share per fare architettura & design in una società della condivisione ·
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share
per fare architettura e design in una societĂ della condivisione
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prefazione
Luisa Castiglioni
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[LC] Luisa Castiglioni & [MB] Massimo Banzi
Sono mondi in rapida evoluzione quelli della creatività e della produzione. A guidare l’innovazione sono oggi sistemi inediti open-source diffusi a livello globale grazie a internet che mettono al centro la persona e non più la grande industria. Le parole di Massimo Banzi, co-fondatore di Arduino, ce lo confermano. [LC]
Sei una delle persone più significative nel mondo dell’opensource, cosa significano per te i legami tra le questioni della produzione e della società? Quali sono le nuove opportunità? [MB]
Ho l’impressione che in ogni momento storico ci sia sempre una parte della società che si porta avanti a esplorare e diventa innovativa e all’avanguardia mentre il resto della società continua a pensare secondo vecchi schemi. In questo momento sta cambiando il mondo industriale perché la produzione fisica degli oggetti è stata trasferita in Oriente e progressivamente anche altri aspetti determinanti nella catena produttiva (ideazione e progettazione) vengono trasferiti verso l’Asia. Quindi il modello del lavoro sta cambiando molto velocemente. In questa prospettiva ci sono alcune persone all’avanguardia, i makers, che rappresentano un movimento nato dal basso che sperimenta scenari possibili alternativi. Le nuove tecnologie stanno rendendo sempre più semplice ed economicamente vantaggiosa la produzione di oggetti personalizzati a seconda delle esigenze delle necessità e della creatività dei singoli. Ponendo al centro la persona e non più la grande industria. [LC]
Conosci bene il mondo del design e dell’architettura: secondo te possono cambiare ed evolvere per meglio rispondere alle nuove opportunità di domani? [MB]
Un elemento interessante da notare è che quando una realtà diventa antiquata e statica a un certo punto succede qualcosa che lo fa cambiare a forza. Questo è esattamente ciò che sta succedendo al mondo del design, dell’architettura e della creatività in generale. Come accadde con la musica negli anni Settanta con il punk, questa è una caratteristica importante del movimento diy. Oggi il design si è fossilizzato sul vecchio modello designer-azienda-cliente finale. In particolare in Italia — fino a pochi anni fa leader nel design — si fa molto fatica a capire i modelli di business rappresentati da nuove piattaforme per finanziarsi come Kickstarter e dalle nuove piattaforme per la progettazione e la condivisione del proprio pensiero e progetto.
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Sistemi inediti che muovono tutto con la promessa di essere aperti e non più proprietari come era nella natura del design vecchio stile. Inoltre, è interessante studiare questi fenomeni recenti nell’ottica della coda lunga di Chris Anderson, all’inizio pensata solo per la vendita di prodotti su internet. Ora è sempre più frequente che ci si inventi un prodotto, un servizio, un’azienda e ci si possa mantenere con questa invenzione grazie alla comunità. Internet, infatti, ha disintermediato una serie di business (quando avete comprato l’ultimo biglietto aereo in un’agenzia di viaggio?): ora si intermediano anche le aziende di design e gli stessi progettisti.
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Come pensi che la situazione in Europa potrebbe creare un nuovo dinamismo e una nuova articolazione tra locale e globale? [MB]
Grazie alle conoscenze messe online in modalità opensource (software, hardware, conoscenze di base), ovunque, si possono acquisire moltissime informazioni su un dato argomento. Quindi anche una piccola start up in mezzo al nulla ha la possibilità di concepire qualcosa di rilevante e utile. La combinazione di caratteristiche come piccolo, agile, veloce permette di sperimentare e vendere (e di farsi conoscere) a livello globale grazie a internet. In parallelo, la nascita di fablab / makerspace / spazi di aggregazione permette a livello locale di far incontrare persone intraprendenti, incoraggiandoli a collaborare tra loro. Sono luoghi per condividere saperi e conoscenze, offrendo l’opportunità inaspettata di riconnettere persone e oggetti al proprio territorio. Lì nasce il desiderio di tornare a fare, di riappropriarsi di vecchie abitudini e usanze, per tramutare le persone in consumatori attivi, creatori di esperienze, progetti, idee. Luisa Castiglioni, giornalista italiana di design e architettura, fondatrice di Press-Office.
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Creative Commons Share Alike (CC BY-SA)
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introduzione Nathalie Bruyère
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Oggi il marketing gioca un ruolo predominante e condiziona gli stili di vita, in quanto contribuisce in maniera essenziale a creare dei bisogni per trovare nuovi mercati. La definizione più semplice di branding è la seguente:
«Branding è sinonimo di ‹potere della marca›. È la potenza di un marchio associato a uno o più prodotti leader nel mercato. Il prodotto può essere un bene materiale o culturale... Il suo obiettivo è quello di dare una forte personalità e un’identità propria, attraverso uno stile di vita dettato dal marchio. I prodotti sono quindi delle immagini di vita più che semplici beni.» È attraverso il branding, la pubblicità, la comunicazione, che le multinazionali captano e condizionano i nostri desideri. Il potere del marchio strumentalizza in effetti alcuni valori della nostra vita al fine di orientarli verso il consumo di beni, contribuendo allo sviluppo e al potere delle multinazionali. I beni di consumo sono considerati i rappresentanti di uno stile di vita preconcetto e artificiale. Possiamo dire quindi che i consumatori comprano più un’immagine che un bene di consumo, in base a quanto il branding è perfezionato. Queste tecniche di vendita utilizzano tutti i fattori culturali per stabilire il dominio dei grandi marchi presenti sul mercato; anche il nome del designer viene strumentalizzato per interessi commerciali. I creatori, allora, non lavorano più sulla realizzazione di progetti o rappresentazioni che contribuiscano a uno spazio comune, ma sullo sviluppo di concetti che costruiscano il loro marchio, al fine di monetizzare la loro entrata nel mercato. I creatori seguono i costumi per costruire l’immagine del loro marchio. Non hanno un piano, una visione del futuro. Il lavoro creativo non è considerato, salvo che non sia anch’esso un marchio eccellente. In questo senso, il lavoro dei progettisti non è più creativo, ma solo produttore di valori commerciabili. Il posizionamento del marchio e del suo corollario, il budget dei supermarket per il marketing e la comunicazione hanno raggiunto dei livelli record. Nel 2010 si stima abbia raggiunto 500 miliardi di dollari a livello mondiale, pari ad un quarto del Pil della Francia.
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Per ottenere un bilancio così chiaro in un sistema produttivo già sotto pressione dai mercati finanziari, l’organizzazione e le condizioni di lavoro sono pregiudicate. Un individualismo radicale e restrittivo, un individualismo basato esclusivamente sull’interesse economico, riveste ora una grande importanza nell’immaginario comune. È diventato la forza trainante della società e ha invertito la natura delle ricerche in architettura e design. Infatti, le ricerche in architettura e design iniziate con l’era industriale (1880), dopo l’arrivo dei mezzi di produzione, hanno portato grandi cambiamenti nei rapporti sociali. Essi sono certamente una fonte di miglioramento delle condizioni di vita attraverso il loro potere produttivo, ma parallelamente lo sono anche di tensioni sociali, di dibattiti e ricerche in architettura e design al fine di realizzare nuovi ambienti di vita. Questi dibattiti si concentreranno sulla tensione esistente tra artigianato e industria, sollevando la questione della dignità del lavoro artigianale contro l’alienazione del lavoro industriale. In seguito la ricerca affronterà le questioni del prezzo e della possibilità di accesso ai beni, con la conseguente purificazione del decoro, al fine di creare oggetti e spazi pensati per una linea a basso costo. Nel 1920 una nuova filosofia si concentra sulla creazione di un sistema che riflette la figura dell’uomo moderno. Il linguaggio è unico. È basato su forme semplici: quadrato, triangolo, cerchio e il bilanciamento dei colori primari e secondari attuati in nuovi mezzi di produzione. Questi metodi di produzione utilizzano tubi metallici, tessuti industriali, grandi spazi aperti... Questa filosofia è sostenuta dalla scuola Bauhaus. Infine, la scuola Ulm attuerà e radicalizzerà questa ricerca in un sistema di controllo industriale che calcola il tempo di produzione. Questa scuola consentirà la maturazione della standardizzazione. Questo standard unico e fortemente industrializzato ben radicato nella cultura, è stato messo in questione. È stato ampliato per cedere il posto a una cultura pluralista. L’architettura radicale, negli anni 60, ha permesso un’apertura culturale indispensabile. Essa mirava a creare una moltitudine di linguaggi, metodi, pensieri, al fine di definire progetti vari: la diversità contro il dominio del pensiero e il concetto di bellezza dell’epoca moderna, l’integrazione delle diversità umane in contrasto con uomini standardizzati e progettati su un unico modello. Al fine di aprire questa produzione standardizzata e unica, pensata per produrre beni di base su grande scala, il design italiano ha aperto la ricerca verso una produzione ibrida (piccole-medie imprese, artigianato...) per dare alla creatività e alla sperimentazione formale più spazio e quindi costruire una cultura pluralistica. Per questo strumenti di produzione sono le piccole e medie imprese, il mix tra artigianato e piccole industrie... Non si tratta di rimuovere le grandi imprese, ma più di creare
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una maglia, un tessuto economico diversificato. La necessità di apertura verso una cultura diversa, verso oggetti prodotti attraverso una grande varietà, è stata sovvertita dalla redditività; queste varie ricerche sono state recuperate. Ogni epoca ha la sua scuola, quella dell’era post-industriale è la Domus Academy fondata a Milano nel 1982. Essendo stata io stessa alla Domus Academy, ho potuto seguire da vicino il suo progresso. Questa scuola era destinata ad attuare progetti per sostenere l’industria che lavorava in un mercato saturo. La mania il design come veicolo di comunicazione delle emozioni, di promozione, di sperimentazione formale ha dato luogo all’apertura di scuole sempre più numerose, formando sempre più professionisti che lavorano per mettere in atto strategie per sostenere la progettazione di merci. Come ha scritto Andrea Branzi (designer e teorico):
«Il ruolo di guida delle piccole scuole sperimentali si è gradualmente esaurito durante gli ultimi anni del XX secolo, quando la professione di designer ha subito profondi cambiamenti, passando dalla concezione di nuovi prodotti alla definizione più complessa di ‹strategie innovative› destinate all’intero panorama industriale, che ha dovuto affrontare la concorrenza internazionale, nuovi mercati globali e l’avvento delle nuove tecnologie. Il design si è quindi gradualmente trasformato in una ‹professione di massa›, al fine di rispondere positivamente alla domanda globale di innovazione, vale a dire alla creazione di nuovi prodotti, nuove imprese, nuovi mercati. [...] l’innovazione si traduce 13
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in un profondo cambiamento della filosofia del design contemporaneo, che rinuncia al suo tradizionale impegno nella concezione di ‹prodotti finalizzati› al profitto di un’incessante attività creativa di cataloghi sempre rinnovabili, di strategie di comunicazione e promozione, di consultazione e di selezione di impulsi a nuovi progetti, che non riguardano solo il settore dell’arredamento e della decorazione, ma qualsiasi altra industria nel mercato attuale.» Il design è diventato un mezzo di comunicazione per la creazione degli «stili di vita»; l’immagine costruita dai progettisti per i super marchi attorno ai «concetti di vita» non è più il supporto all’evoluzione dei modelli, degli usi, dei costumi e degli oggetti in funzione degli individui. I progettisti devono produrre più immagini, il loro nome diventa anche un valore di mercato per un business lucrativo. Ciò che prevale è questa immagine come valore di mercato per poter vendere. La creazione è compromessa in favore di una moda permanente. È come un tonfo sordo, ma ancora presente, il rumore di colui che griderà più forte, perché il suo linguaggio, la sua immagine possano essere vendute attraverso gli oggetti che crea. Il valore di mercato gli permette di «esistere». Lo stato di questa evoluzione conduce a:
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«obiettivi che finiscono per coincidere con i prodotti, entità tautologiche del mercato senza alcun orientamento comune e guidate solo dall’energia della concorrenza e della pura innovazione espressiva. L’architettura ha iniziato 14
