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Diocesi di Pistoia

PROGRAMMA PASTORALE DIOCESANO (2011-2014)


Indice Introduzione 1. La Chiesa come mistero 2. L’icona biblica 3. L’Iniziazione Cristiana 3.1 La richiesta del battesimo e la famiglia 3.2 Uno “snodo” per la vita della Diocesi 3.3 Il dono dei laici 3.4 Le Parrocchie in alleanza 3.5 Il ruolo dei Presbiteri 3.6 Cosa faremo? 3.7 I tempi 4. Il ripristino del Catecumenato degli Adulti 5. L’omelia 23 6. I gruppi di ascolto del vangelo 7. La pastorale giovanile 8. La solidarietà, gli stili di vita, l’attenzione ai poveri 9. I consigli pastorali parrocchiali e Diocesano 10. La formazione presbiterale 10.1 Il vicariato 10.2 Le iniziative diocesane 11. Alcune particolari attenzioni

Chiuso in tipografia nel mese di settembre 2011 dalla Tipografia GF Press di Masotti. La realizzazione grafica è stata curata da Graficamente di Patrizia Bartolozzi

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Carissimi Sacerdoti e Diaconi, Religiosi e Religiose, Sorelle e Fratelli laici,

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uello che vi offro, attraverso queste pagine, è il programma pastorale: il cammino della nostra Chiesa di Pistoia nell’arco del decennio ora iniziato. Esso nasce dall’ascolto: degli Orientamenti pastorali dell’episcopato italiano per il decennio 2010-2020 “Educare alla vita buona del Vangelo”; ma anche dall’ascolto della nostra Chiesa pistoiese, nei tre anni dedicati alle relazioni ecclesiali. Essi ci hanno incamminato sulla strada di alcune realizzazioni, pur evidenziando ampi spazi di inadeguatezza e di fatica. Ci siamo accorti di risorse, disponibilità e competenze presenti nelle nostre comunità che costituiscono un patrimonio per il nostro presente ed una risorsa per il futuro. Ascolto, infine, dei nostri organismi ecclesiali di partecipazione: il Consiglio Presbiterale, la Commissione pastorale, l’assemblea dei Vicari Foranei e dei Direttori degli Uffici di Curia, che più volte sono stati chiamati a riflettere sul percorso della nostra Chiesa nel prossimo decennio. Ascolto dei Sacerdoti e delle Comunità cristiane attraverso il questionario per la verifica pastorale 2010-2011, con la richiesta di suggerimenti per le priorità da affrontare sul nuovo programma pastorale. Nel segno della continuità col cammino percorso e dell’ascolto della voce dei fratelli nella Chiesa, in cui echeggia la voce del Signore, cerchiamo di configurare il nostro itinerario nel presente decennio. Un programma pastorale non è la descrizione di tutte quelle attività che le parrocchie, o la stessa Diocesi, compiono nel servizio alle persone, ma la scelta di alcuni obiettivi, di alcune “priorità”, che giudichiamo importanti per questo tempo e per la situazione di Chiesa che ci troviamo a vivere. Essi diventano qualificanti del nostro “stile” e della nostra testimonianza, conferiscono una prospettiva unificante, un orizzonte, al complesso delle attività pastorali 1


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che una parrocchia svolge, ci educano a crescere come Chiesa perché attendono e chiamano l’impegno condiviso di ciascuno e perciò costruiscono, nella mentalità e nei fatti, il vincolo della comunione e della fraternità. Ciò che vorremmo fare, in questo decennio, è ripercorrere l’evento di Chiesa che abbiamo incontrato, che ci è stato donato: ridirci la Chiesa. Ridircela nell’ascolto della parola del Signore, nella celebrazione dei Sacramenti che la edificano, nell’esperienza della preghiera. Ridirci la Chiesa nel vincolo concreto e gioioso di molte fraternità che nascono o che crescono; nei gesti di servizio e di carità, di accoglienza e di rispetto con cui ci lasciamo evangelizzare dai poveri. Ridirci la Chiesa nella nostra presenza alla città e nell’annuncio del vangelo alle persone; nell’impegno di “educare alla vita buona del vangelo” in questo nostro tempo, come gesto alto di amore e di servizio. Ridirci la Chiesa nel tessere, pazientemente e talora dolorosamente, la tunica dell’unità dentro le nostre comunità cristiane, nel nostro Presbiterio, chiedendo allo Spirito che costruisca in noi un cuore di pace. Ridirci la Chiesa costruendo comunità che abbiano la gioia e “l’orgoglio” di questa appartenenza, non il complesso, e che possano essere riconosciute come “sale, luce, lievito”. Ridirci la Chiesa con la vita, ridirla segnatamente in questo decennio che abbiamo intrapreso. Seguendo l’insegnamento del Concilio Vaticano II, in particolare della Costituzione dogmatica “Lumen Gentium”, articoleremo il percorso di questi dieci anni secondo le tre “gravitazioni” conciliari: l l l

La Chiesa come mistero (L.G. 1-8) La Chiesa, popolo di Dio, come evento di comunione (L.G. 9-29;48-51) La Chiesa sul cammino della Missione (L.G. 17;30-38; cfr. ad Gentes 1-9) 2


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A ciascuna di esse dedicheremo orientativamente un triennio, senza però lasciarci ingabbiare dal tempo e dalle scadenze: se necessario prolungheremo i tempi programmati, perché la nostra Chiesa, tutta la nostra Chiesa, possa concordemente camminare sulla strada indicata. Evidentemente le tre dimensioni enunciate sono intrinseche le une alle altre e non si attuano separatamente tra loro; eppure è possibile una loro focalizzazione riconoscendo nel “mistero” della Chiesa la sua origine, la sua sorgività; nella “comunione” che unifica il popolo di Dio, l’identità o la natura della Chiesa; nella “missione” per la vita del mondo, il suo scopo e l’obiettivo della sua peregrinazione nel tempo. Dunque ci racconteremo la Chiesa in questo decennio; ce la lasceremo raccontare da Dio, nelle molte forme in cui Egli sa farlo: ciò che Lui ha fatto per noi, ciò che Lui ha fatto di noi, chiamandoci al dono ed alla responsabilità di essere Chiesa in questo tempo, su questa terra pistoiese, con quel chiaroscuro di risorse e limiti che ciascuno di noi, singoli o comunità, è. Ci racconteremo la Chiesa per ravvivarla in noi, per assumerla con più passione, per volerla con più intensità, per far rinverdire il sogno di Dio sulla nostra vita, sul nostro tempo. Ci racconteremo la Chiesa in questi dieci anni, per stupirci, per stupircene, sino ad entrare nella strada della supplica e della richiesta di aiuto per non essere i dissipatori del dono, ma anche della celebrazione e della lode, per dire la gioia e la gratitudine di quanto ci è stato affidato. Raccontarci la Chiesa non per una vicenda interna, circoscritta alle nostre comunità ed ai nostri gruppi, ma per diventarne narratori nel mondo: con la parola, certo, ma unitamente ad essa con le opere della Testimonianza, con la santità della vita (cfr. L.G. 3942). È la più alta carità ed il servizio più grande che possiamo fare al mondo: quello di essere una Chiesa leggibile con l’alfabeto del vangelo; una Chiesa che Dio ha scelto e voluto come necessario 3


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strumento per la Salvezza degli uomini: “Il Santo Concilio […] insegna, appoggiandosi sulla Sacra Scrittura e sulla Tradizione, che questa Chiesa peregrinante è necessaria alla Salvezza, perché il solo Cristo, presente in mezzo a noi nel Suo Corpo che è la Chiesa, è il Mediatore e la via della salute, ed egli stesso, inculcando espressamente la necessità della fede e del battesimo (cf. Mc. 16,16; Gv. 3,5), ha insieme confermata la necessità della Chiesa, nella quale gli uomini entrano per il battesimo come per una porta. Perciò non possono salvarsi quegli uomini, i quali, pur non ignorando che la Chiesa Cattolica è stata da Dio per mezzo di Gesù Cristo fondata come necessaria, non vorranno entrare in essa o in essa perseverare” (L.G. 14; cfr. Ad. Gentes 7). È la grandezza e la responsabilità del nostro compito, della nostra Chiesa pistoiese, di essere all’altezza di questo affidamento, o, almeno, di non tradirlo e di non sfigurarlo. Narrare la Chiesa, per diventare Chiesa, o più precisamente, come già abbiamo detto, lasciarci raccontare la Chiesa da Gesù Cristo e permetterGli di trasformarci, di realizzarci secondo il progetto Suo. È un ripercorrere, nel frammento della nostra vita personale ed ecclesiale, quanto Dio ha tenacemente costruito nella storia della Salvezza, per la Salvezza della storia. Nel corso dei secoli Dio ha “educato” il suo popolo, a diventare “popolo” ed a diventare “Suo”. Noi siamo, in certo senso, punto d’arrivo di questo cammino ma anche passo e percorso su questa strada. La Chiesa infatti, è il frutto di questa pedagogia di Dio, ma anche il suo esercizio in atto. Egli non solo educa e conduce il cammino della storia verso il Regno, ma continua ancora oggi ad educarci a diventare suo popolo, ad essere Chiesa. È questo che vogliamo cogliere ed a questo vogliamo affidarci, aprirci: a diventare Chiesa! Avendo ben presente che ogni autentico processo educativo muove 4


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dalla centralità della persona e punta alla sua armonica unità, noi ci volgiamo a Gesù che è la strada, il pedagogo; torniamo a metterci dietro di Lui (Mt. 16,23), poiché lì è il posto del discepolo; diventiamo Chiesa con Lui, sotto la sua guida: diventiamo Chiesa in Lui.

