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Relazione dell’Ufficio Scuola Diocesano-Servizio per l’IRC (22 giugno 2012) A livello di pastorale globale, credo che un avvenimento importante sia stato quello dell’incontro – il primo e, spero, che non sia l’ultimo – con il Vescovo, il responsabile degli Uffici pastorali, don Cristiano, e i Vicari foranei, che si è tenuto il 16 maggio scorso, che aveva all’o.d.g., tra gli altri temi, quello dell’IRC. Era necessario chiarirci le idee. L’incontro ha inteso puntualizzare alcuni problemi, che sorgono soprattutto quando tra Uffici e realtà diocesana non ci si parla, e non ci si impegna a togliere di mezzo il velo del sospetto, del pregiudizio nei confronti gli uni dell’altra. Due sono gli appuntamenti che – sul versante della pastorale d’insieme, l’Ufficio Scuola della Diocesi–Servizio per l’IRC deve affrontare con realismo: il momento delle pre-iscrizioni (febbraio) e l’arrivo del resoconto dell’Osservatorio nazionale che tiene sotto monitoraggio il numero di quanti si avvalgono o non si avvalgono dell’IRC (giungo/luglio). Quando si parla di IRC, non si tratta di questioni di puro carattere tecnico, quasi che l’Ufficio Scuola sia soltanto un distributore di posti di lavoro, ma si tratta invece di un aspetto della pastorale della cultura, della pastorale di insieme, della sinergia di delle forze pastorali presenti sul territorio della Diocesi. E qui entra in gioco la relazione Parrocchia-Ufficio Scuola Diocesano, il che cosa può fare l’uno e che cosa può fare l’altra. L’Ufficio Scuola non può rimanere ad osservare l’alternarsi di quei problemi che non può risolvere con i mezzi tecnici delle leggi dello Stato, che deve applicare e fare applicare. Il servizio che la Parrocchia, sul versante della pastorale e del suo contatto capillare con il territorio, può svolgere nei confronti dell’IRC è molteplice: - aver chiare le informazioni da dare ai genitori nell’ambito dell’IRC - valorizzazione degli eventuali IdR residenti nella Parrocchia con l’inserimento negli organi pastorali, - colloquio costante con loro, - rapporto tra parroci e USD, organizzando magari anche qualche incontro con le famiglie. Certamente, sarà cura dell’USD far incontrare gli eventuali IdR che vengono da fuori e insegnano nelle istituzioni scolastiche presenti sul territorio parrocchiale. L’incontro ha avuto come punto di riferimento alcune considerazioni che mi permetto di sintetizzare anche qui stasera. 1. La pre-iscrizione all’IRC. Una scelta ch distingue. La scelta di avvalersi dell’IRC rappresenta un importante gesto di consapevolezza da parte delle famiglie e dei giovani. Di fronte a questo, la domanda da porsi è questa: quanti affrontano questo problema con i genitori che vengono avvicinati e che si dicono, normalmente “cristiani”


responsabili? Quanti colgono l’occasione per far riflettere su questa disciplina, che ha dignità disciplinare e valenza curricolare, e per sottolinearne il valore educativo e culturale? Penso siano da tenere in grande considerazione le parole di Benedetto XVI (25.4.2009), quando afferma che “… la dimensione religiosa… è intrinseca al fatto culturale, concorre alla formazione globale della persona e permette di trasformare la conoscenza in sapienza di vita…”, per cui – prosegue – “la scuola e la società si arricchiscono di veri laboratori di cultura e di umanità, nei quali, decifrando l’apporto significativo del cristianesimo, si abilita la persona a scoprire il bene e a crescere nella responsabilità, a ricercare il confronto e a raffinare il senso critico, ad attingere dai doni del passato per meglio comprendere il presente e proiettarsi consapevolmente verso il futuro”. Ecco allora la puntualizzazione di alcune idee, dal momento che le informazioni su questa disciplina passano in modo approssimativo e vengono recepite senza il necessario approfondimento. a.- L’IRC non è il catechismo. Per vivere il catechismo, si va alla propria chiesa e si percorrono degli itinerari ben precisi, per i quali si richiede una scelta di fede. L’IRC è un percorso culturale, differenziato in base al grado di scuola. b.- I genitori, che hanno i figli nella Scuola dell’Infanzia e che scelgono l’IRC, chiedono, con questa scelta, che i loro figli ricevano un’informazione – completa in modo sistematico quella “discorsiva” e occasionale della famiglia – sul significato delle feste, dei luoghi sacri, della persona di Gesù, delle altre espressioni religiose. E tutto questo per conoscere e apprezzare la propria religione, la propria culture e per comprendere il valore della religione e della cultura del compagno che proviene da un’altra nazione, perché, fin da subito, in un clima di rispetto e di apprezzamento, la diversità culturale e religiosa siano viste come un valore e non come condizione di inferiorità. c.- Il discorso si perfeziona, in modo sistematico, nella Scuola Primaria attraverso le integrazioni storico-geografiche, e comunque interdisciplinare, che spiegano il fatto religioso: quello cristiano cattolico (quale religione del nostro Paese) e il fatto religioso delle fedi presenti nella nostra nazione e nel mondo. d.- Il genitore non vicino alla religione cristiana cattolica può essere invogliato a valutare l’opportunità di questo percorso culturale anche per il proprio figlio. Una documentazione pedagogicamente attenta ai valori comuni de vivere civile, una conoscenza dei simboli delle religioni e dei loro riti, usi e costumi, condivisa con i compagni di classe, è un’esperienza utile e costruttiva. e.- Nell’impostazione della Scuola Secondaria di 1° grado, siamo di fronte a due tipologie di studente: quello che ha lasciato la frequentazione del cammino di fede della comunità e quello che vi è ancora inserito. Nell’impostazione, invece, della Scuola Secondaria di 2° grado, siamo di fronte a giovani “credenti non praticanti”, giovani nella