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a diventare, negli ultimi dieci anni, un sistema di prodotti, vale a dire a guardare dall’esterno gli oggetti, che esistono semplicemente in opposizione polemica al contesto urbano in cui si inseriscono e creano supporto a un marchio, un blog, un’iniziativa imprenditoriale (come nel caso del Museo di Arte Contemporanea di Bilbao).» Questa società super commerciale non crea un proprio equilibrio, contrariamente a quanto suggerito dall’idea dei mercati di autoregolamentazione. Questa società è rivolta al perseguimento del massimo profitto. Questa ricerca mette in crisi molti degli equilibri sociali e culturali creatisi nel periodo glorioso dei anni 1945 al 1973, in particolare la produzione di massa a scopo di lucro e non per il valore d’uso della produzione. Questo distrugge le piccole produzioni e artigianato, tuttavia produttori non solo il valore più d’uso con le esigenze sociali, ma anche vettori di legami sociali. Partendo da preoccupazioni comuni, quello di mettere il legame sociale al centro del nostro lavoro e dei nostri prodotti, abbiamo voluto attraversare i nostri campi: il design, l’architettura e la tecnologia dell’informazione, le scienze umane e l’economia. Con un approccio critico al capitalismo, alle sue conseguenze e all’estensione delle merci, abbiamo voluto mettere in pratica un percorso che permetta una riappropriazione dei nostri stili di vita. Ci sembra che ciò che costituisce il terreno comune tra le nostre aree di competenza è il concetto di «modello aperto». L’analisi economica dimostra che gli oggetti e gli spazi sono generalmente standardizzati e le loro caratteristiche (forme, colori, tecniche) sono privatizzate in modo da rendere il loro utilizzo a pagamento. Questa privatizzazione prende la forma di un’ostruzione all’utilizzo e alla modifica di queste caratteristiche. Proponiamo quindi al contrario di sviluppare ipotesi attorno ad uno standard aperto. Il concetto di standard aperto si oppone al monopolio e alla standardizzazione di massa per costruire delle strutture collettive di lavoro cordiale e collaborativo. Nel design, il concetto non blocca l’utente in un oggetto di rappresentazione sociale e codificato, ma è aperto
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a pratiche di adattamento e sviluppo continuo dell’oggetto in funzione dell’utilizzo. È lo stesso con l’architettura; l’organizzazione spaziale può essere esaminata in linea con i vari cambiamenti degli stili di vita e del loro rapporto con l’ecosistema, anche se resta tecnicamente non modificabile su alcuni aspetti. L’evoluzione delle tecnologie d’informazione apre la strada alla condivisione delle conoscenze pratiche su larga scala, in precedenza impossibili. Il concetto di standard aperto trova il suo equivalente nel campo dell’informatica, in pratica intorno a software liberi, processi di sviluppo e risorse condivise, così come piattaforme aperte per prototipi elettronici. Attraverso discussioni iniziate intorno alle nozioni di standard aperti, sembra che l’oggetto e lo spazio debbano interfacciarsi per creare spazi conviviali e in armonia con l’ecosistema e che i mezzi digitali ed elettronici possano mettersi al servizio di questa mutazione. Inizialmente il libro presenta le dinamiche del capitalismo che conducono gli individui a cedere parte del loro stile di vita e del modo di utilizzare gli oggetti nella quotidianità. Questo lavoro si basa su scienze sociali, illustrate da Le tre favole del capitalismo. Potrebbe sembrare che le rappresentazioni economiche e sociali del capitalismo non abbiano una parentela con la scienza. Possono sembrare simili a racconti o «favole», perché la loro funzione è di trasmettere visioni comuni. Ma è proprio quando queste rappresentazioni comuni sono ampiamente condivise che hanno la capacità di cambiare il mondo. Questo è il caso delle principali rappresentazioni dell’economia, quali il mercato o l’individualismo. Le rappresentazioni alternative che proponiamo non modificano tali principi. Il fine di questo insistere sul carattere «favoloso» dei principali concetti della scienza economica liberale, è quello di permettere una riappropriazione più facile da parte dei maggior esperti in questo campo teorico, spesso chiuso dai guardiani del tempio che sono gli esperti economisti liberali. Questa prima parte individuerà i grandi principi guida del nostro approccio ad uno standard aperto. La seconda parte del libro presenta una riflessione di architettura sul nostro stile di vita, in linea con le precedenti analisi socio-economiche. Questa riflessione è centrata attorno alla casa, a prima vista l’esempio più evidente, ma potrebbe anche essere radicata in contesti di lavoro, spazi pubblici, luoghi di scambio e di commercio. Per recuperare questi spazi, proponiamo ipotesi che tentano di ridefinire il quadro operativo della gestione del progetto architettonico attraverso lo spazio vuoto. La terza parte esamina da vicino come gli oggetti possano essere progettati secondo il principio della creazione e produzione di uno standard aperto. Il design è quindi considerato non come disciplina che crea gli oggetti, più o meno semplici, più o meno industriali, ma come disciplina che attua progetti a supporto della vita, dell’alimentazione
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dei sogni, del vivere insieme, della creazione di prodotti comuni. L’arrivo della catena di produzione digitale, dello sviluppo sostenuto da Internet e della sua conseguente capacità di diffondere informazioni, ci permette di immaginare un contesto operativo differente in grado di ridefinire il ruolo dell’utente, del creatore, della diffusione e della distribuzione. Per non cadere nella trappola di una produzione generatrice solo di accumulo e individualismo, le pratiche di creazione e produzione possono essere fondate sul dono e sulla risposta al dono. Al tempo in cui la crisi del capitalismo è sempre più pesante e distruttiva, ci sembra importante dire che la vita può essere il supporto di pratiche condivise, che generano nuove opportunità di produzione e coesistenza. Questo scenario di vita non deve essere supporto di un’apparenza illusoria.
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riassunto
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0 La Medusa 18
I Le tre favole del Capitalismo 26 1 La favola della crescita economica illimitata, fonte di felicità 2 La favola dell’imprenditore 3 La favola del mercato, di grande efficacia per i rapporti umani
II L’architettura dell’invenzione quotidiana 44 1 Ristrutturazione del posto 2 Lo spazio vuoto 3 Un locale in più, il sogno inaccessibile? 4 La ricetta di condivisione
III Verso un modello cooperativo aperto 60 1 Riappropriazione del decoro 2 Forma e uso 3 Tempo libero e condivisione
IV La filosofia del nostro progetto. Verso la costruzione di uno strumento user-friendly. La società del dono 86 19
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La Medusa Nathalie Bruyère 2006
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0 La medusa si è sviluppata attraverso
manufatti, cresce, divora i consumi e cattura gli uomini all’interno di un falso benessere. Li mette in conflitto. Questa medusa parla un linguaggio altamente codificato, abbondantemente pubblicizzato, difendendo una standardizzazione del pensiero, al fine di svilupparsi, proponendo rappresentazioni individuali come soluzione al consumo di oggetti. Si nasconde dietro un aspetto discontinuità , creando una moltitudine di artefatti differenti per le tecniche e linguaggi per soddisfare meglio la domanda di questo benessere. 23
0 L’ambiente è diventato non
più omogeneo, ma compatto. Si trova sopra le nostre teste, ha preso la forma di un onnipotente che non è più controllabile dall’uomo comune. Il suo funzionamento si basa sull’accumulo di rendimenti, poco le importa di mettere a repentaglio le condizioni sociali, perché il suo scopo è quello di soddisfare il suo sviluppo. Essa ha potuto prendere il controllo grazie allo sviluppo dei mezzi di comunicazione che le hanno consentito di dare degli ordini al mondo intero. La medusa vive in una città moderna, espansa, questa città è 24
0 più simile a un territorio; essa dà
la possibilità alle persone di vivere dove vogliono e con chi vogliono. Questo stile di vita non obbliga le persone a vivere insieme, come nelle città industriali. Le risorse materiali per la loro vita quotidiana sono ovunque, da tutte le fonti e da varie produzioni. La Medusa è mobile, ha fatto saltare tutte le reti abituali. Essa utilizza un metodo «à la carte» su scala mondiale, che non ha bisogno di alcun controllo. Di fronte a questo nuovo ambiente, gli uomini comprano oggetti, stili di vita, per identificarsi, per essere rappresentanti delle loro 25
0 appartenenze culturali, religiose,
l’Altro esiste solo nei giochi degli specchi. Questa concretezza dello stile di vita e degli oggetti rende le piccole cose di ogni giorno quasi insopportabili; con la consapevolezza dello sviluppo sostenibile, inteso come equilibrio, ci sentiamo in dovere di cambiare le cose.
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Le tre favole del Capitalismo Mireille Bruyère
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La prima parte si propone di analizzare le dinamiche del capitalismo che portano gli individui a disfarsi di una parte del loro stile di vita e della maniera di utilizzare gli oggetti nella vita quotidiana. Questo lavoro si basa su concetti di scienze sociali. Queste sono Le tre favole del capitalismo.
«Socrate: Sai un modo per far credere questa favola? Glaucone: No, almeno agli uomini con cui stai parlando, ma so come questo possa essere fatto con loro figlio e i loro discendenti e le generazioni future in generale.» Per esporre la necessità di sviluppare strumenti e produzioni comuni, abbiamo scelto di mostrare le dinamiche più profonde del capitalismo attraverso tre concetti centrali, che si rilevano poi essere le favole della scienza economica: l’accumulo del profitto come fonte di crescita e di felicità senza limiti, l’imprenditore e il mercato ottimizzatore.
1 La favola della crescita economica illimitata, fonte di felicità
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«Chi crede che una crescita esponenziale possa continuare all’infinito in un mondo finito è un pazzo o un economista.» Ciò che viene definito «capitalismo» è un’organizzazione sociale che ha impiegato numerosi secoli per costruirsi. Una delle sue origini è in Inghilterra nel XVI secolo. Proponiamo per cominciare una definizione recente. Può essere definito come un sistema in cui una buona parte dei mezzi per produrre beni utili alla vita sono nelle mani di privati. La proprietà privata dei mezzi di produzione di beni necessari alla vita (beni economici) è il fondamento del capitalismo. Questi mezzi di produzione sono fabbriche, macchinari industriali e agricoli, ma anche le aziende di servizi, come ristoranti, cinema o librerie. Max Weber, celebre sociologo tedesco (1864 –1920), scrive un’opera sullo Spirito del capitalismo all’inizio del XX secolo. Analizza le idee e gli scenari che hanno accompagnato la nascita del capitalismo. Sostiene questa nuova rappresentazione del mondo, desideroso di accumulare ricchezze
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materiali come se fosse un fine legittimo e morale della vita sulla Terra. Questo accumulo, questo aumento della ricchezza materiale è possibile solo se riusciamo a produrre un numero di beni più grande rispetto a quelli utilizzati per produrre. È pertanto necessario che vi sia una plusvalenza. Karl Marx riteneva che solo il lavoro umano era in grado di creare questo valore aggiunto. Il capitalismo è quindi il sistema nel quale questo valore aggiunto non appartiene al lavoratore, ma a colui che possiede i mezzi di produzione: il capitalista. Quest’ultimo separa quindi questo plusvalore in un profitto per sé e un salario per i lavoratori. La storia di questa favola è la seguente: il capitalista cerca di accumulare la ricchezza, perché questa è un fine legittimo e sintomo di una vita di successo. Per questo egli cerca tutti i mezzi razionali per far funzionare la propria attività. Va quindi ad investire e a dirigere razionalmente il lavoro. La produzione andrà ad aumentare. In questo mito, è la ricerca del massimo beneficio del capitalista che fa crescere l’economia. Questo porta ad un accumulo, non solo di utile ma anche di ricchezza economica in generale. La crescita delle ricchezze economiche è il risultato dell’accumulo di profitto. Infatti, al fine di realizzare un profitto, bisogna vendere i beni prodotti su un mercato. Questi beni sono allora dei beni commerciabili. Una maggiore quantità di profitto richiede quindi una maggiore quantità di beni venduti nei mercati. Questa promessa di abbondanza e prosperità è il supporto morale del capitalismo. Il profitto è un «male necessario» che permetterebbe la crescita economica e la prosperità per tutti con un effetto a catena. La ricchezza sarebbe un vantaggio per i ricchi prima, e poi di conseguenza anche per i più poveri mediante investimenti e consumo di beni di lusso. Questa abbondanza è una realtà per i ricchi e spesso una semplice promessa per i più poveri. Si presuppone che la crescita dei beni materiali è infinita come lo saranno i desideri umani. In questa concezione, vi è un’unica identità tra desideri e bisogni dei consumatori. Si presuppone inoltre che ci saranno sempre dei mercati e richieste abbastanza grandi da assorbire questi flussi di merci. In questo senso, è un mito. Ma perché i mezzi di produzione si sono ritrovati nelle mani di pochi e non più ampiamente distribuiti nella popolazione? Questo è il risultato di un processo storico di accumulazione primitiva. Karl Marx nella sua opera Il Capitale analizza questa accumulazione primitiva. È durante il periodo pre-industriale che ha avuto luogo la proprietà privata dei mezzi di produzione e le prime accumulazioni di capitale. Uno degli emblemi di tale appropriazione primitiva è il movimento di appropriazione di terreni comuni descritto da Karl Marx e Karl Polanyi. Questo movimento ha avuto inizio nel tardo Medioevo e termina nel XIX secolo in Gran Bretagna. Si tratta dell’espropriazione dei piccoli contadini
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dalle loro terre comunali al fine di consentire ai Signori di adibirli a pascoli recintati per la produzione di lana per le drapperie in espansione. Questo movimento privatizza gli antichi terreni comunali dei contadini, costringendoli a spostarsi verso città industrializzate o a vendersi ai Signori come agricoltori.
