede, e nasce e cresce da sé senza che noi ce ne accorgiamo (Mt 13). Il Regno di Dio è il mondo che si costruisce a immagine del progetto di Dio mentre noi siamo occupati a vivere di fede, a vivere fidandosi di Dio.

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1) Hai mai pensato che il Signore ci lascia a volte da soli perché vuole che impariamo a vivere con la forza che egli ci ha dato, il suo Spirito, e che è dentro di noi? 2) Quali sono i tratti del tempo presente della Chiesa, che le rendono difficile il cammino? 3) Cosa significa accettare che si è sempre in mezzo al mare, e che non si può mai presumere di essere realizzati?

TRACCE PER LA RIFLESSIONE

«Come si impara a leggere, come si impara un mestiere, così si impara a sentire in ogni cosa, prima di tutto e quasi unicamente, l’obbedienza dell’universo a Dio. È veramente un tirocinio, e, come ogni tirocinio, richiede sforzi e tempo. (…) Chi ha terminato il tirocinio sente sempre e dappertutto, nelle cose e negli eventi, la vibrazione stessa della parola divina, infinitamente dolce. Ciò non vuol dire che non soffra. Il dolore costituisce il colore di certi eventi.» (S. Weil)

«Sul finire della notte» Quella notte i discepoli furono “sconvolti” al vedere il Signore che scambiano per un fantasma. La paura dei discepoli rivela la loro fede ancora imperfetta, che non riconosce il volto del suo Signore, e lo riduce ad un fantasma incapace di incidere nella vita. Può capitare, questo insegna il vangelo, che il Signore Anche i discepoli ci venga incontro, ma noi non siamo pronti a riceverlo, devono scegliere in non lo riconosciamo, e anzi ci fa paura, ci sconvolge, quella notte tra e magari vorremmo anche liberarci di lui gridando e Maria, lasciando che fuggendo. il vento della fede I discepoli erano “sconvolti” (etarachtesan) come è spinga le vele, ed sconvolto Erode e tutta Gerusalemme all’annuncio di Erode e le folle, lasciando che il vento “colui che è nato, il re dei Giudei” (Mt 2,3). E’ il del potere, del calcolo turbamento che precede la paura della morte, la e dell’interesse paura di dover abbandonare un potere o una blocchi la nave e la posizione. Un turbamento dal quale può nascere la spinga lontano da Dio conversione o la persecuzione. Un turbamento che non risparmia nessuno, nemmeno Maria, la madre del Signore, “molto turbata” (dietarachte) all’annuncio dell’angelo che prospettava un cambio di vita imprevisto e una volontà di Dio che non coincideva con la propria. Anche i discepoli provano questo terribile “turbamento” e, posti come a metà strada tra Erode e Maria, devono scegliere in quella notte tra Maria, lasciando che il vento della fede spinga le vele, ed Erode e le folle, lasciando che il vento del potere e del calcolo, dell’interesse e delle paure, blocchi la nave e la spinga lontano da Dio.

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1) Le nostre idee su Dio non sono mai tutta la verità su Dio. Questo insegnamento del vangelo ci spinge ad essere umili e aperti al dialogo. Come aiutarci a tradurre questa umiltà e apertura al dialogo nella nostra vita personale ed ecclesiale? 2) Quali “paure” ci bloccano nella nostra vita personale ed ecclesiale?

TRACCE PER LA RIFLESSIONE

Ciò che fino ad oggi è mancato ai messaggeri del cristianesimo di ogni provenienza è la tenerezza» (H. Boll)

