Università degli studi di Salerno
Facoltà di Lettere e Filosofia Corso di Laurea in Sociologia
Tesi in Sociologia s.a.
Il dominio mascolino. Un’analisi linguistica di genere sui quotidiani
Relatore
Candidata
Prof. Massimo Pendenza
Elena Sorrentino 036/103406
Anno Accademico 2010/11
A tutti quelli che non hanno paura di conoscere sĂŠ stessi
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Indice Introduzione……………………………………………………………………….4
1. La donna tra oggetto e soggetto Introduzione……………………………………………………………...10 1.1 La donna intrappolata nell’immanenza e nel dominio maschile…….11 1.2 La donna liberata dalla modernità…………………………………...20
2. Il potere discriminatorio del linguaggio Introduzione……………………………………………………………....26 2.1 Il linguaggio ideologico……………………………………………...27 2.2 Una lingua a misura d’ “uomo”……………………………………...31 2.3 Proposte per un linguaggio non sessista……………………………..52 2.4 Ricerche sul linguaggio sessista……………………………………..59
3. Indagine attraverso il quotidiano ‹‹La Stampa›› Introduzione………………………………………………………………68 3.1 Anni cinquanta: poche e inoffensive dissimmetrie, specchio della realtà………………………………………………………………....70 3.2 Anni settanta: le donne cominciano a perdersi negli uomini………..83 3.3 Anni novanta: le tante contraddizioni……………………………….95 3.4 Duemila: l’attuale oscuramento della donna di “potere”……….….107
Conclusioni……………………………………………………………...120
Bibliografia………………………………………………………….….124 Quotidiani……………………………………………………………....138 Documenti on line……………………………………………………...140 Sitografia…………………………………………………………….…144 3
Introduzione
Diventata direttore responsabile di un mensile da me ideato, pensavo sempre a quale fosse la parola giusta per indicare una donna che assumesse questa carica. Parlandone con gli altri membri della redazione, proposi di scrivere “direttora”, non perché avessi già conoscenze in merito al linguaggio sessuato, ma solo perché era un termine che appariva diverso, provocatorio, (direttrice mi sembrava riferito più ad un ambito scolastico), tutti mi risposero più o meno allo stesso modo: “ma suona male! E poi, direttore, solo il termine pare ti dia tanto potere”. Mi lasciai convincere, senza pensarci, ci volle un attimo, bastò pronunciare quella parola magica: “potere”. Già, il potere delle parole. Noi non pensiamo quasi mai a quale arma potente utilizziamo ogni giorno. Una sola parola può discriminarti, può ridicolizzarti, può distruggerti, figuriamoci una frase o un intero discorso e figuriamoci quando queste parole, frasi o discorsi vengono enunciati da chi dispone del potere di comunicazione, simbolizzazione e legittimazione. La lingua non è uno strumento di comunicazione vuoto, è una bomba carica di contenuti simbolici, ma non ce ne rendiamo conto perché il suo incredibile potere, nelle mani della “vecchia” doxa, è invisibile e all’apparenza sembra non causare danni. La cultura dominante, androcentrica e sessista le donne l’hanno svelata, conosciuta e combattuta, nella quotidianità, nella sessualità, nel lavoro, nella cultura e nella società ed hanno conquistato il loro diritto ad essere soggetti. Eppure c’è un posto nel quale questo potere invisibile si nasconde in maniera da sopravvivere ai mutamenti in atto e a celare ed anche frenare l’importante ascesa delle donne. Questo luogo è appunto il linguaggio. Il mio lavoro parte dalla riflessione su alcuni autori che ci aiuteranno innanzitutto a capire chi è la donna in realtà, come è arrivata ad essere l’ “Altro”, come ha agito in un mondo saturo del dominio maschile, come è riuscita a liberarsi di quei panni intrisi di sottomissione e passività e quali panni veste ora che si è resa conto di poter essere il soggetto per eccellenza. 4
Inizieremo con Simone de Beauvoir che vede la donna intrappolata nell’immanenza, nel continuo ripetersi della sua funzione, senza poter trascendere sé stessa, schiava della natura che le ha dato la possibilità di creare la vita ma non la cultura. La donna è passiva, subisce il suo destino, l’uomo, invece, è attivo, è “faber”, creatore, produttore, combattente, egli non dà la vita, la trascende ed è questo che interessa realmente all’umanità, non il vivere, ma le ragioni del vivere, perché il fine dell’uomo non è nella ripetizione di un tempo all’infinito, ma nella capacità di regnare sull’istante e nello stesso tempo di forgiare il domani. Pierre Bourdieu ci mostra, invece, come agisce questa sorta di potere invisibile che prende il nome di “dominio maschile”. E’ il più grande esempio di “violenza simbolica” ci dice il sociologo, perché non è una violenza fisica, materiale, anzi, non la si accusa nemmeno, è una mano dolce che guida le coscienze, le azioni e le parole di ognuno di noi. Le donne agiscono secondo le sue regole senza neanche rendersene conto, come se la loro passività fosse una cosa naturale, questo perché non hanno altra cultura nella quale crescere, alla quale fare riferimento. Il “dominio maschile” agisce fin dalla nostra nascita e ci insegna la naturale differenza di genere, ma non si tratta di una sana differenza, è più che altro un insano paragone. Noi diciamo: “Le donne sono diverse dagli uomini” e non “Le donne e gli uomini sono diversi”. Dunque è sempre l’uomo l’essere superiore al quale tendere. E per tutti, donne e uomini, è giusto così perché dominanti e dominati dispongono solo di questi strumenti di conoscenza, una conoscenza intrisa di quella cultura basata sull’androcentrismo e naturalizzata a tal punto da essere percepita come condizione normale. I dominanti non possono fare null’altro, secondo Bourdieu, che essere vittime di tale cultura e addirittura collaborare attivamente alla propria sottomissione. L’unico modo per poter uscire da questa condizione sarebbe una trasformazione culturale e quindi un nuovo ordine simbolico a cui far riferimento, da interiorizzare e da naturalizzare, che non preveda più la coppia oppositiva maschile/femminile, in questo modo non ci sarebbe più l’Altro dell’Uno, né dominati e dominanti, ma solo persone che vivono per sé. Insomma, ritornando alle frasi che abbiamo utilizzato in precedenza, dovremmo dire “Le donne e gli uomini sono diversi” e non “Le 5
donne sono diverse dagli uomini”. Una sana differenza, due binari separati e la consapevolezza di poter essere soggetti cercando in sé più che tendendo verso qualcosa che non potrà mai essere raggiunto, non perché troppo lontano o superiore, ma perché, semplicemente, troppo differente. Per Alain Touraine questo processo è pienamente in atto, egli ha intervistato delle donne comuni ed ha potuto constatare come la loro prima affermazione sia: “io sono donna”, il che sta a significare la totale presa di coscienza del loro essere, della loro identità e del loro obiettivo principale che è quello di realizzarsi in quanto soggetti, di avviare quel processo di costruzione di sé che non parte dalla conflittualità o dal dualismo con gli uomini, ma da sé stesse. Le donne, quindi, metterebbero in atto delle vere e proprie forme di resistenza sociale, è per questo che per Touraine possono essere identificate come “soggetti” per eccellenza. Un attore sociale, o soggetto, si definisce per la sua volontà di cambiamento anziché di conservazione. Come vediamo tutto gira attorno al concetto di trascendenza, alla capacità di trascendere sé stessi e se fin dall’inizio dei tempi, come ci racconta Simone de Beauvoir, questa possibilità spettava unicamente all’uomo, per Touraine, invece, ora siamo ad un punto di rottura. Egli sostiene che la donna è finalmente riuscita a far cadere il fondamento primo del dominio maschile che si reggeva proprio sull’idea di una donna priva di soggettività. La “vecchia” doxa sopravvive attorno alle donne, ma non più nelle donne. La società degli uomini dominatori è esistita e il movimento femminista era nato appunto in contrapposizione a tale concezione del mondo, ma le donne intervistate da Touraine non ne fanno parte. Non si sentono delle femministe, non si identificano in loro, nonostante riconoscano l’importanza delle loro conquiste. No, le donne di oggi non hanno più bisogno di combattere nulla o di distruggere, i loro obiettivi sono positivi e il senso ultimo di questi obiettivi è la costruzione di sé. Eppure c’è un “luogo” nel quale la presenza femminile è ancora incerta. Questo “luogo” è il nostro linguaggio. La seconda parte di questo lavoro si concentrerà, appunto, sul potere del linguaggio, strumento fondamentale per il perpetuarsi del dominio maschile.
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Partendo da Teun A. van Dijk, da sempre impegnato soprattutto a rilevare il razzismo nascosto nella stampa e che non stenta ad affermare che: ‹‹La vita quotidiana delle donne è colma di modi sottili e indiretti di ineguaglianza e discriminazione. Tutti gli aspetti delle interazioni quotidiane tra donne e uomini sono praticamente influenzati da ideologie sessiste››, inizieremo ad approfondire alcuni stratagemmi a disposizione del discorso ideologico. Ad un’analisi approfondita
scopriremo
che,
determinate
argomentazioni
all’apparenza
“normali”, celano, invece, profondi pregiudizi, generalizzazioni, discriminazioni, che essendo espresse da chi detiene il potere, assumono legittimità. Realizzeremo come la nostra sia una lingua a misura d’ “uomo” e anche una vera e propria lingua “del disprezzo”. Per “uomo” intendiamo il rappresentante di quell’umanità che in certi momenti comprende e in certi momenti esclude le donne. Infatti, il fatto che sia l’uomo e non la donna il termine usato come non marcato 1 dipende dalla condizione di oppressione che ha caratterizzato l’esistenza femminile nel corso della storia del genere umano. Per “lingua del disprezzo” si intende, invece, l’assunto per cui il lessico ci rimanda un universo in cui la donna è sempre e comunque ricondotta alla sfera della sessualità, in quanto madre e riproduttrice (essendo questo il primo e unico tratto che la differenzia dall’essere umano maschile), ed in quanto oggetto del desiderio maschile, che ne stabilisce valore e desiderabilità. La donna quindi può prodigarsi esclusivamente in questi due ruoli: quello di “madre” e/o quello di “puttana”. Il discorso procederà prendendo più dettagliatamente in analisi il linguaggio della carta stampata e alcune proposte per un uso non sessista della lingua italiana, prima fra tutte Le Raccomandazioni di Alma Sabatini e i dubbi sollevati in merito da Giulio Lepschy che in alcuni punti sostiene ed in altri critica le idee della collega. Ci soffermeremo su alcune ricerche empiriche di analisi di quotidiani e
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La marcatezza è un concetto linguistico basato sul confronto tra due o più forme linguistiche: una forma marcata è una forma non basilare o meno naturale; si contrappone alla forma non marcata, che è la forma basilare, neutrale. il termine generico, non marcato e quindi di base è sempre il maschile, il femminile si pone come termine da questo derivato, tramite determinate trasformazioni morfologiche.
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periodici che sveleranno l’effettiva presenza di forme sessiste e discriminatorie e dalle quali prenderò spunto per condurre io stessa un’indagine. Il terzo ed ultimo capitolo riguarderà appunto la mia ricerca, un’analisi linguistica di genere sulla carta stampata. Ho preso in esame il quotidiano ‹‹La Stampa››, analizzando quattro periodi (1952, 1972, 1990, 2011), allo scopo di tracciare una linea di evoluzione del linguaggio sessista. Secondo la mia personale ipotesi di partenza, infatti, tutte le forme del linguaggio sessista e discriminatorio, si sono rese più evidenti ed importanti nel tempo in funzione direttamente proporzionale all’ascesa delle donne nella vita politica, sociale, culturale, ecc. Insomma, io credo che quanto più le donne riescano a liberarsi del dominio maschile e a realizzarsi come soggetti, nei fatti, tanto più la mano invisibile della “vecchia” doxa troverà nel linguaggio un mezzo per continuare ad esistere e a condizionare l’esistenza femminile. Più il mondo sarà delle donne, per dirla alla Touraine, più il linguaggio sarà mascolino. E ciò che più spaventa, non è il fatto in sé, ma che le donne sembra non se ne rendano conto e continuano tutt’oggi ad essere, allo stesso tempo, vittime e complici del dominio maschile.
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Ringraziamenti
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CAPITOLO 1 La donna tra oggetto e soggetto
Chi è la donna in realtà? La madre, colei che accudisce i piccoli e che cura la casa, oggetto che sottostà alle regole che la natura le ha inscritto nel corpo, oppure è quel soggetto che si autodetermina in una nuova società che richiede appunto questo, ovvero di farsi carico di sé stessi? Potrebbe essere entrambe le cose e vivere l’ambivalenza una condizione necessaria per esistere come femmina e soggetto insieme? I tre autori che prenderemo in esame partono da una diversa considerazione della condizione femminile. Simone de Beauvoir e Pierre Bourdieu vedono entrambi la donna essenzialmente come una vittima. De Beauvoir pubblica Il secondo sesso nel 1949, quindi molto prima del cosiddetto femminismo radicale, quando le donne rivendicarono forte la loro volontà di liberarsi dalla subordinazione nei confronti dei maschi. In questo saggio viene fuori l’immagine di una donna vittima della specie e prigioniera di un corpo sul quale non ha controllo e che spesso sente estraneo. La donna è l’Altro, dice de Beauvoir, non è un soggetto è anzi un oggetto nelle mani della natura e del maschio, votato all’immanenza e al perpetuarsi della vita. Anche Pierre Bourdieu, nonostante pubblichi Il dominio maschile nel tardo 1998, quindi dopo il riconoscimento formale dell’uguaglianza tra i sessi, non ritiene la donna un soggetto. Su di lei pesa, ancora, l’etichetta di vittima, oppressa da quella violenza simbolica di cui il dominio maschile è la più forte espressione. Per Bourdieu le regole dei dominanti sono oramai naturalizzate nell’ordine sociale tanto da non avere bisogno di giustificazioni. La donna agisce seguendo a sua volta questi schemi che le vengono inculcati fin da bambina, senza che nemmeno se ne accorga, attraverso una violenza dolce, e trova, così, naturale ed indispensabile diventare ciò che è, ovvero, una vittima del dominio maschile. Se per de Beauvoir le donne potrebbero migliorare la loro condizione prendendo 10
in mano il loro destino e battendosi, come appunto faranno negli anni a venire, per i loro diritti, per Bourdieu, invece, non è possibile alcun cambiamento perché questi principi sono così forti da resistere a qualsiasi trasformazione in atto nel sistema sociale. Completamente diversa è, invece, la posizione di Alain Touraine, che, forte delle sue interviste, constata che la donna non si sente assolutamente una vittima, mai, nemmeno quando effettivamente dovrebbe. Studioso della società postindustriale e del soggetto inteso come persona capace di autodeterminarsi, per Touraine la donna è il soggetto per eccellenza. Il mondo è delle donne è appunto il titolo del suo testo, pubblicato nel 2006, in cui viene fuori un’immagine nuova di una donna consapevole sì di vivere in una società che riflette ancora gli effetti del dominio maschile, ma che allo stesso tempo riesce ad avviare quel processo di costruzione di sé che non parte dalla conflittualità o dal dualismo con gli uomini, ma da sé stessa. Ci riesce soprattutto attraverso il controllo sul suo corpo, quello stesso corpo che per Simone de Beauvoir, invece, la condannava. Se de Beauvoir, quindi, ci è utile a capire da dove ha storicamente origine una così grande passività che ha da sempre accompagnato l’esistenza femminile, ma sappiamo bene che le sue considerazioni sulla condizione della donna si riferiscono ad un periodo ormai passato, Bourdieu e Touraine hanno, invece, una visione diametralmente opposta della donna inserita in uno stesso momento storico – sociale.
1.1
La donna intrappolata nell’immanenza e nel dominio
maschile Simone de Beauvoir è innanzitutto un’esistenzialista e nella sua riflessione parte dai concetti di “immanenza” e di “trascendenza”. Queste sono le due opzioni fra le quali ogni essere umano si trova a dover scegliere nel corso di tutta la sua esistenza. Si potrà decidere di limitare la propria libertà e subordinarsi alle regole e ai valori del mondo (immanenza o del vivere nell’ “in sé”) oppure di realizzare 11
la propria libertà e operare per trasformare il mondo nel quale si vive (trascendenza o del vivere “per sé”).
‹‹Ogni individuo che vuol dare un significato alla propria esistenza, la sente come un bisogno infinito di trascendersi. Ora, la situazione della donna si presenta in questa singolarissima prospettiva: pur essendo, come ogni individuo umano, una libertà autonoma, ella si scopre e si sceglie in un mondo in cui gli uomini le impongono di assumere la parte dell'Altro; in altre parole, pretendono di irrigidirla in una funzione di oggetto e di votarla all'immanenza, perché la sua trascendenza deve essere perpetuamente trascesa da un'altra coscienza essenziale e sovrana››. (de Beauvoir 1949, tr. it., p. 31)
Ogni individuo trova nella trascendenza il senso della sua esistenza. Solo chi è libero di scegliere il proprio destino, quando ha davanti un futuro indefinito, riesce a vivere bene anche il suo presente. Il cadere nell’immanenza diviene colpa morale se vi è il consenso del soggetto, ma quando gli è imposta, prende l'aspetto di una privazione e di un'oppressione: in ambedue i casi non vi è nulla di positivo. Per Simone de Beauvoir il nocciolo della questione è che la donna viene identificata e si identifica come l’ “Altro” (maiuscolo), non come l’ “altro” (minuscolo).
‹‹[…] La donna appare essenzialmente al maschio un essere sessuato: la donna per lui è sesso, dunque lo è in senso assoluto. La donna si determina e si differenzia in relazione all’uomo, non l’uomo in relazione a lei; è l’inessenziale di fronte all’essenziale. Egli è il Soggetto, l’Assoluto: lei è l’Altro››. (ivi, p. 21, 22)
La donna, dunque, non è un soggetto, lei dipende dall’uomo, da sola non potrebbe esistere perché è solo l’Altro, vive in funzione dell’Uno ed è a lui subordinata. Altro aspetto importante da sottolineare è che se ciascun essere umano nella sua individualità può definirsi “altro” (minuscolo) rispetto ad ogni altro individuo, secondo una paritaria condizione di reciprocità, nel dualismo maschio/femmina si evidenzia il senso assoluto della concezione di Altro (maiuscolo) nel quale è ingabbiata la donna. Questa condizione non lascia spazio alla reciprocità. In poche 12
parole, le donne, riferendosi agli uomini dalla loro prospettiva, non possono definirli anche loro l’ “altro”. No, l’uomo è l’Uno, loro sono l’Altro. Anche dal loro punto di vista si vedono come l’ “Altro”. Chiunque le guardi e da qualunque parte si guardino, non sono che l’ “Altro” dell’uomo. Le donne sono l’unico esempio di pura alterità. A questo punto non possiamo che domandarci, come fa anche de Beauvoir, da dove venga questa passività così grande. Innanzitutto le donne non sono una minoranza come i neri o gli ebrei, sulla terra sono in numero uguale se non anche maggiore degli stessi uomini. Bebel 2 le accosta ai proletari visto che anch’essi non si trovano in una condizione di inferiorità numerica e non hanno mai costituito una società a sé stante, ma c’è una grossa differenza tra loro: i proletari non ci sono sempre stati, sono nati con la storia, così come la loro condizione di subordinazione è frutto di contingenze storiche, di mutamenti nella struttura sociale. Le donne, invece, ci sono sempre state, la loro subordinazione non è una conseguenza di un evento storico o di uno sviluppo sociale, essa non è mai avvenuta. Ciò spaventa più di tutto perché qualcosa che si è creato nel tempo, determinato da certe circostanze storico-sociali, può mutare con l’evoluzione, con l’evolversi di determinati equilibri, ma un fatto che non è mai avvenuto, e per questo si presenta come una condizione naturale, come potrebbe mai cambiare? E ancora:
‹‹Le donne non hanno un passato, una storia, una religione, non hanno come proletari una solidarietà di lavoro e di interessi, tra loro non c’è neanche quella promiscuità nello spazio che fa dei negri d’America, degli ebrei dei ghetti, degli operai di Saint-Denis o delle officine Renault una comunità. Le donne vivono disperse in mezzo agli uomini, legate ad alcuni uomini – padre o marito – più strettamente che alle altre donne; […] neanche in sogno la donna può sterminare i maschi. Il legame che le unisce ai suoi oppressori non si può paragonare ad alcun altro. La divisione dei sessi è un dato biologico, non un momento della storia umana››. (ivi, p. 23,24 )
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August Ferdinand Bebel (Deutz, 22 febbraio 1840 – Passugg, 13 agosto 1913). Operaio tornitore, si dedicò fin da giovane all'attività politica e fondò nel 1867 con Wilhelm Liebknecht il Sächsische Volkspartei (Partito Popolare della Sassonia), e nel 1869 il SDAP (Sozialdemokratische Arbeiterpartei), il Partito Socialdemocratico dei Lavoratori.
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La maggior parte delle donne, anche quelle che si definiscono a tutti gli effetti delle femministe, non odiano gli uomini, anzi, non possono rinunciare a loro, non solo per fattori sentimentali, ma anche e soprattutto perché, nel momento in cui le donne stanno entrando in scena, si trovano di fronte un mondo che appartiene ancora agli uomini e rifiutare la loro complicità sarebbe come rinunciare a tutti i vantaggi che può comportare essere l’alleato leale di chi detiene il potere. Per di più possiamo aggiungere che nell’individuo convivono due esigenze, come abbiamo visto c’è l’esigenza di affermarsi come soggetto (trascendenza), ma allo stesso tempo c’è la tentazione di percorrere un cammino più agevole anche se spogliato di ogni valore, la tentazione cioè di divenire oggetto, entità passiva e alienata che soggiace alla volontà altrui (immanenza) e che lascia per sempre il cammino verso una vita autenticamente vissuta. ‹‹Quando l’uomo considera la donna come l’Altro, trova dunque in lei una complicità profonda. Così la donna non rivendica se stessa in quanto soggetto perché non ne ha i mezzi concreti, perché sperimenta il necessario legame con l’uomo senza porne la reciprocità, e perché spesso si compiace nella parte di Altro››. (ivi, p. 25 )
Non c’è una spiegazione al perché la donna sembri aver perso in partenza. Certo è che anche la biologia la condanna. Al contrario dell’uomo la cui vita genitale non contrasta con la sua esistenza personale, la donna, invece, vede nel suo corpo qualcosa di alienato, di estraneo, è in balia di forze dalle quali non può sottrarsi. La donna subisce la natura: la gravidanza, le mestruazioni, non c’è nulla di individuale in questi momenti. Anzi, proprio in questi periodi la donna si vede costretta a non poter disporre di sé, subisce processi complicati con secrezioni ormoniche che agiscono sulla tiroide e l’ipofisi, sul sistema nervoso centrale e sul sistema vegetativo. Sono, in poche parole, schiave della specie.
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La donna ha il compito di generare, di allattare, di accudire la prole, i lavori domestici sono gli unici compatibili con queste funzioni naturali, ma non sono realmente delle attività. Quello della donna è un destino biologico che ella subisce passivamente e che riproponendosi giorno dopo giorno sotto la stessa forma, non crea nulla di nuovo e la condanna all’immanenza. L’uomo, invece, fin dagli inizi dei tempi è sempre stato “faber”. Egli produce, agisce, combatte contro le bestie feroci e le sconfigge, egli non dà la vita, ma la rischia e la distrugge (uccidendo l’animale), la trascende. La donna non è soggetto, è assoggettata alle regole della natura, è incatenata al suo corpo, l’uomo, invece, può dominare la natura e il mondo, può creare, può distruggere secondo le sue leggi, egli vive nel mondo a cui lui stesso da forma, l’uomo è la cultura. E’ grazie a questa prospettiva esistenziale che si è riusciti a capire da dove deriva questa supremazia dei maschi.
‹‹L’uomo è diventato un padrone rispetto alla donna perché l’umanità mette in causa tutto il proprio essere, cioè preferisce alla vita le ragioni del vivere; il fine dell’uomo non è di ripetersi nel tempo: è di regnare sull’istante e di formare l’avvenire››. (ivi, p. 85 )
Tuttavia questo dato di fatto avrebbe potuto portare comunque ad un rapporto senza conflitti, senza necessità di asservimento. Ma è insito nella natura dell’uomo, ci spiega de Beauvoir, la volontà di dominare sull’Altro. I maschi hanno trasformato in diritto la loro condizione di supremazia: ‹‹Coloro che hanno creato e compilato le leggi, essendo uomini hanno favorito il loro sesso e i giureconsulti hanno volto le leggi in principi››, dice Poulain de la Barre 3 . Le regole che guidano il mondo sono state create dagli uomini per gli uomini, le donne non sono state prese minimamente in considerazione.
‹‹Legislatori, preti, filosofi, scrittori, dotti si sono accaniti a dimostrare che la condizione subordinata della donna era voluta in cielo e utile per la terra››. (ivi, p. 26)
3
François Poullain de La Barre (Parigi, 1647 – Ginevra, 1726) è stato un filosofo e scrittore francese. Secondo molti può essere considerato a tutti gli effetti il padre del femminismo moderno.
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La classe dominante trae la sua forza da uno stato di fatto che essa stessa ha creato. Un esempio è il paradosso di Shaw 4 : ‹‹L’americano bianco relega il negro al rango di lustrascarpe e ne conclude che è capace solo di lustrare le scarpe››. In questo modo si crea un circolo vizioso che possiamo ricondurre al paradigma di Thomas 5 secondo il quale ‹‹Se gli uomini definiscono certe situazioni come reali, esse sono reali nelle loro conseguenze››. De Beauvoir giunge dunque alla conclusione che:
‹‹Donna non si nasce, lo si diventa. Nessun destino biologico, psichico, economico definisce l'aspetto che riveste in seno alla società la femmina dell'uomo: è l'insieme della storia e della civiltà a elaborare quel prodotto intermedio tra il maschio e il castrato che chiamiamo donna››. (ivi, p. 634 )
Così le cose appaiono giuste perché sembrano naturali,
diventano le
fondamenta di un sistema sociale perché nel tempo si continua a fare così e vengono interiorizzate degli individui, donne e uomini, che vivono e pensano secondo le regole del dominio maschile. ‹‹La forza dell’ordine maschile si misura dal fatto che non deve giustificarsi››. (Bourdieu 1998, tr. it., p. 17)
Pierre Bourdieu ne Il dominio maschile sostiene proprio questa tesi e ci spiega come, ancora oggi, nonostante i risultati ottenuti dai movimenti femministi, a realtà sociale si basi fortemente sull’ordine maschile. Egli parte dal concetto di violenza simbolica che è quel tipo di violenza “dolce”, invisibile, che viene esercitata con il consenso inconsapevole di chi la subisce e che nasconde
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George Bernard Shaw (Dublino, 26 luglio 1856 – Ayot St Lawrence, 2 novembre 1950) è stato uno scrittore e drammaturgo irlandese. 5 William Isaac Thomas (Contea di Russell (Virginia), 13 agosto 1863 – Berkeley, 5 dicembre 1947) è stato un sociologo statunitense. E’ stato a capo della scuola di Chicago fino al 1918, anno in cui è stato arrestato e costretto a dimettersi per lasciare il posto a Robert Park. La sua opera più importante rimane Il contadino polacco in Europa e in America scritta con Florian Znaniecki ed edito nel 1920, da cui è tratta la "definizione della situazione", chiamata anche Teorema di Thomas.
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i rapporti di forza sottostanti alla relazione nella quale si configura. Vengono imposte in questo modo la visione del mondo, i ruoli sociali, le categorie cognitive, le strutture mentali attraverso cui viene percepito e pensato il mondo, da parte di soggetti dominanti verso soggetti dominati. Per Bourdieu il dominio maschile è il più grande esempio di “violenza simbolica”.
‹‹La violenza simbolica si istituisce tramite l’adesione che il dominato non può non accordare al dominante (quindi al dominio) quando, per pensarlo e per pensarsi o, meglio, per pensare il suo rapporto con il dominante, dispone soltanto di strumenti di conoscenza che ha in comune con lui e che, essendo semplicemente la forma incorporata del rapporto di dominio, fanno apparire questo rapporto come naturale; o, in altri termini, quando gli schemi che egli impiega per percepirsi e per valutarsi o per percepire e valutare i dominati (alto/basso, maschile/femminile, bianco/nero) sono il prodotto dell’incorporazione delle classificazioni così naturalizzate di cui il suo essere sociale è il prodotto››. (ivi, p. 45, 46)
Un esempio illuminante è che molte donne si sentirebbero screditate, da un punto di vista sociale, se fossero loro ad apparire come la parte dominante in un rapporto, se fossero ad esempio più alte o più vecchie dei loro uomini. Lo stare vicino ad un uomo che appare invece nella veste di dominante nella coppia, le fa sentire socialmente appagate. Ecco che le ritroviamo dunque nel ruolo di Altro, di non soggetto, di un qualcosa che risplende solo di luce riflessa. Le donne esistono innanzitutto per e attraverso lo sguardo degli altri, devono sempre essere sorridenti, disponibili, sottomesse, simpatiche, premurose, insomma “femminili”. Solo così risponderanno alle attese maschili e ciò sarà di esaltazione e darà forza al loro ego. Talvolta si è arrivati anche a pensare che sia delle donne stesse la responsabilità
della
loro
oppressione,
insinuando
che
esse
scelgano
volontariamente di adottare queste pratiche di sottomissione e che addirittura godano di questa loro condizione per puro masochismo insito nella loro natura, oppure, riprendendo de Beauvoir, semplicemente perché è più semplice fare questa scelta. Invece, ci spiega Bourdieu, sappiamo benissimo che non è così che stanno realmente le cose, che non vi è nulla di volontario, che queste pratiche 17
sono incorporate in maniera così inconscia e profondamente invisibile da apparire normali, naturali. Di tutte le forme di persuasione occulta, la più implacabile è quella esercitata semplicemente dall’ordine delle cose. E’ la più efficace forma di violenza che si possa percepire in quanto si costringe i dominati a collaborare attivamente alla propria dominazione.