1. La Chiesa come mistero È questa la dimensione ecclesiale cui ci dedicheremo nel primo triennio (sempre ricordando che, all’occorrenza, il tempo potrà essere prolungato). Prima di inoltrarmi nell’indicare le priorità ed i percorsi pastorali della nostra Diocesi in questi anni, desidero spendere qualche riga nel precisare il senso della parola “Mistero”. Per una comprensione più adeguata e profonda chiedo a tutti di leggere o rileggere con grande attenzione il primo capitolo della Lumen Gentium. Lì risulterà con chiarezza la ricchezza biblica, patristica, teologica e spirituale di questo termine. Da parte mia mi limito a chiosare, marginalmente, che nella cultura contemporanea o nel senso comune, “mistero” indica qualcosa di oscuro, di esterno o di ostile alla razionalità ed alla capacità di conoscenza e di controllo dell’uomo, e perciò uno spazio ed una dimensione di cui la persona deve diffidare e difendersi, pur avvertendone talora una fascinosa attrattiva. “Mistero” è uno spazio di buio, di non umano, di negato. Talvolta il “Mistero” diventa lo spazio della favola, della fantasia, di un mondo parallelo che ha una sua luminosità e positività, però negata alla nostra realtà. Ben diversa è la comprensione biblica del “Mistero”: esso è un ambito di luce, di grazia, che Dio apre nella nostra storia. Un progetto che è amico dell’uomo, della umanità, della creazione; che ha come fine l’universale salvezza e la ricapitolazione in Gesù Cristo di tutte le cose. Il “Mistero” non è perciò uno spazio oscuro ma luminoso, 5


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non ostile ma amico, non negato ma donato ad ogni uomo, per la sua imperdibile felicità che è il Signore. Si intende allora che cosa voglia dire “la Chiesa come Mistero”: non qualcosa che non si capisce e che ci è negata, ma qualcosa che ha la sua comprensibilità nell’evento della Rivelazione, cui risponde la Fede, qualcosa che ci aiuta a capir di più e meglio il Signore, noi stessi, gli atri e la vita nella luce ineguagliabile dell’amore, qualcosa che è dono, comunione: l’effondersi della vita della Trinità nella storia, in ciascuno di noi, e la capacità che ne sorge di vivere rapporti nuovi, resurrezionali con Lui e tra noi. La Chiesa dunque è un “mistero”, cioè frutto del progetto di Dio, opera delle sue mani; verso di Lei Egli ha condotto il cammino dei secoli (L.G. 6) con fedeltà e misericordia; Ella è la vita di comunione della Trinità riversata nella creatura, l’uomo che, come figlio, partecipa in Cristo alla vita del Padre suo. Popolo di Dio, Corpo di Cristo, Sua sposa splendente di bellezza senza ruga e senza macchia (cfr. Ef. 5), amata dallo Sposo fino al dono di sangue. Sarebbe possibile fare un “inno alla Chiesa” raccogliendo ciò che la Parola di Dio dice di Lei. E si parla di quella Chiesa concreta che siamo noi, le nostre umane generazioni che cercano di “sfangarsela” nella traversata della storia. Si parla di questa Chiesa di Pistoia che noi ben conosciamo nella sua quotidiana prosa, nella sua bellezza ma anche nella sua pochezza e nei suoi limiti, talora nelle sue cattiverie, ma sempre amata da Cristo con infinito amore! La Parola di Dio, raccontandoci la Chiesa come “Mistero”, ci rivela la Regina nelle vesti di Cenerentola, la Sposa sotto gli abiti grigi della serva. Dobbiamo allora convertirci alla Speranza verso questa nostra Chiesa pistoiese: dobbiamo amarLa di più, donarLe di più, investirci di più, perché lo vale, perché lo merita, perché è amata da Cristo! Se Cristo l’ha amata questa Chiesa e continua ad amarla con fedeltà e sacrificio della vita, ogni giorno, sino alla fine del tempo, come possiamo noi restare rassegnati e spenti nei nostri schemi mentali 6


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e di comportamento? Come possiamo perseverare negli individualismi o, peggio ancora, nelle divisioni? Come possiamo avvolgerci nelle coperte grevi della sfiducia, dello scetticismo, della sufficienza, della condanna scontata e, forse, sprezzante? Perché continuare a far navigare le barchette dei nostri giudizi e delle nostre parole nelle pozzanghere della cattiveria? La nostra Chiesa di Pistoia, partecipe del “mistero”, merita di più, attende di più ed ha ben più da donare ai suoi figli: al Vescovo, ai preti ed ai diaconi, ai religiosi, a tutti i fratelli laici. La Chiesa di Pistoia merita ed attende l’investimento della nostra Speranza, come gesto e fruttificazione dell’Amore. E questo triennio, impegnato sulla “Chiesa come Mistero”, vuole essere questo: un investimento di Speranza e di Amore sulla Chiesa di Pistoia, perché viva più luminosa e più evangelica in ciascuno di noi ed in ogni nostra Comunità. Il prezzo è la fatica, la costanza nell’impegno nonostante i piccoli risultati, la decisione e lo sforzo di andare gli uni incontro agli altri con cuore aperto e disponibile. Così le proposte che vi presento in quanto Vescovo, certo inadeguato e povero più di ciascuno di voi, ma Vescovo di questa Chiesa, non saranno ulteriore occasione di riserve, alternative, divisioni o rifiuti, ma potranno finalmente essere benedette da Dio, attraverso ciascuno di voi, con il dono della concordia, della condivisione e dell’unità. La Chiesa di Pistoia sarà più Chiesa, farà splendere il “mistero” che reca in sé, se noi saremo uniti. Il programma pastorale è strada all’unità, itinerario a vivere il “mistero della Chiesa”. Proprio perché “mistero”, la Chiesa nasce dalla Parola di Dio, da essa è continuamente generata, attorno ad essa si raccoglie, di tale Parola vive e si nutre soprattutto nella Liturgia, da questa riceve il contenuto e la regola suprema della Fede che è la Rivelazione; 7


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la Parola di Dio che annunciamo al mondo e della quale siamo debitori al cospetto di ogni persona. Un’attenta lettura del cap. VI della Dei Verbum, soprattutto nei nn. 21 e 25 ci aiuterà a ben comprendere il ruolo e l’importanza della Parola nella vita della Chiesa. Ma nell’originalissima Rivelazione biblica la Parola di Dio è Persona, è Gesù. La fede cristiana non professa soltanto una dottrina, un logos, professa una Persona, una Vita, quella di Dio donata per noi, offerta come nuova alleanza come vincolo di comunione tra l’uomo e Dio. Per questo la parola tende, per intimo slancio, ai Sacramenti che rappresentano, per l’azione dello Spirito, il vertice della sua forza e della sua efficacia (cfr. L.G. 7e11). Parlo soprattutto del Battesimo, porta d’ingresso alla vita cristiana, e dell’Eucarestia “fonte e culmine” di tutta l’attività della Chiesa e del nostro stesso vivere da credenti. Il “Mistero della Chiesa” su cui vogliamo sostare in questo primo grappolo di anni del nuovo decennio, si costruisce qui: nell’ascolto e nell’annuncio della Parola; nell’evento Sacramentale che va dal Battesimo all’Eucarestia e nella maturità di fede con cui la nostra Chiesa, è capace di accogliere, di rispondere con la vita, di trasmettere e costruire in altre vite la positiva risposta al dono che noi stessi abbiamo ricevuto. E questo non solo teologicamente o spiritualmente ma soprattutto pastoralmente. Il nostro programma pastorale per il futuro triennio si muoverà dunque all’interno di questo triangolo: la Parola – i Sacramenti (Battesimo-Eucarestia) – la Fede. Appare già in trasparenza che il “filo rosso” di questa vicenda è riconducibile ad un cammino, di comunità, di persone, tipicamente indicato come Iniziazione Cristiana: è l’itinerario alla maturità della Fede sotto la guida della Parola di Dio che va dal primo incontro sacramentale con Cristo nel Battesimo alla comunione piena con la Sua persona e la Sua vita nell’Eucarestia. È il percorso che ci ha 8


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fatto cristiani e ci ha resi Chiesa; è quanto cercheremo di ravvivare in noi; è, infine, quanto desideriamo far vivere e trasmettere alle nuove generazioni ed a chi si volge alla fede ed alla persona di Gesù con la domanda del Battista, che è la domanda di sempre: “sei tu colui che deve venire o dobbiamo attendere un altro?” (Lc 7,19).

