Legni fossili dell'Anglona

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Società Paleontologica Italiana

GIORNATE DI PALEONTOLOGIA 2003 ALESSANDRIA, 22-25 MAGGIO

RIASSUNTI

A cura di MARCO PAVIA & DONATA VIOLANTI



Giornate di Paleontologia 2003 – Alessandria, 22-25 Maggio 2003 _________________________________________________________________________ RESTI FOSSILI DI INSETTI IN DEPOSITI MESSINIANI (MIOCENE SUPERIORE) NELL’AREA DI GABBRO (LIVORNO) Abbazzi L.1,2, Cappelli F.3, Ghinassi M.1, Gori M.4, Rook L.1,2 1

Dipartimento di Scienze della Terra, Università degli Studi di Firenze Museo di Storia Naturale (Sezione Geologia e Paleontologia), Firenze 3 Via Giovanni XXIII 49, 50141 - Calenzano, Firenze 4 Museo di Storia Naturale (Sezione Zoologia “La Specola”), Firenze 2

Numerosi resti fossili di insetti sono stati recentemente rinvenuti in una zona di nuova attività estrattiva nella Cava ex-Serredi, localizzata a circa 1 km a Nord-Est dall’abitato di Gabbro (Livorno). Questa cava è nota in letteratura per la presenza di affioramenti in cui è documentata la transizione Mio-Pliocene (Bossio et al., 1981). I fossili di insetti sono contenuti in livelli marnoso-silicei laminati, associati ad abbondante sostanza vegetale, attribuiti in letteratura alla formazione del Tripoli di Paltratico (Lazzarotto et al., 1990a; Lazzarotto et al., 1990b) del Messiniano inferiore. La presenza di insetti in questi depositi è nota fin dalla seconda metà dell’800. Numerosi autori hanno infatti descritto i resti provenienti da località come Villa Nardi e Podere Pane e Vino (Bossio et al., 1981; Bradley & Landini, 1985 e bibliografia citata) che sono stati riferiti a Ditteri, Lepidotteri, Ortotteri e Odonati. Il ritrovamento di tali fossili, che sono in genere associati ad abbondanti resti vegetali e pesci, è stato interpretato come indicativo di condizioni anossiche sul fondo di ambienti marini, non troppo distanti dalla costa (Bradley & Landini, 1985; Lazzarotto et al., 1990a). Lo studio preliminare effettuato nel presente lavoro ha evidenziato la presenza di un’entomofauna piuttosto diversificata da un punto di vista sistematico. Taxa appartenenti all’ordine Diptera, rappresentato da Micetofiloidaea, Chironomidae ed Empididae, sono dominanti, mentre altre forme appartenenti a Ephemeroptera, Imenoptera e probabilmente anche a Emiptera, sono documentati da un numero minore di individui. Il generale buono stato di conservazione di questi insetti, che appartengono a gruppi caratterizzati da un esoscheletro scarsamente chitinizzato, unitamente alla presenza di abbondanti frustoli carboniosi e foglie e all’assenza di bioturbazione, indica un ambiente di deposizione anossico. La concentrazione, relativamente piuttosto elevata degli individui ed il loro buono stato di conservazione, suggeriscono che il trasporto post-mortem sia stato limitato nel tempo e nello spazio e quindi che il paleoambiente deposizionale abbia coinciso, o sia stato molto vicino, all’habitat occupato da questi piccoli artropodi; di conseguenza non si è verificata la disarticolazione degli elementi scheletrici ed è stata favorita la conservazione di individui completi. La preservazione dell’esoscheletro chitinoso degli insetti richiede particolari condizioni tafonomiche, anche se in genere la chitina, uno dei principali componenti della cuticola, si conserva raramente nel reperto fossile in quanto viene trasformata durante la diagenesi in altre molecole organiche. Tuttavia la conservazione dell’esoscheletro degli insetti non è un evento così raro; infatti essi possono costituire una parte significativa del contenuto fossilifero in depositi di ambiente continentale, come ad esempio in diatomiti di origine lacustre. Lo studio degli insetti fossili non dà in genere informazioni di tipo cronologico, vista l’estrema braditelia del gruppo e la difficoltà ad inquadrare i reperti in uno schema classificativo di dettaglio, a parte i casi di fossili in ambra, ma può essere di particolare importanza per le ricostruzioni paleoambientali. Nel caso specifico dei resti rinvenuti a Gabbro, la presenza di forme come Micetofiloidaea ed Ephemeroptera suggerisce condizioni umide dell’area circostante il bacino di deposizione. Bartoletti E., Bossio A., Esteban M., Mazzanti R., Mazzei R., Salvatorini G., Sanesi G. & Squarci P. 1985. Studio geologico del territorio comunale di Rosignano Marittimo in relazione alla carta geologica alla scala 1.25.000. Suppl. n. 1, Quad. Mus. Stor. Nat. Livorno, 6:33-127. Bossio A., Bradley F., Esteban M., Giannelli L., Landini W., Mezzani R., Mazzei R. & Salvatorini G. 1981. Alcuni aspetti del Miocene superiore del Bacino del Fine. IX Convegno Società Paleontologica Italiana, 3-8 Ottobre 1981. Bradley F. & Landini W., 1985. Pesci, Insetti e foglie nel Terziario del Comune di Rosignano M. Suppl. n. 1 Quad. Mus. Stor. Nat. Livorno, 6:171-183. Lazzarotto A., Mazzanti R. & Nencini C., 1990a. Geologia e morfologia dei Comuni di Livorno e Collesalvetti. Suppl. 2 Quad. Mus. Stor. Nat. Livorno, 11:1-85. Lazzarotto A., Mazzanti R. & Nencini C., 1990b. Carta geologica dei comuni di Livorno e di Collesalvetti. Carta Geologica 1:25.000. CNR Cartografia Selca Firenze.

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Giornate di Paleontologia 2003 – Alessandria, 22-25 Maggio 2003 _________________________________________________________________________ I VERTEBRATI FOSSILI PLIO-PLEISTOCENICI DEL MONTE TUTTAVISTA (OROSEI, SARDEGNA) Abbazzi L.1, Angelone C.2, Arca M.3, Barisone G.2, Bedetti C.4, Delfino M.2, Kotsakis T.2, Marcolini F.2, Palombo M.R.4, Pavia M.5, Piras P.2, Rook L.1, Torre D.1, Tuveri C.3, Valli A.4 1

Dipartimento di Scienze della Terra e Museo di Storia Naturale (Sezione Geologia e Paleontologia), Università degli Studi di Firenze 2 Dipartimento di Scienze Geologiche, Università di Roma Tre 3 Soprintendenza per i Beni Archeologici per le province di Sassari e Nuoro, Nuoro 4 Dipartimento di Scienze della Terra, Università “La Sapienza” di Roma 5 Dipartimento di Scienze della Terra, Università degli Studi di Torino

Giacimento, giacitura e stato di conservazione dei reperti - Il complesso dei riempimenti delle fessure carsiche del Monte Tuttavista costituisce ad oggi uno dei “siti” paleontologici a vertebrati più ricchi e significativi della Sardegna. L’area fossilifera si estende per 4 km2 sul versante S-W di Monte Tuttavista (Orosei) e, ad oggi, sono state individuate decine di fessure, spesso riccamente fossilifere. Il materiale, venuto alla luce è stato isolato e preparato dal personale della Sopr. Beni Archeologici per le province di Sassari e Nuoro (Sez. Nuoro). Ogni fessura rappresenta un sistema a se stante, che può essere caratterizzato da diverse fasi deposizionali, non sempre chiaramente identificabili. Inoltre, la circolazione delle acque carsiche può avere determinato fenomeni di “piping”, rendendo più complesse le deduzioni di carattere biocronologico. I resti ossei sono per lo più inglobati in brecce fortemente cementate. Risulta quindi arduo il procedimento di estrazione dei resti e quasi impossibile una conservazione integrale della documentazione paleontologica. Elementi di novità nelle faune fossili - Una buona percentuale degli 80 taxa di vertebrati identificati rappresentano delle novità sia da un punto di vista tassonomico sia da un punto di vista biogeografico. In particolare si segnala l’identificazione di taxa oggi assenti nella fauna dell’isola (vipera, ramarro, pipistrello, puzzola), mentre gli uccelli sono rappresentati da numerosi taxa, con specie estinte endemiche della Sardegna e della Corsica, in particolare rapaci notturni. Molti dei taxa individuati inoltre risultano nuovi per la scienza. Possiamo ricordare: Agama n.sp., Nesiotites n.sp., Tyrrhenicola n.sp., Oryctolagus n.sp. e Chasmaporthetes n.sp.. Per quanto riguarda i bovidi un genere risulta nuovo, mentre del Nesogoral vanno istituite due specie. Le indicazioni biocronologiche - In base al grado evolutivo dei vari insettivori e roditori si possono individuare almeno quattro stadi distinti nelle associazioni a micromammiferi. I macromammiferi hanno una risoluzione temporale meno precisa, tuttavia le distinzioni coincidono con un buon grado di approssimazione con quelle di seguito descritte, sulla base dei micromammiferi: • Il più antico è caratterizzato dalla presenza di Nesiotites n.sp., Rhagapodemus minor, Tyrrhenoglis, Oryctolagus n.sp. e un Prolagus primitivo. • Il secondo stadio è caratterizzato dalla scomparsa del genere Tyrrhenoglis e la comparsa di Tyrrhenicola n.sp. • Il terzo stadio è caratterizzato dalla scomparsa di Oryctolagus e la comparsa di Nesiotites similis, Tyrrhenicola henseli e Rhagamis orthodon. Tutte queste specie sono tuttavia rappresentate da popolazioni con caratteri ancora poco evoluti. • Infine il quarto stadio è caratterizzato dalle forme più tipiche e specializzate di Nesiotites similis, Tyrrhenicola henseli, Rhagamys orthodon e Prolagus sardus. Il proseguire delle ricerche e gli studi attualmente in atto potranno portare un determinante contributo per chiarire il complesso quadro biocronologico delle faune sarde e l’assetto paleogeografico del Mediterraneo nord occidentale nel Plio-Pleistocene.

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Giornate di Paleontologia 2003 – Alessandria, 22-25 Maggio 2003 _________________________________________________________________________ ASPETTI BIOGEOGRAFICI DELL'OSTRACOFAUNA DELL'ARCIPELAGO DE LA MADDALENA Arbulla D. Museo Civico di Storia Naturale, Trieste

E’ stata studiata l’ostracofauna di 85 campioni provenienti dall’Arcipelago de La Maddalena (Sardegna nord-orientale), al fine di definirne la tassonomia e le relazioni autoecologiche con i fattori ambientali batimetria e substrato. Inoltre, è stata esaminata la sua distribuzione all’interno del bacino Mediterraneo, per cercare di individuare eventuali affinità tra l’area oggetto di studio e le diverse aree mediterranee considerate. Il Mediterraneo è stato suddiviso in Occidentale, Centrale e Orientale, e per ogni suddivisione sono stati individuati i settori settentrionale, centrale e meridionale (ad esclusione del Mediterraneo Centrale). Delle specie di ostracodi individuate all’Arcipelago de La Maddalena, alcune hanno distribuzione mediterranea centro-settentrionale, altre distribuzione mediterranea centromeridionale ed altre ancora sono presenti in tutto il bacino. L’individuazione della relazione speciearea di diffusione geografica, oltre a consentire di individuare, come già accennato, l’affinità tra l’Arcipelago ed i diversi settori mediterranei considerati, permette di sottolineare l’utilità degli ostracodi per indagini inerenti al clima e al paleoclima.

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Giornate di Paleontologia 2003 – Alessandria, 22-25 Maggio 2003 _________________________________________________________________________ LA SEZIONE DI PALEONTOLOGIA DEL MUSEO ARCHEOLOGICO DI NUORO Arca M., Tuveri C. Soprintendenza per i Beni Archeologici per le province di Sassari e Nuoro, Nuoro

II Museo Archeologico Nazionale, inaugurato nel luglio del 2002, si trova in via Mannu 1, nel centro della città, allestito in un edifìcio di interesse Storico, conosciuto come Palazzo Asproni, in origine di proprietà del noto giurista nuorese Giorgio Asproni. Il Museo comprende cinque sezioni, quattro delle quali sono dedicate all'esposizione di materiali archeologici, provenienti da numerosi monumenti della provincia, di cui illustrano la ricchezza di reperti a partire dal Neolitico fino ad epoca storica. La sezione che occupa la prima sala del museo è dedicata alla paleontologia, con otto vetrine che offrono uno sguardo ai reperti fossili provenienti dal Giacimento aleontologico a Vertebrati del Monte Tuttavista (Orosei) e della Grotta Corbeddu (Oliena). Il giacimento del Monte Tuttavista si trova all'interno di una vasta area, attualmente destinata a Comparto Estrattivo e a Stabilimenti di Lavorazione. L'attività di cava, che si svolge a cielo aperto, mette in luce numerose cavità carsiche spesso colmate da sedimenti argillosi e brecce che contengono resti fossili di vertebrati. Le fessure carsiche, rinvenute fino ad oggi, hanno restituito un'ingente quantità di resti fossili, circa 80.000 reperti, ascrivibili a cinque classi di vertebrati: Pesci ossei. Anfibi, Rettili, Uccelli e Mammiferi. L'esposizione privilegia i reperti più importanti delle faune insulari endemiche Plio-Pleistoceniche. Tra i reperti più significativi in esposizione il cranio dello ienide Chasmaporthetes sp., una novità assoluta non solo per la Sardegna, ma per il complesso delle faune endemiche insulari, ed un cranio completo della macaca endemica sarda Macaca majori. Quest'ultimo reperto presenta la peculiarità di avere la sua porzione basale "saldata" sul cranio di un altro mammifero tipico dell'isola, il piccolo maiale Sus sondaari. Viene inoltre presentato un ricco campione dei capridi, in parte ascrivibili al genere Nesogoral, si tratta di vari crani e di elementi post-craniali in connessione anatomica, alcuni dei quali ancora parzialmente inglobati nella breccia. I mammiferi del Monte Tuttavista, oltre alle già ben rappresentate faune endemiche sarde del Pleistocene superiore, rappresentano una nuove e importante documentazione di alcuni taxa (carnivori, bovidi, micromammiferi etc.) che impongono una rilettura della storia biogeografia ed evolutiva delle associazioni faunistiche della Sardegna. L'altra fauna esposta proviene dai depositi della Grotta Corbeddu, ed è caratterizzata dalla straordinaria abbondanza di resti di Prolagus sardus e Megaceroides cazioti, alcuni dei quali sembrano presentare tracce di intervento umano. La grotta che si apre nel calcare giurassico, nell'ampia valle di Lanaittu, si sviluppa in quattro ambienti contigui. Nella vetrina del museo è stata ricostruita la stratigrafia della seconda sala, dove associati a Megaceroides cazioti, sono stati rinvenuti anche reperti umani datati a circa 20.000 anni fa. Un diorama illustra l'ambiente naturale della valle durante il Pleistocene superiore. Una serie di pannelli didattici illustrano i momenti più importanti dello scavo paleontologico, recupero e preparazione dei reperti. Una scheda affiancata fornisce le informazioni più significative della famiglia di appartenenza.