‹‹Quando i dominati applicano a ciò che li domina schemi che sono il prodotto del dominio o, in altri termini, quando i loro pensieri e le loro percezioni sono strutturati conformemente alle strutture stesse del rapporto di dominio che subiscono, i loro atti di conoscenza sono, inevitabilmente, atti di riconoscenza, di sottomissione››. (ivi, p. 22)
Sono tanti i casi di ragazze che rifiutano una promettente carriera perché si orientano verso i campi a cui pensano di essere destinate, quei campi in cui spetta loro la subordinazione e non il comando, una retribuzione inferiore a quella maschile, un settore letterario piuttosto che uno scientifico o tecnico. Nonostante le università le veda protagoniste, con punteggi anche superiori a quelli dei loro colleghi maschi, nella realtà lavorativa i ragazzi hanno ancora molte più chance. Le donne sono portatrici di un coefficiente simbolico negativo, è questo che le pone in una condizione di inferiorità rispetto agli uomini. Il fatto di essere meno forti fisicamente, soggette a momenti di vulnerabilità, a periodi in cui il loro corpo è un nemico (mestruazioni, gravidanza), tutto ciò fa si che venga loro preferito sempre un uomo, soprattutto in quei campi di maggiore autorità in cui c’è bisogno di una figura solida e stabile che la donna non appare. Le donne trovano questa condizione naturale e quindi normale, perché è una struttura di pensiero che hanno appreso con l’educazione (familiare, scolastica, amicale) in maniera invisibile e che trova conferme nel comportamento di tutti i giorni, quello che regola il buon vivere in società. Se vuoi essere accettata, se vuoi il riconoscimento sociale di “vera donna” allora è così che ti comporterai. E le donne allora non si azzardano a compiere azioni che non ci si attende da loro. L'autore riporta la testimonianza di un transessuale americano che racconta come egli si fosse sorprendentemente adattato alle aspettative che gli altri avevano rispetto alle sue capacità e possibilità una volta divenuto donna: ‹‹Se si presumeva 18
che fossi incapace di fare una retromarcia o di aprire una bottiglia, sentivo, stranamente, che non ne ero effettivamente capace. Se qualcuno pensava che una valigia fosse troppo pesante per me, inspiegabilmente, anch'io la ritenevo tale››. Ritorna anche in questo caso il paradigma di Thomas ‹‹Se gli uomini definiscono certe situazioni come reali, esse sono reali nelle loro conseguenze››. Alla base del dominio maschile, quindi, non vi sono coscienze mistificate che semplicemente aspettano di essere illuminate. No, le donne, come abbiamo visto, sono anche loro inserite e trovano naturale una cultura alla cui base c’è questo
tipo
si
maschile/femminile:
sistema
simbolico
alto/basso,
formato
secco/umido,
dalle
coppie
duro/molle,
oppositive fuori/dentro,
sopra/sotto, giorno/notte, luce/buio, attivo/passivo, sole/luna, fuoco/acqua, e così via. Meccanismi così arcaici da risalire alla società cabila 6 che Bourdieu ha appunto studiato per svelare i tratti culturali che svolgono funzioni analoghe nelle nostre società occidentali e non solo. Questi principi, inoltre, resistono alle trasformazioni in atto nel sistema sociale. Ad esempio, come abbiamo visto, nonostante si dica che vi sia un ugual diritto per la donna e per l’uomo all’istruzione e al lavoro, a parità di curricula si preferisce un maschio o si invita le donne a scegliere un lavoro consono alla loro vocazione femminile, e ancora, gli uomini si dicono favorevoli all’uguaglianza tra i sessi anche in ambito della coppia, ma poi non garantiscono alcun supporto alle donne nei lavori domestici. Se una condizione di parità può riscontrarsi all’inizio del matrimonio, già con la nascita di un figlio ecco che le strutture tradizionali ritornano forti e impongono alla donna i vecchi ruoli stereotipati. L’unica via possibile, per Bourdieu, è un’improbabile trasformazione culturale e quindi un nuovo ordine simbolico a cui far riferimento, da interiorizzare e da naturalizzare e che non preveda più le coppie oppositive maschile/femminile. In questo modo non ci sarà più l’Altro dell’Uno, né dominati e dominanti, ma solo persone che vivono per sé. 6
La Cabilia (in berbero: Tamurt n Leqbayel, "La terra dei Cabilli") è una regione dell'Algeria, che ha inizio ad un centinaio di chilometri ad est di Algeri e che si estende lungo la costa da Dellys fino oltre Bugia (berbero Bgayet, fr. Bougie, ar. Béjaia) comprendendo, nell'interno, l'elevata catena del Djurdjura.
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1.2 La donna liberata dalla modernità Il punto di vista di Alain Touraine è sostenuto da una serie di interviste realizzate su donne prese singolarmente o riunite in gruppi di discussioni. I risultati dimostrano innanzitutto che le donne non si definiscono mai come vittime, anche quando hanno realmente subito delle ingiustizie, né come oggetti sessuali, definizioni tanto care invece ai sostenitori del dominio maschile.
‹‹Alcuni intellettuali cercano di apparire radicali affermando che il dominio subito è talmente forte da non lasciare ai dominati alcuna possibilità di manovra. Ma questo ragionamento è arbitrario. Non sono mai esistite vittime silenziose e incapaci di agire››. (Touraine 2006, tr. it., p. 145)
La prima affermazione delle donne intervistate è “io sono donna” il che vuol dire la totale presa di coscienza del loro essere, della loro identità e del loro obiettivo principale che è quello di realizzarsi in quanto soggetti, di avviare quel processo di costruzione di sé che non parte dalla conflittualità o dal dualismo con gli uomini. Questa coscienza non viene fuori dal rapporto ambivalente con l’altro, ma da un rapporto creativo con sé stesse.
‹‹Siamo così abituati a leggere e ad ascoltare discorsi sulle donne, in genere formulati da donne, che mettono a nudo il dominio maschile, denunciano la riduzione delle donne a oggetti sessuali, rivendicano nuovi diritti o cercano di spiegare la crescente fragilità delle coppie e delle famiglie, che quasi dimentichiamo di chiederci se esiste una realtà delle donne che resiste tanto alle interpretazioni ideologiche quanto alle strategie politiche››. (ivi, p. 31, 32)
Non bisogna distruggere il concetto di genere o tendere all’uguaglianza dei sessi e desiderare di vivere in una improponibile realtà unisex affinché la donna sviluppi una consapevolezza di sé stessa. Non è necessario diventare lesbica,
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come sosteneva Monique Wittig 7 , per tirarsi fuori dal dominio eterosessuale e liberare la “classe donna”. Le donne possono e devono essere entrambe le cose: femmine e soggetti. Sono consapevoli di vivere in una società che riflette ancora gli effetti del dominio maschile che le subordina ai maschi, ma allo stesso tempo, nonostante tutto, vogliono e riescono a creare sé stesse, al di là delle funzioni che la società attribuisce loro.
‹‹Io sono una donna vuol dire: donna, ho il diritto di essere una donna e di dare a questa figura il contenuto da me scelto››. (ivi, p. 36 )
Durante le interviste le donne hanno parlato maggiormente di sé, il loro rapporto con gli uomini passa in secondo piano, ciò a dimostrazione del fatto che considerano più importante il rapporto con sé stesse che con i loro partner e che quindi dal loro punto di vista non si definiscono più come l’Altro. A confermare ulteriormente questa consapevolezza è l’aumentare del desiderio di spazi non misti per poter parlare tra loro e sentirsi più vicine e solidali, scoprendo anche una complicità che consolida quella coscienza di sé che non si rispecchia più nell’Altro ma in un’altra sé stessa. Le donne sono sempre meno confinate nel ruolo di vittime di un dominio maschile che ha confuso gli individui di sesso maschile con l’umanità nel suo complesso.
‹‹Qui non si tratta comunque né di rivoluzione né di riformismo, ma piuttosto della presenza positiva o meglio dell’affermazione di attrici sociali che si oppongono al prevalere di un pensiero incentrato unicamente sulla coscienza della mancanza, dell’alienazione e dell’impotenza››. (ivi, p. 34) 7
Monique Wittig (Dannemarie, 13 luglio 1935 – Tucson, 3 gennaio 2003) è stata una poetessa, saggista, teorica femminista e docente universitaria francese. È stata, inoltre, una delle fondatrici del “Mouvement de Libération des Femmes” (FML). Per Wittig, la categoria “donna” esiste in funzione alla categoria “uomo” , quindi categoria che -senza riferimento al “costrutto uomo”cesserebbe di esistere. Questo si deve comprendere nel senso che, per lei, la categoria "donna" è stata creata da e per il dominio eterosessuale-maschile e che di conseguenza, una donna che non risponde ai criteri di "femminilità" dettata dall'eteronormatività e che non si sottopone all' “uomo” non è una donna ma una lesbica. Wittig invita così tutte le donne a diventare “lesbiche”, termine che, appunto, ha una dimensione politica, per la liberazione della "classe donna", e non sul piano dell'orientamento sessuale.
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Un attore sociale nasce quando i membri di una società si definiscono per la loro volontà di cambiamento anziché nell’idea di conservazione. Con Simone de Beauvoir abbiamo visto come questo ruolo spettava unicamente all’uomo, per Touraine, invece, è la donna ad essere considerata il soggetto per eccellenza. Viene dunque a cadere il fondamento primo del dominio maschile che si reggeva innanzitutto sull’idea di una donna priva di soggettività. Il dominio sopravvive attorno alle donne, ma non più nelle donne. La società degli uomini dominatori è esistita e il movimento femminista era nato appunto in contrapposizione a tale concezione del mondo, ma le donne intervistate da Touraine non ne fanno parte. Non si sentono delle femministe, non si identificano in loro, nonostante riconoscano l’importanza delle loro conquiste. No, le donne di oggi non hanno più bisogno di combattere nulla o di distruggere, i loro obiettivi sono positivi e il senso ultimo di questi obiettivi e la costruzione di sé. E’ a questo punto che si assiste al passaggio dal soggetto inteso come attore sociale o attore collettivo al soggetto individuale che tende sempre più ad appoggiarsi ad una base morale piuttosto che sociale, in quanto il sociale della tarda
modernità
sembra
poter
offrire
al
soggetto
solo
l’opportunità
dell’opposizione, della lotta e della dissidenza fine a se stesse. L’oggetto di studio di Touraine è appunto il soggetto individuale che riesce a sottrarsi al controllo della società, anche se molto spesso queste resistenze sono costrette a radicarsi nel non sociale, nell’appello a tutto ciò che è a monte della socializzazione. Per questo la sua idea di soggetto tende ad incarnarsi in ciò che si trova tradizionalmente ai margini: donne, giovani, immigranti, dissidenti. Comunque sia il soggetto di cui parla Touraine non è mai un singolo individuo concreto, più che altro l’idea di soggetto compare a tratti in determinati comportamenti dell’individuo. Viene fuori ogni volta che egli compie un atto di resistenza all’ordine sociale. Le donne mettono in atto più di chiunque altro queste forme di opposizione, per questo, secondo il sociologo, possiamo definirle come i “soggetti” per eccellenza.
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Le donne sono ormai slegate dai ruoli tradizionali che le vedeva come madri e mogli devote e sottomesse. Le donne di oggi possono scegliere, non è più la natura ad avere il totale controllo del proprio corpo, non sono più schiave dei ruoli matrimoniali. E’ dunque nel loro corpo, nella loro sessualità, principalmente, che prende forma in maniera evidente il loro essere soggetti. In quel corpo che fino a poco tempo fa si pensava le rendesse schiave della specie. E se è vero che la maternità viene vista come il più forte legame con il tradizionale ruolo delle donne e la gravidanza come la risposta alle regole che la natura impone, Touraine ritiene, invece, che proprio il periodo in cui si “porta dentro di sé una vita” è quello fondamentale per l’esplicarsi della donna come soggetto. La gravidanza è il tempo per eccellenza di non socialità, è un’esperienza interna, privata, messa in contrapposizione con la maternità che è invece un ruolo socialmente costruito, complementare a quello della paternità. Durante la gestazione si mette in evidenza anche un’altra peculiarità propria del genere femminile, ovvero la sua capacità di tenere insieme le differenze. Attraverso il dialogo madre-figlio, quel tipo di comunicazione che solo alla donna è possibile, ella esplica la sua capacità di tenere insieme anziché opporre e separare: ecco il valore dell’ambivalenza.
‹‹E’ qui che si impone l’idea che aleggia in tutti i nostri documenti, che la donna è un essere meno sociale, meno definito dai ruoli sociali che l’uomo››. (ivi, p. 74)
Prendendo in considerazione gli uomini, Touraine afferma che, quando essi parlano di sé stessi, dichiarano di non avere scelta, che nella costruzione della propria vita sono condannati a dare priorità alla loro carriera, al lavoro, al guadagno. Osservando le donne vorrebbero avere anche loro un’esistenza più svincolata dagli obblighi sociali, ma si capisce che ancora non è il momento, che sono troppo legati ai vecchi schemi che ora però sembrano essere solamente un peso.
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E’ questo il momento in cui le donne potrebbero finalmente sentirsi superiori agli uomini. Si sta assistendo ad un mutamento epocale, al passaggio da un modello sociale a un modello propriamente culturale di costruzione dell’esperienza. Eppure alle donne non interessa creare una realtà in cui dominare, o nella quale veder rispecchiare la propria essenza fatta di dolcezza e affettività, al contrario vorrebbero integrare nella propria cultura anche gli uomini per cercare di liberarli dagli strascichi di un modello ormai obsoleto. La società di cui parlano le donne deve essere condivisa da tutti e non si deve stabilire alcuna gerarchia che possa ingabbiare il mutevole e multiforme mondo della sessualità.
‹‹Si, questa società può essere definita una società di donne, perché si basa sul rovesciamento del dualismo e della gerarchia fondamentale, e apparentemente inamovibile, che distingueva e contrapponeva uomini e donne››. (ivi, p. 194)
Se con il dominio maschile la scelta imposta comportava il dover rinunciare ad una parte di sé stessi perché così volevano la tradizione e il rispetto dell’ordine sociale, la società delle donne, in linea con i nuovi sviluppi della modernità, svincolata dagli obblighi tradizionali, non è più una società del dovere ma una società della libera scelta. La responsabilità balza in primo piano ed esclude che un individuo possa agire in seguito ad un comando o per cieco consenso. Non esiste più la dicotomia giusto-sbagliato quando si sceglie in un mondo nel quale ogni situazione è buona e cattiva allo stesso tempo. Ogni scelta è quella giusta se prende come riferimento una morale che nasce all’interno di noi stessi e non all’esterno. Le donne resistono anche ai falsi miti della globalizzazione, prendendo in mano il proprio destino, assumendosi quella responsabilità che poteva essere perduta o lasciata in balia dei venti freddi e controversi della modernità. In una società che promuove l’autodeterminazione, le donne, più che gli uomini riescono a porsi come soggetti che si autodeterminano, che si fanno costruttori delle proprie vite. In una realtà che praticamente ha azzerato le differenze e reso tutti 24
dei consumatori, le donne sono invece produttrici di un’organizzazione sociale, di rappresentazioni culturali, di ideologie. Così, per Touraine, la celebre formula di Simone de Beauvoir: ‹‹donne non si nasce, lo si diventa››, può anche essere considerata nella sua accezione positiva, ovvero come capacità delle donne di autodeterminarsi, di farsi soggetto senza per forza definirsi in relazione agli uomini o come vittime. I maschi sono spiazzati da questa nuova realtà e cercano in tutti i modi di tenersi aggrappati ai vecchi schemi che, almeno nella vita pubblica, gli assicurano ancora i posti di maggior potere. Essi trovano nel linguaggio il mezzo ideale per resistere al cambiamento e per perpetuare i fondamenti del dominio maschile.
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CAPITOLO 2 Il potere discriminatorio del linguaggio
C’è però un “luogo” nel quale la presenza femminile è ancora incerta. Questo “luogo” è il nostro linguaggio. L’uso della lingua, infatti, è troppo spesso dato per scontato, ma in realtà, se essa non viene usata con consapevolezza genera delle vere e proprie discriminazioni di genere. Le ideologie dominanti trovano nella lingua un importante e potente mezzo per mantenere inalterata la loro posizione di supremazia, questo perché il linguaggio più che al cambiamento tende alla conservazione, non tanto per una sua caratteristica intrinseca, ma soprattutto perché la maggior parte della gente è conservatrice e mostra diffidenza – se non paura – nei confronti delle innovazioni linguistiche, che la offendono perché disturbano le sue abitudini o perché sembrano una violenza contro natura. Toccare la lingua è come toccare la persona stessa, afferma Alma Sabatini. Quindi, nonostante i cambiamenti evidenti e l’ascesa sempre più massiccia delle donne nel mondo del lavoro, della politica, della cultura, della società, l’ordine patriarcale continua a perpetuare il suo dominio che ha profondamente impresso nella forma linguistica, delimitando e circoscrivendo le forme stesse di tale dominazione. Le donne sono presenti, dunque, ma non nominabili o, se proprio vogliamo, possiamo nominarle con termini maschili e questo accade anche per loro volere. Una ragazza che diventa avvocato vi dirà sicuramente che vuole essere chiamata “avvocato” e non con una di quelle parole derivate e brutte come “avvocata” o ancor peggio “avvocatessa”. Dopo tutta la fatica fatta non può pensare mica di essere qualificata con un termine che la porrebbe di conseguenza (perché femminile, brutto, strano, diverso) a un livello più basso di quello di un uomo! Si mira a raggiungerlo, a porlo come essere superiore a cui tendere, a volere il suo nome, a non capire che la differenza non è inferiorità, ma solo possibilità di esistere per sé. Le donne dicono: “ma noi ci siamo, siamo avvocati, ministri, 26
direttori”, eppure non si rendono conto che solo la nominazione rende veramente reali, che ciò che non ha nome non esiste. Dunque, lo stereotipo primo nella comunicazione tra i sessi è la perdita del segno di genere femminile nella lingua, ma questo è solo una delle tante forme che può assumere il linguaggio sessuato, perché c’è qualcosa di peggio del non essere nominati, ed è l’essere qualificate attraverso un linguaggio che ha confinato le donne nell'ambito del corpo, della sessualità, della riproduzione biologica e sociale, della cura familiare, in poche parole in soli due ruoli, quello di “madre” o di “puttana”. Gli autori che prenderemo in analisi sono riusciti e svelare e a porre sotto lo sguardo di tutti il potere androcentrico e discriminatorio che si nasconde dietro parole, titoli, frasi e discorsi apparentemente innocui.
Studiosi che hanno
contribuito in maniera importante a sollevare le coscienze su una questione che neppure per il femminismo era tale da prendere in considerazione, ma che invece è imprescindibile laddove le donne vogliano realmente e finalmente smetterla di essere l’ “Altro”.
2.1 – Il linguaggio ideologico Il linguaggio sia scritto che orale gioca un ruolo fondamentale nella riproduzione delle ideologie, in particolare quelle razziste. E’ questa la tesi sostenuta da Teun A. van Dijk, professore dell’Università di Amsterdam, da sempre impegnato a rilevare il razzismo nascosto in giornali, discorsi politici, libri di testo, etc. Egli distingue il razzismo diretto, comunque grave, che però produce danni limitati, da quel razzismo delle élite politiche, culturali ed accademiche, che viene espresso da chi ha in mano il potere di comunicazione, simbolizzazione e legittimazione. Attraverso i mass-media, il sistema politico, la scuola, questo tipo di razzismo si trasforma in "discorso pubblico".
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Ad un’analisi approfondita, determinate argomentazioni all’apparenza “normali”, celano, invece, profondi pregiudizi, generalizzazioni che attraverso metafore e simboli, essendo espressi da chi detiene il potere, assumono legittimità, per poi diffondersi nella società attraverso i discorsi quotidiani della gente. A livello individuale le ideologie determinano, quindi, molte azioni di routine, così quando le donne e gli uomini interagiscono fra loro, è praticamente sempre evidente l’esplicarsi di ideologie di genere, come il sessismo o il femminismo.
‹‹La vita quotidiana delle donne è colma di modi sottili e indiretti di ineguaglianza e discriminazione. Tutti gli aspetti delle interazioni quotidiane tra donne e uomini sono praticamente influenzati da ideologie sessiste›› (van Dijk 1998, tr. it., p. 58)
La conoscenza è dunque influenzata dall’ideologia in quanto coloro che possiedono tali credenze pensano che esse siano vere e pertanto le considerano effettivamente delle conoscenze e non delle credenze ideologiche. Le ideologie forniscono la giustificazione degli abusi di potere del gruppo dominante, si parla appunto di ideologie dominanti per riferirsi a credenze impiegate dai gruppi dominanti nella riproduzione o legittimazione del loro dominio. In un discorso vi possono essere riferimenti ideologici espliciti e quindi facili da individuare, ma molto spesso accade che essi si nascondano in strutture più o meno ovvie del discorso come l’intonazione, l’esitazione o in un pronome. Il significato semantico e lo stile hanno maggiori probabilità di essere influenzati dalle ideologie rispetto alla morfologia (formazione di parole) o alla sintassi (formazione di frasi), semplicemente perché le ultime dipendono molto meno dal contesto. In inglese e in italiano, ad esempio, l’articolo precede il nome e non vi è influenza ideologica che possa cambiare ciò. Ma l’utilizzo di diversi aggettivi per identificare qualcuno scegliendo tra combattente per la libertà, ribelle o terrorista, dipende dalla nostra opinione riguardo quella persona e questa opinione a sua volta dipende dalla nostra posizione ideologica e dagli atteggiamenti che abbiamo verso il gruppo a cui appartiene la persona.
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La strategia del discorso ideologico è molto generale e si può riassumere così: parlare di noi in maniera positiva, parlare di loro in maniera negativa, non dire cose negative riguardo noi, non dire cose positive riguardo loro. Secondo questo paradigma anche le figure retoriche possono sostenere un’ideologia: enfatizzare le cose positive riguardo noi, enfatizzare le cose negative riguardo loro, de-enfatizzare le cose negative riguardo noi, de-enfatizzare le cose positive riguardo loro. Queste quattro possibilità formano un quadrato concettuale, che viene chiamato “il quadrato ideologico” e lo si può applicare all’analisi di tutti i livelli delle strutture di discorso. Sono tantissimi gli stratagemmi a disposizione del discorso ideologico che van Dijk ci illustra, facendo soprattutto riferimento al pensiero discriminatorio sugli immigrati. Possiamo, ad esempio, presupporre delle informazioni che non sono generalmente condivise o per niente accettate e introdurle nel discorso dalla porta di servizio: dire che la polizia dichiara di preoccuparsi per l’alto tasso di criminalità fra i giovani immigrati maschi, è come affermare tacitamente che i giovani immigrati maschi hanno un alto tasso di criminalità. Possono essere ideologicamente contaminate anche un’affermazione e una negazione, nel primo caso la frase “E’ della Nigeria, ma è un ottimo lavoratore” fa presupporre che i nigeriani non siano buoni lavoratori; per quanto riguarda invece le negazioni, tra le quali la più nota è la negazione apparente, la frase “Non ho nulla contro X ma…” è formata da un primo periodo che nega dei sentimenti negativi nei confronti di un altro gruppo, mentre il resto del discorso può dire cose molto denigranti sugli altri. Si parla in questo modo per autopresentarsi in maniera positiva e per mantenere le apparenze e far continuare ad avere una buona opinione di sé soprattutto se si parla con una persona con diverse vedute. Altri espedienti sono: la concessione apparente: “possono anche essere molto intelligenti, ma…”; l’empatia apparente: “possono anche aver avuto dei problemi, ma…”; la scusa apparente: “scusami, ma…”; lo sforzo apparente: “facciamo tutto quello che possiamo, ma…”; il transfer: “io non ho problemi con loro, ma i miei clienti…”; il rovesciamento, in cui la vittima viene addirittura incolpata: “loro non sono discriminati, noi sì!”. 29
Tutti questi esempi sono in riferimento al significato del discorso, passiamo ora alle strutture preposizionali. Per prima cosa, gli attori possono venire omogeneizzati in espressioni generalizzate o generiche (i turchi, riferito ad un solo turco). Si possono, inoltre, inserire modalità che modificano la proposizione, ad esempio rappresentando la brutalità della polizia come necessaria: “la polizia ha dovuto ricorrere alla violenza”, o fornendo delle prove a sostegno di una discussione, affermando, ad esempio, che lo si è visto alla tv o letto su un giornale importate, ma sappiamo come siano soprattutto i media a subire i condizionamenti ideologici. Un politico o un giornalista che sono contrari all’immigrazione, possono camuffare un’opinione fortemente razzista usando altri termini più tiepidi quali potrebbero essere “scontento popolare” o “risentimento”. Infine vi sono i cosiddetti topoi, ovvero i luoghi comuni: si raccomanda, ad esempio, agli immigrati di restare nel loro paese per aiutare a ricostruirlo o a restare nel loro paese a causa della discriminazione e pregiudizio nel paese di accoglienza. Per quanto riguarda le strutture formali del discorso anche se sono per lo più indipendenti dalle ideologie come, ad esempio, la posizione dell’articolo prima del nome, alcune volte anch’esse possono essere condizionate ideologicamente, basti pensare all’uso del lei o del tu: ci si sente legittimati a dare del tu ad un nero a causa della sua posizione sociale. Per quanto riguarda la sintassi della frase, possiamo utilizzare le parole seguendo un ordine che può variare a seconda delle ideologie, ad esempio nella frase: “la polizia ha arrestato i dimostranti” si può valorizzare l’azione della polizia spostando l’espressione “la polizia” verso la fine e servendoci di una costruzione passiva dire: “i dimostranti sono stati arrestati dalla polizia”. Inoltre, seguendo proprio la regola del quadrato ideologico, nella forma del discorso si favorisce l’ingroup e si svaluta l’outgroup: le frasi che esprimono i significati positivi a nostro riguardo e i significati negativi che riguardano loro, appariranno generalmente all’inizio dei titoli, inversamente le informazioni negative per la nostra immagine appariranno alla fine o verranno lasciate del tutto implicite nel testo.
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Infine, le figure retoriche, come abbiamo già accennato, vengono utilizzate per enfatizzare le nostre azioni positive e le loro azioni negative e viceversa per le nostre azioni negative e loro azioni positive. Van Dijk sostiene che la rappresentazione negativa di un altro gruppo serve soprattutto a rafforzare la propria immagine e, in tempi di crisi culturale, politica e economica, a mascherare il fallimento del gruppo dominante che risolvere i suoi problemi attribuendo la colpa ad altri. E’ per questo che i modelli di Van Dijk, senza grandi modifiche, sono applicabili a tante minoranze, o gruppi discriminati: omosessuali, handicappati, donne, etc.
2.2 Una lingua a misura d’ “uomo” Tra noi umani e la realtà non c’è contatto immediato, come avviene per gli animali il cui circolo funzionale risulta costituito solo da due sistemi: il ricettivo e l’efficiente, per cui la risposta allo stimolo è diretta. L’evoluzione caratteristica degli esseri umani ha dato vita ad un terzo anello, il sistema simbolico 8 , le cui forme più importanti sono appunto la lingua, il mito, l'arte e la religione. La lingua è la forma primaria, perché è alla base della costruzione di tutte le altre. La lingua incorpora una visione del mondo e ce la impone. Siamo noi ad essere parlati dalla nostra lingua e dai pregiudizi inscritti in essa, anziché essere noi a parlarla. I nostri discorsi non sono ciò che un soggetto singolo in piena libertà decide di dire, ma sono un deposito collettivo di valori, di giudizi su ciò che è buono e cattivo, giusto e ingiusto, lecito e illecito, idee e comportamentï sui quali ci formiamo a partire dal nostro ingresso nel mondo. Siamo talmente abituati alla natura convenzionale della lingua da sottovalutarne la sua capacità di reiterare forme di dominio, tra le quali l’androcentrismo. Il condizionamento di genere si intreccia con quello di classe, ma di fatto è più profondo di quello di qualsiasi altra categoria sociale. 8
Ernesto Cassirer, modificando l'antico aristotelica espressione animale razionale, sostenne, infatti, che l’uomo è un animale simbolico.
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‹‹La discriminazione sessista e gli stereotipi di genere pervadono la lingua nella sua interezza e sono rinforzati da essa››. (Lepschy 1989, p. 62)
Quella che noi utilizziamo non è una lingua universale ma si tratta di un linguaggio fatto su misura per i maschi, basta prendere in esame una semplice e all’apparenza innocua frase per intuirne la logica: ‹‹la parola è uno dei più importanti mezzi che abbiamo a disposizione per capire, per convincere; per avvicinarsi di più a chi ci sta vicino, nel lavoro e in casa, per parlare con un amico, la propria donna, i propri figli, per capire ciò che gli altri ci dicono, ciò che sentiamo e ciò che leggiamo sui giornali e sui libri, per convincere chi ci sta a sentire che quanto diciamo è forse giusto, è buono, è utile›› (Beccaria 1988). Il testo all’apparenza non sembra avere nulla di anomalo, all’inizio e alla fine troviamo una prima plurale che dovrebbe fare riferimento alla categoria universale di uomini che è composta da maschi e femmine. Tuttavia, ad un’analisi più approfondita, ci rendiamo ben presto conto che non è così. All’interno della frase vi è specificato che la lingua serve a “parlare con la propria donna”. Quel plurale che citavamo prima, quindi, non è generico, ma scopriamo riferirsi solo ai maschi. Questa restrizione di significato quasi non si nota e non è dovuta ad una mancanza dell’autore, quanto ad un uso “normale” della lingua. Se lo stesso avesse scritto che la lingua serve a parlare con “il proprio uomo” l’espressione avrebbe avuto qualcosa di strano e di stridente. Questo si collega al fatto che l’uomo e non la donna si può porre come termine “non marcato” 9 dell’opposizione.
‹‹L’uomo è il rappresentante di quell’umanità che in certi momenti comprende e in certi momenti esclude le donne››. (ivi, p. 62)
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Una forma marcata è una forma non basilare o meno naturale. Si contrappone alla forma non marcata, che è la forma basilare, neutrale. Esempio: la parola leone è un sostantivo non marcato in italiano rispetto a leonessa: la prima parola può infatti riferirsi sia al leone maschio che alla specie del leone in generale (maschio e femmina), mentre leonessa è la forma marcata (come si vede dal suffisso -essa): potrà dunque avere solo il riferimento al femminile.
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Il maschile diviene così categoria universale, temine astratto e generale che di fatto si configura come la norma, rispetto alla quale il femminile costituisce lo scarto, il tratto che va marcato.
Dialogo immaginario tra un’insegnante e la sua allieva (tratto da un testo di Anna Maria Piussi)
E’ comune in tutte le lingue a genere l’assorbimento del femminile da parte del maschile; il termine generico, non marcato e quindi di base è sempre il maschile, il femminile si pone come termine da questo derivato, tramite determinate trasformazioni morfologiche 10 .