2. L’icona biblica “in quei giorni comparve Giovanni il Battista…” (Mt. 3,1). Ricordiamo tutti come, nella seconda parte dello scorso anno pastorale, ci ha accompagnato l’icona biblica della traversata del “mare” (come Matteo chiama il lago di Galilea) in tempesta e l’immagine del “camminare sulle acque”. Era la preparazione all’evento vigilare della Pentecoste: espressione incoraggiante e carica di speranza per la nostra Chiesa; era anche il punto di sintesi del cammino pastorale dell’anno. Quello dell’icona biblica non deve sembrare uno sfizio. Partire da un’icona biblica, lasciarci guidare da essa nei nostri procedimenti di riflessione e di azione pastorale, ad essa riferirci e ritornare, ci aiuta a trovare un metodo comune di procedimento e di lavoro: partire dalla parola di Dio, con essa confrontarci e lasciarci normare, ad essa riconsegnarci al termine di ogni tappa; sviluppare il tessuto connettivo tra la Parola di Dio e la nostra vicenda ecclesiale e pastorale perché non siano disancorate o addirittura discordi. Il riferimento all’icona biblica ci aiuta anche a camminare insieme, a crescere nell’unità, a sviluppare un linguaggio comune e, ciò che ancor più conta, una mentalità, un’ispirazione di pensiero, comune. È un avanzare verso “un cuor solo ed un’anima sola” di cui abbiamo forte bisogno come Chiesa e come Presbiterio. Inizia dunque il nostro cammino, la nostra traversata del decennio, in particolare di questo primo triennio: ci sarà compagno di strada 9


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e guida la figura di Giovanni il Battista. La sua vicenda e la sua persona, come risulta da testi biblici (Evangeli ed Atti degli Apostoli), è quella di un percorritore di strade, strade difficili, aride, contrastate, verso l’incontro con il Messia, il Signore. È dunque l’uomo del cammino: è la sintesi della voce dell’Antico Testamento, è colui che raccoglie la vicenda d’Israele e la conduce incontro a Cristo, è l’evangelizzatore della speranza per il suo tempo ma attraverso le esigenze radicali della conversione, è discepolo che compie un proprio itinerario di fede verso la persona di Gesù come Cristo, è formatore di discepoli e guida al cammino dei fratelli, è testimone fino al sangue dello “Sposo” di cui egli è amico. In questa trafila di esperienza che accosta il Battista al cammino del credente, all’esperienza ed alla vicenda della Chiesa, Giovanni può esserci di guida e di confronto sulle strade che Lui ha percorso e sulle quali noi c’inoltreremo o cercheremo di avanzare: l l l l l l

L’annuncio della Parola La conversione Il Battesimo La povertà L’amicizia con lo sposo La testimonianza fino al dono della vita

È un percorso prezioso di vita e di annuncio, speculare o almeno analogo a quanto cercheremo di fare come Chiesa di Pistoia, dopo la traversata del lago, mentre cerchiamo di rivivere nelle nostre comunità e nel Presbiterio e di far risplendere agli occhi e nella vita dei fratelli e della città il “Mistero della Chiesa”. Lo faremo rivisitando e facendo scelte importanti sull’itinerario dell’iniziazione cristiana, del diventare cristiani; in alcuni aspetti del servizio alla Parola nell’annuncio e nella celebrazione; in certe urgenze ed emergenze del comunicare la Fede oggi e dell’“educare alla vita buona del vangelo”; Giovanni il Battista sarà dunque la nostra guida, il nostro compagno di strada. 10


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3. L’Iniziazione Cristiana “Giovanni rispose a tutti dicendo: ‘Io vi battezzo con acqua; ma viene uno che è più forte di me, al quale io non son degno di sciogliere neppure il legaccio dei sandali: costui vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco’ ” (Lc 3,16) Non intendo certo addentrarmi sulle problematiche e le discussioni in atto circa il rinnovamento dell’Iniziazione Cristiana, le sperimentazioni e le verifiche richieste dalla stessa CEI, che potrebbero condurre ad una revisione dei Catechismi oltre che del Documento base. Vorrei partire da due punti: una chiarezza concettuale ed un dato esperienziale. La chiarezza concettuale sta sotto la domanda: l’Iniziazione Cristiana cos’è? Essa è un punto assolutamente decisivo per la nostra vicenda di Chiesa e per la vita delle persone. L’Iniziazione Cristiana è il processo attraverso il quale siamo resi cristiani, accogliamo cioè, con responsabile libertà, il dono della Fede, siamo consegnati definitivamente all’evento della Salvezza operato dalla Pasqua di Gesù; diventiamo parte di una comunità di fratelli che è la Chiesa; condividiamo una storia comune autorevolmente testimoniata nella Bibbia e nella Tradizione della Chiesa; ci esprimiamo, per così dire, in un medesimo linguaggio che è la celebrazione, la carità, la preghiera; condividiamo uno stesso obiettivo: servire il mondo in ordine alla Salvezza attraverso l’annuncio e la testimonianza del Vangelo. È chiaro allora che l’Iniziazione Cristiana non è un frammento della vicenda e della vita cristiana, come un ramo dell’albero, ma ne è il tronco, cioè il procedimento che lo fa nascere, lo struttura, lo alimenta e lo sostiene. È anche chiaro che l’Iniziazione Cristiana permette al “Mistero della Chiesa” di accadere nella vita delle persone, o meglio accompagna 11


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ed introduce il cammino di ogni persona dentro la luminosità e la gioia di tale “Mistero”, di vivere in esso e vivere di esso. È questione assolutamente vitale per noi. Il secondo punto è un dato esperienziale che appartiene, in forme diverse, a ciascuno. Molti luoghi di contatto tra la Comunità cristiana e la vita della gente si stanno oggi indebolendo e rarefacendo. Tra quelle che rimangono ancora forti e solide c’è il desiderio delle famiglie e delle coppie, anche giovani, che i loro bambini vengano battezzati. Vi è perciò un punto di incontro e di dialogo che è oggettivamente interessante ed importante perché è di natura sua “progettuale”, aperto al futuro e tocca l’impostazione di vita della stessa comunità familiare: la giovane famiglia o coppia che chiede il Battesimo del proprio bambino. Credo che come Chiesa, negli anni che abbiamo dinanzi, dobbiamo mettere bene a fuoco questo momento.

3.1 La richiesta del battesimo e la famiglia Non possiamo fare tutto, non possiamo fare subito, non abbiamo le competenze e le risorse, come Diocesi, per affrontare la revisione del percorso di Iniziazione Cristiana. Ci merita, su questo, attendere l’esito della verifica nazionale e gli orientamenti dei vescovi italiani. Una cosa però possiamo farla, la possiamo fare tutti ed insieme: dedicare attenzione elettiva e più intensità di risorse alle famiglie che chiedono il Battesimo dei loro bambini. Questo, peraltro, intercetta un problema già lungamente rilevato nell’ambito dell’ordinaria catechesi: la difficoltà di coinvolgere la famiglia nell’itinerario formativo dei ragazzi. La stagione del Catechismo, chiamiamola così, evidenzia il silenzio nell’ambito religioso, l’indifferenza se non la contro-testimonianza di tante famiglie rispetto alla proposta cristiana offerta dalla Parrocchia, e la rende vana, la banalizza, la spegne nella vita dei ragazzi. L’incontro all’inizio della strada: la richiesta del Battesimo della 12


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giovane famiglia o della coppia, per il bambino, è una situazione semplice, propizia, pressochè accessibile a tutti, sulla quale merita porre attenzione ed impegno a vantaggio del bambino stesso, nella cui vita si compie oggettivamente un evento di Grazia, Trinitaria ed Ecclesiale, che non ha l’eguale in tutto il corso dell’esistenza. Ma tale evento risulta, derivatamente, un dono anche per i genitori. La richiesta del Battesimo, mettendoci in contatto diretto con le famiglie, ce ne fa incontrare la tipologia variata: sono, per lo più, coppie giovani, tra cui sono ampiamente presenti: divorziati, conviventi, sposati o risposati solo civilmente, qualche volta single. È opportuno ricordare che oggi, anche nel nostro contesto, quasi la metà delle coppie non sposa in Chiesa. Essi, spesso, dopo anni di lontananza, talora indifferente, talora polemica, dalla Chiesa, entrano nuovamente in contatto con noi in una stagione della vita ricca di emozioni, di progetto, di apertura alla speranza. Sempre più sono le coppie che, in questa occasione, incrociano la Comunità cristiana per la prima volta, dopo molti anni dalla loro Cresima o, magari, dal loro Matrimonio. Queste famiglie sono effettivamente dei “lontani” o dei “credenti della soglia”. Il più delle volte chiedono per il loro figlio il dono della Fede, magari spinti da motivazioni esterne, senza neppure saper bene cosa in realtà chiedono. Viene in mente la considerazione di Gesù sui due figli di Zebedeo “voi non sapete che cosa state chiedendo” (Mt 20,2). Credo che, lasciata a se stessa, anche questa possibilità di incontro, di dialogo e di evangelizzazione, andrebbe progressivamente assottigliandosi, moltiplicando ed approfondendo la distanza. Abbiamo dunque bisogno di assumerla, di focalizzarla, di porla al centro della nostra attenzione pastorale, perché è una delle ultime occasioni che abbiamo per parlare a tante persone, adulti e giovani-adulti, del Vangelo, della persona del Signore e di far loro sperimentare che grande dono è, per la vita, la fede e l’amore di Dio. L’Iniziazione Cristiana dei bambini, focalizzata sul momento del 13


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Battesimo, si apre così in molti casi a diventare, esemplarmente anche per altri momenti o Sacramenti, una pastorale delle famiglie e delle coppie: una grande occasione di evangelizzazione, cioè di primo annuncio e di accoglienza dei “lontani”. Richiamo, in questo contesto, l’importanza analoga della Messa di prima Comunione, dove pure il coinvolgimento dei genitori in un itinerario catecumenale di riscoperta e riappropriazione della fede è possibile e necessario, facilitato anche dal fatto che i figli seguono un itinerario catechetico di almeno due anni. Se sapremo viverla così, l’Iniziazione Cristiana dei bambini e l’incontro con la famiglia o la coppia che chiede il Battesimo, se sapremo porci non solo come Chiesa che subito esige dei “requisiti di idoneità”, ma come Chiesa-madre, Chiesa come presenza di un “mistero” che annuncia, perdona, pazienta, converte, accompagna, e si affida alla libertà ed alla volontà delle persone chiamate a porre una scelta, allora questo momento di incontro e di evangelizzazione può diventare una grazia grande anche per noi. Può condurci ad assumere e testimoniare con nuova intensità il “Mistero della Chiesa” ed a portare avanti scelte e percorsi che già in questi anni abbiamo intravisto.

