DOMENICO UCCELLINI
ELEMENTI DI METODOLOGIA DELLA RICERCA STORICA (XVI-XVII secc.)
“… ritrovare i perché del passato, dare un senso al nostro presente per costruire il futuro.”1
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Cfr. A. Carbone - G. Da Molin, Gli uomini, il tempo e la polvere: fonti e documenti per una storia demografica italiana (secc. XV - XXI), Bari, Cacucci, 2010, pag. 7.
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PREMESSA
Durante la mia seduta di laurea il mio correlatore mi chiese: “serve ad un comunicatore andare in un archivio?”. Lì per li, preso dall’emozione e dalla stanchezza di un appuntamento così speciale, diedi una risposta un po’ sbrigativa e confusa, che col senno di poi avrei voluto riformulare meglio: sì, ad un comunicatore serve andare in archivio, perché la ricerca d’archivio insegna che se voglio comunicare qualcosa devo prima documentarmi, e devo documentarmi con scrupolo e attenzione, attingendo le informazioni da delle fonti affidabili usate in un modo non acritico. Questo è, ovviamente, essenziale nella comunicazione scientifica e, quindi, in quella storiografica; ma è importante in ogni tipo di comunicazione, anche in quelle più semplici come può essere ad esempio la redazione di un breve articolo. Potremmo, allora, riformulare la domanda iniziale e chiederci: ha senso oggi continuare a studiare la storia, specie quella non contemporanea? Ha senso dedicare energie, tempo e soldi, per la conoscenza di cose ormai passate? Non ci sarebbe da stupirsi se fossero molti quelli che risponderebbero che non ha senso, dato l’andazzo “rottamatore” che va tanto di moda e che, ad esempio, vede come possibili vittime anche altre discipline legate al passato come il greco, il latino, la storia dell’arte. Ritengo, però, che ci siano almeno tre validi motivi per continuare a studiare storia nelle scuole, e per continuare a fare ricerca storica in archivio. Il primo è legato al classico e ciceroniano concetto di storia come magistra vitae; o, per usare le parole di Bloch, all’idea che “l’ignoranza del passato non solo nuoce alla conoscenza del presente, ma compromette, nel presente, l’azione medesima”2. Questo, però, non significa intendere gli storici come dei profeti e la storia come una
divinatrice,
per
cui
attraverso
la
conoscenza
del
passato,
quasi
meccanicisticamente, possiamo prevedere il futuro. I fatti non si ripetono mai in un modo perfettamente uguale, perché di volta in volta entrano in gioco un’infinità di variabili imprevedibili. Studiando il passato, però, possiamo conoscere meglio perché le cose del presente sono come sono e noi siamo quello che siamo, e questo può certamente costituire un significativo strumento in più per capire come agire nel 2
Cfr. M. Bloch, Apologia della storia, o Mestiere di storico, Torino, Einaudi, 1969, pag. 50.
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presente e come costruire il futuro. La realtà che ci circonda, insomma, non è un caso, ma il prodotto di un divenire storico; e l’identità personale nasce sempre dalle radici del passato. Del resto, ognuno di noi nel suo agire quotidiano si basa sulle esperienze precedenti; esse non ci fanno essere tutt’a un tratto infallibili, ma ci aiutano a meglio affrontare le nuove sfide 3. Rievocare il passato è un bisogno innato dell’uomo, perché “l’uomo si sa nella storia”4. Il secondo motivo per cui è importante studiare e conoscere la storia è che questo ci abitua a pensare in un modo più profondo e completo, cogliendo le cose oltre la superficie, sulla base delle relazioni causali che le caratterizzano; le cose non sono frutto di un caso ma di una causa, e ogni cosa ha delle conseguenze. Infine, la storia è importante perché aiuta a tener conto della varietà del mondo, a meglio comprendere il diverso, a saper guardare oltre il proprio campo, a cercare di capire prima di giudicare. Come afferma Bloch, una parola domina gli studi storici: “comprendere”5. La ricerca storica, però, non è un divertissement che chiunque può fare, ma deve seguire una precisa metodologia; e gli storici non sono degli amatori ma dei professionisti che devono usare con competenza gli attrezzi del mestiere. Ciò è fondamentale in un contesto come quello attuale nel quale sempre più la ricostruzione storica è affidata a giornalisti o registi attenti alla spettacolarizzazione del passato piuttosto che alla ricerca della verità. E in questo senso gli storici devono anche imparare ad aprirsi al pubblico dando risposta al bisogno sociale di storia. Questo opuscolo vuol essere un’analisi introduttiva della metodologia della ricerca storica, con un’attenzione particolare riposta allo studio della prima fase dell’età moderna6. Non ha, quindi, un carattere esaustivo e può essere arricchita con ulteriori letture7.
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Come afferma Angelo D’Orsi “la storia è per la comunità l’equivalente della memoria per l’individuo”; cfr. A. D’Orsi, Alla ricerca della storia: teoria, metodo e storiografia, Torino, Scriptorium, 1996, pag. 16. 4 Cfr. A. L. Carlotti, Ipotesi sulla storia: introduzione alla metodologia della ricerca storica, Milano, Giuffré, 1977, pag. 23. 5 Cfr. M. Bloch, Apologia della storia (op.cit.), pag. 127. 6 Basandosi soprattutto sulla bibliografia più recente, ma non dimenticando alcuni classici come Bloch, Febvre, Chabod. 7 Una parte delle quali sono indicate alla fine della trattazione. Invece, per quanto detto nella seguente premessa cfr. M. Bloch, Apologia della storia (op.cit.), pp. 50-57; J. Tosh, Introduzione alla ricerca storica, Scandicci, La nuova Italia, 1989, pp. 5-7; 15-23; A. D’Orsi, Alla ricerca della storia (op.cit.), pp. 15-16; 103-104; F. Benigno, Parole nel tempo: un lessico per pensare la storia, Roma, Viella, 2013, pp. 7-8; 23-25; S. Luzzatto, Premessa, in S. Luzzatto (a cura di), Prima lezione di metodo storico, Roma-Bari, Laterza, 2010, pp. 4-10.
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1- LA STORIA MODERNA (XVI-XVII secc.)
Prima di entrare in medias res e affrontare alcuni aspetti specifici della metodologia della ricerca storica ritengo possa essere utile presentare una breve panoramica della prima fase dell’età moderna (secc. XVI-XVII) dato che, come si è detto nella premessa, la seguente trattazione pone un occhio di riguardo proprio a questa determinata fase storica8. Premesso che le periodizzazioni sono dei processi mentali e non delle realtà effettuali e che non c’è mai un passaggio netto da un’epoca all’altra ma ogni fase è parte di un processo, il termine a quo dell’età moderna viene tradizionalmente fissato tra la seconda metà del XV secolo e gli inizi del XVI secolo, quando si verificano una serie di importanti avvenimenti (apice di fermenti già in atto nel basso Medioevo) che stravolgono completamente la concezione del mondo e dell’uomo, le abitudini di vita e di lavoro, la gestione del potere statale e religioso9. Questi avvenimenti sono: la diffusione della cultura umanistico-rinascimentale (legata, vedremo tra poco perché, alla caduta di Costantinopoli in mano turca nel 1453); l’invenzione della stampa a caratteri mobili; la scoperta dell’America; la diffusione del movimento protestante; la nascita dello Stato moderno. Come detto, tutti questi eventi sono parte di processi già in atto nei secoli bassomedievali. Pensiamo, ad esempio, all’essenza umanistica già presente in un uomo del Trecento come Petrarca; o all’introduzione dell’utilizzo della carta come supporto scrittorio che già permette una maggiore diffusione ed economicità dell’oggetto libro; o alle esplorazioni geografiche della costa atlantica dell’Africa avviate dai portoghesi già dal XV secolo; o alle esigenze di renovatio del mondo cristiano presenti già nel basso Medioevo in figure come John Wycliff, Jan Hus, Savonarola e altri; o alla crisi dei grandi poteri universali (papato e impero) e dei poteri signorili e feudali già in atto dal XV secolo. 8
È evidente, infatti, che al di là di alcuni aspetti generali validi per ogni tipo di ricerca storica, esistono poi delle peculiarità tipiche di ogni età; per cui, ad esempio, la storia contemporanea dispone di alcuni tipi di fonti che non esistevano in precedenza, o, ancora, nella medievalistica è fondamentale avere una buona conoscenza del latino medievale perché molti dei (pochi) documenti pervenutici sono redatti in tale idioma. 9 Senza con ciò porre la questione in termini qualitativi; è ormai assodato il superamento della concezione burkhardtiana di Medioevo come età di totale decadenza e buio e di Rinascimento come età di totale splendore.
