UNA VILLA TRA LE NOTE
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INDICE STORIA DELLA VILLA Un po’ di storia................................................................................4 1939 - Nasce il nuovo progetto.......................................................8 Dalla Seconda Guerra Mondiale alla ripresa...............................23 PIA BASCHIERA Il vecchio borgo.............................................................................26 Le domeniche in villa...................................................................28 L’insegnante...................................................................................33 Salisburgo......................................................................................38 PATRIMONI OLTRE LE MURA Le lettere.........................................................................................42 Le opere d’arte...............................................................................44 Gioielli e monete..........................................................................47
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un po’ di storia Cessate le pesanti conseguenze del Primo conflitto mondiale Pordenone si avviò a vivere il secondo decennio del Novecento dimostrandosi attiva in più aspetti. Innanzitutto nei lavori di ricostruzione e pensando a “ridare un lavoro alla gran massa di disoccupati”.(1) Tra le altre intraprese, come la costruzione del ponte sul Noncello (mentre due nuove campane venivano issate sul campanile di San Marco) nell’ambito dei lavori “ex novo” fu inaugurato il teatro Licinio (poi Giuseppe Verdi) il 15 aprile 1922 su progetto di Provino Valle (2). Nello stesso periodo iniziò l’edificazione delle nuove scuole elementari e del nuovo tratto ferroviario che congiungeva Pordenone ad Aviano. Non solo, ma ancora negli stessi anni iniziava ad operare il “Credito Veneto”, che, anche se poi avrà vita breve, segnerà una tappa importante nel settore economico-commerciale della città. Nel 1916, intanto, era nata la produzione di cucine economiche da parte di Antonio Zanussi, fondatore delle omonime industrie. Nel 1924 fu intrapresa l’edificazione del Collegio dei Salesiani “Don Bosco” ed entrò in funzione la Biblioteca Popolare, mentre nell’anno successivo in via Mazzini fu costruita una sede della filiale della Cassa di Risparmio di Udine. Attorno al 1926 proseguivano i lavori già iniziati un paio di anni prima e relativi all’edilizia popolare (case per i cotonieri a Torre e a Borgomeduna) e nel campo dell’edilizia scolastica. Fu ampliato il municipio e molti soldi furono investiti sia per il restauro delle facciate degli edifici del centro storico che per la risistemazione di strade e piazze, le quali vennero asfaltate ed alberate. Nello stesso anno fu inaugurato il nuovo campo sportivo con annessa pista ciclistica in cemento, intitolato poi nel 1928 al ciclista Ottavio Bottecchia (1894 -1927) (3). Dopo lunghi anni di crescita così impostata la città si ritrovava ad affrontare la Grande depressione della fine degli Anni Venti (detta anche crisi di Wall Street del 1929), una crisi che sconvolse l’economia mondiale con successive gravi ripercussioni anche nelle piccole comunità della Destra Tagliamento. A seguito di tale crisi il commercio internazionale diminuì considerevolmente, le maggiori città furono duramente colpite, in modo speciale quelle che basavano la loro economia sull’industria pesante. Anche il settore edilizio subì un brusco arresto. Pordenone, in particolare, visse la crisi dell’industria cotoniera e cessò di funzionare l’antica Cartiera San Marco; la chiusura di queste due grandi aziende segnò l’inizio di una crisi generale che avrebbe coinvolto l’intera città. (1) N. Nanni, “Pordenone fra Ottocento e Novecento”- pag. 132 (2) AAVV “Una città e i suoi teatri” – pag. 45 (3) Primo ciclista italiano a vincere il Tour de France per 2 volte (1924, 1925), insignito come bersagliere della Medaglia di bronzo al valore 4
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Frattanto, nei primi Anni Venti, precisamente il 28 ottobre del 1922(4), iniziò la scalata al potere da parte dei fascisti che si trovarono subito a dover fronteggiare la sopracitata grande crisi economica. L’amministrazione comunale di Pordenone decise di andare incontro a questa situazione con interventi di tipo urbanistico legati ad un possibile sviluppo futuro della città come la messa a punto del nuovo piano regolatore del 1934.
Foto d’epoca della Casa Balilla di Pordenone dell’architetto Cesare Scoccimarro, 1933
Nella pagina successiva: Foto d’epoca della Colonia Elioterapica di Pordenone. Disegno dell’architetto Cesare Scoccimarro Foto d’epoca della Casa del Fascio, 1935 Casa del Mutilato, Piazza XX settembre, Pordenone
Pur tenendo conto delle costruzioni d’impronta politica, realizzate più per prestigio ed opportunità che per necessità sociali, la città compì un indubbio progresso nel campo urbanistico.
(4) Data della marcia su Roma UNA VILLA TRA LE NOTE
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I razionalisti trovarono modo di esprimersi sia attraverso la committenza pubblica che quella privata. Una parte della borghesia commissionò progetti per abitazioni molto moderne, anche se in generale i singoli interventi razionalisti non poterono concorrere a cambiare i volti delle città, poiché insieme a loro operavano molte tendenze tra cui quella legata all’architettura tradizionalista. I razionalisti erano molto impegnati anche nel settore pubblico, dove meglio potevano mettere in pratica il loro dichiarato impegno sociale. Le principali opere realizzate a Pordenone da Zanini e Scoccimarro sono prettamente legate alla committenza fascista, tanto che il secondo è stato definito come una sorta di “architetto sociale”. Esse sono la Casa del Balilla e la Colonia Elioterapica (attuale ex-fiera campionaria), la Casa del Fascio (attuale Questura) e Piazza XX Settembre. Il rinnovamento architettonico che queste figure portarono a Pordenone, con altri quali Midena (a Maniago) e Pittana (a Caneva), non riuscì però ad avere grande fortuna nell’ambito della committenza privata. Infatti, a causa dell’arretratezza culturale della classe borghese di allora e della crisi economica che aveva messo in ginocchio l’intera provincia, la maggior parte delle nuove abitazioni di quegli anni seguirono principalmente gli impianti proposti dalla trattatistica e dai cataloghi di ville e villini che molte case editrici pubblicavano negli Anni Venti (6). Un’interessante relazione stesa dal podestà Nello Marsure inviata al Consiglio Provinciale dell’Economia Corporativa, elencava l’importante serie d’iniziative e opere pubbliche mettendo ciò in relazione alla relativa crisi dell’edilizia privata: “[…] Il mercato dei fitti e dei prezzi di vendita degli appartamenti, subì un ribasso dal 10% al 25% in confronto al biennio precedente…” (7). Ecco perché l’edificazine di villa Baschiera-Tallon può considerarsi un’eccezione nel contesto economico-culturale della Pordenone di quegli anni. (5) AAVV. “Pordenone, una storia per immagini”, volume 2 1919-1945. La Bibliotea del Messaggero Veneto, pag. 48 (6) AAVV: “La Loggia” n. 11 (Moreno Baccichet, “Urbanistica e Architettura a Pordenone nel Novecento: opere pubbliche ed edilizia privata negli Anni Trenta”) pag. 8 (7) Idem UNA VILLA TRA LE NOTE
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1939 - Nasce il nuovo progetto
Prospetto principale del lotto. Carta firmata e datata dall’ing. Tallon.