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Il linguista americano Wallace Chafe include soltanto il maschile nella informazione semantica del lessico: ‹‹considero il maschile come lo stato non marcato di un nome umano e di conseguenza il femminile come lo stato marcato. In generale non conoscendo il sesso di un nome umano, lo tratteremo concettualmente come maschile. Dovremo quindi aggiungere una regola che dice che un nome umano può, facoltativamente, essere specificato come femminile. In assenza di tale specificazione ogni termine di persona è assunto come naturalmente maschile››.
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Non è mai semplice distinguere tra uso “marcato” e uso “non marcato” di un termine, di conseguenza l’immagine che si trasmette è di un mondo in cui essere uomini (maschi) è la condizione presupposta come normale, prevista, ordinaria, non marcata. Prendiamo in esame un’altra frase apparentemente corretta quale: “le donne sono diverse dagli uomini”. Se questa asserzione viene analizzata attentamente si nota che il significato sta a indicare come il termine di paragone per le donne è rappresentato dagli uomini. Infatti, implicitamente in tale frase si assume il maschile come norma e, di fatto, si ribadisce l’inferiorità femminile. La frase corretta sarebbe: “le donne e gli uomini sono diversi”, in questo caso non vi è alcun termine di paragone, nessun essere superiore al quale paragonarsi o a cui tendere, solo una sana affermazione di diversità. Purtroppo anche quando si parla del concetto di parità tra uomini e donne spesso si intende che la donna debba adeguarsi alla “norma/parametro uomo”, invece di concepire la reale possibilità della piena realizzazione di tutte le persone nelle loro diversità. Il “sapere ufficiale” – storicamente maschile – negando o fingendo di non avvertire la necessità del cambiamento, di adeguarsi, nella fattispecie, a un linguaggio che risponda all’attuale mutata situazione sociale, politica e culturale, difende così la sua forza esclusiva. In altre parole si opera una sorta di “violenza simbolica” imponendo legittimità a segni linguistici arbitrari: questo, in particolare, per quanto riguarda l’uso grammaticale cosiddetto “neutro”. Le concordanze al maschile e l’uso generico del termine uomo per riferirsi ad insiemi misti, ne sono alcuni esempi. Dire “Maria, Paolo e Francesca sono stati buonissimi” significa fare due ingiustizie, una a Maria e a Francesca, che sono più numerose, un’altra all’armonia della lingua italiana, che trova un aggettivo maschile vicino ad un sostantivo femminile. La stessa cosa e in maniera anche più evidente accade nella frase: “E’ stata rivolta un’interrogazione al ministro Moratti ma lei non ha risposto”, l’accordo grammaticale, soprattutto nei casi di pronomi, può entrare, quindi, in conflitto con proprietà del referente.
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Quando si parla di gruppi misti, il termine uomo rende invisibili le donne. “Diritti dell’uomo”, “lavoro dell’uomo”, “uomo qualunque”, “uomini primitivi”, ecc. L'uso del linguaggio “neutro” nasconde la presenza femminile nel passato: il dire per esempio “i Normanni nell'Italia meridionale combatterono contro i Saraceni” ha un senso falsamente universale: le Normanne e le Saracene che cosa facevano mentre gli uomini combattevano?
‹‹È questa la cosa che mi stupisce e affascina di più: come la nostra cultura ci abbia assuefatti silenziosamente a un modello di mondo “a misura d’uomo”, ma
davvero,
“d’uomo” e non “di donna” o, meglio ancora, “della persona”››. (Perrotta Rabissi, 1998)
Attraverso il linguaggio, quindi, le donne interiorizzano i valori e le norme di una cultura patriarcale che sancisce la loro subalternità. Il linguaggio è creatore di significato e di senso e assume un ruolo determinante nella formazione della coscienza di sé, della visione del mondo e della propria collocazione in esso. Da dove ha origine questa essenza del femminile come genere derivato e subalterno? Patrizia Violi ne L’infinito singolare ce lo spiega partendo dal quadro semiotico proposto da Greimas 11 come struttura fondamentale della significazione e che prevede quattro posizioni, non due soltanto. I due termini che articolano la categoria, maschile e femminile, non sono legati da una relazione di contraddittorietà, bensì sono termini contrari, articolati su di uno stesso asse semantico. Ognuno di essi prevede poi un proprio contraddittorio, rappresentato dalla sua negazione: non-maschile e non-femminile, secondo uno schema del tipo
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Algirdas Julien Greimas (Tula, 9 marzo 1917 – Parigi, 27 febbraio 1992) è stato un linguista e semiologo lituano che contribuì alla teoria semiotica fondando la semiotica strutturale. “L'uomo vive in un mondo significante. Per lui il problema del senso non si pone, il senso è posto, s'impone come un'evidenza, come una "sensazione di compresenza" del tutto naturale”.
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in cui la linea continua sta appunto ad indicare la relazione di contraddittorietà e quella tratteggiata la relazione di contrarietà. Come si può vedere da questo schema, “femminile” e “non maschile” sono termini distinti, in alcun modo riducibili l’uno all’altro (secondo Greimas essi sono regolati da una relazione di complementarità). Ciò che è invece avvenuto nell’articolazione linguistica di questo schema astratto è stata la riduzione e l’appiattimento di un termine sull’altro, in modo tale che “femminile” è venuto di fatto a coincidere con “non maschile”, secondo una opposizione dualistica che ha annullato la differenza fra contrari e contraddittori, sovrapponendo i due termini e dando così luogo ad un’opposizione a due soli posti: maschile ------------- non maschile = femminile. Dalla negazione del termine fondante, il maschile, si ricava così come suo opposto il femminile, che non può venire caratterizzato sulla base di proprietà proprie, ma soltanto come negativo rispetto al termine che lo fonda nella relazione di opposizione, il maschile appunto. E’ interessante notare come tale riduzione e appiattimento si verifichi in relazione ad uno solo dei due lati del quadrato semiotico che rappresenta le relazioni fondamentali della significazione: è infatti il maschile ad avere, storicamente, posto il femminile come suo negativo e non l’opposto.
‹‹La scelta del maschile come termine primo (o non-marcato) ha determinato l’organizzazione della differenza sessuale nella forma in cui oggi si presenta entro la maggior parte delle lingue che conosciamo››. (Violi 1986, p. 82)
Il fatto che sia l’uomo e non la donna il termine usato come non marcato dipende dalla condizione di oppressione che ha caratterizzato l’esistenza femminile nel corso della storia del genere umano. Un altro problema sul quale gli studiosi si confrontano da diverse generazioni è se il genere sia arbitrario o abbia un significato che rimanda a una realtà extralinguistica. Noi colleghiamo più o meno coscientemente a oggetti o nozioni un simbolismo maschile o femminile anche quando non vi è corrispondenza con il genere. Chi non ha mai immaginato al di fuori di ogni teoria 36
linguistica che le cose potessero avere un sesso? Nella maggior parte dei casi ne risulta che il femminile sarà più facilmente associato all’idea di piccolezza e il maschile a quella di grandezza. La vocale “i” e soprattutto la sua variante chiusa è particolarmente adatta ad indicare ciò che è piccolo, debole, insignificante, mentre “o”, al contrario, rappresenta ciò che è raffinato e delicato.
Piccolezza e
debolezza sono dunque considerate caratteristiche del sesso femminile. Ma come decidiamo in realtà se una cosa deve essere trattata, soprattutto sotto l’aspetto grammaticale, come “maschile” o “femminile”? Secondo i linguisti, possiamo affermare che in una stessa lingua, sia fattori grammaticali, sia fattori semantici o referenziali possono determinare l’accordo di genere. Non basta che una parola termini per “a” oppure per “o” per decidere che tipo di accordo assegnarle, tra l’altro, infatti, ci sono anche parole che terminano per “a” e sono trattate al maschile (panorama, diploma, ecc.) e parole che terminano per “o” e sono invece trattate al femminile (mano). Quindi, oltre alle regole grammaticali, gli studiosi concordano sul fatto che esistano anche regole semantiche (di che tipo siano queste regole, però, ognuno ha una sua personale idea), che assegnano un genere ai nomi di cose. Interessante è l’ipotesi di Thornton, il quale fa riferimento alle regole che assegnano a un certo nome lo stesso genere del suo iperonimo (come per esempio l’assegnazione del femminile ai nomi di città, essendo appunto femminile il nome città). Successivamente Thornton ha proposto una restrizione a questa regola e cioè il fatto che la validità sarebbe effettiva solo quegli iperonimi che siano anche nomi di livello basico, come dall’esempio:
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E’
molto
interessante
anche
lo
studio che
riguarda
i
conflitti
nell’assegnazione di genere, ovvero, cosa succede se le regole semantiche e quelle formali 12 sono tra di esse in conflitto? Generalmente si tende a far prevalere le regole semantiche su quelle formali. Rice, però, sostiene che in ogni lingua le diverse regole di assegnazione di genere hanno uguale peso, l’unica gerarchia si ha tra i valori di marcatezza dei diversi generi. Questa teoria è chiamata “Optimal Gender Assignment Theory” e prevede ad esempio che il termine “mulla” in russo sia maschile non perché indica un essere umano maschio, facendo prevalere, quindi, la regola semantica su quella formale, ma esclusivamente perché il maschile è il genere meno marcato della lingua. Tuttavia questa regola non vale per l’italiano e lo possiamo provare prendendo come esempio le parole “squillo”, “torpedo”, “biro”, “sdraio”, “polo” alle quali potrebbe essere assegnato sia il maschile perché terminano in “o”, sia il femminile per motivi semantici 13 . Seguendo la regola di Rice, il conflitto bilanciato in tali nomi dovrebbe far sì che essi ricevano il genere meno marcato della lingua, cioè il maschile, invece non è così. Questo significa che, almeno in italiano, i criteri semantici prevalgono su quelli formali, in caso di conflitto bilanciato. Ritornando ad ipotesi molto suggestive, che riguardano il simbolismo insito all’interno dei nomi, possiamo pensare ad esempio ai termini femminili di tutte le macchine utensili. Si direbbe che essi hanno per prototipo la chioccia, la gallina, essere eminentemente femminile, la cui fecondità naturale si manifesta attraverso un atto ripetuto all’infinito. Le spazzatrici, taglierine, piallatrici, falciatrici, perforatrici, ecc. che fanno sempre la stessa cosa quando una potenza esterna feconda la loro passività, non potevano essere che femminili. Invece il cursore, il puntatore, il rimorchiatore, oggetti indipendenti che hanno in se stessi la loro utilità, dovevano per forza essere maschili. 12
Le regole formali sono quelle morfologiche che assegnano un genere sulla base della classe di flessione cui un nome appartiene, ad esempio la regola che in italiano assegna i nomi con singolare in “a” e plurale in “e” e quelle fonologiche che assegnano un valore di genere a un nome in base a qualche aspetto del significante della su a forma base, o della sua forma di citazione, ad esempio in italiano esiste una regola che assegna il genere femminile ai nomi terminanti in “a” come sauna, cavia, balalaica, corrida, dacia, troica, gincana, siesta, papaia, rumba, samba, ecc. 13 Squillo: perché indica un essere umano di sesso femminile; torpedo, biro, sdraio, polo: perché ereditano il genere del loro iperonimo di livello basico.
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‹‹Alla donna passiva si oppone l’uomo attivo››. (Yaguello 1979, tr. it., p. 106)
Non è un caso che le macchine odierne più sofisticate, più autonome, al punto che l’uomo si sente superato da esse, hanno una certa tendenza ad essere di genere maschile. La memoria del calcolatore o il grande calcolatore hanno soppiantato la calcolatrice di una volta, che non esiste più se non in formato tascabile. La divisione dell’universo in elementi maschili e femminili è sempre stata presente in ogni momento e in ogni dove dell’umanità. La si ritrova simbolizzata a livello più astratto nell’opposizione tra l’ “animus” ovvero l’intelletto e l’ “anima” o anima sensibile; come tra lo “yin”, principio femminile passivo e lo “yang”, principio maschile attivo. A livello prosaico e concreto vi corrispondono i pezzi maschili e femminili dei collegamenti meccanici o elettrici. La dicotomia maschio/femmina, passivo/attivo, ragione/cuore, ordine/disordine, razionale/irrazionale, ecc governa la nostra visione del mondo. Il cielo da cui proviene la pioggia fecondatrice è maschile, la terra che è fecondata è femminile. Proviamo ora a dare un’occhiata ai dizionari. Cominciamo con il Novissimo dizionario della lingua italiana di Fernando Palazzi del 1939 che ancora gira nelle scuole e scorriamo la voce donna e uomo. La donna ha sinonimi che sono: ciana, trecca, donnacchera, befana, furia, megera, pedina, arpia, scimmia, ecc. Per gli aggettivi dedicati alla donna troviamo: bella, amabile, amorosa, graziosa, delicata, onesta, devota, pietosa, paurosa, debole timida, fragile, incostante, elegante, sentimentale, pudica, civetta, snella, languida, vana, imbelle, ecc. Alla voce uomo, invece, troviamo tutte le facoltà che sono generalmente associate al genere umano: animo, anima, intelligenza, sentimento, affetto, ecc. Il Palazzi indica la donna come femmina dell’uomo. Il Dizionario Garzanti della lingua italiana che è del 1965, definisce, finalmente, la donna come essere umano adulto di genere femminile, ma continua così: – di casa, quella che attende alle faccende domestiche; 2. moglie, compagna, amante: la mia – ; 3. titolo di rispetto anteposto al nome, oggi di uso raro o regionale come il maschile don; 4. persona di servizio / - di cucina, cuoca, sguattera. Insomma, è ancora evidente l’esplicarsi di una stereotipata immagine della donna e del ruolo femminile, infatti sono tutti esempi 39
che contrastano con molte realtà della donna. Il dizionario è una creazione ideologica esso riflette la società e l’ideologia dominante, gioca un ruolo di cristallizzazione e conservazione non soltanto della lingua ma anche della mentalità e dell’ideologia. Marina Yaguello ricostruisce a partire dalle definizioni che i dizionari danno di uomo e donna una sorta di mappa concettuale degli stereotipi e delle simbolizzazioni diffuse. I risultati, per quanto riguarda il femminile, sono ovviamente quelli prevedibili: il lessico ci rimanda un universo in cui la donna è sempre comunque ricondotta alla sfera della sessualità, in quanto madre e riproduttrice (essendo questo il primo e unico tratto che la differenzia dall’essere umano maschile), ed in quanto oggetto del desiderio maschile, che ne stabilisce valore e desiderabilità. La sfera della sessualità, sembra così articolarsi su due assi semantici principali: quello della sessualità come valore e quello della sessualità come uso, rappresentati rispettivamente dalle opposizioni madre vs prostituta e donna bella (quindi desiderabile) vs donna brutta (indesiderabile).
‹‹Secondo una dicotomia ben stabilita (e brillantemente illustrata dal film di Jean Eustache 14 ) la donna non può giocare che uno dei due ruoli: quello di madre o quello di puttana››. (ivi, p. 161)
La donna che non rientra in queste categorie, la donna ribelle, non è una vera donna: è un’eroina, una santa, una saccente, una smorfiosa, una svenevole, una virago 15 , una strega, ecc. Anche le parole più innocenti possono perdere il loro senso originario per qualificare la donna come una poco di buono. Questo succede a causa dell’eufemismo che nel suo intento di mascherare la realtà per proteggerci dal pudore, in realtà lo compromette, privando del loro senso originario espressioni innocenti che diventano in tal modo ancora più offensive di quella che andavano a sostituire. Così succede che l’iperbole tramuta la ragazza in
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“La maman et la putain” regia di Jean Eustache, Francia, 1973 Donna poco femminile, donna con la forza di un uomo. Quando è stato coniato il termine non aveva nulla di negativo. 15
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puttana e l’eufemismo tramuta la puttana in ragazza. Il disprezzo d’altronde si nasconde ancora meglio se la parola, nella sua abituale accezione è neutra, positiva, oppure elogiativa (bambina, cameriera, religiosa, ninfa, ecc). La derisione si nasconde ugualmente nelle parole esageratamente elogiative (amazzone, campionessa d’amore, signora delle camelie, sacerdotessa di Venere, ecc). Ma il disprezzo non assume sempre forme così sottili. Si manifesta molto spesso apertamente tramite il gioco dell’iperbole negativa, della metonimia e della metafora: la donna è un oggetto (macchina del piacere), una depravata (sgualdrina), una persona brutta (insetto, un buco), ecc., poi ci sono anche le metafore animali (scrofa, zoccola, cavalla, asina, ecc). Altre metafore definiscono la donna come merce: i seni sono paragonati a mandarini, fragole, arance, meloni. Una ragazza graziosa è appetitosa, buona da mangiare, la si mangerebbe oppure la si farcirebbe. E’ anche una bambola o pupa, meglio se ben carrozzata, è un oggetto di scambio, tra l’altro nella nostra società capitalista, un bene di consumo di scarsissimo valore. La funzione di enfasi, dai risvolti pesantemente negativi, si estrinseca sul piano semantico.
‹‹Coppie di termini apparentemente equivalenti presentano spesso, infatti, asimmetrie semantiche legate al fatto che, su un piano generale, la forma maschile connota potere, statuto, indipendenza, libertà, e quella femminile trivialità, negatività, dipendenza e sesso››. (Serravalle 2000, p. 61)
Facciamo alcuni esempi di dissimmetrie semantiche, provate a considerare il diverso significato che assumono i seguenti sostantivi e aggettivi se riferiti a uomini o a donne: serio/seria; buono/buona; onesto/onesta; segretario/segretaria; maestro/maestra; pubblico/pubblica; signorino/signorina e ce ne sono tantissimi altri. Molti termini, nelle due forme, cambiano di valore e al femminile sono spesso meno nobili.
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Questo elenco può aiutare a rendere meglio l’idea.
Termini
Significato maschile
Significato femminile
Cortigiano/cortigiana
gentiluomo di corte
prostituta
Cubista
artista seguace del cubismo
prostituta
Uomo/donna
tipo gentile e premuroso
prostituta
portaborse
prostituta
Uomo/donna di strada uomo duro
prostituta
Passeggiatore/trice
chi passeggia, chi ama camminare
prostituta
Uomo/donna facile
uomo con cui è facile vivere
prostituta
Zoccolo/a
Calzatura cui la suola è costituita da un prostituta
disponibile Segretario/a particolare
unico pezzo di legno Peripatetico/a
seguace delle dottrine di Aristotele
prostituta
Omaccio/donnaccia
uomo dal fisico robusto e dall'aspetto prostituta minaccioso
Professionista
uno che conosce bene il suo lavoro
prostituta
Uomo/donna
personaggio famoso, in vista
prostituta
Intrattenitore/trice
uomo socievole, che tiene la scena
prostituta
Adescatore/trice
uno che coglie al volo persone e situazioni prostituta
Uomo/donna senza
tipo dissoluto, asociale, spregiudicato
prostituta
Che pratica numerosi sport
prostituta
pubblico/a
morale Uomo/donna molto sportivo/a Uomo/donna con un chi ha avuto una vita, sconsiderata, ma prostituta passato
degna di essere raccontata 42
Maiale/a
animale da fattoria
prostituta
Uomo/donna da poco
miserabile, da compatire
prostituta
Torello/Vacca
Un uomo molto forte
prostituta
Accompagnatore/trice pianista che suona la base musicale
prostituta
Uomo/donna di
birbante, disonesto
prostituta
Prezzolato/a
Sicario
prostituta
Buon uomo/donna
probo, onesto
prostituta
Uomo/donna
buontempone
prostituta
piccoletto, sgorbio inoffensivo
prostituta
malaffare
allegro/a Ometto/donnina
Lo scopo, più o meno consapevole, di tutti questi meccanismi linguisticoconcettuali è il richiamo continuo per tutte e tutti ad un ordine simbolico e materiale che ha confinato le donne nell'ambito del corpo, della sessualità, della riproduzione biologica e sociale, della cura familiare; ogni situazione che veda le donne fuori di questa sfera va considerata provvisoria e accessoria. Il processo di apprendimento di un certo tipo di linguaggio, che si traduce nel modo di pensare il femminile svalorizzandone le qualità, le caratteristiche psicofisiche, le disposizioni, gli atteggiamenti, avviene fin dalla prima infanzia e nella maniera più naturale possibile. E’ attraverso l’educazione di genere che alle donne viene insegnato ad attenersi a determinati modelli e a non contraddire determinate aspettative, insomma, a crescere imparando da un sistema simbolico che le vuole ancora schiave del dominio maschile. ‹‹Dall’infanzia, ognuno impara che certe parole indicano prestigio, mentre altre evocano il ridicolo, la debolezza, la vergogna. Il ragazzino si sente confortato, sostenuto, approvato nelle sue aspirazioni di galletto, che lo porteranno dritto dritto al gallismo (tipico sessismo all’italiana). La ragazza si sente molto presto destinata al ruolo di gallina, pulcino bagnato, pollastra, gallina schiamazzante, cocotte, cocca, mamma chioccia, o gallina ovaiola, a meno che non sia un’ochetta››. (Yaguello 1979, tr. it., p. 160)
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Tutte le specie femminili possono assumere un senso peggiorativo, ciò non si riscontra per quelli maschili. Ancora due pesi e due misure: un uomo è un brillante conversatore, una donna è un mulino di parole, una portinaia, una comare, una chiacchierona; un uomo è colto, una donna è saccente, un uomo è discreto, una donna è ipocrita, un uomo è ambizioso, una donna è intrigante, una donna è isterica, un uomo protesta. Nel loro tendere ad una piena realizzazione e autodeterminazione della propria vita, le donne, quindi, dovranno fare i conti non solo con gli eventuali vincoli sociali ed esterni, ma anche e soprattutto con quei fragili sentimenti di autostima, interiorizzati attraverso le rappresentazioni depositate nella lingua. E’ proprio questo tipo di svalorizzazione a costituire il primo passo verso la strutturazione psichica della dipendenza dagli uomini. Si comincia dalle fiabe a interiorizzare la necessaria rinuncia al proprio mondo per aderire a quello dell’eroicità maschile. I testi per l’infanzia di certo non educano all’autodeterminazione, piuttosto alla subordinazione e alla mancanza di autodecisionalità. I personaggi che vengono presentati sono l’emblema di figure inferiori, a volte divertenti, tristi o spaurite come le varie Cenerentola, Cappuccetto rosso, la Bella addormentata, la piccola fiammiferaia. I libri di scuola non sono da meno, le illustrazioni presentano bambine che giocano con le bambole, aiutano ad apparecchiare la tavola, a far camminare la nonna in difficoltà, a preparare la cena vicino alla mamma, non appaiono mai accanto al papà a leggere un libro o il giornale, vengono preparate, così, al loro futuro ruolo di “angelo del focolare”. Ne La Sirenetta, un film di Walt Disney per l’infanzia, quando la protagonista si trasforma in giovane donna, è il pellicano Scuttle a elencarle tutte le armi femminili atte ad ammaliare un uomo, a sedurlo con un’arma pacifica e di rovescio: essere gentile, carina con lui, simpatica.
‹‹Il modello delle bambine nella letteratura per l’infanzia e nei libri di testo fino alla scuola primaria segue dunque l’esempio della figlia servizievole della fedele futura fidanzata, della diseredata e sfortunata ingenua››. (Briganti 2005, p. 24)
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Possedere un carattere dominante fa della donna una “cattiva”, una “diversa”, come Jo in Piccole donne che è una ribelle alle norme fondamentali del contratto sociale e della divisione dei ruoli. Secondo una grezza, ma efficace misura pedagogica, per ristabilire l’ordine, la “strega” deve risultare sempre perdente, uccisa o resa innocua dal potere maschile. In uno studio intitolato Buona e bravo, Amanda Burns ha compiuto un’analisi approfondita e dettagliata di una serie di testi scolastici per i primi anni della scuola d’obbligo. I risultati della ricerca hanno dimostrato che la scuola italiana è un potente mezzo di perpetuazione degli stereotipi legati al genere. Le donne vengono sempre presentate nei ruoli più tradizionali, sia in senso negativo che velleitariamente positivo. L'autrice, ad esempio, sostiene che le famiglie italiane in genere preferiscono la venuta al mondo di un neonato di sesso maschile a quello di una bambina; che nel corso dei primi mesi di vita i maschietti vengono privilegiati rispetto alle femminucce perfino nei ritmi dell'allattamento; che già dalla prima infanzia vengono scoraggiati o incoraggiati a indirizzarsi verso certi tipi di giochi e di attività considerati più consoni per l'uno o l'altro sesso, nel rispetto dei ruoli tradizionali che ricopriranno nella vita adulta. In altre parole si tratta di veri e propri condizionamenti sociali imposti da una cultura che, come dice la copertina del libro di Elena Gianini Belotti16 , ‹‹si serve di tutti i mezzi a sua disposizione per ottenere dagli individui dei due sessi il comportamento più adeguato ai valori che le preme conservare e trasmettere: fra questi anche il mito della “naturale” superiorità maschile contrapposta alla “naturale” inferiorità femminile››. Il condizionamento continua ad essere forte anche durante tutto il ciclo delle elementari, medie e superiori e si esplica attraverso pressioni, più o meno sottili, al fine di motivare i maschi e demotivare le femmine. A conclusione della sua ricca indagine nell'area della scuola d'infanzia, Gianini Belotti scrive: ‹‹La creatività della maggior parte delle bambine, a sei anni, all'ingresso nella scuola elementare, è definitivamente spenta. Solo poche ne conservano qualche traccia, ma (più tardi) dovranno piegarsi alle esplicite richieste di “femminilità” da 16
Dalla parte delle bambine. L'influenza dei condizionamenti sociali nella formazione del ruolo femminile nei primi anni di vita, Feltrinelli, Milano, 1973
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parte maschile che le costringeranno a comprimere ulteriormente la loro personalità creativa. Le molteplici ragioni dell'assenza di creatività si possono riassumere in una sola: la dipendenza››. Nonostante la conquista di un sempre maggiore spazio pubblico, dei nuovi ruoli fatti propri, della presunta uguaglianza raggiunta o ancor meglio del diritto alla diversità e all’autodeterminazione per cui le donne hanno combattuto e apparentemente vinto, alla bambina viene proposto ancora lo stesso scenario. Loredana Lipperini, riprendendo la ricerca di Elena Gianini Belotti, ha ribadito, infatti, come le cose a distanza di trent’anni non siano cambiate 17 : ‹‹Le eroine dei fumetti invitano le bambine a essere belle. Le loro riviste propongono test sentimentali e consigli su come truccarsi. Nei loro libri scolastici, le mamme continuano ad accudire la casa per padri e fratelli. La pubblicità le dipinge come piccole cuoche. Le loro bambole sono sexy e rispecchiano (o inducono) i loro sogni. Questo è il mondo delle nuove bambine››, o delle vecchie bambine potremmo affermare perché in realtà nulla è mutato.
‹‹Nelle scuole, alla lentezza della burocrazia ministeriale fa da contraltare l’opera di tante insegnanti che in modi diversi cercano di mostrare nelle parole, oltre che negli atti, che patriarcato e svalorizzazione del sesso femminile non hanno più luogo. Ci vorrà tempo perché questo sia registrato anche nei libri di testo››. (Lazzerini 18 )
E’ infatti un ruolo difficile quello della maestra, ella potrà anche educare alla parità, ma avrà serie difficoltà a trovare e scegliere sussidiari che non contengano immagini androcentriche e sessiste, nessun libro presenta un padre che lava i piatti e la madre che legge il giornale in poltrona, nessun libro di educazione civica o di storia pone il problema della cittadinanza femminile negata. Al suo ruolo di moglie e madre la bambina è educata sin dai primi libri di lettura e a essa viene preparata e avviata fini da piccola. La strada che dovrà percorrere è sempre la stessa, quella dell’obbedienza, della sottomissione, della 17
Lipperini Loredana, Ancora dalla parte delle bambine, Feltrinelli, Milano, 2010 Gabriella Lazzerini docente di italiano in una scuola milanese, che si occupa da molti anni della sessuazione del linguaggio. Citazione tratta dal documento on line di Cleis F., Anche la mia capa è stata apprendista. La sessuazione del discorso: lingua italiana e canton Ticino 18
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rispondenza a esigenze maschili. A distanza di quasi cinquant’anni, vale ancora la tesi di Karen Horney 19 , secondo cui le donne si sono adattate ai desideri degli uomini, convinte che quell’adattamento corrispondesse alla loro vera natura. Insomma, si vedono e sono viste come proiezione dei desideri maschili.
‹‹C’è uno stridente contrasto tra la irrefrenabile femminilizzazione della società, che avviene in tutti gli ambiti, e la trascrizione simbolica di tale fenomeno. Una sorta di afasia sociale, di durezza delle menti, impedisce di adeguare la lingua alle trasformazioni, di civilizzare le relazioni tra i sessi. [...] Se a scuola si insegnasse il linguaggio sessuato il problema sarebbe in gran parte risolto perché nei bambini e nelle bambine la «durezza» mentale è pressoché inesistente, non ancora acquisita››. (Deiana 20 )
La necessità di aggiornare i libri di testo è stata riconosciuta dal Governo italiano con la Direttiva del Consiglio dei Ministri 27/3/1997 Azioni volte a promuovere l’attribuzione di poteri e responsabilità alle donne, a riconoscere e garantire libertà di scelte e qualità sociale a donne e a uomini, che costituisce un’iniziativa indispensabile per un cambiamento che non può più ritardare. L’obiettivo strategico, come ricorda il documento preparatorio al codice di autoregolamentazione del Progetto Polite, definisce infatti ‹‹la necessità di recepire, nell’ambito delle proposte di riforma della scuola, dell’università, della didattica, i saperi innovativi delle donne e l’educazione al rispetto e alla differenza di genere››.