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Giornate di Paleontologia 2003 – Alessandria, 22-25 Maggio 2003 _________________________________________________________________________ LE ASSOCIAZIONI A MACROFORAMINIFERI E AD ALGHE CORALLINACEE DELL'OLIGOCENE SUPERIORE DEL VENETO: BIOSTRATIGRAFIA E SINECOLOGIA Bassi D.1, Nebelsick J.H.2 1 2

Dipartimento delle Risorse Naturali e Culturali, Università degli Studi di Ferrara Institute of Geosciences, University of Tübingen, Sigwartstr. 10, D-72076 Tübingen, Germany

Il Paleogene superiore documenta il primo momento di sviluppo delle alghe rosse corallinacee (Corallinales, Rhodophyta) nell'area veneta (Monti Lessini e Colli Berici). Le unità stratigrafiche dell'Oligocene Superiore-Miocene Inferiore, periodo caratterizzato da sedimentazione mista silicoclastica e carbonatica, registrano profondi cambiamenti sia nelle facies che nelle composizioni delle associazioni bentoniche. In generale, dopo una stasi nella sedimentazione carbonatica d'acqua bassa, nell'Oligocene Superiore le corallinacee divengono di nuovo dominanti e si associano a macroforaminiferi. Questi ultimi, dopo aver subito la crisi biologica al passaggio Eocene-Oligocene, sono rappresentati da nummulitidi, lepidocyclinidi, miogypsinidi e macroporcellanacei. Macroforaminiferi e corallinacee hanno avuto un ruolo dominante nello sviluppo stratigraficoarchitetturale delle piattaforme carbonatiche venete tardo paleogeniche influenzando direttamente il loro profilo d'equilibrio (shelf equilibrium profile). Quali indicazioni sinecologiche si posso trarre dall'analisi comparata di questi due gruppi?

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Giornate di Paleontologia 2003 – Alessandria, 22-25 Maggio 2003 _________________________________________________________________________ LE CORALLINACEE DEL PLIOCENE DEL MONTE CETONA (APPENNINO SETTENTRIONALE, ITALIA) Bassi D.1, Rettori R.2, Passeri L.2 1 2

Dipartimento delle Risorse Naturali e Culturali, Università degli Studi di Ferrara Dipartimento Scienze della Terra, Università degli Studi di Perugia

Durante il Cenozoico la presenza delle corallinacee (Corallinales, Rhodophyta) nel bacino del Mediterraneo è documentata fin dall'Eocene inferiore, con il massimo sviluppo a partire dall'Eocene Superiore-Oligocene fino al Miocene. Nel Pliocene e nel Pleistocene questo gruppo di alghe calcaree conosce un momento di declino per poi riprendere nell'Olocene. Durante questo periodo la diversità specifica della sottofamiglia Melobesioideae diminuisce improvvisamente mentre aumenta quella delle sottofamiglie Lithophylloideae e Mastophoroideae. Tale aumento sembra essere stato favorito dalla posizione geografica (medie-basse latitudini) degli habitat di queste sottofamiglie. Il Monte Cetona (Appennino settentrionale), durante il Pliocene, era un’isola di forma allungata; le coste ospitarono temporaneamente una sedimentazione carbonatica con facies sia di spiaggia che di fringing reef a corallinacee, briozoi e foraminiferi bentonici. Le corallinacee sono rappresentate da Lithophylloideae, Melobesioideae e Mastophoroideae. L'ampia esposizione degli affioramenti e la loro localizzazione paleotopografica ha permesso di effettuare l'analisi delle associazioni a corallinacee campionando dettagliatamente un transetto sub-perpendicolare all'originaria linea di costa. Il confronto fra tali associazioni ed i corrispettivi attuali costituisce un elemento di ordine primario per una migliore comprensione della diversità e della paleoecologia delle comunità plioceniche a corallinacee.

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Giornate di Paleontologia 2003 – Alessandria, 22-25 Maggio 2003 _________________________________________________________________________ GLI UCCELLI FOSSILI DEL PLEISTOCENE DELLA GROTTA DELLE MURA (MONOPOLI, BARI) Bedetti C.1, Pavia M.2 1 2

Dipartimento di Scienze della Terra, Università “La Sapienza” di Roma Dipartimento di Scienze della Terra, Università degli Studi di Torino

Lungo la costa a Sud della cittadina di Monopoli (Bari) si apre la Grotta delle Mura, una cavità carsica formatasi in depositi calcareo-arenacei del Cretaceo superiore. Oggi l’apertura si presenta ridotta a causa di un crollo che ha interessato parte della volta e ha contribuito a formare la piccola baia antistante. Sulle pareti che delimitano la baia si possono tuttora osservare delle brecce ossifere, parzialmente asportate dall’erosione. Il riempimento della grotta è invece incoerente con matrice sabbioso-limosa. I sedimenti continentali presenti all’interno della grotta contengono, oltre ad una ricca associazione a vertebrati fossili, anche abbondanti industrie litiche grazie alle quali è stato possibile individuare tre livelli principali. Partendo dal più giovane si ha un livello ricco di industrie risalenti al neolitico, il secondo riferibile al mesolitico e infine il più antico con industrie epigravettiane. Al di sotto di quest’ultimo è stato inoltre individuato un ulteriore livello riferibile al musteriano. I vertebrati provengono dai livelli epigravettiani sono stati oggetto di uno studio in cui sono stati individuati i seguenti taxa: Pisces indet., Amphibia indet., Testudo sp., Reptilia indet., Crocidura ex gr. russula/leucodon, Crocidura suaveolens, Crocuta crocuta spelaea, Felis sylvestris, Canis lupus, Vulpes vulpes, Meles meles, Rhinolophus ferrumequinum, Myotis myotis/blythi, Elyomis quercinus, Apodemus ex gr. sylvaticus/flavicollis, Clethrionomys glareolus, Arvicola terrestris, Microtus (M.) arvalis, Microtus (M.) sp., Microtus (Terricola) savii, Microtus (Terricola) sp., Lepus europaeus, Sus scrofa, Cervus elaphus, Capreolus capreolus, Bos primigenius, cf. Rupicapra sp., Equus ferus, Equus hydruntinus. Lo studio dei resti di uccelli provenienti dal livello epigravettiano, in corrispondenza del Tardiglaciale, ha permesso di riconoscere i seguenti taxa: Phalacrocorax carbo, Anser anser, Anser sp., Branta sp., Perdix perdix, Tetrax tetrax, Otis tarda, Columba livia/oenas, Bubo bubo, Athene noctua, Upupa epops, Galerida cristata, Alauda arvernensis, Sturnus vulgaris. Pur non avendo effettuato studi dettagliati sulla tafonomia di questi resti, è stata individuata la presenza di tracce di macellazione, soprattutto in alcuni gruppi, Anatidae e Tetrax tetrax; a conferma dell’importanza che l’uomo ha avuto nell’accumulo dei resti fossili di questo giacimento. La presenza tra i resti fossili di taxa non legati all’attività alimentare umana è invece legata all’azione diretta da parte un predatore, che sembra essere la causa principale dell’accumulo dei resti di micromammiferi. Il possibile agente di accumulo, sia per gli uccelli sia per i micromammiferi, potrebbe essere Bubo bubo, la cui presenza è stata individuata tra i resti analizzati. Gran parte delle specie presenti a Grotta delle Mura sono dei forti indicatori di un ambiente aperto di tipo steppico con scarsissima copertura forestale. Inoltre Phalacrocorax carbo, Anser e Branta sono fortemente condizionati dalla presenza di zone umide costiere nelle quali vivono e nidificano. I dati desunti dall’analisi sull’associazione ad uccelli confermerebbero quindi quelli già elaborati sulla base delle presenze dei mammiferi.

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Giornate di Paleontologia 2003 – Alessandria, 22-25 Maggio 2003 _________________________________________________________________________ DIECI ANNI DI SCAVI PALEONTOLOGICI SUL MONTE GENEROSO Bona F. Dipartimento di Scienze della Terra ‘Ardito Desio’, Università degli Studi di Milano

La Caverna Generosa (LO CO2694) si apre sul versante orientale (italiano) del Monte Generoso a 1450 m s.l.m. e si sviluppa in senso orizzontale nel Calcare di Moltrasio (Giurassico Inferiore). La scoperta risale al 1988 e la pronta segnalazione agli organi competenti ha evitato la deturpazione, comune in altre cavità, da parte dei clandestini. Ai primi ricercatori intervenuti il deposito si presentava quindi perfettamente preservato. Alcuni ossi, rinvenuti sul piano di calpestio, furono inoltre datati con il metodo del 14C nel Laboratorio dell’Università di Zurigo, per interessamento del Museo di Storia Naturale di Lugano, fornendo un’età di 38200±1400 anni BP. La cavità era costituita, prima degli interventi per facilitarne l’accesso (1998), da uno stretto cunicolo iniziale, lungo circa 25 metri, per mezzo del quale si accedeva ad una prima sala (“Saletta”), dalla quale, attraverso uno stretto e difficile sifone, si passava in una più ampia (“Sala Terminale”). In realtà la cavità è verosimilmente molto più ampia, ma è in gran parte occupata dal riempimento sedimentario. Contemporaneamente dal 1999 la grotta è aperta ai visitatori durante i mesi estivi registrando un’elevata affluenza. Dal 1993 sono state svolte otto campagne di ricerca. Sono in corso di svolgimento analisi sedimentologiche e setacciature per il recupero di resti di micromammiferi. Ulteriori cinque datazioni al radio carbonio hanno permesso di attestare un’età compresa tra i 40.000 e i 50.000 anni fa circa per i primi sei livelli stratigrafici (durante la campagna 2002 è stato raggiunto il livello 13, mancano però datazioni radiometriche sul nuovo materiale recuperato). Studi sulle evidenze di predazione e sulle paleopatologie, come pure analisi dei reperti non ursini per ricostruzioni paleoambientali, sono in corso (Bona & Cattaneo, 2003; Bona, in stampa). Un caso quantomeno curioso, in queste fasi preliminari, sembra essere l’analisi svolta sul P4 superiore ed inferiore secondo la metodologia proposta da Rabeder (1983). Questo metodo prevede una valutazione soggettiva di alcuni fattori morfologici per ottenere indici utili per costruire un grafico indicante trend evolutivo. L’analisi del grafico così ottenuto permette di verificare una strana “inversione” di valori morfologici dei dati della Caverna Generosa rispetto a quelli segnalati in letteratura (Rabeder, 1983). Infatti, pur rimanendo nell’area cronologica 50.000-30.000 anni fa i livelli più profondi danno un segnale più “recente” di quelli superficiali. Per confermare la correttezza dei nostri dati, abbiamo svolto la stessa analisi su premolari provenienti da un’altra cavità, la grotta Sopra Fontana Marella (VA). In questo caso i valori ottenuti rispettano l’andamento stratigrafico, proprio come previsto dal metodo Rabeder. A nostro giudizio questo potrebbe essere spiegato in due modi: • vista la relazione diretta tra dentatura e dieta potrebbe essere dovuto ad un adattamento, di questa popolazione, a particolari condizioni locali (sono stati anche riconosciuti morfotipi non descritti da Rabeder); • difficoltà dovute alla grande soggettività del metodo. Un particolare ringraziamento va alla Ferrovia del Monte Generoso S.A. e alla Comunità Montana Lario-Intelvese per l’appoggio logistico ed economico garantito in tutti questi anni. Bona F. & Cattaneo C. (2003) - Inusuali tracce di predazione in Ursus spelaeus. Boll. Soc. Paleont. Ital. Bona F. (in stampa) - Associazioni faunistiche a macromammiferi della Caverna Generosa (Lo Co 2694). Geologia Insubrica. Rabeder G. (1983) - Neues vom Hohlenbaren. Zur Morphogenetik der Backenzahne.- Die Hohle 34/2:67-85, Wien.

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Giornate di Paleontologia 2003 – Alessandria, 22-25 Maggio 2003 _________________________________________________________________________ LE MICROFAUNE PLIOCENICHE DI VERRUA SAVOIA (PIEMONTE, ITALIA NW): PROBLEMATICHE BIOSTRATIGRAFICHE E PALEOAMBIENTALI Bove Forgiot L., Trenkwalder S., Violanti D. Dipartimento di Scienze della Terra, Università degli Studi di Torino

Lo studio integrato delle associazioni a foraminiferi ed a ostracodi della successione di Verrua Savoia (Piemonte, Italia NW) ha fornito nuovi dati per il suo inquadramento biostratigrafico e paleoambientale. Le microfaune conservate nei sedimenti pliocenici affioranti a Verrua S. nell’area sottostante il Castello, presentano composizione e stato di conservazione differenti da quelli dei coevi depositi marini piemontesi. Queste differenze sembrano imputabili alll’intensa attività tettonica dell’area, posta in prossimità della zona di deformazione di Rio Freddo, che separa il Monferrato occidentale dalla Collina di Torino. La successione pliocenica è stata campionata, in parallelo per foraminiferi ed ostracodi, lungo il fronte di cava fino ai piedi del Castello di Verrua S. A partire dalla base, essa è costituita da circa 25 m di siltiti di colore grigio-azzurrognolo a nocciola, (Silt di Verrua Savoia) poggianti, con una superficie di discontinuità poco evidente, sulle Marne di Monte Piano (Eocene superiore). I silt contengono ricche microfaune a foraminiferi ed ostracodi, spesso diagenizzate e fortemente incrostate. I foraminiferi planctonici sono comuni (P/(P+B) medio = 40-50%) e sono presenti Globorotalia puncticulata e Globorotalia margaritae, indicative della zona MPl3 (Pliocene inferiore, Zancleano). I foraminiferi bentonici presentano un’alta diversità specifica e sono dominati da specie circalitorali-batiali (Cibicidoides pseudoungerianus, Hoeglundina elegans, Melonis barleanum, Uvigerina rutila.), taxa planctonici eocenici sono rimaneggiati nei campioni inferiori, mentre specie mioceniche sono state riscontrate nella parte superiore dei silt. Tra gli ostracodi, nei campioni inferiori sono presenti specie batiali (Henryhowella sarsi profunda), mentre nei campioni superiori diventano comuni taxa di minore profondità (Semicytherura acuticostata, Tetracytherura angulosa). Le microfaune delle sovrastanti Calcareniti di Castel Verrua, alternanze metriche di calciruditi e calcareniti bioclastiche e di sabbie siltose, potenti circa 70 m, sono state analizzate in residui di lavaggio ed in sezioni sottili. Nelle calcareniti (P/(P+B) medio = 20-30%) dominano taxa bentonici infralitorali (Cibicides lobatulus, Neoconorbina terquemi, Elphidium crispum), mentre nei livelli siltosi sono comuni forme di sedimenti pelitici (Bulimina spp.); vi sono ancora presenti rari e sporadici esemplari di Globorotalia margaritae e G. puncticulata. L’assenza di taxa del Pliocene superiore, quali Bulimina marginata, permette inoltre di limitare al Pliocene medio l’età di deposizione delle calcareniti. Le associazioni ad ostracodi confermano l’aumento degli apporti dalla zona infralitorale, testimoniato dalla presenza di taxa caratteristici di ambiente costiero (Paracytheridea spp., Pontocythere turbida, Semicytherura spp., ecc.).

