Accompagnamento Spirituale in Andrè Louf

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FACOLTÀ TEOLOGICA DI SICILIA

STUDIO TEOLOGICO S. PAOLO - CATANIA -

COCO IGNAZIO SORBELLO MARIANGELA

ACCOMPAGNAMENTO SPIRITUALE E SCIENZE UMANE IN ANDRÉ LOUF

_______ ELABORATO DEL SEMINARIO DI RICERCA

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Chiar.mo Prof. SALVATORE GARRO

Anno Accademico 2003 / 2004


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INTRODUZIONE Il seminario in questione tratterà dei vari metodi di approccio riguardo al problema della direzione-accompagnamento spirituale. Il professore ci ha suddivisi in quattro gruppi che abbracciano diversi correnti e autori: stile classico-gesuitico, stile classico-morbido, stile antropologico, stile umanistico-esistenziale. Noi in questo elaborato ci occuperemo del secondo filone: quello denominato classico-morbido ed analizzeremo, a riguardo, il pensiero del monaco domenicano André Louf. André Louf, nato nel 1929 a Lovanio, è entrato nel 1951 nell’Abbazia cistercense-trappista di Montdes-Cats (nelle Fiandre francesi), nella diocesi di Lille. Ne è divenuto il Padre Abate nel 1963 (durante il concilio Vaticano II), ed ha dato le dimissioni nel 1997, ha contribuito con i suoi scritti e la sua umile sapienza alla riscoperta degli elementi essenziali della vita cristiana in occidente e al rinnovamento della vita monastica invocato dal concilio. Lasciato nel 1998 il servizio abbaziale, vive oggi ritirato in un eremo in Provenza, presso un monastero di monache benedettine. I testi di riferimento da noi utilizzati per il presente elaborato sono stati: ANDRÉ LOUF, Generati dallo Spirito, Edizioni Qiqajon, Magnano (BI) 1994; e ANDRÉ LOUF, Sotto la guida dello Spirito, Edizioni Qiqajon, Magnano (BI) 1990 (per questo secondo testo abbiamo utilizzato soltanto il capitolo della “Paternità spirituale” pp. 86-115).


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André Louf in Generati dallo Spirito, tratta della direzione spirituale che nasce tra la relazione di due persone, una delle quali si sforza di insegnare all’altra come cercare Dio e vivere con Lui. Il Nostro preferisce utilizzare il concetto di “accompagnamento spirituale” piuttosto che di “direzione spirituale”, poiché mai come oggi la domanda di aiuto spirituale da parte di giovani e meno giovani è stata così grande e così urgente nel cercare una guida o un maestro. Questa avventura non è sola dei monaci o delle monache, ma interessa ogni battezzato che voglia prendere sul serio il germe della vita al fine di farlo crescere e sviluppare. Per fare ciò ha bisogno di un padre spirituale, il quale è molto più di un maestro, poiché egli nel momento in cui viene scelto dal discepolo diventa il modello da seguire, come lo fu Gesù con i suoi discepoli. André Louf cita alcuni personaggi: secondo Sören Kierkegaard il padre spirituale è più di un amico, mentre Dante parlando della sua guida spirituale (si riferisce a Virgilio) confessa che per lui è più di un padre. A questo punto ciò che ci proponiamo di fare è quello di evidenziare come l’autore intende definire: che cos’è l’accompagnamento spirituale; qual è il suo scopo e il suo fine e chi è l’oggetto e il soggetto di questo accompagnamento.