«La spoliazione dei beni della Chiesa, l’appropriazione illecita dei domini dello Stato, il saccheggio dei terreni comuni, la trasformazione usurpatrice e terrorista della proprietà feudale o patriarcale in proprietà private moderne, la guerra ai cottage, sono i metodi idilliaci di accumulazione primitiva. Hanno conquistato la terra per l’agricoltura capitalistica, incorporato il suolo al capitale e consegnato all’industria delle grandi città delle braccia docili di un proletariato senza focolare, né casa.» «Le innumerevoli greggi di pecore che sono presenti oggi in tutta l’Inghilterra. Queste bestie, così dolci, così semplici altrove, sono da voi così voraci e selvagge che mangiano anche gli uomini, e spopolano le campagne, case e villaggi. Infatti, in tutti i punti del regno, dove viene raccolta la lana 35
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più fine e più preziosa, si affrettano, a disputarsi la terra, i nobili, i ricchi, e anche i così tanto santi abbati. Queste povere persone non ne hanno abbastanza delle loro pensioni, dei loro benefici, del reddito dalle loro terre; non sono contenti di vivere nell’ozio e nel piacere, a carico del pubblico e senza profitto per lo Stato. Essi sottraggono grandi appezzamenti di terreno alla coltivazione, li convertono in pascoli, abbattono le case, i villaggi e non ne lasciano che il tempio che serva da stalla per le loro pecore. Trasformano in deserti i luoghi più popolati e coltivati. Essi temono senza dubbio il fatto che non ci siano abbastanza parchi o foreste e che il suolo non manchi agli animali.» «La crescita non è il problema, è la soluzione.» Ovviamente, questa tendenza del capitalismo a moltiplicare i terreni demaniali e i diritti di proprietà sui beni comuni ha sempre incontrato resistenza, perché sono sinonimo di relazioni sociali di dominazione. Ha avuto quindi degli appoggi, ma anche dei freni. Il Dopoguerra in Europa e negli Stati Uniti corrisponde ad un ritratto formidabile per quanto riguarda la logica di mercato con la creazione di sistemi di sicurezza sociale. La Dichiarazione di Filadelfia da parte delle
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Nazioni Unite nel 1944 ne è uno degli emblemi. Consacra un secondo tipo di diritti umani: i diritti sociali (protezione sociale). Molte costituzioni nazionali hanno incorporato questi nuovi diritti. Questo è il caso della Francia nel 1946. Ancora oggi, alcuni di questi diritti non hanno trovato attuazione concreta, come il diritto al lavoro.
Estratto dalla Dichiarazione di Filadelfia. Essa afferma nel suo primo articolo che «il lavoro non è una merce». | Richiama nell’articolo 3, alla «estensione delle misure di sicurezza sociale per assicurare un reddito minimo a tutti i bisognosi di protezione, come anche delle cure mediche complete» | «Un’adeguata tutela della vita e della salute dei lavoratori in tutte le professioni» | «La tutela dell’infanzia e della maternità» | «Una nutrizione adeguata, un alloggio e degli strumenti di ricreazione e cultura» | «La garanzia di pari opportunità nel campo educativo e professionale». Ci sono stati altri periodi caratterizzati da una espansione della logica di mercato, è il caso di numerosi Paesi occidentali a partire dal 1980. La scienza economica liberale utilizza spesso favole o brevi storie per illustrare i suoi presupposti teorici. La famosa favola di Garrett Hardin, intitolata «La tragedia dei comuni», illustra l’ipotesi teorica secondo la quale la gestione collettiva dei beni e l’assenza di diritti di proprietà chiaramente definiti porti inevitabilmente allo spreco. Si «giustifica» la proprietà privata dei beni inizialmente gestiti in comune. Prende l’esempio dei pascoli gestiti congiuntamente dai pastori. Questi ultimi avevano interesse a far pascolare il proprio bestiame, portando inevitabilmente ad uno sfruttamento
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eccessivo dei beni comuni, come nel caso dei terreni adibiti ai pascoli. L’assimilazione di ricchezza materiale per il benessere e la felicità è uno degli elementi essenziali della favola della crescita economica illimitata. Il senso dello sviluppo umano sarà un continuo miglioramento del benessere potenzialmente infinito, di fatto un accumulo di ricchezze materiali. Questa «avventura occidentale» incontra dei limiti ecologici e sociali. Per gli economisti liberali, rinunciare alla crescita economica è un’eresia, perché per loro implica la negazione della felicità. Così, questi limiti ecologici devono essere superati dai progressi tecnologici. Quindi ci sarebbe bisogno di più crescita per ridurre gli effetti della crescita sull’ambiente... Infine, il rapporto tra felicità, benessere e ricchezza materiale è un presupposto fondamentale di questa favola. Molti studi cercano di dimostrare che questi fenomeni non sono collegati e propongono altri indicatori di benessere basati su diverse altre logiche non economiche, come l’indicatore di salute sociale (Social Health) istituito nel 1980 da Marc e Marque-Luisa Miringoff, l’indicatore di disuguaglianza BIP40 creato dal Comitato d’allerta contro le disuguaglianze in Francia nel 1999, l’Indice di sviluppo umano (IDH) dell’ONU e il suo programma per lo sviluppo o ancora l’impronta ecologica che riconosce la domanda esercitata dagli uomini verso «servizi ecologici» forniti dalla natura. Una delle caratteristiche di questi indicatori è che a partire da un certo livello di benessere economico, un aumento della ricchezza non comporta un incremento dell’indicatore di benessere, in alcuni casi, questo porta anche una riduzione dell’indicatore. Infatti, un eccessivo consumo genera effetti collaterali negativi che superano gli effetti positivi (obesità, inquinamento, stress, deterioramento degli ecosistemi).
2 La favola dell’imprenditore Questa sfrenata ricerca del profitto e l’accumulo di ricchezza è fondata su una particolare concezione dell’uomo. Questo racconto mira a definire la natura universale dell’uomo. Essa è l’ereditiera del pensiero occidentale, ma si è affermata con il capitalismo. Afferma che l’uomo è alla ricerca di un suo particolare interesse economico. Le relazioni che sviluppano con gli altri non sono che strumenti per raggiungere i propri fini. Questa concezione occidentale piuttosto desolante della natura umana è antica, ma prende forma all’epoca dell’Illuminismo. Per raggiungere i suoi scopi, l’uomo «egoista» calcola razionalmente «i piaceri ei dolori» (Jeremy Bentham) che implica qualsiasi azione. Questa visione pessimistica dell’uomo è stata teorizzata dal celebre filosofo inglese dell’Illuminismo Thomas Hobbes.
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L’uomo sarebbe egoista e razionale. Così, prima di produrre un bene, egli verifica che gli porti più (sotto forma di profitto) di quello che gli costa (sotto forma di pagamento di materie prime e salari). Allo stesso modo, il lavoratore deciderà di vendere liberamente la propria forza lavoro, di diventare operaio perché ne trarrà più piacere lavorando in questo modo e potrà così nutrirsi piuttosto che lasciarsi morire di fame... Questa rappresentazione dell’uomo porta il nome di homo oeconomicus. Per i pensatori liberali, il perseguimento degli interessi personali, lontani dal condurre all’anarchia e al disordine, porteranno alla prosperità materiale per tutti. Numerose favole scritte dai pensatori liberali del XVIII secolo illustrano questi scenari. Queste favole sono un potente mezzo di diffusione delle idee espresse precedentemente. La più nota è quello di Bernard de Mandeville (scrittore olandese del tardo XVII secolo). Nel 1714, de Mandeville pubblicò un piccolo libro che creò un vero e proprio scandalo in Inghilterra: La favola delle api, vizi privati e pubbliche virtù. Questa favola descrive un alveare fiorente dove prevalgono l’egoismo e il perseguimento dell’interesse individuale (i vizi privati). Un giorno, prese dal rimorso, le api decidono di bandire il vizio privato dell’alveare. La prosperità allora scompare e le api diventano oneste, ma muoiono di fame e noia. Estratti de La Favola delle Api, di Bernard de Mandeville. «L’alveare fiorente».
[...] Morale | Cessate quindi di lamentarvi: solo gli stupidi vogliono | Rendere onesto un grande alveare. | Godetevi i piacere della terra. | Siate famosi in guerra, ma vivete nell’agio | Senza grandi vizi, è vano | Utopia, insediata nel cervello. | Deve esistere la frode, il lusso e l’orgoglio, | Se vogliamo raccoglierne il frutto. | La fame è un terribile inconveniente, certamente, | ma esisterebbero senza di essa digestione e buona salute? | Il vino 39
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non ci è stato forse donato | Da una pianta il cui legno è brutto, asciutto e tortuoso? | Quando si lasciava crescere la vite senza occuparsi di lei, | essa soffocava le altre piante e diventava un tralcio di legno inutile, | Ma lei ci ha fornito il suo nobile frutto, | Da quando i suoi rami sono stati legati e potati. | Dunque constatiamo che il vizio è benefico | Quando viene portato e limitato dalla giustizia; | Sì, se un popolo vuole essere grande, | Il vizio è anche necessario allo Stato | Come lo è la fame per obbligarci a mangiare. | La virtù sola non può far vivere le Nazioni | Nella magnificenza; coloro che vogliono rivedere | Un periodo d’oro, devono anche essere disposti | A nutrirsi di ghiande, oltre che a vivere onestamente. Marshall Sahlins, un antropologo americano, sostiene che:
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«[...] L’uomo è un lupo per l’uomo. Questa espressione che descrive i più oscuri impulsi umani, utilizzata da Freud dopo Hobbes, risale ad un aforisma di Plauto del 200 a.C. Freud si chiese come gli animali 40
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si adattarono ad una tale minaccia per la loro stessa specie. Che calunnia per questi lupi altruisti, proprio coloro che sanno bene cos’è il rispetto, l’intimità, la cooperazione, dai quali deriva il loro senso di ordine inalterabile! Perché dopo tutto, stiamo parlando dell’antenato del ‹migliore amico dell’uomo›. Le grandi scimmie inoltre, cugine degli umani, non cedono a ‹un desiderio inquieto di acquisire potere dopo potere, desiderio che non cessa se non con la morte› e di conseguenza a una ‹guerra di tutti contro tutti›. Non c’è niente di più perverso in natura che la nostra idea di natura umana. È un’invenzione culturale, pura e semplice.» Questa concezione è stata messa in discussione da numerosi antropologi, come Marcel Mauss con il suo Saggio sul dono. L’antropologo Marshall Sahlins sostiene anche che questa concezione della natura umana caratterizzata dall’egoismo era un’invenzione della cultura occidentale.