3.2 Uno “snodo” per la vita della Diocesi Focalizzare l’attenzione sull’Iniziazione Cristiana dei bambini nel momento in cui i genitori chiedono il Battesimo non è solo cogliere un particolare, fare, per così dire, un primo piano. È invece collocarci su uno “snodo” della vita ecclesiale, che ci apre dinanzi nuove conseguenze e nuove scelte, alcune delle quali, come dicevo, già intravviste e proposte nei programmi pastorali 20082011, che avranno così una loro continuità e rafforzamento. Non mancheremo di indicarli più accuratamente. Intanto però vorrei notare come la scelta di porre l’attenzione sulle coppie che chiedono il Battesimo per i bambini, mentre li impegna 14


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ad un percorso educativo (e lo vedremo), educa anche noi. Infatti parlare ad essi, soprattutto ai “lontani” ci interrogherà sul modo con cui parliamo loro, sulle priorità dei contenuti dell’annuncio rispetto ad altri più normativi ed applicativi, sulle modalità per rendere comprensibile il vangelo oggi così che possa mostrarsi “potenza di Dio per la Salvezza di ogni persona”. Questo ed altro ancora. Più semplicemente dobbiamo credere che queste coppie e famiglie è il Signore che ce le manda, talora per vie contorte; anche attraverso la lontananza ed incredulità di molti di loro, Dio ci parla, ci invita, ci converte. L’annuncio del vangelo a queste persone diventa per la nostra Chiesa, per le Parrocchie e le Associazioni, l’occasione di una conversione pastorale, che mette al centro gli adulti, che riparte dal primo annuncio, che accoglie i poveri ed i lontani. Sarà allo stesso tempo lo stupore di scoprire la verità dell’affermazione paolina, che il vangelo è “potenza di Dio e salvezza di Dio”. Non dobbiamo aver paura di annunciare il vangelo, avendo l’umiltà di riconoscere che forse i nostri linguaggi ed i nostri metodi, le nostre strutture pastorali non sempre sono adeguate. Non si tratta però di buttare via il vecchio, ma di fare come lo scriba del Regno, che “trae fuori dal suo tesoro cose nuove e cose antiche”.

3.3 Il dono dei laici La pastorale delle famiglie e coppie che chiedono il Battesimo per il loro bambini ci impegnerà anche a coinvolgere i laici. Non che questo sia motivo fondamentale della loro partecipazione competente e responsabile alla vita della Chiesa, né l’ambito tipico del loro operare. Ma certo, per la nostra Chiesa, aprire questa frontiera comporterà il rafforzamento e l’avanzamento di una linea già più volte insistita e motivata durante questi anni: la promozione e la responsabilizzazione del laicato. Senza tornare materialmente a ripeterle, richiamo e pongo nuovamente l’urgenza di una scelta decisa e 15


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non reversibile delle nostre Comunità in questa direzione. Questo aspetto del programma pastorale ce ne dà l’occasione ed offre un nuovo ambito di collaborazione e di corresponsabilità al laicato. Anche in questo campo, come già abbiamo fatto per i gruppi di ascolto del vangelo, occorrerà avere la saggezza ed il coraggio di individuare persone disponibili al servizio, sostenerle, formarle. L’esperienza dei gruppi di ascolto dimostra che non è impossibile, ci vuole però metodo e costanza nel lavoro. Il centro Diocesi non farà certo mancare il proprio aiuto ed il proprio servizio. Per la formazione dei laici è importante valorizzare ed attrezzare, sui temi specifici, la grande risorsa della Scuola Diocesana di Formazione Teologica. Questo settore di contatto e di accompagnamento dei genitori, come percorso di evangelizzazione e formazione, in occasione del Battesimo dei figli può essere un bel settore di presenza e di impegno anche per i Diaconi, ponendo però attenzione alla capacità ed alla specifica preparazione di ciascuno.

3.4 Le Parrocchie in alleanza Anche su questo aspetto ho lungamente insistito nei programmi pastorali 2008-2011 e, negli stessi anni, abbiamo lavorato con i Sacerdoti, i laici, gli organismi ecclesiali per promuovere mentalità ed organizzazione. Non tornerò dunque a ripetere quanto già detto e scritto. Continueremo su questa strada anche nel prossimo triennio, con la promozione della mentalità e con l’organizzazione ed il raccordo tra le parrocchie. Aggiungo semplicemente che la focalizzazione sull’Iniziazione Cristiana ed il Battesimo dei bambini unitamente alla scelta di evangelizzare i genitori costituirà un’ulteriore spinta ed occasione su questa strada. Emergerà infatti la necessità di aiutare le piccole parrocchie e di coordinare il lavoro tra parrocchie limitrofe, in modo 16


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da offrire una proposta valida alle famiglie. Questo poi richiederà l’organizzazione ed il coordinamento del Vicariato e dei Consigli Pastorali oltre che l’aiuto del centro Diocesi. È facile vedere come torniamo a toccare punti di attenzione e di impegno già segnalati ed attivati in questi anni.

3.5 Il ruolo dei Presbiteri Ritengo che la scelta fatta, naturalmente senza essere esaustiva o decisiva, però spinga ed aiuti gli stessi Sacerdoti a ritrovare la specificità del loro ruolo e del loro apporto. Li porterà infatti a sviluppare ed approfondire una corresponsabilità con i laici, ritrovando lo specifico del proprio ministero nella “sintesi.” Non chiamati a fare tutto o di tutto un po’, anche se spesso le emergenze e le impazienti attese della gente spingono a questo, ma impegnati a riconoscere e valorizzare i ministeri ed i carismi presenti anche nelle comunità più semplici, seppur con difetti e limiti, a promuoverli e coordinarli al servizio dell’unità. Certo, torno a dirlo, dobbiamo avere il coraggio di investire sui laici, di non risolvere i rapporti o le tensioni subito con il principio di autorità, di cercare effettivamente il dialogo nella comunione. Occorrerà pure rafforzare il servizio del centro Diocesi in collaborazione stretta con i vicariati ed i presbiteri, senza mai scavalcarli o sostituirsi ad essi.

3.6 Cosa faremo? Dopo le considerazioni fatte ci attendiamo ora l’indicazione precisa di iniziative e tempi, di cose da fare. Dobbiamo certo passare al concreto, all’operatività pastorale e domandarci: allora, cosa dobbiamo fare? La risposta è in costruzione e la costruiremo insieme, come Presbiterio e come Chiesa di Pistoia. 17


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Se vogliamo che la pastorale del Battesimo divenga un’occasione di vero annuncio e di evangelizzazione, dobbiamo impostarla in modo diverso da come non raramente si è fatto fino ad oggi. Non può essere risolta nella preparazione, più o meno frettolosa, del rito o poco più. Dovrà divenire invece un percorso di accompagnamento in stile catecumenale delle coppie che preveda perciò: l’annuncio, la preghiera, l’esperienza della carità, la partecipazione ai momenti qualificanti di vita della Comunità Cristiana, l’accompagnamento personale. Ciò significa che si dovrà andare nella direzione di una riscoperta della preparazione del Battesimo come itinerario catecumenale con i genitori dei bambini. A dire il vero questa è una sensibilità già nota da tempo nella Chiesa Italiana (cfr. il Documento di Base; il Direttorio Generale della Catechesi). Certo l’itinerario ha bisogno di essere costruito nei contenuti, strutturato nell’articolazione e nella successione, ma già diverse Diocesi in Italia si sono mosse in questo senso. Analoga proposta ed adeguato percorso di formazione dovrà accompagnare i genitori alla prima Comunione dei figli. Né si deve perdere di vista che la celebrazione del Battesimo non è solo un evento personale o familiare: esso è un atto ecclesiale, che chiama e coinvolge l’intera comunità cristiana, dentro la quale la famiglia si colloca e nella cui fede il bambino è battezzato. Sarà dunque opportuno insistere perché il Battesimo avvenga all’interno della propria parrocchia ed in occasioni prestabilite, liturgicamente significative e che vedano il coinvolgimento della comunità. Si tratta ora di individuare un progetto, di enucleare gli obiettivi che ci proponiamo, di studiare un percorso che, nei tempi e nell’impegno che richiede, sia secondo le nostre forze e secondo le risorse di persone e di tempo che abbiamo, in modo da non fare “castelli in aria”. Si tratta ancora di affrontare la formazione dei presbiteri e degli operatori di questo settore. Chiedo che, in ciascuna di queste fasi, sempre si parta dalla co18