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1. ACCOMPAGNAMENTO SPIRITUALE Per André Louf accompagnamento spirituale è come una conversione continua, non solo dell’accompagnato, ma in primo luogo dell’accompagnatore. Si tratta infatti di due esseri che si trovano a confronto, che sono chiamati a fare un pezzo di strada insieme e tra i quali deve accadere un evento importante, che non è quello di una vita qualsiasi, ma la vita stessa di Dio. Il Nostro definisce questo evento come l’incontro con Colui che dà la luce e la forza del Suo Spirito. L’evento si trova a servizio del mistero della Parola di Dio, che costituisce la chiave essenziale di ogni discernimento spirituale. Un tale discernimento presuppone una disponibilità continua dell’evento della Parola, evento che si rinnova incessantemente nel cuore del lettore cristiano, ma rimane sconosciuto per chi si limita a una semplice esegesi storica. Un esempio concreto potrebbe essere la lettura dell’AT sulla storia del popolo di Israele, in un primo momento possiamo trovarla banale, ma attraverso di essa se ne può discernere una storia che noi chiamiamo santa in quanto viene condotta da Dio. In questo senso, ogni vera lettura della Scrittura, che i monaci di Occidente la identificano con il termine di Lectio divina. Essa implica un continuo esercizio di discernimento in quanto raggiunge il cuore di ogni credente, il cuore diventa una “ascoltante” e un “vedente” della Parola di Dio. È importante evidenziare anche ciò che dice il NT nei confronti del discernimento spirituale, esso non è concepibile se il soggetto non si lascia coinvolgere in un insanabile movimento di conversione. Citando Paolo, possiamo dire, che un tale discernimento dipende da un rinnova-


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mento del “

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” (cuore) nel senso che il soggetto in questione (Paolo) al

cuore della conversione è diventato un altro, poiché è stato rinnovato dallo Spirito Santo. Solo un vero discernimento può determinare una obbedienza cristiana che produca quella di Cristo accettando di andare fin dove Cristo stesso è andato, nel Mistero della sua Pasqua: è stato obbediente fino alla morte1, nel senso che Gesù morì in adesione alla volontà del Padre. A riguardo è interessante l’etimologia del termine obbedienza: in ebraico obbedire è semplicemente ascoltare « «

=

+

»,

in greco obbedire

» indica l’atteggiamento di chi avendo ascolta-

to non si sottrae all’ascolto, ma rimane saldo in esso. L’obbedienza implica la dimensione umana di persona a persona, in questo senso essa si distingue dalla esecuzione; eseguire implica soltanto fare quello che viene detto senza pertanto che sia implicata la condivisione dell’animo, obbedire significa fare proprio quello che si è ascoltato e quindi attuarlo come proprio. L’obbedienza di Gesù non fu l’esecuzione di quello che il Padre voleva, ma fu prima di tutto la profonda accoglienza, la profonda condivisione di quello che il Padre voleva, cosicché Gesù ha agito per propria libera adesione. Per il Nostro l’obbedienza non indica in significato di avere “la coscienza a posto”, in quanto mette il soggetto ad impegnare la sua libertà, perché partecipa di un vero dramma, ma che si identifica come un dramma salvifico, cioè essere salvati, poiché ci trasforma a diventare uomini nuovi dotati di una sensibilità nuova e di uno sguardo nuovo. Fino adesso abbiamo parlato di accompagnamento e di discernimento spirituale, ma ancora non si è detto a chi spetta il ministero dell’accompagnamento. In principio esso era riservato ai presbiteri, ma per sua natura è un carisma che è disponibile per tutti e quindi può essere esercitato da ogni cristiano. Questo ministero affonda le sue radici nel sacerdozio battesimale (o comune) e non richiede “di per sé” il sacerdozio 1

Cfr. Fil 2,8.


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ministeriale, e perciò non è riservato unicamente agli uomini, ma anche alle donne. L’accompagnatore spirituale deve rendere testimonianza delle meraviglie che sono state a lui operate da Dio e trasmettendole ai fratelli.

2. LO SCOPO DEL COLLOQUIO SPIRITUALE Per la tradizione l’accompagnamento si basa sul dialogo: il discepolo interroga suo padre nell’attesa di una parola che si presume che questi sia in grado di offrirgli ed è per questo che il contenuto di questo dialogo lo chiamiamo comunemente: apertura del cuore o manifestazione dei pensieri. Sarà utile distinguere, al fine di avere diversi livelli di profondità, nella relazione di accompagnamento tra: 1) dialogo di accompagnamento; 2) pedagogia spirituale; 3) paternità spirituale.

2.1. Dialogo di accompagnamento Esso rappresenta il caso più frequente, si stabilisce a poco a poco una intimità con una persona del proprio ambiente di cui si apprezzano certe qualità: la capacità di accoglienza, il dono di simpatia, l’esperienza, la prudenza, lo spirito di fede. Ci si sente a proprio agio con lei, si percepisce che si possono condividere quelle cose che non con tutti si condividono. Una relazione di questo tipo è fraterna e amichevole poiché si vive su piani di parità e nonostante la sua apparente semplicità merita di essere presa sul serio perché alla lunga può diventare profonda. Ma non deve essere necessariamente né duratura, né unica perché si dovrebbe cercare


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di far coesistere contemporaneamente più legami di questo tipo, senza mettersi in concorrenza e senza danneggiarsi a vicenda.