3 La favola del mercato, di grande efficacia per i rapporti umani La scienza dell’economia si propone di comprendere come la società occidentale produca e distribuisca i beni necessari per la vita. Il fatto che questa scienza sia nata in Inghilterra alla fine del XVIII secolo ha chiaramente un’influenza sul modo in cui gli economisti potranno rispondere a questa domanda. In Inghilterra nei primi anni del capitalismo, i primi
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economisti si interrogano in particolare sul modo più efficace per produrre la maggior quantità di ricchezza. La risposta che gli economisti classici (che oggi definiremmo liberali) danno a questa domanda sull’efficienza è rimasta la stessa: l’unica organizzazione di produzione e di scambio che può garantire questa efficacia è il mercato. Il mercato? Ovviamente, il mercato ci serve per lo scambio di merci. È sempre esistito, si sente spesso dire. Qual è il problema? Se è così antico, allora dovrebbe essere efficace... Quando si parla di mercato senza definirlo, si può creare confusione perché è una parola polivalente molto comune e, come tutte le parole molto comuni, ha molteplici significati. Nel linguaggio comune, il mercato è semplicemente definito come un luogo, uno spazio adibito allo scambio di merci. Ma in economia, mercato significa ben altre cose. Di seguito la definizione (certamente molto austera) che si trova nei manuali di economia:
«Il mercato è formato da un sistema di prezzi esposti, noti a tutti, e inerenti tutti i beni possibili, come un sistema di centralizzazione dell’offerta e della domanda di ciascun individuo.» Questa è quindi una definizione teorica di come dovrebbe essere il mercato e non una definizione basata sulla descrizione degli spazi del mercato, come materialmente esistono. Questo spostamento tra l’affermazione che il mercato è un fatto inevitabile della vita quotidiana e la definizione teorica di un mercato perfetto, tra ciò che esiste e ciò che dovrebbe esistere, partecipa alla costruzione del mito come importante organizzatore della società. Dobbiamo quindi distinguere lo scambio, che è una dimensione imprescindibile per le relazioni sociali, dallo scambio per il mercato così come esso viene concepito dalla scienza economica classica. Nel secondo caso, si tratta di un tipo di scambio molto particolare che richiede diverse cose: | Un prezzo, che può variare liberamente a seconda della domanda e dell’offerta. | Una domanda e un’offerta, dettate da individui che perseguono il soddisfacimento dei propri bisogni e non cercano nient’altro, e soprattutto nessuna relazione sociale. | La conoscenza perfetta e completa di tutti i beni e dei loro prezzi sul mercato, da parte di tutti gli individui allo stesso tempo. | La possibilità per tutti di ingresso ed uscita dal mercato in qualsiasi momento.
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Milton Friedman sosteneva che:
«I prezzi [...] sono in grado di coordinare l’attività di milioni di persone, delle quali ognuna conosce solo il proprio interesse, da questo si rileva un miglioramento della situazione [...]. Il sistema dei prezzi svolge questo compito in assenza di direzione centrale e senza la necessità che le persone si parlino o si piacciano.» Una società in cui potremmo non aver bisogno di amore e di relazioni gli uni con gli altri sarebbe un universo disumano. In queste condizioni altamente teoriche, chiamate «concorrenza pura e perfetta», questo mercato teorico porta matematicamente all’equilibrio di domanda e offerta. Questo equilibrio è considerato una sorta di «armonia» in cui tutti i desideri di acquisto e di vendita sono realizzati secondo il prezzo di mercato. Nessuno incontra impedimenti nell’acquistare il bene se ha le risorse per pagare il prezzo di mercato. L’armonia è quindi limitata agli individui che possiedono i mezzi economici per comprare o vendere. Gli economisti classici ritengono che il mercato è l’unica organizzazione sociale che consenta «un’allocazione ottimale delle risorse economiche», vale a dire che i beni e i fattori di produzione (il lavoro e il capitale) vanno dove sono più necessarie e dove sono più ricercate. Sostengono che il mercato sia in grado di auto-regolamentarsi, che è il motivo per cui il miglior governo economico è il mercato. Un mercato richiede uno scambio ma lo scambio non richiede un mercato. Alcuni scambi sono sotto forma di donazione. Questi scambi sono i più numerosi, anche nelle nostre società caratterizzate dalla cosiddetta «economia di mercato». Non esisterebbe nessuna famiglia o amici, ma anche nessuna cooperazione sul posto di lavoro senza questa forma di scambio. Lo scopo di questa forma di scambio per il dono è quello di mantenere legami sociali che permettono alla società di esistere. Marcel Mauss diceva che il dono ha sempre generato un altro dono. È questa sequenza che nutre e mantiene i legami sociali. In questo tipo di scambio, l’obiettivo è quello di creare un legame sociale, piuttosto che la soddisfazione dei bisogni materiali. Se abbiamo distinto lo scambio per il mercato dallo scambio in senso stretto, allora ora dobbiamo distinguere gli scambi concreti sul mercato, come quelle esistenti in una piazza di un paese, dagli scambi sul Mercato come definito in economia. Nel primo caso: il mercato nella piazza del paese, vale a dire lo scambio di beni nella
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vita reale, è anche occasione di incontri. Su questo mercato, i prezzi sono in genere determinati dagli usi, piuttosto che dal rapporto tra domanda e offerta. Questi scambi di mercato concreti, il cui scopo è lo scambio di beni utili, sono sempre esistiti. Nel secondo caso, ciò che caratterizza la nostra società non è l’esistenza del mercato, ma l’importanza che questi tipi di scambi commerciali svolgono nella nostra vita. Al contrario delle società antiche o tradizionali, lo scambio commerciale delle nostre società moderne è destinato ad estendersi a tutti gli ambiti. Questa vocazione è una deduzione anche delle altre due favole del capitalismo, crescita infinita e l’imprenditore. I nostri mercati sono diventati virtuali e onnipresenti. I più grandi mercati del mondo sono i mercati finanziari, che hanno da tempo cessato di avere luoghi concreti di scambio. Essi avvengono ovunque e in qualsiasi momento del giorno o della notte. Tutti i desideri umani possono quindi essere oggetto di uno scambio di mercato. La teoria economica non avrebbe imposto alcun limite al mercato, in quanto è l’unico modo per costruire una società «armoniosa». Questa vocazione all’estensione dei mercati minaccia quindi altre forme di scambio. La favola del mercato consiste nel pensare che per il «massimo benessere» sia necessario estendere gli scambi commerciali all’insieme degli scambi. Ma sostituire il dono, il cui scopo è il legame sociale, con uno scambio commerciale, il cui scopo è l’accumulo individuale di beni, è un fattore di disintegrazione della società. Non vediamo ovunque la nascita di tecniche e libri che forniscono consigli di sviluppo personale per gestire la vita come un business? Siamo tutto sommato mercanti della nostra vita.
«La società stessa è una concezione dell’uomo e uno stile di vita quotidiano creato sul modello di comportamento imprenditoriale. Invece di attenersi ad un semplice ‹cosa farò?›, l’individuo è invitato a interrogarsi attivamente: ‹come posso raggiungere i miei obiettivi?› e ‹come posso scegliere l’evolversi della mia vita?› A ciascuno, quindi, spetta adottare la strategia di sviluppo personale in funzione dei propri punti di forza, desideri e scelte.» 44
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In questa favola, saremmo tutti imprenditori di noi stessi. Parteciperemmo a questo grande mercato di piaceri e pene della vita. Bisognerebbe allora pensare alle nostre relazioni con gli altri nell’ambito di scambi commerciali, ma anche con i nostri cari. La relazione sociale diventa quindi uno strumento in questa non-società, piuttosto che la finalità. Questa generalizzazione, questo mercato totale, sarebbe la condizione della nostra libertà e felicità. È in definitiva la condizione della nostra alienazione al mercato e anche il nostro isolamento sociale, come scrive Hannah Arendt, della nostra «desolazione»…
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L’architettura dell’invenzione quotidiana Pierre Duffau 2011
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«La riflessione si articola attorno all’habitat pensato come analogia a qualsiasi classe di spazi abitativi. Essa ruota intorno a ipotesi che tentano di ridefinire una riappropriazione dello spazio da parte dell’utente in una città più densa e in relazione a precedenti analisi socio-economiche. Parlando di autonomia, come scrisse Daniel Roche nella sua opera Storia di cose banali. Nascita del consumo XVII–XIX secolo: ‹L’economia della vita quotidiana è legata alla responsabilizzazione della vita privata e al modo in cui è organizzata in rapporto ai luoghi in cui lavorano e quelli del tempo libero.›» 1 Ristrutturazione del posto Organizzare il proprio spazio presuppone diverse cose, dalla più piccola alla più grande, di seguito alcune di esse: il rapporto con gli altri membri della famiglia, gli ospiti, il rapporto con i vicini, il rapporto con le altre abitazioni e in seguito anche con il paese. Iniziamo con una rapida scansione della città. Se la città è oggi uno stato di fatto, vale a dire costituito da quartieri che rappresentano pezzi di identità l’una accanto all’altra senza apparente unità, l’approccio non è sempre lo stesso da un punto di vista architettonico. La trazione tra gli spazi «vuoti» e gli spazi «pieni» dovrebbe essere il motore dell’architettura. Considerare queste irregolarità per pensare al vivere insieme in una città contemporanea ha come punto di partenza le diversità umane, tecniche e interpersonali. L’obiettivo è quello di posizionarsi nei nuclei di queste isole per consentire l’habitat, il lavoro, l’istruzione, la salute, il tempo libero e la cultura, in un traffico di rete intenso. Questa città estesa è imperfetta, diversa, inaspettata
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II e incompleta; questa eterogeneità determina la sua bellezza ordinaria, quotidiana, le sue azioni e gesti di tutti i giorni. Per intervenire in questo contesto si presenta la questione di come realizzare progetti di design sostenibile e rivelare la qualità locale, pensando nell’ottica di un sistema globale. In questa prospettiva, essere un architetto è cercare di soddisfare i diversi modi di vivere la città. Si pone la persona al centro dei progetti, al fine di definire i confini tra spazio pubblico e privato; come reclamare il proprio habitat? L’architettura dovrebbe essere basata su questo presupposto, poiché cerca di creare nuovi spazi abitativi. Ribadiamo che questi ultimi devono sempre consentire almeno la creazione e il mantenimento dei legami sociali e non commerciali.