Camminare sulle acque

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Il decennio che, come chiesa, abbiamo davanti è il mare che siamo chiamati ad attraversare. Un mare dove Dio ci viene incontro, come Gesù quella notte, e ci offre la possibilità di andare verso di lui, sulla forza della sua Parola. Gesù cammina sulle acque, ha cioè il potere di dominare il mare, potere che possiamo avere insieme a lui grazie alla fede. Il messaggio è chiaro: la fede è la forza della Chiesa e del credente. Qualunque siano le difficoltà e i problemi che ognuno di noi o la Chiesa dovrà affrontare nel mondo avremo la forza di viverli grazie alla fede. Questo non significa che non si devono fare scelte nella vita, o che il credente e la chiesa devono limitarsi a vivere nel chiuso delle chiese, dei conventi o delle case, significa piuttosto che qualsiasi cosa faremo la dovremo fare per fede, nella fede e con fede. La fede è la barca che accompagna la Chiesa incontro La forza del credente e al suo Signore, verso la riva del futuro di Dio e della vita della Chiesa è qui, nello sguardo fisso sul eterna. Pietro lo sa bene, “se sei tu comandami di venire Signore, in quel a tu verso di te sulle acque” (Mt 14,28). E Pietro si mette in per tu che si realizza cammino sulla parola di Gesù, e cammina sulle acque. nella contemplazione, nella presenza del Signore nell’eucarestia, La sua parola che guida i nostri passi li rende leggeri, la nella liturgia e nei sua parola ci libera dalla paura e ci rende sicuri. E Pietro sacramenti, nella va, i suoi piedi come i legni delle navi solcano i mari preghiera personale e sicuri, le parole del Maestro gonfiano i cuori e li rendono familiare forti, capaci di domare i mari in tempesta. La forza del credente e della Chiesa è qui, nello sguardo fisso sul Signore, in quel a tu per tu che si realizza nella contemplazione, nella presenza del Signore nell’eucarestia, nella liturgia e nei sacramenti, nella preghiera personale e familiare. Stare di fronte al Signore, mettere la vita sotto la luce del suo sguardo luminoso, infonde nei cuori la forza dell’impossibile, la forza di domare il mare del male e di attraversarlo senza farsi inghiottire dalle onde.


Stare di fronte al Signore, con lo sguardo fisso su di lui è la forza della Chiesa, del suo impegno e della sua testimonianza, perché solo di fronte a lui, occhi negli occhi del nostro Signore, la sua vita e il suo Spirito diventano la nostra vita e il nostro spirito, nell’ascolto e nell’obbedienza della fede. Ma gli occhi di Pietro si distraggono e invece di guardare il Signore cominciano a guardare il vento forte, e la paura torna a riempire i cuori, la paura di qualcosa che è più grande di noi, la cui visione ci fa vedere la nostra inadeguatezza. E allora si affonda, sommersi dal potere del mare, travolti dalle situazioni e dalle preoccupazioni, dai peccati nostri e altrui, dalle incertezze e dalle difficoltà. Vivere di fede è non vivere preoccupati di sé, è vivere sulla parola del Signore. Il vento sarà sempre più forte di noi, e noi sempre più deboli del vento. C’è una sola possibilità di attraversare il mare a Camminare sulle acque è piedi con i venti contrari, fidarsi del Signore, possibile, se non ci diamo vivendo di fede, lasciando che la fede guidi il troppa importanza, se ci nostro agire. Certo si morirà lo stesso, e di morte di rendiamo disponibili, se croce, come il nostro maestro, ma sarà una morte non cerchiamo colpe e redentrice e salvatrice, sarà un consumarsi contro il colpevoli, se lavoriamo male che rivelerà il bene che c’è in noi e nel per coprire i peccati, se mondo, che rivelerà l’amore più forte della morte e invece di chiacchierare di ogni male. Sarà un morire che semina speranza. ci diamo da fare, se Camminare sulle acque è possibile sulla sua parola, invece di giudicare ascoltiamo e se non abbiamo paura dei problemi, se la comprendiamo, se invece di grandezza e la complessità delle situazioni non ci cercare posti e carriere scoraggia, se non rinunciamo a provare strade ci preoccupiamo del bene e nuove solo perché ci sembrano impossibili, se il della giustizia, se invece calcolo delle forze e delle energie a disposizione di aver ragione cerchiamo non ci condiziona, se la considerazione della nostra la verità, se invece di pochezza non ci blocca, se non diamo più potere misurare, amiamo. ai peccati nostri ed altrui che alla grazia di Dio.