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noscenza e dalla riflessione sulla nostra realtà, si coinvolga perciò la Diocesi attraverso i vari organismi di partecipazione e si dia il tempo necessario all’ascolto delle comunità e dei Presbiteri. Questo porterà ad un percorso formativo che nasce dalla condivisione ed è sentito da tutti come un patrimonio comune. È l’intera Diocesi infatti che deve camminare, non qualcuno o qualche gruppo di “bravini”: è la Chiesa come tale che annuncia e forma, non gli specialisti della pastorale. Certo gli ”specialisti” sono necessari, ed io non prescindo dall’ipotesi di formare una equipe per seguire questa specifica scelta pastorale, ma essi raccolgono e promuovono un orientamento condiviso dalla nostra Diocesi. Sarà importante curare l’efficienza e la necessaria organizzazione dei tempi e dei programmi, ma sempre e soltanto insieme alla necessità di coinvolgere e coinvolgerci tutti. Dovrà essere anche questa un’occasione di Sinodalità, nel senso del camminare insieme. Potrà essere anche un’occasione vera di conversione e di crescita per la nostra Diocesi e per le nostre Comunità cristiane. Volendo sintetizzare quanto espresso sulla pastorale delle coppie che chiedono il Battesimo dei figli, direi così: È prevalentemente una pastorale di annuncio e di evangelizzazione dei “lontani” l È una pastorale delle famiglie e delle coppie l È una pastorale che mette al centro gli adulti l È una pastorale di stile catecumenale l

Perché essa possa diventare un itinerario elaborato e proposto dalla nostra Diocesi, occorre: Lasciarci interrogare ed evangelizzare dal Signore che ci parla attraverso queste famiglie e coppie l Essere una Chiesa che accoglie e che è madre l Lavorare alla formazione dei Presbiteri ed alla loro impostazione l

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ministeriale come uomini che servono la sintesi dei ministeri nella comunità Lavorare nello stile sinodale all’elaborazione di un progetto Coinvolgere i laici ed individuare nuove ministerialità e disponibilità Curare bene la formazione integrando il centro Diocesi, i vicariati e le parrocchie (coinvolgere i Consigli Pastorali) Lavorare in alleanza tra parrocchie e valorizzare il vicariato

3.7 I tempi Torno ancora a precisare che il tempo deve essere un aiuto, non un ostacolo, per raggiungere gli obiettivi del lavorare insieme. Il percorso che propongo è perciò suscettibile di adattamento. Una prima tappa consisterà nella presentazione e studio di un’ipotesi di progetto, elaborato da un’apposita commissione, in modo da raccogliere osservazioni e suggerimenti. Questo sarà anche un modo per iniziare a formare una “mentalità catecumenale” nelle nostre comunità. Ci impegneremo inoltre nella individuazione, da parte delle parrocchie e dei vicariati, in collaborazione con Associazioni e Movimenti, delle persone che potranno svolgere il servizio di animatori. La tappa successiva sarà incentrata sulla formazione degli animatori, con il coinvolgimento della Scuola Diocesana di Formazione Teologica; contemporaneamente dovremo portare avanti l’impegno di mentalizzare nella Diocesi. Un piccolo gruppo di parrocchie inizierà già un percorso sperimentale, in modo da avere qualche esperienza da condividere alla fine del percorso di formazione degli animatori. L’ultima tappa prevede il mandato conferito agli animatori e l’inizio dell’esperienza in Diocesi con le necessarie verifiche.

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4. Il ripristino del Catecumenato degli Adulti È questo un fatto che sta crescendo nell’ambito dell’Europa, compresa l’Italia, dove il Battesimo degli adulti è in aumento costante. Nella nostra Diocesi, per i dati che riesco ad avere, il fenomeno è ancora ben limitato: attorno alle 10 persone l’anno. Al di là del dato numerico, questo aspetto ha una sua importanza qualitativa, perché ci dà l’opportunità di sperimentare un percorso di Catechesi e di accompagnamento degli adulti alla Fede che risulta indubbiamente fecondo per tutta la nostra impostazione pastorale. Ci offre l’occasione di metterci in uno stato di missione, ci dà un metodo ed un percorso di annuncio ai “lontani”, ci aiuta a convertirci lasciandoci seriamente interrogare dalle domande della gente. Può anche essere l’inizio, o almeno una spinta, per quella nuova inculturazione della Fede che già si sta evidenziando in Europa. È chiaro che quello di cui ci occupiamo non potrà essere un fenomeno di massa, ma certamente un punto interessante, un lievito che può fermentare nel tempo la vita ecclesiale. Anche in questo caso la sfida non è facile perché non si tratta solo di fornire dei percorsi da seguire, ma di far crescere la Diocesi nello stile dell’annuncio e della Catechesi catecumenale, di preparare le comunità cristiane, di studiare forme di condivisione interparrocchiale o diocesana ed altro ancora. Il ripristino del catecumenato potrebbe sembrare numericamente una piccola cosa, ma è capace di molta vitalità e grazia per la nostra Chiesa, a patto che sappiamo farlo diventare una vicenda ecclesiale e non di settore. Dovremo pertanto motivare, coinvolgere, esortare e condividere, perché il cammino, anche qui, sia sinodale ed ecclesiale. A questo modello di Catecumenato degli adulti possiamo ricondurre, con le necessarie specificazioni, anche il caso degli adulti che si accostano alla Cresima. Calcolo che, nella nostra Diocesi, siano circa 150 ogni anno. Non possiamo sbrigarcela con qualche incontro e 21


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poi ammetterli a ricevere il Sacramento: sono adulti, hanno il diritto ed il dovere di una scelta maturata sulla responsabilità. So bene che molti di loro arrivano nell’emergenza del matrimonio, ma alcune scelte precise della Diocesi potrebbero certamente aiutare a creare la diffusa mentalità che chi desidera ricevere il Sacramento della Confermazione si impegna a fare un percorso formativo adeguato alla età e maturità della persona. Una terza categoria è riconducibile al catecumenato degli adulti ed è quella detta (con non brillante espressione) dei “ricomincianti”. Sono quelle persone che, pur avendo ricevuto i Sacramenti dell’Iniziazione Cristiana, si sono poi allontanati dalla Chiesa e dalla vita di Fede. In nuove stagioni della vita sentono il bisogno e decidono di riaccostarsi alla Fede. Della loro identità, coscienza e conoscenza cristiana poco o nulla rimane: c’è la preziosità di un desiderio, di una spinta, da non lasciar cadere. Le nostre parrocchie, la nostra Diocesi, non sono attrezzate per rispondere a queste persone ed a queste richieste. Molto di più lo sono i Movimenti. Noi, di solito, oltre qualche colloquio personale non andiamo. Allora il Catecumenato degli adulti potrebbe essere pensato anche per queste persone che, almeno formalmente, Catecumeni non sono, ma certo iniziano nuovamente il cammino della Fede. Credo che su questo punto del Catecumenato degli adulti ci sia bisogno di ulteriore riflessione e valutazione, anche da parte del centro Diocesi. Perciò l’anno pastorale 2011-2012 potrà essere impegnato in questo, anche attraverso il lavoro di una commissione, che poi ne investa il Consiglio Presbiterale e la Commissione Pastorale Diocesana. I due punti del Programma pastorale 3 e 4 sulla pastorale delle Famiglie e Coppie che chiedono il Battesimo per i bambini e sul ripristino del Catecumenato degli adulti, li affido, per lo studio e l’attuazione all’Ufficio Catechistico Diocesano, con la collaborazione dell’Ufficio diocesano per la Famiglia e dell’Ufficio Liturgico. 22


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5. L’omelia “con molte esortazioni Giovanni il Battista annunziava al popolo la Buona Novella” (Lc 3,18) In questo cammino d’inizio decennio che ci conduce a riscoprire il “mistero della Chiesa” ed a farla brillare, come testimonianza, dinanzi alle persone e nel cuore della città, un momento di capitale importanza, come abbiamo detto (cfr. pag. 6-7), è costituito dall’evento della Parola e dal servizio che ad essa la Chiesa rivolge. Sopra un punto preciso di tale servizio vorremmo in questo triennio, focalizzarci, perché costituisce un elemento di insostituibile importanza nella edificazione della Comunità Cristiana ed anche nell’incontro e nell’annuncio ai “lontani”: l’Omelia. Non mi addentro in considerazioni di Teologia Liturgica né di Teologia Pastorale, poiché non appartengono strettamente ad un “programma” come questo. Rimando però ciascuno di voi a qualche lettura di approfondimento perché a nessuno sfugge l’orizzonte motivazionale e di valore che sostiene questa nostra scelta. In particolare indico la lettura dei n° 50-89 della Esortazione Apostolica postsinodale “Verbum Domini” del Papa Benedetto XVI° (2010) dove, il compito e le caratteristiche dell’Omelia vengono collocate nel quadro della Parola di Dio nella vita della Chiesa. Al n° 59 il Santo Padre scrive: “in relazione all’importanza della parola di Dio si pone la necessità di migliorare la qualità dell’omelia”. Essa rimane uno strumento formidabile al servizio della Parola: è momento celebrativo ed insieme aiuta a comprendere e vivere la celebrazione; è educazione permanente alla Fede; è forza e rigenerazione della vita di fraternità nella Chiesa; è annuncio di vangelo a chi non crede (ed in certe circostanze riempie le nostre Chiese); è traghettamento del vangelo alla vita e perciò itinerario alla santità. Oggi l’omelia appare frequentemente come punto di debolezza e di crisi delle nostre celebrazioni e del nostro annuncio. Se un concerto 23