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Giornate di Paleontologia 2003 – Alessandria, 22-25 Maggio 2003 _________________________________________________________________________ GLI EVENTI ANOSSICI OCEANICI SELLI (OAE1A, TARDO APTIANO INFERIORE) E BONARELLI (OAE2, CENOMANIANO TERMINALE): SIGNIFICATO PALEO-OCEANOGRAFICO DEI FORAMINIFERI PLANCTONICI Coccioni R.1, Luciani V. 2 1 2

Istituto di Geologia e Centro di Geobiologia, Università degli Studi "Carlo Bo" di Urbino Dipartimento di Scienze della Terra, Università degli Studi di Ferrara

Il Livello Selli (tardo Aptiano inferiore) ed il Livello Bonarelli (Cenomaniano terminale) rappresentano i due maggiori episodi di arricchimento di carbonio organico nei sedimenti del Cretaceo e sono considerati come l'espressione sedimentaria degli eventi anossici globali (Ocenaic Anoxic Events = OAE) OAE1a e OAE2. L'analisi ad alta risoluzione attorno a questi livelli, definiti nel Bacino umbro-marchigiano, e dei loro equivalenti, fornisce l'opportunità di verificare come i foraminiferi planctonici risposero ai complessi cambiamenti paleoceanografici legati agli eventi anossici. I foraminiferi planctonici, essendo sensibili alle variazioni di temperatura, chimismo, e contenuto in nutrienti delle acque superficiali e facilmente preservabili nel record geologico, possono fornire una documentazione degli stress ambientali verificatesi in corrispondenza dell'Evento Selli e Bonarelli e contribuire ad una migliore conoscenza degli eventi stessi. La distribuzione di questo gruppo e le variazioni nella composizione delle associazioni analizzate per numerose sezioni stratigrafiche in Italia (Appennino umbro-marchigiano, Alpi meridionali, Sicilia, Promontorio del Gargano), Spagna sud-orientale, Francia Spagna sud-orientale, Inghilterra Spagna sud-orientale, Tunisia, Marocco, suggeriscono marcati cambiamenti nelle condizioni paleoceanografiche. In particolare, si deduce un progressivo e rapido deterioramento delle condizioni ambientali che individuano degli intervalli critici che raggiunsero il climax durante la deposizione dei Livelli Selli e Bonarelli. Alcune specie e generi mostrano una preferenza per le nuove condizioni mentre altri mostrano vari livelli di intolleranza. Questo tipo di comportamento é riflesso da evidenti cambiamenti di alcuni parametri (diversità specifica, dominanza, abbondanza e dimensioni) che si estendono decisamente oltre i limiti stabiliti di variabilità. E' possibile individuare acme e crisi di specie o generi che possono anche presentare estinzioni o severe perdite. Inoltre, sono stati osservati cambiamenti nella direzione di avvolgimento ed un marcato aumento di esemplari con anomalie nel guscio all'approssimarsi delle condizioni critiche. I primi taxa a scomparire sono le forme più specializzate mentre quelle che sopravvivono sono generalisti con più alto grado di tolleranza alle condizioni di stress. Gli opportunisti, tipicamente di piccola taglia e semplice morfologia, sono i primi colonizzatori e le forme che proliferano durante gli intervalli più critici. Sulla base della diversità, abbondanza, composizione e dimensioni generali delle associazioni sono state idividuate alcune distinte fasi che riflettono diversi gradi di perturbazione ambientale nell'ecosistema marino durante gli eventi anossici oceanici Selli e Bonarelli. Alcuni generi e specie si rivelano quindi utili indicatori di uno stress ambientale particolarmente elevato per gli oceani dell'Aptiano e Cenomaniano superiore delle basse e medie latitudini e foriscono anche indicazioni sull'intensità della perturbazione ecologica.

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Giornate di Paleontologia 2003 – Alessandria, 22-25 Maggio 2003 _________________________________________________________________________ PRIMA SEGNALAZIONE DI LOBOLITI (CRINOIDEA) NEL DEVONIANO BASALE DELLE ALPI CARNICHE ITALIANE Corradini C.1, Serventi P.2, Simonetto L.3 1

Dipartimento di Scienze della Terra, Università degli Studi di Cagliari Dipartimento del Museo di Paleobiologia e dell’Orto Botanico, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia 3 Museo Friulano di Storia Naturale, via Marangoni 39, I-33100 Udine 2

I loboliti sono il risultato di una particolare evoluzione dell’apparato radicale dei crinoidi della famiglia Scyphocrinitidae, che si è modificato formando una struttura globosa; tale bulbo, che poteva raggiungere e a volte superare i venti centimetri di diametro, aveva funzione di boa, che permetteva all’animale di flottare liberamente nei mari, venendo trasportato dalle correnti. I loboliti hanno un’ampia diffusione geografica (Nord America, Europa, Africa settentrionale Siberia e Kazakhstan), ma una distribuzione stratigrafica molto limitata, attorno al limite Siluriano-Devoniano, tanto da essere uno dei pochi gruppi di crinoidi con importanza biostratigrafica. Nel margine settentrionale del Gondwana sono noti in Marocco, Algeria, Spagna, Montagna Nera, Sardegna, Turingia e Boemia, e spesso costituiscono livelli ben evidenti e facilmente riconoscibili in campagna. Nelle Alpi Carniche fino ad ora erano segnalati solamente sul versante austriaco, nella sezione di Rauchkofel Boden, dove sono presenti forme di piccole dimensioni. Il materiale studiato proviene dallo spigolo Nord-Ovest del Monte Zermula, nei pressi del ponte di Stua di Ramaz: qui sono stati rinvenuti numerosi esemplari, alcuni dei quali superano i dieci centimetri di diametro; il loro stato di conservazione non è ottimale e sono inglobati in una matrice ricca di materia organica, e, a tratti, finemente laminata. Abbondanti sono anche i frammenti di steli. I conodonti hanno consentito di datare i livelli a loboliti alla base del Devoniano (Biozona a Icriodus w. woschmidti). Le faune associate sono rappresentate principalmente da cefalopodi nautiloidei ortoconi, per lo più raggruppati in evidenti livelli di accumulo, e da rari bivalvi. Nel residuo a conodonti sono inoltre stati raccolti resti di scolecodonti e chetognati, oltre a rari microbrachiopodi, articoli di crinoidi, spicole di spugna, frammenti di fillocaridi e di esemplari giovanili di ortoceratidi.

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Giornate di Paleontologia 2003 – Alessandria, 22-25 Maggio 2003 _________________________________________________________________________ RICERCA DI DINOSAURI IN IRAN Dalla Vecchia F.M.1, Ataabadi M.M.2, Kellner A.W.A.3, Jafarian M.A.2, de Paula Silva H.3, Seyfori S.4, Medadi M.4, Pourbagheban M.R.2, Khosravi E.5 1

Museo Paleontologico Cittadino, Monfalcone, Department of Geology, University of Esfahan, Iran 3 Museu Nacional/UFRJ, Rio de Janeiro, Brasile 4 Geological and Mineral Survey of Iran. Iran 5 Department of Biology, University of Tehran, Iran 2

I resti di dinosauro sono piuttosto scarsi in Medio Oriente a dispetto della vastità degli affioramenti mesozoici nella regione. Uno degli stati con un grande potenziale in questo senso è l’Iran, che presenta estesi affioramenti di rocce ritenute di origine continentale o deltizia, la cui età spazia dal Giurassico inferiore fino al Cretaceo inferiore e forse al Cretaceo superiore. Tuttavia, in Iran non sono mai stati trovati resti ossei di dinosauro, ma solo alcune impronte nel Giurassico inferiore, identificate da paleontologi francesi e iraniani come orme di ornitopodi di dimensioni medie e grandi e di teropodi di dimensioni medio-piccole. Per investigare le potenzialità fossilifere delle esposizioni più promettenti, nel settembre 2002 si è svolta una spedizione organizzata dal Dipartimento di Geologia dell’Università di Esfahan (Iran) e dal Museu Nacional di Rio de Janeiro (Brasile) con il supporto del Iranian Geological Survey. Il relatore di questa presentazione è stato invitato a contribuire all’organizzazione della spedizione e vi ha partecipato per la sua specifica esperienza in campo paleoicnologico. E’ stato inizialmente investigato un affioramento del Giurassico superiore ai piedi dell’Elburz orientale, ai margini del Deserto del Kavir presso Sharhud. Qui erano state segnalate dai geologi alcune possibili orme di sauropodi, identificazione che però è risultata essere piuttosto dubbia. La maggior parte delle ricerche si è svolta successivamente nella potente sezione paralico-continentale giurassica a nord di Kerman, nella zona centro-orientale del Paese. In particolare sono state investigate la Shemshak Fm. (Giurassico inferiore) di origine deltizio-lagunare, la Hojedk Fm. (Giurassico medio), fluvio-deltizia, e la Bidou Fm. (Giurassico superiore) che testimonia ambienti variabili da fluviale a marino. Sono stati ritrovati i due intervalli con orme di dinosauro nella Shemshak Fm. della Valle Neizar presso Zarand, già brevemente descritti negli anni ’70, e le orme sono state mappate, calcate e studiate in dettaglio. Le impronte attribuite in precedenza a ornitopodi, appartengono più probabilmente a teropodi di grandi e medie dimensioni. E’ stato pure scoperto un nuovo livello con due impronte. Alla base delle pendici occidentali del monte Kuh-e-Kalle Gav, ai margini del Deserto di Lut, 90 km a nord di Kerman, sono stati rinvenuti nella parte sommitale della Bidou Fm. i primi restri ossei di dinosauro in Iran. Si tratta di frammenti indeterminati, tra i quali vi è parte di un osso di grandi dimensioni, e un caratteristico dente di teropode, compresso lateralmente e seghettato.

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Giornate di Paleontologia 2003 – Alessandria, 22-25 Maggio 2003 _________________________________________________________________________ LEGNI FOSSILI DELL’ANGLONA (SARDEGNA NORD-OCCIDENTALE) Deiana A., Filigheddu R. Dipartimento di Botanica ed Ecologia Vegetale, Università degli Studi di Sassari

Oggetto di questo lavoro è un censimento relativo ai resti fossili vegetali rinvenuti in una vasta area della Sardegna Nord-occidentale, l’Anglona (SS), che rappresenta uno dei bacini fossiliferi, risalente al Miocene, fra i più significativi dell’isola, e collocabile nell’intervallo cronologico che va all’incirca da 24-23 m.a. a 19 m.a.. La ricerca paleobotanica, condotta dal Dipartimento di Botanica ed Ecologia Vegetale dell’Università di Sassari, rientra nell’ambito di un progetto di Piano Integrato d’Area concretizzatosi per iniziativa congiunta dei quattro comuni della zona interessati (Perfugas, Bulzi, Laerru e Martis) e dalla Soprintendenza Archeologica di Sassari e Nuoro e riguarda, oltre al censimento dei fossili vegetali, anche lo studio geologico e geomorfologico dell’area (realizzati dall’Istituto di Scienze Geologico-Mineralogiche dell’Università di Sassari). Lo scopo principale dei comuni consiste nella realizzazione di strutture spaziali che fungano da centri di documentazione del bacino paleobotanico, nonché, nel potenziamento delle strutture già esistenti (Museo Paleobotanico di Perfugas). L’area fossilifera in questione, indicata solitamente con il termine di Foresta fossile, rappresenta una delle emergenze naturalistico-ambientali più singolari della Sardegna; il termine di “foresta” appare, tuttavia, improprio poiché si tratta di una serie di reperti dislocati in una vasta porzione del territorio che non costituiscono, pertanto, una formazione vegetale in situ. Il contingente fossile, oggetto dello studio, è rappresentato da tronchi (fossili) silicizzati che si sono mantenuti, grazie al processo di mineralizzazione, in buono stato di conservazione. E’ interessante evidenziare che le specie fossili già segnalate e censite in quest’area, risultano di straordinario interesse per la conoscenza e la ricostruzione delle successioni sedimentarie del Miocene basale sardo e la loro importanza e peculiarità appare non inferiore alle specie dei giacimenti di altre aree sarde, dell’Europa e dell’Africa settentrionale. La flora paleoxilologica del terziario, studiata già a partire dagli inizi dell’800, e conosciuta allo stato attuale, comprende fra le Cupressaceae (Gimnosperme), le specie: Tetraclinoxylon anglonae Biondi (1980), Callitrixylon boureau Biondi (1985) e Cupressoxylon peucinum Goepp. (Comaschi Caria 1959). Fra le Bombacaceae (Angiospermophyta-Magnoliopsida) la specie Bombacoxylon owenii (Carruthers) 1969. Infine fra le Palmae appartenenti al genere Palmoxylon Schenk vengono segnalate la specie Palmoxylon homeochamaerops Biondi e Filigheddu (1990); Palmoxylon sardum (Unger) Schenk 1890; Palmoxylon tyrrenicum Chiarugi 1931.