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Gli sviluppi di questi fondamentali avvenimenti, poi, come detto, rinnovano completamente la politica, la religione, la cultura, l’arte, l’organizzazione sociale, l’economia, la vita quotidiana. Il movimento umanistico-rinascimentale rivoluziona la concezione dell’uomo mettendolo al centro del creato, ed esaltandone la dignità e il ruolo nell’universo10. Viene, quindi, riportata in luce la concezione del mondo classico (e in ciò svolgono un ruolo non di secondo piano i prelati e i letterati greci giunti in occidente dopo la caduta di Costantinopoli in mano turca) in opposizione alla cultura teocentrica medievale11, e gli intellettuali coevi sentono di appartenere a un’età nuova, moderna appunto, che si contrappone alla barbarie e all’oscurantismo dell’età di mezzo. Tutto ciò, oltre che a un trionfo del mecenatismo 12, porta a un nuovo spirito critico (in opposizione al principio medievale di autorità) che dapprima si manifesta in ambito filologico-letterario13 e, successivamente, anche in ambito scientifico-tecnologico, aprendo la strada (pur non senza qualche “intoppo”14) alla moderna metodologia scientifica e al mito del progresso. L’invenzione della stampa a caratteri mobili da parte di Gutenberg (1455) è una “rivoluzione inavvertita”15 che porta a una maggiore diffusione di testi scritti e cambia il mondo16. Con essa, infatti, si conosce una circolazione delle idee mai vista prima (di cui ne beneficia, ad esempio, innanzitutto il movimento protestante) e, inoltre, trionfano le lingue volgari (simboli delle identità nazionali, a discapito degli organismi universali come papato e impero), si sviluppa un maggior grado di alfabetizzazione, cresce la burocratizzazione della vita economica-amministrativa-politica, si attivano dinamiche censorie più rigide da parte del potere statuale e religioso. La scoperta dell’America (1492), e le altre esplorazioni geografiche che caratterizzano il XVI secolo17 cambiano il mondo nel senso di scoprirlo nella sua interezza; il che significa superare alcune delle paure medievali e il senso d’inferiorità nei confronti della natura, aprirsi a una visione globalizzata del mondo (con l’Europa sempre saldamente in posizione egemonica) e quindi a una mondializzazione e 10
Emblematico il concetto di homo faber fortunae suae. Non si può, però, come poi per l’Illuminismo, parlare di ateismo. Molto interessante in questo senso il testo di Lucien Febvre “Il problema dell'incredulità nel secolo XVI. La religione di Rabelais”. 12 Non scevro di interessi politici, ovviamente. 13 Significativa la celebre dimostrazione d’inautenticità della Constitutum Constantini da parte di Lorenzo Valla, sulla quale torneremo. 14 Pensiamo alle tragiche vicende di cui furono protagonisti Giordano Bruno e Galileo Galilei. 15 Per usare l’espressione di Elizabeth L. Eisenstein; molto importante il suo “La rivoluzione inavvertita. La stampa come fattore di mutamento”. 16 Al pari di quanto in qualche modo fa oggi quella che possiamo definire come la “rivoluzione digitale”. 17 Pensiamo, ad esempio, a quelle di Bartolomeo Diaz e Vasco da Gama volte a circumnavigare l’Africa, o a quelle di Amerigo Vespucci in America, o alla circumnavigazione del globo di Ferdinando Magellano. 11
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capitalistizzazione del commercio18, imbattersi più che mai col tema del rapporto con l’alterità19. La riforma protestante, partita con la redazione delle tesi di Lutero nel 1517 e capace di acquisire rapidamente un forte consenso sia tra le masse20 sia tra i principi tedeschi21, rompe l’unitas christiana del mondo occidentale22 e indebolisce il potere temporale del Papato (e, quindi, la concezione teocentrica della politica). Ciò comporta nel mondo protestante un rapido rafforzamento del potere dei principi territoriali laici ai danni dell’Impero (incapace di porre rimedio con la forza al conflitto tra cattolici e protestanti 23) e della Chiesa di Roma (con la secolarizzazione dei beni ecclesiastici e la creazione di Chiese nazionali); nel mondo cattolico il Papato riesce a difendere e a ribadire il proprio primato attraverso la cosiddetta controriforma e un’intensa attività di disciplinamento morale e religioso alla quale sono sottoposti clero e fedeli, ma anche qui, seppur più gradualmente e in forme un po’ diverse, si conoscerà un’emancipazione dello Stato dal potere temporale della Chiesa. Tra XV e XVI secolo, infatti, nasce in Europa lo Stato moderno, caratterizzato da: un accentramento del potere nelle mani del governo e del sovrano, in contrasto ai particolarismi locali e feduali24; un rafforzamento dell’apparato burocraticoamministrativo, affidato a funzionari competenti e fedeli più che ai nobili; una graduale emancipazione dello Stato dalla Chiesa, con l’assunzione di compiti e prerogative
in
precedenza
affidate
a
istituzioni
ecclesiastiche;
un
deciso
rafforzamento dell’azione censoria, conoscitiva e disciplinante dello Stato nei confronti dei sudditi, nonché l’assunzione del “monopolio della violenza” con la creazione di ordini di polizia volti alla tutela dell’ordine interno; la creazione di eserciti nazionali e permanenti, nei quali assume un ruolo determinante l’artiglieria, a discapito della cavalleria di ordine feudale25; una maggiore uniformità legislativa; una diplomazia permanente e non occasionale; una maggiore e più efficiente fiscalità 26. 18
Con un graduale spostamento dell’epicentro del mondo dal Mediterraneo all’Atlantico. Con esiti sia degeneranti, come nel caso delle vicende legate ai conquistadores o, successivamente, alla tratta degli schiavi; sia positivi, come nel caso della diffusione di ideali di accoglienza e uguaglianza da parte di pensatori come Bartolomé de las Casas, Montaigne, Montesquieu. 20 Senza, però, portare a stravolgimenti dell’ordine sociale, come ad esempio manifesta l’appoggio da parte di Lutero alla repressione dei contadini in rivolta. 21 Ad esempio insofferenti alle ingerenze del papato in politica interna, e alla tassazione imposta da Roma. 22 La rottura con la chiesa d’oriente, infatti, avviene già nel 1054. 23 Emblematico il principio del cuius regio, elius religio sancito nella pace di Augusta (1555). 24 Che, comunque, non scompaiono dall’oggi al domani in modo netto, ma, anzi, continueranno in parte e in alcuni luoghi a rivestire un certo ruolo, seppur ridimensionato. 25 Che non può permettersi di sostenere gli ingenti costi delle armi da fuoco. 26 Necessaria al far fronte alle maggiori spese (dovute, ad esempio, al sostentamento di eserciti regolari e non più occasionali). Spesso, comunque, per far fronte alle spese i sovrani s’indebitano con i banchieri e non sono rare le situazioni bancarotta. 19
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Ovviamente tali avvenimenti sono strettamente connessi gli uni agli altri, come in parte abbiamo già visto, e ognuno contribuisce in qualche modo al diffondersi dell’altro: ad esempio, l’invenzione della stampa favorisce la diffusione degli ideali umanistici e delle tesi del movimento protestante; o il movimento protestante favorisce, specie nelle aree non più sottoposte al controllo della Chiesa di Roma, la laicizzazione tipica dello Stato moderno. In
generale,
dunque,
il
moderno
si
caratterizza
per
una
crescita
dell’individualismo (e, quindi, anche della ricerca di libertà e diritti individuali), dello sviluppo scientifico-tecnologico (e, quindi, della ricerca di progresso, velocità, efficienza), del dominio dell’Europa sul resto del mondo (al quale impone sempre più i suoi usi, costumi, modelli). Momenti significativi di tali tendenze sono quei grandi avvenimenti posti tradizionalmente come termine ad quem dell’età moderna: la rivoluzione francese, la rivoluzione industriale, l’imperialismo coloniale. La fine dell’Ottocento e, soprattutto, il Novecento evidenzieranno i limiti e le contraddizioni degli ideali repubblicani, del mito del progresso, dell’egemonia Europea (e, quindi, anche della concezione liberal-borghese dell’età moderna, propugnata da studiosi come Guizot e Michelet). Le nuove libertà assumono più che altro il sapore del passaggio da un tipo di dominio (quello dell’aristocrazia feudale) a un altro (quello della borghesia), con nuove forme di disuguaglianze e privilegi; il progresso tecnologico sviluppa una crescita della “economicizzazione” dei rapporti sociali, piuttosto che una riduzione del depauperamento della società; la sete di dominio degli Stati europei si traduce, una volta finiti gli “spazi vitali” da occupare in giro per il mondo, in due drammatiche guerre mondiali dalle quali un po’ tutta l’Europa (ad eccezione dell’Inghilterra) ne esce duramente sconfitta. Con questo non si vuole ora inquadrare negativamente l’età moderna, che, anzi, è apportatrice di novità ed elementi molto importanti, ma si vuole evidenziare come questi aspetti abbiano problematicizzato e arricchito il dibattito storiografico relativo ai significati, alle eredità e anche alla periodizzazione dell’età moderna. Rimandiamo, però, ad altre sedi l’approfondimento di tali questioni 27.
27
Su quanto detto nel seguente capitolo cfr. A. Saitta, Guida critica alla storia moderna, Roma-Bari, Laterza, 1981, pp. 1-3; 25-51; 85-90; P. Prodi, Introduzione allo studio della storia moderna, Bologna, Il mulino, 2004, pp. 54-87; P. Corrao - P. Viola, Introduzione agli studi di storia, Roma, Donzelli, 2005, pp. 85-88; 97-104; R. Bizzocchi, Guida allo studio della storia moderna, Roma-Bari, Laterza, 2008, pp. 3-11; 27-31; G. Galasso, Prima lezione di storia moderna, Roma-Bari, Laterza, 2014, pp. 7-26; 33-44; 58-78; 88-91; 101-103.