2.2. Pedagogia spirituale Essa è più specifica, ma meno comune. Come indica il termine stesso suppone un pedagogo (inteso come educatore) e una situazione in cui un soggetto chiede di essere preparato o formato in vista di un obiettivo molto concreto: un impegno da preparare, una scelta da fare, una prova da assumere, una svolta decisiva dell’esistenza d’affrontare. Solo in questa circostanza l’accompagnatore non viene scelto dal soggetto stesso, ma gli viene designato da altri, poiché in questo particolare compito si richiede una persona esperta e preparata.

2.3. Paternità spirituale La paternità spirituale si rivela all’interno di relazioni preesistenti: due amici, padre-maestro e novizio, superiore e fratello. Ma è necessario evidenziare che nessuno può arrogarsi il titolo di padre o madre da sé stessi, ma perché si è scelti ad esserlo, poiché Gesù ha detto E non chiamate nessuno “padre” sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello del cielo. E non fatevi chiamare "maestri", perché uno solo è il vostro Maestro, il Cristo. Il più grande tra voi sia vostro servo; chi invece si innalzerà sarà abbassato e chi si abbasserà sarà innalzato2. Adesso cerchiamo di individuare in modo dettagliato gli effetti in relazione all’accompagnamento spirituale. Intanto in questo colloquio l’accompagnato è come se dicesse al suo accompagnatore: oh, se almeno 2

Cfr. Mt 23,9-12.


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tu potessi accogliermi così come sono, e continuare ad amarmi, nonostante tutto ciò che ti confido! E il compito di quest’ultimo sarà quello di accogliere l’altro così come Dio lo accoglie. Dio non dice mai: ti amo perché sei bello, ma: ti amo perché sei tu, chiunque tu sia e quali che siano e tuoi peccati e torti. Prima di continuare nella esposizione del colloquio è bene distinguere l’accompagnamento spirituale dalla confessione (o sacramento della penitenza). Al presbitero, ministro del sacramento, si confessano i peccati commessi per i quali si richiede l’assoluzione, con la consapevolezza che è un sacramento, al padre spirituale, al di fuori di qualsiasi contesto sacramentale, si manifestano i desideri e le tendenze che affiorano nel cuore e nella immaginazione, anche se nessun peccato è stato commesso. Perciò alla propria giuda non si manifestano i peccati commessi, ma piuttosto ciò che i monaci chiamano i “logismoi” (i pensieri), da qui la pratica universale del monachesimo antico chiamata apertura del cuore o manifestazione dei pensieri. Usare il termine confessione, quindi, in questo contesto, sarà errato in quanto si tratta di mettersi in luce, di scoprirsi di fronte al proprio interlocutore. Colui che apre il proprio cuore non chiede una assoluzione e nemmeno un incoraggiamento o una parola rassicurante, anche se così potrebbe sembrare a prima vista, chiede di essere accettato per poter esprimere ad un altro desideri e sentimenti così a lungo repressi e rimossi. Costituisce per lui un evento straordinario che già di per sé rappresenta un enorme sollievo. Un tale processo avviene nella terapia psico-analitica tra l’analista e il suo paziente a cui Freud dà il nome di transfert. Freud constata con piena ragione che i suoi pazienti erano soliti trasferire su di lui (loro analista) i sentimenti che avevano provato un tempo nei confronti dei loro genitori. Questo miscuglio di sentimenti positivi e negativi avevano dei prolungamenti nella loro vita di adulti e coloravano in modo abituale il loro atteggiamento dinanzi a tutte le forme di autorità fino ad estendersi