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Karen Horney (nata Danielsen; Amburgo, 16 settembre 1885 – New York, 4 dicembre 1952) è stata una psichiatra e psicoanalista tedesca di origine olandese e norvegese. Sin dai suoi primi scritti si distanzia dalla teoria freudiana affermando che lo sviluppo non è determinato aprioristicamente da forze istintuali, ma che ogni individuo è capace di evolversi e di apportare modifiche migliorative a se stesso e alla propria vita. In altre parole, ognuno può autorealizzarsi, basta che gliene venga data la possibilità, possibilità che alla donna viene negata. 20 Elettra Deiana, curatrice e coautrice del Dizionario sessuato della lingua italiana. Citazione tratta dal documento on line di Cleis F., Anche la mia capa è stata apprendista. La sessuazione del discorso: lingua italiana e canton Ticino
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Passando al mondo del lavoro, pensiamo a come esista un numero infinitamente maggiore di qualifiche riservate agli uomini che alle donne e a come sia spesso molto difficile rendere al femminile le qualifiche maschili 21 . C’è anche una certa resistenza ad attribuire qualifiche maschili alle donne. Nei paesi scandinavi addirittura esiste una strana usanza per la quale la moglie assume la qualifica del marito. La grammatica italiana è molto chiara: i nomi in –o formano il femminile in –a. Ragazzo/ragazza, maestro/maestra. Direste mai il maestra? O il casalinga? O l’uomo infermiera? E quindi: ministra, avvocata, sindaca, deputata. Non siamo abituati a queste parole al femminile perché le donne non hanno mai ricoperto quelle posizioni. Ora che le ministre, le avvocate e le architette ci sono, usiamo le parole giuste, perché se ci esprimiamo con eccezioni linguistiche, del tipo un nome maschile con un articolo femminile (la ministro), ribadiamo l’eccezionalità del significato.
‹‹Finché useremo espressioni anomale per indicare presenza di donne in posizioni di prestigio, il fatto sarà sempre sentito come un’anomalia››. (Ercolini22 )
Perché tanta difficoltà ad accettare forme come “ingegnera”, quando ormai termini come “infermiera”, “ragioniera”, “cassiera”, etc. essendo ormai già utilizzati da tempo ne favoriscono la creazione? I fattori che qui intervengono a frenarne la diffusione sono di origine sociali e culturali, ciò sta a significare che alla donna non è ancora riconosciuta la piena possibilità di esercitare professioni di prestigio fino a ieri riservate agli uomini: finché si tratta di fare la cassiera o la cameriera, va bene, ma quando si punta più in alto la situazione cambia.
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In spagnolo e in portoghese tutte le professioni hanno un genere maschile ed uno femminile, senza che si sia mai aperto un dibattito su questo. 22 Maria Pia Ercolini (1954), responsabile del progetto Sui Generis, insegna Geografia nella scuola superiore. Si occupa di mediazione culturale e didattica nei musei, orientamento scolastico e professionale, didattica e nuove tecnologie. Ha pubblicato numerosi reportage di geopolitica e condizione femminile su Geodes, Terra, Rinascita, Avvenimenti, Minerva. Alcuni suoi articoli sui temi del linguaggio e delle pari opportunità nella scuola sono recentemente apparsi sulla rivista Leggendaria. Citazione tratta da un suo articolo su “dol’s”, il sito delle donne http://www.dols.net/
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Quindi, ancora oggi, alle donne è “permesso” di svolgere la professione di chirurgo, avvocato, ingegnere ma, in un certo senso, “non lo si dice”. Si tace il fatto. Non si nomina. E il “non nominare” significa “non riconoscere l’esistenza di qualcosa”. E’ la “nominazione”, infatti, ad essere creatrice di realtà non soltanto in riferimento al contesto magico religioso: il nominare rende visibile l’invisibile, lo sollecita a fiorire e a farsi nel presente. Ciò che non ha nome nella nostra lingua per noi non esiste, con fatica riusciamo ad immaginare qualcosa che non sappiamo nominare.
‹‹Il linguaggio struttura la realtà tanto che nessun oggetto, nessun concetto, nessun essere esiste nella coscienza degli uomini al di fuori della verbalizzazione. Ogni contestazione, ogni rivoluzione passano attraverso il linguaggio, il rifiuto della lingua dell’oppressore che sfociano più o meno coscientemente nell’adozione di nuovi codici››. (Foucault 1966, tr. it., p. 59)
Eppure sono anche le donne che fanno resistenza ai cambiamenti sostenendo che alcuni termini non suonano bene. Ad esempio la ministra Stefania Prestigiacomo vuole essere chiamata ministro oppure Sandra Bonsanti, l’ex direttrice del Tirreno di Livorno, fra le poche donne alla direzione di un giornale, assolutamente voleva essere chiamata direttore. Molte professioniste preferiscono essere chiamate al maschile, come segno di maggior rigore e serietà, affermando: “dopo tutta la fatica fatta per diventare avvocato!”. Senza dubbio, per determinare quale termine sia giusto usare ci si dovrebbe attenere alla sensazione provata da chi subisce una parola o la utilizza. Quindi, se le donne preferiscono essere nominate e nominarsi con i termini avvocato o presidente non dovrebbe esserci alcun dibattito in merito. Purtroppo però la questione, come sappiamo, non è così semplice. Il potere della doxa agisce per mezzo di una mano invisibile che non permette alle donne di rendersi conto di stare utilizzando un linguaggio che è carico di contenuti androcentrici e sessisti.
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Possiamo supporre che, a volte, il problema sia da rintracciare nelle dissimmetrie semantiche, nel diverso significato che assumono alcuni termini se riferiti a uomini o a donne. Se proviamo a cercare sul dizionario i termini segretario e segretaria o maestro e maestra 23 , ci accorgeremo che molto probabilmente è per questo che le donne preferiscono anche loro l’uso del termine al maschile. Tuttavia non ci si rende conto che solo dandosi un nome che sia il riflesso del proprio status nella società, la donna può conquistare la propria identità sociale e la propria identità generale. Per il momento non ha nome e quindi non ha voce. La donna, che non ha altro status se non quello di moglie, sarà sempre definita dal nome del marito. Solo al vertice del successo, quasi a consacrarla, la donna viene designata solo col cognome, conservare il proprio nome da ragazza è 23
Segretàrio s.m. «colui cui si confidano cose segrete, riservate», titolo attribuito a funzionarî con mansioni di fiducia]. 1. Anticam., persona di fiducia, spec. di un sovrano, di un governatore, di un principe, cui venivano affidati incarichi varî, anche privati e riservati. 2. (f. -a) L’impiegato che in un ufficio, in una azienda, in una società, svolge incarichi di fiducia di vario tipo per conto di un superiore. 4. (f. -a) In amministrazioni e società private, persona incaricata di compiti esecutivi di coordinamento e assistenza, che variano a seconda dei settori di attività, dai quali per lo più deriva anche la partic. qualifica professionale. 5. (f. -a) In adunanze, assemblee, anche a carattere occasionale, colui che ha l’incarico di redigere i verbali delle sedute, di registrare e notificare le deliberazioni, e sim. 6. (f. -a) Titolo di persone che hanno alte cariche e adempiono importanti funzioni della vita pubblica (dal vocabolario Treccani); Segretària s. f. [femm. di segretario]. – In senso ampio, donna che ha funzioni di segretario, che svolge cioè mansioni di segreteria sia come incarico occasionale, sia come impiegata di fiducia di un professionista o di altra persona privata, con il compito di aiutarlo nel suo lavoro personale e nel disbrigo della corrispondenza, di prendere e tenere nota degli impegni, di predisporre e agevolare l’esecuzione di quanto è necessario per lo svolgimento della sua attività, sia come addetta a settori specifici. (dal vocabolario Treccani); Maestro s.m. - In senso ampio, chi conosce pienamente una qualche disciplina così da possederla e da poterla insegnare agli altri: vero, insigne, grande, sommo, insuperabile m.; per antonomasia, il M., il divino m., Gesù, soprattutto nella sua predicazione e nel suo rapporto con gli apostoli e i discepoli; con locuz. dantesca, il m. di color che sanno, Aristotele; avere, eleggersi, scegliersi un m., oppure qualcuno come maestro. Anche titolo di rispetto, riferito a chi, nell’insegnamento, rivela particolari doti, soprattutto per vastità di dottrina, efficace chiarezza didattica; perciò usato talvolta come appellativo, in segno di venerazione o con tono adulatorio (anche scherz. o iron.), rivolto a un docente che si desideri collocare al disopra del comune livello. Chi eccelle in un’arte, in una scienza, in una disciplina, o in singole forme d’arte e manifestazioni di cultura, così da poter essere considerato una guida, un caposcuola. (dal vocabolario Treccani); Maestra s.f. - Forma femminile di maestro; in partic., donna che insegna nelle scuole elementari (la m. della prima, della seconda) o anche nelle scuole materne (m. d’asilo, e, in passato, m. giardiniera, nei cosiddetti «giardini d’infanzia»); o donna che istruisce in una determinata attività: m. di taglio, di cucito; m. di pianoforte, di violino e sim., diplomata che insegna a suonare tali strumenti; o anche, donna particolarmente abile in qualche attività: è una m. nell’arte di cucinare; talvolta iron.: è sempre stata m. nel fingere, nell’imbrogliare; fig., la storia è m. di vita. (dal vocabolario Treccani).
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privilegio delle donne celebri, ma anche in questo caso non si dimentica mai di segnalare che esse hanno ugualmente un marito. Quando una donna raggiunge una posizione maschile ci si sente sempre obbligati a dire cosa fa suo marito. Un uomo invece non è mai definito in base alla sua donna a meno che non sia la regina d’Inghilterra 24 . Altra discriminazione la ritroviamo nei termini di signora e signorina. Un uomo, ad esempio, è un signore che sia o non sia sposato 25 , mentre la donna è signora o signorina a seconda dell’età e del suo stato civile. Ciò vuol dire che quando si fa la conoscenza di una donna, si tende a valutarla soffermandosi principalmente sul suo stato civile, aspetto del quale non ci si cura nel caso di un uomo. Per ovviare a tale discriminazione, negli Stati Uniti è ormai diffuso l’uso del termine “Ms”, che è anche il nome di una importante rivista americana, naturalmente femminista. Purtroppo, per il movimento femminista italiano la questione del linguaggio non è mai stata tra le priorità in agenda, c’erano sempre, secondo loro, altri problemi più importanti di cui occuparsi e questo ha fatto si che molti lavori su lingua italiana e questioni di genere non siano stati presi in considerazione fino a poco tempo fa.
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Miriam Makeba ha numerosi cognomi: Zensile Makeba Qgwashu Nguvama Yiketheli Nxgowa Bantana Balomzi Xa Ufnu Ubajabulisa Ubaphekeli Mbiza Yotshwala Sithi Xa Saku Qgiba Ukutja Sithathe Izitsha Sizi Khabe Singama Lawu Singama Qgwashu Singama Nqamla Nqgithi. Come ogni altra bambina e bambino del Sudafrica nero ha ereditato il nome di tutti i suoi antenati maschi. Madri, nonne, ave malgrado tanta sovrabbondanza, sono state completamente cancellate. In Grecia, le figlie prendono il genitivo del cognome paterno: fanno dunque parte delle proprietà di una stirpe maschile, quasi fossero oggetti. La disciplina del cognome di famiglia e della sua attribuzione ai figli sta lentamente cambiando in tutta Europa: in Francia, in Germania, in Austria, nel Regno Unito, seppure con normative diverse, i genitori possono scegliere tra uno dei due cognomi. In Spagna vige la regola del doppio cognome. In Italia, nonostante le raccomandazioni del Consiglio d’Europa (1271 del ’95 e 1362 del ’98) e l’articolo 16 della Convenzione di New York (del 18/12/1979, ratificata in Italia il 14/3/1985), i sette disegni di legge depositati in Parlamento si sono arenati e la battaglia è attualmente sostenuta dal gruppo di Facebook “Libertà di scelta nella trasmissione del cognome ai figli” 25 Il termine signorino per uomo è ormai scomparso e tuttavia non è mai stato usato con lo stesso valore di signorina.
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2.3 – Proposte per un linguaggio non sessista In Italia solo nel 1987 con le Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana curate da Alma Sabatini si è cominciato a sollevare la questione del linguaggio sessista e discriminatore, quindi sono state le istituzioni ad occuparsi di questo e non le donne come categoria culturalmente attiva nella società. Lo scopo delle Raccomandazioni è di suggerire alternative compatibili con il sistema della lingua per evitare alcune forme sessiste, almeno quelle più suscettibili di cambiamento.
Riassumiamo qui di seguito le principali proposte:
a) In riferimento all’uso del maschile come genere “non marcato”: - Le Raccomandazioni suggeriscono di usare “persona” o “individuo” invece di “uomo”, sostituendo quindi a “diritti dell’uomo” l’espressione “diritti della persona”, etc.; - Evitare di usare sempre il maschile neutro parlando di popoli, categorie, gruppi, ecc, quindi sostituire “i romani” e “gli ateniesi”, con “il popolo romano” e “il popolo ateniese”; - Evitare di dare sempre la precedenza al maschile nelle coppie oppositive uomo/donna, non dire sempre fratelli e sorelle, ma anche sorelle e fratelli; - Evitare le parole fraternità, fratellanza, paternità quando ci si riferisce a donne e uomini, non dire “la paternità dell’opera è attribuita a Maria Rossi”, ma “la maternità dell’opera...”, ecc.; - Evitare l’uso della grammatica prescrittiva che impone che, qualora si faccia riferimento a referenti di sesso maschile e femminile, l’accordo sia sempre al maschile: “Rosanna, Andrea e Chiara sono simpatici”, quindi, e non “simpatiche”.
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Le Raccomandazioni consigliano di accordare aggettivi e participi passati con i nomi che sono in maggioranza e, in caso di parità, con l’ultimo nome: “Giulio, Lucia, Andrea e Chiara sono simpatiche”, oppure “Giulio, Lucia, Chiara, e Andrea sono simpatici”; - Evitare di citare le donne come categoria a parte dopo una serie di maschili non marcati o inserendole nel discorso come appendici o proprietà dell’uomo, quindi evitare questo tipo di strutturazione: “Napoli operaia, ma anche studenti, donne, disoccupati, pensionati…” (in questa frase citare le donne a parte equivale ad escluderle dalle altre categorie), è più opportuno strutturare la frase in questo modo: “Napoli operaia, ma anche studentesca, disoccupata, pensionata, ecc.”.
b) In riferimento all’uso dissimmetrico di nomi, cognomi e titoli: - Evitare la segnalazione dissimmetrica di donne e uomini nel campo politico, sociale, culturale facendo in modo che la segnalazione sia parallela, evitare, quindi, di dire “La Thatcher e Brandt”, “Margaret Thatcher e Brandt”, “La signora Thatcher e Brandt”, “Maggie e Willi Brandt”, i termini corretti sarebbero: “Thatcher e Brandt”, “La Thatcher e il Brandt”, ecc.; - Evitare di riferirsi alla donna con il primo nome e all’uomo con il solo cognome o con nome e cognome, quindi “Maggie e Craxi” non è la forma corretta, è più giusto dire “Maggie e Bettino” oppure “Thatcher e Craxi”; - Abolire l’uso del titolo signorina, che tende a scomparire e che è dissimmetrico rispetto al signorino per uomo, ormai scomparso e che non è mai stato usato con lo stesso valore; - Evitare il titolo signora quando può essere sostituito con il titolo professionale; - Quando si parla di una coppia, indicare, ove possibile, il cognome della donna, alternando l’ordine dei due nomi ad esempio evitare di dire “Il signore e la signora Curie” e utilizzare la formula “Maria Sklodowska e il marito Pietro Curie” oppure “Pietro Curie e la moglie Maria Sklodowska”.
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c) In riferimento ai titoli professionali: Verso la metà degli anni ‘80 (ma anche oggi!), la lingua italiana non disponeva di termini femminili per indicare titoli riferiti a donne che svolgono professioni di alto livello. Le Raccomandazioni propongono di creare la forma femminile, laddove non sia già disponibile, con la sola avvertenza di evitare le forme in -essa, sentite come riduttive, oppure di preporre al nome l’articolo femminile. Le varie modalità di formazione del femminile sono così analizzate, partendo dalla forma maschile già lessicalizzata: - i termini -o, - aio/-ario, -iere mutano in -a, - aia/-aria, -iera es. appuntata, architetta, avvocata, capitana, chirurga, colonnella, critica, marescialla, ministra, prefetta, primaria, rabbina, notaia, segretaria, infermiera, pioniera, portiera; - i termini in -sore mutano in -sora es. assessora, difensora, evasora, oppressora, etc. I femminili in -essa corrispondenti a maschili in -sore devono essere sostituiti da nuove forme in -sora: es. dottora, professora, etc.; - i termini in -tore mutano in -trice es. ambasciatrice, amministratrice, direttrice, ispettrice, redattrice, senatrice, accompagnatrice. Nei seguenti casi, invece, non si ha adeguamento morfofonetico al femminile, ma solo l’anteposizione dell’articolo femminile: - termini in -e o in -a es. caporale, generale, maggiore, parlamentare, preside, ufficiale, vigile, custode, interprete, sacerdote, presidente, etc.; poeta, profeta, etc.; - forme italianizzate di participi presenti latini es. agente, inserviente, cantante, comandante, tenente; - composti con capoes. capofamiglia, caposervizio, capo ufficio stampa, etc.
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Per quanto riguarda la questione dei nomi per professioni o attività prevalentemente maschili, ma svolti da donne, c’è una seconda tendenza, che ha radici nel movimento femminista e che preferisce utilizzare i cosiddetti “epiceni 26 ”. Questa preferenza fu ampiamente discussa sui giornali durante il primo governo Berlusconi, quando la presidenza del Senato fu affidata a Irene Pivetti, che desiderava essere designata come “Il Presidente”, e non “La Presidente” o “La Presidentessa” del Senato. Secondo questa tendenza, in contrasto con quanto invece propone Alma Sabatini, una donna sarà dunque identificata con i termini ambasciatore, amministratore, direttore, architetto, avvocato, assessore, ecc; e sempre con la concordanza al maschile: un agente, un comandante, un caporale, un poeta, ecc. La pratica di questa tendenza, come abbiamo già avuto modo di evidenziare, inciampa, a volte, in intoppi sintattici del tipo: “E’ arrivata/o Maria Corti, il famoso filologo”, “Maria Corti, il famoso filologo, è arrivato/a”, ecc. Le Raccomandazioni sono state oggetto di criticata anche da parte di due importanti linguisti: Giulio Lepschy e Luca Serianni. In Lingua e sessismo (da L’Italia dialettale, n.7, 1988, pp. 7-37), Lepschy afferma che ‹‹Una volta che una donna può essere dottore, ministro e Presidente della Repubblica, è del tutto indifferente che sia chiamata “medica”, “ministra”, “Presidentessa” o “medico”, “ministro”, ”Presidente”››. In Prima lezione di grammatica Luca Serianni condanna anche come “grammaticalmente infelice” il possibile compromesso dell’accordo con il genere del referente umano attraverso il “disaccordo” grammaticale (sostantivo maschile con articolo femminile) (Serianni, 2006, p.135). Sottolineiamo che questo volume ha una diffusione sicuramente maggiore delle Raccomandazioni di Alma Sabatini, essendo un tascabile della collana Universale degli editori Laterza.
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Dal greco epìkoinos (latino epiceno), comune, promiscuo. Nell’uso grammaticale si distingue di solito fra parole epicene, che non cambiano genere grammaticale, ma possono designare femmine o maschi (come il pesce, maschile, o l’aquila, femminile); e parole comuni, che possono essere trattate come grammaticalmente femminili o maschili, senza variazioni nella loro morfologia (come un amante e un’amante). A volte si trova però che i due termini (epiceno e comune) si usano l’uno con il significato dell’altro.
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Allo studio di Sabatini seguì il Progetto Polite (Pari Opportunità e Libri di Testo), che raccoglieva le sollecitazioni della Conferenza Intergovernativa di Pechino (1995), e che ha visto tra le sue iniziative il Progetto transnazionale Polite, insieme a Spagna e Portogallo. Progetto che ha portato alla pubblicazione di due Vademecum: Saperi e libertà: maschile e femminile nei libri, nella scuola, nella vita, che raccolgono una serie di saggi su vari settori del sapere rivisitati alla luce dell’identità di genere. 27 La maggior parte delle case editrici italiane di libri scolastici si sono impegnate al rispetto delle problematiche legate alla costruzione dell’identità di genere. Ethel Serravalle nell’Introduzione al Codice di autoregolamentazione del Progetto Polite sottolinea l’importanza di evitare il sessismo e gli stereotipi sessuali, fornire rappresentazioni equilibrate delle differenze e aggiornare la scelta delle illustrazioni. Nel 2007 Cecilia Robustelli dell’Università di Modena e Reggio Emilia, con un lavoro per la Commissione Europea di Bruxelles, ha tracciato il profilo storico e linguistico del linguaggio di genere; dello stesso anno è l’Atto di Sindacato Ispettivo del Senato che impegna il Governo a ‹‹introdurre negli atti e 27
Vademecum 1: Questo vademecum prende le mosse dal Progetto Polite, iniziativa che si colloca nel IV Programma d'azione comunitaria a medio termine per le pari opportunità fra le donne e gli uomini 1996-2000. Raccogliendo le sollecitazioni della Conferenza mondiale di Pechino (1995), il Progetto Polite, chiamando ad uno sforzo comune tutti i protagonisti della produzione, comunicazione e trasmissione culturale (autori, editori e docenti), intende riqualificare i materiali didattici in vista di una maggiore attenzione all'identità di genere. "Saperi e Libertà" è un vademecum destinato agli autori e all'intero mondo della scuola. Non contiene regole da osservare scrupolosamente ma spunti e riflessioni che aiutino a cogliere i differenti approcci alla conoscenza e alla cultura di soggetti in formazione che non sono neutri ma femmine e maschi. Un libro destinato a chi scriverà altri libri e che non indica un cammino forzato ma semmai un punto di partenza, nuove piste da batter,e in un percorso creativo che porti ad un ripensamento dei processi educativi e delle conoscenze trasmesse dalla scuola. Vademecum 2: Questo volume – come del resto il primo – e tutto ciò che ha prodotto il Progetto Polite, si collocano nell'ambito del IV Programma di azione Comunitaria a medio termine per le pari opportunità fra le donne e gli uomini 1996-2000. Nel Vademecum sono compresi alcuni dei molti argomenti non affrontati nell'edizione precedente, come ad esempio la storia contemporanea. Anche in questo secondo caso, il senso del progetto è sempre quello di non arrivare a conclusioni definitive per tutti i campi della conoscenza, né del resto a codici comportamentali rigidi e vincolanti ma piuttosto quello di indicare un metodo capace di promuovere, nella cultura e nella scuola, nuovi modi di conoscere. Alla base di ciò, vi è la convenzione che i vecchi stereotipi della cultura scolastica non si vincono con nuovi stereotipi o nuove regole ma con una rinnovata presa di coscienza, che richiede tempo e approfondimenti per raggiungere quante più persone è possibile. Ancora una volta, quindi, il vademecum non indica un punto di arrivo ma offre spunti per nuove riflessioni.
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nei protocolli adottati dalle pubbliche amministrazioni una modificazione degli usi linguistici tale da rendere visibile la presenza di donne nelle istituzioni, riconoscendone la piena dignità di status ed evitando che il loro ruolo venga oscurato da un uso non consapevole della lingua››. Per tornare all’ambito europeo è del marzo 2009 il vademecum stilato dal Parlamento Europeo per evitare l’uso sessista delle lingue: ad esempio, esso fa riferimento agli appellativi “signora” e “signorina” che, come abbiamo affermato anche in precedenza, risultano scorretti in quanto riferiti allo stato civile e all’età delle donne, cosa che non avviene per gli uomini. Sarebbe quindi preferibile utilizzare semplicemente il nome completo della persona. Singolari sono state le polemiche seguite alla diffusione della guida dal titolo La neutralità di genere nel linguaggio usato al Parlamento europeo, il britannico ‹‹Daily Telegraph›› ha addirittura attaccato il provvedimento attraverso tre articoli, gridando allo scandalo: “L’Ue vuole abolire termini di cortesia”, era il titolo che suonava minaccioso, invitando a ignorare il tentativo dell’Ue di bandire i saluti di cortesia, e, lanciando una vera e propria campagna d'opinione contro la “neutralità di genere” che, a suo dire, il Parlamento europeo vorrebbe imporre a tutti coloro che lavorano nell’Istituzione e a tutta l'Europa. Nelle intenzioni, l’opuscolo di sole 15 pagine, declinato in tutte le lingue ufficiali dell'Ue, racchiude una serie di ‹‹orientamenti intesi ad assicurare che in tutti i documenti parlamentari sia utilizzato come norma e non come eccezione un linguaggio neutro dal punto di vista del genere››. Nella guida non vi sono obblighi, né tantomeno viene messo al bando alcun termine; si tratta di un “invito”, che il segretario generale Harald Romer (oramai in pensione) rivolgeva a tutti i colleghi, ad attenersi alle linee guida per la redazione di tutte le pubblicazioni e comunicazioni scritte interne all'Istituzione. L’opuscolo, inoltre, suggerisce che ‹‹speciali accorgimenti e determinate tecniche redazionali possono contribuire alla stesura e alla traduzione di testi in italiano del Parlamento europeo, che rispettino per quanto possibile la neutralità del genere››. Ad esempio il termine “uomo” nella lingua italiana non ha necessariamente una connotazione sessista, e nella sua accezione idiomatica può essere utilizzato nella redazione dei testi del Parlamento. Il termine uomo o 57
uomini è, infatti, ammesso quando è sinonimo di persona, essere umano o genere umano. Sono dunque ammesse espressioni come: a passo d'uomo, e a misura d'uomo, il cane è il migliore amico dell'uomo, il lavoro nobilita l'uomo, l'uomo è un animale sociale, l'uomo di Neanderthal. Il termine “diritti dell'uomo” è invece un caso a parte, perché secondo gli estensori delle linee guida: ‹‹la locuzione può essere sostituita da “diritti umani”››, ma non quando si citano le denominazioni ufficiali della Corte europea dei diritti dell'uomo e della Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Da “evitare”, suggerisce l'opuscolo, sono invece le espressioni come: uomini d'affari, uomini politici, uomini di legge, uomini di scienza, uomini di Stato, uomini di lettere, uomini primitivi, che andrebbero sostituiti preferibilmente con: imprenditori, giuristi, scienziati, statisti, letterati, popoli primitivi. Altri suggerimenti sono quelli di evitare l'espressione “l'uomo della strada”, a cui è preferibile “la gente comune”, e di sostituire con nomi collettivi che coprano entrambi i sessi i termini collettivi solitamente declinati al maschile, come: i magistrati (la magistratura); i docenti (il personale docente); gli insegnanti (il corpo insegnante); i dipendenti o i lavoratori (il personale); il direttore, il presidente (la direzione, la presidenza); gli assistenti di volo (il personale di bordo). Il testo consiglia ancora di specificare mediante l'uso dell'articolo il genere di tutti i sostantivi epiceni (ossia declinabili senza variazioni sia al maschile che al femminile), come presidente (il presidente o la presidente), giudice (il giudice o la giudice), assistenti di volo (gli assistenti o le assistenti), e per finire preside, caporeparto, sindacalista, manager, vigile. Manca, stranamente, il termine europarlamentare, che è perfettamente declinabile al femminile. Nell'opuscolo, infine, non ci sono riferimenti a una modifica importante per la neutralità di genere che è cominciata alcuni anni fa ed è ancora in corso di attuazione nel linguaggio dei media in Italia: l’abolizione dell'articolo “la” seguito dal cognome per le donne con incarichi politici, e l'uso, ormai invalso, di indicare il solo cognome, così come avviene per gli uomini.
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Il punto, dopo tutte queste azioni volte a sollevare le coscienze su una problematica che tocca profondamente la dignità delle donne, è capire se ci sono stati sviluppi, se la lingua a poco a poco mostra di volersi adeguare alla presenza femminile, in tutti gli ambiti della vita sociale, politica, culturale, ecc., non più come appendice, ma come protagonista in prima persona. In altre parole bisogna capire se la lingua rende realmente visibile la donna che agisce nel mondo o se tenta ancora di nasconderne l’azione e la realizzazione.