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2- ALCUNE CONSIDERAZIONI PRELIMINARI
Come primo passo per una trattazione di metodologia della ricerca storica ritengo che possa essere utile affrontare brevemente alcune questioni preliminari che introducano al tema e che evidenzino alcuni atteggiamenti fondamentali da tenere sempre presenti se ci si vuol dedicare all’attività storiografica (di qualunque epoca).
2.1 - L’oggettività nel fare storia Una delle questioni più dibattute nell’ambito del fare storia è sicuramente quella relativa al tema dell’oggettività-soggettività. La storiografia è oggettiva? Deve esserlo? Può esserlo? Se non lo è, perde il suo status di scienza sociale? Diciamo subito che non può esserci una totale oggettività nella ricerca storica perché un certo grado di soggettività è inevitabile, per una serie di aspetti: la ricerca storica si basa sulle fonti storiche e cioè, come vedremo meglio nel prossimo capitolo, su dei documenti di vario tipo (non solo scritti) che si configurano come delle tracce del passato. Questi documenti, però, sono limitati, a volte lacunosi, a volte imprecisi, a volte tendenziosi (e, ovviamente, più sono antichi più questi aspetti tendono a accentuarsi). Come può, quindi, esserci una riproduzione oggettiva del passato se gli strumenti base usati per ricostruirlo ne riportano solo una parte, e, per di più, una parte a volte offuscata da errori o tendenziosità? Senza dimenticare che anche il documento più fedele, in quanto riproduzione della realtà e non realtà, possiede elementi di non oggettività. Insomma, se è difficile formarsi un’idea completa e oggettiva di fatti accaduti nel presente, figuriamoci quanto può esserlo per eventi lontani nel tempo; proprio perché le fonti storiche sono limitate, lacunose, imprecise e tendenziose, sono inevitabili delle scelte soggettive (nel senso che non sono le uniche possibili) da parte dello storico, come ad esempio: quali fonti utilizzare per affrontare l’argomento scelto? come sviluppare l’argomento? a quali fonti dare più risalto e a quali meno? quali aspetti approfondire e quali sintetizzare? Insomma, di un argomento si può parlare in vari modi e in vari modi si possono usare le fonti, è 10
inevitabile uno sforzo d’immaginazione per far fronte ai limiti presentati dalle fonti, e, come afferma Veyne, un certo grado di soggettività è inevitabile perché è inevitabile un’operazione di sintesi per racchiudere “un secolo in una pagina”28. proprio perché è impossibile non fare alcuna scelta soggettiva, è impossibile svincolarsi totalmente dalle proprie idee, dai propri interessi, dalla propria formazione, dalle proprie esperienze; si possono e si devono limitare al massimo tali aspetti, ma non si può cancellarli totalmente perché, per intenderci, nessuna costruzione intellettuale può essere separata da un proprio Dasein; com’è impossibile separarsi dal proprio Dasein, è, più in generale, impossibile separarsi dal proprio presente; le domande dello storico nascono sempre dal suo presente e quindi non può esserci una ricostruzione totalmente oggettiva del passato perché in essa è inevitabile una certa presenza di presente. Del resto, è proprio questo legame tra presente e passato che rende lo studio del passato fondamentale e non è un semplice passatempo da erudito; nel proprio lavoro di ricerca è inevitabile doversi (in parte) basare su precedenti lavori altrui che non sono in toto ricontrollabili; si è, quindi, in qualche modo vittime oltre che della propria soggettività anche di quella di altri studiosi. Detto ciò, però, questo non significa avvallare tesi decostruzioniste e scettiche29 che degradano la storia a pura narrazione prodotto di due soggettività30. Se un certo grado di soggettività è inevitabile e, pertanto, è impossibile una ricostruzione totalmente oggettiva del passato31, questo non significa che non si possa circoscrivere tale soggettività entro dei limiti minimi e accettabili, e che non si possa caricare la ricerca storica di elementi di oggettività. Insomma, nel fare storia c’è un’oggettività leggermente diversa da quella delle scienze esatte e, citando Febvre, la ricerca storica va intesa più che come una scienza, come “uno studio condotto scientificamente”32, attraverso l’applicazione di una serie di regole e criteri oggettivi. Questi elementi di oggettività da tenere sempre presenti sono: avere sempre un atteggiamento critico di fronte alle fonti, che non vanno mai viste come fonte di verità assolute, per cui basta leggerle e trascriverle. A parte i falsi, possono esserci, come detto, errori, faziosità, omissioni, interpolazioni. È quindi, come vedremo nel prossimo capitolo, fondamentale un lavoro iniziale volto 28
Cfr. P. Veyne, Come si scrive la storia: saggio di epistemologia, Roma-Bari, Laterza, 1973, pag. 11. Come, ad esempio, quella di Hayden White. 30 Quella propria dello storico, e quella degli autori su cui ci si è basati per il proprio lavoro di ricerca. 31 Come aspiravano gli storici di stampo positivistico. 32 Cfr. L. Febvre, Problemi di metodo storico, Torino, Einaudi, 1992, pag. 141. 29
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ad accertare l’autenticità e l’attendibilità di una fonte e a ricostruirne le motivazioni e le condizioni di produzione (e di conservazione); non giudicare, non assolvere, non condannare, non tradurre mai l’interesse per un argomento di ricerca in atteggiamenti di solidarietà o avversione. Il compito dello storico è “solo” quello di fornire conoscenza ricostruendo il passato e nell’attività teoretica gli unici giudizi di valore utili sono quelli formulati dagli stessi attori storici33. Per il resto, è certamente importante usare i dati storici per formarsi opinioni e quindi anche giudizi, ma questo è un qualcosa che deve avvenire al di fuori dell’attività di ricerca, successivamente, altrimenti essa risulta falsata; non dire più di quanto dicono le fonti storiche, cedendo alle ideologie o alla fantasia, e rendere verificabili i risultati presentati attraverso delle corrette citazioni delle fonti primarie e secondarie utilizzate; essere precisi, chiari, accurati e coerenti. Per quanto scontati possano sembrare tali atteggiamenti, non bisogna mai dimenticarne l’importanza nel lavoro storico come antidoto alle limitatezze e alle lacune delle fonti, e a quella inevitabile soggettività a cui sopra abbiamo accennato. Insomma, come afferma Zanni Rosiello, nella ricerca storica “è meglio essere pignoli che sciatti”34. L’applicazione di tali regole non può portare a verità assolute e, quindi, a una ricostruzione totalmente oggettiva del passato, ma certamente può avvicinarci a essa attraverso una serie di verità parziali che sono continuamente perfezionabili 35 attraverso un incessante lavorio critico. Come afferma Bloch “la conoscenza del passato è una cosa in fieri, che si trasforma e si perfeziona incessantemente”36.
2.2 - Curiosità, passione, intuizione e contesto Altri atteggiamenti fondamentali da tenere sempre presente nel lavoro storico sono: essere molto curiosi; lo storico è innanzitutto un tale che si fa delle domande, un indagatore, uno che interroga costantemente le fonti e che lo fa da più punti di vista, anche talvolta per così dire impensabili, per trarne più informazioni possibili (anche al di là dello scopo per cui la fonte è prodotta). È importante, comunque, 33
Nel senso che, ovviamente, può essere utile ai fini della conoscenza storica il conoscere le opinioni e i giudizi di un dato personaggio storico, o di una collettività. 34 Cfr. I. Zanni Rosiello, Andare in archivio, Bologna, Il Mulino, pag. 209. 35 Oltre che, eventualmente, confutabili se si scoprono nuovi documenti. 36 Cfr. M. Bloch, Apologia della storia (op.cit.), pag. 65.
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che tale curiosità sia carica di spunti interessanti per l’oggi e non fine a se stessa come per un antiquario, e che le risposte siano trovate nelle fonti storiche e non immaginate fantasiosamente; avere passione per il passato (in generale) e per l’argomento di ricerca adottato (nello specifico); non si può fare ricerca storica se si vede il passato come una macchia grigia uniforme di scarso interesse, o se non si prova interesse per l’argomento affrontato, perché verrebbero meno i requisiti di curiosità e precisione di cui abbiamo parlato; avere capacità d’intuizione e d’immedesimazione. L’intuizione è fondamentale per ricucire i vuoti lasciati dalla limitatezza delle fonti, o per usarle al meglio cercando di cogliere anche il non scritto; l’immedesimazione è fondamentale per svincolarsi un po’ dal presente, assumere un approccio non elementare col passato, e cercare, nei limiti del possibile, di meglio penetrare il reale valore di determinati avvenimenti, usanze, scelte; tener presente che gli eventi storici oggetto di analisi non sono isolati ma sono inseriti in un intreccio fatto di cause, conseguenze, pretesti, fini, opportunità, e sono sempre organizzati in un contesto e quindi in delle precise coordinate temporali e spaziali che danno luogo a tutto un insieme di peculiari elementi culturali, elementi tecnologici, strutture socio-economiche, credenze religiose, abitudini, mentalità, conoscenze, modi di pensare, pregiudizi, istituzioni, che costituiscono un substrato fondamentale per meglio comprendere tali eventi37.