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Giornate di Paleontologia 2003 – Alessandria, 22-25 Maggio 2003 _________________________________________________________________________ IL RECORD CENOZOICO DELL'ERPETOFAUNA ITALIANA Delfino M. Dipartimento di Scienze della Terra e Museo di Storia Naturale (Sezione Geologia e Paleontologia), Università degli Studi di Firenze

E' in corso di realizzazione una banca dati relativa alle paleoerpetofaune del Cenozoico italiano mediante la raccolta di dati desunti dalla letteratura (dati inediti o cataloghi inediti di collezioni museali non sono considerati). Per ciascun dato, oltre al taxon ed alla località (si tratta quindi di dati SPLOC: Species Per Locality OCcurrences) sono riportatati ordine e famiglia di appartenenza, provincia e regione di provenienza, attribuzione cronologica e riferimenti bibliografici relativi ai resti fossili identificati. Sebbene la raccolta di dati non sia probabilmente completa, è possibile supporre che la produzione italiana sia coperta in modo soddisfacente, mentre potrebbe non esserlo quella estera: è possibile che manchino molti degli articoli pubblicati all'estero che semplicemente citano materiali italiani o li confrontano con quelli che descrivono. Inoltre, vi è certamente una lacuna parziale per quanto riguarda le faune oloceniche i cui dati sono pubblicati su una moltitudine di monografie e di periodici a diffusione locale o regionale (quali bollettini di enti, associazioni, gruppi speleologici o musei locali) difficili da reperire. La versione attuale della banca dati (marzo 2003) consiste di 866 dati desunti da 460 articoli pubblicati a partire dal 1765 e relativi a 135 taxa (31 Anfibi e 104 Rettili) rinvenuti in 347 località attualmente comprese entro i confini politici italiani. La produzione scientifica non mostra un costante incremento: si osserva un progressivo calo nella prima metà del ‘900 con un picco negativo corrispondente alla IIa Guerra Mondiale; il massimo della produzione si registra nel decennio 1980-1990 in concomitanza di un nuovo e vivo interesse per i microvertebrati da parte della comunità paleontologica italiana ed europea. Da un punto di vista storico, si osserva che i coccodrilli e le tartarughe, i cui resti sono relativamente grandi e molto caratteristici, hanno monopolizzato quasi totalmente l’attenzione dei paleoerpetologi italiani almeno fino ai primi decenni del’900; lo studio dell’erpetofauna di taglia piccola (categoria a cui appartiene la quasi totalità dei taxa italiani attuali) si è sviluppato solo negli ultimi 50 anni. Per quanto riguarda la distribuzione dei dati nelle diverse Epoche, è necessario sottolineare l’estrema povertà del record paleogenico. Sebbene il Paleogene abbia una durata superiore alla metà di quella cenozoica (il 65%), i dati paleogenici rappresentano solo il 5% di quelli cenozoici. Il Pleistocene risulta essere il più ricco in termini di dati (il 55% dei dati cenozoici), taxa e località. Sebbene durante l’Olocene l’Italia abbia verosimilmente ospitato tutti i taxa attualmente presenti (85), si conoscono testimonianze fossili di solo 18 di essi (21%). Il record cenozoico italiano comprende rappresentanti degli ordini Anura e Caudata fra gli Anfibi e Crocodylia, Chelonii, Sauria, Amphisbaenia e Serpentes fra i Rettili; non si conoscono resti riferibili all'ordine Choristodera (Rettili ora estinti ma presenti nel Paleogene europeo). In linea con quanto osservabile in Europa, durante il Neogene si assiste ad una progressiva scomparsa dei taxa più termofili (quali coccodrilli, trionichidi, varani e boa delle sabbie) ed alla comparsa dei più antichi rappresentanti dell’erpetofauna moderna che, almeno in alcuni casi (solo Anfibi), non sono anatomicamente distinguibili dalle specie viventi. Il Pleistocene ospita quasi essenzialmente taxa moderni; il fenomeno più evidente che si verifica in questa Epoca è il rimodellamento degli areali che, in casi estremi, ha condotto alla scomparsa di alcuni taxa che attualmente sopravvivono nelle altre penisole dell’Europa mediterranea.

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Giornate di Paleontologia 2003 – Alessandria, 22-25 Maggio 2003 _________________________________________________________________________ A PALEONTOLOGICAL APPROACH TO THE ASSESSMENT OF RECENT CHANGES IN BENTHIC MOLLUSCAN BIODIVERSITY: PRELIMINARY RESULTS IN THE NORTHERN GULF OF THAILAND Di Geronimo I.1, Chaimanee N.2, Negri M.3, Robba E.3, Sanfilippo R.1 1

Dipartimento di Scienze Geologiche, Sezione di Oceanologia e Paleoecologia, Università degli Studi di Catania Geological Survey Division, Department of Mineral Resources, Rama VI Road, 10400 Bangkok, Thailand 3 Dipartimento di Scienze Geologiche e Geotecnologie, Università degli Studi di Milano-Bicocca 2

The assessment of biodiversity changes occurred during the last decades currently requires the availability of yearly observations throughout the considered time span. In the present paper, an attempt is made to use benthic molluscan thanatocoenoses as a record of living associations that have existed prior to the modern ones in the Northern Gulf of Thailand. The investigated area encompasses the tidal flats and upper infralittoral bottoms facing the coastline of Phetchaburi province, approximately 150 km southwest of Bangkok. The 14C dates from that area have shown that mollusks in thanatocoenoses appear to be affected by bomb radiocarbon and did live after the 1960s. The faunal lists pertaining to 52 stations were selected for statistical treatment, involving Qmode cluster analysis and non-metric Multi-dimensional Scaling Ordination (MDS) on a Bray-Curtis similarity matrix of transformed species abundance data. The analysis delineates 7 thanatofacies. The first one is widespread throughout the upper infralittoral zone and is largely dominated by Nuculana (Jupiteria) puellata, Timoclea (Chioneryx) scabra and Decorifer sp. It contains a total of 298 species and the average species richness per station is 60; the average station heterogeneity, expressed by the Shannon-Weaver index (H’) is 3.29. Thanatofacies 2, recovered at a single station in the inner tidal flat, is dominated by Scapharca indica, Cycladicama oblonga and Cerithidea cingulata; the total number of species is 64 and H’ is 4.27. Thanatofacies 3, also within the tidal flat at more sandy locations, is dominated by Corbula (Caryocorbula) lineata, Decorifer sp. and Mactra (Mactra) luzonica; the total number of species is 32 and average values per station of species richness and H’ are respectively 23 and 3.67. The fourth is another typical intertidal thanatofacies, dominated by Pitar (Costellipitar) manillae, Anadara granosa and Arcopagia yemenensis; it comprises 18 species in total with an average species richness of 10 and H’ averaging 1.69. Pitar (Costellipitar) manillae and Anadara granosa denote fresh water influence. Thanatofacies 5 through 7 appear to be intertidal ecotones, representing different transitional aspects, between the infralittoral thanatofacies 1 and the strictly intertidal thanatofacies 3 and 4. They exhibit moderate to low average values of both species richness and H’. The living associations obtained at the same locations appear to be markedly depleted in both species richness and total number of specimens, if compared to the co-occurring thanatofacies. The average number of species per station drops from 60 to 3, from 64 to 0, from 23 to 1, from 19 to 0, from 18 to 1, from 10 to 0.3 and from 9 to 0 in those areas where respectively thanatofacies 1 through 7 were recovered. The decrease of the total number of specimens goes accordingly. It is apparent that the whole sea-bed area investigated in this study underwent a dramatic negative change in benthic mollusk biodiversity during the last decades. This change seems to be related primarily to the intensive trawling in shallow water, practiced by local coastal villagers, which resuspends an enormous quantity of mud resulting in very high turbidity that clogs the gills of many benthic invertebrates; moreover, trawling kills seabed organisms by crushing or burying them and prevents larvae from settling. Other causative agents are likely the shrimp farming effluent and sewage from coastal human settlements that affect the water quality.

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Giornate di Paleontologia 2003 – Alessandria, 22-25 Maggio 2003 _________________________________________________________________________ UNA NUOVA PROBABILE EVIDENZA DELLA DISCENDENZA HIPPOPOTAMUS PENTLANDI DA HIPPOPOTAMUS AMPHIBIUS

DI

Di Patti C.1, Mangano G.2, Piccione S.1, Bonfiglio L.2 1 2

Museo Geologico “G.G. Gemmellaro”, Università degli Studi di Palermo Dipartimento di Scienze della Terra, Università degli Studi di Messina

In Sicilia i depositi contenenti resti di Hippopotamus pentlandi, l’ippopotamo pleistocenico di taglia ridotta, sono molto diffusi. I numerosi resti rinvenuti sono stati studiati solo in parte e gli studi comparativi finora condotti non hanno ancora chiarito i rapporti filogenetici di H. pentlandi con le specie continentali da cui si considera derivato. L’ippopotamo siciliano, caratterizzato da un’ampia variabilità morfologica e dimensionale, è stato di volta in volta considerato come specie distinta, come varietà o razza di H. amphibius o come sottospecie di H. amphibius. La maggior parte degli autori ritiene che H. pentlandi derivi da H. amphibius del Pleistocene dell’Europa continentale, anche se alcuni aspetti della morfologia cranica e mandibolare di H. pentlandi sono simili a quelli di H. antiquus. Attualmente esiste un solo studio monografico di dettaglio, pubblicato da Accordi nel 1955, relativo ai resti di H. pentlandi rinvenuti nella Grotta della Cannita (Misilmeri, Palermo) conservati presso i Musei delle Università di Padova e Ferrara. Durante una recente revisione della collezione di vertebrati fossili provenienti dalla Grotta della Cannita, conservata presso il Museo Geologico “G. G. Gemmellaro” dell’Università di Palermo, sono stati individuati 109 resti inediti di H. pentlandi, tra cui diversi elementi giovanili a vari stadi di crescita. In particolare, sono presenti alcune emimandibole giovanili caratterizzate dalla presenza di tre incisivi decidui. La presenza del terzo incisivo deciduo in H. pentlandi è un carattere inedito, mai osservato sui resti finora studiati. Tale carattere è segnalato sia nei rappresentanti attuali che nei resti fossili di H. amphibius, mentre non è stato finora osservato in H. antiquus. La dentatura definitiva di H. pentlandi, analogamente a quella di H. amphibius attuale e fossile, presenta due incisivi per ogni mandibola. La presenza del terzo incisivo deciduo rappresenta un carattere arcaico di H. amphibius che si ritrova anche in H. pentlandi. Tale carattere potrebbe rappresentare una nuova evidenza della discendenza di H. pentlandi da H. amphibius.

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Giornate di Paleontologia 2003 – Alessandria, 22-25 Maggio 2003 _________________________________________________________________________ THE LATEST MESSINIAN “LAGO-MARE” MOLLUSC FAUNAS FROM ITALY. PALAEO-BIOGEOGRAPHICAL ASPECTS Esu D. Dipartimento di Scienze della Terra, Università “La Sapienza” di Roma

Latest Messinian deposits yielding “lago-mare” mollusc assemblages are widespread throughout the Italian peninsula and in Sicily. These were sediments of freshwater-brackish environments laid down at the top of the Messinian evaporitic regime (“salinity crisis”) within the Mediterranean basin. The best known fossiliferous outcrops occur in Piedmont (Alba), Tuscany (Sterza di Laiatico and Morra Valleys, Livorno), Romagna and Marche Apennines (Colombacci Fm.), Abruzzo (Le Vicenne, L’Aquila) and Sicily (NW margin of Hyblean Plateau and central Sicily) (Esu, 1997; Cipollari, 1999 cum refs.). The Italian mollusc assemblages of the “lago-mare” biofacies consist of oligo-mesohaline gastropods and bivalves. The gastropods are represented by aquatic ipo- and oligohaline prosobranchs among which the genera Theodoxus, Melanopsis, Melanoides, Hydrobia, Saccoia dominate. The bivalves are represented by significant oligo-mesohaline elements of the subfamily Limnocardiinae (Fam. Cardiidae) among which the genera Limnocardium (Euxinicardium), Pseudocatillus, Paradacna, Eupatorina, Prosodacnomya, Pachydacna (Parapachydacna), Plagiodacna, Pontalmyra prevail. Mactridae and Dreissenidae are also present. Significant palaeobiogeographic evidences can be drawn from the “lago-mare” mollusc assemblages. The recorded gastropod species are mainly endemic-related to their ecology tied to continental water system. Most of them existed in Italian non-marine basins since the Early Messinian, such as Theodoxus mutinensis, Melanopsis fusulatina and Saccoia fontannesi. By contrast the bivalves both at genus and species level, such as Limnocardium (E.) subodessae, Pseudocatillus pseudocatillus, Paradacna abichi, Eupatorina littoralis, Prosodacnomya sturi, Pachydacna (Parapachydacna) cobalcescui, Plagiodacna carinata, Mactra faugeresi show close relation with the Early Pontian (Odessian) fauna of the Aegean area (Di Geronimo et al., 1989; Popov and Nevesskaya, 2000) and have strong Eastern Paratethyan affinities (with Dacian and Euxinian basins) where many of these taxa were distributed during Early and Late Pontian time (Nevesskaja et al., 2001). Their ecology is mainly tied to brackish (oligo-mesohaline) water so that spreading of suitable habitats at the top of “salinity crisis” favoured their dispersal into the Mediterranean area. These taxa are not recorded in the Lower Messinian lacustrine/brackish deposits of Italy (Ghetti et al., 2000) the fauna of which shows a clear different palaeobiogeographical character in respect to the latest Messinian ones: central-western European and Mediterranean the oldest ones, with clear Eastern Paratethyan and/or Aegean affinities the youngest ones. The palaeobiogeographic data suggest that the Aegean basin could be an intermediate basin from whence the Paratethyan type fauna migrated into the Mediterranean area in the Late Messinian time. The “lago-mare” mollusc assemblages disappear abruptly at the end of the Messinian interval when the sharp environmental change from Mediterranean brackish environments towards true marine conditions occurred at the beginning of the Pliocene. Cipollari, P., Cosentino, D., Esu, D., Girotti, O., Gliozzi, E. and Praturlon, A., 1999. Thrust top lacustrine-lagoonal basin development in accretionary wedges: late Messinian (Lago-Mare) episode in the central Apennines (Italy). Palaeogeography, Palaeoclimatology, Palaeoecology 151, 149-166. Di Geronimo, I., Esu, D. and Grasso, M., 1989. Gli strati a “Congerie” del Messiniano superiore del margine nordoccidentale ibleo. Atti Accademia Peloritana dei Pericolanti, Classe1, 67, 129-150. Esu, D., 1997. First data on Messinian oligohaline molluscs from Racalmuto and Alimena (central Sicily). Abstract Interim Coll. R.C.M.N.S. “Neogene basins of the Mediterranean region”, 55-56, Catania. Ghetti, P., Anadon, P., Bertini, A., Esu, D., Gliozzi, E., Rook, L. and Soulié-Marsche, I., 2000. The Early Messinian Velona basin (Siena, Central Italy): palaeoenvironmental and palaeobiogeographical implications. Abstract XI R.C.M.N.S. Congress, 27, Fes. Nevesskaya, L.A., Paramonova, N.P. and Popov, S.V., 2001. History of Lymnocardiinae (Bivalvia, Cardiidae). Paleontological Journal 35, 3, 147-217. Popov, A.V. and Nevesskaya, L.A., 2000. Late Miocene brackish-water mollusks and the history of the Aegean basin. Stratigraphy and geological correlation 8, 2, 195-205.

