di Andrea Membretti Paolo Cognetti, La felicità del lupo, Einaudi 2021, 152 pp, 18 euro Raggiungo Paolo Cognetti al telefono, mentre sta scendendo in auto da Estoul, in una giornata di inizio gennaio molto calda, da primavera inoltrata. Iniziamo a parlar del Covid per introdurre il suo nuovo romanzo appena pubblicato con Einaudi. Anche oltre i duemila metri, ai laghi di Palasinaz sopra casa sua, la neve è quasi assente: Paolo mi dice che tutto sommato va bene per chi ama camminare, come lui, che nei giorni passati ha ripercorso a lungo i sentieri della sua valle. Ma condividiamo la forte preoccupazione per gli effetti ormai indiscutibili del cambiamento climatico: la prossima estate potrebbe essere di forte siccità. Dopo aver parlato del suo nuovo rifugio a Fontane, ormai completato (ma ancora non aperto ufficialmente, per le difficoltà legate alla pandemia e alle norme sull’ospitalità), iniziamo proprio dal Covid e dall’origine del romanzo appena pubblicato con Einaudi, “La felicità del lupo”. Nel 2020 abbiamo fatto un’intervista durante il primo lockdown. Tu eri a Milano, dove avevi scelto di restare, vicino ai tuoi famigliari, piuttosto che ritirarti nella tua baita di Estoul. Il tuo nuovo libro ha cominciato a prendere forma in quel periodo: quanto ha influito la pandemia sulla sua stesura e sul tuo stato d’animo come scrittore? La pandemia mi ha costretto a stare a casa, a lavorare. La mia vita negli ultimi anni era stata presa da tanti impegni diversi, da eventi e iniziative che mi avevano in qualche modo distratto e che rendevano difficile ritrovare quella concentrazione essenziale per la scrittura. E poi questo libro ha preso un po’ dello spirito dei tempi: mi sembra che ci sia dentro quel desiderio di leggerezza, di libertà, di aria aperta, di montagna che sicuramente è dovuto al momento particolare in cui è nato. Quasi senza trama, è un romanzo fatto di scene, di meditazioni, di momenti di vita in montagna, scritte da una persona che in quei giorni era chiusa in un appartamento a Milano e queste cose le ricordava, le immaginava, e le sognava anche. Il motore centrale di questo libro è proprio il desiderio di montagna, e di tutto ciò che essa rappresenta, delle sensazioni che mi ha sempre offerto e che allora mi erano negate. I personaggi del romanzo sono anch’essi frutto della pandemia? 42