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Su quanto detto nel seguente capitolo cfr. M. Bloch, Apologia della storia (op.cit.), pp. 123-126; A. L. Carlotti, Ipotesi sulla storia (op.cit.), pp. 27; 199; P. Veyne, Come si scrive (op.cit.), pp. 23-43; 59-63; 97-99; 273-276; 315-323; J. Tosh, Introduzione (op.cit.), pp. 149-158; F. Chabod, Lezioni di metodo storico, Roma-Bari, Laterza, 1995, pp. 65-67; A. D’Orsi, Alla ricerca della storia (op.cit.), pp. 91-102; J. Topolsky, Narrare la storia: nuovi principi di metodologia storica, con la collaborazione di R. Righini, Milano, Bruno Mondadori, 1997, pp. 36-38.; G. Galasso, Nient’altro che storia: saggi di teoria e metodologia della storia, Bologna, Il Mulino, 2000, pp. 46-53; P. Prodi, Introduzione allo studio (op.cit.), pp. 13-20; P. Corrao - P. Viola, Introduzione agli studi (op.cit.), pp. 2932; 35-46; M. Mustè, La storia: teoria e metodi, Roma, Carocci, 2005, pp. 23-34; R. Bizzocchi, Guida allo studio (op.cit.), pp. 88-91; A. Carbone - G. Da Molin, Gli uomini, il tempo (op.cit.), pag. 16; S. Luzzatto, Premessa (op.cit.), in S. Luzzatto (a cura di), Prima lezione (op.cit.), pp. 4-10; O. Niccoli, Storie di fantasmi, progetti di crociata. Una fonte epistolare, in S. Luzzatto (a cura di), Prima lezione (op.cit.), pp. 33-38; F. Benigno, Parole nel tempo (op.cit.), pp. 8-16; S. Rogari, La scienza storica: principi, metodi e percorsi di ricerca, Novara, Utet Università, 2013, pp. 30-48; 82-83; 101-102; 133-135; 166-177.
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3- LE FONTI STORICHE
La ricerca storica, come abbiamo già accennato, si basa essenzialmente sul ritrovamento e sull’interpretazione delle fonti storiche, e cioè dei documenti (non solo scritti) che il passato ci ha lasciato e che, quindi, fungono da mediatori di conoscenza tra il presente e il passato. Essendo lo storico impossibilitato a osservare di persona i fatti che studia non c’è altro modo per conoscere il passato; per usare le parole di Veyne “la storia è conoscenza che procede da documenti”38. Esistono vari tipi di fonti storiche, e varie classificazioni che cercano di distinguerle (non senza difficoltà per il carattere ambiguo di alcune fonti).
3.1 - I vari tipi di fonti storiche Innanzitutto possiamo distinguere tra fonti primarie e fonti secondarie. Le fonti primarie sono le fonti vere e proprie, i documenti originali e coevi, quelli su cui, come detto, si basa il lavoro dello storico. Le fonti secondarie, invece, sono gli studi successivi che costituiscono quella che comunemente viene chiamata “bibliografia”39; sono secondarie perché il loro contenuto si basa sulle fonti primarie e può essere messo in discussione in qualunque momento attraverso la scoperta di nuove fonti primarie o la reinterpretazione di vecchie40. Le fonti primarie, poi, essenzialmente si distinguono tra fonti scritte e fonti non scritte41. Le fonti scritte possono a loro volta essere distinte tra fonti edite e fonti
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Cfr. P. Veyne, Come si scrive (op.cit.), pag. 12. Non è sempre facile, comunque, distinguere le une dalle altre; ad esempio, il resoconto coevo di un determinato evento scritto da un autore non direttamente presente non è una fonte primaria e, quindi, nella definizione di fonte primaria è importante un criterio di vicinanza temporale ma anche spaziale; oppure, un’opera posteriore agli eventi che narra può essere fonte primaria nel caso in cui l’oggetto di studio sia, ad esempio, il modo di pensare di un determinato autore o di una determinata epoca. 40 Come già abbondantemente detto, però, una fonte primaria non è fonte assoluta di verità di per sé, ed è sempre fondamentale un atteggiamento critico nei suoi confronti. 41 Anche in questo caso possono esserci ambiguità: ad esempio un libro può essere sia, ovviamente, una fonte scritta, sia una fonte materiale se l’oggetto di studio sono i metodi di stampa di una data epoca; o una moneta con incisa una scritta è sia una fonte materiale, sia un fonte scritta. 39
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inedite42. L’età moderna conosce un forte incremento delle fonti scritte, grazie all’invenzione della stampa, allo sviluppo degli apparati burocratici dello Stato, alle maggiori tendenze censorie-conoscitive-disciplinanti adottate da Stati e Chiesa nei confronti di sudditi e fedeli, al maggiore utilizzo della scrittura nella vita di tutti i giorni, alla maggiore attenzione riposta nella conservazione dei documenti 43. Possiamo, inoltre, distinguere tra fonti intenzionali o volontarie (appositamente prodotte per tramandare un ricordo44) e fonti non intenzionali o involontarie (prodotte per una determinata esigenza pratica); tra fonti pubbliche (legate all’attività di pubbliche autorità e sottoposte a una maggiore rigidità e ripetitività formale) e fonti private (prodotte da singoli individui e meno prevedibili in forma e contenuto); tra fonti narrative (caratterizzate da elementi discorsivi e quindi da una maggiore soggettività) e fonti quantitative (basate su elementi numerici e quindi meno soggettive, anche se non per questo necessariamente meno imprecise)45.
3.1.1 - Le fonti scritte Esistono vari tipi di fonti scritte, a seconda ad esempio di chi l’ha prodotta o della funzione svolta. Per quanto riguarda l’età moderna tra le più importanti fonti scritte da tener presente possiamo ricordare: le fonti governativo-amministrative, e cioè i documenti legati all’attività di governo e di amministrazione svolta dagli Stati e dalla Chiesa (come l’emanazione di provvedimenti, l’istituzione di determinati organi, e così via). In particolare, nell’età moderna assumono una certa importanza quei documenti di carattere quantitativo (come le numerazioni dei fuochi, i catasti, i censimenti 46, i registri
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A queste due categorie potremmo ormai aggiungere le fonti virtuali, cioè quei documenti presenti solo virtualmente nel web (ma tale ambito non può, ovviamente, riguardare la storia moderna). 43 Si tratta, comunque, ancora soprattutto di documenti manoscritti e quindi inediti. 44 Riportando, ovviamente, solo ciò che si vuole riportare; è necessario, dunque, porre maggiore attenzione all’attendibilità di tali fonti. 45 Su questo tipo di fonti si basa soprattutto la cosiddetta storia quantitativa che, appunto, cerca di ricostruire i processi storici attraverso dei dati quantitativi. Si tratta di un approccio che può incrementare la conoscenza storica (in particolare per certi settori come la storia dell’economia o la demografia storica) evidenziando l’importanza del contare oltre che del descrivere, ma non può ritenersi esaustivo: non è possibile convertire in quantità tutti gli aspetti della complessità del reale, i dati quantitativi non possono essere isolati e desocializzati e attuano un’eccessiva sintesi del reale; dunque, vanno integrati con gli altri tipi di fonte. Su questo cfr. J. Tosh, Introduzione alla ricerca (op.cit.), pp. 204-227; M. Mustè, La storia (op.cit.), pp. 20-21; S. Rogari, La scienza storica (op.cit.), pp. 81-94. 46 Come quello fiorentino del 1427 (su cui cfr. D. Herlihy - C. Klapisch Zuber, I toscani e le loro famiglie. Uno studio sul catasto fiorentino del 1427, Bologna, Il Mulino, 1988).
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parrocchiali47) funzionali alle esigenze conoscitivo-disciplinanti e fiscali dello Stato e della Chiesa nei confronti di sudditi e fedeli. Tali documenti, seppur spesso incompleti e imprecisi48 forniscono una serie d’informazioni (nomi di persone, date di nascita, età, professioni svolte, legami familiari, beni mobili e immobili posseduti…) non altrimenti facilmente rinvenibili per tale periodo e sono, quindi, molto utili per certi ambiti di studio (come ad esempio per la demografia storica); le fonti notarili, legate all’attività di notai e consistenti, quindi, in documenti come testamenti, transazioni commerciali, patti politici, inventari post mortem. Si tratta di documenti non facili da usare perché non semplici da leggere e da contestualizzare (in quanto legati alle contingenze di una richiesta del momento, e non inseriti nella continuità della pratica amministrativa di un’istituzione), ma possono risultare utili per ritrovare informazioni non presenti nelle fonti pubbliche e per approfondire la conoscenza di comunità locali49; le fonti giudiziarie, e cioè i documenti legati all’attività di tribunali civili o ecclesiastici (atti di processi, verbali di interrogatori…). Si tratta di documenti di cui è molto importante verificarne l’attendibilità50, ma che risultano molto utili perché possiamo trovarvi più che altrove informazioni su vicende quotidiane (seppur a tinte forti) e sulla gente qualunque. Per la storia moderna assumono una certa rilevanza i documenti relativi ai processi inquisitoriali51. le fonti diplomatiche, e cioè gli atti relativi all’attività diplomatica 52 (che, tra l’altro, proprio con l’inizio dell’età moderna conosce un significativo sviluppo). Anche in questo caso si tratta di fonti nelle quali possono esserci distorsioni 53 e, inoltre, per l’età moderna presentano spesso un carattere più letterario che burocratico; la loro attendibilità è legata alla credibilità e alla capacità di analisi dell’ambasciatore che li redige, oltre che alla sua capacità di dotarsi di un’efficiente rete d’informatori. In
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Come i registri di battesimo e di matrimonio (resi obbligatori dal Concilio di Trento), o i registri delle sepolture e gli status animarum (resi obbligatori dalle disposizioni di Paolo V del 1614). Può rientrare in questo discorso anche la cosiddetta fonte visitale, cioè quei documenti legati alla visita pastorale di un vescovo (resa obbligatoria dal Concilio di Trento, anche se inizialmente poco attuata; per un approfondimento su tale fonte cfr. i lavori di vari studiosi presenti in C. Nubola - A. Turchini (a cura di), Fonti ecclesiastiche per la storia sociale e religiosa d’Europa: XV – XVIII secolo, Bologna, Il Mulino, 1999). 48 Soprattutto fino alla metà del Seicento. 49 Come ad esempio fa Marino Berengo per la Lucca del Cinquecento nel suo “Nobili e mercanti nella Lucca del Cinquecento” (Torino, Einaudi, 1999). 50 Ad esempio, non è improbabile che le deposizioni dei testimoni siano faziose. 51 Su tale tipo di fonte, ad esempio, si basa la celebre monografia del mugnaio friulano Menocchio realizzata da Carlo Ginzburg (“Il formaggio e i vermi: il cosmo di un mugnaio del Cinquecento”). 52 Pensiamo, ad esempio, alle famose relazioni degli ambasciatori veneti al Senato. 53 Legate, ad esempio, a errate informazioni pervenute all’ambasciatore, o a sue errate valutazioni, o a sue volontarie omissioni per non comunicare cose a lui sconvenienti.