Pianta del Piano Terra, busta n° 02.119.1939
Sezione longitudinale della villa, busta n° 02.119.1939
Villa Baschiera-Tallon com’è oggi è stata edificata sull’appezzamento di terra nel quale sorgeva una prima villa (foto a pag. 2-3) a sua volta eretta sopra l’antico sito storico d’origine e con molta probabilità (non si hanno notizie certe) danneggiato durante la prima guerra mondiale. A testimonianza di questo edificio restano ora una collinetta di terra sotto la quale ci sono alcuni resti di un ripostiglio-magazzino e una parte di gradini in granito.
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Il 26 giugno 1939 Pia Baschiera ed Arrigo Tallon, che si erano sposati a Pordenone il 20 dicembre 1933 nella chiesa del Collegio Don Bosco, da Pasiano (ma presumibilmente abitarono anche a Sacile) andarono ad abitare in via Oberdan 19 nella loro nuova dimora, quella che poi per tutti divenne villa Baschiera-Tallon, salvo un periodo in cui la coppia si trasferì a Venezia, cioè dal 25 dicembre 1958 rientrando Pia a Pordenone un anno dopo la morte del suo Arrigo, il 23 settembre 1976. A Venezia la loro casa era situata nei pressi della Chiesa di Santa Maria della Fava (1). Arrigo, essendo ingegnere, aveva provveduto a realizzare e presentare un progetto per la costituzione della nuova villa di via Oberdan. In questo senso egli inoltrò una richiesta di abitabilità in data 17 gennaio 1939 (2). L’idea della nuova casa era un sogno coltivato come si evince anche da una lettera scritta a Pia: “I giorni passano a grande velocità e vedrai che passeranno presto anche questi (3) che ti separano momentaneamente dal tuo Arrigo. Intanto tu… come sorvegliante ai lavori avrai modo di fantasticare sulla casetta che vi accoglierà, sapendo quanto fu desiderata e perciò di più cara: pensando all’effetto di quando sarà fatta… alla misura della finestra, alla veranda con le piante grasse, al giardino che sorgerà sotto le tue cure amorose e poi… all’entrata allegra dei canarini, nuovi rampolli che porteranno musica…” (4).
Sezione catastale dell’antico sito di Largo San Giacomo di Pordenone (cerchiato).
(1) Testimonianza raccolta da Paola Boranga (2) Tutto l’incartamento è conservato nella busta N. 02.199.1939, presso l’Archivio Storico di Pordenone (3) Arrigo era temporaneamente assente da casa (4) Lettera datata 20 febbraio 1939, scritta da Anny De Carlo, inedita UNA VILLA TRA LE NOTE
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Facciata di villa Baschiera-Tallon 10
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Storia della villa
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Villa Baschiera-Tallon, interno, particolare della sala da pranzo 12
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Nel 1939, dunque, il progetto di Arrigo Tallon prevedeva l’entrata principale della villa costituita da un terrazzo rialzato con una scalinata allargata verso l’esterno per accogliere gli ospiti. L’entrata non è posizionata centralmente rispetto alla facciata ma è spostata verso destra; questa soluzione permette al visitatore di avere una visione tridimensionale dell’edificio, diversamente da come accade nel caso di accesso frontale. Una volta entrati si trova un insolito ingresso costituito dalla “sala del biliardo”. Questa, come tutte le altre stanze della casa, possiede pareti ricoperte di quadri con foto e immagini quasi tutte legate al mondo della navigazione e del mare, una delle più grandi passioni di Tallon dopo la montagna. Dalla “sala del biliardo” parte un lungo corridoio con pavimentazione in moquette rossa che attraversa l’intero edificio disimpegnando le varie sale e il corpo scale che porta alle stanze dei piani superiori e all’interrato. Procedendo lungo il corridoio si trova, sulla destra, un piccolo ufficio con le pareti interamente ricoperte da una grande libreria mentre girando a sinistra si entra in un salotto. In quest’ultimo ambiente vi sono due grandi finestre che danno sul giardino esterno e che, nelle giornate di sole, illuminano l’intera sala come se fosse en pleine lumière.
Villa Baschiera-Tallon, Interno, particolare del soggiorno
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Dal salotto si può procedere, senza tornare nel corridoio, attraverso una porta rettangolare a scomparsa, in un altro ambiente che probabilmente fungeva da sala da pranzo. Proprio grazie alla porta scorrevole la “sala da pranzo” poteva essere ampliata con il salotto nei giorni di festa. In fondo a quest’ultima si trova un bovindo piuttosto grande, al quale si accede da un’apertura ad arco a tutto sesto, e all’interno del quale vi è un divano in legno e pelle che segue tutta la parete curva e con al centro un tavolo rotondo. Mentre le pareti delle altre stanze sono semplicemente intonacate, nel bovindo le pareti sono, invece, rivestite di cannicciato.
A sinistra, scorcio del soggiorno A fianco, particolare della credenza del soggiorno A destra 1 - Scorcio della sala da pranzo dal soggiorno 2 - Leggio posto in un angolo del soggiorno 3 - Particolari del soffitto del soggiorno 4 - Ancora uno scorcio del soggiorno visto dalla sala da pranzo
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A fianco, scorcio della sala della musica per chi viene dal corridoio d’entrata A destra, due scorci più ampi sulla sala della musica
Ritornando nel corridoio, attraverso la “sala da pranzo”, si trova l’ingresso della cucina. La cucina è costituita da due stanze comunicanti, nella prima vi è la zona dedicata alla cottura, mentre la seconda ospita la dispensa e un grande lavandino in marmo; la seconda stanza possiede una porta che mette direttamente in comunicazione con l’esterno, cioè il giardino. Uscendo dalla cucina e girando a destra c’è una porta vetrata in legno che divide l’intera casa dalla stanza più particolare e amata da Pia Baschiera, ovvero la “sala della musica”. Una volta superato questo ingresso e dopo aver attraversato una piccola anticamera, si giunge nella grande sala dov’è ancora conservato il suo pianoforte a coda; sono inoltre presenti altri due pianoforti a parete. La “sala della musica” si distingue da tutte le altre per le decorazioni alle pareti, ovvero un intonaco color rosso pompeiano con una cornice superiore costituita da drappeggi con la storia delle note musicali dalla loro invenzione ai giorni nostri; la pavimentazione, diversamente dalle altre stanze nelle quali è realizzata in parquet a spina di pesce, è invece costituita da marmo nero con nervature bianche e rosse. La stanza è quadrata ma presenta, tuttavia, un angolo curvo e finestrato con una panca in legno dislocata lunga tutta la curvatura. Le pareti sono tappezzate di foto firmate da famosi musicisti, colleghi, insegnanti o ex-studenti della padrona di casa. La “sala della musica” è la più originale dell’intero edificio e anche la più vissuta. Qui infatti Pia Baschiera passava intere giornate con i suoi allievi. Per muoversi nei vari piani bisogna servirsi delle scale che si trovano a metà del corridoio principale, sul lato della cucina. Una volta superata la porta a vetri, che separa le scale dal corridoio, si trova il pianerottolo del piano terra, sulla destra di questo c’è una porta che dà su un piccolo bagno.