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Giornate di Paleontologia 2003 – Alessandria, 22-25 Maggio 2003 _________________________________________________________________________ OLIGO/MIOCENE MOLLUSC FAUNA FROM NEAR OTRANTO (SOUTHERN APULIA, SOUTHERN ITALY): A NON-MARINE TO MARINE TRANSITION Esu D., Girotti O. Dipartimento di Scienze della Terra, Università “la Sapienza” di Roma

Southernmost Apulia (Salento), belonging to the Apenninic foreland, is characterized by stratigraphic successions laid down in a carbonatic platform domain. The various formations, ranging from Cretaceous to Quaternary, are discontinuous and separated by hiatuses of differing scales (Bosellini et al., 1999). The present paper deals with the mollusc fauna from two stratigraphic sections of the surroundings of Otranto, lying on a thick bauxitic cover and passing from continental to brackish and marine facies, in which rather rich (in specimens) assemblages of gastropods and bivalves of different environments have been discriminated. Palaeoecologic analysis of the mollusc faunas shows that lagoonal-continental environments prevailed for almost the whole succession, as testified to by oligotypic assemblages of Prosobranchs, such as Neritidae, Hydrobiidae, Stenothyridae, Thiaridae, Potamididae and bivalves (Cyrenidae), alternately dominated by the Theodoxus, Hydrobia, Melanoides, Potamides, Granulolabium, Tympanotonus (or Mesohalina), Terebralia and Polymesoda. Littoral marine elements, such as Tectarius, Turritella, Cerithium, Anadara and Chama, are scattered along the succession but prevail towards the top, where corals and echinoids also occur. From the lithological as well as palaeontological point of view, the Otranto sections are correlated with the Galatone Formation cropping out in the southern Salento area (Esu et al., 1994), formalized by Bossio et al. (1998). Both biostratigraphy and lithostratigraphy suggest locating these transgressive deposits at the Oligo/Miocene transition. In fact, the stratigraphic range of the fauna is Late Oligocene – Early Miocene and the particular facies identified (bauxitic paleosols and coal seams at the base, associated with non-marine molluscs, followed by brackish sediments and ending with truly marine beds) are in good agreement with the lowstand-highstand transition at the base of TB 1.4 of Supercycle TB1 of the eustatic curve of Haq et al. (1987), where Steininger et al. (1997) proposed to locate the GSSP of the Paleogene-Neogene boundary. The fauna is of palaeobiogeographic significance, having strong affinities with those of the Oligo-Miocene basins of Aquitaine, Vienna and Turkey. Some new taxa have also been discriminated.. Bosellini, A., Bosellini, F.R., Colalongo, M.L., Parente, M., Russo, A. and Vescogni, A., 1999. Stratigraphic architecture of the Salento coast from Capo d’Otranto to S. Maria di Leuca (Apulia, Southern Italy). Rivista Italiana di Paleontologia e Stratigrafia 105, 397-416. Bossio, A., Esu, D., Foresi, L.M., Girotti, O., Iannone, A., Luperto, E., Margiotta, S., Mazzei, R., Monteforti, B., Ricchetti, G. and Salvatorini, G., 1998. Formazione di Galatone, nuovo nome per un’unità litostratigrafica del Salento (Puglia, Italia meridionale). Atti della Società Toscana di Scienze Naturali, Memorie, Serie A 105, 151-156. Esu, D., Girotti, O., Iannone, A., Pignatti, J.S. and Ricchetti, G., 1994. Lagoonal-continental Oligocene of southern Apulia (Italy). Bollettino della Società Paleontologica Italiana 33, 183-195. Haq, B.U., Hardenbol, J. and Vail, P., 1987. Chronology of fluctuating sea levels since the Triassic. Science 235, 1156-1167. Steininger, F.F., Aubry, M.P., Biolzi, M., Borsetti A.M., Cati, F., Corfield, R., Gelati, R., Iaccarino, S., Napoleone, C., Rögl, F., Rötzel, R., Spezzaferri, S., Tateo, F., Villa, G. and Zevenboom, D., 1997. Proposal for the global stratotype section and point (GSSP) for the base of the Neogene (the Paleogene/Neogene Boundary), pp. 125-147. In Montanari, A., Odin, G.S. and Coccioni, R. (eds), Miocene Stratigraphy. An Integrated Approach; Elsevier, Amsterdam.

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Giornate di Paleontologia 2003 – Alessandria, 22-25 Maggio 2003 _________________________________________________________________________ MALACOFAUNA PLIOCENICA DI CASTELLENGO (BIELLESE, ITALIA NW) Ferrero E., Merlino B., Provera A. Dipartimento di Scienze della Terra - Università degli Studi di Torino

E' stato prelevato un campione volumetrico di circa 10 dm3 da un livello sabbioso di età pliocenica, affiorante lungo la sponda sinistra del torrente Cervo, presso l'abitato di Castellengo (Biella, Piemonte NE). In questa sede vengono presentati i risultati relativi alla malacofauna (arricchita da alcuni esemplari prelevati con raccolta manuale), mentre l'analisi dei resti vegetali è stata svolta separatamente (Martinetto, ricerche in corso). Sono stati risconosciuti 141 taxa di cui 9 non segnalati nelle altre note località fossilifere plioceniche biellesi (Candelo, Cossato, Masserano). Lo stato di conservazione dei molluschi è molto variabile a seconda dei diversi gruppi tassonomici. Alcuni sono molto usurati, al punto da renderne problematica l'attribuzione specifica. Per contro altri gruppi presentano un ottimo stato di conservazione, con una buona frequenza di esemplari a valve articolate tra i Nuculidae e Nuculanidae. L’analisi dei dati autoecologici dell'associazione di Castellengo è stata effettuata con il supporto delle schede preparate da Merlino & Provera (2003), attraverso le quali sono stati ordinati e raggruppati i dati secondo i diversi criteri. L'associazione, che viene definita sulla base delle specie dominanti "Paleocomunità a Nucula jeffreysi e Turritella tricarinata", presenta una rilevante concentrazione di bioclasti (903,6 esemplari/dm3) ed è costituita da organismi attribuibili a due componenti biocenotiche principali. La prima, più superficiale, comprende individui prevalentemente infaunali, viventi in un substrato sabbioso-pelitico del piano infralitorale, interessato da fenomeni di instabilità, e appartenenti o assimilabili alla biocenosi SFBC, a cui viene attribuita la specie più abbondante, Nucula jeffreysi. L'altra componente è costituita da taxa delle biocenosi VTC e DC affini ad un substrato più eterogeneo, probabilmente trasportati da correnti di fondo, testimoniate dalla presenza di taxa appartenenti alla biocenosi SGCF che può situarsi sia nel piano infralitorale che nel circalitorale. La dominanza elevata (20,74%) degli organismi appartenenti alla biocenosi VTC, di cui è caratteristica preferenziale Turritella tricarinata, fa supporre la presenza di uno sbocco fluviale, confermata dal rinvenimento di 18 taxa (dominanza 19,76%) che sopportano variazioni di salinità e di temperatura e dalla presenza di Lentidium mediterraneum. Vengono evidenziate le differenze di concentrazione dei bioclasti, composizione faunistica e varietà specifica rispetto ad altre paleofaune del settore pliocenico biellese, di cui si amplia la configurazione paleoambientale. La presenza di esemplari appartenenti alla famiglia Terebridae e di 6 taxa di bivalvi, Pecten (Flabellipecten) bosniaskii, Lissochlamys excisa, Lucina orbicularis, Lucinella dentata, Tellina (Arcopagia) sedgwicii, Venerupis astensis, indicano un'età precedente alla crisi climatica di 3 Ma. Altri 2 taxa dell'associazione, Donax (Cuneus) minutus e Venus (Ventricoloidea) alternans, sono segnalati fino a 2,5 Ma (MPMU2). La bassa percentuale dei taxa estinti, pari al 35%, porta ad escludere un'età zancleana e a restringere l'intervallo cronostratigrafico al Pliocene medio. I dati cronostratigrafici disponibili e il confronto con le altre località plioceniche biellesi consentono di affermare che l'associazione di Castellengo si è deposta prima del deterioramento climatico di 3 Ma, nell'intervallo MPMU1, alla base del Piacenziano. Merlino B. & Provera A., 2003 – Raccolta dati per lo studio delle malacofaune fossili: un modello di scheda informatica. Bollettino Malacologico, 38: 155-164.

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Giornate di Paleontologia 2003 – Alessandria, 22-25 Maggio 2003 _________________________________________________________________________ IL MUSEO CRAVERI ALLA SCOPERTA DELLE ISOLE DI CAPOVERDE Ferrero E.1, Molinaro E.2, Mortara G.3 1

Dipartimento di Scienze della Terra - Università degli Studi di Torino Museo Civico Craveri di Storia Naturale, Via Craveri, Bra (CN) 3 CNR - Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica (IRPI), Strada delle Cacce 73, 10135 Torino 2

Fin dal 1841 il Museo Civico Craveri di Storia Naturale di Bra ha una tradizione di ricerca naturalistica in regioni remote, che ha costituito il nucleo iniziale del Museo stesso, le collezioni legate ai viaggi dei Fratelli Craveri nell’America Centro-Settentrionale. Nell’ultimo decennio sono state sostenuti 2 filoni principali di partenariato con paesi africani, le ricerche etnografiche, antropologiche e paleontologiche in Niger e la documentazione sull’ambiente geologico delle isole di Capoverde, mediante la racolta di dati, immagini e campioni. Lo scopo finale di questa seconda iniziativa è la costituzione di un Museo dell’ambiente naturale di Capoverde, che illustri e documenti gli aspetti geomorfologici estremamente eterogenei delle diverse isole, i tipi litologici più interessanti e caratteristici e ne descriva la genesi e l’evoluzione nel tempo geologico. Il Museo avrà la finalità di mettere in risalto le ricchezze naturalistiche delle isole, ma nello stesso tempo di segnalarne la vulnerabilità intrinseca legata alla sua storia geologica, al clima, ma soprattutto all’impatto antropico, che diventa sempre più aggressivo man mano che si sviluppa un tipo di turismo poco consapevole e irrispettoso dei delicati equilibri del territorio. La maggior parte delle formazioni rocciose sono di origine vulcanica, ma nelle zone marginali delle isole che presentano un rilievo meno accentuato o in vaste aree delle isole più antiche, che possono essere quasi pianeggiati, si estendono ampi terrazzi marini che espongono formazioni sedimentarie di età plio-pleistocenica, calcareniti e calciruditi infralittorali a granulomeria variabile, talvolta conglomeratiche a blocchi di basalto, spesso fossilifere e corrispondenti a depositi di “panchina”. Vengono qui presentate le formazioni affioranti nei terrazzi pleistocenici più recenti che sono stati ritrovati in lembi abbastanza estesi nella porzione sudoccidentale di numerose isole, dal lato protetto dagli alisei, dove è mitigata l’intensa azione erosiva del mare indotta dai venti costanti, tipica invece delle coste settentrionali. Questi sedimenti terrazzati sono depositi di periodi interglaciali del Pleistocene e corrispondono a momenti eustatici positivi in cui il livello marino ha raggiunto quote di 100, 20 e 5 m circa rispetto al livello attuale. Le associazioni fossili hanno caratteristiche tropicali del tutto simili a quelle attuali della zona. Comprendono una malacofauna ricca di Bivalvi e Gasteropodi spesso di grosse dimensioni (Conidi, Strombidi, Cypraeidi, Spondylidi, Arcidi, Glycymeridi,…), associati a piccole colonie di coralli tipici di patch-reef , briozoi ramosi, e noduli di litotamni. Le coste delle isole sono in genere molto esposte, non presentano formazioni biohermali e sono circondate da acque in cui arriva ancora l’influsso della Corrente fresca delle Canarie. Questo fatto, in contrasto con la latitudine (17° -14° N), mitiga il carattere tropicale delle associazioni faunistiche. La stessa situazione si era già impostata nel Pleistocene, come documentano i resti fossili rinvenuti e i dati disponibili in letteratura. Affiancando esemplari fossili ed esemplari attuali spiaggiati si possono evidenziare le somiglianze morfologiche, l’identità tassonomica e le differenze legate alla diagenesi. I documenti e i campioni raccolti permettono di illustrare questa situazione in una parte del Museo, che sarà dedicata ad illustrare la morfologia e la litologia delle piattaforme di abrasione marina riconoscibili nelle aree costiere delle Isole di Sal, Boavista, Maio, San Vicente, San Nicolao e Santo Antao, dove queste formazioni sono ben affioranti e diversificate.

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Giornate di Paleontologia 2003 – Alessandria, 22-25 Maggio 2003 _________________________________________________________________________ ESPERIENZE DI FRUIZIONE DIDATTICA E DI VALORIZZAZIONE DI ALCUNI AFFIORAMENTI FOSSILIFERI DEL MONFERRATO Ferrero E., Provera A., Tonon M. Dipartimento di Scienze della Terra - Università degli Studi di Torino

Lo studio delle Scienze della Terra è gravato da ostacoli concettuali riassumibili in due categorie principali: • difficoltà legate alla percezione dello spazio, riguardanti sia le dimensioni reali degli oggetti studiati sia la geometria tridimensionale delle strutture, quasi sempre invisibile sul terreno e ricostruibile solo attraverso dei modelli; • difficoltà legate alla percezione temporale, fuori dalla portata dell'esperienza umana e connesse alla impercettibile dinamica dei processi geologici. In riferimento ad uno studio paleontologico, tali difficoltà implicano un notevole sforzo cognitivo per ricostruire il significato del fossile in quanto reperto che rappresenta il resto di un organismo dotato di un suo particolare ciclo vitale con precise esigenze ecologiche, che ha una sua collocazione sistematica ed è situato ad un preciso stadio della storia filogenetica del gruppo a cui appartiene. Per far emergere tali ostacoli cognitivi e far riflettere sulle strategie atte al loro superamento è stato realizzato un laboratorio sperimentale nel Corso di Laurea in Scienze della Formazione Primaria, il cui primo obiettivo è rendere gli studenti consapevoli delle potenzialità cognitive, psicomotorie ed emotive di un'escursione didattica paleontologica, programmando e realizzando una visita di studio ad un classico affioramento di sabbie fossilifere plioceniche dell’Astigiano (Baldichieri, AT). La proposta, sperimentata da circa 60 studenti, comprende una metariflessione svolta sia a livello individuale, attraverso un questionario finale di gradimento dell’esperienza, sia a livello collettivo, con un’analisi delle difficoltà emerse durante l’esperienza soprattutto in relazione alla percezione del tempo geologico. L’analisi quantitativa e qualitativa dei risultati ha permesso una serie di considerazioni interessanti sulla presa di coscienza ed elaborazione degli ostacoli concettuali emersi. Parallelamente si è sperimentato un modulo didattico di paleoecologia, progettato e realizzato per classi di scuola secondaria superiore nell’ambito delle iniziative del Centro Servizi Didattici della Provincia di Torino, attraverso il quale gli studenti (circa 100 classi del biennio e triennio) hanno effettuato una raccolta dati sul campo e una successiva rielaborazione in classe allo scopo di giungere ad una ricostruzione paleoambientale e paleoecologica di un sito pliocenico di Castelnuovo Don Bosco (AT). In questo caso, l’obiettivo era quello di fornire agli allievi gli strumenti necessari per capire che un territorio nel corso del tempo geologico è soggetto ad un’evoluzione che può portare al cambiamento radicale delle sue caratteristiche biotiche ed abiotiche. Gli studenti hanno sperimentato alcune procedure attraverso cui si svolge un'analisi scientifica: infatti ricostruire un paleoambiente significa interpretare un'enorme mole di dati, ricavati da un minuzioso lavoro di raccolta dati sul terreno che richiede competenze molto specialistiche (es. esame delle caratteristiche stratigrafiche e sedimentologiche degli affioramenti e riconoscimento dei fossili). L'escursione didattica paleontologica risulta indispensabile per cogliere la complessità di relazioni esistenti sul territorio e le connessioni con la sua storia passata. L'ambiente esterno costituisce la realtà che mette l’allievo a confronto con gli effetti del tempo, con la dinamica e con la ciclicità dei fenomeni. Inoltre le informazioni acquisite durante un’escursione in campo vengono arricchite dalle esperienze emotive che ne favoriscono l’interiorizzazione. Infine esperienze dirette di questo tipo contribuiscono a sensibilizzare il docente e i discenti e a renderli consapevoli dell’importanza dei siti paleontologici, intesi come importanti luoghi di raccolta e conservazione di dati scientifici, testimonianze rare e frammentarie di un passato geologico, la cui tutela è indispensabile ai fini della custodia della storia evolutiva della nostra regione.