frequente e salutare crisi di fede, giovani che vivono integralmente la loro vita all’interno della comunità cristiana, giovani atei, giovani agnostici. In

entrambe

le

tipologie

di

Scuole,

il

corso

di

IRC

sviluppa,

in

modo

pedagogicamente efficace, quei temi culturali determinanti per l’età preadolescenziale e adolescenziale: - lo star bene in rapporto a se stessi e agli altri; - il problema esistenziale di Dio quale ipotesi di lavoro; - la presentazione delle religioni più diffuse nel mondo e nel territorio di vita, per poterne conoscere il contenuto dottrinale, per poter meglio comprendere i credenti che si incontrano lungo le strade della vita, nel confronto con il cristianesimo; - il rapporto etico con i problemi dell’uomo del nostro tempo; - il rapporto etico con l’ambiente. f.- L’IRC a scuola propone argomenti necessari per affrontare la vita in modo umanamente e culturalmente preparato: Sono ore di documentazione su temi necessari per tutti. Sono ore durante le quali ci si pongono domande portanti sulle quali confrontarsi, per giungere ad una propria, personale risposta, partendo da una base di ragionamenti essenziali e necessari. g.- Per il credente, è un’integrazione al proprio cammino, scelto, di fede, per l’agnostico e l’ateo, è un corso sul senso religioso presente nella storia dell’umanità, sulla storia dell’esperienza religiosa universale, sul cristianesimo di confessione cattolica, che si innesta nelle varie discipline. h.- L’IdR non deve mostrare a nessuno che “bisogna” essere credenti , come non lo fa nessun docente, quale che sia il suo credo religioso, ma deve, come tutti i colleghi, aiutare a far passare il “fascino del ricercare”. i.- L’ora “alternativa” e/o l’ora “del nulla”. Non so se avrete mai affrontato questo problema con i genitori, quanto sia importante che si scelga e si faccia, quindi, attivare all’istituzione scolastica un’ora alternativa ben strutturata, con la sua dignità didattica. Ma scegliere l’ora “del nulla” è pedagogicamente biasimevole, perché si impedisce alla scuola stessa di poter proporre quello spazio inerente argomenti che completano la formazione dello studente. Ecco perché parlare in modo corretto dell’IRC è un ovvio e doveroso servizio a favore dei giovani, spesso mal presentato e, pregiudizialmente, in modo impreciso. 2. Un problema educativo dietro i numeri dell’inchiesta. Ho avuto modo di affermare più volte e in sedi diverse che occorre porsi di fronte ai numeri percentuali delle inchieste - come quella che la CEI compie ogni anno per monitorare gli alunni che si avvalgono o non si avvalgono dell’Insegnamento della Religione Cattolica (=IRC) – con un atto di umiltà e di presa di coscienza. Non è bello leggere quello che non vorremmo trovare, ma è necessario; tuttavia, non ci si deve