2.4 Ricerche sul linguaggio sessista La carta stampata offre un ottimo spunto di riflessione tanto che già Alma Sabatini nel suo manuale Il sessismo nella lingua italiana, nel quale sono contenute anche le Raccomandazioni, dedica una parte ‹‹ad una ricerca che si propone di fare uno spoglio di quotidiani e riviste per rilevare casi di disparità linguistica fra donna e uomo sia a livello strutturale, cioè di norme linguistiche codificate nelle varie grammatiche, sia a livello semantico, cioè di significato ed uso delle unità lessicali e delle immagini››. Sono stati presi in esame quattro quotidiani e quattro giornali nazionali a grande tiratura e di aree politiche differenti (Il messaggero, Il Tempo, Il Corriere della Sera, Il Giornale, Il Paese Sera, Il Mattino), nel periodo che va dal 1° al 15 dicembre 1984. Alla fine del lavoro viene confermata l’ipotesi di partenza, ovvero, che sono ancora presenti nel linguaggio elementi grammaticali e semantici portatori di discriminazione sessista. Ciò che si coglie subito è l’assenza della donna dalle prime pagine dei giornali dedicati alla politica e in quelle dedicate all’economia, allo sport e in gran parte anche alla cultura, cosa dovuta in larga misura all’uso del maschile non marcato. Un esempio per tutti è l’utilizzo esclusivo del termine “vigili”, solo due o tre articoli sono dedicati alle vigilasse o donne vigili (e non alle vigili) in cui però viene fuori un soggetto frivolo (ci si sofferma sulle uniformi) o malizioso (si commenta ad esempio la prima multa). Per quanto riguarda l’influenza del maschile non marcato sulla concettualizzazione di chi scrive sono stati rilevati 59
molti casi di marcatura grammaticale (la Falcucci, ecc.) e semantica delle rare donne menzionate nelle pagine politiche, attraverso la messa in rilievo del contrasto tra ruoli sociali e politici e quelli tradizionali considerati “intrinseci” della donna (oggetto sessuale/estetico o moglie/madre/casalinga), contrasto evidenziato anche dal titolo maschile (il sindaco, ecc) seguito dalle inevitabili sconcordanze grammaticali e mentali. L’immagine della donna che ne viene fuori è quello di un essere fondamentalmente passivo, un oggetto nell’ambito dell’interazione sessuale, come indicano espressioni del tipo portare all'altare, far sua, offrirsi, esibirsi, darsi e negarsi, mentre all'uomo vengono attribuite le azioni o iniziative del tipo agganciare e possedere. Ci si sofferma anche sui particolari più insignificanti dell'abbigliamento delle donne, per esempio nelle riunioni politiche, ai processi e in altre occasioni, cosa che non viene fatta nei riguardi degli uomini. La donna, inoltre, è sempre in seconda posizione rispetto all’uomo, è sempre definita e presentata in funzione di un uomo, viene segnalata esclusivamente in quanto appendice o complemento di un maschio (“John Barrymore con mogliettina al seguito...” o addirittura “Eleonora Vallone, la figlia di Raf Vallone...” nonostante il fatto che Eleonora fosse già all'epoca una nota attrice). Ancora più evidente è la differenza nel tono del discorso riferito alle donne, esso è quasi sempre calcato, forzato nei colori, emozionale o leggero, ammiccante, condiscendente, insinuante se non decisamente sprezzante. La donna, infatti, è e resta “l’Altro”, “il diverso”. Sabatini ha condotto anche un’analisi sugli annunci di lavoro che ha rivelato un 20,19% di offerte per entrambe i sessi, un 1,87% rivolto a sole donne, un 34,22% a soli uomini e una maggioranza, circa il 43,58%, risultava ambigua in quanto ha visto l’utilizzo di un maschile presumibilmente non marcato. Il fatto che vi siano annunci rivolti alle sole donne (per lo più soprattutto di basso profilo) lascia presupporre che il maschile non marcato sia solo un alibi dietro il quale si nasconde la volontà di offrire, invece, molti impieghi esclusivamente agli uomini. Il punto è che se il maschile negli annunci di lavoro fosse davvero usato per far riferimento sia a uomini sia a donne, non dovrebbero comparire occorrenze femminili soprattutto laddove il maschile risulta perfettamente simmetrico dal 60
punto di vista semantico (ad esempio operaio opposto a operaia). L’impressione, conclude Alma Sabatini, è che continuino ad emergere elementi che attestano una tendenza a preferire il sesso di un candidato (uomo o donna) anche e soprattutto in virtù di una divisione del lavoro ancora fortemente discriminatoria. Anche Giulio Lepschy in Nuovi saggi di linguistica italiana, nella sezione intitolata Lingua e Sessismo, dedica un’appendice al “sessismo e lingua dei giornali”: ‹‹Ripensando alla questione del sessismo nella lingua italiana, ho provato a scorrere i titoli e alcuni articoli della ‹‹Repubblica›› di martedì 18 agosto 1987››. Anche in questa ricerca viene fuori una problematica riguardante l’uso indiscriminato del maschile non marcato, per cui l’immagine che si rimanda è quella di un mondo fatto, se non esclusivamente, prevalentemente di uomini. Alcuni esempi sono le designazioni dei partiti politici: i sodaldemocratici, i socialisti, i comunisti, i ciellini, i democristiani, gli andreottiani, ecc.; le designazioni di nazionalità e gruppi etnici: gli iraniani, i 250 polacchi, gli italiani; altre categorie varie che presumibilmente comprendono donne e uomini, come i compratori, gli ambasciatori Usa, i diplomatici, gli handicappati, i profughi, i turisti, gli amanti della montagna, ecc; espressioni che si riferiscono a gruppi di individui presumibilmente di ambo i sessi, come le vittime di un incidente aereo: 153 morti, i morti e i sopravvissuti, 46 morti sulle strade. In questi esempi il confine fra marcato e non marcato non è chiaro. Lepschy afferma che in molti casi non si può adottare una soluzione senza cadere in forme goffe come: ignote assalitrici o ignoti assalitori, ladre maldestre o ladri maldestri, le socialdemocratiche e i socialdemocratici, le amanti e gli amanti della montagna, e così via. In certi casi si riscontrano anche difficoltà grammaticali: giungono sotto scorta i 250 polacchi trasferiti dal campo di Latina, con il numerale fra l’articolo e il sostantivo; non possiamo dire le 250 polacche e i 250 polacchi, perché allora sarebbero 500, né i 250 fra polacche e polacchi, che conserverebbe un articolo maschile non marcato, né 250 polacche e polacchi, che perderebbe la funzione anaforica di riferimento a un gruppo di cui si è già parlato; si potrebbe certo dire le 250 persone di nazionalità polacca, ma sembrerebbe una forzatura continuare cosi per tutto l’articolo. Non si capisce, inoltre, come risolvere il 61
conflitto tra l’esigenza di evitare i maschili non marcati, che tralasciano le donne come se non esistessero, e la loro menzione esplicita, che però pare farne una categoria a parte. Interessante, per le designazioni professionali, un articolo intitolato: Protestano le giornaliste americane: “La Us Navy ci ha discriminato”; il sopratitolo spiega: Escluse dal pool dei cronisti imbarcati sulle unità dirette nel Golfo, con un uso di “cronisti” ambiguo fra marcato e non marcato; nel corso dell’articolo si parla di donne radio-reporter, di molte corrispondenti, di la giornalista, e di una delle escluse che è capo dell’ufficio di Washington della rete Abc (dove l’uso di capa parrebbe ironico o scherzoso), e si osserva che le donne potrebbero avere sottratto agli uomini la qualifica di “migliori amministratori del denaro pubblico” (dove amministratori è presumibilmente non marcato, e amministratrici sarebbe apparso incongruo nel contesto). Quanto al trattamento diverso dei nomi di donne e uomini, si nota nei titoli: Thatcher a Goria e Thatcber in collera, senza l’articolo per il femminile, ma poi all’interno degli articoli si incontrano formule che rivelano un certo disagio linguistico, come: il primo ministro inglese, signora Thatcher; la signora primo ministro britannico è “sempre più irritata”; sarebbe stato il primo ministro Margaret Thatcher[…]. Lepschy afferma: ‹‹non si vede bene che vantaggio ci sia a eliminare altre distinzioni, come quella fra l’uso dell’articolo con i cognomi femminili e non con quelli maschili […], non è chiaro perché la Thatcher non possa essere chiamata prima ministra invece che primo ministro, col bisogno di aggiungere la signora che giustifichi le concordanze grammaticali al femminile››. Un altro importante contributo alla ricerca sul linguaggio sessista è rappresentato da un recente studio condotto da Gioia Di Cristofaro Longo e commissionato dalla Commissione Nazionale Pari Opportunità presieduta da Marina Piazza su proposta del gruppo Comunicazione Innovazione Formazione coordinato da Sandra Cioffi. La ricerca Mediadonna: immagini, contenuti, contesti di donne nella stampa si è proposta l’obiettivo di rilevare la visibilità, in termini quantitativi e qualitativi, del genere femminile nella stampa. L’intento della ricerca era quello di: a) individuare gli ambiti culturali nei quali la donna è 62
presente o assente e le modalità di tale rappresentazione (protagonista, subalterna, vincente, perdente, vittima, seria, frivola, competente, ecc.); b) se e come i contenuti innovativi e la funzione propulsiva della donna vengono recepiti e se e come permangono elementi di discriminazione diretta e indiretta in termini di contenuti, immagini, spazi. La ricerca si è svolta nel periodo 1 marzo – 20 maggio 2002 e ha riguardato le seguenti testate giornalistiche: La Repubblica, Il Messaggero, Il Corriere della Sera, La Stampa, Il Corriere dell’Umbria, la Nazione, Il Mattino, Il Resto del Carlino, Il Giornale di Sicilia, Il Sole 24 Ore, Il Gazzettino (giornale del Nord-Est), Il Gazzettino del Mezzogiorno, L’Espresso, Panorama. ‹‹I risultati››, afferma Gioia Di Cristofaro, ‹‹vanno sempre nella stessa direzione, di una forte resistenza culturale alla visibilità e, quindi, corretta rappresentazione delle donne che esprimono e vivono la nuova cultura di cui sono state generatrici››. Dall’analisi viene fuori una significativa maggioranza di uomini presentati come positivi e vincenti e donne positive o negative, ma sempre perdenti. Le donne risultano vincenti negli articoli che riguardano lo spettacolo, ovviamente perdenti in quelli di cronaca e limitatamente vincenti in quelli politici. Si evince un uso sessista della lingua, in primis in riferimento all’indicazione delle cariche che sono sempre al maschile. Talvolta, afferma l’autrice, si può addirittura arrivare a fino articolo senza aver capito che si stava leggendo di una donna. Lungi dall’essere una scelta neutra, ci troviamo invece di fronte ad un potente freno
all’emergere
della
nuova
posizione
della
donna
esistente
già
nell’immaginario culturale e sociale. La stampa non rispecchia la reale presenza delle donne, soprattutto nella politica, anzi, svolge addirittura una funzione di ridimensionamento del ruolo delle donne, divenuto oltremodo importante, troppo ingombrante. Nonostante il profondo mutamento culturale in atto nelle concezioni dei ruoli maschili e femminili e dei processi di riformulazione delle identità di genere in atto, il linguaggio della carta stampata ricalca gli oramai obsoleti modelli culturali androcentrici. Ci rimanda un’immagine falsata della donna, che viene da una parte sottorappresentata (soprattutto in politica le donne vengono menzionate solo quando non se ne può proprio fare a meno e in questo caso si inserisce comunque un qualche stereotipo che minaccia la loro autorevolezza e 63
che ha, quindi, una funzione tranquillizzante) e dall’altra sovrarappresentata (pubblicità, copertine che la propongono come donna oggetto, simbolo sessuale, cornice, ornamento, ma sempre elemento periferico). Delle donne si parla tanto, ma la loro parola trova pochissimo spazio. La cronaca riserva un’abbondanza di spazio alle donne, si entra oltremodo nei particolari, nella vita privata delle protagoniste, fatto che non si riscontra per gli uomini. Inoltre per le donne si è sempre meno comprensive che per gli uomini. In riferimento a comportamenti criminosi per i maschi emergono termini e circostanze che possono attutire le loro responsabilità, una fra tutte, la gelosia, le donne sono invece dei mostri senza scusanti. L’unico spazio, anche se comunque esiguo, ma non intaccato dai pregiudizi e stereotipi è quello che riguarda le donne impegnate in vari settori della vita sociale e culturale. L’ambito di maggiore visibilità, conclude Gioia Di Cristofaro Longo, è quello giuridico. Andando un po’ avanti negli anni in Il Genere tra le righe: gli stereotipi nei testi e nei media, Marcella Mariani cerca di cogliere il pensiero più profondo nascosto dietro le parole di due giornalisti di rilievo che hanno intervistato Hillary Clinton agli inizi della campagna per la presidenza negli USA. Entrambi gli stralci provengono dal quotidiano ‹‹la Repubblica›› del 21/01/2007: 1) Titolo: Hillary: Ci sono anch’io e vincerò di Flores D’Arcais: ‹‹La moglie dell’ex-presidente… H.C., 59 anni… vestita di nero con una giacca bordeaux… due prime immagini storicamente assolute, una donna e un nero… la location della ripresa è sofisticata… perfettamente a suo agio nel “chiacchierare” …giacca rossa, colore della forza, e soprattutto un viso ringiovanito, senza rughe, come hanno velenosamente notato gli avversari politici››. 2) Titolo: Sorrisi, tailleur e l’artiglio d’acciaio. L’America si divide sulla donna con troppe qualità di Vittorio Zucconi: ‹‹Circonfusa da luci morbide e cortesi… con i suoi sessant’anni… in un set domestico da rivista di arredamento, più da the in casa Laura Ashley, che da futuro comandante in capo nel bunker… nella mischia di cavalli di razza… alle gabbie di partenza per una corsa che si annuncia deliziosamente selvaggia… il giusto equilibrio di immagine tra femminilità, credibilità, serietà e autorevolezza… nel suo partito sanno bene che dietro la luce 64
diffusa, i tailleurs, i filtri soft, i sorrisi, la signora nasconde denti caratteriali lunghi e artigli politici aguzzi che neppure il più macho dei concorrenti maschi possiede… essendo il denaro, ormai, il latte materno della politica nessuno è più mamma di lei in questa “nursery” di ambizioni presidenziali …il suo cognome da sposata, che ormai ha adottato definitivamente abbandonando i tratti da protofemminismo …è preparatissima, studiosissima e rispetto alla media degli avversari e degli americani non provinciale ma… è donna dunque, una novità storica in una nazione in cui… la femminilità è sempre stata un handicap fatale››. E’ evidente, ci dice Mariani, come, in entrambi gli articoli, dagli aggettivi ai verbi viene fuori un tipo di linguaggio prevalentemente maschilista e sessista che prende la mano anche a professionisti di grande prestigio. Ciò che si coglie immediatamente è un’attenzione maniacale a fattori completamente estranei all’oggetto del tema che si suppone dovesse essere trattato in quella data circostanza e cioè il programma politico di una candidata alla massima carica di un grande stato. I continui riferimenti alle più stereotipate immagini femminili che si cerca di nascondere dietro allusioni e ironie, vengono invece fuori in maniera ancora più forte e irritante. Basta provare a sostituire, in questi articoli, il nome di Hillary Clinton con quello di Obama, o di un altro candidato di genere maschile per avere la riprova che il contesto creato dai due giornalisti è veramente imbarazzante e profondamente sessista. In ultima analisi prenderemo in considerazione un’interessante tesi di Laurea intitolata Pregiudizi e stereotipi sessisti e razziali. Una verifica sperimentale attraverso la lettura di articoli di cronaca, discussa il 18 marzo 2009, all'Università per Stranieri di Perugia. L’autore della tesi, Pierpaolo Zaccaron, si propone di analizzare gli stereotipi, razziali e sessisti, e di verificarne la presenza in un gruppo di soggetti, tramite un’indagine sperimentale. In questa sede prenderemo in considerazione solo la parte del lavoro che riguarda i pregiudizi sessisti. La ricerca si è svolta nel mese di gennaio 2009 a Milano. Sono state scelte 40 persone di cui 20 donne e 20 uomini, in possesso di diploma di scuola superiore, di un’età media di trentatre anni per gli uomini e trentanove per le donne, di nazionalità italiana ed esercitanti tutti la stessa professione (impiegati 65
nella pubblica amministrazione). Queste persone sono state scelte con l’obiettivo di avere un campione omogeneo per estrazione sociale e culturale. A questi soggetti è stato fatto leggere un articolo del Corriere della Sera del 19 dicembre 2008 in cui si descrive una nuova tecnica neurochirurgica sperimentata da due medici, una donna e un uomo. Lo scopo, come afferma l’autore ‹‹era di indagare gli stereotipi professionali di genere, cioè valutare l’eventuale presenza di pregiudizi legati al sesso dei protagonisti in rapporto alla professione in esame e al tipo di scelte linguistiche adottate nell’articolo››. I due medici protagonisti, infatti, sono una donna e un uomo, ma, nell’articolo originale, l’unico indizio che permetta l’identificazione del sesso dei due protagonisti è il nome personale, citato tra l’altro una sola volta e, per lo più, in una tipologia di testo che di solito viene letto senza particolare attenzione, in tutto il resto dell’articolo viene utilizzato il maschile plurale generico. Ai fini della ricerca l’autore ha modificato l’articolo eliminando la citazione per esteso dei nomi, ma lasciando invariato tutto il resto. I partecipanti alla ricerca sono stati suddivisi in due gruppi di 20 persone ciascuno (di cui 10 donne e 10 uomini). Ai due gruppi sono stati richiesti due compiti diversi, da eseguire dopo la lettura dell’articolo: il primo gruppo doveva completare una scheda anagrafica sui protagonisti degli eventi, inventando i dati mancanti, ma in modo compatibile con quanto esplicitamente emerso dagli articoli (i dati da inserire erano: età; nazionalità; sesso; professione); il secondo gruppo doveva associare ad ogni personaggio descritto nell’articolo un volto tra quelli proposti attraverso una serie di fotografie, di donne e uomini, compatibili con i profili dei protagonisti (l’autore ha mostrato cinque fotografie di medici di sesso femminile e cinque di medici di sesso maschile, tutti ritratti con il camice bianco). Le fotografie davano un “suggerimento” indiretto sul sesso dei medici, infatti, mostrando anche immagini di donne si lasciava supporre che almeno uno dei due lo fosse. Ciò potrebbe apparire un elemento invalidante ai fini della ricerca, ma lo scopo di questo secondo esperimento era vedere se, stimolati dalle informazioni in più fornite indirettamente attraverso le fotografie, i soggetti facevano scelte diverse rispetto a quelli del primo esperimento. 66
L’autore voleva trovare risposta a queste domande: 1) se l’uso del maschile generico era realmente tale e non oscurava invece la presenza di protagoniste femminili; 2) se le lettrici e i lettori si comportavano diversamente di fronte all’interpretazione del maschile generico; 3) se le fotografie influenzavano o meno la scelta; 4) in che modo le statistiche erano alla base dell’interpretazione data dalla maggioranza delle persone intervistate. Gli esiti dello studio hanno dimostrato che, senza vedere le foto, il 95% delle donne e il 95% degli uomini ha risposto che entrambi i medici erano uomini, la percentuale è cambiata mostrando le foto, in questo caso, il 40% delle donne e il 20% degli uomini ha risposto che tra i due medici poteva esserci una donna. Le donne e gli uomini, quindi, hanno risposto in maniera differente solo nel secondo esperimento. L’autore conclude affermando che, come da tempo sosteneva anche la linguista Alma Sabatini, l’uso del maschile generico è sconsigliato. La ricerca mostra che una richiesta di maggior attenzione al linguaggio, non dipende solo da ragioni ideologiche, seppur legittime, ma anche e soprattutto dal fatto che ancora oggi il maschile non viene elaborato dai lettori come “generico”, ma, almeno nel caso esaminato, come maschile tout court. Dopo tanti anni di lotte, pare che nulla sia mutato, che nessun colpo abbia scalfito il forte nucleo androcentrico e sessista del linguaggio.
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CAPITOLO 3 Indagine attraverso il quotidiano ‹‹La Stampa››
Prendendo spunto dalle ricerche che ho segnalato nel precedente capitolo, soprattutto da quella condotta da Alma Sabatini, ho deciso di compiere io stessa un’analisi sul linguaggio utilizzato dalla “carta stampata”. Parto dall’ipotesi personale che tutte le forme del linguaggio sessista e discriminatorio di cui si è parlato tanto in queste pagine, dalle dissimmetrie grammaticali a quelle semantiche, fino ad arrivare all’utilizzo dei titoli al maschile, siano andate aumentando nel tempo in funzione direttamente proporzionale all’ascesa delle donne nella vita politica, sociale, culturale, ecc. Insomma, io credo che quanto più le donne riescano a liberarsi del dominio maschile e a realizzarsi come soggetti, nei fatti, soprattutto nella professione, tanto più questa mano invisibile troverà nel linguaggio un mezzo per continuare ad esistere e a condizionare l’esistenza femminile. Più il mondo sarà delle donne, per dirla alla Touraine, più il linguaggio sarà mascolino. Se
nel
passato
alcune
dissimmetrie
potevano
essere
considerate
esclusivamente come il riflesso senza ombre di un tempo che ancora attendeva l’emancipazione femminile, oggigiorno, invece, non vale più questa metafora, perché alla luce dei fatti quel riflesso è diventato nient’altro che una grande ombra che oscura e intrappola la presenza femminile. Per verificare la mia ipotesi di base, ho preso in esame alcuni numeri del quotidiano ‹‹La Stampa››. Inizialmente ero orientata verso il ‹‹Corriere della Sera››, primo per diffusione in Italia, ma ho riscontrato una seria difficoltà nel reperimento soprattutto dei numeri più vecchi, la ‹‹Repubblica›› non l’ho presa in considerazione, essendo stata fondata solo nel 1976 (la mia ricerca parte dal 1952), quindi mi sono concentrata su ‹‹La Stampa››, terzo giornale d'informazione più venduto nel Paese e l’unico, in Italia, ad avere un archivio storico on line, completo e accessibile a chiunque. 68
Gli anni che ho analizzato sono il 1952, il 1972, il 1990 e il 2011, dieci numeri per ognuno di questi periodi scelti non a caso, o solo, come può sembrare, andando di vent’anni in vent’anni, ma in quanto successivi ad importanti fatti storici, politici e sociali per il tempo che mi è sembrato necessario affinché si interiorizzassero eventuali mutamenti. Mi riferisco, in particolare, al suffragio femminile (1946), all’apice del più importante movimento socioculturale e di protesta (1968) e alla pubblicazione delle Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana a cura di Alma Sabatini (1987). Il 2011 è un necessario confronto con l’attuale. La scelta dei giorni è invece stata effettuata in maniera casuale e sequenziale. Gli articoli che ho esaminato sono quelli di politica interna, che serviranno a capire se e come si esplica la presenza delle donne in un campo che è stato e resta prettamente di dominio maschile e quelli di cronaca, che metteranno in luce eventuali tecniche discriminatorie legate ai luoghi comuni.
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3.1 Anni cinquanta: poche e inoffensive dissimmetrie, specchio della realtà La tabella seguente riporta nei dettagli i dati relativi all’indagine da me compiuta sui 10 numeri de ‹‹La Stampa›› che vanno dal 10 al 21 maggio 1952. Sono stati presi in esame gli articoli di politica interna e cronaca.
Tipo di analisi: dissimmetrie grammaticali a. uso delle parole “uomo” – “uomini” con valore generico:
1. ‹‹i posti amministrativi più importanti passeranno in mano a uomini designati dal governo italiano››; 1. ‹‹sconfitta, quindi, degli uomini di destra››; 2. ‹‹i comuni italiani hanno bisogno non di uomini di parte, ma di retti e abili amministratori››; 3. ‹‹non ci sono uomini capaci››; 4. ‹‹in tutta la Valle uomini e partiti si stanno mobilitando››; 5. ‹‹il perduto equilibrio fra l’uomo e la terra››; 6. ‹‹non c’è più posto per l’uomo che cammina››; 7. ‹‹un mondo migliore per gli uomini››; 8. ‹‹ciò che e cattivo nell’uomo››; 9. ‹‹il cane non è soltanto un amico dell’uomo››; 10. ‹‹gli uomini intelligenti››; 11. ‹‹gli uomini coraggiosi››; 12. ‹‹gli uomini credono le cose che fanno loro piacere››.
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b. nomi maschili con valore generico:
1. ‹‹tutti gli oratori hanno preso argomento nella nuova situazione››; 2. ‹‹la polizia ha sparato sui giovani››; 3. ‹‹i dimostranti si sono riuniti››; 4. ‹‹i montanari››; 5. ‹‹i cittadini››; 6. ‹‹i diritti del cittadino››; 7. ‹‹i bambini››; 8. ‹‹i fanciulli››; 9. ‹‹i ragazzi››; 10. ‹‹gli studenti››; 11. ‹‹gli italiani››; 12. ‹‹i francesi››; 13. ‹‹gli arabi››; 14. ‹‹gli jugoslavi››; 15. ‹‹gli istriani››; 16. ‹‹i profughi››; 17. ‹‹gli elettori››; 18. ‹‹i democristiani››; 19. ‹‹i liberali››; 20. ‹‹i dipendenti››; 21. ‹‹i lavoratori››; 22. ‹‹i giornalisti››; 23. ‹‹i fotografi››; 24. ‹‹gli operatori cinematografici››; 25. ‹‹i viaggiatori››; 26. ‹‹il lettore››; 27. ‹‹300 ammalati italiani ed un centinaio di malati austriaci››; 28. ‹‹i nostri fratelli perseguitati››; 71
29. ‹‹precludere per sempre a voi e ai vostri fratelli il pacifico ritorno sotto il tetto della madre comune››.
c. precedenza del maschile nelle coppie oppositive uomo/donna:
1. ‹‹sei persone sono rimaste uccise: tre uomini e tre donne››; 2. ‹‹tra gli altri ricordiamo il prof. Paolo Greco, i magistrati Berutti, Manfredini, Malinverni, Galante, Garrone, Repaci, gli avvocati Verzone Guido, Emilio Bachi, Mario Passoni, Bedarida; i professori Penati, Montalenti, Vinno, Ugolini, il rag. Clerico, Leo Scamuzzi, il dott. Mautino, Ada Gobelli Marchesini, la signora Martorelli, la signora Perotti››; 3. ‹‹il segretario della Dc on. Gonnella e la signora Rossi, presidente delle donne di Azione Cattolica››; 4. ‹‹il marito geloso che ammazza la moglie per infedeltà e viceversa››; 5. ‹‹ne parlano francamente uomini e donne››; 6. ‹‹98 suicidi (58 uomini e 40 donne); 7. ‹‹si trovavano nello stabilimento quattro persone: il dott. Tron, sua moglie Giuseppina Sinchetto, l’operaio Ernesto Guido di Carmelo, di 20 anni e la Lucia Napione››; 8. ‹‹il Servolo e la Bertorello››; 9. ‹‹il Valle e la Comparato››; 10. ‹‹una denuncia al Laviosa e alla Olivari››.
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Tipo di analisi: dissimmetrie relative agli agentivi
a. titoli al maschile ed eventuali sconcordanze grammaticali:
Non è stato riscontrato nessun caso
b. modificatore donna:
1. ‹‹la baronessa Giovanna Trigona, una ex crocerossina fiduciaria delle donne neofasciste e candidata al consiglio comunale di Palermo››; 2. ‹‹analogo schieramento a Verrés, dove la terza lista, quella degli indipendenti – contadini (e liberali), reca in testa il nome di una donna, la signorina Vella Cavurina, impiegata››.
c. suffisso –essa:
1. ‹‹la giovane poetessa Elena Bono››; 2. ‹‹la baronessa Giovanna Trigona››.
d. uso dissimmetrico di nomi, cognomi, titoli:
1. ‹‹il segretario della Dc on. Gonnella e la signora Rossi, presidente delle donne di Azione Cattolica››; 2. ‹‹Lo Verso uccise per amore della Salzillo››; 3. ‹‹analogo schieramento a Verrés, dove la terza lista, quella degli indipendenti – contadini (e liberali), reca in testa il nome di una donna, la signorina Vella Cavurina, impiegata››; 4. ‹‹la signorina Lucia Crivella››; 5. ‹‹a soli 14 anni aggredisce e rapina una signorina a S. Mauro››.
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Tipo di analisi: dissimmetrie semantiche
a. presentazione delle donne attraverso immagini stereotipate e discriminanti; b. eccessivo soffermarsi sull’età e sull’aspetto fisico; c. forme di identificazione della donna attraverso l’uomo, la professione e il ruolo stereotipati:
1. ‹‹Lo Verso ha scritto che la Salzillo era una brava e bella ragazza, una guida ideale per le sue bambine. In Filomena Salzillo dobbiamo cercare la vera, la sola, la potente casuale del delitto; come colei, che pur senza esprimere il suo pensiero, riuscì ad infiammare l’uomo che amava, spingendolo a uccidere la moglie››; 2. ‹‹noi ai giudici chiediamo giustizia in nome di una santa, in nome di una madre che personifica il dolore di tutte le madri italiane››; 3. ‹‹la trovata di una ragazza per riuscire a farsi sposare››; 4. ‹‹sempre con quella bocca spalancata››; 5. ‹‹non riusciva più a sopportarla data la sua troppo vivace loquela durante il sonno››; 6. ‹‹tra le cause che possono portare all’omicidio, ci sono i temperamenti impulsivi quali gli ipertiroidei, i collerici, le donne che risentono di un turbamento profondo all’epoca della ricorrenze mensili. Un delitto da parte di questi minorati è possibile››; 7. ‹‹la donna delinque meno dell’uomo ma talvolta lo supera in atrocità. E non veniteci a parlare della inferiorità della donna rispetto all’uomo, Basta ricordare le 47 coltellate con cui la Grisola uccise suo marito a Genova e i colpi forsennati e mortali della Fort su quattro creature››; 8. ‹‹è umanamente impossibile che una donna – dice la sentenza d’Assise di Cuneo – vedova da pochi giorni, con due bimbi a carico, li abbandoni a se stessi; vinca lo strazio che ogni donna sente nel lasciare senza assistenza le proprie creature soltanto per sfuggire a certe voci che le addebitavano un reato di cui si sente innocente››; 74
9. ‹‹Celeste Genova è uno straccio di donna. Non ha avuto né educazione, né ricchezze, né nobiltà di maritaggio. E’ caduta sempre tra le braccia di uomini tristi ma per bisogno, per fame››; 10. ‹‹una Bovary alla rovescia››; 11. ‹‹ultimamente una signora, in un tram di Stoccolma, vedendosi offrire il posto da un uomo, svenne››; 12. ‹‹nell’aula una giovane signora bionda, vestita di nero, si è tolta un momento gli occhiali affumicati coi quali spera di nascondere ai curiosi il suo viso delicato, per asciugarsi una lacrima››; 13. ‹‹l’elegante sconosciuta››; 14. ‹‹una matura contadina››; 15. ‹‹l’uccisione di una giovane donna››; 16. ‹‹la giovane poetessa Elena Bono››; 17. ‹‹l’imputata ha il viso di una donna già al tramonto, di 48 anni, che un tempo dovette possedere bellezza ed eleganza. Ora non ha né la prima né la seconda››; 18. ‹‹l’Alice Bertolotti era attesa in Pretura con la curiosità con cui si attende una bella donna››; 19. ‹‹Lo Verso ha scritto che La Salzillo era una brava e bella ragazza, una guida ideale per le sue bambine››; 20. ‹‹una graziosa donnina d’una ventina d’anni››; 21. ‹‹la graziosa sposina››; 22. ‹‹la deliziosa consorte››; 23. ‹‹la sposina olandese››; 24. ‹‹la bella olandese››; 25. ‹‹l’olandese volante››; 26. ‹‹la giovane sposa dai capelli biondi››; 27. ‹‹si è uccisa con un colpo di rivoltella alla tempia, la 36enne Debora De Nepi, maritata Funaro madre di quattro figli››; 28. ‹‹la pittrice Lisabeth Franhel Caputo, oggi moglie di un ingegnere italiano››; 75
29. ‹‹la rispettabile somma di 10 milioni e720 mila lire è stata vinta al lotto dalla Signora Margherita Giani, moglie di un operaio della Fiat››; 30. ‹‹Celeste Genova, di 40 anni, separata dal marito, un noto macellaio di La Spezia››; 31. ‹‹Felicita Marchetti, casalinga trentasettenne, sposata da 17 anni ad Attilio Obezzi operaio presso la Montecatini, e madre di una graziosa fanciulla quattordicenne a nome Luigina››; 32. ‹‹si nutrono pochissime speranze di salvare la donna che è vedova ed è madre di due figli ancora giovani››.