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Villa Baschiera-Tallon, lato est dell’edificio
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Al piano inferiore ci sono svariate stanze, di non grande importanza per quanto riguarda le finiture e di cui elenchiamo solo le più importanti: l’ufficio di Arrigo Tallon, il garage, una lavanderia e un locale dotato di un sistema di areazione per poter usufruire della griglia senza dover posizionarsi all’aperto per smaltire fumi e odori. Risalendo le scale per raggiungere il primo piano si prende nota come i vari pianerottoli si presentino in forma semicircolare, forma che richiama le teorie razionaliste degli Anni Trenta e ben visibile anche dall’esterno. Una volta raggiunto il piano superiore le stanze seguono in aderenza progettuale lo schema del piano sottostante; qui sono degni di nota il grande terrazzo aperto, sistemato sopra la “stanza del biliardo”, e la “stanza del mappamondo”. La stanza del mappamondo e quella della musica, sono le più affascinanti del complesso edilizio; la stanza del mappamondo si trova esattamente in corrispondenza al bovindo del piano terra ed è di forma semicircolare; è totalmente rivestita in legno di pino marittimo, lo stesso usato per costruire le barche, che come abbiamo già detto erano una delle grandi passioni di Arrigo Tallon. Nell’unica parete piana della stanza c’è una riproduzione a tutta parete del mondo disegnato da Fra Mauro Camaldolese a metà del XV secolo. Tra le altre stanze del piano, oltre ai servizi igienici (tre, di cui uno molto grande con attrezzi per la ginnastica), vi sono quelle che erano le stanze da letto e che oggi sono state svuotate dal mobilio originale per fare spazio alle sedi di alcune associazioni. Salendo di un ulteriore piano si raggiungono le stanze del sottotetto, mai abitate e probabilmente sempre usate come magazzino. Per quanto riguarda gli esterni, Tallon decise di optare per una grande copertura a padiglione, senza però marcare troppo la cornice, e di “decorare” l’edificio con fasce alternate di colore bianco e rosso. Il giardino è molto importante nel contesto della villa, occupa, infatti, la parte maggiore della proprietà; dove ora c’è l’area per i concerti estivi una volta c’era una grande piscina. Panoramica del lato est della villa
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La colombella sul poggiolo Nel 2010 le Poste Italiane, nell’intento di celebrare il turismo italiano ha emesso un francobollo che riproduce un “Manifesto storico Enit” del 1955. Sullo sfondo l’immagine ritrae una colomba posata sulla ringhiera di una terrazza. Curiosa similitudine con la colomba di villa Baschiera-Tallon posata sulla balaustra della terrazza. Entrambe testimoniano una tendenza architettonica d’arredo esterno di moda negli Anni Cinquanta.
Particolare della colomba situata sul poggiolo del terrazzo della villa, fregio caratteristico dell’architettura degli Anni Cinquanta
Francobollo commemorativo dell’ENIT del 1955 che riporta lo stesso fregio
Arrigo Tallon Arrigo Tallon, di famiglia benestante, era nato ad Oderzo (Treviso) il 27 luglio 1900. Laureato in Ingegneria non è stato mai iscritto all’Ordine degli Ingegneri di Pordenone, bensì dal 4 agosto 1926 con il n. 98 presso l’Ordine degli Ingegneri della provincia di Udine prima e poi a quello di Venezia dal 17 aprile 1963, al n. 1070 e fino alla cancellazione per decesso avvenuto nel 1975. Industriale e titolare di uno studio tecnico a Sacile, era proprietario, con Pia, della Concessionaria Opel-General Motors di Udine e Pordenone, nonché della Società Anonima Fornaci Pasiano (i due stabilimenti erano a Rivarotta e Torre). Fu presidente del CAI con grande passione, tanto che nel luglio 1930 fu segnalata la maggiore attività del sodalizio.
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Il 2 settembre, assieme ad altri cinque componenti del CAI di Sacile aprì una variante nella salita del Campanile della Val Montanaia, una variante salendo al ballatoio direttamente sopra la fessura Cozzi, classificata allora di sesto grado e perciò molto difficile. Ma la sua grande passione per la montagna fu stroncata, l’anno successivo, quando durante una discesa alpinistica perse la vita suo cognato Tito Paresi (1). Da allora il richiamo principale fu il mare. All’inizio del 1936 fu richiamato a prestare servizio militare come sottotenente della Marina di stanza a Pola (allora Istria italiana). In questa occasione scrive a Pia: “Io parto ma il mio cuore e tutto il mio affetto sono sempre con te. Io vivo del tuo amore come tu vivi del mio (e non sono parole vuote)” (2). Nel biennio 1959 - 1960 è stato il primo presidente del Rotary Club di Pordenone, le cui finalità sono “incoraggiare e promuovere l’ideale di servizio come base di iniziative benefiche e, in particolare, incoraggiare e promuovere lo sviluppo dei rapporti interpersonali intesi come opportunità di servizio; elevati principi morali nello svolgimento delle attività professionali e nei rapporti di lavoro, la comprensione, la buona volontà e la pace tra i popoli mediante una rete internazionale di professionisti e imprenditori di entrambi i sessi, accomunati dall’ideale del servire”. Durante questo periodo Arrigo si è distinto per la promozione di incontri su temi plurimi, compresi istruzione e soccorso sanitario.
Arrigo Tallon in una foto degli Anni Trenta
(1) Ricordo di Tito Paresi in “La Tradotta”, Anno VI – n. 4-5 (settembre-ottobre) (2) Lettere datata 18 febbraio 1936, inedita 22
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Dalla Seconda Guerra Mondiale alla ripresa La seconda guerra mondiale ebbe nel pordenonese esiti disastrosi. I primi bombardamenti aerei da parte delle fortezze volanti americane si abbatterono sul capoluogo nell’autunno del 1943 intensificandosi a partire dal gennaio 1944. Gli obiettivi più ricercati erano le industrie che producevano armi e munizioni, i ponti, le strade, le ferrovie e le fortificazioni. Villa Baschiera-Tallon è situata di fronte alla stazione ferroviaria di Pordenone. La linea ferroviaria Sacile–Pordenone–Casarsa, fu l’obiettivo principale delle imponenti formazioni aeree (1). Il primo bombardamento di una certa consistenza avvenne il 28 gennaio 1944 e colpì la zona nord di Pordenone. L’obiettivo principale degli anglo-americani era la base di Aviano, utilizzata dai tedeschi, ma in quel giorno venne pesantemente bombardata la zona del San Valentino con la conseguenza di una ventina di morti e altrettanti feriti. Nei diari di Paolo Gaspardo, si parla del 10 dicembre 1944 come di una giornata triste per Pordenone (2). Quel giorno, infatti, poco dopo le dodici, gli anglo-americani colpirono un convoglio tedesco, carico di munizioni, da poco partito dalla stazione della città alla volta di Venezia. Il convoglio una volta centrato si divise in due tronconi; la parte anteriore esplose sul posto, ovvero nei pressi di Rorai Piccolo, mentre la parte posteriore a causa della pendenza del terreno prese velocità ritornando verso la stazione per poi fermarsi in Zona Cappuccini poco prima del ponte sul Noncello. Una volta fermatosi, il vagone esplose in modo devastante provocando gravi danni alla città