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poi come una macchia d’olio su tutta la loro vita: alle relazioni di lavoro, di amicizia, alle relazioni dei figli e noi possiamo aggiungere, quando si tratta di credenti, fino ai loro legami con Dio3. I primi momenti del colloquio spirituale, quando i sentimenti più difficili vengono finalmente in superficie, sono sempre i più importanti. Il compito dell’accompagnatore sarà quello di accoglierli tranquillamente e con amore poiché non si tratta di approvare o di condannare le inclinazioni che si affacciano, ma si tratta di accettare una persona per come si presenta, magari anche affetta da sentimenti che riesce ad esprimere solo con difficoltà. Siamo di fronte ad un punto delicato di questo accompagnamento in quanto, dietro questa confusione, apparentemente inaccettabile, si nascondono sentimenti umani insoddisfatti e difficili da esprimere. L’obiettivo della paternità spirituale sarà quello di avvicinare la persona ai propri sentimenti e ai propri desideri più profondi, al fine di avvicinarlo allo Spirito Santo. Prima di arrivarci entrerà in conflitto con due istanze che sono in ciascuno di noi e rappresentano il nemico giurato del Maestro interiore (è lo Spirito Santo); queste due istanze sono: il censore interiore; e lo specchio.

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Cfr. ANDRÉ LOUF, Generati dallo Spirito, Edizioni Qiqajon, Magnano (BI) 1994, pagg. 75-78.


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3. COSA È, E QUAL È IL FINE DELLA RELAZIONE SPIRITUALE

Principalmente il compito dell’accompagnatore, in termini tradizionali, consiste nel correggere una coscienza alterata e di sostituirla con una coscienza retta.

3.1. Il censore interiore4 In termini psicologici, per altro più prossimi alla realtà spirituale, consiste nel neutralizzare l’influenza nefasta del censore interiore o del super-ego e di permettere allo Spirito Santo di agire su costui grazie all’amore. Tutto ciò viene fatto perché il censore interiore ha la predisposizione di soffocare la vita profonda dell’uomo, mentre lo Spirito Santo e la sua legge d’amore sono l’unica sorgente della sua vera vita. Ritornando al discorso del super-ego viene definito come un’istanza inconscia che esercita una certa autorità sulla nostra opzione concreta, soprattutto nella prima infanzia. Ancora oggi ne percepiamo, senza saperlo, l’eco di disapprovazione e di incoraggiamento di ordine, comandi o divieti ricevuti nel passato, di punizioni che ci sono state inflitte e di sensi di colpa da cui siamo stati schiacciati. Inutile dire che la formazione di questo super-ego è dovuta alle tracce giuste o sbagliate principalmente del proprio padre ed in seguito da insegnanti, educatori, preti, ecc… che hanno lasciato in noi. Il soggetto, divenuto adulto, si trova sotto il dominio di questo censore, il quale vieta certe cose, come avveniva in passato sotto il controllo più o meno severo del padre.

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Cfr. ANDRÉ LOUF, Generati dallo Spirito, Edizioni Qiqajon, Magnano (BI) 1994, pagg. 104-131.


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Quindi il soggetto si trova in difficoltà a svelare i suoi sentimenti e i suoi desideri, non perché sono cattivi, ma perché si sente inconsciamente giudicato dalla sua istanza interiore. Tale situazione si potrebbe verificare nel momento in cui l’accompagnato si trova di fronte al suo accompagnatore poiché vede in quest’ultimo la rappresentazione del suo censore interiore. Per la buona riuscita che il colloquio si conclude con la manifestazione dei desideri e dei sentimenti più profondi da parte dell’accompagnato è necessario che ciò non avvenga, affinché si possa raggiungere il Maestro interiore. A tal proposito possiamo citare il caso dello scrupoloso, il quale si trova letteralmente schiacciato sotto il peso della censura interiore, incapace di scegliere tra il bene e il male. Per potere aiutare quest’uomo è inutile calmare i suoi scrupoli con frasi: “questo non è male”, “non volevi veramente fare questo”, “non eri pienamente libero in quel momento”. Questo non è possibile perché una volta voltate le spalle l’aguzzino interiore si rimette all’opera e tutto ricomincia da capo. Il metodo da utilizzare ai fini di liberare questa persona dalla sua prigionia sarà intanto quello di vedere le qualità del rapporto, il quale suppone una forte dose di amore autentico, in grado di mettere in crisi la posizione che occupa il censore interiore. Ciò è dovuto dagli ordini ricevuti dai genitori o da qualsiasi tipo di autorità che diceva: “se non ti comporti come ti dico, non sarai più amato, non ti amerò più”. Ecco perché il legame affettivo nel rapporto tra accompagnatore e discepolo è così importante.