Ciò che salta subito all’occhio è che, seppur con qualche dissimmetria, giustificata però dal periodo storico, nei dieci numeri esaminati, non si teme di nominare le donne che ricoprono posizioni politiche o comunque di “potere”. Leggiamo: ‹‹la baronessa Giovanna Trigona, una ex crocerossina fiduciaria delle donne neofasciste e candidata al consiglio comunale di Palermo››; ‹‹la cons. Pagella››, in questo caso l’abbreviazione “cons.” non ci permette di capire se il giornalista volesse scrivere “consigliera” o “consigliere”, ma l’articolo è esatto; ‹‹sono in lizza tre liste: Sinistra, D.C. – Union, indipendenti. Analogo schieramento a Verrés, dove la terza lista, quella degli indipendenti – contadini (e liberali), reca in testa il nome di una donna, la signorina Vella Cavurina, impiegata››, in questa formula viene sottolineata l’eccezionalità della situazione e notiamo, inoltre, l’uso del termine signorina per evidenziare lo stato civile della donna; ‹‹il segretario della Dc on. Gonnella e la signora Rossi, presidente delle donne di Azione Cattolica››, in questa frase, invece, il termine “signora” è funzionale ad esplicitare il genere del soggetto, essendo stato utilizzato un termine (presidente) al maschile; infine leggiamo ‹‹senatrice Merlin››, la formula corretta, secondo le Raccomandazioni di Alma Sabatini, sarebbe “senatora”, ma sempre meglio che “senatore”.
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L’esigua presenza delle donne in politica comporta che, spesso, anche l’uso del maschile generico possa non essere ritenuto una discriminante. Espressioni come ‹‹i posti amministrativi più importanti passeranno in mano a uomini designati dal governo italiano››; ‹‹tutti gli oratori hanno preso argomento nella nuova situazione››; ‹‹sconfitta, quindi, degli uomini di destra››; ‹‹in tutta la Valle uomini e partiti si stanno mobilitando››; i comuni italiani hanno bisogno non di uomini di parte, ma di retti e abili amministratori››; ‹‹non ci sono uomini capaci›› possono essere tollerate, perché non sono altro che lo specchio della realtà. Con particolare attenzione mi soffermo sulla frase: ‹‹Io sono convintissimo che in ogni ramo del pubblico servizio ci siano uomini (o donne anche, proprio donne adatte e preparate e non presuntuose, senza alterigia né spirito di trafficantismo) che potrebbero essere ben utilizzati nel campo nazionale come nel campo locale››. Questa proposizione include anche le donne come possibili candidate ad un ruolo pubblico, sembra quindi un’importante apertura, ma il voler sottolineare le caratteristiche sia positive sia negative delle stesse, potrebbe essere rilevata come una vera e propria dissimmetria. Un uso improprio del maschile generico è inoltre evidente in espressioni che ritrovo continuamente sia negli articoli a sfondo politico, sia in quelli di cronaca: ‹‹la polizia ha sparato sui giovani››; ‹‹i dimostranti si sono riuniti››; ‹‹il perduto equilibrio fra l’uomo e la terra››; ‹‹non c’è più posto per l’uomo che cammina››; ‹‹un mondo migliore per gli uomini››; ‹‹ciò che è cattivo nell’uomo››; ‹‹il cane non è soltanto un amico dell’uomo››; ‹‹gli uomini intelligenti››; ‹‹gli uomini coraggiosi››; ‹‹gli uomini credono le cose che fanno loro piacere››; ‹‹i montanari››, ‹‹i cittadini››; ‹‹i diritti del cittadino››; ‹‹afflusso di bambini››; ‹‹i fanciulli››; ‹‹i ragazzi››; ‹‹gli studenti››; ‹‹i dipendenti››; ‹‹gli italiani››; ‹‹i francesi››; ‹‹gli arabi››; ‹‹gli jugoslavi›› ‹‹gli istriani››; ‹‹i profughi››; ‹‹i nostri fratelli perseguitati››; ‹‹gli elettori››; ‹‹i democristiani››; ‹‹i liberali››; ‹‹i viaggiatori››; ‹‹i giornalisti››; ‹‹i fotografi››; ‹‹gli operatori cinematografici››; ‹‹i lavoratori››; ‹‹il lettore››. Solo raramente si ritrovano forme meno androcentriche: ‹‹diritti umani››; ‹‹le masse››; ‹‹le persone››; ‹‹quelle popolazioni››; ‹‹la popolazione contadina››; ‹‹in nome del popolo italiano››; ‹‹le amiche e gli amici››; 77
‹‹ne parlano francamente uomini e donne››; ‹‹andava a zonzo tutto il giorno e buona parte della sera con ragazze e ragazzi della sua età››; ‹‹sei persone sono rimaste uccide: tre uomini e tre donne. Tuttavia, la scoperta più importante la si fa leggendo gli articoli di cronaca. Qui salta subito agli occhi come una delle dissimmetrie più importanti, tra quelle indicate da Alma Sabatini, ovvero quella che riguarda l’uso dell’articolo che precede il cognome delle donne, in questi pezzi non esiste. Come mostra il seguente articolo, donne e uomini vengono trattati alla stessa maniera.
In questo trafiletto si può notare come l’articolo preceda sempre sia il nome dell’uomo sia quello della donna. Il titolo, però, evidenzia la passività femminile: ‹‹farsi sposare››.
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Leggiamo, in questo e negli altri articoli: ‹‹il Servolo e la Bertorello››; ‹‹la Lorenzetti e il Giovannini››; ‹‹il Clerico e la Merlo››; ‹‹il Dossi e la Dossi o la signora Dossi››; ‹‹la Marascutti, il Bertolone e il De Bernardi››; ‹‹il Valle e la Comparato››; ‹‹la Faltracco e il Levato››; ‹‹la Olivari, il Laviosa e il Catania››; ‹‹al Laviosa e alla Olivari››; ‹‹la Tremolada e lo Scagnolari››. In ogni testo, che ci si riferisca ad un uomo piuttosto che ad una donna, il cognome è sempre preceduto dall’articolo. Sappiamo che l’italiano parlato e scritto, fra il quarto e l’ottavo decennio del Novecento, richiedeva obbligatoriamente l’articolo prima dei cognomi di donne, mentre per gli uomini si poteva scegliere se utilizzare o no questa formula. In questo senso, ‹‹La Stampa›› ha fatto la scelta meno discriminatoria. Naturalmente negli articoli politici questo non succede, tutti i nomi e cognomi maschili sono spesso preceduti dal titolo o dalla sua abbreviazione (ad esempio: il presidente, il senatore, il ministro, l’on., il dott., l’avv., il cons., il prof., ecc). Una sola volta ho potuto leggere: ‹‹il Rocco – che presiede quel consiglio di amministrazione – ha pubblicato in questi giorni un articolo […]››. Per le donne è invece frequente l’utilizzo dei termini signora o signorina, che, come ho affermato anche prima, potrebbero però essere in un certo senso meno invalidanti dei titoli al maschile che oscurerebbero totalmente la presenza femminile. Raramente le donne vengono citate con il cognome del marito o solo con il nome, quando succede, spesso anche per il maschio si usa solo il nome di battesimo. Si segnala un solo caso in cui in un articolo una signora viene menzionata sempre e solo come ‹‹la moglie di Alberti››. Spesso, però, si danno precisazioni sullo stato civile delle donne e, oltre all’antipatica distinzione tra signore e signorine, vengono menzionate le generalità del marito nonché la sua professione, quando è madre lo si sottolinea e si esplica anche il numero di figli: ‹‹si è uccisa con un colpo di rivoltella alla tempia, la 36enne Debora De Nepi, maritata Funaro madre di quattro figli››; ‹‹la pittrice Lisabeth Franhel Caputo, oggi moglie di un ingegnere italiano››; ‹‹la rispettabile somma di 10 milioni e720 mila lire è stata vinta al lotto dalla Signora Margherita Giani, moglie di un operaio della Fiat››; ‹‹Celeste Genova, di 40 anni, separata dal 79
marito, un noto macellaio di La Spezia››. Informazione in questo caso utile, in quanto, la donna, tale “squartatrice di La Spezia”, aveva imparato, proprio aiutando l’ex marito, a tagliare in maniera professionale le carni, arte che venne messa in pratica proprio nell’omicidio per il quale era accusata. E ancora: ‹‹Felicita Marchetti, casalinga trentasettenne, sposata da 17 anni ad Attilio Obezzi operaio presso la Montecatini, e madre di una graziosa fanciulla quattordicenne a nome Luigina››. Quando i mariti non vengono menzionati mi sorge il dubbio, anche se non ho precise indicazioni a proposito, che sia solo perché queste signore non sono sposate. Con sorpresa poi leggo: ‹‹Maria Rezzonico e suo marito, deferiti dall’autorità giudiziaria per abbandono di infante››, questo nascondere il nome dell’uomo, forse, è volto esclusivamente a rappresentare ancora meglio una realtà androcentrica, in quanto l’articolo parla di abbandono di un figlio da parte dei due coniugi e quindi menzionare un uomo sarebbe solo una formalità, la cura della prole spetta alla madre. Siamo in una realtà nella quale la “piccolezza” delle donne si evince anche dagli stessi nomi: Vincenzina, Adelina, Giannina, Antonina, Luigina. ‹‹Una graziosa donnina d’una ventina d’anni››, in questa frase sono evidentissime le caratteristiche principali che il dominio maschile prevede per le donne: importanza dell’aspetto fisico e piccolezza. Sono tanti gli articoli in cui ci si sofferma oltremisura sull’età e sull’esteriorità delle donne: ‹‹Nell’aula una giovane signora bionda, vestita di nero, si è tolta un momento gli occhiali affumicati coi quali spera di nascondere ai curiosi il suo viso delicato, per asciugarsi una lacrima››; ‹‹l’elegante sconosciuta››; ‹‹una matura contadina››; ‹‹l’uccisione di una giovane donna››; ‹‹la giovane poetessa Elena Bono››; ‹‹L’imputata ha il viso di una donna già al tramonto, di 48 anni, che un tempo dovette possedere bellezza ed eleganza. Ora non ha né la prima né la seconda››; ‹‹L’Alice Bertolotti era attesa in Pretura con la curiosità con cui si attende una bella donna››.
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Molto interessante è il modo in cui ogni volta, in una serie di articoli apparsi su più numeri e riferiti alla strana sparizione di una novella sposa olandese, si cercava di trovare un aggettivo sempre diverso ma consono, per nominare la donna scomparsa: ‹‹la graziosa sposina››, ‹‹la deliziosa consorte››, ‹‹la sposina olandese››, ‹‹la bella olandese››, ‹‹l’olandese volante››, ‹‹la giovane sposa dai capelli biondi››. E ancora: ‹‹Lo Verso ha scritto che La Salzillo era una brava e bella ragazza, una guida ideale per le sue bambine. In Filomena Salzillo dobbiamo cercare la vera, la sola, la potente casuale del delitto; come colei, che pur senza esprimere il suo pensiero, riuscì ad infiammare l’uomo che amava, spingendolo a uccidere la moglie››. Il pezzo in corsivo sembra chiaramente ricalcare l’immagine della donna “strega”. Di immagini discriminanti le donne ne ho trovate altre, si legge ad esempio che: ‹‹tra le cause che possono portare all’omicidio, ci sono i temperamenti impulsivi quali gli ipertiroidei, i collerici, le donne che risentono di un turbamento profondo all’epoca delle ricorrenze mensili. Un delitto da parte di questi minorati è possibile››. Le donne, quindi, durante il periodo mestruale sarebbero delle minorate. Dopotutto l’aveva detto Simone de Beauvoir (il periodo è anche più o meno lo stesso) che proprio in questi giorni la donna si vede costretta a non poter disporre di sé, a subire processi complicati con secrezioni ormoniche che agiscono sulla tiroide e l’ipofisi, sul sistema nervoso centrale e sul sistema vegetativo, ma addirittura renderla un’assassina mi sembra un po’ eccessivo. Continuiamo con la lettura: ‹‹La donna delinque meno dell’uomo ma talvolta lo supera in atrocità. E non veniteci a parlare della inferiorità della donna rispetto all’uomo. Basta ricordare le 47 coltellate con cui la Grisola uccise suo marito a Genova e i colpi forsennati e mortali della Fort su quattro creature››. Tralasciamo il fatto che si sta parlando di delitti e pensiamo per un attimo solo alla costruzione della frase e al suo significato. Abbiamo già commentato una proposizione del genere e sottolineato che, mettere in questo modo a confronto i due generi, pone la donna già in una condizione di inferiorità e volta tutta al raggiungimento di un ideale che è l’uomo, colui al quale tendere, al quale somigliare il più possibile per essere migliore e per poter essere riconosciuta parte attiva in questo mondo. Sarebbe più corretto, invece, proporre l’immagine di una 81
crescita della donna nella sua diversità rispetto al maschio, ma forse è ancora presto. Continuiamo con la lettura: ‹‹Saranno organizzati due pomeriggi dei bambini: a disposizione di tutti i piccoli vi saranno numerose automobiline elettriche››. In questo ultimo caso o le bambine non sono invitate o magicamente tutti i preconcetti riguardanti i giochi opportuni per l’uno e l’altro sesso, sono scomparsi, oppure, magari, ancora non esistevano! Quando si fa riferimento ad una donna “non comune”, come nel caso di Ann Davidson, una scrittrice che vorrebbe compiere da sola la traversata dell’Atlantico a bordo del suo yacht, la prima che sia stata tentata da una donna, allora si descrive la storia con aggettivi quali “drammatica” e “singolare”. Singolare perché si tratta di una donna, drammatica perché Ann Davidson in una precedente traversata insieme al marito, è rimasta vedova. Più di metà articolo è stato dedicato al racconto della sua vita da maritata e alla sua sventura, il resto alla singolarità dell’evento e alle condizioni meteorologiche. Io, invece, mi sarei soffermata soprattutto sul nome della nuova imbarcazione con cui la scrittrice avrebbe effettuato la traversata: “Felicity”. Tuttavia, come ho già evidenziato, quando una donna ricopre una carica importante, non si stenta a nominarla: ‹‹la gerente di una casa editrice››; ‹‹la signora Maria Favella – Grondaie, direttrice dell’Ambigu››. Siamo nel 1952, possiamo accontentarci anche di una nominazione non proprio perfetta e non arrabbiarci per il “signora”.
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3.2 Anni settanta: le donne cominciano a perdersi negli uomini
La tabella seguente riporta nei dettagli i dati relativi all’indagine da me compiuta sui 10 numeri de ‹‹La Stampa›› che vanno dal 18 al 29 gennaio 1972. Sono stati presi in esame gli articoli di politica interna e cronaca.
Tipo di analisi: dissimmetrie grammaticali a. uso delle parole “uomo” – “uomini” con valore generico:
1. ‹‹uomini dell’amministrazione pubblica e uomini che dirigevano imprese addette a quei lavori urgentissimi››; 2. ‹‹gli uomini della cultura italiana››; 3. ‹‹gli uomini della scientifica››; 4. ‹‹i vescovi si rivolgono ai credenti e agli uomini di buona volontà [...] l’aborto legalizzato risulterebbe una soluzione indegna per l’uomo [...] ogni uomo che sia illuminato dalla retta ragione e animato da una volontà tesa al bene [...] la costante ricerca della scienza per salvare l’uomo››.
b. nomi maschili con valore generico:
1. ‹‹centotré studenti››; 2. ‹‹numerosi studenti››; 3. ‹‹gli allievi››; 4. ‹‹i ragazzi››; 5. ‹‹21 ragazzi››; 6. ‹‹i giovani››; 7. ‹‹i loro giovani concittadini››; 8. ‹‹i due giovani›› (coppia di fidanzati);
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9. ‹‹gli edicolanti, i giornalai››; 10. ‹‹gli italiani››; 11. ‹‹i romani››; 12. ‹‹amici per la pelle››; 13. ‹‹i viaggiatori in arrivo››; 14. ‹‹i proprietari di una tabaccheria›› (si tratta di marito e moglie); 15. ‹‹i 1200 medici delle trenta cliniche universitarie di Roma››.
c. precedenza del maschile nelle coppie oppositive uomo/donna:
1. ‹‹i ballerini e i lavoratori dello spettacolo compresi nel gruppo dei tersicorei potranno andare in pensione a 45 anni gli uomini e a 40 anni le donne››; 2. ‹‹uno scorcio di vita derelitta, con uomini e donne che sembrano non conoscere altro che la parola prostituzione, contrabbando, rivalità tra sfruttatori, sete di guadagno, minacce, odio, vendetta››; 3. ‹‹Benvenuti e la Bertorello››; 4. ‹‹Vincenzo Santostefano e Franca Mistroni››; 5. ‹‹il trentanovenne Gerardo Magistro e la moglie Angela››; 6. ‹‹il Bianco e la moglie Maria Rosa››; 7. ‹‹Raffaele Tafuri e la moglie Antonietta››; 8. ‹‹i coniugi Sergio e Maria Suppo››; 9. ‹‹Gianfranco e Giovanna Vallortigara››; 10. ‹‹Attilio Marzollo e Ursula››; 11. ‹‹Gianfranco e Giovanna Vallortigara››; 12. ‹‹Giancarlo e Vita erano quasi fuggiti da Marsala per il carattere violento del padre››; 13. ‹‹Ne sono vittime due coniugi di Potenza: il trentanovenne Gerardo Magistro e la moglie Angela, di 35 anni››; 14. Titolo: ‹‹due vigili che fermano un’auto senza bollo aggrediti da un uomo e una giovane donna››. 84
Tipo di analisi: dissimmetrie relative agli agentivi
a. titoli al maschile ed eventuali sconcordanze grammaticali:
1. ‹‹il legale danese di Marzollo, la signora Johansen››; 2. ‹‹Concetta Pantuso, ritenuta il cervello dell’organizzazione››.
b. modificatore donna:
1. Titolo: ‹‹donne imprenditrici a cena con il sindaco››; 2. ‹‹donne d’affari››.
c. suffisso –essa:
Non è stato riscontrato nessun caso
d. uso dissimmetrico di nomi, cognomi, titoli:
1. ‹‹la signora Piatti, segretaria dell’Associazione››; 2. ‹‹il legale danese di Marzollo, la signora Johansen››; 3. ‹‹Benvenuti e la Bertorello››; 4. Titolo: ‹‹le serate della Pagliuca››.
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Tipo di analisi: dissimmetrie semantiche
a. presentazione delle donne attraverso immagini stereotipate e discriminanti; b. eccessivo soffermarsi sull’età e sull’aspetto fisico; c. forme di identificazione della donna attraverso l’uomo, la professione e il ruolo stereotipati:
1. ‹‹deve essere una donna dolce e generosa, forse sarebbe riuscita brava attrice››; 2. ‹‹ragazzine mitomani. Non è vero niente, sono soltanto fantasie di ragazze››; 3. ‹‹Gabriella Fodde, la Lolita tredicenne››; 4. ‹‹Giancarlo ha trovato lavoro in una fabbrica di Montecalieri. Vita restava in casa a badare alle faccende […] Giancarlo si sente indipendente, tutta la famiglia vive con il suo stipendio d’operaio […] Vita a Torino ha conosciuto un giovane, rientra a casa tardi, da qualche mese si è accorta di aspettare un bambino››; 5. ‹‹la ragazza calabrese disonorata e i suoi parenti››; 6. ‹‹scapolo elegante e noto come accanito cacciatore di gonnelle››; 7. ‹‹Mario Cortese ha ucciso con due colpi di pistola la moglie Maria Angela Samà (una donna invecchiata anzitempo per le privazioni e le numerose maternità)››; 8. ‹‹la ragazza – graziosa, neri capelli lunghi, Montgomery rosso –›› ; 9. ‹‹la graziosa fidanzata››; 10. ‹‹la giovane donna››; 11. Titolo: ‹‹due vigili che fermano un’auto senza bollo aggrediti da un uomo e una giovane donna››; 12. Titolo: ‹‹duello come nel west per una bella ragazza››; 13. ‹‹una bella ragazza sposata e separata dal marito››; 14. ‹‹stamattina una ragazza bruna, molto graziosa, pelliccia di visone, minigonna di nappa chiara corta fino al limite del possibile. Un’altra 86
bionda con frangetta, gli occhi a punta di spillo e la bocca un po’ prominente. Una terza ragazza bionda, altissima, figura da indossatrice, con gli occhi annebbiati da grandi occhiali grigi, è venuta con la madre grassa, dalla fronte bassa››; 15. ‹‹tante le immagini di questa biondissima venere, come indossatrice della sola sua bellezza››; 16. ‹‹presto Lucia, una bella ragazza bruna, si accorse che il marito, questo è almeno quanto sostiene, non era capace di assolvere i suoi doveri coniugali››; 17. ‹‹Bela Tolera sarà Marisa Sarasso, una bionda studentessa diciottenne; impersonerà l’Abba Ernesto Vallarolo, un ragioniere ventiseienne››; 18. ‹‹la principessa indossava un mantello e stivali al ginocchio, neri. Bionda, slanciata, ha pregato i fotografi di non importunarla››; 19. ‹‹Attilio Marzollo e Ursula Funk l’ultima affascinante amica del finanziere››; 20. ‹‹Annamaria Agnoli, un’infermiera di 31 anni, abitante con il marito Paolo Zoliani, di 32, a Milano››; 21. ‹‹una donna di 42 anni, Concetta Pantuso, madre di 10 figli, per circa due anni ha capeggiato una banda di scippatori motorizzati e ladri d’auto››; 22. Titolo: ‹‹arrestata ieri la moglie di un impiegato di Ivrea››, nell’articolo si legge: ‹‹Graziella Baldolli, la giovane moglie di Dante Ponzetto››; 23. ‹‹Marcellina Filippini di 45 anni, una contadina di Cugliate, vicino a Luino, madre di due bambine […] Marcellina Filippini (sposata con Augusto Cadei, di quarantasei anni, e madre di Maria Grazia e Tiziana di tredici e otto anni)››; 24. ‹‹una bella ragazza sposata e separata dal marito››; 25. Titolo: ‹‹una madre di 10 figli a capo di una gang››; 26. Riferimenti a prostitute e prostituzione: ‹‹la passeggiatrice››; ‹‹il suo mestiere››; ‹‹quel tipo di donna››; ‹‹come convincere le donne a ritirarsi dai marciapiedi?››; ‹‹donne sventurate››; ‹‹le donne››; ‹‹la prostituta per il diritto è una donna come le altre››; ‹‹le donne rimarrebbero prive o quasi 87
di clienti››; ‹‹ogni donna con il suo alloggio con la porta sulla strada››; ‹‹sono poi sfilate le “donne” di via Saluzzo, amiche della vittima››;
Anche nel 1972, nei pezzi di cronaca, si usa ancora, ed in modo molto evidente, l’articolo davanti al cognome del soggetto maschio. Raramente questo viene omesso, anche se non è più una scelta fissa come nel 1952. Ho trovato un solo caso di dissimmetria nell’accostare il nome di un uomo e una donna: ‹‹Benvenuti e la Bertorello››. Tuttavia, è emblematico il modo in cui viene nominata volta per volta la principessa Alessandra Torlonia. Per lei non sono da meno i riferimenti all’aspetto fisico: ‹‹bionda, slanciata›› e nonostante sia una principessa leggiamo: ‹‹le conversazioni della Torlonia››, ‹‹di Alessandra››, ‹‹della principessa››. Quindi se per gli uomini con un certo potere (onorevoli, presidenti, senatori, ecc) non si utilizza mai l’articolo prima del cognome e non li si nomina mai attraverso il loro nome di battesimo, se si tratta di donne, invece, ciò si può fare e lo si fa praticamente sempre, anche se sono delle principesse. Prendiamo ora in considerazione i casi relativi all’utilizzo del maschile generico: ‹‹uomini dell’amministrazione pubblica e uomini che dirigevano imprese addette a quei lavori urgentissimi››; ‹‹gli uomini della cultura italiana››; ‹‹i vescovi si rivolgono ai credenti e agli uomini di buona volontà [...] l’aborto legalizzato risulterebbe una soluzione indegna per l’uomo [...] ogni uomo che sia illuminato dalla retta ragione e animato da una volontà tesa al bene [...] la costante ricerca della scienza per salvare l’uomo›› in questo articolo si parla di aborto, quindi, l’utilizzo del termine uomo come maschile generico è veramente fuori luogo. Ancora: ‹‹centotré studenti››, ‹‹numerosi studenti››, ‹‹altri giovani››; ‹‹gli edicolanti […] i giornalai››, in quest’ultimo caso, leggendo i nomi elencati nell’articolo, ci rendiamo conto che si trattava per la maggior parte di donne.
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Analizziamo un articolo pi첫 da vicino.
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Nel titolo leggiamo: ‹‹Ventuno giovani››, all’interno dell’articolo si usa ancora il maschile generico: ‹‹21 ragazzi››, ‹‹i ragazzi››, ‹‹amici per la pelle›› e infine, con stupore, leggiamo ‹‹la capitana››, termine utilizzato per ben tre volte. Anche l’intervistatore deve essere rimasto sorpreso, ma per un altro motivo vista la domanda che gli è uscita spontanea (l’avrebbe fatta ugualmente se si fosse trattato di “un capo”?): ‹‹Perché sono toccati a lei i gradi di capitana››? La risposta è esaustiva: ‹‹Perché disegna molto bene e ha molta inventiva››.
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Andiamo avanti nella lettura di altri articoli. Titolo: ‹‹Le ballerine in pensione a quarant’anni›› – Sottotitolo: ‹‹I ballerini l’otterranno a 45››. Dare maggiore risalto alle donne, in questo caso, mi sembra una discriminazione nella discriminazione. All’interno: ‹‹i ballerini e i lavoratori dello spettacolo compresi nel gruppo dei tersicorei potranno andare in pensione a 45 anni gli uomini e a 40 anni le donne››. Nonostante il gruppo sia formato da uomini e donne, si usa per tutti, inizialmente, il maschile generico, solo in seguito si fanno le dovute differenziazioni, ma solo perché l’età del pensionamento per i due generi è diversa, fosse stata la stessa, di sicuro non si sarebbe mai specificato e capito che il gruppo di ballerini e lavoratori dello spettacolo era composto anche da donne. Per quanto riguarda il settore politico, devo innanzitutto precisare che ci troviamo in un momento in cui la presenza delle donne in Parlamento, dopo una grave flessione è in leggera ripresa. 28 Anche le parole del sindaco di Torino, l’ing. Porcellana, sembrano essere indicative a proposito: ‹‹la collaborazione femminile è preziosa, in Guinta due importanti assessorati (Istruzione e Igiene) sono retti da donne. Ma per gli incarichi bisogna concorrere, non è una questione di uomini o donne, bensì di categoria››. L’articolo in questione ha come titolo: ‹‹Donne imprenditrici››. Vengono presentate Aida Bertolotti Spadavecchia come Presidente nazionale dell’Aidda (Associazione imprenditrici e donne dirigenti d’azienda), quindi senza l’articolo che in questo caso sarebbe stato importante non omettere e Silvina Donvito, delegata del Piemonte. L’articolo prosegue, però, con una frase totalmente controproducente e discriminatoria: ‹‹L’ing. Porcellana ha sostenuto il fuoco di fila delle padrone di casa, agguerrite ed esperte donne d’affari››. Il termine fuoco di fila, che sta a significare “interrogatorio incalzante”, sottolinea la parlantina delle donne, luogo comune per eccellenza; il riferimento 28
‹‹Secondo una recente analisi statistica condotta da Linda Laura Sabatini per l’Istat, l’andamento della quota delle elette nel corso delle prime legislature disegna una curva a “U”, passando dal 7,7% del 1948 all’8,7% del 1979 con un minimo storico del 2,8% nelle legislature IV del 1963 e V del 1968. Nelle legislature successive al 1968, invece, l’andamento è più discontinuo, toccando il suo apice nella dodicesima legislatura del Governo Prodi I (15 aprile 1994 - 8 maggio 1996) quando, in virtù dell’introduzione del sistema maggioritario-proporzionale con l’alternanza uomodonna nel proporzionale, quasi il 15% dei deputati era composto da donne. Nelle ultime legislature la presenza delle donne diminuisce, nel 2001 rappresenta appena l’11,5% alla Camera e l’8,1% al Senato››. D. Vellutino, Lessico delle donne di “potere” nei processi di comunicazione istituzionale, Edizioni Plectica, Salerno, 2009
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alla casa di cui le donne “solo” possono essere padrone è fuori luogo e sempre legato ad un banale luogo comune; anche l’aggettivo “agguerrite”, che fa riferimento ad una caratteristica maschile, inserito in questo contesto crea una dissonanza; infine, il termine “donne d’affari” non è corretto, perché si sottolinea il carattere maschile dell’occupazione, bastava dire “le affariste”, o forse avrebbe significato qualcos’altro? Inoltre, nella lettura dell’articolo intero, si nota che non viene mai indicato il nome delle signore che fanno le domande al Sindaco, comincia così la non nominazione delle donne. Andando oltre, analizziamo altri testi e leggiamo: ‹‹La senatrice Tullia Carettoni››, che compare ancora come ‹‹La senatrice Carettoni››, niente da obiettare, il termine è al femminile, anche se non è “senatora” come avrebbe voluto Alma Sabatini, ma più avanti è menzionata una legge di cui la stessa si è fatta promotrice e che porta il nome di ‹‹Lex Tullia››. Se fosse stato un uomo, si sarebbe sicuramente utilizzato il cognome. Altri esempi di donne in posizioni importanti: ‹‹la signora Piatti, segretaria dell’Associazione››; ‹‹un intervento della dott. Franca Mussa››; ‹‹il legale danese di Marzollo, la signora Johansen››; ‹‹l’ex direttrice di Grottaferrata››. Nel primo caso si nota ancora l’utilizzo improprio del termine signora che in quel contesto potrebbe essere facilmente omesso visto che il titolo che la riguarda è correttamente utilizzato al femminile; nel secondo caso l’abbreviazione “dott.” e non “dott.ssa”, starà forse a significare “dottora”, termine che Alma Sabatini ritiene giusto? Infine, riscontriamo l’utilizzo di un termine maschile “il legale” per indicare una donna nel settore giuridico (che come vedremo diventerà quello maggiormente androcentrico) ma in questo caso viene “aggiustato” dal “signora”; ‹‹l’ex direttrice di Grottaferrata›› sembra una formula più giusta, anche se ‹‹direttora›› sarebbe il termine esatto da utilizzare, sempre su indicazione delle Raccomandazioni di Alma Sabatini; infine su ‹‹l’incriminazione della presidente nazionale dell’Opera maternità e infanzia, Angela Gotelli››, niente da obiettare. Negli articoli di cronaca riscontriamo pochi casi di donne presentate con il proprio cognome da nubile e parecchie donne, invece, assorbite dal proprio coniuge: ‹‹Vincenzo Santostefano e Franca Mistroni››; ‹‹Lucia Vannucchi e Vittorio Di Luciano››; ‹‹Annamaria Agnoli, un’infermiera di 31 anni, abitante con 92
il marito Paolo Zoliani, di 32, a Milano››; Titolo: ‹‹arrestata ieri la moglie di un impiegato di Ivrea››, nell’articolo si legge: ‹‹Graziella Baldolli, la giovane moglie di Dante Ponzetto››; ‹‹Marcellina Filippini di 45 anni, una contadina di Cugliate, vicino a Luino, madre di due bambine››, poi più avanti nell’articolo si legge: ‹‹Marcellina Filippini (sposata con Augusto Cadei, di quarantasei anni, e madre di Maria Grazia e Tiziana di tredici e otto anni)››; ‹‹il trentanovenne Gerardo Magistro e la moglie Angela››; ‹‹il Bianco e la moglie Maria Rosa››; ‹‹Raffaele Tafuri e la moglie Antonietta››; ‹‹Nella e Pietro Spadoni››; ‹‹i coniugi Sergio e Maria Suppo››; ‹‹Gianfranco e Giovanna Vallortigara››; ‹‹Teresa Siesto, una bella ragazza sposata e separata dal marito››. Come si nota in quest’ultimo caso, anche laddove è oramai avvenuta una separazione tra i coniugi, c’è questa tendenza a sottolineare comunque che la “bella ragazza” è stata sposata. Dissimmetria costante anche in questo periodo è il soffermarsi oltremodo sull’aspetto fisico e sull’età della donna: ‹‹Mario Cortese ha ucciso con due colpi di pistola la moglie Maria Angela Samà (una donna invecchiata anzitempo per le privazioni e le numerose maternità)››; ‹‹la ragazza – graziosa, neri capelli lunghi, Montgomery rosso – ››; ‹‹la graziosa fidanzata››; ‹‹stamattina una ragazza bruna, molto graziosa, pelliccia di visone, minigonna di nappa chiara corta fino al limite del possibile. Un’altra bionda con frangetta, gli occhi a punta di spillo e la bocca un po’ prominente. Una terza ragazza bionda, altissima, figura da indossatrice, con gli occhi annebbiati da grandi occhiali grigi, è venuta con la madre grassa, dalla fronte bassa››; ‹‹tante le immagini di questa biondissima venere, come indossatrice della sola sua bellezza››; ‹‹Bela Tolera sarà Marisa Sarasso, una bionda studentessa diciottenne; impersonerà l’Abba Ernesto Vallarolo, un ragioniere ventiseienne››. Per un uomo, al massimo, si può descrivere come è vestito, ma non si fanno mai riferimenti al suo aspetto esteriore: ‹‹Francesco Maiello lo ha ascoltato impassibile, dietro le lenti affumicate che gli nascondevano gli occhi. Vestiva all’ultima moda: giaccone di pelle, maglione giro collo, colbacco di pelliccia››.