Stratificazione dell’appartamento e decodifica dello spazio
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Oggi, quando acquistate o affittate un appartamento vi vengono proposte superfici con destinazioni, al meglio un buon indirizzo in un quartiere alla moda o una piacevole vista. Comprate o affittate una superficie e la vostra vita si modella sull’organizzazione funzionale dell’alloggio. La casa soffre di questi mali, vale a dire che non si può decidere l’organizzazione funzionale dei vostri ambienti, che potete in realtà modificare solo parzialmente. Il proposito è quindi quello di prendere d’esempio un appartamento e di sezionarlo per evidenziare possibili blocchi, causati dalla progettazione e costruzione tradizionale. Vediamo che l’appartamento non corrisponde ad un modo personale di vivere il proprio stile di vita, ma è diventato solo un prodotto. Questo prodotto corrisponde ad una normalizzazione degli spazi e finiture, adatti all’industrializzazione, basata sulla produzione di massa e finalizzata solo a scopi commerciali. Stiamo assistendo a una corsa al ribasso. Oggi, solo come artificio per nascondere questo dato di fatto, la maggioranza degli agenti immobiliari utilizzano nel migliore dei casi la caratteristica dello sviluppo sostenibile, il risparmio energetico o HQE (Alta Qualità Ambientale). Pertanto, il «prodotto» venduto è fisso. Che cosa facciamo quando diventa troppo piccolo o le superfici e le disposizioni non sono più adatte all’uso familiare che si è evoluto? Dobbiamo cambiare i nostri stili di vita? La soluzione viene spesso con il cambiamento. Noi vendiamo il nostro appartamento per comprarne un altro, e ci stiamo muovendo dal quartiere, dai vicini di casa, perdiamo legami che abbiamo potuto costruire nel tempo. E questo lo facciamo per ripetere lo stesso schema: prendo possesso, uso, lascio, ecc. I legami che si sono creati in un quartiere finiscono per scomparire e con essi anche la nozione di relazione urbana tra individui. Alla fine di una vita, ci troviamo
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in una zona che non conosciamo, senza amici o vicini di casa che frequentavamo da tempo. Le prime caratteristiche di una casa sono: un involucro realizzato in materiali solidi. Questa membrana è perforata in modo più o meno importante e seguendo le funzioni finalizzate a ciascuna parte della casa. Poi troviamo una serie di pareti verticali sottili che dividono lo spazio in diverse entità: soggiorno, cucina, camere da letto, bagno, wc, disimpegno, ecc. Delle guaine attraversano l’appartamento da un lato all’altro per guidare e defluire acqua ed energia. Poi una moltitudine di piccole reti che passano attraverso soffitti, pavimenti e pareti, finiscono per bloccare tutti gli sviluppi successivi, a causa della complessità introdotta durante loro attuazione. E alla fine si possono anche vedere i mobili posizionati nel posto che è stato loro predestinato. Abbiamo constatato che oggi è impossibile ottenere un corpo abitativo non lavorato; non resta che occuparsi solo dell’organizzazione superficiale. Al fine di non subire, di non essere costretti a rientrare in un quadro abitativo che ci viene imposto, dobbiamo riflettere sulle priorità da dare alla progettazione, non di una sola parte dell’abitazione, ma più in generale dell’immobile intero, e affrontare questo problema da una nuova angolazione. È necessario ridefinire la posizione dell’individuo nel processo di sviluppo di un edificio abitativo collettivo. Quale sarà il ruolo dell’individuo tra 5, 10, 15 o 30 anni? Come potrà adattarsi il suo ambiente al cambiamento dello stile di vita, all’aumento/diminuzione del numero degli occupanti o mobilità di questi ultimi? Per questo dobbiamo porci nel quadro che legifera l’atto del costruire: le regole adottate oggi sono in totale contraddizione con i mutamenti degli stili di vita. Le dimensioni normative sono indicate per ciascuna delle parti. C’è stata poca innovazione negli appartamenti dopo il movimento moderno, dai primi anni 20 fino agli anni 80 circa. Questa è certamente la conseguenza della legge francese del 1977 sul finanziamento all’edilizia sociale che era così innovativa. Oggi è impossibile costruire appartamenti più grandi, senza che gli affitti non ne vengano influenzati. Ciò significa che offrire più superficie penalizza gli inquilini. Quello che noi rappresentiamo qui è l’introduzione di sistemi multipli che possono essere gestiti a diversi livelli, al fine di superare i vincoli risultanti da abitazioni non progressive. Qui si tratta di porre fine al tipo di appartamento descritto sopra, per mettere in evidenza le seguenti strategie organizzative: C’è una specifica organizzazione dell’appartamento? | Ci sono delle varianti? | Ci sono possibilità condivise tra i diversi occupanti, sia nell’abitazione che nell’intero immobile? | Possiamo aggiungere un elemento di volume su una facciata dell’appartamento? | Qual è il rapporto di questa facciata con l’esterno: un filtro, una barriera di protezione o un’estensione dell’abitazione?
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2 Lo spazio vuoto Svuotare lo spazio
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Si richiede poi la gestione dello spazio vuoto, che diventa un parametro organizzativo del nostro habitat. Sistemare uno spazio vuoto non è una questione banale, ma qual è lo scopo? A cosa serve questo spazio vuoto? Nella maggior parte dei casi, il progettista cerca di inventare l’appartamento ideale per un utente che non ha mai incontrato e che non conosce. Questa è già una delle risposte alla prima domanda. Vi è ragione di pensare che, naturalmente, ognuno di noi ha un’organizzazione mentale della spazialità in cui si sente meglio. Quindi, ognuno ha la capacità di organizzare i propri spazi e di modificarli. Oggi, senza uscire dai regolamenti imposti sulle superfici, siamo in grado di prevedere i punti fissi di un’abitazione, le parti che saranno inevitabilmente presenti, come per esempio gli spazi che hanno bisogno di elementi specifici, quali condotti di scolo per le cucine, bagni e sanitari. Ciascuno di queste stanze può essere posizionata in uno spazio aperto, creando uno scolo e rimuovendo i 2 metri dati al corridoio. Questo permette anche di modificare le strutture e creare grandi tracciati sfruttabili a piacimento. In modo da consentire una maggiore libertà negli spazi, organizziamo anche lo spazio vuoto. E possiamo creare micro-ambienti che possono essere adattati ai propri bisogni.
3 Un locale in più, il sogno inaccessibile? Abbiamo sempre desiderato di avere una stanza in più, un ufficio, una camera da letto, un ampliamento della nostra casa...
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II
In alcuni progetti di cooperazione di gruppo, questo è realizzabile, ed è ovviamente uno dei punti di forza di questo tipo di approccio. Impone alla progettazione un ruolo importante, sia per una distribuzione spazio-temporale, che per una futura messa in linea con le norme comunitarie. Ma ora poniamo la questione di come un individuo o un piccolo gruppo di individui potrebbe sviluppare la stanza secondo il proprio bisogno, escludendo le problematiche della comunità.
GIORNO
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soggiorno
camera 1 camera 2 camera 3
cucina
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SA* CH, etc. soggiorno
cucina
WC
zona di transito
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entrata
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WC cucina
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*SA Spazio Aggiuntivo **SA Stanza Aggiuntiva
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[a]
Ci sono due livelli da trattare. Il primo [a] senza alcun effetto sulla pelle dell’edificio, di solito chiamata facciata, può permettere un rimodellamento interno più o meno in grande scala, di uno o più ambienti, lavorando questo elemento come una membrana, una pelle, più o meno variabile. Un filtro anteriore, ed una membrana non oscurante. Il secondo livello [b] consiste nel prolungare un volume sull’edificio. Può essere un elemento esterno o un elemento interno in una facciata. Non si tratta di installare un elemento transitorio non riscaldato che possa servire solo in alcuni periodi stagionali, ma di uno «spazio da vivere». Soluzione di base
Segmentazione degli spazi Un'organizzazione di rivestimento radiale Una rivestimento per due appartamenti a organizzazione lineare Appartamenti omogenei
[b]
Dispositivo per la massima flessibilità
Possibilità di avere lo stessa organizzazione «tecnica» in spazi diversi
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II Opportunità di lavorare i legami interni ed esterni
Le facciate si trovano in questo modo libere, possono ricevere molteplici funzioni. Partecipano alla genesi del progetto, non sono più il riflesso di tipologie di appartamenti, ma il riflesso della vita entrata dietro le loro mura. Esse sono quindi in relazione diretta con l’esterno della casa (dominio pubblico). La struttura delle facciate non è più fatta su un tema di composizione classico, come fecero gli architetti del XVII secolo. Non è più la negazione del nucleo dell’area fabbricata, non rientra più nella trasmissione di una funzione, ma diventa invece un elemento vivente, polimorfo. La staticità della composizione della facciata non esiste più, a sua volta diventa libera... Essa diventa un elemento attivo, che rimanda a delle funzionalità, delle esigenze di vita.
4 La ricetta di condivisione aperto
saldato
traspirante
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II
[p]
Il disegno può anche essere considerato con una strategia simile ad una ricetta. Confronto pragmatico, facilmente applicabile al nostro interno. Oggi, ci sono numerosi materiali, componenti e prodotti semi-finiti di qualità che offrono l’opportunità di progettare con eccellenza e competenza: soffitti, illuminazione, porte, pareti e pavimenti non sono solo categorie di prodotti per le fiere di settore. Ma questi sono elementi strategici che ci permettono di caratterizzare i cicli di sviluppo della nostra vita sotto il segno della qualità. Come in cucina, essi sono ingredienti di qualità nella ricetta «condivisione», sviluppano la propria ricerca del prodotto semilavorato per costruire il nostro habitat: amplificare la scelta semplifica gli aspetti legati all’utilizzo. Hanno creato una nuova logica di definizione che accompagna la creazione di tipologie, che definiscono un nuovo linguaggio e una nuova logica di scelta e di sviluppo. Questa procedura porta ad un forte progetto di innovazione, anche economico, che porta alla ricerca di qualità. Questa fornisce agli utenti non solo un aspetto decorativo, ma introduce il concetto di flessibilità funzionale e sinestesia per creare ambienti artificiali, che, messi a contatto con dei rituali, ci approssimano all’ambiente naturale. Spazi riflessivi o religiosi, le abitazioni diventano multi-funzionali.
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III hackerspace & fablab
Artigianato
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tagliatrice laser
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Piccole e medie imprese
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utilizzo
artigianato
tocca a noi
piacere
competenza
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Verso un modello cooperativo aperto Nathalie Bruyère 2006
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L’arrivo della catena di produzione e di trasmissione digitale, dello sviluppo sostenibile di Internet ci permette di immaginare un quadro operativo differente per la creazione di oggetti. Questo porta ad una ridefinizione dei ruoli dell’utente, creatore, diffusione e distribuzione, ma anche la creazione di una cultura condivisa.
1 Riappropriazione del decoro Come e su quali basi possiamo promuovere relazioni stabili tra le persone attraverso un oggetto? Un primo legame può essere immediatamente creato tramite l’utilizzo del decoro; spesso l’identità di una tendenza e di uno stile cambia regolarmente per diventare rapidamente obsoleto. Si cambia e modifica il look del proprio cellulare, si attaccano adesivi, si cambiano i mobili della cucina rapidamente per utilizzarne altri di grandi marche... Creando dei decori di vario stile, aumenta il desiderio di cambiare rapidamente gli elementi che costituiscono il nostro ambiente al fine di adeguarlo perennemente ai nuovi stili di vita... Ma le cose come sono arrivate ad essere così? Breve ritorno indietro sul rapporto tra potere, rappresentazione e decorazione. Prima dell’età industriale, la decorazione fu il mezzo di espressione della classe dominante, la base del potere. Lo stile del Re, dell’Impero, della nobiltà, erano associati ad una rappresentazione, un ornamento tangibile di oggetti decorati da grandi manifatture, da maestri artigiani: competenze tramandate in una tradizione di grande maestria nel decoro, sviluppata per l’élite. A quel tempo, l’arte popolare ruotava attorno ad oggetti di necessità ordinarie, semplicemente decorate secondo le tradizioni di un luogo; si parla qui di cultura popolare. Questa cultura si oppone a quella di una cultura elitaria qualificata o d’avanguardia che riguarda solo una parte della popolazione istruita. La decorazione è il pilastro portante della cultura, perché è una base immediatamente comprensibile di segni e disposizioni che permettevano di percepire l’oggetto o lo spazio; come su un foglio di carta, la decorazione scrive attraverso forme e colori. La decorazione diviene, come avviene nella scrittura di un libro, un riflesso della cultura di una società. La destrezza del gesto e la maestria su cui si basa per la sua creazione, le danno un ruolo d’eccezione. Il decoro diventa lo standard, questo passaggio è fondamentale per capire come esso si sia trasformato in un elemento di redditività. Il design è iniziato con l’era industriale, nella quale viene istituito un nuovo rapporto economico: quello della produzione di massa. Questa nuova forza di produzione porta con sé l’ideologia di creare la felicità.
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Questo mito si incarna, come scrive Jean Baudrillard, ne La società dei consumi, i suoi miti, le strutture, dalla società moderna.