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fallisce o è colpa dello spartito o è colpa degli esecutori. Credo che non potremmo avere uno spartito migliore: la Parola di Dio. È dunque sugli esecutori che dobbiamo porre l’attenzione e l’impegno di formazione. Scriveva l’allora Card. Ratzinger: “parlare della crisi della predicazione è ormai diventato oggi un luogo comune: il suo contenuto, il suo metodo, la sua collocazione sono ugualmente divenuti discutibili; sorgono tentativi di riforma di diversissima natura, dalla fuga in un rigido biblicismo fino allo schietto dialogo nella comunità, nel quale i presenti si limitano a scambiare le loro opinioni ed a cercare eventualmente delle massime per una condotta comune, sulla base delle loro opinioni acquisite insieme. Dietro tutto ciò sta, come causa centrale, la crisi della coscienza di Chiesa” (Dogma e Predicazione, Brescia 2005, pag. 11). Riqualificare il servizio dell’omelia è un impegno che può attraversare la comunità cristiana, con un gruppo di fratelli che si riuniscono attorno al presbitero, nella preparazione. In alcune parrocchie della Diocesi viene fatto. Esso è soprattutto un compito ed un impegno per noi, ministri della Parola: Vescovo, Preti, Diaconi. Per questo lo focalizzeremmo in alcuni incontri di formazione del Clero. Ma soprattutto ritengo che potremmo reciprocamente aiutarci, come presbiteri, a meglio curare l’omelia nella Celebrazione Eucaristica, intensificando insieme il vincolo della fraternità presbiterale con riferimento sia alla Parola sia alla Comunità Cristiana, cui dobbiamo spezzare il pane della Parola di Dio. In concreto ed anche come tentativo di ricerca e di sperimentazione, propongo, nel tempo dell’Avvento 2011, di ritrovarci, ogni Giovedì, dalle ore 10 a pranzo, presso Villa Rospigliosi per aiutarci a preparare insieme le omelie delle Domeniche d’Avvento. Ci organizzeremmo tra quelli che saremo presenti (preti e diaconi), per cercare di dare migliore qualità a questo servizio, umile ma decisivo, per la crescita del popolo di Dio. Ci lasceremmo condurre dal metodo suggerito nel Sinodo del 24


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2008 e poi ripreso nell’esortazione apostolica Verbum Domini: “Che cosa dicono le letture proclamate? Che cosa dicono a me personalmente? Che cosa devo dire alla Comunità, tenendo conto della sua situazione concreta?” (n° 59). È una proposta semplice e fraterna, spero accessibile a molti, che rivolgo a Sacerdoti e Diaconi; poi insieme valuteremo la sua utilità. Affido all’Ufficio Liturgico la cura di questa iniziativa.

6. I gruppi di ascolto del vangelo Continuando a rimanere dentro il tema del servizio alla Parola, come risorsa per ravvivare il dono della Chiesa, nelle nostre comunità e dinanzi al mondo, richiamo alla vostra attenzione i gruppi di ascolto del Vangelo. Non mi soffermo sulle loro motivazioni e caratteristiche, rimandando a quanto scritto nei programmi pastorali del 2008-2010 e 2011. Dopo averli faticosamente iniziati, abbiamo costatato, nella verifica annuale dello scorso Giugno, che stanno procedendo in maniera soddisfacente. Occorre in questo triennio non perderli di vista: sostenerli, accompagnarli, riproporli e rimotivarli all’intera Comunità Cristiana, farli nascere dove ancora non ci sono. Faccio appello, in questo, all’impegno e alla dedizione dei parroci, perché non si stanchino di incoraggiare e di sostenere. Faccio appello anche alla generosità ed allo spirito di servizio degli animatori di tali gruppi, perché non si arrendano, anche nell’esperienza della fatica e dell’apparente scarsità dei risultati. Occorrerà che la Diocesi non cessi di aiutare queste persone nel loro compito, mettendole in grado di adempierlo con preparazione e con frutto. Sarà importante riuscire ad individuare tra gli animatori dei GdA una piccola equipe, di osservazione, valutazione ed aiuto in questo settore. La collaborazione con la Scuola Diocesana di Formazione Teologica sta crescendo, e già quest’anno il libro biblico proposto sarà in essa 25


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affrontato e studiato. Da parte mia continuerò il servizio alla città ed alla Diocesi, commentando tale testo biblico, durante la Quaresima, in Cattedrale. Ritengo inoltre opportuno incontrare specificamente tutti gli animatori dei GdA per sostenerli nel loro compito e nel loro importante servizio. Il libro proposto in questo anno è il vangelo di Luca, nella sua parte centrale (insegnamenti, parabole, guarigioni), proponendoci di affrontare nel prossimo anno i testi pasquali ed in quello successivo il vangelo dell’infanzia di Gesù. Ogni anno verrà preparato un sussidio adeguato, in aiuto e sostegno agli animatori ed ai gruppi. Questi tre sussidi, al termine del triennio, potrebbero costituire la base per il cammino catecumenale delle coppie e famiglie che chiedono il Battesimo dei bambini, per gli adulti che si preparano alla Cresima e per i “ricomincianti” (cfr. punti 3 e 4 del programma). È una prospettiva che ci permette di unificare le forze su questi obiettivi “prioritari” e di non disperderci o dissipare le risorse. Affido questo punto del programma all’Ufficio Catechistico Diocesano con la necessaria collaborazione degli altri Uffici interessati.

7. La pastorale giovanile “… per ricondurre il cuore dei padri verso i figli ed i ribelli alla saggezza dei giusti e preparare al Signore un popolo ben disposto.” (Lc 1,17) L’itinerario che percorriamo in questa riassunzione della “Chiesa come mistero” perché possa risplendere nella nostra vita ed in quella delle nostre Comunità, prevede, come abbiamo detto (cfr. pg. 9) di fare scelte importanti su alcune urgenze ed emergenze del comunicare la Fede oggi Una delle grandi sfide del nostro presente e dell’immediato futuro è certamente il mondo giovanile, la presenza e la proposta che, come Chiesa, riusciamo e riusciremo ad esprimere in esso. La 26


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pastorale giovanile si impone con forza sull’orizzonte del nostro discernimento e delle nostre scelte di Chiesa. In merito, ogni volta che ne parliamo tra preti ed operatori pastorali, rilevo una coralità di preoccupazione e, talora, di accorata rassegnazione. La nostra Diocesi ha lungamente camminato in questo settore, sotto l’impulso e la direttiva di Mons. Simone Scatizzi, con intenzioni e scelte differenziate e feconde. Dobbiamo dare atto all’Ufficio di Pastorale giovanile di aver saputo raccogliere e “dare corpo”, sotto il profilo pastorale, a questa sensibilità del vescovo. Oggi si tratta, continuando la positività del lavoro iniziato, di riuscire a catalizzare le forze che ci sono in Diocesi e farle convergere verso un impegno comune e condiviso che porti a far crescere un percorso diocesano di pastorale giovanile da attuarsi, con la necessaria elasticità, dentro le comunità cristiane. La scuola della parola, la preparazione e partecipazione alle GMG, altre interessanti iniziative di formazione pensate e sperimentate in questi anni, sono certamente da curare e da continuare. Da parte mia porterò avanti il servizio della “Scuola della Parola” per i giovani. Come obiettivo di questo triennio propongo, appunto, la configurazione di un percorso di pastorale giovanile, possibile per le nostre parrocchie. Non si tratta semplicemente di stendere un programma, con obiettivi e percorsi, si tratta, ancor prima, di continuare a metterci insieme, sacerdoti e laici, organismi ecclesiali di riflessione e di partecipazione, per cercare di capire il mondo dei giovani oggi, le motivazioni di lontananze e rifiuti, le fatiche che ci sono richieste per raccogliere le sfide, le opportunità che i giovani offrono oggi alla società ed alla Chiesa, affinché questa nostra Chiesa pistoiese possa rendersi grembo fecondo per la generazione della Fede nei giovani. È questo un lavoro preliminare da fare, ad ampio raggio, per creare una mentalità accogliente ed un contesto diocesano favorevole ad un lavoro di Pastorale Giovanile. Senza di essa qualunque progetto, buono o cattivo, sarebbe semplicemente inutile. 27


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Occorrerà anche riunire gli operatori (preti e laici) dei gruppi giovani presenti in Diocesi, ivi compresi i Movimenti e le Associazioni, ed insieme a loro guardare alla nostra realtà diocesana, alle parrocchie, e cominciare a sillabare una proposta di Pastorale Giovanile che non sia velleitaria o teorica, ma possibile per noi, per le nostre forze e le nostre risorse. Deve essere però un progetto che nasce dal contributo di tutti, condiviso fin dal suo sorgere e portato avanti insieme. Mi sembra che il percorso diocesano fin qui compiuto sia un buon inizio per questo lavoro. Più dettagliatamente, ritengo che dobbiamo partire dallo studio della situazione per creare, nel presbiterio e nei fedeli laici, un contesto ed una mentalità ad investire su questo settore. Elaboreremo, poi, un progetto di massima con la Consulta di pastorale giovanile. Successivamente, sarà possibile individuare qualche parrocchia in cui cominciare a lavorare con il progetto di pastorale giovanile elaborato dalla Diocesi. Questo servirà anche ad una prima verifica sulla adeguatezza e validità del progetto stesso. In seguito si potrà puntare sulla diffusione di queste proposte, man mano che le esperienze iniziate si consolidano e si assestano ed a misura delle forze a disposizione. Il tutto naturalmente sostenuto e seguito dal centro Diocesi attraverso l’Ufficio di Pastorale Giovanile. Non sarà un percorso facile, ma è una priorità non più rimandabile su cui, ripetutamente, ci siamo soffermati nei programmi pastorali di questi anni. Su di essa, almeno come avvertenza ed urgenza del problema (seppur talora un po’ rassegnata), si registra una convergenza ampia di laici e sacerdoti ed una buona disponibilità da parte dei gruppi giovanili esistenti. È una strada difficile ma, se percorsa con fedeltà e coraggio, può nel giro di qualche anno cambiare significativamente il volto della nostra Chiesa. Anche qui vale quanto rilevato sulla Iniziazione Cristiana (n° 3-4): è necessaria un condivisione ed una sinodalità nella enucleazione 28


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delle scelte. È necessaria la mentalità e la struttura delle “parrocchie in alleanza” oltre al funzionamento del vicariato, se si vuole realizzare qualcosa di valido e di serio, rispetto al quale, ciascuna parrocchia presa da sola è inadeguata o modesta. Occorre, qui più che mai, non avere fretta, ed iniziare con piccoli passi, ma decisi, e soprattutto procedere in modo condiviso.