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Giornate di Paleontologia 2003 – Alessandria, 22-25 Maggio 2003 _________________________________________________________________________ AN OVERVIEW (MAMMALIA)

ON

FEEDING

ADAPTATIONS

IN

THE

HYAENIDAE

Ferretti M.P., Rook L. Dipartimento di Scienze della Terra e Museo di Storia Naturale (Sezione Geologia e Paleontologia), UniversitĂ degli Studi di Firenze

Derived hyaenids, as the extant spotted hyaena, Crocuta, are characterized by extreme craniodental adaptation to bone crushing. Also, the complex decussation pattern (Hunter-Schreger bands, HSB) of the tooth enamel in Crocuta was shown to have an adaptive relationships to the high stresses generated during bone crushing (Rensberger 2000). Differences in body size, morphology of the feeding apparatus, and overall skeletal structure among fossil Hyaenidae hint, nevertheless, at a greater diversity in feeding habits than that shown by extant species (Ferretti 1999). A review of the functional anatomy of the skull, mandible, and teeth, including enamel microstructure, in representatives of major hyaenid clades is presented. This study reveals that the degree of complexity of HSB in hyaenid enamel is related to body size and feeding habits. Primitive hyaenids share with other carnivores undulating HSB as a plesiomorphic character. More derived hyaenids display acute-angled HSB to zig zag HSB. In particular, very complex zig zag HSB are a shared derived features of the clade including all modern bone-crushing hyenas. The observed pattern of change of both cranio-dental morphology and enamel structure in the Hyaenidae supports the conclusion that evolution of this family is toward a fuller exploitation of prey, including osteophagy. Ferretti M.P. (1999) - Tooth enamel structure in the hyaenid Chasmaporthetes lunensis lunensis from the Late Pliocene of Italy, with implication on feeding behavior. Journal of Vertebrate Paleontology 19 (4):767-770 Renseberger J.M. (2000) - Pathways to functional differentiation in mammalian enamel. In: M.T. Teaford, M.M. Smith, and M.W.J. Ferguson (eds.) Development function and evolution of teeth, pp. 253-267. Cambridge univ. Press

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Giornate di Paleontologia 2003 – Alessandria, 22-25 Maggio 2003 _________________________________________________________________________ SOUTH AMERICAN PROBOSCIDEANS: NEW DATA AND NEW PROBLEMS Ferretti M.P., Rook L. Dipartimento di Scienze della Terra e Museo di Storia Naturale (Sezione Geologia e Paleontologia), Università degli Studi di Firenze

First reports of fossil proboscideans from South America date back to the XVII century. Cuvier described the first specimens brought to Europe in 1806, and proboscidean remains were also identify by Darwin in Argentina, during his voyage to South America (1831-1834). South American proboscideans belong to the family Gomphotheriidae and are characterized by a short mandible without tusks. They were part of the immigrant fauna from North America during the Great American Faunal Interchange (GAFI). They are essentially of Pleistocene age, with only one species surely occurring till the early Holocene. At present there is a general consensus that at least three different taxa are recognizable among South American gomphotheres: “Stegomastodon” platensis is common in the Late Pleistocene of the Pampean region of Argentina; Haplomastodon chimborazi is known from Late Pleistocene to Early Holocene sites across tropical South America, including the Andean region; Cuvieronius tarijensis is restricted to the Andean region, South of Ecuador, and its range was considered to span from Middle to Late Pleistocene. Still controversial are, on the other hand, the phylogeny of this group and the tempo and mode of dispersal from North to South America. An ongoing revision of South American and North American brevirostrine gomphotheres and other closely related taxa (Ferretti et al. submitted), is revealing a more complex systematic picture than that previously envisaged, while strongly supports the monophily of South American gomphotheres. In addition, new calibration of classic South American Pleistocene fossil bearing sequences and new, highly debated fossil finding from the Late Miocene of western Amazonia (Campbell et al. 2000) are challenging the currently accepted scenario for the GAFI. Campbell K.E., Frailey C.D., Romero Pittman L. (2000) – The Late Miocene gomphothere Amahuacatherium peruvium (Proboscidea: Gomphotheriidae) from Amazonian Peru: implicatins for the Great American Faunal Interchange. Boletin de l’Instituto Geologico Minero Y Metalurgico de la Republica del Peru, Serie D, 23:1-152. Ferretti M.P., Ficcarelli G. & Rook L. (submitted) – Anatomy, taxonomy, and phylogeny of Late Pleistocene Gomphotheriidae (Proboscidea, Mammalia) from Bolivar (Carchi, Ecuador), and other Ecuadorian localities. Geobios.

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Giornate di Paleontologia 2003 – Alessandria, 22-25 Maggio 2003 _________________________________________________________________________ EVOLUZIONE PALEOVEGETAZIONALE E PALEOCLIMATICA NEL GOLFO DI İZMIT (MAR DI MARMARA) DURANTE IL TARDIGLACIALE E L’OLOCENE Fusco F., Ricci Lucchi M. Dipartimento. di Scienze della Terra e Geologico-Ambientali, Università degli Studi di Bologna

L’evoluzione paleovegetazionale e paleoclimatica durante il Tardiglaciale e l’Olocene nel Golfo di İzmit (Mar di Marmara orientale) è stata ricostruita attraverso lo studio palinologico eseguito su due sondaggi. Il confronto con studi precedenti in aree vicine e alcune datazioni al radiocarbonio hanno permesso un buon controllo cronostratigrafico. Sono state individuate sei zone polliniche corrispondenti a sei diverse fasi vegetazionali. Il Tardiglaciale comprende le prime tre zone ed è caratterizzato dall’assenza di foreste e da comunità erbaceo-arbustive di tipo steppico indicative di condizioni climatiche fredde e aride. In particolare, la zona 1 rappresenta la fase terminale dell’interstadiale tardiglaciale con un modesto sviluppo della copertura arborea; le zone 2 e 3 rappresentano il Dryas Recente durante il quale le formazioni erbacee a carattere steppico raggiungono la loro massima estensione. L’Olocene è individuato dalle tre zone polliniche successive ed è caratterizzato dall’espansione delle foreste: nella zona 4 si afferma e domina un querceto misto deciduo; nelle zone 5 e 6, la composizione delle foreste cambia prima per l’espansione di formazioni a Pinus, che entrano in competizione con il querceto, e successivamente per la diffusione ad opera dell’uomo di alberi coltivati (zona 6) come il castagno, il noce, l’ulivo e la vite, iniziata presumibilmente ~ 2600 anni fa. Ogni fase vegetazionale è indicativa di peculiari condizioni climatiche. Le differenze più significative si riscontrano non solo al passaggio dal glaciale all’interglaciale (zona 3 → zona 4), quando il clima cambia profondamente verso condizioni caldo-umide, ma anche all’interno dell’Olocene (zona 4 → zona 5), con la diffusione delle formazioni a Pinus in risposta ad un incremento dell’aridità e/o ad una diversa ripartizione stagionale delle piogge. Nel Mediterraneo occidentale, alle stesse latitudini del Golfo di İzmit, attorno a ~ 7000 anni fa si registrano condizioni analoghe per l’instaurarsi del clima di tipo mediterraneo caratterizzato dalla forte diminuzione delle precipitazioni durante la stagione estiva. Infine, associazioni forestali dominate da querce e pini formano il paesaggio del Golfo di İzmit da svariati millenni, come si osserva ancora oggi dalla composizione della vegetazione dei rilievi circostanti.

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Giornate di Paleontologia 2003 – Alessandria, 22-25 Maggio 2003 _________________________________________________________________________ CONSIDERAZIONI PALEOBIOLOGICHE SULLA PALEOFAUNA MAMMALIANA TUROLIANA (MIOCENE SUPERIORE) DEL BACINO DEL CASINO (SIENA) Gallai G. Dipartimento di Scienze della Terra, Università degli Studi di Firenze

Verso la fine del 1800, numerosi resti di vertebrati furono rinvenuti in alcune cave e miniere, localizzate nell’area del Bacino del Casino (Siena), durante l’estrazione di lignite. Dante Pantanelli (1879), che raccolse la gran parte del materiale, ne annotò l’esatto orizzonte stratigrafico di provenienza grazie ad osservazioni dirette eseguite in cava. Lo scopo del presente lavoro è quello di riunire e riordinare tali reperti, dispersi a causa delle vicissitudini storiche in vari musei d’Italia ed all’estero, e di ricostruirne la storia tafonomica al fine di poter formulare ipotesi di carattere paleoambientale e paleobiologico. L’analisi tafonomica, infatti è, al momento, una delle metodologie più efficaci per questo tipo di indagini, come dimostrato dall’ampia letteratura straniera (es. Behrensmeyer, 1982; 1991; Lyman, 1994). Tuttavia, tali lavori, ed in particolare quelli concernenti i vertebrati, sono ancora agli albori in Italia. Lo studio dell’associazione del Casino intende essere un contributo alla conoscenza della paleobiologia delle faune mioceniche continentali italiane poiché, non essendo state ancora eseguite indagini volte alla definizione di siti isotafonomici di questo intervallo cronologico, si propone come primo tentativo di costruzione di una banca dati sui siti miocenici continentali in Italia. Behrensmeyer A.K., 1982, Time resolution in fluvial vertebrate assemblage, Paleobiology, 8, pag. 211-228. Behrensmeyer A.K., 1991, Terrestrial Vertebrate Accumulation, in P.A allison & D.E.Briggs, eds. Taphonomy: Relaising the Data Loked in Fossil Record, Plenum Press, New York, pp.291-335. Lyman R.L., 1994, Vertebrate Taphonomy. Ed Cambridge University Press, 524 pp. Pantanelli D., 1879, Sugli strati miocenici del Casino (Siena) e considerazioni sul Miocene Superiore, Atti Regia Accademia dei Lincei, Mem., Classe Sc. Fis. Mat. e Nat., 3, 1-21.

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Giornate di Paleontologia 2003 – Alessandria, 22-25 Maggio 2003 _________________________________________________________________________ INTERPRETAZIONE MORFO-FUNZIONALE BIRGERIA STENSIÖ, 1919

DEL

CRANIO

NEL

GENERE

Gozzi E. Dipartimento di Scienze della Terra “Ardito Desio”, Università degli Studi di Milano

Birgeria Stensiö, 1919 è un genere di pesce osseo (Osteichthyes) appartenente al gruppo degli Actinopterygi basali (sensu Gardiner e Schaeffer 1989), presente nelle ittiofaune marine del Triassico. Appartenenti al Norico (Triassico Superiore) sono gli esemplari rinvenuti nella Formazione del Calcare di Zorzino (e.d. Tintori 1995) durante gli scavi condotti dall’Università di Milano nelle località di Endenna, Brembilla e Cene (Bergamo). Il buono stato di conservazione del cranio di tali esemplari, ci ha indotto ad affrontare uno studio di Morfologia Funzionale per cercare di spiegarne la cinematica. Il cranio di Birgeria mostra un piano strutturale di base del tutto paragonabile a quello degli altri Actinopterygi basali, tuttavia le sue autoapomorfie, oltre ad essere basilari per la definizione del genere, fanno supporre una sua diversa cinematica rispetto a quella classica degli altri chondrostei: (1) gli infraorbitali sono piccoli e poco ossificati; (2) i suborbitali sono a forma di bastoncino e posizionati con l’asse maggiore in senso dorso-ventrale; (3) lo spazio fra i margini ventrali di dermosfenotico e dermopterotico e quelli dorsali della serie retrorbitrale, occupato dallo spiracolo o semplicemente da tessuto connettivo, è particolarmente ampio. Il “cranio tipo Birgeria” doveva aver acquisito, rispetto a quello relativamente rigido degli altri “chondrostei”, una maggiore capacità cinetica. Già Nielsen (1949, p. 228), descrivendo gli esemplari di Birgeria groenlandica, osservò, senza avanzare però ipotesi sul possibile funzionamento, come i suborbitali dovevano essere degli elementi scarsamente articolati fra loro, in grado di conferire alla zona laterale del cranio una certa elasticità. Oggi, grazie alle conoscenze acquisite sulla cinematica dei meccanismi di presa del cibo nei pesci ossei (e.d. Lauder, 1982), possiamo cercare di fornire una possibile spiegazione alle modificazioni presenti nel “cranio tipo Birgeria” in chiave funzionale. In un Actinopterygio basale, durante la fase di apertura della bocca, l’unico punto di articolazione oltre a quella quadrato-articolare era presente fra gli extrascapolari e i parietali. Tale articolazione permetteva al neurocranio e alle ossa del tetto cranico di sollevarsi sotto l’azione della muscolatura epiassiale del corpo, incrementando il volume della cavità orofaringea. Al contrario, la possibilità del suspensorium di ruotare lateralmente era minima vista la stretta connessione fra le ossa della “guancia”. In Birgeria, secondo il nostro modello biomeccanico, la rotazione laterale del suspensorium non avrebbe incontrato resistenza dalle ossa della “guancia”; esse erano infatti solo debolmente articolate al resto del neurocranio per la presenza di un grosso “gap” di tessuto connettivo dorsalmente (vedi precedente punto 3) e grazie alla capacità di estensione reciproca dei suborbitali, che si sarebbero comportati in modo analogo ai raggi branchiostegi durante il dilatarsi della membrana golare (vedi precedente punto 2). La capacità del cranio di dilatarsi sia in senso dorso-ventrale che medio-laterale, effetto da noi definito “a doppio mantice”, avrebbe comportato un cospicuo aumento del volume oro-faringeo e dunque la capacità di inghiottire prede più grosse tramite ram-feeding e, probabilmente, un aumento delle capacità di suction-feeding rispetto agli altri Actinopterygii basali. Lauder G. V. (1982) – Patterns of Evolution in the Feeding Mechanism of Actinopterygians Fishes. American Zoologist, 22:275-285. Nielsen E. (1949) – Studies on Trissic Fishes from east Greenland. Palaeozoologica Groenlandica, 3:185-309. Gardiner B. G. e Schaeffer B. (1989) – Interrelationships of lower actinopterygian fishes. Zoological Journal of the Linnean Society, 97:135-187. Tintori A. (1995) – The Norian (Late Triassic) Calcare di Zorzino Fauna from Lombardy (N. Italy): the state of the art. Extended abstract of the II International Symposium on Lithographic limestones, pp. 139-142.