«Essa [la felicità] deriva, sociostoricamente, dal fatto che il mito della felicità è quello che raccoglie e incarna nelle società moderne il mito di uguaglianza. [...] Il fatto che la felicità ebbe in origine questo significato e questa funzione ideologica induce importanti conseguenze per il suo contenuto: per essere il veicolo del mito dell’uguaglianza, è necessario che la felicità sia misurabile. Deve essere il benessere misurato da oggetti e segni di ‹comfort›.» Alla fine del XIX secolo, le aziende sono sempre più grandi. Artigianato e manodopera operaia esistono in modo sempre più raggruppato all’interno di «fabbriche». La grande industria, a cavallo del XX secolo, manca di opportunità di massa perché le disuguaglianze sociali sono ancora troppo grandi. Con la spinta della produzione industriale si apre un periodo di interrogativi, le preoccupazioni si concentrano sullo sviluppo della produzione di massa, ma anche sulla diffusione di questa nuova cultura industriale. Il confronto tra la cultura industriale e la cultura artigianale genera vivaci discussioni. Da un lato alcuni, come William Morris, sostengono che attraverso il lavoro artigianale, l’uomo compie un’opera, e in questo l’artigianato dà effettivamente l’impressione di fare qualcosa di qualità. Inoltre, l’arte artigianale permette all’uomo di esprimere un forte legame culturale. Dall’altro lato, le prime idee di design industriale, le cui composizioni sono basate sul linguaggio artistico, forniscono una base per la cultura borghese. La borghesia prende il potere a poco a poco con le fabbriche. Questo dibattito riflette una società che cambia, come descritto da Michel Ragon:
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«Lo sviluppo del commercio e la crescita dell’industria sono i due fondamenti della società capitalistica che, nel XIX secolo, esercitavano il potere. Questo si tradurrà in due disastri strettamente collegati: il crollo della città medievale sotto la pressione della città industriale e l’avvento del proletariato urbano. Dal momento in cui la borghesia esercita il potere, la sua morale sul profitto mette in discussione tutto il vecchio equilibrio della società.» Alla fine questa sarà la figura dell’architetto, futuro designer, che prenderà piede, che si ambienterà come quella di un umanista, un attore capace di creare coerenza tra i requisiti tecnici di fabbricazione, un valore d’uso e un aspetto formale. La decorazione subisce anche queste trasformazioni industriali, ma perché il modello diventa un’importante insegna? Standard è la traduzione inglese di «stendardo», vale a dire l’insegna. La decorazione viene rimossa all’inizio dell’età industriale perché poco a poco rappresenta un costo aggiunto nella produzione di oggetti. È difficile da industrializzare e non sembra altro che un aumento del prezzo. L’oggetto «neutro» promuove lo sviluppo di prodotti industriali e mette di conseguenza a sedere il potere della borghesia sulla produzione. Allo stesso tempo, i designer come Peter Behrens, iniziano una riflessione sulla forma degli oggetti industriali, avviano studi che saranno in seguito ripresi dagli artisti della Bauhaus in Germania. Con lo sviluppo industriale, le idee di Adam Smith — economista e filosofo scozzese dell’Illuminismo, fondatore dell’economia liberale — si ancorano nella società. I principi di libertà, responsabilità, proprietà, interesse individuale e concorrenza diventano fondamentali. Come veniamo a un deterioramento della cultura popolare, che è stata il sostegno di numerose decorazioni, per passare alla creazione di una cultura di massa? La fine del XVIII secolo vede l’emergere di una cultura del lavoro che si svolge attorno all’industria, attraverso i sindacati, particelle di terreno per operai, bande... Questa cultura si crea con la mescolanza delle culture tradizionali,
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dovute alla migrazione di massa dei lavoratori dai villaggi rurali alle città. La legge Ferry (1881) cede gradualmente alla scuola il suo ruolo d’istruzione. La scuola diventa il mezzo per la diffusione delle conoscenze al maggior numero di individui. Ma le diseguaglianze persistono e conducono fino alla crisi del 1929. La lotta della classe operaia contro la borghesia, la classe media non esisteva ancora. Gli industriali percepiscono sempre più vantaggi dall’alto rendimento delle prestazioni dei «poveri». Daniel Roche presenta molto bene questo concetto:
«Lo sfruttamento dei poveri ha un rendimento economico eccellente perché, con pochi soldi per individuo e per famiglia, permette una rapida ripresa dei circuiti produttivi e ne assicura la permanenza: il consumo di massa, quello del pane, dei vestiti, hanno una conseguenza immediata. Al contrario, il consumo dei ricchi è più lento e pesante e pone la questione sull’uso del bene: si raggiunge qui il concetto di lusso.» Il consumo divente gradualmente un consumo di massa a partire dalla seconda guerra mondiale. Decorazione e artigianato vengono eliminati a fronte della produzione industriale. È solo dopo la seconda guerra mondiale, durante il boom economico, che appare una classe media. Si tratta di un periodo di sommosse per la lotta tra classi, l’inizio del consumo di massa e il concetto di civilizzazione del tempo libero. La scuola «Hochschule für Gestaltung» (scuola superiore della forma), a Ulm, in Germania, chiamata scuola di Ulm, è il simbolo di quel periodo. Essa stabilisce metodologie di progettazione industriale. Grazie ai vantaggi benefici di un’istruzione di massa attraverso la scuola, all’accesso ai beni di consumo attraverso l’industria, oggi la cultura popolare è cresciuta notevolmente. Ma è stata anche ampiamente recuperata e resa redditizia per produrre una «cultura» del prodotto di massa. Ne sono oggi un esempio, il recupero di diversi lavori più o meno
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noti, o di codici più o meno diffusi attraverso i loghi. La televisione è il vettore della trasformazione della cultura popolare in una cultura di prodotto di massa. Questa manipolazione del desiderio è basata sul fatto che la cultura popolare è «accessibile a tutti».
Anche se l’arredamento è difficilmente separabile dalla forma, la domanda è: come arrivare a mettere in atto una libera espressione decorativa? Con l’espressione decorazione libera, si intente il fatto di non corrispondere alle tendenze, ma a dei codici che creano legami e scambi tra persone. La costruzione congiunta tra utenti e sviluppatori per nuove rappresentazioni decorative, implica, in un primo passo, il mettere in atto un lavoro educativo per essere in grado di evolvere e comprendere le varie forme possibili. Il disegno diventa il mezzo di espressione e di condivisione per la «co-costruzione», sviluppata attorno a una best practice. Abbiamo realizzato con la Novel in 2011, Festival des savoirs partagés (Festival della cooscenza condivisa),
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a Toulouse, primo esperimento in un laboratorio. Questo seminario pubblico si è svolto in un fine settimana presso l’Espace Bonnefoy di Toulouse; il progetto è stato sostenuto da Claudia Raimondo, Giacomo Giannini, assistito da Riccardo Pascusso, Philippe Casens e Usinette.org.
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Questo progetto contribuisce ad una riflessione sulla rivoluzione digitale ed è legato al mondo dell’open source, in cui la progettazione, la produzione, la vendita e l’uso di prodotti sono definiti dai principi di non-proprietà. Basato sull’idea di creare un nuovo linguaggio popolare, il seminario ha proposto l’installazione di un tipo di stampante 3D «reprap» per la realizzazione di stampe su materiale plastico (ABS), a partire da motivi geometrici e figurativi creati dagli stessi partecipanti, i cui disegni sono stati poi interpretati e personalizzati successivamente attraverso il materiale a loro disposizione.
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Ma fuori da uno studio, sarebbe possibile produrre queste decorazioni? Il lavoro è stato quello di implementare un’interfaccia digitale. Questa interfaccia permette di disegnare modelli in formati digitali, utilizzati successivamente in vari modi: decorazione di ceramica, taglio laser su vari supporti, stampa 3D... Dopo aver creato il modello, è prevista una fase di confronto dei vari disegni, con luoghi o modi di produzione diversi.
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2 Forma e uso La forma è essenziale per la creazione di un design di impronta sociale. Modificare la struttura del proprio appartamento, il proprio stile, avere un design di interni, semplice e moderno, dimostrando quindi di essere moderni, è un motore di redditività immediata perché presuppone che dovremmo cambiare regolarmente tavolini, lampadari e mobili. Ci dimentichiamo che la forma è un supporto all’uso. Per creare grandi quantità, come abbiamo visto, è stato necessario sviluppare un nuovo linguaggio industriale, che si è sviluppato attorno agli importanti principi della forma e della funzione. Quali sono le distinzioni e i principi messi in atto per realizzarlo e perché? Dobbiamo prima capire che la forma è diventata più funzionale, a scapito dell’utilizzo. Con utilizzo, si intende ciò che è conforme alle pratiche sociali. Si tratta quindi di una pratica, di un modo di agire vecchio e frequente, non comporta un imperativo morale, che di solito viene osservato dai membri di una data società, di un gruppo sociale. Ed ecco il problema: rispondere all’uso comprende una moltitudine di risposte possibili per i membri di una data società, di una situazione... La funzione è collegata ad una specificità di un particolare compito. Il cucchiaino serve per funzioni specifiche: girare lo zucchero nella tazzina di caffè, mangiare piccoli bocconi... Esso è costruito sulla logica della sua funzione, attraverso una struttura finalizzata al risultato specificato. Nel caso del cucchiaino, un manico sottile per poterlo prendere in mano, un piccolo recipiente perché possa entrare in una tazza… Si tratta di una lingua internazionale comune, semplice e pratica, la cui comprensione non è immediata, ma è attualmente un importante sfondo culturale per trasmettere messaggi da oggetti semplici e funzionali. Queste idee sono state attuate all’inizio dalla Bauhaus, poi finalizzate dalla Scuola di Ulm. Come produrre una forma che dia senso agli usi contemporanei? Diamo un’occhiata a come standard, funzione e linguaggio universale... Divennero il «solfeggio» delle forme. Le riflessioni della Bauhaus nel 1919, per creare una funzione seguente il modulo e comporre un linguaggio universale, erano essenziali per inventare un modello di uomo moderno. Questo nuovo quadro operativo è influenzato dagli artisti che ne fanno così un nuovo linguaggio di riferimento culturale. La Bauhaus è la scuola della fusione tra arte e tecnica, gli artisti lavorano all’estetica di una nuova rappresentazione della società moderna. I contributi da parte dell’industria e della scienza culminano verso il 1927; è proprio in questo momento che viene creata una sezione di architettura di Hannes Meyer. Questi sviluppi intraprendono la costruzione di un linguaggio, puro e semplice, immaginato attorno all’idea di meccanizzazione basata su un approccio
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[t]
artistico soggettivo. I primi risultati dell’epoca di Weimar sono legati a una rappresentazione formale, importante e semplice, nella quale le forme traducono un’espressione simbolica del senso della forma moderna. Questa rappresentazione è alla base del lavoro di architetti e darà alla luce l’architettura moderna. Michel Ragon scrive:
«È solo attraverso la loro intuizione artistica, e non per un ragionamento scientifico, che si vengono a distruggere gli spazi ottici tridimensionali del Rinascimento, spazio euclideo che sembrava così logico da far sembrare qualsiasi altro disegno simile all’ingenuità del ‹primitivo› o alla follia dei malati di mente.» Questo lavoro artistico può rivalutare l’artigianato attraverso l’arte. L’economia sarebbe dovuta essere rivalutata dall’apporto dell’artigianato artistico e la cultura guidata da questo sistema avrebbe dovuto permettere di aumentare la cultura del popolo.
[u]
«Gropius non fece solo nascere la speranza in una rivoluzione dell’educazione artistica, ma suggerì anche di risollevare la capacità economica dell’artigianato, del commercio e dell’industria attraverso l’innovazione estetica, al fine di aumentare la prosperità.» La tecnica è utilizzata come un semplice vettore della creazione. Questo aspetto «spirituale» dovuto all’essenza stessa dell’arte, come praticata da Johannes Itten (artista, docente alla Bauhaus dal 1919 al 1923), per esempio, doveva permettere di stabilire un linguaggio semplice e puro, una produzione superiore in qualità altamente simbolica.
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[v]
«Tutti i dettagli minori sono subordinati ad una rappresentazione formale importante e semplice, che, una volta trovate le forme finali, porterà a un’espressione simbolica del significato profondo della forma moderna. [...] Il loro aspetto, evidente e riconoscibile a prima vista, non lascia nulla da indovinare sulla complessità dell’organizzazione tecnica. Forme tecniche e forme d’arte sono poi unite in un unico elemento organico.» La Bauhaus è il risultato di un’epoca rivoluzionaria e moralista, nella quale il pensiero è stato razionalizzato per fornire un linguaggio comune a tutti, non si toglierà alla Bauhaus il merito di aver voluto pensare ad un sistema globale, a una fusione di un insieme di cose per creare un modello di vita per l’uomo moderno che la ricerca:
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«il percorso umano, la funzione umana è quella di definire i propri bisogni. Sono pochi, sono molto simili tra tutti gli uomini, i quali sono tutti realizzati sullo stesso stampo dai tempi più remoti che conosciamo. L’enciclopedia Larousse, responsabile per averci fornito la definizione di uomo, ci dà tre immagini per smontare quella sotto ai nostri occhi; l’intera macchina è lì, corpo, sistema nervoso, sistema sanguigno, ed è presente in 77
III
ognuno di noi, tutti senza eccezioni. Queste esigenze sono di base, vale a dire che tutti abbiamo le stesse; tutti abbiamo bisogno di integrare le nostre capacità naturali con elementi di rinforzo, perché la natura è indifferente, inumana (non umana) e inclemente; siamo nati nudi e male armati.»
