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Contro-Informazione: sparatorie di massa, negli Usa è un bagno di sangue

Sparatorie di massa: negli Usa è un bagno di sangue

Cosa si nasconde dietro a un fenomeno in continua crescita che non può spiegarsi solo con la disponibilità di armi da fuoco

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Durante gli ultimi anni, negli Stati Uniti sono diventate sempre più frequenti le stragi conseguenti a sparatorie di massa, messe in atto da squilibrati in genere privi di qualsiasi humus ideologico che ne sostenga le gesta e di qualsivoglia collegamento fra loro, che prescinda dalla disponibilità di armi in grande quantità. Negli ultimi 6 anni sono state oltre 2mila le vittime e oltre 5mila i feriti, causati da quelli che generalmente negli USA vengono definiti “mass shooting”.

Il 2019 appena trascorso è stato in assoluto l’anno più nero con 246 morti e 979 feriti, nel corso di assalti a mano armata compiuti da killer solitari armati di fucili, pistole o altre armi non da fuoco. Numeri che sono quelli di una vera e propria guerra “casalinga”, combattuta senza esclusione di colpi, nettamente superiori a quelli determinati dal terrorismo islamico. gli Stati Uniti, un Paese dove circolano 350 milioni di armi da fuoco, a fronte di 327 milioni di abitanti. Un dato per molti versi allarmante, dal momento che alla tragedia dei “mass shooting” vanno sommati gli 11mila omicidi con armi da fuoco commessi ogni anno negli USA, tutte cifre che suggerirebbero la necessità di un netto cambio di strategia attraverso un radicale giro di vite sulle modalità dei controlli messi in atto nei confronti di chi intende acquistare un’arma. Argomento che è stato più volte oggetto del dibattito politico e sociale, suscitando reazioni controverse all’interno dell’opinione pubblica statunitense, comunque in larga parte contraria a una limitazione all’acquisto di armi, e il ferreo ostracismo della lobby legata alle industrie e alla distribuzione di armi da fuoco.

I luoghi in cui vengono perpetrate le stragi risultano essere i più svariati, dai centri commerciali alle scuole, dai locali pubblici alle sagre di paese, dalla famiglia al luogo di lavoro, dalle basi militari agli eventi sportivi come una maratona. Il bagno di sangue generalmente si conclude in breve tempo, spesso con l’uccisione o il suicidio dell’attentatore, che nella maggior parte dei casi risulta essere un uomo giovane che agisce da solo in preda a una sorta di raptus omicida. Un fenomeno di questo genere, statisticamente in continua crescita, risulta essere estremamente preoccupante ed è importante cercare di comprendere le cause che sono alla base di tante stragi e tanto dolore, soprattutto per evitare che questa sorta di “terrorismo interno” privo di qualsiasi ideologia e qualsivoglia obiettivo abbia modo di continuare a espandersi e proliferare. Sul banco degli imputati in primo luogo c’è l’enorme difusione delle armi ne-

in Europa, pur rappresentando l’elemento preponderante alla base di un fenomeno come quello del “mass shooting”, non è però in grado di spiegare in maniera esaustiva perché un giovane americano venga colto dal raptus di compiere l’insano gesto d’imbracciare una di quelle armi e sparare su una folla di persone sconosciute, su un gruppo di colleghi di lavoro o sui propri familiari. Se la disponibilità di armi rappresenta il mezzo e la possibilità con cui compiere una strage, il movente alla base della stessa risiede senza ombra di dubbio altrove. All’interno di una società iperliberista e ipercompetitiva, dove la prima ragione di vita diventa quella di essere “vincenti”, mentre il “perdente” quello che non ce la fa o che non tiene il passo, viene ostracizzato ed emarginato alla stregua di un corpo estraneo, non c’è spazio per la comprensione. E dal momento che anche nella vita, come in qualsiasi gara, qualcuno “vince” ma molti altri perdono, si crea per forza di cose un mare di frustrazione all’interno del quale prosperano giocoforza psicosi e sete di vendetta.

Non è un caso se negli Stati Uniti una persona su cinque assume psicofarmaci, spesso fin dalla più tenera età, e l’incidenza dei disturbi mentali risulta elevatissima.

Molti fra coloro che hanno analizzato l’argomento e di esso hanno scritto sui giornali, si sono sentiti in dovere di sottolineare come nella maggior parte dei casi gli attentatori fossero maschi bianchi che agivano da soli, spesso maniaci delle armi, talvolta suprematisti o individui inclini alla violenza per partito preso. Solo in pochi hanno messo in evidenza il fatto che quasi sempre gli autori dei “mass shooting” appartenevano alla categoria dei “perdenti” e avevano accumulato odio e frustrazione a profusione, considerandosi inadeguati al contesto sociale nel quale conducevano la loro vita. Tante piccole bombe a orologeria, pronte a esplodere qualora innescate anche dall’accadimento più banale.

Senza dubbio per arginare un fenomeno come quello delle sparatorie di massa sarà necessario disciplinare in maniera diversa da quella attuale la legislazione concernente il possesso e l’acquisto delle armi, ma un passo di questo genere potrebbe purtroppo non essere sufciente, qualora non si ripensi in profondità una società per molti versi “malata” che ha fatto del competere selvaggiamente la propria ragione di vita.

Marco Cedolin

Scrittore e studioso di economia, ambiente e comunicazione, gestisce il sito web Il Corrosivo e collabora da anni con alcuni fra i più importanti siti web

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