nel raggio di oltre un chilometro. La data peggiore per la storia della città di Pordenone resta, tuttavia, quella del 28 dicembre 1944. Nel primo pomeriggio, infatti, la città subì i maggiori bombardamenti che abbia mai avuto in tutta la sua storia. A conclusione dell’attacco si contarono 51 morti tra cui molti bambini e la distruzione di due grandi palazzi storici della città ovvero l’abitazione Tomadini nell’antica casa dei Capitani e palazzo Silvestri, sede dell’istituto Vendramini. Una delle ultime incursioni aeree anglo-americane avvenne l’8 aprile 1945; le zone interessate furono la stazione ferroviaria, viale Grigoletti, corso Garibaldi e largo San Giorgio con una ventina di morti. In una di tali incursioni una bomba cadde anche nel giardino della villa. Dal buco che fu la conseguenza sorse l’attuale laghetto delle ninfee. La ripresa economica di Pordenone nel dopoguerra fu molto difficile: dopo i numerosi bombardamenti, e i precedenti vent’anni di dittatura, gli sfollati che rientravano trovavano spesso le loro case distrutte, danneggiate od occupate da famiglie provenienti da altre regioni. Negli ultimi anni, successivi alla morte di Pia Baschiera, e con la trasformazione della villa in Fondazione, sono state apportate alcune modifiche; la più evidente è stata fatta esternamente e riguarda, come precedentemente accennato, l’abolizione della piscina per dare spazio alle attività ludiche per gli anziani. Internamente l’edificio non ha subito modifiche strutturali ma si sono solo fatti alcuni lavori d’impiantistica e si sono svuotate alcune stanze al primo piano per creare alcune sedi associative. (1) Aavv, “Pordenone una storia per immagini”, volume 2, 1919-1945, La Biblioteca del Messaggero Veneto, pag.172 (2) Gianni Di Fusco, “Il passato che non passa”, Edizioni L’Omino rosso, Settembre 2010 UNA VILLA TRA LE NOTE
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Il vecchio borgo Le note di una melodia non ben definita suonata al pianoforte si espandeva nella piazzetta e pareva che esse si affrettassero a rimbalzare da una facciata all’altra degli edifici. La piazzetta era quella di San Marco di Pordenone. La musica che la faceva da padrona, specie in certe ore della giornata, era prodotta da una giovinetta che si chiama Pia Giovanna Ada Baschiera. Negli Anni Venti (1) la famiglia di Pia abitava in un appartamento sopra l’arcata del sottoportico che aveva un’insegna della Publigas, situato sul lato ovest, poco lontano dal ponte di Adamo ed Eva e dal fluire del Noncello, con le bizzarrie di un fiume una volta navigabile fino a Venezia. Era il cuore di Pordenone e di questo cuore la giovane Pia ne avrebbe fatto una bandiera favorendone con la sua arte lo sviluppo culturale. Per tutti i componenti della famiglia Baschiera la musica era, in effetti, un elemento fondamentale di vita che aveva inciso sull’educazione e sulla cultura di ognuno di loro. In questa ottica i Baschiera, spesso, si riunivano per dare vita a piccole sessioni musicali secondo un’usanza ereditata da lontano. Per questo Pia, la “piccola di casa” passava molte ore in esercizio con il suo amatissimo pianoforte. Pratica, questa, che la “catapultava” nella fitta trama di spartiti, accordi ed in ogni sorta di sfide quotidiane. Pia Baschiera era nata proprio lì, in piazzetta San Marco, “all’ombra del campanile”, avrebbe poi detto alludendo al campanile di San Marco per il restauro del quale, molti anni dopo, avrebbe donato un contributo di cento milioni di lire ed all’ombra del quale la sua famiglia possedeva anche un forno (2). Era nata il 28 giugno 1906, figlia d’arte, come si direbbe, da Laura Marini (1882 – 1982) (3) pianista, mentre suo padre Luigi (1882 – 1944, che già prima della Prima guerra mondiale era assessore della giunta Policreti) cantava. Non solo, ma lo zio Andrea Giuseppe (1878 – 1940) era compositore e il nonno Giuseppe (fu Daniele, 1841 - 1895) era stato un suonatore d’organo. Le prime lezioni di pianoforte Pia le aveva apprese da una grande maestra come Erminia Foltran Carpenè (1876 – 1972), pianista e fondatrice dell’omonima scuola coneglianese (era stata allieva a Venezia di Giarda, amico di Giuseppe Verdi). Molti anni dopo le avrebbe scritto “ Carissima Pia… godo dei tuoi successi e riconosco che con la tua intelligente attività hai formato una scuola della massima importanza” (4).
A sinistra, una giovanissima Pia Baschiera A destra, Pia e Arrigo negli Anni Trenta escursionisti in montagna
(1) Dieci anni dopo circa, nel 1931 moriva suo fratello minore Giuseppe Giovanni Andrea, detto Pino. Era nato nel gennaio 1912. Suonava il violino, tuttora conservato (2) Pia avrebbe donato nel 1993 un’opera di Annigoni alla chiesa di San Marco “per non fare differenze con il campanile” (3) Quando è morta le mancavano solo 20 giorni per compiere cento anni (4) N. Nanni, “La scuola di musica Pietro Edo di Pordenone”, pag. 26 26
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Pia poco più che ventenne al suo pianoforte
Nel 1917, quando Pia aveva solo undici anni, la sua famiglia, a causa dell’occupazione austro-tedesca dopo la disfatta di Caporetto, fu costretta a trasferirsi a Genova (abitavano in via Toscana) e in quella città la piccola Pia continuò i suoi studi musicali all’Istituto Musicale “Giuseppe Verdi”, fino al raggiungimento del diploma, nel 1926, presso il Conservatorio di Milano, davanti ad una commissione presieduta da Ildebrando Pizzetti (1880 – 1968), celebre compositore, musicologo e critico. Una volta diplomata iniziò ad esibirsi come concertista. La storia della Propordenone ricorda una sua esibizione “memorabile al Teatro Licinio (poi Giuseppe Verdi) con l’orchestra diretta da Luigi Mascagni, cugino del più celebre Pietro” (5). Interruppe tale attività quando incontrò Arrigo Tallon, destinato a diventare suo marito. L’uomo che durante il fidanzamento le scrisse da Sacile (dove aveva il suo Ufficio Tecnico) il 2 agosto 1933 (si sarebbero sposati nel dicembre successivo) alle ore 15.00: “ Sono esattamente dieci mesi e ne coincide anche l’ora. La tua mano stretta nella mia, fissi gli occhi negli occhi, pallidi un poco per l’emozione che scuoteva il petto, stringemmo felici il legame che ci avrebbe uniti per sempre. Sono trascorsi dieci mesi felici da allora, e nessuna cosa ha mai potuto offuscare il nostro amore. Ricorda che per la stima reciproca che gelosamente conserviamo nel cuore, questo nostro amore dovrà rimanere tale per sempre. Sia esso la luce per il nostro cammino e sapremo sempre vincere le difficoltà ed avversità. Tu sei per me tutta la mia speranza, tutta la mia fede, tu sei la mia buona stella” (7). Li univano diverse passioni, la montagna e il mare per esempio. L’incontro con Arrigo determinò la sua decisione di abbandonare i concerti e di dedicarsi esclusivamente all’insegnamento della musica. Così, nel primo dopoguerra la presenza di Pia Baschiera e il suo amore per la musica che le faceva dire di esser “nata con i cromosomi della musica. È la musica che mi ha scelto, piuttosto che l’incontrario” (6) ebbero il potere di risvegliare l’assopita Pordenone, la quale, per quanto riguardava questa disciplina, poco aveva da dire fino a quel momento.