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3.2. Lo specchio Oltre al censore interiore che determina un’autorità tiranna che finisce per ridurre in schiavitù, l’accompagnatore dovrà liberare il suo accompagnato da un altro idolo che gli impedisce di vivere secondo la Grazia. L’idolo prende il nome di “specchio”, il quale, ha la capacità di allontanare il soggetto dalla sua realtà profonda, dai suoi veri desideri, e al tempo stesso, dall’unione dallo Spirito. Esso determina l’immagine idealizzata di se, che si è creata nel coso degli anni e alla quale si può essere appassionatamente legati. Un esempio potrebbe essere il mito di Narciso, innamoratosi della propria immagine riflessa in uno stagno e annegato nel momento in cui volle abbracciarla. Questo mito rappresenta simbolicamente la nostra condizione umana: “l’immagine ideale di noi stessi portata alle stelle”. «Quello che faccio o non faccio, le imprese in cui riesco come quella in cui fallisco vengono tutte inconsciamente valutate con il metro di questa immagine riflessa di me stesso. Desiderando ad ogni costo di essere ciò che non sono in realtà, rifiuto di essere quello che sono»5. L’accompagnatore si trova di fronte ad una realtà delicata ed una guida poco esperta potrà solo favorire l’influenza dell’immagine specchio costruita dal suo discepolo. Ciò invece che dovrà fare sarà quello di spezzare questa immagine come evidenzia la pedagogia di Dio: nel momento in cui lo specchio e l’immagine vanno in frantumi si apre una crisi temibile. Il soggetto di fronte ad una crisi del genere avrà l’impressione di aver perso ogni punto di appoggio, tanto da arrivare anche ad un crollo psicologico, ma che potrà essere evitato mediante l’amore e la misericordia infinita di Dio, in una parola, la Grazia.

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Cfr. ANDRÉ LOUF, Generati dallo Spirito, Edizioni Qiqajon, Magnano (BI) 1994, pagg. 132-144.


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La storia della salvezza contiene numerosi esempi della pedagogia divina, una di queste è l’esperienza di Paolo. Essa inizia con lo smarrimento sulla via di Damasco “l’uomo è scagliato a terra, interpellato, ridotto alla condizione di uno perso nelle tenebre”. Questo evento all’apostolo gli ha aperto le strade verso il suo cuore profondo e gli ha permesso di recuperare tutto ciò che ha perso (l’osservanza della legge giudaica) nel momento in cui fece la conoscenza di Gesù Cristo. Proprio a partire da una simile esperienza, Paolo più tardi affermerà convinto: “per grazia di Dio sono quello che sono”6, “mi venderò delle mie debolezze […] ti basti la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza […] quando sono debole, è allora che sono forte”7. Il padre spirituale, nel momento in cui lo specchio e la sua immagine idealizzata sono in frantumi dovrà favorire questo incontro con Dio, o per lo meno, mantenere aperta la strada. Per fare ciò dovrà resistere alla tentazione di raccogliere i cocci dell’idolo per tentarne un restauro, affinché il discepolo impari a dimorare accanto ai cocci dell’idolo primitivo senza amarezza, nella tranquillità e nell’abbandono, con il cuore ben presto colmo di riconoscenza e di speranza. Nella maggior parte dei casi, in una crisi del genere, saranno la pace, la fiducia e la comprensione affettuosa della guida ad aiutare il discepolo. Ed una parola autentica non solo sarà possibile, ma anche assolutamente richiesta, se sarà pronunciata con amore e con il tono appropriato, nella maggior parte dei casi è più che sufficiente.

6 7

Cfr 1Cor 15,10. Cfr 2Cor 12,5-10.