È possibile un futuro nuovo, basta trovare la fede, vivere di fede, attraverso un nuovo primato della parola di Dio che deve tornare ad avere priorità nel nostro tempo, in come pensiamo e in come scegliamo di vivere; anche imparando e insegnando di nuovo, e talora in modo nuovo, a leggere, vivere e pregare la parola di Dio. Pertanto la lectio divina, i gruppi di ascolto del vangelo nelle famiglie, la lettura orante della Parola di Dio nella liturgia, il primo annuncio del vangelo, il primato della Parola nell’Iniziazione cristiana, devono sempre più diventare modalità ordinarie della nostra vita personale ed ecclesiale. Camminare sulle acque è possibile, se non ci diamo troppa importanza, se invece di lamentarci ci rendiamo disponibili, se invece di cercare colpe e colpevoli, lavoriamo per coprire i peccati, se invece di chiacchierare ci diamo da fare, se invece di giudicare ascoltiamo e comprendiamo, se invece di cercare posti e carriere ci preoccupiamo del bene e della giustizia, se invece di aver ragione cerchiamo la verità, se invece di misurare, amiamo.

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1) L’ascolto della Parola del Signore ha un primato reale nella nostra vita personale ed ecclesiale? 2) La preoccupazione di sé, a livello ecclesiale e personale, ci fa affondare nel mare della non fede e della lontananza da Dio. Quali passi concreti dovremmo fare per vincere l’egoismo della preoccupazione di sé e diventare una chiesa e cristiani estroversi, capaci di dono e di servizio?

TRACCE PER LA RIFLESSIONE

«Allora tutto diverrebbe diverso. Non nel senso che verrebbero da noi altri uomini, o che entreremmo in possesso di altre cose o accadrebbero altri destini. Il materiale dell’esistenza sarebbe lo stesso di prima, ma ne muterebbe il senso. Un danno sarebbe sempre un danno e una malattia porterebbe sempre disagio; eppure tutto sarebbe diverso, poiché sia il danno che la malattia sarebbero accolti in una nuova luce.» (R.Guardini)

3) Quali percorsi ecclesiali e pastorali dovremmo attivare perché le nuove generazioni di cristiani maturino una fede piena di speranza e capace di carità?

Dalla divisione alla fede Nella realtà, lo sappiamo bene, il nostro cuore è diviso, come quello dei discepoli, come quello di Pietro: “uomo di poca fede, perché hai dubitato?” (Mt 14,31). Gesù svela il problema, la mancanza di fede rivelata dal dubbio, dall’essere divisi dentro, dall’avere due pensieri. A Pietro è mancata l’unità, la capacità di rimanere con tutto se stesso sulla parola di Gesù. Non è che le parole del Signore non ci siano dentro di noi, è che ci sono insieme a molte altre parole, le parole del mondo, delle considerazioni di convenienza personale o sociale, che spesso convivono e talora hanno la meglio nei nostri ragionamenti, e allora si vacilla e si cade, e il progetto di Dio non si realizza, non si attraversa più il mare, ma si è inghiottiti dal mare, e si diventa parte di un mondo che vive senza Dio, o come se Dio non esistesse. Significativamente il verbo qui usato da Matteo per indicare il dubbio di Pietro (distazo) ricorre altrove solo al momento dell’ascensione, quando Gesù risorto affida il compito missionario alla chiesa (Mt 28,17). E’ il dubbio di fronte alla resurrezione, di fronte al potere di Gesù di attraversare il mare della morte e della storia e alla sua promessa di essere sempre con noi. Questo collegamento tra l’episodio della traversata del mare e l’ascensione del Signore ci autorizza a vedere nel dubbio di Pietro il simbolo della condizione dei discepoli di ogni tempo, che ancora non hanno imparato a fare unità nella propria vita a partire dalla parola di Dio, che sono vacillanti perché divisi dentro, che faticano a credere e ad affidarsi alla potenza di Dio e della sua parola.

