Quel 25 gennaio di 50 anni fa Era la festa liturgica della conversione dell’apostolo Paolo e Giovanni XXIII, proprio dalla basilica romana a lui dedicata, comunicò la decisione di convocare un nuovo concilio ecumenico. Forse nessuno si rese pienamente conto di quanto la decisione del vecchio Papa, il Papa di transizione, avrebbe cambiato il volto della chiesa e in qualche modo del mondo intero. Lentamente però l’idea prendeva corpo e consistenza e l’intera comunità cristiana concentrò in progressione crescente tutta la sua attenzione sullo straordinario evento, preparandolo con la sua riflessione e la sua preghiera. Erano quelli gli anni delle grandi attese e delle grandi speranze. Fra pochi anni sarebbe divampata la fiammata del mitico ‘68, destinato a sovvertire e rivoluzionare il mondo intero, in particolare il vecchio e addormentato continente europeo. Una volta tanto la Chiesa, per virtù del suo Papa profeta, riusciva a battere sul tempo il movimento della storia. Quando arriverà la rivoluzione culturale allora soltanto annunciata, essa avrà già preparato gli schemi del suo cammino futuro. I giovani in particolare, ma tutti allora si sentivano giovani, erano col fiato sospeso. Non c’è nessuno, credo, questo comunque non è il caso di chi scrive, che non collochi quei giorni, quelle ore fra i momenti più belli della sua vita. C’era l’orgoglio di essere cristiani, la gioia di appartenere a una grande famiglia che raccoglieva e incanalava le speranze e le attese dell’umanità intera. Soprattutto per chi allora era presente o non ebbe modo di prendere parte attiva al moto di entusiasmo che percorreva da un capo all’altro l’intero corpo della Chiesa, si può suggerire di leggere le parole dei due discorsi con cui il Papa buono comunicava al mondo i suoi pensieri, quello del giorno dell’apertura del concilio e quello che lo precedette di un mese. Un vero momento di grazia, un’ora di autentica commozione. Forse come non mai in quegli interventi Papa Giovanni dava la misura della sua fede e della sua grandezza. Era la Chiesa della pace, che parlava, la Chiesa della carità, della libertà, dell’amore per tutti e in particolare per i poveri, la Chiesa della misericordia che, come il buon samaritano, si chinava sul mondo ferito dalle culture dell’immanenza e dell’individualismo e insieme dalle guerre, dagli odi, dalle ingiustizie e dalla fame. Una inaspettata e meravigliosa primavera. A chi non c’era chiediamo di concederci di rivivere nella commozione quelle ore indimenticabili. Nelle nostre parole non c’è nessuna concessione alla retorica, ma solo la forza di un ricordo a cui si è aggrappata l’intera nostra vita. I tempi erano maturi. La carica tridentina e antiprotestante si stava esaurendo, coraggiosi movimenti sotterranei avevano preparato un materiale incandescente per una revisione completa di tutti gli schemi del passato, la teologia per virtù di tanti suoi illustri rappresentanti aveva lavorato con tanta energia e successo da ricordare i suoi tempi migliori. Papa Giovanni era la figura ideale per raccogliere tutti questi impulsi e gestirli nel modo migliore da grande protagonista. Un dialogo, una interpellanza, una proposta. Niente di più. Il Papa dava il tono giusto all’assise che stava per cominciare quando affermava che la Chiesa stava vivendo non l’ora delle condanne e dei rifiuti, ma dell’apertura e della mano tesa, con l’animo aperto alla speranza, in aperto rifiuto dei “profeti di sventura che annunziano eventi sempre infausti, quasi che incombesse la fine del mondo”. Chi conosceva anche sommariamente la nostra storia ricordava che giusto un secolo prima il Papa del tempo (prima Gregorio XVI, poi Pio IX) avevano sdegnosamente chiuso le porte della Chiesa non solo agli errori, ma anche agli erranti, spinti ormai ai margini di una comunità che sembrava non avere più niente da spartire con loro. Il “Sillabo” era esattamente dell’8 dicembre 1864. L’8 dicembre 1965, Paolo VI chiudeva solennemente uno degli atti più solenni e più importanti della storia della Chiesa. Un secolo che equivale a un millennio. Nessuno ricordava un Papa come Giovanni XXIII. Quando una sera, sotto le volte del cielo stellato di Roma, dal suo balcone egli salutò la luna che sembrava essersi fermata attonita e silenziosa sul luogo del miracolo, si ebbe la misura della sua grandezza. Tutti, senza eccezione avvertirono il tocco inconfondibile dello Spirito Santo. E la carezza inviata ai bambini era la carezza della Chiesa a tutti gli uomini della terra. La storia aveva cambiato pagina.
Giordano Frosini