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Giornate di Paleontologia 2003 – Alessandria, 22-25 Maggio 2003 _________________________________________________________________________ MALACOFAUNE PLIOCENICHE DI RIO PONTAZZO (TORRAZZA COSTE, PAVIA) Guioli S.1, Ceregato A.2 1 2

Civico Museo di Scienze Naturali, Voghera, Pavia Dipartimento di Scienze della Terra e Geologico-Ambientali, Università degli Studi di Bologna

I depositi pliocenici affioranti nell’appennino settentrionale lungo la sinistra orografica del Rio Pontazzo (Torrazza Coste, PV) offrono la possibilità di studiare un’abbondante fauna a molluschi marini. Lo spessore dell’affioramento esaminato è di qualche metro e lo stato di conservazione degli esemplari è discreto e talora buono, con conchiglie che presentano ancora tracce della colorazione originaria. I sedimenti, poco stratificati, sono costituiti da sabbie giallastre a granulometria fine e media. La tessitura è piuttosto omogenea, ma sono occasionalmente presenti laminazioni e tasche fossilifere, all’interno delle quali è possibile osservare anche alcuni ciottoli arrotondati e clay-chips. Non è stato possibile individuare con precisione l’età di tali sedimenti; tuttavia le analogie con la vicina successione di Volpedo (AL) descritta da Benigni & Corselli (1982) e l’insieme dei taxa individuati permettono di attribuire le malacofaune raccolte al Pliocene medio-superiore. La fauna è piuttosto ricca e include prevalentemente molluschi, più sporadicamente coralli e briozoi. Complessivamente sono stati raccolti 1431 esemplari suddivisi in 49 taxa (22 bivalvi, 26 gasteropodi e 1 scafopode), di cui 47 determinabili a livello specifico. Il ritrovamento in posizione di vita di alcuni bivalvi fa ritenere che la gran parte degli individui appartenga ad una comunità fossile residuale (Fagerström, 1964), anche se la presenza di piccole tasche di accumulo indica fenomeni di trasporto da corrente. L’associazione in posto comprende prevalentemente taxa caratteristici del piano infralitorale inferiore, tipici delle biocenosi DC e SFBC (Pérès & Picard, 1964). Gli esemplari non presentano tracce di usura o rotolamento ma sono spesso predati, bioerosi o colonizzati da briozoi, serpulidi e vermetidi. Le associazioni trasportate incluse nelle tasche di accumulo includono invece esemplari rimaneggiati, spesso frammentati ma privi di tracce di usura, appartenenti a taxa coerenti con l’ambiente deposizionale individuato per la comunità residuale. In base ai dati sedimentologici e paleontologici raccolti fino a questo momento, l’ambiente deposizionale appare caratterizzato da un moderato tasso di sedimentazione, influenzato da sporadici eventi di accumulo, legati a fenomeni di trasporto di lieve entità. Questo affioramento è nuovo per la letteratura. Successioni plioceniche sono state descritte in località prossime a quella in esame (Benigni & Corselli, 1982; Guioli, 2002); esse appartengono ad ambienti di piattaforma analoghi a quelli qui descritti, pur con differenze a livello di associazioni malacofaunistiche. In questa fase preliminare dello studio si è comunque evitato di attribuire le associazioni a paleocomunità, in attesa di effettuare un’approfondita analisi statistica su campioni volumetrici, i cui risultati non rientrano negli scopi del presente lavoro. Benigni C. & Corselli C., 1982 – Paleocomunità a molluschi bentonici del Pliocene di Volpedo (AL). Riv. It. Pal. Strat. 87 (4): 637-702. Guioli S., 2002 – Segnalazione di un’associazione di molluschi fossili del Terziario Pavese. Quad. Mus. Sci. Nat. Voghera, 2: 51-57. Pérès J.M. & Picard J., 1964 – Nouveau manuel de Bionomie Bentonique de le Mer Méditerranée. Rec. Trav. Stat. Marine Endoume Paris, 31 : 1-137. Fagerström J.A., 1964 – Fossil communities in paleoecology: their recognition and significance. Geol. Soc. Am. Bull., 75: 1197-1216.

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Giornate di Paleontologia 2003 – Alessandria, 22-25 Maggio 2003 _________________________________________________________________________ RICOSTRUZIONE DI NEUROPTERIDIUM, UNA FELCE DEL TRIASSICO MEDIO Kustatscher E.1, van Konijnenburg - van Cittert J.2,Wachtler M.3 1

Dipartimento di Scienze della Terra, Università degli Studi di Ferrara Laboratory of Palaeobotany and Palynology, Budapestlaan 4, 3584CD Utrecht, The Netherlands 3 Rainerstrasse 11, 39038 San Candido,Bolzano. 2

Il genere Neuropteridium, nato come sottogenere del genere Neuropteris Brongniart (Schimper & Mougeot, 1844) ed innalzato a rango di genere da Schimper (1879), era stato creato per distinguere le fronde pennate del Triassico medio dei Vosgi dalle fronde bi- oppure tripennate del Carbonifero. In Europa, a questo genere vengono attribuite sei specie provenienti dai Grès bigarré dei Vosgi e dal Buntsandstein tedesco: Neuropteridium elegans (Brongniart) Schimper 1879, N. voltzii (Brongniart) Schimper 1879, N. grandifolium (Schimper & Mougeot) Schimper 1879, N. imbricatum (Schimper & Mougeot) Schimper 1879, N. intermedium (Schimper & Mougeot) Schimper 1879 e N. bergense Blanckenhorn 1886. La grande quantità di esemplari di Neuropteridium rinvenuti nel giacimento anisico di Kühwiesenkopf / Monte Prà della Vacca vicino a Braies (Broglio Loriga et al., 2002) permette di affrontare la revisione tassonomica del genere. Delle 6 specie precedentemente citate, solo foglie con morfologia associabile a N. grandifolium sono assenti nel giacimento dolomitico. Delle rimanenti 5 si propone di mantenerne valide solo due. Esse sono N. voltzii (sinonimi giovanili N. imbricatum e N. bergense) e N. elegans (sinonimo giovanile N. intermedium). Nello stesso deposito sono state ritrovate anche alcune foglie fertili di felci precedentemente attribuite a Crematopteris (Broglio Loriga et al., 2002; Kustatscher et al., 2002) un genere che si ritiene debba cadere in sinonimia con Scolopendrites. Fra queste risulta particolarmente importante un frammento di foglia di felce con base fertile, corrispondente a Scolopendrites, e parte sterile sovrastante attribuibile a Neuropteridium. Foglie con parti fertili e sterili in connessione organica si notano anche in un esemplare di Schimper & Mougeot (tav. XXXV, fig.2; osserv. pers., Università di Strasburgo) dei Grès a Vosges; questa particolarità non era però stata identificata dagli stessi autori. Gli esemplari sopra descritti hanno permesso di verificare che i due morfogeneri, Scolopendrites e Neuropteridium, rappresentano rispettivamente foglie fertili e sterili attribuibili allo stesso genere biologico (Neuropteridium). La presenza, inoltre, di rizomi con attaccate alcune basi di foglie attribuibili al genere Neuropteridium, permette di ottenere un quadro quasi completo della morfologia di questa pianta. Neuropteridium risulta caratterizzato da un rizoma ovoidale dal quale si staccano fino a 6 foglie pennate. Le pinnule lanceolate con base leggermente auricolata partono in modo perpendicolare dal rachide e mostrano una nervatura di tipo Neuropteris. Le foglie fertili sono caratterizzati da pinnule pendenti, con la superficie inferiore coperta completamente da sporangi. Blanckenhorn, M. 1886. Die fossile Flora des Buntsandsteins und des Muschelkalks der Umgegend von Commern. Palaeontographica, 32, 117-153. Broglio Loriga C., Fugagnoli A., van Konijnenburg - van Cittert J., Kustatscher E., Posenato R., Wachtler M. (2002) - The Anisian macroflora from the Northern Dolomites Monte Prà della Vacca / Kühwiesenkopf , Braies): a first report. Riv. It. Paleont. Strat., v. 108, n. 3, pp. 381-390. Kustatscher E., van Konijnenburg – van Cittert, J.H.A. & Wachtler, M. 2002. La macroflora anisica del giacimento di Kühwiesenkopf / Monte Prà della Vacca (Dolomiti di Braies). – In: A. Tintori (ed.), Giornate della Paleontologia 2002 S.P.I., Verona-BolcaPriabona (I), 6-8/6/2002, abstract book, p.31. Schimper, W. P. & Schenk, A. 1879. In Zittel, K. A. Handbuch der Palaeontologie, Teil II. Palaeophytologie. Lief. 1. Ed. Oldenbourg, Leipzig, 152 pp. Schimper, W.P. & Mougeot, A., 1844. Monographie des Plants fossiles du gres bigarre de la chaine des Vosges. –83 pp., Leipzig.

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Giornate di Paleontologia 2003 – Alessandria, 22-25 Maggio 2003 _________________________________________________________________________ AMYGDALUM (MYTILIDAE), IL BIVALVE NEL “BOZZOLO”: DATI TAFONOMICI E PALEOECOLOGICI DAL PLIOCENE SUPERIORE DELLA PUGLIA La Perna R., D’Alessandro A. Dipartimento di Geologia e Geofisica, Università degli Studi di Bari

Materiale riferibile al genere Amygdalum è stato raccolto in sedimenti pelitici del Pliocene terminale (Argille Subappennine) affioranti nella parte settentrionale della Puglia. La complessità sistematica del gruppo e la scarsità di caratteri diagnostici conchigliari, non permette una sicura determinazione specifica del materiale, ma esso sembra riferibile al gruppo di A. politum (Verrill & Smith, 1880), specie atlantico-mediterranea di ambiente batiale. Come è noto, i mitilidi sono bivalvi forniti di bisso che consente loro, sia di aderire a substrati duri (forme epifaunali), sia l’ancoraggio all’interno del sedimento (forme infaunali o semi-infaunali) (Stanley, 1972). Nel genere infaunale Amygdalum, il bisso, assieme a sedimento e muco, forma una sorta di bozzolo in cui il bivalve si annida in posizione verticale e col margine posteriore che sfiora l’interfaccia acqua-sedimento (Oliver, 2001). In considerazione di questo insolito modo di vita, e della mancanza di documentazione paleontologica, il materiale è stato studiato al fine di mettere in evidenza eventuali implicazioni tafonomiche e per ottenere indicazioni sulla paleoecologia della specie. Una parte del materiale proviene da silts argillosi giallastri, stratificati, con macrofauna in genere scarsa, dove i mitilidi formano un’associazione a bassa diversità. Altro materiale proviene da silts argillosi grigi, tendenzialmente massivi e con macrofauna sempre scarsa ma più diversificata. I primi costituiscono un deposito che riempie un’ampia depressione, intepretata come una slump scar surface, incisa nei silts argillosi grigi. La scarsa fauna autoctona associata indica un paleoambiente relativamente profondo, riferibile alla scarpata superiore. Nei silts giallastri, gli esemplari di Amygdalum sono a valve perfettamente chiuse, riempite da sedimento e concordi alla stratificazione, con gusci leggermente appiattiti ed intensamente fratturati. Anche nei silts grigi i gusci sono chiusi e contengono sedimento, ma appaiono fortemente compressi e deformati, in posizione obliqua o subverticale. In entrambi i casi, la deformazione è interpretata come dovuta alla forte compattazione di un sedimento ricco d’acqua. L’orientamento dei gusci, invece, suggerisce differenti modalità di seppellimento. I gusci presenti nei silts argillosi grigi sono stati evidentemente sepolti in posizione di vita e riorientati obliquamente dal carico durante la compattazione. La disposizione orizzontale dei gusci nei silts giallastri è spiegabile, invece, con una leggera corrente di fondo che, allontanando il sedimento molto fluido, ha provocato il ribaltamento orizzontale degli organismi così esumati. Le altre caratteristiche tafonomiche fanno ipotizzare un tempo limitato di esposizione sul fondale ed un possibile evento di seppellimento. Queste osservazioni, oltre ai pochi dati di letteratura, suggeriscono che il bivalve vivesse in un sedimento particolarmente molle (“soupy”), all’interno del quale manteneva il suo assetto verticale grazie all’azione stabilizzante del bozzolo bissale. Inoltre, Amygdalum non sembra essere un bivalve in grado tollerare un’elevata torbidità (Oliver, 2001), ma ciò è in evidente contraddizione con i dati tafonomici che indicano invece un elevato tasso di sedimentazione fangosa. Si potrebbe quindi ipotizzare che il bozzolo bissale svolga anche una qualche funzione protettiva, a mo’ di filtro, del sifone inalante. Contrariamente a quanto riportato di recente in letteratura per una specie attuale di Amygdalum (Oliver, 2001), non ci sono evidenze di condizioni disaerobiche al fondo. La diversità specifica relativamente bassa potrebbe essere in rapporto con il tipo di substrato che richiede adattamenti particolari. Oliver P.G., 2001. Functional morphology and description of a new species of Amygdalum (Mytiloidea) from the oxygen minimum zone of the Arabian Sea. Journal of Molluscan Studies, 67: 225-241. Stanley S.M., 1972. Functional morphology and evolution of byssally attached bivalve mollusks. Journal of Paleontology, 46: 156-212.

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Giornate di Paleontologia 2003 – Alessandria, 22-25 Maggio 2003 _________________________________________________________________________ ANALISI STATISTICA IN PALEONTOLOGIA Mana D. Corso Traiano 24/8, 10135 Torino

La paleontologia frequentemente si confronta con fenomeni che per vastità e complessità possono essere descritti e compresi solo attraverso la statistica.. Applicata allo studio di una popolazione già nel 1662, la statistica è ormai uno strumento essenziale per gli studiosi delle scienze naturali, e la conoscenza dei metodi e delle applicazioni è indispensabile ai fini della comunicazione fra i membri della comunità scientifica. Grazie alla recente diffusione di potenti calcolatori a basso costo ed alla disponibilità di numerosi pacchetti informatici dedicati all’analisi statistica, l’elaborazione dei dati è ormai accessibile ad una utenza molto più vasta che in passato. La statistica offre alla paleontologia gli strumenti per descrivere e riassumere sinteticamente i dati (Statistica di base-media, deviazione standard, distribuzione), per evidenziare e caratterizzare gli eventuali rapporti esistenti fra due serie di dati, siano esse riferite ad uno stesso gruppo tassonomico o a gruppi diversi (Analisi di Correlazione, Regresione Multipla, Cluster Analysis), ed infine permette di mettere alla prova eventuali ipotesi (Factor Analysis) e di sviluppare nuove ipotesi a partire dai dati disponibili (Correspondence Analysis). Una generale dimestichezza nell’applicazione di questi pochi metodi è sufficiente a svolgere le analisi essenziali sui dati raccolti (siano questi quantitativi o semi-quantitativi) a complemento dello studio paleontologico tradizionale. La sola analisi statistica tuttavia non dimostra nulla, ed il suo valore è direttamente dipendente dalla qualità dei dati utilizzati. L’adozione di un approccio statistico ai dati non mette quindi il paleontologo in secondo piano, ed anzi ne rende assolutamente necessaria l’esperienza al fine di interpretare i risultati prodotti dal metodo analitico.