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generale forniscono indicazioni utili per meglio conoscere aspetti relativi alle relazioni internazionali e alle attività politiche di Stati e realtà locali. le fonti cronachistiche, consistenti nel racconto di determinati avvenimenti o di una serie di avvenimenti storici (generalmente in ordine cronologico). Si tratta di documenti nei quali l’elemento soggettivo s’accentua e viene riportato solo ciò che è ritenuto interessante e/o conveniente. Pertanto, è molto importante verificarne l’attendibilità (attraverso il confronto con altri documenti) e porsi domande come: i fatti raccontati sono legati a un’esperienza diretta? quali erano gli intenti dell’autore? l’autore risulta credibile e dotato d’intuito politico in altre opere?; le fonti diaristiche, consistenti in diari o libri di ricordi 54. Si tratta di scritture con un accentuato carattere soggettivo, le cui informazioni, quindi, vanno attentamente verificate, e, tra l’altro, sono per lo più circoscritte ai ceti sociali più alti; ma hanno il pregio di rivelare informazioni più intime e personali (anche se c’è sempre qualche regola di discrezione). Affini a questo tipo di fonte sono i libri di memorie autobiografiche, nei quali, ovviamente, il racconto dei fatti è di parte, ma possono fornire interessanti informazioni sulla personalità e sulle idee dell’autore; le fonti epistolari, ossia ovviamente le lettere. Possono essere di vario tipo, da quelle commerciali a quelle politiche a quelle familiari, e rivestono una particolare importanza per l’età moderna in quanto proprio in questa fase si conosce un interessante diffusione di questo mezzo di comunicazione55. Si tratta anche in questo caso di scritture con un accentuato carattere soggettivo che, quindi, vanno usate con cautela; in generale, le lettere a carattere pubblico presentano uno stile più formale e maggiori reticenze nel contenuto, mentre quelle a carattere privato sono caratterizzate da un tono più confidenziale e dalla presenza di maggiori informazioni di tipo intimo e privato56. Anche le lettere sono per lo più circoscritte ai ceti sociali più alti, ma presentano il pregio che un numero non esiguo è scritto da donne (quantomeno quelle più alfabetizzate, come nobili e monache) e dunque rappresentano una fonte preziosa per accostarsi all’universo femminile coevo; le fonti contabili, cioè quei documenti legati alla contabilità di aziende o privati, come ad esempio i registri contabili di mercanti o la contabilità gestita da istituzioni apposite57 per conto di persone non in grado di gestire autonomamente i propri
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Ad esempio per l’età moderna possiamo ricordare i Diarii del nobile veneziano Marin Sanudo (1466-1536). Per un approfondimento su questo cfr. ad esempio A. Petrucci, Scrivere lettere. Una storia plurimillenaria, Roma-Bari, Laterza, 2008. 56 Spesso sono poi edite in raccolte editoriali. Per un approfondimento su questo cfr. L. Braida, Libri di lettere. Le raccolte epistolari del Cinquecento tra inquietudini religiose e «buon volgare», Roma-Bari, Laterza, 2009. 57 Come il giudice di petizon a Venezia. 55
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affari58. Tali documenti, registrando le entrate e uscite (per il mangiare, per l’affitto, per l’istruzione…), offrono varie informazioni sulla vita quotidiana coeva; le fonti letterarie, consistenti in opere di carattere letterario. Essendo opere artistiche frutto d’invenzione creativa vanno, ovviamente, usate con cautela, non essendo delle fonti propriamente storiche; ma non vanno trascurate, in quanto possono contribuire a fornire uno spaccato dell’ambiente sociale e intellettuale coevo, a offrire informazioni sulla cultura materiale (modi vestire, cibi usati…), a chiarire i rapporti tra arte e politica. Affini a questo tipo di fonte sono le fonti folkloriche (come le raccolte di proverbi), le opere di saggistica (nelle quali la soggettività diminuisce ma non svanisce, anche tenendo conto della minore rigorosità scientifica dell’epoca), i fogli di avvisi e i primi giornali (che proprio nella prima età moderna iniziano a diffondersi sempre più 59).
3.1.2 - Le fonti non scritte Pur se le fonti scritte restano il tipo di fonte preminente nella ricerca storica, la moderna storiografia ha ampiamente imparato a utilizzare anche le fonti non scritte, specie dopo lo sviluppo del rapporto con le altre scienze sociali e l’arricchimento del tradizionale campo di ricerca60 andando oltre i soli grandi eventi politico-militari tipici della cosiddetta histoire événementielle61; come afferma Chabod “lo storico deve tenere gli occhi ben aperti su tutto quanto rimane di età trascorse, perché da ogni cosa egli può derivare spunti e motivi per la sua ricostruzione”62. Possiamo distinguerle tra: fonti iconografiche, legate a un’immagine (e quindi opere d’arte, disegni, carte geografiche, fotografie…); fonti materiali, e cioè gli oggetti materiali del passato (e quindi armi, utensili, vestiti, mobili, oggetti preziosi… o anche monumenti ed edifici); fonti immateriali, come ad esempio una lingua (i mutamenti di significato delle parole di una lingua o l’introduzione di nuove, infatti, possono testimoniare ad 58
Come ad esempio i minori senza padre perché morto o fuori per viaggio, oppure i paralitci. Per un approfondimento cfr. M. Infelise, Prima dei giornali. Alle origini della pubblica informazione, RomaBari, Laterza, 2005. 60 Con nuovi temi come le forme di assistenza sciale, gli aspetti demografici, il mangiare, il vestire, l’economia, l’amore, le strutture familiari… 61 Non a caso si parla di nouvelle histoire. Un ruolo molto importante in ciò ha rivestito la rivista Annales fondata nel 1929 da Marc Bloch e Lucien Febvre. 62 Cfr. F. Chabod, Lezioni di metodo (op.cit.), pag. 58. 59
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esempio dei cambiamenti nella mentalità e nelle conoscenza della gente che utilizza tale idioma, o una dominazione straniera, o la presenza di importanti flussi migratori); fonti paesaggistiche, relative alla fisionomia del paesaggio urbano e non urbano. Le fonti non scritte63 rivestono una particolare importanza per quei contesti in cui le fonti scritte pervenute sono scarse, o per determinati temi. In generale, nel loro utilizzo è sempre importante cercare di comprendere perché sono state create e qual è il percorso storico che le ha portate fino a noi, e vanno sempre integrate con l’utilizzo delle fonti scritte disponibili.
3.2 - Critica esterna e critica interna Esistono, dunque, vari tipi di fonte ed è importante che lo storico nel suo lavoro attui una contaminatio tra più tipi di fonte64; come afferma Bloch “sarebbe una grande illusione immaginare che a ciascun problema storico corrisponda un tipo unico di documenti, specializzato per quell’uso”65. In generale, poi, nell’utilizzo delle fonti lo storico deve, come detto, assumere sempre un atteggiamento critico, limitarsi a trarre da esse solo ciò che dicono con certezza, tener conto dei possibili collegamenti tra i vari documenti66, e chiarire da chi, come, quando e perché il documento è stato prodotto e come è giunto fino a noi. Essenzialmente distinguiamo tra critica esterna e critica interna. La critica esterna è volta ad accertare l’autenticità di una fonte, e quindi a verificare che l’autore e la data e il luogo di produzione coincidano con quanto affermato dalla fonte stessa, al fine di ovviare a falsificazioni o successive interpolazioni (più difficili da scoprire)67. A tal fine possono essere utili delle analisi chimiche sui materiali della fonte, delle analisi paleografiche sul tipo di scrittura adottato, delle analisi filologiche sulla lingua utilizzata, delle analisi sull’ordine degli argomenti e sulle formule verbali 63
Nelle quali possono rientrare anche le fonti orali e le fonti audiovisive, che, però, non sono utilizzabili per la storia moderna. 64 Nella consapevolezza, ovviamente, che ogni tipo di fonte richiede delle specifiche tecniche di decifrazione. 65 Cfr. M. Bloch, Apologia della storia (op.cit.), pag. 71. 66 Cioè, ad esempio, se si analizza una data lettera può essere utile confrontare anche le lettere di risposta, o se si analizza la delibera di un dato organo politico presa a seguito di delibere di altri organi può essere utile analizzare i documenti relativi a queste ultime. 67 Tale lavoro, chiaramente, è fondamentale soprattutto per quelle epoche, come l’età medievale, dove i documenti scarseggiano e quindi la validità o meno di un singolo documento ha conseguenze rilevanti; già per l’età moderna questo aspetto si ridimensiona, in quanto la maggiore disponibilità di documentazione permette di cogliere più facilmente le falsificazioni eclatanti.