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4. L’OGGETTO E IL SOGGETTO DELL’ACCOMPAGNAMENTO SPIRITUALE L’oggetto dell’accompagnamento spirituale può essere evidenziato in una domanda: cos’è che ha bisogno di essere “accompagnato” nel soggetto che fa l’esperienza della fede cristiana? La parola “esperienza” implica un altro termine: “vita”, in quanto in questo ambito la Grazia della fede cristiana è essenzialmente una vita, e nel senso più forte, indica: movimento, tensione, crescita, tendenza a realizzarsi, ad andare verso il termine compiuto della propria maturità. Tuttavia ciò che è vita non è senza minaccia di morte, poiché una vita può essere paralizzata, soffocata e anche spezzata, ma in ogni caso nulla sarà rimasto immobile perché ciò che ha vita non si ferma. Sarebbe bene chiarire, a questo punto, che cosa si intende per “vita cristiana”. Per dirlo con parole più semplici, si tratta di quel seme di vita divina, che chiamiamo Grazia ricevuta al momento del Battesimo. La Teologia tradizionale parla di questo seme di vita che si trova nell’uomo sotto una forma ancora embrionale e lo invita a farsi strada progressivamente attraverso forze che gli sono contrarie e che a prima vista sembrano opporglisi. Essa riconosce che l’uomo è un essere ferito e che le tracce delle sue ferite sono a lungo presenti e operanti in lui. L’uomo ferito, quindi, non vede ciò che c’è di Dio in lui, ed è questo il motivo che spinge il soggetto a cercare una guida, affinché questo seme di vita si sviluppi senza troppi imprevisti. È una vita chiamata a crescere, a raggiungere una pienezza, a portare dei frutti. Un simile procedimento avviene nel colloquio spirituale: il padre spirituale ascolta il suo accompagnato allo scopo di far prendere consapevolezza che quello che cerca come volontà di Dio, si trova già da qualche parte in se stesso e che tutto sommato non dovrebbe essere così difficile da percepirlo. In questo senso l’accompagnatore spirituale si avvicina a quella che Socrate chiamava


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“maieutica” oppure “ostetricia spirituale”, nel senso che la guida assomiglia sempre un po’ ad una levatrice. Infine, affinché l’esperienza interiore della fede possa essere contagiosa, deve traboccare in una attività di testimonianza, la quale toccherà i fratelli e il mondo. Non si tratterà di insegnare, di esortare o di vietare, di pianificare o di incoraggiare, ma piuttosto di lasciare che la vita segua semplicemente il suo corso: “come l’acqua del fiume, una volta che scaturita dalla sorgente, si scava il letto, senza che intervenga per questo un’altra forza che non sia la sua. È sufficiente la sua stessa forza”. Allo stesso modo, il ruolo dell’accompagnatore si ridurrà nel lasciare che la vita di Dio faccia il suo corso in un altro, insegnando all’accompagnato a stare esattamente al posto giusto, disponibile ad una attesa instancabile senza fine. Dio è sempre vicino a noi, siamo noi che siamo altrove, talvolta lontanissimi e continuiamo a cercarlo là dove sarà sempre più difficile incontrarlo. Sant’Agostino nelle Confessioni disse: “tardi ti amai […] si, perché tu eri dentro di me ed io fuori. Lì ti cercavo […] tu eri più dentro di me della mia parte più interna”8. In conclusione, l’autore vuole sottolineare l’importanza che riveste la Grazia di Dio, identificata con la gioia dell’uomo. Nel momento in cui sarà percepita questa gioia basterà che il padre spirituale e il discepolo le si aggrappino quasi alla cieca, ma con dolce testardaggine e nonostante tutto. Quando la gioia di Dio è nel cuore del padre spirituale e quando la gioia di Dio è nel cuore del discepolo, allora tutto diventa possibile, perchè “Dio ama chi dona con gioia”.

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Cfr. SANT’AGOSTINO, Le Confessioni, libro VIII.


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BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE ANDRÉ LOUF, Generati dallo Spirito, Edizioni Qiqajon, Magnano (BI) 1994; ANDRÉ LOUF, Sotto la guida dello Spirito, Edizioni Qiqajon, Magnano (BI) 1990.

INDICE

INTRODUZIONE

pag. 02

1. ACCOMPAGNAMENTO SPIRITUALE

pag. 04

2. LO SCOPO DEL COLLOQUIO SPIRITUALE

pag. 06

2.1. Dialogo di accompagnamento

pag. 06

2.2. Pedagogia spirituale

pag. 07

2.3. Paternità spirituale

pag. 07

3. COSA È, E QUAL È IL FINE DELLA RELAZIONE SPIRITUALE

pag. 10

3.1. Il censore interiore

pag. 10

3.2. Lo specchio

pag. 12

4. L’OGGETTO E IL SOGGETTO DELL’ACCOMPAGNAMENTO SPIRITUALE

pag. 14

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

pag. 16

INDICE

pag. 16


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