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Quello dell’unità di fede e del cuore unito è un cammino, dove Gesù stesso come fece con Pietro, stende la mano e ci salva, sollevandoci dai nostri annegamenti. Ecco perché siamo e dobbiamo sempre sentirci in permanente stato di conversione e di purificazione, che consiste soprattutto nel mettere sempre più al centro della vita personale ed ecclesiale il Signore Gesù e la sua Parola.

Su quella barca mancava il Signore, senza di lui la Chiesa non va da nessuna parte, anzi si impantana nel mezzo del mare in balia delle onde e dei venti

L’unità viene dalla fede, intesa non solo come confessione di fede, ma anche come esperienza di affidamento a Dio, come fiducia che la sua presenza genera in noi, come esperienza della sua grazia che ci rende disponibili alla comunione e attenti alla sua presenza negli altri.

«Il vento cessò» Gesù sale sulla barca e il vento cessa. Su quella barca mancava il Signore, senza di lui la Chiesa non va da nessuna parte, anzi si impantana nel mezzo del mare in balia delle onde e dei venti. La nostra vita personale e quella ecclesiale si fondano sulla presenza del Signore, senza di lui non possiamo fare nulla. I discepoli lo capiscono, finalmente, e si prostrano davanti a lui riconoscendo che egli è davvero il Figlio di Dio. In questa professione di fede c’è tutta l’esperienza di una notte drammatica dove i discepoli hanno imparato per esperienza che il Signore ha il potere di calmare le acque del mare, ma soprattutto che sulla sua parola tutto è possibile, anche camminare sulle acque, vivendo di fede, e fuggendo ogni altro mezzo o strategia per realizzare sulla terra il regno di Dio. Adesso sanno che egli è davvero figlio di Dio, perché hanno sperimentato che la fede ha il potere di camminare sulle acque e di attraversare il mare del peccato e della morte.

Dovremo domandarci come chiesa diocesana come educarci a una fede capace di attraversare il mare, un mare che ha molti volti e che dobbiamo conoscere

«Davvero tu sei il Figlio di Dio» La notte si conclude con la professione di fede dei discepoli; il messaggio è chiaro: la fede ci condurrà oltre ogni mare e ogni notte all’alba di un nuovo giorno, alla riva di un mondo dove regnano la pace e la giustizia, alla pienezza del Regno e del Paradiso. Nel decennio che abbiamo davanti saremo chiamati proprio a domandarci come chiesa diocesana, quali passi concreti dobbiamo compiere, con timore e tremore, per andare con fede incontro al Signore. Come Pietro dovremo scendere dalla barca e andare verso di lui che ci viene incontro nel tempo.

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Dovremo domandarci come educarci a una fede capace di attraversare il mare, un mare che ha molti volti e che dobbiamo conoscere: il volto della sempre maggiore tiepidezza di fede delle nostre generazioni cristiane, il volto della fatica della nostra pastorale, il volto dei nostri peccati e delle nostre divisioni, il volto di un mondo che spesso esclude Dio dal suo orizzonte e che lo estromette dalla vita, il volto delle sfide della nuova evangelizzazione, il volto della carenza del clero nelle nostre parrocchie, il volto di una non sempre perfetta attuazione del concilio vaticano secondo, il volto della marginalità dei laici ancora troppe volte in atto nelle nostre parrocchie, il volto delle grandi sfide del mondo di oggi, dal dialogo interreligioso e tra le culture, alla sfida ambientale e della globalizzazione, il volto della crisi economica e della disuguaglianza crescente, il volto del disimpegno civile e della ingiustizia nel mondo. L’elenco sarebbe ancora lungo ma non importa ricordare qui tutti i problemi. A noi certo non è dato di rispondere a tutto e a tutti, però è chiesto di capire quali passi concreti siamo chiamati a fare, come singoli e come comunità diocesana su questo mare che siamo chiamati ad attraversare con fiducia e con lo sguardo rivolto verso il Signore.