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adoperate (compito della diplomatica)68. Ovviamente, più la falsificazione avviene in un’epoca lontana da quella a cui dichiara di appartenere, più è facile da scoprire; in ogni caso, comunque, va tenuto conto che anche un falso può essere un documento storico perché racchiude delle verità, seppur diverse da quelle che dichiara 69. La critica interna, invece, è volta ad analizzare il contenuto della fonte, per verificarne l’attendibilità, e quindi a stabilire se ciò che riporta non discorda con le conoscenze note e certe del periodo, e se l’autore è credibile o meno, se è un testimone diretto o indiretto dei fatti, con quali intenzioni crea la fonte. Anche in questo caso, le fonti non attendibili in quanto tendenziose sono ugualmente utili nel lavoro storico perché rivelano il pensiero di un determinato autore e di un determinato ambiente70.
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Celebre, ad esempio, la confutazione della Constitutum Contantini da parte dell’umanista Lorenzo Valla. Ad esempio la Constitutum Contantini è rivelatrice delle aspirazioni di potere temporale della Chiesa dell’VIII secolo d.C. 70 Ad esempio la narrazione del Concilio di Trento svolta da Paolo Sarpi nel suo Istoria del concilio tridentino è sicuramente faziosa, ma è rivelatrice delle tendenze anticuriali della Venezia del ‘600. In generale, su quanto detto nel seguente capitolo cfr. M. Bloch, Apologia della storia (op.cit.), pp. 63-65; 8997; P. Goubert, Le fonti moderne: il XVII e il XVIII secolo, in F. De Vecchis - F. Mignella Calvosa (a cura di), La storia sociale: fonti e metodi, Firenze, Sansoni, 1975, pp. 96-101; J. Jacquart, Le fonti moderne: il XVI secolo, in F. De Vecchis - F. Mignella Calvosa (a cura di), La storia sociale (op.cit.), pp. 85-95; A. L. Carlotti, Ipotesi sulla storia (op.cit.), pp. 15-16; 206-207; J. Tosh, Introduzione alla ricerca (op.cit.), pp. 39-55; 68-84; L. Febvre, Problemi di metodo (op.cit.), pp. 140-142; F. Chabod, Lezioni di metodo (op.cit.), pp. 54-77; 90-101; 107-124; E. Di Nolfo, I documenti diplomatici: metodologia e storiografia, in AA.VV., Le fonti diplomatiche in età moderna e contemporanea: atti del convegno internazionale (Lucca, 20-25 gennaio 1989), Roma, Ufficio centrale per i beni archivistici, 1995, pp. 14-21; A. D’Orsi, Alla ricerca della storia (op.cit.), pp. 111-122; F. Haskell, Le immagini della storia: l’arte e l’interpretazione del passato, Torino, Einaudi, 1997, pp. 3-7; G. Galasso, Nient’altro che storia (op.cit.), pp. 301-303; P. Prodi, Introduzione allo studio (op.cit.), pag. 24; P. Corrao - P. Viola, Introduzione agli studi (op.cit.), pp. 35-46; M. Mustè, La storia (op.cit.), pp. 17-37; R. Bizzocchi, Guida allo studio (op.cit.), pp. 10-17; 92-98; A. Carbone - G. Da Molin, Gli uomini, il tempo (op.cit.), pp. 14-17; 41-106; S. Luzzatto, Premessa (op.cit.), in S. Luzzatto (a cura di), Prima lezione (op.cit), pp. 4-10; O. Niccoli, Storie di fantasmi (op.cit.), in S. Luzzatto (a cura di), Prima lezione (op.cit.), pp. 38-45; S. Rogari, La scienza storica (op.cit.), pp. 137-152; G. Galasso, Prima lezione (op.cit), pp. 184-187. 69
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4- LA RICERCA STORICA E IL WEB
La ricerca storica non è (e non poteva essere altrimenti) rimasta immune all’irrefrenabile crescita che l’informatica e, soprattutto, il World Wide Web hanno conosciuto negli ultimi anni. Tralasciando le importanti novità apportate nei decenni addietro dallo sviluppo delle risorse informatiche, che ormai appaiono come qualcosa d’ovvio e persino obsoleto71, il Web rappresenta ormai uno strumento imprescindibile per la ricerca storica72, alla quale offre molte opportunità e facilitazioni73. Prima di vedere nel dettaglio alcune di queste opportunità e facilitazioni, però, è bene chiarire che le risorse web possono costituire un importante aiuto nel lavoro di ricerca, ma non possono sostituirsi in toto ai metodi tradizionali; così come, possono facilitare l’utilizzo delle risorse presenti nelle biblioteche e negli archivi, ma non possono eliminare il frequentare questi luoghi e quindi la ricerca sul campo. Il Web, insomma, offre parecchie agevolazioni, ma anche pone non poche insidie. Ad esempio: trasmette l’idea che esista solo ciò che è reperibile su di esso, ma non è così74; è un territorio nel quale sono molto più presenti imprecisioni e manipolazioni perché mancano figure di mediazione tra domanda e offerta formativa ed esclude il rapporto tra maestro e allievo75; si è travolti da una overload d’informazione che in gran parte è solo “rumore”76; le risorse sono soggette a continui mutamenti e, in particolare per i documenti digital native, c’è il rischio di non riuscire più a trovarli (magari perché quel dato link non è più attivo); c’è una maggiore difficoltà nel ricomporre i contesti di produzione e modifica dei documenti, e quindi nel distinguere tra originalità e non originalità77. Pertanto, è importante mantenere un approccio 71
Uno dei primi e più famosi casi d’applicazione delle risorse informatiche alla ricerca storica è stata l’edizione elettronica del catasto fiorentino del 1427 realizzata, tra gli anni ’60 e ’70, da David Herlihy e Christiane Klapisch Zuber (autori del già citato “I toscani e le loro famiglie. Uno studio sul catasto fiorentino del 1427”). 72 Basta osservare come sta progressivamente crescendo la bibliografia dedicata a tale argomento. 73 Anche se l’Italia è indietro rispetto ai paesi anglofoni. 74 Ad esempio bisogna tenere conto che i motori di ricerca non hanno accesso a determinati contenuti del cosiddetto web profondo. 75 Emblematica, chiaramente, la famosa Wikipedia. 76 Pensiamo alle ricerche su Google, dove si ottengono enormi quantità di documenti che, però, risultano in gran parte inutili, perché la gerarchia delle informazioni è data da un algoritmo e non da un giudizio critico. 77 Tra l’altro, per la storia contemporanea si delineano non pochi interrogativi relativi alla crescita delle fonti nativamente digitali (come le e-mail, che si sostituiscono alle vecchie lettere cartacee), che da un lato costituiscono un’enorme quantità di materiale nel quale è molto difficile stabilire cos’è interessante e cosa no,
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consapevole e critico con i documenti, e non abbandonare in toto i metodi tradizionali. Nello specifico, per quanto riguarda il lavoro tradizionalmente svolto in biblioteca il Web offre innanzitutto la possibilità di consultare online i cataloghi delle biblioteche (attraverso i cosiddetti OPAC, che possono essere specifici di una singola biblioteca o collettivi78), che permettono di verificare rapidamente quali volumi e riviste possiede una biblioteca79 e di avviare una prima ricerca bibliografica80. Inoltre, sempre più le biblioteche offrono la possibilità di consultare online testi digitali o le riproduzioni digitali di alcuni volumi e riviste. Esistono, poi, varie biblioteche online, che permettono la consultazione di testi sul Web. Tra di esse la più famosa è certamente Google Books, ma va detto che solo una parte dei testi è liberamente visibile (e, generalmente, non per tutte le pagine)81. Dei progetti più specificatamente utili per lo studio della storia moderna, invece, sono la collezione dell’AMS Historica82, la Early european books83, la raccolta digitale dei Fuggerzeittungen84. Tra le raccolte digitali di periodici, invece, possiamo ricordare innanzitutto JSTOR, a pagamento e ormai comprensiva anche di libri e fonti primarie; o, specificatamente legata all’ambito italiano, la collezione digitale di 117 periodici italiani85 curata dalla BIASA (Biblioteca di Archeologia e Storia dell’Arte). Per quanto riguarda la ricerca d’archivio, invece, il Web offre innanzitutto la possibilità di acquisire informazioni sugli archivi86 e sulla loro consistenza87 grazie ai siti di guida generale88 o ai siti specifici degli archivi. Più rara, invece, è la possibilità e dall’altro lato presentano un carattere molto fragile in quanto più facilmente cancellabili, perdibili, modificabili. 78 L’OPAC collettivo più importante in Italia è quello del SBN. Specificatamente dedicato ai periodici è l’Archivio Collettivo Nazionale dei Periodici (ACNP), nel quale sono presenti versioni digitali e digitalizzate di periodici che non sono presenti sull’SBN (dove, comunque, risultano essere indicizzati più periodici). Il più importante metaOPAC (cioè un insieme di più OPAC collettivi) italiano, invece, è il MAI (metaOPAC Azalai italiano). 79 Oltre a una serie d’informazioni come la collocazione, o se sono prestabili. 80 Va tenuto conto, comunque, che possono esserci documenti, specie tra il materiale più antico, non indicizzati e, pertanto, è sempre utile recarsi direttamente in biblioteca se si vuole approfondire la ricerca. 81 Gran parte del materiale, inoltre, è in inglese. 82 Una collezione di opere storiche digitalizzate dall’Università di Bologna. 83 Dove sono digitalizzati migliaia di testi realizzati tra XV e XVII secolo (ma è a pagamento). 84 Cioè i notiziari manoscritti raccolti, tra ‘500 e primo ‘600, dai fratelli Fugger (la raccolta digitale è curata dall’Università di Vienna). 85 Compresi tra XVIII secolo e primi anni del XX secolo. 86 Dov’è la sede, quali sono gli orari di accesso, quali sono le regole di consultazione… 87 quali fondi sono presenti e come sono articolati, tenendo conto che sempre più parte degli inventari sono consultabili online 88 Ad esempio, per gli archivi di Stato possiamo ricordare il sito della Guida generale degli Archivi di Stato Italiani (curato dal Ministero dei beni culturali) e il sito del SIAS (Sistema informativo degli Archivi di Stato, con informazioni più aggiornate in quanto il caricamento dei dati è svolto direttamente dagli archivi ma meno archivi presenti); per gli altri tipi di archivio è utile la consultazione del sito del SIUSA (Sistema Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche) o i siti dei sistemi regionali e locali.