(5) N. Nanni, op. cit. pag. 24 (6) N. Nanni, op. cit. pag. 23 (7) Lettera inedita UNA VILLA TRA LE NOTE
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Le domeniche in villa La tessitura dei rapporti e la cura delle amicizie internazionali di Pia ed Arrigo erano vissute spesso durante i fine settimana (“quella bella sera passata in casa vostra! Come la ricordo nei minimi particolari!”) (1) giorni nei quali molte personalità arrivavano a villa Baschiera-Tallon di Pordenone. Fra sabato e domenica non era escluso che Pia chiamasse improvvisamente qualche suo allievo, magari mentre quest’ultimo si accingeva a godersi una scampagnata domenicale, per “convocarlo” a suonare per gli ospiti. Pia era orgogliosa dei suoi ragazzi che “esibiva” volentieri, sottolineando la loro bravura come un talento di cui era stata la scopritrice. Una sua allieva aveva detto un giorno: ” La (sua) scuola poteva essere paragonata alla bottega di un artista del Rinascimento, dove il maestro si circondava di allievi e li faceva partecipare direttamente alla propria Arte, donando ogni giorno un po’ di se stesso per farli crescere e maturare in Essa” (2). Non era insolito nemmeno che Pia accompagnasse i suoi allievi a qualche concerto importante in qualche grande città, preferendo restare con loro in loggione piuttosto che andare in platea. Gli allievi, in effetti, erano il figlio che lei non aveva avuto. Perciò il seguirli nel loro progredire comprendeva automaticamente entrare anche prepotentemente nelle loro vite personali. E questo comportamento prevedeva altresì qualche solenne “strapazzata” senza mezzi termini e fino all’umiliazione, per meglio pungolare il loro amor proprio, se non seguivano alla lettera ciò che lei diceva. Il fatto era che i suoi ragazzi erano, infine, “strumenti della musica” (3). E che delusione doveva superare Pia quando qualcuno di loro, magari particolarmente dotato, rinunciava a proseguire gli studi musicali. Studi che gli allievi non pagavano, o, se pagavano, l’importo della lezione era devoluto interamente alla scuola di musica “Pietro Edo”.
Particolare del soggiorno
(1) Lettera di Carlo Zecchi, 17 ottobre 1963, inedita (2) N. Nanni, op. cit. pag. 26 (3) Testimonianza raccolta da Vera Corinaldesi 28
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Pia Baschiera Un angolo della sala della musica con gli spartiti
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Così la villa si impregnava nel tempo di quell’energia umana e musicale che rende sodalizio pur senza una sua struttura precisa. La villa, “questo luogo così significativo, così denso di ricordi, nel quale ho trascorso tante ore della mia vita” (4). “La stanza della usica, grande e rossa, si trovava proprio in quella parte della villa che, dall’esterno, sembrava riservare la migliore vista sul parco. Appariva ampia, ma intima, e così piena di mobili e dei suoi tre pianoforti, da risultare troppo piccola per contenerli. Era primavera inoltrata e dai vetri chiusi riuscivano ad entrare tutta la luce ed il tepore di un pomeriggio assolato” (5). E ancora: “La sala della musica era sempre ricolma di oggetti, riviste e pubblicazioni. Un luogo affascinante per noi bambini che, timorosamente, aspettavamo l’inizio della lezione, osservavamo le collezioni di piccoli soprammobili, il grande pianoforte nero al centro e i due verticali ai lati, l’inno a San Giovanni riprodotto nel cartiglio in alto sulla parete… Tutti questi luoghi e gli oggetti in essi contenuti rievocavano le persone che le erano state care e di cui a volte ci raccontava qualche aneddoto” (6). Così i giovani che si accostavano alla musica potevano alzare lo sguardo dal pianoforte, magari dopo averlo abbassato verso i cani collie che assistevano regolarmente alla lezione e che Pia amava molto, per imprimersi nella mente gli accordi musicali ricavati dalle note che la loro maestra aveva fatto disegnare, a mo’ di tappezzeria, nei quattro lati in cima alle pareti della “sala della musica”. Gli allievi imparavano la musica, ma imparavano anche a capire che avevano di fronte una “selezionatrice nata”, una persona che prima di pretendere l’assoluto dagli altri lo pretendeva da se stessa. Fra gli allievi del nucleo primario c’erano Rosetta Curtolo Toscano, Roset Moroni Viel e Mario Bortolotto. Le prime seguirono le orme della maestra divenendo a loro volta insegnanti, mentre Mario Bortolotto (classe 1927), si sa, è diventato il musicologo, saggista e storico della musica nel particolare tema del rapporto fra musica e Storia della cultura, che tutti conosciamo. (4) Testimonianza scritta di Marina Toppan, marzo 1995 (5) Testimonianza scritta di Fausta Ferrucci, aprile 1995 (6) Testimonianza scritta di Marina Toppan, marzo 1995 30
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Pia Baschiera
Ancora due scorci sulla sala della musica
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Uno spartito aperto. Inizia la lezione 32
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L’insegnante Ma come insegnava Pia Baschiera? “Direi dominando interamente l’allievo cui chiariva assolutamente tutto. Ogni frase veniva “cantata”: il fraseggio essendo il cuore di quell’insegnamento. Direi che, fra tutte le categorie costitutive della musica, “l’espressivo” fosse la dominante. Niente doveva restare anonimo, fosse la transizione, il ponte più accademico, magari insignificante: ogni elemento doveva risaltare nella massima evidenza… Ancora oggi se leggo qualche nuovo lavoro mi accade di pensare “qui lei avrebbe accennato così” e mi sembra, se non l’unica soluzione, certo la migliore” (1). “Sapevo che una sua improvvisa raucedine, con conseguente schiarimenti di voce, dipendeva dalla mancanza di una legatura di portamento, che un suo sbottare, gutturale e profondo, derivava da un mio cedimento nella concentrazione, che un suo brontolio sommesso, ma continuo, seguiva ad un segno dinamico eccessivamente sottolineato o era legato ad una interpretazione globale del pezzo che non la convinceva, che un suo fluido movimento delle braccia, quasi ad ala di uccello aveva lo scopo di sciogliere, metaforicamente, le mie troppo rigide, ed ancora, che avrebbe eseguito una tenace intonazione vocale del tema che stavo studiando se le fosse risultato spezzato, non “come una parola”, oppure un ticchettio ritmico, sul mobile del pianoforte, per inquadrarmi a tempo, ed altro, molto altro (2). “Ci piaceva credere che il buon esito di una qualsiasi prova pianistica, importante, dipendesse dalla sua “magica scoppola”, una sorta di secco schiaffone dato sulla nuca proprio un attimo prima di affrontare il palco di un teatro od una commissione d’esame” (3). “Questo lungo tirocinio mi ha trasmesso, tra le altre cose, un rigoroso senso del dovere. Lo studio era organizzato secondo programmi molto precisi: ogni lezione era un esame ed ogni progresso era conquistato lavorando giorno per giorno, dimostrando tenacia e passione” (4). Andare a scuola di musica da Pia Baschiera significava per gli allievi adottare subito il massimo impegno e rigore. Per accedere alle sue lezioni gli allievi subivano una selezione iniziale molto severa e, se meritevoli, Pia impartiva loro le sue lezioni anche gratuitamente. Il suo aggiornamento professionale era continuo e costante. Per questo seguiva corsi di perfezionamento con i più grandi musicisti di allora, da Guido Alberto Fano a Guido Agosti dell’Accademia Chigiana e ancora da Madame Pantés del Conservatorio di Ginevra alla frequentazione ventennale dei corsi estivi al “Mozarteum” di Salisburgo gestiti da colui che Pia considerava il maestro principale, il celebre pianista Carlo Zecchi (1903-1984) (5).
