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È vero che “Gesù non era cristiano”? Si tratta di un’idea che il lettore inesperto giudicherà certamente strana, ma che ai nostri giorni sta prendendo campo anche a livello divulgativo. Se ne parliamo, non è per confondere la mente dei nostri lettori, ma perché se ne prenda coscienza e ci si metta in grado di rispondere e reagire a dovere. Dire che queste cose non interessano è certamente sbagliato, perché, specialmente sui nostri giovani, esse trovano facilmente ascolto e accoglienza. Insieme alla negazione “scientifica” di Dio, facendo leva soprattutto sulla dottrina dell’evoluzione, si cerca di negare l’origine divina del cristianesimo, affermando che esso non è opera di Gesù di Nazaret, ma creazione dei primi cristiani, in particolare di Paolo di Tarso. E’ ancora il problema dell’aggiornamento che batte alle nostre porte e che non dobbiamo, non possiamo, in nessun modo mettere in disparte. Un dovere di tutti, in particolare di coloro che, nella comunità cristiana, adempiono al ministero dell’insegnamento e della catechesi. Qualche tempo fa ne parlammo in seguito all’uscita di un libro di C. Augias e del prof. R. Cacitti. Oggi ritorniamo sull’argomento, perché questa teoria sta riemergendo in occasione della pubblicazione della seconda parte del libro di Benedetto XVI su Gesù di Nazaret. Il filosofo italiano Paolo Flores d’Arcais, direttore della rivista “Micro Mega”, aveva già diffuso la sua critica quattro anni fa, all’uscita della prima parte dell’opera del Papa. Ora ha rincarato la dose in un suo intervento, che inizia con queste precise parole: “Gesù non era cristiano. Era un ebreo osservante, che mai avrebbe immaginato di dar vita a una nuova religione e meno che mai di fondare una ‘Chiesa’. Non si è mai sognato di proclamarsi il Messia, e se qualcuno degli apostoli ha ipotizzato che fosse ‘Cristo’, lo ha fulminato di anatema. All’idea di essere considerato addirittura ‘Dio vero da Dio vero, generato, non creato, della stessa sostanza del Padre’, secondo il ‘Credo’ di Nicea, sarebbe stato preso da indicibile orrore”. Il testo di Flores d’Arcais continua affermando che i richiami storici contenuti nel libro, sotto il profilo delle fonti, sono vere e proprie falsità, addirittura talvolta incredibilmente smaccate. Parole che, insieme a una certa dose di verità, contengono una interpretazione della vicenda di Gesù assolutamente inaccettabile e tale da distruggere con un colpo solo l’intero edificio del cristianesimo. Al fondo, il problema non è solo di oggi, ma mai era stato presentato con tanta radicalità come ai nostri giorni. Di vero c’è il fatto che la vicenda terrena di Gesù è stata riletta dagli apostoli alla luce dell’esperienza pasquale, “con quella più completa intelligenza delle cose, di cui essi, ammaestrati dagli eventi gloriosi di Cristo e illuminati dallo Spirito di verità, godevano”. Sono parole di un fondamentale paragrafo della Dei Verbum, a cui purtroppo anche i nostri catechisti sono rimasti del tutto estranei. Da più parti si critica il fatto che si continui dovunque a leggere i testi evangelici nell’ignoranza perfetta del pensiero ufficiale della chiesa. C’è da augurarsi che ciò possa avvenire ora in seguito a questi violenti e ingiustificati scossoni che arrivano perfino sulle pagine dei nostri giornali. Fas est et ab hoste doceri, dicevano gli antichi: “E’ lecito, è bene, imparare anche dai nemici”. Fra il Gesù della storia e il Cristo della fede c’è certamente un notevole sviluppo, ma uno sviluppo omogeneo: una discontinuità che riposa su una sostanziale continuità. Un passaggio, tra l’altro, che è già presente nella stesura dei vangeli, scritti come si sa, dopo la risurrezione, dopo cioè che gli apostoli e i discepoli avevano preso piena coscienza della figura di colui col quale avevano convissuto nel tempo della sua vita terrena. Pietro lo afferma chiaramente nel discorso di Pentecoste: “Sappia dunque con certezza tutta la casa d’Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso”. Non c’è quindi nessun bisogno di scomodare i concili della chiesa (celebrati nei secoli IV e V dell’era cristiana), che, secondo Flores d’Arcais, furono “dominati e decisi dagli imperatori di Roma”, arrivando a presentare un Cristo-dogmatizzato, che con il Gesù della storia “non ha nulla a che fare e anzi contraddice e nega sotto ogni aspetto essenziale”. Agli studenti di teologia queste cose sono oggi oggetto di insegnamento e di dimostrazione. E’ troppo chiedere di allinearsi a queste convinzioni? Oltre la scuola, c’è lo studio personale. Per il quale però si fa poco, forse addirittura nulla. Giordano Frosini


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