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di accesso diretto al documento scannerizzato89, anche per la consapevolezza che la ricerca sul campo è insostituibile; nel caso in cui, comunque, si utilizzino fonti digitalizzate bisogna accentuare, e non diminuire, l’approccio critico90. Rimandando alla bibliografia di riferimento l’ulteriore approfondimento delle varie risorse online utili ai fini della ricerca storica, qui accenniamo brevemente a qualche altro strumento utile: le riviste nativamente digitali91 e i siti delle riviste cartacee92; il sito dell’Historical abstracts93; il sito dell’European History Primary Sources curato dall’Istituto Universitario Europeo di Fiesole94; il sito di storia moderna promosso dalla SISEM95. Infine, va ricordato che i documenti digitali utilizzati per la propria ricerca vanno citati indicando anche l’URL di riferimento e la data di ultima consultazione, oppure il DOI; se si tratta di documenti cartacei utilizzati in formato immagine va sempre riportata la citazione archivistica originaria96.
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Ad esempio l’Archivio di Stato di Firenze mette a disposizione in forma digitale il fondo Mediceo avanti il principato. 90 Il doppio digitale, infatti, non può essere una copia perfetta, specie se è fatta con una risoluzione non ad altissima qualità, e, pertanto, ci può essere una perdita d’informazione; è preferibile, poi, che venga digitalizzato l’intero fondo anziché un documento singolo perché in questo caso quest’ultimo perde la sua contestualizzazione e ne viene compromessa la piena interpretazione. 91 Ad esempio gli «Annali di Storia di Firenze» sono integralmente digitali dal 2011. 92 Ad esempio la «Nuova rivista storica» offre la possibilità di consultare online gli indici dei fascicoli e anche qualche abstracts ed editoriale. 93 Contenente vari abstracts di articoli, tesi, monografie. 94 Con varie fonti digitali utili per la storia moderna e contemporanea. 95 Contenente informazioni di vario tipo come l’anagrafe degli studiosi o il calendario di eventi e iniziative. 96 Su quanto detto nel seguente capitolo cfr. S. Vitali, Passato digitale: le fonti dello storico nell’era del computer, Milano, Bruno Mondadori, 2004, pp. 13-15; 48-49; 69-104; 137-145; 155-168; S. Rogari, La scienza storica (op.cit.), pp. 147-149; G. Abbattista, Le risorse online per la storia moderna, in R. Minuti (a cura di), Il web e gli studi storici: guida critica all’uso della rete, Roma, Carocci, 2015, pp. 225-248; R. Minuti, Introduzione, in R. Minuti (a cura di), Il web e gli studi (op.cit.), pp. 11-17; R. Ridi, Biblioteche e bibliografie online, in R. Minuti (a cura di), Il web e gli studi (op.cit.), pp. 21-45;C. Spagnolo, Le riviste digitali e la ricerca storica, in R. Minuti (a cura di), Il web e gli studi (op.cit.), pp. 107-130; S. Vitali, La ricerca archivistica sul web, in R. Minuti (a cura di), Il web e gli studi (op.cit.), pp. 69-102.
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5- UN PROGETTO DI RICERCA
Una volta definiti gli aspetti fondamentali della ricerca storica, possiamo provare a illustrare le tappe di un progetto di ricerca97. 1) Definizione dell’ipotesi di ricerca Innanzitutto bisogna definire l’ipotesi di ricerca, attraverso (oltre che i propri interessi) l’analisi delle più attuali prospettive di ricerca, dello stato degli studi su un dato argomento, delle fonti disponibili98. Quindi si può articolare il tema scelto attraverso una griglia tematica che definisca più nello specifico i vari aspetti da considerare e che si configuri, quindi, come un percorso di ricerca. 2) Acquisizione della bibliografia e individuazione delle fonti Una volta definito l’oggetto della ricerca, bisogna acquisire la bibliografia di riferimento e individuare le fonti storiche da utilizzare. Per quanto riguarda la bibliografia è bene, come lavoro preliminare, partire dalla scelta delle migliori opere a carattere generale99, attraverso le quali si potrà meglio inquadrare il contesto di riferimento. Quindi si passa alla selezione delle monografie più attinenti all’argomento di ricerca, prendendo in considerazione lavori via via sempre più specifici, partendo dalla letteratura più recente (per poi risalire indietro nel tempo100) e tenendo conto della bibliografia straniera. Utile può risultare l’uso di dizionari e testi enciclopedici101 per definire determinati concetti chiave. Per quanto riguarda l’individuazione delle fonti, si può partire dall’analisi delle fonti edite, ma sempre è bene non limitarsi a ciò e fare ricerca sul campo 102 recandosi nelle biblioteche e, soprattutto, presso gli archivi. 97
Pur nella consapevolezza che, come afferma Chabod, “ogni ricerca abbisogna di particolari avvertenze critiche, di un procedimento metodologico «suo» proprio, che nessuna teoria generalizzante potrebbe mai dare”, cfr. F. Chabod, Lezioni di metodo (op.cit.), pag. 3. 98 In generale, specie per chi è agli inizi, è bene rispettare, oltre che un criterio di originalità, un criterio di fattibilità, evitando tematiche troppo ampie o complesse. 99 Come, ad esempio, i volumi de “La storia: i grandi problemi dal Medioevo all’età contemporanea” editi dalla UTET e curati da Nicola Tranfaglia e Massimo Firpo. 100 Al contrario degli studi scientifici, infatti, la validità delle opere storiografiche non si limita agli ultimi anni. 101 Come l’Enciclopedia Treccani o il Dizionario biografico degli italiani. 102 Anche perché nulla esclude che nell’edizione a stampa delle fonti non ci siano errori.
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Esistono vari tipi di archivio: di Stato103, comunali, privati104, ecclesiastici105, e così via. Certamente il lavoro d’archivio non è semplice106, specie per chi è alle prime armi, ed è importante affinare con pazienza e costanza la propria abilità107. Essenziale è tener conto che i documenti d’archivio non sono stati prodotti per essere una fonte storica, ma in seguito a determinate attività pratico-operative svolte da determinati soggetti; pertanto, nella ricerca delle fonti utili non si può procedere secondo un criterio per argomento, ma bisogna capire quale può essere stata l’istituzione che svolgeva le funzioni legate al tipo di documento che si cerca. Quindi è sempre importante ricostruire quali siano state le forme di governo e le strutture organizzative dell’ambito cronologico-spaziale di riferimento, per non perdersi in una marea carte; ed è importante cercare di ricostruire il percorso d’archivio che i documenti hanno fatto, per ritrovare quelli apparentemente persi. 3) Elaborazione della bibliografia e delle fonti Acquisita la bibliografia e trovate le fonti, bisogna elaborare entrambe per selezionale il materiale d’interesse. Questo significa: leggere la bibliografia, segnare ciò che interessa, eliminare il restante; attuare la critica esterna e interna alle fonti, segnare ciò che interessa, eliminare il resto. Può essere utile collocare il materiale d’interesse nella griglia tematica precedentemente elaborata, distribuendolo per tema, in modo da valutare a quali temi dare più importanza e a quali meno. 4) Riempire la struttura ed esporre i risultati Arrivati a questo punto, si passa alla stesura dei risultati della ricerca. Fare storia, infatti, non significa solo studiare il passato, ma anche raccontarlo108.