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Vengono inoltre sottolineate per le donne alcune caratteristiche perpetuate dai luoghi comuni: ‹‹ragazzine mitomani […] Non è vero niente, sono soltanto fantasie di ragazze››; ‹‹deve essere una donna dolce e generosa, forse sarebbe riuscita brava attrice››. Quindi le donne raccontano storie per il loro desiderio di apparire e di mostrarsi interessanti, o sono dolci e generose, caratteristiche che tra l’altro non c’entrano nulla con l’essere una brava attrice. I riferimenti sessuali sono costanti, anche per le ragazzine: ‹‹Anna Rita, 18 anni, è graziosa, slanciata, bionda con meches. Gabriella ha 13 anni, è una ragazzina magra, cresciuta in altezza, assolutamente acerba››; ‹‹l’avviso di reato parla di sfruttamento nei confronti di Gabriella Fodde, la “Lolita” tredicenne››; ‹‹anche gli altri contro i quali la “Lolita” ha puntato il dito negano con sdegno››. Non si capisce come si possa identificare una ragazzina prima come “assolutamente acerba” e poi come una “Lolita” che per definizione è “una ragazza adolescente di aspetto provocante, che suscita desideri sessuali anche in uomini maturi”. Insomma, questa ragazzina è acerba o provocante? Interessante è anche il modo di presentare le prostitute: ‹‹uno scorcio di vita derelitta, con uomini e donne che sembrano non conoscere altro che la parola prostituzione, contrabbando, rivalità tra sfruttatori, sete di guadagno, minacce, odio, vendetta››; ‹‹la passeggiatrice››; ‹‹il suo mestiere››; ‹‹quel tipo di donna››. Si finisce, poi, addirittura per sovrapporre i due termini di “donna” e “puttana”: ‹‹come convincere le donne a ritirarsi dai marciapiedi?››; ‹‹donne sventurate››; ‹‹le donne››; ‹‹la prostituta per il diritto è una donna come le altre››; ‹‹le donne rimarrebbero prive o quasi di clienti››; ‹‹ogni donna con il suo alloggio con la porta sulla strada››. Solo una volta troviamo l’utilizzo di donna inteso come prostituta e quindi, giustamente, almeno virgolettato: ‹‹sono poi sfilate le “donne” di via Saluzzo, amiche della vittima››.
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3.3 Anni novanta: le tante contraddizioni
La tabella seguente riporta nei dettagli i dati relativi all’indagine da me compiuta sui 10 numeri de ‹‹La Stampa›› che vanno dal 5 al 16 ottobre 1990. Sono stati presi in esame gli articoli di politica interna e cronaca.
Tipo di analisi: dissimmetrie grammaticali a. uso delle parole “uomo” – “uomini” con valore generico:
1. ‹‹uno degli uomini più in vista di Perugia e dell’Umbria››; 2. ‹‹gli uomini dell’Anonima››; 3. ‹‹gli uomini della maggioranza di Occhietto››; 4. ‹‹anche gli uomini dell’esecutivo del partito››; 5. ‹‹gli uomini politici italiani da un po’ di tempo si sono messi a consigliare la Chiesa››; 6. ‹‹l’uomo di oggi vuole dell’altro››; 7. ‹‹perché l’uomo non abbia un prezzo››; 8. ‹‹ha voluto ammonire gli uomini che si stanno dilaniando nella lotta interna››.
b. nomi maschili con valore generico:
1. ‹‹alcuni consiglieri di amministrazione non socialisti››; 2. ‹‹i miei colleghi europei››; 3. ‹‹i deputati del SI e quelli del NO››; 4. ‹‹un appello agli insegnanti, ai genitori, agli studenti, ai magistrati, agli operatori dell’informazione, alle forze politiche perché ci si impegni››; 5. ‹‹i dirigenti››; 95
6. ‹‹i giornalisti››; 7. ‹‹i giuristi››; 8. ‹‹tre milioni di lavoratori pubblici››; 9. ‹‹un gruppo di lavoratori››; 10. ‹‹pochissimi lavoratori››; 11. ‹‹consulenti esterni››; 12. ‹‹team di professionisti››; 13. ‹‹500 tra giornalisti e fotografi››; 14. ‹‹compagnia fatta da giovani normali, studenti o lavoratori››; 15. ‹‹gli intellettuali dei club attaccano i miglioristi››; 16. ‹‹i comunisti››; 17. ‹‹i socialdemocratici››; 18. ‹‹i socialisti››; 19. ‹‹i compagni››; 20. ‹‹gli ex comunisti››; 21. ‹‹i democratici››; 22. ‹‹altri esponenti››; 23. ‹‹i leader››; 24. ‹‹i manifestanti››; 25. ‹‹i dignitari dell’opposizione››; 26. ‹‹lo sparuto numero di fedelissimi del vecchio pci radunati davanti al Bottegone››; 27. ‹‹attorno al caffè di Craxi c’è la ressa: dei cronisti, degli assessori, socialisti, dei postulanti››; 28. ‹‹gli amministratori comunali››; 29. ‹‹i giovani tossicodipendenti››; 30. ‹‹i malati di mente››; 31. ‹‹i malati terminali››; 32. ‹‹gli anziani››; 33. ‹‹gli immigrati››; 34. ‹‹i cittadini››; 96
35. ‹‹docenti universitari››; 36. ‹‹il predominio dei capitalisti e degli imprenditori››; 37. ‹‹i consumatori››; 38. ‹‹rappresentano quella discreta fetta di italiani››; 39. ‹‹i deboli, i poveri, gli indifesi››; 40. ‹‹oltre diecimila coltivatori››; 41. ‹‹gli agricoltori››; 42. ‹‹una deriva per un bimbo costa 2 milioni e mezzo››; 43. ‹‹psicodrammi dei rapporti tra padri, figli e nipoti››.
c. precedenza del maschile nelle coppie oppositive uomo/donna:
1. ‹‹marito e moglie››; 2. ‹‹lui e la moglie››; 3. ‹‹hanno perso la vita tre uomini e due donne››; 4. ‹‹Domenico Gervasio, 40 anni e la moglie Vincenza Ponticiello››; 5. ‹‹Valerio Morucci e Adriana Faranda, i due ex brigatisti››; 6. Titolo: ‹‹Morucci e Faranda, libertà in pericolo››; 7. Titolo in prima pagina: ‹‹Morucci e la Faranda liberi››; 8. Titolo: ‹‹Morucci e Faranda condannati per il delitto Moro sono usciti ieri sera da Rebibbia››; 9. ‹‹Andreotti ha avuto parole pungenti anche per Morucci e Faranda››; 10. ‹‹Attività di spaccio e diffusione della prostituzione maschile e femminile››.
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Tipo di analisi: dissimmetrie relative agli agentivi
a. titoli al maschile ed eventuali sconcordanze grammaticali:
1. ‹‹il presidente della Camera Nolde Iotti››; 2. ‹‹era noto l’entusiasmo del presidente della Camera. Ma non è scontato che il presidente della Camera condividesse il malumore delle donne del pci verso i compagni maschi; 3. ‹‹ha accolto le dimissioni del segretario uscente Giuliana Del Bufalo, diventata vicedirettore del Tg2››; 4. ‹‹a parlare è Giuliana Del Bufalo, segretario della Fnsi››; 5. Titolo: ‹‹la segretaria del sindaco nominata vice direttore alla vigilia del contratto››; 6. ‹‹alla fine Giuliana del Bufalo, segretario quarantaduenne della Fnsi››; 7. ‹‹di parere diverso il sottosegretario alla Pubblica Istruzione Laura Fincato››; 8. ‹‹il giudice istruttore Anna Introini››.
b. modificatore donna:
Non è stato riscontrato alcun caso.
c. suffisso –essa:
Non è stato riscontrato nessun caso
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d. uso dissimmetrico di nomi, cognomi, titoli:
1. Titolo in prima pagina: ‹‹Morucci e la Faranda liberi››; 2. Titolo: ‹‹la Fumagalli va al contrattacco››; 3. ‹‹la Faranda e Morucci››; 4. ‹‹e ce n’è anche per l’Ombretta Fumagalli››; 5. Titolo: ‹‹la Iotti alle compagne: che battaglia sul divorzio››; 6. Titolo: ‹‹la Iotti respinge il referendum››; 7. ‹‹la Iotti››; 8. ‹‹il duro richiamo della Iotti››; 9. ‹‹l’intervento della Iotti››; 10. Titolo: ‹‹una bufera tra i giornalisti per la Del Bufalo››; 11. ‹‹la Del Bufalo››; 12. ‹‹la figlia della Guerinoni e di Geri››; 13. Titolo: ‹‹condannate la Guerinoni a sei mesi››; 14. Titolo: ‹‹per Casiraghi solo i fiori di Carolina››; 15. Titolo: ‹‹a Montecarlo i funerali di Stefano Casiraghi fra limousine, abiti d’alta moda e gioielli. Il dolore di Carolina in un triste show››; 16. Titolo: ‹‹ancora un dramma per Gigliola››; 17. Titolo: ‹‹la prima vittoria di Gigliola››.
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Tipo di analisi: dissimmetrie semantiche
a. presentazione delle donne attraverso immagini stereotipate e discriminanti; b. eccessivo soffermarsi sull’età e sull’aspetto fisico; c. forme di identificazione della donna attraverso l’uomo, la professione e il ruolo stereotipati:
1. ‹‹dà anche un colpo alle lezioni saccenti di Rossana Rossanda del Manifesto››; 2. ‹‹Carolina sembra tentare di far uscire di gola un urlo che rimane però silenzioso››; 3. ‹‹è soprattutto lei, mamma Paola, il personaggio che riscuote la solidarietà dei Perugini. Augusto De Megni, d’altra parte è troppo potente per suscitare simpatie››; 4. ‹‹Elisabetta Cimadoro poi straparla››; 5. ‹‹dalla televisione una sciagurata ragazzetta non fa che usare la parola briefing per dire che Occhetto si accinge a parlare››; 6. ‹‹mia moglie non aveva neanche il tempo di mettere una pentola sul fuoco per rispondere alle telefonate››; 7. ‹‹ha davvero sul viso una maschera terrea, rigida, che altera la grazia dei suoi lineamenti e urla i suo dolore››; 8. ‹‹una donna corpulenta che dimostra più dei suoi 56 anni. Si chiama Antonietta D’Antonio››; 9. ‹‹le notti insonni accanto al telefono non riescono a cancellare i bei lineamenti sul volto della signora Paola. Le lacrime le scendono sulle guance che sembrano più pallide nel contrasto coi capelli, lunghi e fulvi››.
100
Nonostante
siano
passati
tre
anni
dalla
pubblicazione
delle
Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana, a cura di Alma Sabatini, sono tante le contraddizioni che si riscontrano nella lettura dei dieci numeri del 1990, soprattutto per quanto riguarda gli articoli di stampo politico. Cominciamo col prendere in esame due articoli in cui si parla della presidente della Camera Nilde Iotti.
101
Titolo: ‹‹la Iotti alle compagne: che battaglia sul divorzio››; nell’articolo: ‹‹la Iotti››; ‹‹il rancore a lungo covato dalle donne comuniste nei confronti dei maschi del pci si esprime così, nientedimeno che in presenza di una delle massime autorità dello Stato, il presidente della Camera Nolde Iotti››; ‹‹era noto l’entusiasmo del presidente della Camera. Ma non è scontato che il presidente della Camera condividesse il malumore delle donne del pci verso i compagni maschi; Titolo: ‹‹la Iotti respinge il referendum››; ‹‹la presidente della Camera›› (per due volte); ‹‹ha voluto ammonire gli uomini che si stanno dilaniando nella lotta interna››; poi in altri articoli qui non proposti, leggiamo ancora: ‹‹l’intervento della Iotti››; ‹‹il duro richiamo della Iotti. Si alterna la formula giusta “la presidente” con quella errata e di stampo maschile “il presidente”, inoltre il cognome è sempre preceduto in maniera dissimmetrica dall’articolo ed è evidente 102
un uso improprio del termine non marcato “uomo”, anche se viene fuori dalle stesse parole di Iotti. Procediamo con altri esempi: ‹‹Bonino è deputata italiana››; ‹‹ha accolto le dimissioni del segretario uscente Giuliana Del Bufalo, diventata vicedirettore del Tg2››; ‹‹a parlare è Giuliana Del Bufalo, segretario della Fnsi››, in questo caso l’utilizzo del termine “segretario” è forse volto ad evitare una dissimmetria semantica legata al diverso significato che assume il termine se utilizzato al maschile o al femminile, ma in altri articoli, invece, leggiamo: Titolo: ‹‹la segretaria del sindaco nominata vice direttore alla vigilia del contratto. Una bufera tra i giornalisti per la Del Bufalo al Tg2››, nell’articolo: ‹‹alla fine Giuliana del Bufalo, segretario quarantaduenne della Fnsi, il sindacato unico dei giornalisti italiani, ha accettato la vicedirezione del Tg2››; ‹‹la Del Bufalo››; ‹‹aggiunge Del Bufalo››; ‹‹la segretaria uscente››; ‹‹la nomina del segretario spetta alla giunta. Accanto a Del Bufalo sono stati eletti altri vicedirettori del tg2››. Insomma, anche in questo caso non si sa che termine usare e, talvolta, c’è l’utilizzo dell’articolo in maniera dissimmetrica, eppure non sempre. Leggiamo ancora: ‹‹di parere diverso il sottosegretario alla Pubblica Istruzione Laura Fincato; ‹‹Ombretta Fumagalli, democristiana››; Titolo: ‹‹la Fumagalli va al contrattacco››; nell’articolo: ‹‹Ombretta Fumagalli Carulli, rappresentante della dc nel gruppo di lavoro della commissione antimafia che si occupa di Milano››; ‹‹e ce n’è anche per l’Ombretta Fumagalli, parlamentare democristiana e componente della commissione antimafia››; ‹‹il giudice istruttore Anna Introini››; ‹‹denuncia sull’Unità l’onorevole Graziella Priulla››; ‹‹proprio sull’Unità è stata teorizzata da Claudia Mancina (?!?!) una differenza››; ‹‹Luciana Castellina (?!?!)››; ‹‹dà anche un colpo alle lezioni saccenti di Rossana Rossanda del Manifesto››; ‹‹Elena Cordoni, della Commissione femminile nazionale del pci››; ‹‹precisa Livia Turco della segreteria del pci››; ‹‹così la segreteria socialista ha costituito un comitato di tre persone con l’incarico esclusivo di seguire l’evoluzione del nuovo caso Moro. Ne fanno parte Dino Felisetti, già componente del Csm, Alma Cappiello ed il senatore Modestino Acone››. Per le donne in vista nei settori sociali e culturali la confusione è minore: ‹‹la fondatrice della scuola Mafai, vale a dire la giornalista Miriam Mafai››; ‹‹risponde Sandra Bonsanti››; ‹‹la preside Fernanda Testa››; ‹‹la preside, donna 103
dalle idee aperte e dal carattere forte››; ‹‹Fernanda Testa accusa i suoi insegnanti››; ‹‹un’insegnante ha raccontato di essere stata insultata››; ‹‹quelle due donne, un’infermiera e un’agente di polizia dei minori››, in quest’ultimo caso l’apostrofo in “un’agente”, indica chiaramente che si tratta di una donna, “una agente”. Per il resto è tutta una serie di contraddizioni, non si sa se usare i termini al maschile o al femminile, inoltre molti nomi di donne vengono buttati lì senza spiegare a che titolo (chi è Luciana Castellina? E Claudia Mancina?), per non parlare degli antipatici luoghi comuni sempre presenti: lezioni saccenti (una donna non sa, è saccente); donna dalle idee aperte e dal carattere forte (l’essere forte è una caratteristica che avvicina più ad un uomo, quindi si è meritevoli di quella carica). Passando all’uso improprio dei nomi maschili e del termine uomo con valore generico, sono tantissimi i casi riscontrati sia negli articoli politici sia in quelli di cronaca: ‹‹gli uomini dell’esecutivo del partito››, ‹‹i miei colleghi europei››, ‹‹alcuni consiglieri di amministrazione non socialisti››, ‹‹i deputati del SI e quelli del NO››, uno degli uomini più in vista di Perugia e dell’Umbria››, ‹‹gli uomini dell’Anonima››, ‹‹un appello agli insegnanti, ai genitori, agli studenti, ai magistrati, agli operatori dell’informazione, alle forze politiche perché ci si impegni››; ‹‹gli uomini della maggioranza di Occhietto››; ‹‹i dirigenti››, ‹‹i giornalisti››; ‹‹tre milioni di lavoratori pubblici››; ‹‹un gruppo di lavoratori››; ‹‹pochissimi lavoratori››; ‹‹consulenti esterni››; team di professionisti››; ‹‹i giuristi››; ‹‹500 tra giornalisti e fotografi››; compagnia fatta da giovani normali, studenti o lavoratori››; ‹‹gli intellettuali dei club attaccano i miglioristi››; ‹‹i comunisti; ‹‹i socialdemocratici››; ‹‹i socialisti››; ‹‹i compagni››; ‹‹gli ex comunisti››; ‹‹i democratici››; ‹‹altri esponenti››; ‹‹i leader››; ‹‹i manifestanti››; ‹‹i dignitari dell’opposizione››; ‹‹lo sparuto numero di fedelissimi del vecchio pci radunati davanti al Bottegone››; ‹‹attorno al caffè di Craxi c’è la ressa: dei cronisti, degli assessori, socialisti, dei postulanti››; ‹‹gli amministratori comunali››; ‹‹gli uomini politici italiani da un po’ di tempo si sono messi a consigliare la Chiesa››; ‹‹i giovani tossicodipendenti››; ‹‹i malati di mente››; ‹‹i malati terminali››; ‹‹gli anziani››; ‹‹gli immigrati››; ‹‹i cittadini››; ‹‹docenti 104
universitari››;
‹‹il predominio dei capitalisti e degli imprenditori››; ‹‹i
consumatori››; ‹‹l’uomo di oggi vuole dell’altro››; ‹‹rappresentano quella discreta fetta di italiani››; ‹‹i deboli, i poveri, gli indifesi››; ‹‹oltre diecimila coltivatori››, ‹‹gli agricoltori››; ‹‹una deriva per un bimbo costa 2 milioni e mezzo››; ‹‹psicodrammi dei rapporti tra padri, figli e nipoti››; ‹‹perché l’uomo non abbia un prezzo››. Passiamo adesso ad analizzare in maniera più approfondita gli articoli di cronaca soprattutto per quel che riguarda il modo in cui le donne vengono nominate e ad interpretare le eventuali dissimmetrie con i nomi maschili: ‹‹Olivio Scattini torna a letto. Si sveglia anche la moglie Giulia Calderoni [...] marito e moglie [...] lui e la moglie [...]››, si usa il cognome da nubile della donna, ma nel presentarla accanto al marito lei è sempre l’Altro, il marito viene nominato sempre per primo; ‹‹la moglie di Mitterrand, Danielle››; Titolo: ‹‹la prima vittoria di Gigliola››; Titolo: ‹‹Ancora un dramma per Gigliola››, si omette il cognome della donna; ‹‹il tesoro di Loreto deve la sua origine alla regina Maria Anna di Spagna, sposata nel 1760 con il re di Spagna Carlo II››, anche per la regina è necessario specificare che è sposata; ‹‹la figlia della Guerinoni e di Geri››, dissimmetria nell’uso dell’articolo; ‹‹Domenico Gervasio, 40 anni e la moglie Vincenza Ponticiello››; ‹‹Valerio Morucci e Adriana Faranda, i due ex brigatisti››; Titolo: ‹‹Morucci e Faranda condannati per il delitto Moro sono usciti ieri sera da Rebibbia››, anche in questi casi viene nominato prima l’uomo e poi la donna, che siano o no marito e moglie; ancora: ‹‹la Faranda e Morucci››; ‹‹siamo proprio sfortunati ironizza la Faranda. Comunque noi, aggiunge Morucci, sappiamo solo quello che hanno sempre detto Azzolini e Bonisoli nei processi››; ‹‹Andreotti ha avuto parole pungenti anche per Morucci e Faranda››. Tanta confusione, a volte c’è un uso dissimmetrico dell’articolo altre no. Titolo: ‹‹per Casiraghi solo i fiori di Carolina››, nell’articolo anche lui viene chiamato, a volte, con il nome di battesimo, ma per la donna sembra essere una regola; Titolo: ‹‹A Montecarlo i funerali di Stefano Casiraghi fra limousine, abiti d’alta moda e gioielli. Il dolore di Carolina in un triste show››, nell’articolo: ‹‹Ha davvero sul viso una maschera terrea, rigida, che altera la grazia dei suoi lineamenti e urla il suo dolore. Carolina 105
sembra tentare di far uscire di gola un urlo che rimane però silenzioso››, ci si sofferma sull’aspetto fisico, ma soprattutto sull’incapacità della donna di comunicare con le parole, con il linguaggio, anche si trattasse di un urlo, la comunicazione, il dolore viene fuori dal suo corpo, dal suo aspetto, dalla grazia dei suoi lineamenti. Andiamo avanti con la lettura: ‹‹una donna corpulenta che dimostra più dei suoi 56 anni. Si chiama Antonietta D’Antonio: poche ore fa con l’aiuto del marito Giovanni Benvenuto [...]››, dopo questa prima presentazione, la signora verrà chiamata sempre con il nome, Antonietta, inoltre, la prima informazione che al giornalista preme dare, non è il suo nome, ma il suo aspetto e la sua età; ‹‹Le notti insonni accanto al telefono non riescono a cancellare i bei lineamenti sul volto della signora Paola. Le lacrime le scendono sulle guance che sembrano più pallide nel contrasto coi capelli, lunghi e fulvi [...] In questa stessa casa Paola e Dino De Megni, adesso Paola Rossetti [...] E’ soprattutto lei, mamma Paola, il personaggio che riscuote la solidarietà dei Perugini. Augusto De Megni, d’altra parte è troppo potente per suscitare simpatie››, la solidarietà dei perugini non oscura la dissimmetria tra un uomo di potere e una mamma; poi però in un altro articolo ci si sofferma anche sull’aspetto fisico del padre di Augusto: ‹‹dimostra meno dei suoi 42 anni a dispetto dei primi capelli bianchi che ingrigiscono una perfetta pettinatura. Il fisico tradisce la passione per lo sport [...] La barba appena lunga tradisce la stanchezza [...] Sembra un ragazzo il papà di Augusto, col completo jeans, la maglietta bianca sotto la camicia e le Timberland chiare. Ma quando parla sa misurare le parole››. Quest’ultima frase è emblematica perché l’uomo sa sempre cosa dire, è un bravo oratore, la donna o straparla e non sa usare i termini giusti o è muta e per lei parla il suo corpo, come si può leggere anche da questi passi: ‹‹Elisabetta Cimadoro poi straparla››; ‹‹dalla televisione una sciagurata ragazzetta non fa che usare la parola briefing per dire che Occhetto si accinge a parlare››. Concludiamo con il più banale dei luoghi comuni: ‹‹mia moglie non aveva neanche il tempo di mettere una pentola sul fuoco per rispondere alle telefonate››, non penso ci sia nemmeno il bisogno di commentare, si poteva sicuramente usare una metafora più felice, ad esempio: ‹‹mia moglie non aveva neanche il tempo di leggere due righe di un giornale››. 106
3.4 Duemila: l’attuale oscuramento della donna di “potere”
La tabella seguente riporta nei dettagli i dati relativi all’indagine da me compiuta sui 10 numeri de ‹‹La Stampa›› che vanno dal 15 al 24 luglio 2011. Sono stati presi in esame gli articoli di politica interna e cronaca.
Tipo di analisi: dissimmetrie grammaticali a. uso delle parole “uomo” – “uomini” con valore generico:
1. ‹‹un’inchiesta condotta dai suoi uomini››; 2. ‹‹l’uomo attraverso la caccia ritorna alle origini››; 3. ‹‹gli uomini del Soccorso alpino valdostano››; 4. ‹‹cerca uomini e riferimenti in tutte le regioni››; 5. ‹‹tra i ministri e gli uomini che gestiscono il credito del paese››; 6. ‹‹dagli uomini delle Fondazioni››; 7. ‹‹noi italiani […] vulnerabili al fascino dell’uomo che si appunta le cose da fare››; 8. ‹‹la grandezza degli uomini si rivela quando si capisce che è venuto il momento di uscire di scena››.
b. nomi maschili con valore generico:
1. ‹‹i comunisti››; 2. ‹‹i dipietristi››; 3. ‹‹i leader della sinistra››; 4. ‹‹i leghisti››; 5. ‹‹i miei colleghi del Pdl››;
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6. ‹‹i coordinatori del Pdl››; 7. ‹‹i parlamentari e i deputati››; 8. ‹‹i capi della maggioranza››; 9. ‹‹i senatori››; 10. ‹‹i ministri››; 11. ‹‹i capigruppo››; 12. ‹‹i questori››; 13. ‹‹i giudici››; 14. ‹‹i giuristi››; 15. ‹‹gli avvocati››; 16. ‹‹i notai››; 17. ‹‹i giovani magistrati››; 18. ‹‹i magistrati››; 19. ‹‹i burocrati››; 20. ‹‹i nostri politici, ma anche i venditori di lavatrici››; 21. ‹‹i lavoratori››; 22. ‹‹i giornalisti››, 23. ‹‹i cronisti››; 24. ‹‹gli operatori televisivi››; 25. ‹‹i dipendenti››; 26. ‹‹i manager››; 27. ‹‹i professionisti››; 28. ‹‹gli analisti››; 29. ‹‹gli operatori del mercato››; 30. ‹‹gli investitori››; 31. ‹‹medici, infermieri e pazienti››; 32. ‹‹i giocatori››; 33. ‹‹i partecipanti››; 34. ‹‹i nostri elettori››; 35. ‹‹il contribuente››; 36. ‹‹i ragazzi››; 108
37. ‹‹gli italiani››; 38. ‹‹i cittadini››; 39. ‹‹giovani, disoccupati e titolari di partita Iva››; 40. ‹‹i turisti››; 41. ‹‹i passeggeri››; 42. ‹‹i bagnanti››; 43. ‹‹gli infiltrati››; 44. ‹‹i bambini delle scuole italiane››; 45. ‹‹delinquenti, terroristi e mafiosi››; 46. ‹‹i volontari››; 47. ‹‹i detenuti››; 48. ‹‹200 feriti››; 49. ‹‹i due anziani, i due torinesi›› (marito e moglie); 50. ‹‹gli imputati: la preside, due insegnanti, l’assistente sociale e uno psicologo››; 51. ‹‹platea degli esenti: bambini e anziani con redditi familiari inferiori a 36 mila euro, disoccupati, pensionati sociali e al minimo e loro familiari a carico, malati cronici, cittadini affetti da malattie rare, invalidi››; 52. ‹‹il rischio è che l’enorme debito ereditato divori il nostro futuro e quello dei nostri figli››; 53. ‹‹per il segretario del Pdl un’alleanza che si rinnova, anche con un cambio generazionale, deve avvenire con il consenso dei padri››; 54. ‹‹il politico deve essere come la moglie di Cesare››.
c. precedenza del maschile nelle coppie oppositive uomo/donna:
1. ‹‹c’erano Giuliano e Haidi Giuliani››; 2. ‹‹Denny Pruscino e Katia Reginella››.