8. La solidarietà, gli stili di vita, l’attenzione ai poveri “Le folle interrogavano Giovani: che dobbiamo fare? Rispondeva: chi ha due tuniche ne dia una a chi non ne ha, e chi ha da mangiare faccia altrettanto. Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: maestro che dobbiamo fare? Ed egli disse loro: non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato. Lo interrogavano anche alcuni soldati: e noi che dobbiamo fare? Rispose: Non maltrattate e non estorcete, contentatevi delle vostre paghe” (Lc 3,10-14). È importante non perdere di vista che per crescere come Chiesa, evento che rivela l’amore Trinitario nella storia e nella vita delle persone, occorre che la carità, nella molteplicità delle sue forme, sia l’anima delle nostre scelte e della nostra azione pastorale. La carità fraterna tra presbiteri, con i laici e tra i laici, la carità nelle relazioni quotidiane. Tale carità si realizza nella celebrazione dell’Eucaristia e degli altri Sacramenti, nell’annuncio della Parola, nella testimonianza al Vangelo, nel servizio fraterno, nell’ascolto reciproco, nel sostegno vicendevole, nel perdono. La carità diventa sobrietà e impegno, educazione ad uno stile di vita evangelico. Questo nel livello pastorale, familiare, nelle relazioni sociali, ma anche nello “stile” pastorale e celebrativo di una comunità. Dovremmo, anzitutto noi Presbiteri e Diaconi, aiutarci a riflettere 29


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ed a scegliere su questi temi, lasciando che improntino la nostra vita personale, le nostre scelte e strumentazioni pastorali, lo spirito e la forma delle nostre celebrazioni. In tal modo si avvia e si accresce un processo di sensibilizzazione e di educazione anche delle nostre comunità e dei laici. Suggerirei, per esempio, di interrogarci, sull’uso e l’acquisto di strumenti tecnologici a livello personale; sull’uso del tempo; sulla effettiva vicinanza e condivisione alla vita delle famiglie in seria difficoltà, in questo tempo di crisi e di incertezza. E questo non solo per i Sacerdoti, ma anche per i laici, come singoli e come famiglie, ricordandoci che tutti siamo chiamati a modificare i nostri stili di vita, improntandoli alla sobrietà. Questi temi appartengono alla nostra sensibilità e preoccupazione di presbiteri e dei fedeli laici, non meno della catechesi e della liturgia, con cui sono in una ineludibile reciprocità: liturgia, catechesi, carità! Dobbiamo portare avanti l’impegno formativo già iniziato domandandoci, alla luce della Dottrina Sociale della Chiesa, cosa significhi oggi per noi testimoniare il vangelo nello stile di una vita sobria, personale e sociale; come sia possibile giudicare la moralità delle nostre scelte ed azioni tenendo conto dei grandi criteri di etica sociale, antichi e nuovi: la giustizia, la pace, la solidarietà, la sfida ecologica, il futuro dell’umanità e le implicanze della globalizzazione. E poi il tema terribile e crescente della povertà, dello sfruttamento, dell’accrescersi dei rapporti di violenza sulle e tra le popolazioni più povere del mondo. Dobbiamo chiederci cosa possiamo fare perché la crisi in atto non divenga cannibalismo economico a vantaggio dei paesi più forti. Va inoltre sottolineato, per i Cristiani, l’impegno politico come forma “alta” di carità al servizio del bene comune. Alla forza tracotante e scatenata dei “cavalieri dell’Apocalisse”, sopra ricordati, si oppone la capacità educativa (per comunità e persone), dei gesti quotidiani; delle categorie di riferimento, mentali e di coscienza, nel fare scelte e porre giudizi; la forza dell’attenzione all’altro 30


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e della condivisione che diventa “normalità” nei comportamenti nostri, delle famiglie cristiane, nei rapporti tra parrocchie, e tanto altro ancora che è alla portata del nostro quotidiano. La nostra Caritas diocesana, l’Ufficio per la pastorale del lavoro e l’Ufficio missionario per la sua parte, fanno da sempre in mezzo a noi, un ottimo servizio di formazione, di risveglio della coscienza, di suggerimento, promozione, coordinamento a certi settori di intervento e di aiuto. Occorrerà, in questo triennio, anzitutto continuare sulle strade intraprese e proposte nei precedenti programmi pastorali, perché certi risultati si consolidino e nuovi obiettivi possano essere proposti nel quadro delle urgenze e delle esigenze che si presentano. Precisamente: Costituire la Caritas in ogni parrocchia o gruppo di parrocchie in alleanza, come centro di propulsione e mentalizzazione dell’intera comunità. l Far sorgere centri di ascolto del disagio di persone e famiglie, ma anche alcuni centri di osservazione e di decifrazione delle linee di tendenza delle vicende socio-economiche in atto sul territorio. La caritas diocesana può aiutare ad indicare le collocazioni “strategiche” di questi centri e sostenerli nel loro servizio. l Non perdere mai di vista l’importanza della formazione “spirituale” per coloro che operano nei vari settori della caritas, in modo che, nel rispetto della libertà di coscienza, sia evidente la presenza e la determinanza dei valori evangelici o della persona di Gesù nell’ambito motivazionale degli operatori e delle iniziative. l Fare attenzione ad altre esperienze di servizio e di volontariato presenti sul territorio, soprattutto se dichiarano una ispirazione cristiana: è opportuno un contatto forte dei presbiteri e delle parrocchie o associazioni con queste realtà, anche per contrastare un processo di laicizzazione in atto, ma soprattutto per rafforzare la radice ispirativa e motivazionale che si affonda nel vangelo. l

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Dopo esserci impegnati in questi anni nell’aiutare alcune famiglie (circa 120) tra quelle che hanno perduto il lavoro, attraverso il fondo “famiglia-lavoro”, vorremmo, a partire dal prossimo autunno, compiere un passo più decisivo, cercando di portare un contributo per aprire nuove prospettive di lavoro. D’intesa con la Caritas e con l’Ufficio per la pastorale del lavoro, come già ho anticipato nell’omelia per S. Jacopo, proporremo alle istituzioni, alle forze produttive della città, alle associazioni professionali, alle associazioni sindacali, la convocazione di un “tavolo per il lavoro”. Lo scopo è leggere la crisi attuale nell’area pistoiese, focalizzandone i problemi e le soluzioni possibili, evidenziare proposte operative, individuare una strategia condivisa sulla quale costruire una sinergia tra tutte le forze e le risorse della città, allo scopo di aprire prospettive occupazionali. Affido alla Caritas Diocesana ed all’Ufficio per la pastorale del lavoro, l’impegno di accompagnare e coordinare il cammino verso questi obbiettivi. l

9. I consigli pastorali parrocchiali e Diocesano Dopo aver significativamente avviato la costituzione dei nuovi Consigli nelle parrocchie, o il loro rinnovamento, si tratta ora di estendere questo risultato alle Parrocchie che ancora non l’hanno conseguito ma soprattutto di far funzionare i Consigli costituiti, in modo che le scelte e la vita pastorale passi effettivamente attraverso di essi. Il rischio è quello di un adempimento formale, di aver costituito un organismo che poi non viene utilizzato appieno per gli scopi e le risorse che ha, oppure viene usato come cassa di risonanza o di comunicazione per decisioni già prese. Non insisto sulla natura e lo scopo di questo organismo perché già ampiamente illustrato nel “Preambolo teologico-pastorale” che introduce lo statuto ed il regolamento-tipo, inviato ad ogni parroc32


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chia. Ad essa chiedo opportunamente di ritornare nel confronto e nella riflessione perché non si abbassi il livello di qualità e di funzionamento di questi organismi di comunione e di partecipazione, offerti soprattutto alla presenza laicale. Compito caratteristico del Consiglio sarà, per esempio, prendere questo programma pastorale per il triennio 2011-2014 e calarlo nella propria situazione parrocchiale, precisandone modalità e tempi di attuazione secondo la vicenda concreta della parrocchia, sotto la guida e la responsabilità del parroco che, della comunità cristiana, è il pastore. Occorre anche, in questo triennio, passare dalla Commissione ad un vero e proprio Consiglio Pastorale Diocesano, con sue caratteristiche e compiti precisi. Affido questo settore al Vicario per la pastorale, in collaborazione con la Consulta delle Aggregazioni Laicali.