Il pianista Carlo Zecchi
(1) Testimonianza scritta di Mario Bortolotto, inedita (2) Testimonianza scritta di Fausta Ferrucci, aprile 1995 (3) Testimonianza scritta di Fausta Ferrucci, aprile 1995 (4) Testimonianza scritta di Laura Toppan, marzo 1995 (5) Grande insegnante di musica e direttore d’orchestra, Zecchi svolse la sua attività in tutto il mondo e fu fino al 1976 direttore d’orchestra da camera di Vienna, nonché insegnante all’Accademia di Santa Cecilia UNA VILLA TRA LE NOTE
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L’insegnante
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Sala della musica. Sulle pareti in alto i fregi musicali UNA VILLA TRA LE NOTE
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Particolari di pareti e pavimenti e tessuti dove l’uso del colore è coerente con l’armonia delle stanze
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Nel 1949 fondò per la Propordenone la scuola di musica della quale divenne la direttrice, restandone, per i quarant’anni successivi il fulcro dell’attività “pensando a tutto: alla scuola, agli insegnanti, agli allievi, ai concerti” (6). Fu lei inoltre, a voler intitolare la scuola di musica a Pietro Edo (1427-1504) (7). Oltre alla musica Pia aveva altre passioni, come ogni individuo particolarmente eclettico. Gli animali, ma anche la montagna che fu “galeotta” nell’incontro con il marito Arrigo. Con lui Pia partecipò a diverse manifestazioni. Il 25 maggio 1930, per esempio, fu lei a tagliare il nastro in qualità di madrina all’inaugurazione del Rifugio Pordenone, nella Val Montanaia, alla presenza di un foltissimo pubblico. Passioni e generosità potrebbe essere lo slogan della vita di Pia Baschiera. Gli episodi che sottolineano la sua generosità non si contano. Dopo il terremoto del 1976 è stata la promotrice di numerosi incontri musicali per raccogliere contributi destinati alla costruzione di due case per i senza tetto (8). “Per tutte queste diverse sensazioni che portano l’artista ad esprimersi, io ho avuto sempre un grande rispetto e l’esperienza di tanti anni di vita spesa per la musica hanno sempre più rafforzato in me questo principio… passare attraverso la musica soffrendo e godendo con lui, ligia a tutto ciò che suggerisce la pagina letta e approfondita, e questo in perfetta umiltà” (9). Tre anni prima aveva fondato a Pordenone il sessantesimo Club dell’Unione Italiana del Soroptimist internazionale, un club esclusivo di donne professioniste che ha come finalità “il promuovere azioni e creare opportunità per trasformare la vita delle donne attraverso la rete globale delle socie e la cooperazione internazionale con valori etici che sostengono i Diritti Umani per tutti, la pace nel mondo ed il buon volere internazionale, il potenziale delle donne, la trasparenza ed il sistema democratico delle decisioni, il volontariato, l’accettazione della diversità e l’amicizia” (10). Era il 13 gennaio 1973. Con il Soroptimist Club di Udine, cui era iscritta prima di fondare la sede di Pordenone, aveva promosso ancora una volta incontri a fini benefici. Questa propensione all’altruismo l’avrebbe manifestata poi in grande stile alla sua morte avvenuta il 6 marzo 1995, affidando la sua casa che tanto amava ed il suo patrimonio alla costituzione di una Fondazione destinata ad attività ludiche in favore degli anziani ed in favore dei giovani che desiderano accostarsi alla musica. Si compiva così nel suo ultimo atto una volontà condivisa con Arrigo già da molto tempo e consisteva in una delle migliori espressioni del loro matrimonio. Nel 1977 le venne assegnato il Premio “San Marco”, massimo riconoscimento di Pordenone verso taluni suoi figli con la seguente motivazione: “Profonda e sensibilissima cultrice della musica, ha sempre mirato a prodigare con amore e scienza la sua arte, creando a Pordenone quello che a giusta ragione si può definire un vero cenacolo musicale. Promotrice nel 1949 della scuola di musica della Propordenone, invidiato e insostituibile vanto della città, ha trasfuso con il massimo disinteresse in tanti giovani la sua arte, contribuendo in modo determinante a formare una classe di interpreti e di insegnanti che onorano la città, di cui costituiscono un prezioso patrimonio. Pur impegnata, dopo l’immatura scomparsa del marito vive nella difficile mansione di proseguire l’impresa commerciale, continua con amore a guidare le giovani generazioni che cercano nella più nobile e spirituale delle arti l’espressione più alta dell’umano sentire”. Molto più tardi, esattamente quindici anni dopo, nel 1993, le è stato assegnato il premio Donna Major attribuito dal Soroptimist Club di Pordenone a donne della città o della provincia che si siano particolarmente distinte nel loro operato. Con la seguente motivazione: “Per una vita dedicata all’educazione dei giovani ed alla crescita della Città”. (6) N. Nanni, op. cit. pag. 25. Si avvalse della collaborazione del noto violinista Plinio De Anna. Pia lasciò la scuola di musica dopo aver compiuto ottant’anni (7) Pietro Edo, ovvero Pietro Capretto, primo nel cenacolo dei mantica a cimentarsi con la poesia volgare (8) Testimonianza raccolta da Vera Corinaldesi (9) Da un appunto di Pia Baschiera scritto a macchina e senza data (10) Da “Etica e finalità dell’Associazione” UNA VILLA TRA LE NOTE
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Salisburgo Per molti anni, durante l’estate, andare a Salisburgo per seguire i corsi di Carlo Zecchi fu per Pia Baschiera un imperativo inderogabile. Ogni anno a Salisburgo si ricomponeva una sorta di “cenacolo” dove vi si trovavano musicisti ed appassionati di musica provenienti da tutto il mondo. L’atmosfera della bella città austriaca lasciava intendere il significato di incontri fra diverse razze e modi di pensare, dimostrando ogni anno una volta in più come l’arte potesse coniugare il grande respiro della comunicazione e, in un certo senso, la fuga dal provincialismo. Tutto l’insieme era forse ciò che aveva così ben detto Ottavio Minola in una delle sue lettere quando aveva parlato di “Salisburghite cronica”? Salisburgo, dunque, rappresentava una iniezione doppiamente corroborante, sia per la musica in quanto tale, sia per gli incontri con umanità varia che alla base aveva il medesimo innamoramento appassionato per la medesima musa. Così racconta Ottavio Minola: “Eravamo un gruppo di giovani pianisti provenienti da ogni parte del mondo, accomunati non solo dall’amore e dall’impegno per la musica, ma anche dalla devozione per il nostro grande insegnante Carlo Zecchi. Io ho partecipato ai corsi per tre estati consecutive oltre ad avere alcuni incontri col Maestro a Roma. Ricordo che fra i compagni di corso c’erano gli italiani Marcella Crudeli, che per anni ha diretto poi il conservatorio di Pescara e con la quale mi sono incontrato dopo parecchi anni in occasione di un concorso per il quale eravamo assieme in giuria; Nini Giusto di Messina che è stata insegnante al Conservatorio di Messina; la filippina Ramona Lopez che è vissuta per qualche anno a Roma e che ho incontrato in occasione di un mio concerto in quella città; il filippino Josè Contreras dalla musicalità spiccatissima. Ricordo il giovanissimo Aci Bertoncelj, iugoslavo che veniva accompagnato dalla sua insegnante che fungeva anche da interprete fra il ragazzo e Zecchi. Un giovane non ancora ventenne dottissimo. Riuscivamo a comunicare usando qualche parola d’inglese, francese e addirittura con qualche reminescenza scolastica di latino! I corsi erano molto impegnativi. Ogni giorno avevamo sei o sette ore di lezione in classe e un paio d’ore per lo studio individuale. Ciò non ci impediva di frequentare anche concerti e spettacoli d’opera. Non trascuravamo nemmeno qualche serata danzante al Winkler, qualche gita nei dintorni alla domenica e… qualche inevitabile, anzi cercato flirt…! Beata gioventù. In classe, come auditrici, c’era un gruppo di insegnanti che seguiva le lezioni. Oltre alla signora Tallon c’erano le goriziane Cecilia Seghizzi, Pierina Civitelli ed ancora una della quale non riesco a ricordare il nome. Cecilia Seghizzi è una delle persone più eccezionali che ho conosciuto. È entrata nel suo 104esimo anno di vita e comunichiamo ancora via internet! Compositrice, violinista, direttore di coro, pittrice… ancora lo scorso anno ha tenuto una mostra dei suoi acquerelli a Gorizia. Sono sempre rimasto in contatto anche con Pierina Civitelli che purtroppo è mancata lo scorso anno. Della signora Pia ho un bellissimo ricordo, della sua signorilità, cortesia e squisita ospitalità. Sono sempre stato suo ospite in occasione dei miei concerti per la Propordenone. Ricordo anche la sua diabolica capacità nel definire certe persone con un soprannome che traduceva perfettamente le caratteristiche che erano loro proprie. Non amava il pianismo di Horowitz subito mutato in Ferrowitz. Ricordo una signora che univa ad una costituzione “robusta” la predilezione per abiti molto ricchi di pieghe, pizzi e guarnizioni…”la faraona”. Ovviamente il periodo salisburghese è stato per tutti noi un momento importante ed entusiasmante. Spesso mi sono chiesto quale destino abbia riservato la vita a ciascuno di noi. Io sono convinto che è valsa la pena avere dedicato tutta la vita alla musica e sono quasi certo che questo è un pensiero condiviso anche dagli altri componenti” (1).