Pentecoste, un’esperienza di Chiesa e condivisione Proprio all’inizio di un decennio dove siamo chiamati ad un rinnovato impegno nell’evangelizzazione perché “la Vita buona del Vangelo” diventi la nostra vita e arricchisca il mondo, vogliamo partire dal professare la nostra fede, come i discepoli. Vogliamo cioè raccontarci l’opera di Dio nella nostra vita, condividendo il dono della grazia ricevuta, un po’ come se dovessimo condividere i pani con le folle, solo che invece dei pani siamo chiamati a condividere le nostre vite abitate dal Signore. Raccontarci la fede dicendoci il dono che la fede e la chiesa sono per noi. “Per noi”, come singola persona; “per noi” come Chiesa, come parrocchia, come comunità di vita consacrata, come gruppo, movimento o comunità ecclesiale; “per noi” come mondo e storia. Raccontare il dono della fede e della chiesa, cioè come Dio è stato importante nella nostra vita, dove lo abbiamo incontrato, come lo abbiamo riconosciuto, dove e come abbiamo fatto l’esperienza di camminare sulle acque, sperimentando la forza liberante della sua parola e della sua presenza. Questa condivisione non sarà pertanto, e non deve essere, un’esibizione, ma un darci reciproca testimonianza e un lasciare che Dio ci parli e ci ammaestri attraverso la storia che compie in ognuno di noi educandoci “alla vita buona del vangelo” , perché anche noi possiamo fare l’esperienza della Chiesa nascente “vedendo la grazia di Dio, rallegrandoci ed esortando tutti a restare con cuore risoluto, fedeli al Signore” (At 11,23). Nella certezza che ascoltando il Dio che già opera in noi, ci rafforziamo nella fede, cresciamo nella carità, ci radichiamo nella speranza, così che sia lui a illuminare gli occhi della nostra mente per poter discernere ciò che è buono e a lui gradito e perfetto per condurre la barca della nostra vita e della chiesa “verso l’altra riva”, la riva del Regno di Dio, dove il Signore ci manda e ci precede. Vogliamo raccontarci l’opera di Dio nella nostra vita, condividendo il dono della grazia ricevuta, un po’ come se dovessimo condividere i pani con le folle

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1) Qual è secondo te, a livello personale e a livello ecclesiale, il volto principale del mare in tempesta del nostro tempo? 2) La comunione con Dio e tra noi nasce dalla fede. Cosa significa questo nella nostra vita familiare, di amicizia, nel presbiterio, e nei rapporti con il mondo? 3) Quali scelte prioritarie dovremmo fare per metterci in grado di attraversare questo mare con fede e fiducia servendo il Vangelo e il Regno di Dio?

TRACCE PER LA RIFLESSIONE

«Agisci come se tutto dipendesse da te, sapendo che tutto dipende da Dio» (S. Ignazio di Loyola)

QUESTIONARIO PER LO SCAMBIO E LA CONDIVISIONE Da riconsegnare in Diocesi alla segreteria pastorale entro il 15 maggio 2011 o per email a pentecoste2011@diocesipistoia.it Che dono sono per la tua vita la fede e la chiesa? In che situazione della vita hai sperimentato che il Signore ti faceva “camminare sulle acque” ?

Quale dono possiamo fare al mondo di oggi come chiesa e come credenti?

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INDICE

Presentazione del Vescovo

1

Lettera di accompagnamento Come usare il sussidio

2 3

Camminare sulle acque (Mt 14,22-33)

5

Introduzione: un brano per preparasi al cammino

5

Li costrinse a salire sulla barca Tracce per la riflessione

6 8

Verso l’altra riva Gesù ci manda avanti In mezzo al mare Il mare che noi siamo e che è il nostro presente Tracce per la riflessione

9 9 10 11 12

Sul finire della notte Tracce per la riflessione

12 14

Camminare sulle acque Tracce per la riflessione

14 16

Dalla divisione alla fede Il vento cessò Davvero tu sei il Figlio di Dio Pentecoste, un’esperienza di Chiesa e di condivisione Tracce per la riflessione

16 17 17 18 19

Questionario per lo scambio e la condivisione

20

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Immagine Fabio Inverni | Grafica Valentina Frosini


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