103
Utile può risultare la Guida generale degli Archivi di Stato Italiani o il rispettivo sito web (cfr. la nota 88). Cioè gli archivi appartenenti a delle famiglie private, generalmente nobili. Risultano molto importanti, specie per l’età moderna (dove la differenza tra pubblico e privato è sfumata, e i membri delle famiglie aristocratiche rivestono importanti ruoli politico-economici), perché vi si possono trovare documenti con informazioni assenti nei documenti degli archivi pubblici, o copie di documenti degli archivi pubblici andati perduti. L’accesso a tali archivi, però, è difficoltoso, ad esempio per questioni di privacy (per accedere bisogna presentare domanda presso la Soprintendenza archivistica territorialmente competente); inoltre, a volte i documenti sono mal organizzati e conservati (per la non applicazione delle regole archivistiche pubbliche). 105 A loro volta distinti in vari tipi: diocesani, capitolari, e così via (oltre all’Archivio Vaticano). Sono posti sotto la giurisdizione della Chiesa, e anch’essi presentano maggiori difficoltà d’accesso, ad esempio perché in genere non aperti quotidianamente. Risultano, però, i meglio conservati, e rivestono una notevole importanza per l’età moderna dato il ruolo di primo piano che la Chiesa svolgeva non solo in materia religiosa. 106 Pensiamo semplicemente alla difficoltà di lettura che presentano non pochi documenti. 107 In questo senso, quindi, è utile in una ricerca prendere in considerazione un gruppo limitato di anni, per non dover avere a che fare con una quantità elevatissima di documenti. 108 Riprendendo, ad esempio, la definizione di Giuseppe Galasso, per cui la storia è “lo studio e la narrazione di ciò che è accaduto nel passato”, cfr. G. Galasso, Prima lezione (op.cit.), pag. 3. 104
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Innanzitutto è bene abbozzare un indice del volume, articolandolo in una premessa109, un’introduzione110, i vari capitoli111, e una conclusione112 (e nei rispettivi paragrafi e sottoparagrafi). Quindi si può passare alla stesura vera e propria113, tenendo conto che è importante: basarsi solo su quanto emerge dalle fonti114; usare un linguaggio chiaro e preciso, denso di contenuti sostanziali e scevro di artifici letterari volti a favorire la partecipazione emotiva115; seguire il criterio della narrazione diacronica; non scrivere un numero eccessivo di pagine, limitandosi a ciò che davvero serve. Inoltre, è fondamentale inserire nelle note a piè di pagina 116 la citazione delle fonti primarie e secondarie sulle quali ci si è basati nelle proprie affermazioni, affinché queste siano verificabili e quindi assumano un carattere scientifico. Per quanto riguarda le fonti bibliografiche utilizzate, vanno citate indicandone l’autore117, il titolo118, il luogo di pubblicazione, l’editore e la data di pubblicazione 119. Nelle opere di miscellanea, al nome dell’autore e al titolo dell’opera segue un “in” e l’indicazione del titolo dell’opera miscellanea, dell’eventuale curatore, delle note tipografiche, delle pagine prese in considerazione. Per gli articoli di riviste, invece, è necessario indicare, oltre all’autore, il nome della rivista, l’annata e il numero della rivista alla quale appartiene l’articolo120, e le pagine iniziali e finali dell’articolo. Per quanto riguarda le fonti d’archivio, invece, vanno segnalati tutti gli elementi che consentono una precisa identificazione e individuazione del documento preso in esame (dal livello informativo più generale al livello informativo più specifico): dove è conservato, a quale fondo appartiene, a quale pezzo corrisponde, di quale carta o carte si tratta121.
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Nella quale si presentano le finalità e l’articolazione dell’opera, si illustrano i criteri metodologici, si delimita il campo d’indagine (generalmente è scritta alla fine). 110 Nella quale, generalmente, si ricostruisce il contesto storico di riferimento, sulla base delle fonti secondarie. 111 Che grossomodo seguono la griglia tematica precedentemente elaborata. 112 Nella quale si attua una sintesi interpretativa della precedente narrazione, e si pongono riflessioni sul dopo. 113 Il cui taglio assume una configurazione più narrativa o più quantitativa a seconda del tipo di ricerca. 114 Quindi, ad esempio, non inserire dialoghi non documentati. 115 Ma, allo stesso tempo, non scrivere in un modo pedante e sciatto, e saper unire alla solidità del contenuto una certa leggibilità e vitalità. 116 O alla fine di capitolo o testo (ma risultano più scomode). 117 Se si tratta di un’opera anonima si cita direttamente il titolo; se si tratta di un’opera con più di tre autori si cita solo il primo e si aggiunge la stringa <<et. Al.>>, oppure si usa la sigla AA.VV.; se si tratta di una raccolta di saggi con un curatore va indicato quest’ultimo (prima o dopo il titolo) con la dicitura <<a cura di>>. 118 Con l’eventuale sottotitolo. 119 Se si tratta di un’edizione successiva alla prima è utile indicare tra parentesi anche la data della prima edizione. 120 E l’eventuale numero di fascicolo. 121 Con l’indicazione di recto o versus.
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Sulle peculiaritĂ della citazione delle fonti elettroniche, infine, abbiamo giĂ accennato nel capitolo 4122.
122
Su quanto detto nel seguente capitolo cfr. A. Dâ&#x20AC;&#x2122;Orsi, Alla ricerca della storia (op.cit.), pp. 126-129; I. Zanni Rosiello, Andare in archivio (op.cit.), pp. 12-28; 33-37; 189-209; J. Topolsky, Narrare la storia (op.cit.), pp. 1928; L. Casella, Introduzione, in L. Casella - R. Navarrini (a cura di), Archivi nobiliari e domestici: conservazione, metodologie di riordino e prospettive di ricerca storica, Udine, Forum, 2000, pp. 7-10; A. Romiti, Gli archivi domestici e personali tra passato e presente, in L. Casella - R. Navarrini (a cura di), Archivi nobiliari (op.cit.), pp. 21-25; P. Prodi, Introduzione allo studio (op.cit.), pp. 37-45; 169-217; S. Luzzatto, Premessa (op.cit.), in S. Luzzatto (a cura di), Prima lezione (op.cit.), pp. 6-10; S. Rogari, La scienza storica (op.cit.), pp. 152-174; 194-217.
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6- NUOVE PROSPETTIVE: LA STORIA GLOBALE
A conclusione di questo lavoro accenniamo brevemente a una delle prospettive di ricerca più seguite dagli studiosi negli ultimi anni, e cioè quella della storia globale. Il successo di questa è legato alla perdita di centralità dell’Europa nel mondo e alla conseguente apertura della storiografia agli altri mondi, e al trionfo della globalizzazione che annulla sempre più le distanze temporali e spaziali e indebolisce i concetti di Stato e frontiera. Questa storia globale, comunque, non va intesa come una sorta di storia universale o come un qualcosa che necessariamente si applica all’intero globo, ma come un particolare approccio che cerca di leggere ogni processo storico in chiave relazionale con altri processi, che cerca di cogliere gli elementi di interdipendenza e di scambio, che relativizza l’esperienza europea integrandola con quella del resto del mondo, che fa dialogare le civiltà non inquadrandole come entità separate123, che trascende dall’unità di analisi tradizionale dello Stato-nazione e da una concezione di storia a compartimenti stagni124. Come afferma Sebastian Conrad, insomma, “la circolazione e lo scambio di cose, persone, idee e istituzioni sono tra gli oggetti più importanti di questo approccio”125. Tale prospettiva, tra l’altro, aspira ad essere applicata a qualsiasi epoca storica, compresa l’età moderna, anche se ciò appare non semplice tenendo conto di come, ad esempio, sia dominante la prospettiva eurocentrica in questa fase. È, però, interessante l’invito ad allargare gli orizzonti e, quindi, ad esempio, a comprendere meglio il trionfo coevo dell’Europa attraverso l’analisi delle altre aree 126 o a cogliere gli eventi della storia moderna in un’ottica transnazionale.
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Individuandone gli scambi culturali, tecnologici, economici o anche ad esempio malattie infettive Senza, però, forzare queste interdipendenze e annullare completamente l’attenzione ai contesti specifici e la consapevolezza delle originalità delle entità locali. 125 Cfr. S. Conrad, Storia globale: un’introduzione, Roma, Carocci, 2015, pag. 18. 126 Su quanto detto in questo capitolo cfr. G. Ricuperati, Apologia di un mestiere difficile: problemi, insegnamenti e responsabilità della storia, Roma-Bari, Laterza, 2005, pp. 15-23; 46-52; P. Rossi, Il senso della storia: dal Settecento al Duemila, Bologna, Il Mulino, 2012, pp. 423-453; L. Di Fiore - M. Meriggi, World History: le nuove rotte della storia, Roma-Bari, Laterza, 2011, pp. 18-27; S. Conrad, Storia globale (op.cit.), pp. 17-29; 66-71. 124
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APPENDICE (A): POSSIBILI LETTURE DI APPROFONDIMENTO
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