10. La formazione presbiterale “Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?”. Gesù rispose loro: “Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!”. (Mt 11, 2-6; cfr. Lc 7, 18-23) Colloco questo aspetto verso la fine del programma pastorale non perché vale meno ma perché è il più decisivo. Il prete è pastore e guida dei propri fratelli: per questo senza di lui le nostre comunità cristiane non riusciranno a crescere nel “mistero della Chiesa” né a farla più intensamente brillare nella loro vita, dinanzi al mondo. Il presbiterio anzi, nella Chiesa particolare, con la propria testimonianza di fraternità e di unità attorno al Vescovo, diventa come la 33


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prima visibilità della Chiesa, della comunione trinitaria nel tempo: esemplare per il cammino dell’intera comunità. Stiamo camminando su questa strada, ma abbiamo bisogno di essere costanti e tenaci, di non arrenderci, di non lasciarci trascinare via dal pessimismo o dal disfattismo che trovano speakers anche in mezzo a noi. Il clero pistoiese ha certamente specifiche difficoltà, sulla strada dell’unità: non ci conosciamo abbastanza, vi sono notevoli differenze di età, orientamenti teologici anche marcatamente diversi che tendono a contrapporsi, nazionalità, formazioni e culture diverse, spigolosità di caratteri, forse, qualche volta, anche un po’ di peccato: coraggio, sembra di essere nel gruppo apostolico! Ma c’è soprattutto una lunga e tenace fedeltà di servizio, di amore a questa Chiesa ed a questa gente, fatta di infinite e silenziose generosità che solo il Signore conosce: questa è la bellezza e la risorsa del clero pistoiese. Dobbiamo però essere esemplari anche in questo, dinanzi alle nostre comunità, spesso deboli e non facili: nel dare la testimonianza del nostro camminare volentieri verso relazioni di fraternità, verso un presbiterio più unito. Con la disponibilità del cuore, l’apertura della mente, lo slancio della volontà, la concretezza dei gesti e dei comportamenti, sapendo che questo ce lo chiede il Signore e la nostra Chiesa l’attende.

10.1 Il vicariato Certo non è il vicariato teologicamente, il luogo “primo” della comunione presbiterale. Però è quello della tessitura minuta e quotidiana, quello delle relazioni e delle collaborazioni, dei silenzi o del dialogo, delle assenze o della presenza: non sarà l’ordito ma è la trama fitta e robusta della tela! In questi anni abbiamo cercato di camminare nelle vicende vicariali e, parzialmente almeno, ci siamo riusciti. Ci sono ancora punti di debolezza che dobbiamo rafforzare e superare: non tenere il ritmo 34


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mensile degli incontri, certi vicariati che si vedono solo saltuariamente o per adempimenti richiesti dal centro Diocesi, l’assenza pressoché stabile di alcuni Sacerdoti. E tuttavia sono convinto che è nel vicariato che si costruiscono non solo collaborazioni pastorali occasionali, ma una mentalità di comunione anche nell’approccio ai problemi pastorali; essa genera come suo frutto, non questa o quella collaborazione, ma la “pastorale d’insieme”, o il pensare insieme la pastorale. Dobbiamo facilitare questo percorso, spianare, per quanto possibile, la strada: fissare all’inizio d’anno il calendario delle riunioni vicariali, armonizzandolo con quello del Consiglio Presbiterale e dell’assemblea dei Vicari Foranei. Questo faciliterà anche certi procedimenti comunicativi, oggi lenti e farraginosi. l Procedere sulla riforma dei vicariati, intrapresa dal Consiglio Presbiterale, ma poi, di fatto, sospesa. Certi Vicariati sono, riguardo ai presbiteri, anche numericamente scarsi e inadeguati ad esprimere un sufficiente dinamismo pastorale. Occorre provvedere ad una riforma cercando però di avere chiari gli obiettivi che intendiamo raggiungere. l

10.2 Le iniziative diocesane In questi ultimi anni abbiamo dato spazio e respiro a questo livello di iniziative, cercando di avere due attenzioni: una alla dimensione spirituale, l’altra alla dimensione dell’aggiornamento teologicopastorale dei presbiteri. Continueremmo su questa strada, che mi pare buona, cercando di arricchirla e dilatarla. Richiamo anzitutto l’attenzione sulla Settimana Teologica Diocesana, vera istituzione nella Chiesa pistoiese. Essa sta di fatto come la porta d’ingresso nel nuovo anno pastorale. Non è purtroppo molto 35


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frequentata dai Sacerdoti e dai diaconi: davvero meriterebbe una migliore attenzione ed una più accurata considerazione. Occorrerà attivare una approfondita riflessione del Consiglio Presbiterale e della Commissione Pastorale Diocesana allo scopo di ripensarla anche radicalmente e riproporla come autentico momento di crescita ecclesiale. Da parte mia continuerò a tenere gli Esercizi Spirituali, a Villa Rospigliosi, cambiando però il periodo, su richiesta di molti Sacerdoti: i prossimi Esercizi saranno dal 23 al 27 Gennaio 2012. A questo si aggiunge, come già scritto, la proposta di ritrovarci al mattino di ogni Giovedì d’Avvento, per aiutarci a meglio preparare l’omelia della Domenica, nel clima dell’amicizia e della fraternità presbiterale. È mia intenzione, come richiestomi da alcuni Sacerdoti, dedicare il venerdì mattina dalle ore 9,30 alle 13 alle udienze libere per preti e Diaconi, senza passare attraverso una prenotazione di Segreteria. Può darsi che alcune volte questo salti per impegni CEI o regionali, ma cercherò di mantenere fermo il punto. Continuerò pure a fare gli incontri con il “Clero giovane”: i Sacerdoti ordinati negli ultimi 10 anni. Nell’Avvento e nella Quaresima terremo, per tutto il Clero, due ritiri spirituali, in sintonia ed approfondimento con i temi del programma pastorale; nel corso dell’anno pastorale avremo invece tre convocazioni di aggiornamento per il Clero, che impegneremo sul tema della pastorale Battesimale in stile catecumenale (punti 3-4 del presente programma). All’inizio dell’anno vi sarà la presentazione del Programma (pomeriggio di Domenica 2 Ottobre), ed alla fine una verifica almeno parziale, dato che il programma è triennale. Come si può vedere, il nostro cammino è fortemente unitario e coordinato, cercando di raccordare insieme vita, ministero e spiritualità presbiterale, all’interno del percorso della nostra Chiesa pistoiese in questi anni. 36


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Affido questo importante punto del Programma Pastorale alla collaborazione tra assemblea dei Vicari Foranei, Consiglio Presbiterale e Vicario per la pastorale.

11. Alcune particolari attenzioni Giunto al termine del programma pastorale, considerandone la portata ed anche la novità, mi chiedo, da vescovo, come potrei accompagnare e sostenere più da vicino il vostro, anzi, il nostro cammino: una maggiore presenza a certi momenti di vita nelle parrocchie? Presenza nei vicariati, con preti e laici per verificare l’andamento di punti specifici del programma? Inizio della visita pastorale alle parrocchie? Sono domande che mi sto facendo e riflessioni su cui mi sto confrontando. Un suggerimento da parte vostra sarebbe certamente prezioso perché, al momento, non sono ancora riuscito a maturare una scelta. Ve ne ringrazio. Prima di chiudere questo programma pastorale, intendo stabilizzare, come celebrazione diocesana, la vigilia di Pentecoste: essa non avrà certo (se non in particolari occasioni accuratamente preparate) l’ampiezza che ha avuto quest’anno, ma è un punto di riferimento per la nostra vicenda pastorale annuale, di Chiesa e di Presbiterio, che merita di non lasciar cadere. Affido perciò all’Ufficio Liturgico la preparazione e l’organizzazione di questa celebrazione, come momento vivo ed espressivo del cammino di comunione e di servizio della nostra Chiesa. Indico infine il pellegrinaggio diocesano annuale che facciamo di solito nel cuore dell’estate, come un momento bello di conoscenza e di esperienza spirituale ed ecclesiale che lascia una traccia profonda nelle numerose persone che vi prendono parte. Continuando il percorso di questi anni verso le radici della nostra Fede, indico la Giordania ed il monte Sinai come meta del prossimo pellegrinaggio. Ne affido l’attuazione all’Ufficio Diocesano per i pellegrinaggi. 37


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Carissimi Sacerdoti, Diaconi, Religiosi e Religiose, care sorelle e fratelli laici della Chiesa di Pistoia: questo è il programma per il primo triennio dei decennio 2011-2020. Ci impegnerà negli anni 2011-2014, ma anche oltre se sarà necessario. Ripercorreremo, come ho scritto all’inizio, in questo decennio l’evento della Chiesa, focalizzandoci in questa prima tappa sulla “Chiesa come mistero”. Lo affido a voi questo programma pastorale, perché possa diventare strada, vita concreta della nostre comunità: vorrebbe essere un aiuto per la leggerezza non per la pesantezza del cammino, soprattutto per quella leggerezza che nasce dal camminare insieme, con cuore fraterno. Ci accompagni la preghiera di Maria SS.ma, Madonna dell’Umiltà, di S. Giovanni Battista e di S. Jacopo apostolo, nostro patrono. Ci accompagni soprattutto il misterioso pellegrino di Emmaus.

X Mansueto Bianchi Vescovo di Pistoia

Pistoia, 15 Agosto 2011 Solennità dell’Assunzione

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