(la situazione è comunque molto equilibrata per quanto riguarda questo tipo di dissimmetrie che sembrano essere solo un caso). 109
Tipo di analisi: dissimmetrie relative agli agentivi
a. titoli al maschile ed eventuali sconcordanze grammaticali:
1. ‹‹il capogruppo del partito di Bersani, Anna Finocchiaro, nega un coinvolgimento dei suoi››; 2. ‹‹un’astensione, quella del ministro dell’Ambiente Prestigiacomo››; 3. ‹‹al di là della buona volontà del ministro Prestigiacomo, non c’è nulla››; 4. ‹‹ci sarà un vertice a Roma con il ministro Prestigiacomo››; 5. ‹‹una squadra cercata tutto il pomeriggio dal ministro Prestigiacomo››; 6. ‹‹ha sottolineato il ministro Mara Carfagna››; 7. ‹‹malgrado l’espressa contrarietà del presidente Renata Polverini››; 8. ‹‹il presidente della regione Lazio Renata Polverini ha promesso un’inchiesta››; 9. ‹‹dice l’ex ministro della sanità Rosy Bindi››; 10. ‹‹il sindaco uscente del Pd, Ariella Borghi››; 11. ‹‹l’ex patron della Roma Rosella Sensi››; 12. ‹‹lei, il nuovo assessore all’immagine della città, ai grandi eventi, alla cultura e al turismo, alla promozione delle Olimpiadi 2020, è pronta a giocare una partita diversa››; 13. ‹‹Daniela Occhiali, rieletta sindaco, ha deciso di far sedere al tavolo della sala giunta Giorgia, Erika, Francesca e Fabiana, i suoi assessori […] a questo sindaco che di professione fa l’insegnante, viene l’orticaria a sentir parlare di quote rose […] Il venerdì pomeriggio sindaco e assessori si ritrovano per la riunione di giunta››; 14. ‹‹presentato dal ministro Meloni››; 15. ‹‹finché due senatori, Donatella Porretti e Marco Perduca hanno pensato di interpellare i ministri Gelmini e Prestigiacomo››; 16. Trafiletto: ‹‹il direttore. E’ stata Rita Barbera, neo direttore del carcere, a preparare il nuovo regolamento interno››; 17. ‹‹l’avvocato Tiziana Rodà, moglie di Papa››; 110
18. ‹‹l’avvocato Rodà ieri ha replicato stizzita››; 19. ‹‹siamo delusi, amareggiati e sconcertati da questa sentenza, hanno commentato gli avvocati di parte civile Laura D’Amico e Laura Mara››; 20. ‹‹la sentenza è stata emessa dal giudice del tribunale di Verbania Rosa Maria Fornelli […] il giudice ha adottato due formule distinte […] tra tre mesi potremmo prendere atto della motivazione del giudice […] penso che però un giudice dovrebbe avere più coraggio››; 21. ‹‹il presidente della quarta sezione penale Giulia Turri››; 22. ‹‹il giudice Stefania Donadeo deciderà se archiviare oppure no la posizione del Cavaliere››; 23. ‹‹il pm Tiziana Siciliano››; 24. ‹‹l’avvocato Cristiana Totis››; 25. ‹‹il presidente Laura Praderi››; 26. ‹‹l’avvocato Cristina Barbieri››; 27. ‹‹spiega l’avvocato Maria Pia Vigilante […] ma dal suo legale è subito arrivata la smentita››; 28. ‹‹la legale di Winter, Chiara Rizzo […] spiega l’avvocato […] del suo avvocato››.
b. modificatore donna:
1. ‹‹887 comuni sono guidati da sindaci donna, i vicesindaci donna sono 998››; 2. ‹‹una donna in camice verde››.
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c. suffisso –essa:
1. ‹‹ogni visita della dottoressa Sensi››; 2. ‹‹lei, la presidentessa››; 3. ‹‹l’ex presidentessa››; 4. ‹‹l’ex presidentessa giallorossa››; 5. ‹‹la signora Tiziana Rodà che poco dopo lo difende come una leonessa››; 6. ‹‹la soldatessa››.
d. uso dissimmetrico di nomi, cognomi, titoli:
1. ‹‹battibecchi plateali tra la Brambilla e Cicchitto››; 2. ‹‹la Bindi››; 3. ‹‹la Prestigiacomo››; 4. ‹‹la Sensi››; 5. Titolo trafiletto: ‹‹riecco la Dallario: “usata per incastrare il Premier”››; 6. Titolo: ‹‹Rosella in contropiede, dopo l’Olimpico ecco il Campidoglio››; 7. Titolo trafiletto: ‹‹Catrufo verso l’esclusione per fare posto alla Sensi››; 8. ‹‹il premier si fa rappresentare a Villa Reale dalla “rossa” Michela Vittoria Brambilla, sua inviata di fiducia››; 9. ‹‹la signora di Introd è quasi contemporanea all’uomo del Similaun››; 10. Titolo di copertina: ‹‹“Abbiamo rapito noi la Orlandi”; 11. Titolo articolo interno: ‹‹L’ex della Magliana: “Si, siamo stati noi a rapire la Orlandi”››; 12. ‹‹dopo il fatto della Orlandi››; 13. ‹‹del rapimento della Orlandi››; 14. Titolo: ‹‹Melania: il mistero della telefonata››; 15. Titolo: ‹‹Melania contro Ludovica: “Ti spacco la faccia”››; 16. Titolo: ‹‹Melania: sull’auto di Parolisi lavata una macchia di sangue››; 112
17. Titolo: ‹‹Melania si fidava dell’assassino››; 18. Titolo in prima pagina: ‹‹Melania, chiesto l’arresto del marito››.
Tipo di analisi: dissimmetrie semantiche
a. presentazione delle donne attraverso immagini stereotipate e discriminanti; b. eccessivo soffermarsi sull’età e sull’aspetto fisico; c. forme di identificazione della donna attraverso l’uomo, la professione e il ruolo stereotipati:
1. ‹‹il Pd Paolo Giarretta, giunto in soccorso della collega Albertina Soliani››; 2. ‹‹è Carolina Lussana, oltre ogni pudore, a sostenere che la lega ha avuto una posizione chiara fin dall’inizio››; 3. ‹‹la signora Tiziana Rodà che poco dopo lo difende come una leonessa››; 4. ‹‹Mariarosaria Rossi piange, Beatrice Lorenzin è una furia, […] dice paonazza››; 5. ‹‹La “rossa” sarebbe il ministro del Turismo Michela Vittoria Brambilla in tailleur nero, tacco esagerato e sorriso adeguato››; 6. ‹‹lei in canottiera grigia con reggiseno rosso in vista, sghignazzava e non versava una lacrima››; 7. ‹‹sulla Sensi riconosco i meriti del padre; ‹‹La figlia del signor Franco, capo famiglia e gran capo della Roma››; 8. Trafiletto: ‹‹Figlia d’arte (il padre fu ministro nel primo governo Berlusconi) la bolognese Anna Maria Bernini››; 9. ‹‹la prima cittadina 46enne, moglie e madre di due figli […], spiega la sua visione di democratica casalinga […], Al tavolo, non lo nascondono, si parla anche di parrucchiere e lavatrici››. 10. ‹‹Melania Rea, la bella mamma di 29 anni››; 11. ‹‹la bella moglie di soli 29 anni››;
113
12. ‹‹la bella moglie e mamma di 29 anni››; 13. ‹‹la casalinga››; 14. ‹‹la bella casalinga di 29 anni››.
La stampa attuale mostra degli evidentissimi tentativi volti ad oscurare la presenza femminile nella politica e nelle più alte cariche, soprattutto giuridiche. Più elevata è la posizione della donna, maggiore sembra la necessità di difendersi, usando termini al maschile, inserendo commenti o immagini tradizionali, che hanno l’obiettivo di rassicurare da una parte e frenare dall’altra. Rassicurare quanti sono intimoriti da una sempre maggiore presenza della donna in ogni ambito della vita e frenare, nel linguaggio, un più esatto processo di rappresentazione di una realtà che oramai è cambiata. Partiamo dunque analizzando in maniera approfondita come vengono nominate le donne di potere: innanzitutto la dissimmetria più evidente è l’utilizzo dell’articolo prima del cognome che oramai è una regola, o più che altro una scelta, che vale esclusivamente per le donne. I titoli, inoltre, sono quasi sempre al maschile e proprio quelle rare eccezioni, in cui c’è un loro utilizzo al femminile, fanno capire che, in fondo, i termini giusti da usare sono conosciuti, ma non si usano per scelta, come si evince in maniera chiara da questo esempio: ‹‹Il ministro, o meglio la ministra Michela Vittoria Brambilla››. Spesso però la scelta è delle stesse donne che indicano al giornalista di voler essere chiamate così, al maschile, perché si ritiene, come ho già affermato più volte, che al femminile questi termini suonano male e sembra non rispecchino la tanto agognata parità. Invece, secondo me, non si fa altro che creare un danno maggiore, ma continuiamo con l’analisi degli articoli. Tanti sono gli esempi riscontrati che evidenziano questa scelta: ‹‹il capogruppo del partito di Bersani, Anna Finocchiaro, nega un coinvolgimento dei suoi››; Titolo: ‹‹Prestigiacomo sconfessata dalla sua maggioranza››; nell’articolo: ‹‹un’astensione, quella del ministro dell’Ambiente Prestigiacomo […] la ministra che si astiene […] al di là della buona volontà del ministro Prestigiacomo, non c’è nulla […] ci sarà un vertice a Roma con il ministro Prestigiacomo››; ‹‹una squadra cercata tutto il 114
pomeriggio dal ministro Prestigiacomo››; ‹‹ha sottolineato il ministro Mara Carfagna››; ‹‹malgrado l’espressa contrarietà del presidente Renata Polverini […] la governatrice Renata Polverini››; ‹‹il presidente della regione Lazio Renata Polverini ha promesso un’inchiesta››; ‹‹dice l’ex ministro della sanità Rosy Bindi››; ‹‹la presidente dei Pd Rosy Bindi››; Didascalia: ‹‹Ex democristiana, Rosy Bindi è stata ministro della Sanità e della Famiglia. Ora è presidente del Pd e vicepresidente della Camera dei deputati››; ‹‹lo ha detto ieri la presidente del Pd Rosy Bindi››; ‹‹la presidente di turno Rosy Bindi››; ‹‹la presidente di turno Bindi legge il risultato del voto››; ‹‹il sindaco uscente del Pd, Ariella Borghi››; Titolo: ‹‹Cutrufo verso l’esclusione per fare posto alla Sensi››; ‹‹l’ex presidente della Roma››; ‹‹presenta una new entry rosa in giunta: l’ex patron della Roma Rosella Sensi, con una delega trasversale di promozione della città››; ‹‹l’ex presidentessa giallorossa››; ‹‹lei, la presidentessa››; ‹‹ogni visita della dottoressa Sensi››; ‹‹l’ex presidente giallorossa dovrà essere l’ambasciatrice nel mondo››; ‹‹sulla Sensi riconosco i meriti del padre››; ‹‹la figlia del signor Franco, capo famiglia e gran capo della Roma››; ‹‹due settimane fa aveva salutato i tifosi dicendo che d’ora in poi avrebbe fatto la mamma››; ‹‹lei, il nuovo assessore all’immagine della città, ai grandi eventi, alla cultura e al turismo, alla promozione delle Olimpiadi 2020, è pronta a giocare una partita diversa››; ‹‹i sindaci “in rosa”››; ‹‹Daniela Occhiali, rieletta sindaco, ha deciso di far sedere al tavolo della sala giunta Giorgia, Erika, Francesca e Fabiana, i suoi assessori […] a questo sindaco che di professione fa l’insegnante, viene l’orticaria a sentir parlare di quote rose››; ‹‹la prima cittadina 46enne, moglie e madre di due figli […] spiega la sua visione di democratica casalinga […] noi abbiamo il fiuto per l’economia domestica, siamo attente scrupolose. E soprattutto sappiamo accudire e ascoltare […] il venerdì pomeriggio sindaco e assessori si ritrovano per la riunione di giunta […] al tavolo, non lo nascondono, si parla anche di parrucchiere e lavatrici››; ‹‹presentato dal ministro Meloni››; ‹‹finché due senatori, Donatella Porretti e Marco Perduca hanno pensato di interpellare i ministri Gelmini e Prestigiacomo››; ‹‹il premier si fa rappresentare a Villa Reale dalla “rossa” Michela Vittoria Brambilla, sua inviata di fiducia. […] La “rossa” sarebbe il ministro del Turismo 115
Michela Vittoria Brambilla in tailleur nero, tacco esagerato e sorriso adeguato››; Trafiletto: ‹‹Il direttore. E’ stata Rita Barbera, neo direttore del carcere, a preparare il nuovo regolamento interno››; Articolo: ‹‹la direttrice spiega che è un segnale››; ‹‹conferma Lavinia Covolo, gestore del rifugio››; ‹‹l’avvocato Tiziana Rodà, moglie di Papa››; ‹‹l’avvocato Rodà ieri ha replicato stizzita››; ‹‹siamo delusi, amareggiati e sconcertati da questa sentenza, hanno commentato gli avvocati di parte civile Laura D’Amico e Laura Mara››; ‹‹la sentenza è stata emessa dal giudice del tribunale di Verbania Rosa Maria Fornelli […] il giudice ha adottato due formule distinte […] tra tre mesi potremmo prendere atto della motivazione del giudice […] penso che però un giudice dovrebbe avere più coraggio››; ‹‹il presidente della quarta sezione penale Giulia Turri››; ‹‹il giudice Stefania Donadeo deciderà se archiviare oppure no la posizione del Cavaliere››; ‹‹il pm Tiziana Siciliano››; ‹‹l’avvocato Cristiana Totis››; ‹‹il presidente Laura Praderi››; ‹‹l’avvocato Cristina Barbieri››; ‹‹spiega l’avvocato Maria Pia Vigilante […] ma dal suo legale è subito arrivata la smentita››; ‹‹la legale di Winter, Chiara Rizzo […] spiega l’avvocato […] del suo avvocato […] aggiunge la legale››. Innanzitutto, dalla lettura di questi esempi, possiamo affermare che quanto più è inevitabile presentare in maniera esaustiva un ruolo femminile di potere, tanto più si cerca di proteggersi attraverso espedienti più o meno ortodossi. Emblematico è il caso degli articoli su Rosella Sensi, nei quali non si può fare a meno di evidenziare i meriti del padre (e non i suoi), inoltre viene tirata in ballo, per ben due volte nello stesso articolo, una frase di un più ampio discorso fatto alla fine del suo incarico alla presidenza della AS Roma, ovvero, la sua intenzione di voler fare la mamma a tempo pieno. Andando oltre, ci si rivolge ad una ministra con un soprannome “la rossa” (perché ha i capelli rossi) e ci si sofferma su come è vestita, per non parlare dei sindaci “in rosa” e del continuo riferimento ad immagini stereotipate di donne casalinghe, madri, mogli e attente all’aspetto esteriore. Inoltre, se secondo la tesi di Gioia di Cristofaro Longo, l’ambito di maggiore visibilità per le donne è quello giuridico, ciò che viene fuori dalla lettura di questi esempi è che è proprio nell’ambito giuridico si utilizzano in maniera praticamente esclusiva i titoli al maschile. Non si è mai utilizzato il termine 116
“avvocata” o “magistrata” ed anche l’articolo è praticamente sempre al maschile (il giudice e non la giudice, il pm e non la pm, solo due volte leggiamo “la legale”). Proponiamo altri esempi per i quali non è chiaro il genere del titolo, solo per rimarcare la confusione e la strumentalizzazione del linguaggio evidenti soprattutto
oggigiorno:
‹‹Fabrizia
Lapecorella,
dirigente
del
ministero
dell’economia››; ‹‹l’onorevole Melania Rizzoli, medico, lo va a vedere››; ‹‹racconta Giovanna Gioia, presidente onorario dell’associazione Asvope››; ‹‹ha spiegato Silvana Perucca, presidente dell’associazione albergatori valdostani››; ‹‹è sconsolata anche Franca Cappellutto, presidente dell’Unione provinciale degli albergatori di Savona››; ‹‹Sara Pepi, referente provinciale dell’Enpa››; ‹‹Francesca Pasinelli, direttore generale di Telethon››. Naturalmente, nel caso di contemporanea presenza femminile e maschile, i titoli sono sempre a vantaggio del genere non marcato: ‹‹questo l’attacco al Carroccio dei parlamentari del Pdl Francesco Biava, Maurizio Castro e Barbara Saltamartini››; ‹‹l’inchiesta condotta dai pm Walter Mapelli e Franca Macchia››; ‹‹i pm Laura Pedio e Luigi Orsi››; ‹‹alcuni ministri (Frattini, Gelmini, Brunetta)››; ‹‹persino due fedelissimi del Cavaliere (Isabella Bertolini e Giorgio Stracquadanio) hanno avuto parole critiche››; ‹‹degli altri, di chi lo vuole dentro, dei leghisti, dei pidiellini dubbiosi (come Nunzia De Girolamo) non intende parlare››. Riportiamo anche i casi in cui i titoli vengono utilizzati al femminile, per sottolineare il fatto che quando si vuole vengono
usati
senza
troppi
problemi
e
soprattutto
senza
causarne:
‹‹l’amministratrice di Cashgold, Carmela Carone››; ‹‹la commercialista Stefania Tucci››; ‹‹la sottosegretaria Ravetto››; ‹‹la radicale Rita Bernardini››; ‹‹la leader degli industriali Emma Marcegaglia››; ‹‹la presidente di Confindustria››; ‹‹la deputata Paola Concia››; ‹‹si dimette Bravi, la portavoce di Tremonti››; ‹‹la presidente Catiuscia Marini››; ‹‹la presidente umbra››; ‹‹la leader della Cgil››; ‹‹Susanna Camusso, segretaria generale della Cgil››; ‹‹e una deputata come Nunzia De Girolamo, che era venuto allo scoperto nel tirare fuori i suoi dubbi, aspramente redarguita, è rientrata nei ranghi››; ‹‹commenta la Pd Finocchiaro››; ‹‹la ministra Carfagna››; ‹‹Gemma Azuni, consigliera di Sel che si è rivolta al Tar insieme alla collega Pd Cirinnà››; ‹‹la consigliera regionale del Pdl Isabella 117
Rauti››. Mi sorge il dubbio che alcuni di questi termini, come sottosegretaria o segretaria, vengano utilizzati volontariamente con lo scopo di ridimensionare la carica (abbiamo già visto la differenza nelle definizioni di segretario e segretaria). Questa è solo una speculazione, ma purtroppo è difficile capire il valore simbolico di un termine se c’è tutta questa confusione. Tanti gli esempi che ci mettono di fronte ad un altro dato di fatto importante, ovvero, che soprattutto in questo periodo per parlare e per scrivere si utilizza una lingua che è esclusivamente a misura d’ “uomo”: ‹‹un’inchiesta condotta dai suoi uomini››; ‹‹l’uomo attraverso la caccia ritorna alle origini››; ‹‹gli uomini del Soccorso alpino valdostano››; ‹‹cerca uomini e riferimenti in tutte le regioni››; ‹‹tra i ministri e gli uomini che gestiscono il credito del paese››; ‹‹il messaggio chiaro del ministro, condiviso dai banchieri e dagli uomini delle Fondazioni››; ‹‹noi italiani […] vulnerabili al fascino dell’uomo che si appunta le cose da fare››; e ancora: ‹‹i cronisti››; ‹‹i nostri politici, ma anche i venditori di lavatrici››; ‹‹i comunisti››; ‹‹i dipietristi››; ‹‹i parlamentari e i deputati››; ‹‹i senatori e i ministri››, ‹‹i capigruppo››; ‹‹i giuristi››; ‹‹i giornalisti››, ‹‹i giovani magistrati››; ‹‹gli operatori televisivi››; ‹‹i dipendenti››; ‹‹i turisti››; ‹‹i passeggeri›› e frasi come: ‹‹Dovranno invece rispondere di concorso in omicidio i fratelli Stefania e Piero Citterio››; ‹‹i due fratellini erano una bambina di 7 anni e un maschietto di tre››. E questa è solo una minima parte dei tanti esempi elencati nella tabella all’inizio di questo paragrafo. Oggigiorno non può valere più la scusa che la lingua rispecchia la realtà e che quindi il maschile generico come le altre forme di dissimmetria possono anche essere utilizzati senza causare importanti danni. Il danno c’è, eccome, perché oramai le donne partecipano attivamente ed ampiamente in ogni settore, economico, politico, giuridico, sociale, culturale, ecc. La loro soggettività duramente conquistata è celata da un linguaggio che possiamo e dobbiamo definire sessista.
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Per quanto riguarda gli articoli di cronaca, il periodo preso in considerazione per l’analisi è quello in cui si svolgono le indagini in merito all’omicidio di Melania Rea. In tutti i titoli lei viene indicata sempre e solo con il nome, Melania, invece per il marito si usa sempre il cognome, Parolisi. All’interno degli articoli la prima citazione riporta il nome e il cognome della donna, poi c’è sempre e solo il nome, ma in questo caso possiamo dire che anche per Salvatore Parolisi (tranne rarissime eccezioni) vale la stessa regola. Tuttavia, spesso, al posto del nome, viene usata sempre la stessa formula con leggere varianti: ‹‹la bella mamma di 29 anni››; ‹‹la bella moglie di soli 29 anni››; ‹‹la bella moglie e mamma di 29 anni››; ‹‹la casalinga››; ‹‹la bella casalinga di 29 anni››. Insomma, aspetto fisico, età e professione “tradizionale” non sono mai omessi, non è mai mutata la scelta per rappresentare una donna.
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Conclusioni
Mettendo a confronto i quattro periodi presi in analisi, è possibile poter confermare la mia ipotesi di partenza. Man mano che si va avanti negli anni aumenta la presenza delle donne in tutti i settori della vita, da quello giuridico a quello politico, da quello sociale a quello culturale, ma nello stesso tempo si inventano sempre più stratagemmi per oscurarne la presenza. Se ad esempio nel 1952 e nel 1972 non sembra esserci alcun problema in merito alla nominazione delle donne “di potere” attraverso l’utilizzo di termini concordanti il referente, come ad esempio “la consigliera” e “la senatrice”, per non parlare di “capitana”, nel 1990 e nel 2011 si riscontra, invece, una invalidante confusione in merito alla nominazione delle donne in politica e non solo. Come abbiamo visto in maniera approfondita nell’ultimo capitolo, non si capisce quale sia il termine giusto da utilizzare (la ministra o il ministro? Il presidente, la presidentessa o la presidente?), tutto è arbitrario e dipende dalla scelta del giornalista e spesso anche delle stesse donne che specificano di che genere deve essere il titolo e molte di loro, purtroppo, optano per i termini al maschile. E’ vero, si usano di meno le espressioni “signora” e “signorina”, antipatiche puntualizzazioni sullo stato civile di una donna, ma lungi dall’essere un passo in avanti, questa tendenza sembra avere come fine quello di oscurare ulteriormente la presenza femminile. Basta riflettere sulla funzione che svolge il termine “signora” in questa frase tratta da un articolo de ‹‹La Stampa›› del 1952: ‹‹il segretario della Dc on. Gonnella e la signora Rossi, presidente delle donne di Azione Cattolica››, omettendolo, come avremmo capito che si stava menzionando una donna? E’ vero che si sarebbe potuto utilizzare il nome di battesimo oppure il giornalista avrebbe potuto scrivere “Rossi, la presidente delle donne di Azione Cattolica”, secondo me, però, non importa tanto il modo, ma che avvenga la nominazione, che si capisca il genere del soggetto, perché talvolta, oggigiorno, si leggono degli articoli in cui si arriva alla fine senza aver capito che si stava parlando di una donna. 120
Un’importante attenzione va rivolta al settore giuridico che, secondo la tesi di Gioia Di Cristofaro Longo, rappresenta l’ambito di maggiore visibilità per le donne. Ciò che si evince, invece, dalla lettura di questi quotidiani, è praticamente il contrario. Magari è vero che non si riscontrano tentativi per svalorizzarne l’autorevolezza, come invece risulta evidentissimo nell’ambito politico, ma ciò, secondo me, non accade perché non ce n’è bisogno. Nel settore giuridico le donne non vengono mai realmente nominate perché si utilizzano esclusivamente termini al maschile. Già nel 1972 leggiamo ‹‹il legale danese di Marzollo, la signora Johansen››, almeno in questo caso si specifica il genere con “signora”, più avanti negli anni la situazione peggiora ulteriormente, nonostante questo settore, molto più di quello politico, abbia visto un’importante ascesa delle donne. Non sono mai stati utilizzati i termini come “avvocata” o “magistrata”, tanto cari ad Alma Sabatini e l’articolo è sempre al maschile anche quando i nomi sono epiceni, come ad esempio giudice o legale che potrebbero facilmente accordare l’articolo al femminile. Si riscontra molto raramente l’uso dell’articolo al femminile: la giudice o la legale. Per capire che si tratta di una donna bisogna fare molto attenzione perché il nome per intero viene menzionato solo una volta, nel resto dell’articolo troviamo solo i titoli al maschile, quindi, se ci dovesse sfuggire, ci perderemmo un’importante informazione sul genere del referente. E se quell’avvocata si chiamasse Andrea, come si capirebbe che è una donna? Passando agli articoli di cronaca, si riscontra innanzitutto un aumento della dissimmetria legata all’utilizzo dell’articolo prima del cognome delle donne. Se nel 1952, forse anche per influenza dialettale, venne fatta la scelta meno discriminatoria di anteporre l’articolo prima dei cognomi sia degli uomini sia delle donne (per quest’ultime era una regola per i maschi invece si poteva scegliere), già nel 1972 questa opzione tende ad essere meno costante per gli uomini, fino a dare vita, diffondendosi e rendendosi evidente soprattutto negli articoli politici, ad una delle più importanti dissimmetrie grammaticali che Alma Sabatini menziona nelle sue Raccomandazioni. Negli articoli di cronaca, ad una diminuzione di questa dissimmetria legata all’articolo, fa da contraltare lo sviluppo di un’altra tecnica discriminatoria che si evidenzia soprattutto nei titoli, 121
ovvero, la scelta di nominare le donne solo con il proprio nome di battesimo. Nei dieci numeri esaminati del 2011 in merito al caso dell’uccisione di Melania Rea, in nessun titolo compariva il suo cognome, ma sempre e solo “Melania”, mentre per indicare il marito si usava sempre il cognome. Quando poi all’interno dell’articolo anche per l’uomo si utilizzava il nome, ecco comparire un’altra dissimmetria, questa volta semantica, ovvero l’attenzione esagerata per l’età, il ruolo di madre, moglie e casalinga della donna, nonché per il suo aspetto fisico: ‹‹la bella moglie e mamma di 29 anni››; ‹‹la bella casalinga di 29 anni››. Tali speculazioni si riscontrano anche nel campo politico dove si rivelano ancor più fuori luogo e dissimmetriche. In poche parole non fa in tempo a passarne di moda una che già se ne ha pronta un’altra. L’uso sempre più frequente del maschile generico che genera discriminazione, rendendo invisibile il soggetto femminile, è un’ulteriore prova che la lingua è a misura d’ “uomo”. Infatti, se cinquanta anni fa i tempi non erano ancora maturi e nessun dibattito era stato fatto in merito alla questione del linguaggio, oggi qualche messaggio è stato lanciato, la questione è stata ampiamente sollevata e quindi non si può chiamare in causa l’ignoranza o l’immaturità dei tempi. Oggi questa è una vera e propria scelta che gli uomini e soprattutto le donne fanno e che ha come risultato quello di perpetuare una cultura androcentrica che rallenta il mutamento sociale, ovvero, l’ascesa delle donne. Se il termine è indicato solo al maschile come farà per esempio una bambina che non ha ancora una cultura della vita ad immaginare che diventerà “ministro”? Verrà sempre indirizza a pensare ad un mondo “tradizionale”, dove le donne sono destinate ai ruoli “tradizionali” e quelle che li evitano sono un’eccezione che non ha neppure nome. Il fatto più grave, però, è che le donne pare non se ne rendano conto, si accontentano, non si accorgono di stare legittimando la superiorità maschile, di essere dei fantasmi, perché, e lo voglio sottolineare ancora, “ciò che non ha nome non esiste”. E’ inutile illudersi e pensare di poter acquistare potere con un nome che non ci appartiene che non rispecchia realmente la soggettività della donna. All’inizio, in effetti, potrebbe essere dura, alcuni termini potrebbero suonare strani (anche se 122
l’italiano ha importato e coniato dei termini che sono ben più eccentrici) ed incutere un senso di vertigine, ma una volta passata, una volta che il termine avrà acquistato forza traendola da se stesso, dalle donne, io penso che sarà molto più potente di un termine carico, invece, solo di significati androcentrici. Si sta rifacendo lo stesso errore che alcune femministe hanno fatto in nome della parità. Talvolta veniva esasperato il concetto, tanto da pensare di dover annullare la femminilità e ricercare in tante maniere una qualsiasi forma di virilità che le rendesse più uguali ai maschi. Eppure, invece che per la parità, ci si dovrebbe battere per la cultura della differenza 29 perché le donne e gli uomini sono diversi, ma con pari possibilità di essere soggetti sociali. Dunque, che sia “senatrice”, piuttosto che “senatora”, che sia “la presidente”, piuttosto che “la presidentessa”, o “la presidente”, il suono del nome ha ben poca importanza, quel che conta è che il titolo rispetti l’accordo con il referente, che rispecchi il genere e non oscuri le donne. Sono passati più di sessant’anni da quando Simone de Beauvoir scriveva “donne non si nasce, si diventa” e ancora oggi sembra che quella frase abbia lo stesso significato negativo, come se diventare donna sia un qualcosa di brutto, di inferiore, di invalidante. L’immagine delle donne sottomesse alla natura e all’uomo, nonostante tutte le conquiste, è sbiadita ma ancora riflette il suo potere, soprattutto nel linguaggio. Eppure le donne di cui parla Touraine, donne comuni, donne in carne ed ossa, non concezioni astratte, non sembrano essere né inferiori, né vittime, né negative. E’ ora di capire che a volte le immagini e le parole di una cultura andata rimangono e agiscono ancora, rallentando il cambiamento, ma non sono più la realtà, sono abitudini di pensiero, stereotipi. E’ ora che anche nel linguaggio le donne siano a tutti gli effetti donne. D’altronde, come dice il titolo dell’ultimo libro di Luisa Muraro: Non è da tutti. L’indicibile fortuna di nascere donna.
29
L’oggetto della cultura o femminismo della differenza, teorizzato soprattutto da Luce Irigaray e Luisa Muraro, è quello di riabilitare il femminile nelle donne e farne un principio sovversivo piuttosto che rivendicare soltanto la loro assimilazione al maschile: la liberazione delle donne è nel loro divenire donne, di cui esse sono state paradossalmente private e non nel loro diventare uomini (secondo il modello dominante).
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