Pffff… non posso fare niente in questa cucina!!!
Ma questo è solo dimenticare l’uso e quindi la relazione di pratiche sociali, è cercare di liberare la stanza. Questa definizione dell’uomo univoco ha creato la base di un sistema industriale disumanizzante e una guerra contro la natura. Che legame può essere stabilito tra il locale e il globale? Esempio di spazio standardizzato: la cucina. Sono stati pensati elementi modulari prodotti in serie per massimizzare il movimento, la redditività del tempo di preparazione e stoccaggio industriale.
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3 elemento basso per forno | 60 × 60 × 90 h
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2 elemento angolare basso + contenitore girevole | 90 × 90 × 90 h
4 unità basse con 3 cassetti | 60 × 60 × 90 h
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5 elemento angolare basso + contenitore girevole | 90 × 90 × 90 h 6 lavello con 3 cassetti | 60 × 60 × 90 h
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7 mobile per rifiuti | 60 × 60 × 90h
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9 elemento a parete con 2 ante | 40 × 35 × 70 h
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8 frigorifero / freezer | 60 × 60 × 211 h
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Descrizione 1 elemento basso con 3 cassetti | 80 × 60 × 90 h
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Divisione / smontaggio di un cassone da cucina prodotto in serie Elementi di base A 22 millimetri melamina | pannelli laterali con sistema di perforazione 32 | faccia interna B 3 millimetri PFL | pannello posteriore C melammina 22 millimetri | rinforzo e supporto piano di lavoro D melammina 22 millimetri | pannello inferiore E melammina 22 millimetri | cassetto di tipo «pieghevole» F (opzionale) gambe mobili elementi decorativi e modulari 1 laminato | finitura pannello di sinistra 2 laminato | Finitura pannello posteriore 3 laminato | plinti decorativi 4 laminato | pannelli frontali cassetto 5 maniglie 6 piani di lavoro
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C 2
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C
B
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A
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C
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Elementi diversi e chiusure
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F
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F
F
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Mobile personalizzato, adattato all’utilizzo dell’utente
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Il progetto di un oggetto è il mezzo universale facilmente trasmissibile e comprimibile nella maggior parte dei casi. La sua diffusione su Internet permette all’utente di scegliere la modalità di produzione che gli si adatta meglio: il bricolage, permettendo di non spendere, è immaginato in un’ottica di recupero. In questo caso, il modello è progettato in base a diverse variabili: strumenti materiali che possono essere recuperati e vari strumenti per il bricolage a seconda del proprio livello. La catena di produzione digitale fornisce il modello con i file direttamente utilizzabili e validi per il taglio laser, una fresatrice digitale o ancora una stampante 3D; l’utente può modificare le dimensioni dei materiali a seconda del loro utilizzo. Infine, la proposta di un modello artigianale di valutazione delle competenze. Un repertorio dei diversi luoghi di produzione dà poi una mappatura delle possibilità.
Designer
Cliente, utente
piano di arredamento e variazione secondo i mezzi di produzione Bricolage
Artigianato, PME Fablab & Makerspace
Recupero Taglio
File 3D per la produzione digitale
competenze
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III
3 Tempo libero e condivisione Come dare alla qualità della vita e agli oggetti un ruolo di condivisione e non solo di profitto? Il recupero del tempo libero grazie all’ottimizzazione del processo industriale, non ha permesso di offrire un ambiente di emancipazione. Il tempo libero è diventato anch’esso un momento di profitto al centro del sistema produttivo attraverso il controllo del desiderio. Televisione, comunicazione, pubblicità, branding si sono appropriati di questo tempo per creare una cultura di massa malleabile a propria discrezione. Bisognerebbe analizzare il tempo libero e il rapporto che gli uomini vogliono all’interno di una nozione di condivisione, convivialità, scambi di utilizzo, del modo di ricevere e accogliere, per pensare alla riappropriazione e all’impiego del tempo libero. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, bisogna ricostruire fisicamente i paesi, i mezzi di produzione e mentalmente gli spazi di ciascuno. Il contributo dell’industria non è da mettere in discussione, è la sola a poter fornire allo stesso tempo lavoro e produzione di beni in numero sufficiente per tutti. La questione risiede nell’accettazione di una metodologia che non utilizza l’arte, ma solo gli elementi della vita per affrontare una realtà comune a tutti.
[x]
«A Ulm, Hochschule für Gestaltung / Scuola superiore della forma, in Germania, non si sta combattendo per l’opera d’arte, ma per mostrare che la cultura oggi ha come tema la vita.» È stato possibile pensare ad una redistribuzione del tempo di lavoro tra uomo e macchina per creare del tempo libero.
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III
La scuola di Ulm ha implementato le figure di designer industriale, architetto a partire da elementi industriali, ma anche specialisti, collaboratori creativi e razionali, che operano in molte aree di competenza scientifica e tecnica attorno alla produzione industriale.
Ore di tv Nel 2011, 5 h/giorno
Sono automatico, quando mi passano davanti, accendo la luce della stanza
Ore di pubblicità in una vita 6 anni, 24 h/24
trasformare, modificare, rinnovare, adattare…
Ore di lavoro Nel 1890, 2600 h/anno Nel 2011, 1600 h/anno
[y]
«‹Il metodo Ulm›, oltre al suo approccio specifico (definizione del designer come ‹collaboratore scientifico neutro› e analista razionale), definisce gli 83
III
obiettivi con i metodi di lavoro e la tradizione scientifica propria dell’industria tedesca.» Non importa qui quali tipi di metodologie sono stati progettati dai rappresentanti delle varie discipline artistiche che sono stati coinvolti nella scuola di Ulm. L’obiettivo è quello di sviluppare una standardizzazione al fine di creare una rivoluzione scientifica e tecnologica: l’oggetto, l’architettura, il segno, la standardizzazione per liberare gli uomini dal lavoro e creare un ambiente emancipato.
[z]
«In fabbrica, in ufficio, a casa, in città, in tutti questi prodotti e luoghi di cooperazione sociale, molti dei nostri contemporanei si sentono isolati, sminuiti, stranieri. Si rendono conto che il loro ambiente scappa, è costruito giorno dopo giorno contro la loro volontà e alla fine si ritorce contro di loro. Per superare questa alienazione, bisogna creare un ambiente di vita che moltiplichi la potenza e la libertà dell’uomo. Questa è la sfida che dobbiamo affrontare nella rivoluzione scientifica e tecnica: passare da un ambiente ancora in gran parte sottomesso, ad un ambiente emancipato. Detto questo, e data la condizione critica di gran parte del nostro patrimonio, stiamo andando a rivitalizzare e integrare settori sempre 84
III
più vasti dell’habitat, del lavoro, dei servizi, della cultura, della ricreazione e dei trasporti all’interno di strutture interamente nuove.» I progetti si sviluppano attraverso un sistema scientifico e tecnico ampio e complesso. Generalmente queste metodologie di sistemi creati al momento sono ancora in corso oggi e sono applicati in diversi settori produttivi.
problematiche sociali
materiale locale esperienza, competenza e industrie locali
esperienza, competenza e industrie locali
economia rete sociale e imprenditoriale
reti
rete sociale e imprenditoriale
Utilizzare il proprio tempo libero per sviluppare delle competenze, conoscenze, fare bricolage e imparare. Ci sono già molte fonti disponibili, come ad esempio Arduino. La pratica del bricolage elettronico è ben documentato su internet, ad esempio tramite Make, Instructables, Thingiverse, Ponoko... che sono comunità di apprendimento e di condivisione. Qui ci sono alcuni soggetti con cui condividiamo i nostri pensieri.
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Arduino Arduino è uno dei primi esempi al mondo di piattaforma elettronica open source, è nata nel 2005 per semplificare il processo di prototipazione elettronica. Sotto questo nome, ci sono tre diverse entità: una scheda elettronica, un software, una comunità. Nella sua espressione fisica, Arduino è una piccola scheda elettronica prodotta in Italia, che rende facile e accessibile l’apprendimento della programmazione tramite un microcontrollore, un piccolo computer. Arduino è un software che permette di programmare la scheda con lo stesso nome; un suo parente è Processing.org, un software open source sviluppato dal MIT Media Lab. Arduino è infine, e soprattutto, una comunità. Con un numero sempre crescente di utenti, il forum è il parco giochi del sito. È la vera espressione dell’entusiasmo che accompagna questa scheda | www.arduino.cc. Snootlab Snootlab è una società francese fondata nel 2010 a Toulouse da due membri del Tetalab, l’hackerspace di Toulouse. Inserito nel movimento Do It Yourself («Fai da te») indossato dagli Hackerspaces et Fablabs, Snootlab concepisce e commercializz a schede di espansione per la piattaforma Arduino. Mettendo a disposizione i suoi piani, schemi e fonti, apportando un supporto qualificato alla comunità di utenti di Arduino, Snootlab sviluppa un circolo virtuoso da un’idea dei suoi tecnici, da un’aspettativa o da un progetto della comunità, fa nascere un kit da assemblare da soli, sviluppato e venduto da Snootlab, che gli permette di finanziarsi. Da questa disponibilità di fonti per tutti gli utenti, nasce la possibilità di ricreare i kit da soli, di svilupparli ulteriormente e quindi di portare beneficio alla comunità e a Snootlab in quanto a miglioramento e nuove idee. La possibilità di riappropriazione da parte degli utenti di prodotti industriali, è un esempio concreto di un ambiente imprenditoriale e di mercato. Dopo aver testato il modello con il pubblico e l’istruzione, Snootlab ha proposto
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alle aziende le sue competenze di business nel campo dell’elettronica e ha promosso questo processo per impianti industriali tramite la sua filiale Snootdev. Questo approccio assicura anche la sostenibilità dei sistemi complessi nel tempo. Infatti, la disponibilità di fonti fa certamente scomparire il concetto di rendita economica, frutto del trattenimento della risorsa presso il proprio creatore, ma garantisce dall’altro lato la possibilità di mantenere e di far evolvere dei sistemi nel lungo periodo, di far emergere ecosistemi in cui si possono sviluppare le imprese, le comunità di utenti, i modelli | www.snootlab.com Usinette Usinette é fra il Fablab e Hackerspace. Usinette non è né un laboratorio «chiavi in mano», né una piccola fabbrica di franchising che propone sistematicamente le stesse macchine. L’approccio è piuttosto quello di fare ogni sforzo per permettere la sua evoluzione in base alle specifiche esigenze locali e si basa, per quanto possibile, sulle risorse (umane, materie prime e secondarie) disponibili nelle vicinanze. All’interno di un’Usinette, i membri e gli utenti sono pienamente coinvolti nel processo di produzione e quindi trascendono il loro status di consumatori e lavoratori. Sono liberi di immaginare, progettare, creare prototipi, migliorare praticamente qualsiasi tipo di oggetto o servizio; o anche scegliere da un catalogo dei «beni comuni» che potrebbero essere completati con nuovi usi, miglioramenti, documentazione. Si tratta di un luogo di produzione e condivisione di conoscenze che una piattaforma internet contribuisce a facilitare. Gli oggetti, le macchine e le procedure operative sono protette da una licenza libera (ad esempio GPL o Creative-Commons). Questo quadro giuridico è necessario per l’esercizio di una libertà, che è il presupposto per la trasformazione, l’evoluzione e l’innovazione dei processi socio-tecnologici. Tetaneutral.net Internet è una rete informatica globale, spesso chiamata la rete delle reti. Si tratta di una grande questione sociale e politica con quasi due miliardi di utenti in tutto il mondo e implementa la scienza e la tecnologia a livello avanzato. Internet è una rete decentralizzata composta da operatori che accettano di scambiarsi i dati secondo gli standard IP, il «protocollo Internet». Per promuovere la comprensione di Internet e delle sue implicazioni per un vasto pubblico, l’associazione Tetaneutral.net ha deciso di diventare un membro a pieno titolo di questa rete esercitando le funzioni di forniture di accesso a Internet, webhosting e operatore sotto forma di associazione e senza scopo di lucro.