(1) Testimonianza inviata dal maestro Ottavio Minola all’autrice in data 12 gennaio 2012 38
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Fra i frequentatori di Salisburgo c’era, dunque, anche Marcella Crudeli che ricorda così quegli anni: “Ho conosciuto Pia Tallon Baschiera nel lontano 1957 quando io, ragazzina, frequentavo i corsi di alto perfezionamento tenuti dal maestro Carlo Zecchi al Mozarteum di Salisburgo. Anche Pia frequentava detti corsi, ma come uditrice, insieme ad altre signore entusiaste nell’ascoltare giovani talenti provenienti da tutto il mondo. Legammo subito come affinità e sensibilità; ricordo che quando io suonavo per il maestro Carlo Zecchi alla fine della mia esecuzione gli occhi splendenti di Pia luccicavano. Fui invitata da lei a suonare anche a Pordenone e fui ospite nella sua bellissima villa. In tale occasione ebbi modo di conoscere la sua mamma, una signora squisita e il marito. Ci siamo sentite più volte nel corso degli anni. Tuttora conservo una sua corrispondenza scritta quasi sempre a mano che testimonia la sua amicizia e l’affetto per me. Di Pia ho un ricordo molto bello, sia come persona raffinata ma soprattutto mi ha sempre colpito la sua grande sensibilità. L’immenso amore che aveva per la musica che così efficacemente dimostrava è segno di una grande civiltà culturale e d’impegno artistico rivolto soprattutto più che a se stessa alla valorizzazione dei giovani talenti emergenti” (2). Delle sue presenze a Salisburgo restano, oltre a fotografie e cimeli, una serie di gabbie per volatili che lei soleva portare a casa per poi collocarle in terrazza.
Tutti in posa per ricordare il Mozarteum. Pia è la seconda da destra. Al piano Carlo Zecchi
(2) Testimonianza inviata dalla pianista Marcella Crudeli all’autrice in data 25 gennaio 2012 UNA VILLA TRA LE NOTE
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Le lettere “E come sono ansioso di vedervi, lei ed Arrigo, e stare nuovamente un poco con voi… Ora per esempio sto percorrendo migliaia di chilometri nella sconfinata pianura russa (no, non sono ancora in viaggio per l’Australia) e poiché c’è la bella abitudine di piazzare dei ricevitori in ogni cabina del vagone letto, tu devi per forza sorbirti i programmi radio e i dischi che il vagone centrale, in capo al treno, ti somministrano, tu volente o nolente” (1). Così scriveva il celebre Carlo Zecchi a Pia. “Non vedo l’ora che arrivi l’estate: ormai anch’io sono affetto da una Salisburghite cronica dalla quale dispero di poter guarire” scrive, invece, il pianista Ottavio Minola a Pia a proposito dei corsi estivi frequentati in estate nella graziosa città austriaca (2). Sono due brevi sequenze di lettere, un esempio dei rapporti intrattenuti da Pia con il mondo della musica ed i suoi personaggi. È l’argomento fondante dei ricordi epistolari che compongono un altro tipo di patrimonio conservato fra le mura di Villa Baschiera-Tallon. Patrimonio di lettere, di opere d’arte e di gioielli e monete. Nel primo caso si tratta di una raccolta, seppure formata talvolta da messaggi brevi (biglietti, cartoline postali) che confermano i rapporti anche internazionali di Pia e Arrigo, ma soprattutto di Pia con personalità non solo della musica ma anche della società di allora. Come, tanto per citare solo alcuni esempi il celebre economista Federico Flora, l’imprenditrice Anna Bolchini Bonomi la quale, fra l’altro, aveva costruito il Pirellone di Milano. Fra questa corrispondenza, dunque, figurano oltre ai già citati Zecchi e Minola (con quest’ultimo che si definisce scherzosamente non un pianista ma un “tastierante”), Mario Bortolotto, Cecilia Seghizzi, Plinio De Anna, Claudio Scimone, direttore dei Solisti Veneti. E ancora Liliana Caraian, di cui oggi è attiva a Gorizia una Fondazione per promuovere le arti figurative e la musica, Marcella Crudeli, pianista e fra l’altro insegnante alla Normale di musica di Parigi, il concertista ed allievo di Pia Gianni Della Libera, nonché il pianista spilimberghese Umberto Tracanelli. Uno degli aspetti più belli di questa corrispondenza è la “ricostruzione” in forma epistolare del “cenacolo” che suonava sotto l’ala di Zecchi a Salisburgo. C’è da segnalare, anche, la lunga corrispondenza (dal 1945 al 1965) con Giovannino Sparpaglia di Paternò, pianista, militare a Pordenone e “nascosto” da Pia durante gli eventi conseguenti l’8 settembre. In cambio di questa ospitalità Giovannino effettuava vari lavori di manutenzione necessari in casa.(3) “Pordenone ferve di opere, i giovani discutono, i meno giovani si difendono (ad ogni momento ci si imbatte in qualcosa che ha a che fare con Pordenone, anche per chi è tanto lontano). Ma a cui pare ancora ieri quanto nella tranquillità di piazza del Municipio c’erano solo soldati che scrivevano a casa e un’Aprilia blu con bombole sul tetto che si fermava…. Ecco a cosa penso quando vedo quell’angolo di piazza e quella casa” (4). Altri nomi che compongono questa raccolta? Carla David Fumagalli, pianista ed allieva di Benedetti Michelangeli, Bruna Forlati, direttrice del Museo Archeologico di Venezia, Mafalda Micheluzzi, cantante e interprete cinematografica per la lirica, Angiola Denti di Pirano, figlia di Domenico Pecile, Ida Munerotto di Conegliano, vicina alla Foltran, Rudolf ed Eva Wollmann di Vienna e molti altri. (1) Lettera inedita di Carlo Zecchi del 17 ottobre 1963, scritta dal treno che da Leningrado lo stava portando a Minsk (2) Lettera inedita di Ottavio Minola del 13 dicembre 1956 (3) Testimonianza raccolta da Rosetta Curtalo Toscano (4) Lettera inedita di Giovannino Sparpaglia dell’8 aprile 1965 42
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Parte della lettera scritta da Arrigo Tallon a Pia nel marzo del 1936