lasciar trasportare dal pessimismo e dal senso di fallimento e andare alla ricerca dei “colpevoli” degli eventuali fallimenti. La lettura dei dati dell’inchiesta sulla RC nelle scuole deve diventare un atto “politico” di presa di coscienza. Da parte di tutte le componenti educative, del versante ecclesiale e non. Infatti, bisogna rendersi conto che la disciplina RC è caratterizzata dalla sua “debolezza” di fondo: può essere scelta o meno dagli studenti e dalle famiglie. Ma quali le offerte educative poste sul tavolo? Che scelta è: un’ora in classe o l’occasione di entrare dopo, uscire prima, andare al bar e fare “nulla”? Questa non è una scelta pedagogicamente “leale”. Per poter rispondere con cognizione di causa e per non essere fraintesi, è necessario richiamare un principio, con due precisazioni: la disciplina RC la si chiama “confessionale” e non c’è niente di riprovevole in questo aggettivo. La prima precisazione: la confessionalità della disciplina RC è relativa al contenuto, si tratta, cioè, di approfondire culturalmente la conoscenza di una particolare esperienza religiosa, perché è quella che, dal punto di vista storico e culturale, risulta più rilevante. E’,infatti, importante disporre degli elementi necessari a conoscere, comprendere e decifrare un fenomeno religioso che “fa parte del patrimonio del popolo italiano” (L. 121, 25.3.1985 art.9, c.2) e che ha segnato e segna in modo significativo il nostro contesto storico, culturale e artistico. La seconda precisazione: la disciplina RC non è confessionale, invece, nelle finalità, quasi escludesse la libertà di scelta in campo religioso da parte degli alunni e delle famiglie. L’IRC, così come definito dalle norme e dai Programmi ministeriali, risponde efficacemente anche alle istanze espresse dall’attuale contesto caratterizzato dal pluralismo etnico, culturale e religioso. In tale contesto, infatti risulta utile, da una parte, approfondire le conoscenze rispetto a quanto caratterizza le specifiche e differenti identità, dall’altra, favorire momenti di confronto e atteggiamenti importanti, e sempre più necessari, di rispetto, di dialogo, di costruzione della “convivialità delle differenze”. Dicevo che la lettura dei dati dell’inchiesta deve diventare un atto “politico”. E’ vero, in campo ancora una volta c’è l’assoluta priorità del problema educativo, difendendo il primato dell’uomo come persona. Il dinamismo del processo educativo, l’istruzione finalizzata ad una seria e qualificata professionalità, il corretto articolarsi della logica dei diritti e dei doveri, tutto deve convergere al rispetto dell’uomo come persona, per favorire l’adeguata e piena realizzazione della personalità di ciascuno, affinché tutti, nessuno escluso, vedano rispettati i propri ruoli di genitori, studenti, docenti, educatori e lavoratori. Forse, sarebbe bene non dimenticare il monito del grande filosofo Jacques Maritain: “Nulla sarebbe più funesto di un’educazione che mirasse non a rendere l’uomo più veramente umano, ma a fare di lui l’organo perfettamente condizionato e perfettamente


aggiustato di una società tecnocratica” e la provocazione pedagogica che sta dietro la scrittura dei due libri di Edgar Morin: La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero (2000) e I sette saperi necessari all’educazione del futuro (2001): l’insegnamento

non

può

essere

separato

dall’educazione

globale

(“insegnamento

educativo”); l’insegnamento non può essere ricondotto soltanto ad conoscere materie, ma deve indirizzari ai problemi dell’uomo e “al” problema che è la ricerca di senso. Occorre favorire e potenziare una proficua sinergia di tutte le realtà educative: famiglie, scuola, associazionismo, in particolare di ispirazione cristiana, affinché passi il messaggio che la disciplina RC è un forma di servizio necessario in una scuola moderna, pluralistica e democratica, rispettosa della dimensione esistenziale dell’uomo e delle tradizioni culturali dell’Italia. Conoscere – anche ciò che riguarda il mondo del sacro, della fede, delle fedi e delle religioni - è un diritto e un dovere. Mi sono permesso, a questo punto, richiamare quanto Vittorio Foa, un patriarca della sana laicità, in una delle sue Lettere dalla giovinezza, scriveva: “E’ spaventosa l’ignoranza anche delle persone cosiddette colte riguardo alle cose religiose: e questo è un agro conforto alla constatazione dell’ignoranza mia…”. Scrive lo storico Giovanni Filoramo, ipotizzando compiti nuovi per le istituzioni preposte all’educazione e alla trasmissione del sapere: “Basti pensare all’importanza, nella costruzione di una paideia del futuro cittadino europeo, del ruolo che dovrà essere attribuito alle Scienze delle religioni come bussola cognitiva necessaria per orientarsi nel mare periglioso di una multiculturalità che investe prima di tutto la scuola e gli insegnanti: non è difficile prevedere che la conoscenza del fatto religioso, nella molteplicità delle sue forme, si rivelerà un punto nevralgico del bagaglio conoscitivo da formare, per consentire la costruzione del sé e della propria identità in un tempo di grandi mutamenti e di pluralismo religioso”. Un’impresa quanto mai complessa, ma resto convinto che non si potrà andare così. Potremmo almeno cominciare a prenderne coscienza. La riflessione sui numeri dell’inchiesta mi porta ad affermare che dobbiamo mettercela tutta perché avvenga un passaggio necessario di mentalità, cioè quello che porta da una laicità dell’ignoranza ad una laicità dell’intelligenza.


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