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Concentrazione, polarizzazione, concorrenza
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Reti, scambi, condivisioni, uso, libertà d’espressione
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Con la stampa, la diffusione del Libro crea l’elite. Coloro che sanno leggere e scrivere dominano il mondo. Gli illetterati non hanno altra scelta che credere agli scritti, per fede o superstizione. La mia posizione nella società dipende dalla mia collocazione nella gerarchia verticale. Posso leggere, quindi sono*. Con la televisione, la diffusione del consumo crea la massa. Finanziata dalla pubblicità, la televisione è la locomotiva della società di consumo. La mia posizione
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nella società dipende dal mio portafoglio. Possiedo, quindi sono*. Con Internet, la diffusione delle reti crea la moltitudine. La massa è sciolta, le nicchie sono regine. Creata dagli hacker, la rete è aperta, libera e praticamente non censurata. La mia posizione nella società dipende dal mio posto attorno ad un asse orizzontale autonomo. * Pierre Cattan, «La Vie Share», Usbek & Rica, N° 2, Primavera 2012. Condivido, quindi sono. Questa è la vita «Share».
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La filosofia del nostro progetto. Verso la costruzione di uno strumento user-friendly. La società del dono. Nathalie Bruyère Mireille Bruyère Pierre Duffau
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IV La crisi attuale non è una crisi economica, ma una crisi di una civiltà, quella della civiltà occidentale proposta da queste favole. Non c’è una crisi economica perché non siamo mai stati così ricchi. Si tratta di una crisi sociale ed ecologica. Si tratta di una crisi di abbondanza mal spartita. Essa è in parte la conseguenza delle impasse dentro le quali i tre miti del capitalismo ci hanno condotto. La crescita non è illimitata, ma va contro ai limiti del nostro ecosistema. Il mercato non è un organismo di autodisciplina che porterà armonia come mostrano le frequenti crisi finanziarie. 95
IV Gli uomini non possono essere definiti solo dai propri interessi egoistici, questo mito distrugge la società e contribuisce a sviluppare le disuguaglianze. Prendere la misura della grandezza della crisi è agire per costruire altri concetti, altre rappresentazioni e altre pratiche che ci proiettano verso un futuro più sobrio e più solido. Bisogna mettere al centro delle nostre pratiche aziendali tre idee che contrastano le tre favole del capitalismo: le persone sono esseri socievoli, la loro prima esigenza è quella di costruire dei legami stabili e solidali con i loro cari. 96
IV Le nostre pratiche di business, sia nel design che nell’architettura, devono fondarsi su questo presupposto, dal quale cercano di creare nuovi oggetti e nuovi spazi abitativi. Spazi abitativi che devono quindi sempre consentire almeno la creazione e il mantenimento di legami sociali e non economici. La crescita economica è limitata e non è fine a sé stessa. Le nostre pratiche dovrebbero mirare a creare nuovi oggetti orientati alla qualità e alla sobrietà quantitativa, valorizzando l’autonomia degli individui e delle comunità, piuttosto 97
IV che la dipendenza dal mercato globale. Per questo motivo, le nostre pratiche devono basarsi su un’analisi dell’uso di oggetti e luoghi, così come sui rapporti che la loro produzione e il loro consumo hanno con l’ecosistema, piuttosto che su un’analisi della loro redditività economica. Queste strategie integreranno quindi le voci degli utenti nel processo creativo. Le relazioni sociali non sono esclusivamente commerciali. La maggior parte, al contrario, non è finalizzata a fini commerciali o di lucro, tuttavia sono in grado di produrre un gran numero di beni 98
IV e servizi utili alla vita. Le nostre pratiche di business devono essere sicure di lasciare spazio all’aiuto e al dono, anche se esse richiedono in parte di essere valutate sul mercato o in termini monetari. Tale valutazione non deve soffocare i legami non commerciali.
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i [a] http ://fr.wikipedia.org/
0
I [d] Platone, La Repubblica
wiki/branding [b] Andrea Branzi, Cos'è il
design?, con la collaborazione di Marilia Pederbelli, traduzione francese, Edizione Grün 2009, p.223 & 274 [c] Ibid., p.274
[e] Kenneth E. Boulding, economista e filosofo del XX secolo, citato in Jump the Curve de Jack Uldrich, 2008 [f] Karl Marx, Il Capitale,
Volume I, sezione VIII, capitolo XXVII [g] Thomas More, Utopia,
filosofo e umanista inglese del XVI secolo, 1516 [h] Discorso di George W. Bush [i] Dalla Dichiarazione di Filadelfia del 1944 [j] Estratti da La favola delle api di Bernard de Mandeville, «L'alveare fiorente», 1714 [k] Marshall Sahlins, Natura
umana: illusione occidentale, antropologo americano, collezione Terra Cognita, Edizione L’Éclat, 2009 [l] Bernard Guerrien,
Dictionary of Economic Analysis, Collection Economica, Edizione La découverte, 2005 [m] Milton Friedman, Liberi
di scegliere, dichiarazione personale, New York, Mariner Book, p.5, 1990. Economista americano 1912-2006, esponente del neoliberismo [n] Bob Aubrey, presentazione del libro di Business Digest Entreprise de Soi, Edizione Flammarion, 2000. Consulente australiano in sviluppo personale
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[o] Daniel Roch, Storia delle cose banali. La nascita del consumo del XVII secolo XIX, Edizione Fayard, p.29, 1997
[q] Jean Baudrillard La società dei consumi, i suoi miti, le sue strutture, Edizione Folio essai, p.60 / 6, 1970
[p] La ricetta di condivisione
[r] Michel Ragon, Storia
IV
dell'architettura e dell'urbanistica moderna (Volume I | Ideologie e Pionieri 1800-1910), Edizione Essais Casterman, p.21 / 22, 1986 [s] Daniel Roche, Storia delle cose banali, La nascita del consumo nel XVII secolo XIX, Edizione Fayard, p.27, 1997 [t] Michel Ragon, Storia dell'architettura e dell'urbanistica moderna (Volume 2 | La nascita della città moderna 1900-1940), Edizione Points-Essais, p.7, 1984 [u] Jeannine Fiedler & Peter Feierbend, Bauhaus, Edizione Knemann, p.30, 1999 [v] Ibid., p.17 [w] Le Corbusier ‹ Besoins - Types, Meubles - Types› L'Art décoratif d'aujourd'hui, Paris, G. Arenaria & Co., 1925, ristampa, Parigi, Edizione Flammarion, p.69, 1996 [x] Francois Burkhardt,
La scuola di Ulm: testo e manifesto, la scuola di Ulm & la tedesca di Sachlichkeit o oggettività, Edizione Centre Georges Pompidou, p.10, 1988 [y] Ibid., p.9 [z] Claude Schnaidt, La scuola
di Ulm : Testi & manifesto, Architettura e rivoluzione scientifica e tecnica, Edizione Centre Georges Pompidou, p.10, 1988
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Mireille Bruyère Economista nata nel 1969 a Toulouse, ha studiato economia all’Università di Toulouse I e ha ottenuto il dottorato nel 1998. Lavora come ricercatore presso l’Osservatorio Francese delle Congiunture Economiche di Parigi e l’Osservatorio Regionale per l’occupazione e la formazione dei Midi-Pirenei. Dal 2006 è docente di Economia presso l’Università di Toulouse II e membro del laboratorio CERTOP – CNRS. È anche un membro del Consiglio Scientifico di ATTAC, del collettivo degli economisti Attéres. Nathalie Bruyère Designer, nata nel 1968 a Toulouse. Dopo gli studi di architettura d’interni presso la Scuola di Belle Arti di Toulouse, approfondisce la sua formazione con il Master Internazionale della Domus Academy di Milano. Nel 1996 ha creato il suo atelier con Lorenz Wiegand sotto al nome di POOL products. I progetti sono identificati da un particolare percorso di elaborazione e implementazione di soluzioni semplici, per la creazione di oggetti e spazi. Gli edifici sono radicalmente semplificati e l’utilizzo dei materiali è ottimale, al fine di creare prodotti utili ad alta funzionalità e flessibilità. Insegna Design al’isdaT / institut supérieur des arts de Toulouse, e si occupa di progetti di ricerca come quello di Global Tools. www.duffau-associes.com | www.design.isdat.fr Pierre Duffau Architetto, nato nel 1964 a Mont-de-Marsan, comincia a lavorare durante gli studi per accumulare diverse esperienze presso vari studi di architettura e in seguito lavora come architetto indipendente nel 1994, dopo aver conseguito la sua laurea in Architettura DPLG alla fine del 1980. Ha lavorato su progetti come pianta Clément Ader a Toulouse (Airbus), ma anche su alberghi, cliniche, ecc. con lo studio Arca. Co-fondatore dell’atelier Cactus, il suo lavoro è pubblicato in varie riviste: Amc, L’Express, Le Moniteur, Archi-créé. È attraverso la sua esperienza professionale che mette in pratica il suo pensiero e un linguaggio architettonico che gli è proprio. Questo linguaggio è osservabile in progetti come l’asilo nido a Roques sur Garonne, per esempio. Ma il suo lavoro ruota intorno a una riflessione sul rapporto tra la città e l’uso dei confini tra spazio pubblico e privato, per creare un progetto architettonico nel quale costruire prende un senso. www.duffau-associes.com Materiale di studio Claudia Raimondo è un architetto, Dottore in Disegno Industriale presso il Politecnico di Milano. Finitura e colore sono il filo conduttore della sua attività professionale, attraverso una continua sperimentazione nel campo della cultura del design, dell’architettura d’interni e dell’architettura. www.claudiaraimondo.com
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Graphic Design Perrine Saint Martin | www.perrinesaintmartin.fr Fotografia Giacomo Giannini | www.giacomo-giannini.com Illustrazioni Charlotte Martin | www.autrementditcharlotte.blogspot.com http://youtu.be/Se_75oxsQMw Traduzione Italiano Ornella Borghi Progetto HOM-m-E De la Novela 2011, Philippe Casens, Claudia Raimondo, Giacomo Giannini, Usinette. Grazie a spazio Bonnefoy di Toulouse per la sua ospitalità e a tutti i partecipanti al seminario. Grazie anche a Nostra famiglia Marc, Nicolas, Mireille, Marcel, Mariuccia, e le nostre figlie Tess et Ava. Massimo Banzi | www.massimobanzi.com Luisa castiglioni | luisa@press-office.co Frédéric Jourdan | www.snootlab.com Alexandre Korber & Ursula Gastfall Usinette | www.usinette.org Laurent Guerby de Tetaneutral | www.tetaneutral.net Philippe Casens | www.disopra.com/cvs/cv_phil_fr
Questo libro è stato progettato attraverso dei caratteri Open source disponibili su GoogleFont, la Neuton Regular & Light Brian Zick & Passion Alejandro Lo Celso One. Per ulteriori informazioni www.ultra-ordinaire.com ISBN 979-10-93506-02-9
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L’ampiezza della crisi che stiamo attraversando pone domande non solo ai leader politici, ma anche a qualsiasi cittadino la cui attività professionale concorre al sistema socio-economico. Gli autori di questo libro credono anzi che queste domande debbano passare attraverso un’integrazione di sapere e saper fare. Così, una economista, una designer e un architetto cercano in questo libro di attraversare le loro conoscenze e i loro approcci. Da questo incontro emerge un progetto comune sulla base di un’analisi dei principi più problematici del capitalismo. Fare architettura e design in un’economia di condivisione è costruire opportunità aperte a tutti, allontanandosi dal sistema proprietario per aprirsi a nuovi principi simili a quelli dell’open-source diffuso nel mondo di internet per tracciare i contorni di un’economia di condivisione sulla base di progetti per luoghi di vita o habitat progettato sull’idea di uno standard aperto che si articola in scenari che vanno dal locale al globale. Infine, la comunicazione visiva è stato pensato per essere appropriata alla filosofia del nostro progetto, come un lavoro collettivo con un fotografo, illustratrice e dei designer grafici. Il libro è il risultato di un coordinamento dal studio Duffau&Associés.