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Le opere d’arte L’immagine è di un giovane ed attraente Arrigo Tallon. Il ritratto (olio su tela 53 x37) è opera di Umberto Martina (1880 – 1945), allievo di Ettore Tito e dell’americano Carl Marr, presumibilmente realizzato (non avendo apposta la data) fra il 1925 e il 1931, in seguito incorniciato a Venezia durante il periodo nel quale Pia ed Arrigo abitavano nella città lagunare. In un ideale giro turistico attraverso le opere d’arte di villa Baschiera-Tallon è doveroso iniziare dal padrone di casa. Pia ed Arrigo amavano circondarsi di cose belle fra le quali vanno certamente annoverate numerose opere d’arte, quadri e sculture. Alcune di queste opere, attualmente conservate presso il Museo Civico e destinate a rappresentare l’Ottocento in un prossimo percorso stabile progettato dall’Amministrazione comunale di Pordenone, sono state oggetto di una mostra nel 1999 allestita presso il Museo Civico d’Arte di Pordenone in quel Palazzo Ricchieri, preludio alla “piazzetta del cuore” di Pia Baschiera, piazzetta che ha visto lo sbocciare della giovinetta e dell’artista. Il patrimonio d’arte consta, per lo più, di olii su tele, su tavole o su cartone, ma anche su legno, di artisti come Vittore Antonio Cargnel (1872 – 1931). Il suo nome figura più di venti volte nella collezione; Eugenio Polesello (1895 – 1983), il già citato Martina, un paio di disegni di Salvador Dalì, uno del 1966 dal titolo “I tappeti volanti” ed il secondo, invece, senza specifici riferimenti, una mezza dozzina circa di opere di Pietro Annigoni, un paio di Duilio Corompai (1876 – 1952), lo stesso dicasi per Virgilio Tramontin, una fusione bronzea di Augusto Murer (1922 – 1985), una decina di fusioni di Francesco Messina (1900 – 1985) ed una “Violoncellista”, scultura di Giorgio Igne. Abbiamo qui citato solo alcuni degli autori che compongono l’intera galleria di Pia ed Arrigo.
Umberto Martina, ritratto di Arrigo Tallon, olio su tela
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Cargnel, Col Longano
Francesco Messina, Cavallo in corsa fusione bronzea
Patrimoni oltre le mura
Sala del mappamondo, particolare di quest’ultimo
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Gioelli e monete
Un parure in oro lavorato a ricamo d’impronta barocca e composto da collier, orecchini pendenti e spilla dove ognuno conserva incastonato un cammeo di colore rosso vagamente pompeiano è adagiata su un velluto chiaro, scatola confortevole e sicura (foto n°1). Non è solo questo ensemble a formare il capitale di gioielli che Pia Baschiera amava indossare nelle varie occasioni di mondanità della sua vita e che ora fa parte del patrimonio della Fondazione. Accanto al completo ci sono altri pezzi unici come, ad esempio, gli anelli. Anelli con pietre, rubini, perle, topazi ed ametiste, ma anche anelli a fascia larga con pietre incastonate e cesellati a motivi floreali (foto n°2), oppure altri ancora di foggia “fine secolo” con brillanti e rubini che si accompagnano volentieri ad orecchini (foto n°3), sempre pendenti, art nouveau e spille fine Ottocento, contrappunto ad un braccialetto a maglia larga tipica foggia degli Anni Cinquanta (foto n°4). Ai gioielli della padrona di casa si affiancano diverse raccolte di monete. Citiamo, per fare un primo coerente esempio, il conio 1981, in argento, per commemorare l’ottantesimo anniversario della morte di Giuseppe Verdi (foto n°5) e quello dell’anno precedente dedicato al IV centenario della morte di Andrea Palladio (foto n°6). Le monete della collezione Baschiera-Tallon sono le più svariate a cominciare dalla Prima emissione di monete di diverse dimensioni raffiguranti animali tipici della Nuova Guinea del 1976 (foto sopra). Se invece si vuol passare a monete squisitamente storiche si può ammirare il conio in oro ed argento con effigi di alcuni personaggi del passato come Carlo Magno e Carlo V e della contemporaneità come il cancelliere tedesco Conrad Adenauer e Winston Churchill. Si potrebbe continuare con la gradevole serie di lingotti d’argento ove vengono raffigurate numerose automobili che hanno scritto la storia dell’automobilismo e così via.
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CREDITI Autore Ludovica Cantarutti Giornalista, consulente nel campo della comunicazione, da anni svolge un’intensa attività di operatore culturale. Ha lavorato per varie testate fra cui Il Sole 24 Ore, La Nazione, Il Gazzettino. Ha pubblicato oltre una ventina di libri di poesia, teatro, saggistica e narrativa. Il suo volume I Signori della memoria (Palombi Editori), dove riscopre in modo originale alcuni personaggi francesi dell’Ottocento, è stato presentato a Parigi nel 1998. Da vent’anni edita i Quaderni di Natale con una storia che riguarda sempre la capitale francese e i suoi artisti. Ha lavorato per RAIUNO. Ha fondato l’Associazione “via Montereale” di cui è presidente. È coautrice con sua figlia Scilla Raffin del volume Le parole del silenzio (Edizioni del Leone) giunto alla terza edizione. Materiale esplicativo della sua attività di fotografa, invece, è conservato al Kunsthistorisches Istitut di Firenze. Silvia Da Pieve Ha ottenuto la Laurea Magistrale in Architettura presso l’Università agli Studi di Udine. Attualmente lavora presso lo Studio di progettazione per interni R+R Partners di Fiume Veneto (Pn). Foto Udo Koehler Progetto Grafico Il progetto grafico è frutto di un’attenta analisi delle forme architettoniche, dei colori e della luce che caratterizza villa Baschiera-Tallon, così come la scelta del font tipografico con cui è scritto tutto il libro, lo Swift, un carattere disegnato da Gerard Unger nel 1985. Il rosso pompeiano che caratterizza le mura esterne dell’edificio è stato riprodotto fedelmente attraverso una quadricromia specifica, così come i colori di varie tonalità ocra dell’interno della villa. La nota musicale antica è l’elemento che caratterizza gli interni dell’abitazione, questo segno è stato adeguatamente stilizzato e riproposto come filo conduttore e di continuità tra la tridimensionalità architettonica e la bidimensionalità di queste pagine. Tale forma la ritroviamo curiosamente anche osservando la pianta aerea della villa. Infine la scelta del supporto cartaceo è ricaduta sulla Luxo samt, una carta morbida e pregevole al tatto ma allo stesso tempo capace di valorizzare con precisa definizione le fotografie di Udo Koehler. Direzione creativa Giuseppe D’Orsi Communication manager Matteo Palmisano Graphic Design Mirko Fort
Stampa Areagrafica Stampato nel mese di Giugno 2012 Foto a pag. 9 si ringrazia l’Archivio di Stato di Pordenone che ci ha fornito su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Friuli Venezia Giulia. Prot. N. 570. Per le foto a pag. 2,3, 5, 6 e 8 si ringrazia l’Archivio Storico Comune di Pordenone. 48
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