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Giornate di Paleontologia 2003 – Alessandria, 22-25 Maggio 2003 _________________________________________________________________________ CAMPAGNA DI SCAVO 2002 NEI DEPOSITI PLEISTOCENICI DELLA GROTTA DI S. TEODORO (ACQUEDOLCI, MESSINA - SICILIA NORD-ORIENTALE) Mangano G., Bonfiglio L. Dipartimento di Scienze della Terra, Università degli Studi di Messina

Fin dall’anno della sua scoperta, avvenuta nel 1859 ad opera di Francesco Anca, la Grotta di S. Teodoro è stata oggetto di numerose campagne di scavo di carattere paletnologico, antropologico e paleontologico, nel corso delle quali i depositi presenti al suo interno sono stati attribuiti a due differenti unità: una più antica, contenente resti di mammiferi endemici, ed una più recente, ricca di manufatti litici e resti di pasto del Paleolitico superiore (Epigravettiano finale). A tale periodo risalgono anche una serie di sepolture umane, il cui eccezionale ritrovamento, finora unico in Sicilia, colloca la Grotta di S. Teodoro fra i siti italiani più importanti dal punto di vista archeologico. Una campagna di scavi paleontologici condotta nell’estate del 1998 ha permesso di indagare per la prima volta con metodi stratigrafici moderni i depositi presenti all’interno della grotta. Lo scavo, ubicato tra 9 e 13 m dall’ingresso, ha messo in luce una piccolissima porzione del deposito del Tardiglaciale mentre il deposito sottostante, costituito in prevalenza da argille sabbiose, è risultato presente per tutto lo spessore dell’area indagata. Al suo interno sono stati rinvenuti resti di mammiferi endemici (Cervus elaphus siciliae, Bos primigenius siciliae, Elephas mnaidriensis) associati a mammiferi non endemici (Crocuta crocuta spelaea, Vulpes vulpes, Canis cf. lupus, Sus scrofa, Equus hydruntinus), micromammiferi, uccelli, rettili e un’enorme quantità di coproliti di iena. Questa associazione faunistica, inedita per la Sicilia, rappresenta un nuovo Complesso Faunistico, denominato C.F. “Grotta S. Teodoro-Pianetti”, ed è probabilmente riconducibile ad un evento dispersivo verificatosi nel tardo Pleistocene superiore. Gli aspetti tafonomici del deposito sono risultati altrettanto interessanti: l’estrema frammentazione dei resti scheletrici, l’abbondanza di coproliti di iena, la presenza di tracce dell’attività di questo carnivoro sulla maggior parte delle ossa, hanno consentito di caratterizzare la grotta come una tana di iene, di cui non esistono precedenti segnalazioni in ambiente insulare. Da tre saggi effettuati in tre differenti punti della grotta, che ha una profondità di 60 m, sono affiorati sedimenti aventi gli stessi caratteri litologici e faunistici di quelli presenti nella trincea principale. Una seconda campagna di scavi è stata condotta nell’estate del 2002, con l’intento di verificare l’estensione del deposito tardopleistocenico. La nuova trincea, ubicata a 16 m di distanza dalla precedente, tra 30 e 32 m dall’ingresso, occupa un’area di 9 mq ed è stata approfondita per circa 40 cm. Il deposito argilloso del tardo Pleistocene superiore si trova immediatamente al di sotto di un livello superficiale assai recente, a giudicare dal ritrovamento di numerose testimonianze risalenti alla II Guerra Mondiale, e contiene la stessa associazione faunistica rinvenuta nella trincea 1998 (Cervus elaphus siciliae, Bos primigenius siciliae, Crocuta crocuta spelaea, Vulpes vulpes, Canis cf. lupus, Sus scrofa, Equus hydruntinus, oltre a coproliti di iena, micromammiferi, uccelli e rettili). I resti presentano un elevato grado di frammentazione ed evidenti segni dell’attività della iena (fratturazione, solchi di denti, fori). La loro distribuzione risulta essere meno omogenea e più diluita rispetto a quanto osservato nella trincea 1998. La campagna di scavo 2002 all’interno della Grotta di S. Teodoro ha verificato che l’accumulo osseo prodotto dalla iena nei livelli tardopleistocenici presenta una notevole estensione. Considerato il comportamento attuale della iena, la cui tana è quasi sempre di dimensioni molto piccole essendo finalizzata alla protezione dei cuccioli, l’evidenza riscontrata alla Grotta di S. Teodoro costituisce un esempio eccezionale.

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Giornate di Paleontologia 2003 – Alessandria, 22-25 Maggio 2003 _________________________________________________________________________ DA REGGIO CALABRIA A TERRETI: UN ITINERARIO TRA I MARI PERDUTI D'ASPROMONTE Marra A.C. Dipartimento di Scienze della Terra, Università degli Studi di Messina Italia Nostra, Sezione di Reggio Calabria, Via T. Campanella 27, 89125 Reggio Calabria.

La tutela e la valorizzazione del patrimonio geo-paleontologico non sono ancora considerate come II patrimonio geo-paleontologico della Calabria è pochissimo tutelato e valorizzato, anche ai fini del turismo culturale ed escursionistico. In collaborazione con la sezione di Reggio Calabria di Italia Nostra (Associazione Nazionale per la Tutela del Patrimonio Storico Artistico e Naturale della Nazione), chi scrive sta intraprendendo diverse attività di sensibilizzazione presso le pubbliche amministrazioni. Una prima iniziativa è rappresentata da un depliant ad uso turistico, che illustra un itinerario tra gli affioramenti di rilevanza paleontologica osservabili lungo la strada provinciale che da Reggio Calabria conduce a Gambarie d'Aspromonte. Il percorso si snoda quasi per intero su strada, con piccoli spostamenti su sterrato, ed è dunque ampiamente accessibile a turisti, scolaresche, gitanti. Salendo di quota dall'abitato di Reggio Calabria (29 m s.l.m.) fino al paese di Terreti (350 m s.l.m.), si osservano le sequenze sedimentarie marine Plioceniche e Pleistoceniche sollevate per tettonica. Le sequenze sono intagliate sub-orizzontalmente da terrazzi marini e profondamente incise verticalmente dalle valli del Torrente Annunziata a Nord e del Torrente Calopinace a Sud. Sono previsti quattro stop, che consentono di osservare da vicino affioramenti di argille sabbiose e arenarie dal Pleistocene al Pliocene, contenenti abbondanti fossili di Briozoi, Brachiopodi, Molluschi ed Echinodermi. Il pieghevole contiene uno schema cronologico dei periodi geologici citati e una tavola illustrata dei fossili osservabili in affioramento. La stima del tempo di percorrenza in automobile è di mezz'ora circa, escluso il tempo dedicato agli stop. Proseguendo sulla strada verso monte, si raggiunge Gambarie, a 1.310 m s.l.m., località montana nel Parco Nazionale d'Aspromonte, che offre la possibilità di continuare la gita con escursioni su sentieri segnati, sci di discesa e di fondo, aree attrezzate per pic-nic.

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Giornate di Paleontologia 2003 – Alessandria, 22-25 Maggio 2003 _________________________________________________________________________ SETTIMANA DELLA CULTURA 2003. "IL GIACIMENTO TIRRENIANO DI BOVETTO” Marra A.C. Dipartimento di Scienze della Terra, Università degli Studi di Messina Italia Nostra, Sezione di Reggio Calabria, Via T. Campanella 27, 89125 Reggio Calabria.

Il giacimento Tirreniano di Bovetto (Reggio Calabria) è sottoposto a tutela dal 1988 perché di "importante interesse paleontologico, geologico e paleogeografico ai sensi dell'art. 1 della legge 1.6.1939 n° 1089". Al fine di recuperare questo sito, che versa in uno stato di abbandono e di degrado, la Soprintendenza alle Antichità della Calabria, in collaborazione con Italia Nostra (Associazione Nazionale per la Tutela del Patrimonio Storico Artistico e Naturale della Nazione) sezione di Reggio Calabria, con l'Assessorato alla Pubblica Istruzione del Comune di Reggio Calabria e con A. C. Marra, aderisce alla Settimana della Cultura 2003 con un programma di seminari presso le scuole e di visite al giacimento Tirreniano di Bovetto. Il giacimento di Bovetto, noto al mondo scientifico sin dalla seconda metà del XIX secolo, ha fornito e continua a fornire numerosi dati per l'interpretazione dell'evoluzione del territorio e delle faune pleistoceniche marine e terrestri La serie di Bovetto, di eccezionale potenza (45 m), conserva una malacofauna fossile di mare caldo, che testimonia una fase in cui molluschi attualmente viventi al largo delle coste del Senegal erano entrati in Mediterraneo. In particolare, è abbondante Strombus bubonius, un gasteropode che connota il Tirreniano dell'area mediterranea. A Bovetto, gli esemplari di Strombus bubonius si trovano fino a 145 m s.l.m. e testimoniano l'intenso sollevamento subito dalla Calabria meridionale durante gli ultimi 125.000 anni. Nella serie sono inoltre riconoscibili diversi orizzonti riconducibili a lievi oscillazioni del livello del mare durante il ciclo Tirreniano. Dalla serie di Bovetto provengono anche un cranio frammentario con palchi ed un mascellare di Dama dama cf. tiberina, il daino diffuso in Italia a partire dal tardo Pleistocene Medio, ed un femore di Hippopotamus cf. amphibius, probabilmente molto simile all'attuale ippopotamo. I resti di vertebrati fossili sono generalmente abbastanza rari e questi, in particolare, provengono da sedimenti che testimoniano un'antica spiaggia, un ambiente di fossilizzazione inusuale per i mammiferi terrestri. Durante la Settimana della Cultura, le evidenze che fanno del sito di Bovetto uno dei più importanti per le ricostruzioni paleobiogeografiche e paleoclimatiche del bacino del Mediterraneo saranno illustrate attraverso visite guidate, incontri didattici e cartellonistica collocata in situ. Nelle intenzioni dei soggetti che collaborano a questa iniziativa, il sito di Bovetto potrà essere in futuro attrezzato per le visite e valorizzato nell'ambito dello sviluppo turistico-culturale della provincia di Reggio Calabria.

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Giornate di Paleontologia 2003 – Alessandria, 22-25 Maggio 2003 _________________________________________________________________________ FOGLIE DI ANGIOSPERME DEL NEOGENE: SPUNTI PER CAPIRNE MEGLIO IL SIGNIFICATO PALEOBIOLOGICO E PALEOAMBIENTALE Martinetto E. Dipartimento di Scienze della Terra, Università degli Studi di Torino

In molte collezioni paleontologiche italiane vengono custoditi, a volte in perfetto ordine, a volte in cassettiere più o meno polverose e dimenticate, resti fogliari di Angiosperme del Neogene. Il pregio estetico di tali reperti viene apprezzato dai più, ma quando si tratta di valutarli come oggetti di studio scientifico si incorre in problemi di non facile risoluzione. Quali criteri e quali tecniche si possono, infatti, applicare per delimitare opportunamente le specie all'interno di un’associazione di foglie fossili, vista l'elevatissima variabilità intraspecifica e la frequente omeomorfia fogliare di gruppi tassonomici non imparentati? E ancora, qualora si vogliano stabilire le affinità dei fossili rispetto ad entità botaniche attuali, come si può procedere nella comparazione, quando è noto che molti taxa del Neogene appartengono a famiglie (Lauraceae, Menispermaceae, Sabiaceae, Rutaceae, Theaceae, ecc.) di cui nessuna collezione botanica italiana ha sufficiente materiale essiccato? Certamente non si è in grado suggerire in questa sede una soluzione definitiva ai predetti problemi. Tuttavia, alla luce di recenti studi condotti su ricche associazioni del Messiniano e del Pliocene, si forniscono alcuni spunti per effettuare osservazioni o analisi che possano consentire una miglior comprensione del significato paleobiologico e paleoambientale di associazioni fogliari non ancora studiate. Grazie a studi condotti in Europa centrale negli ultimi trent’anni si è accumulata una notevole esperienza sulla classificare di foglie del Neogene, che è, però, prerogativa di pochissimi esperti. In ogni associazione si può distinguere un certo numero di esemplari con caratteri macroscopici diagnostici (sagoma, tipo di margine, nervatura), mentre altri esemplari sono più problematici, soprattutto quelli caratterizzati da foglie ellittiche a margine intero (es. “Laurus”, Lauraceae). Per questi ultimi si rende necessaria l’analisi della cuticola, se conservata. Alcuni lavori di autori nordamericani rappresentano utili guide all’osservazione e descrizione dei caratteri fogliari e gettano le basi per passare all’analisi fisionomica, che indaga le relazioni tra morfologia fogliare e ambiente. Proprio lo studio fisionomico di un’associazione fogliare sufficientemente ricca consente una dettagliata ricostruzione paleoambientale e la quantificazione di alcuni parametri paleoclimatici.

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Giornate di Paleontologia 2003 – Alessandria, 22-25 Maggio 2003 _________________________________________________________________________ LA FORESTA FOSSILE DELLO STURA DI LANZO: UN GEOSITO DA PROTEGGERE E VALORIZZARE Martinetto E. Dipartimento di Scienze della Terra, Università degli Studi di Torino

Nell’alveo del Torrente Stura di Lanzo, tra i comuni di Nole Canavese e di Ciriè, circa 20 km a N di Torino, affiorano da oltre un ventennio grandi ceppi mummificati in posizione vitale. La densità dei reperti e il loro rapporto con il substrato dimostrano che si tratta di una vera foresta fossile, residuo di una paleocomunità forestale cresciuta in ambiente palustre. L’analisi tafonomica e tassonomica dei macrofossili vegetali indica che l’entità legnosa dominante nella paleocomunità forestale era la taxodiacea estinta Glyptostrobus europaeus, a cui si associavano due forme di ontano (Alnus) e numerose piante erbacee. Le sabbie e peliti che inglobano i ceppi sono state attribuite al “Villafranchiano” per analogia di facies con gli omonimi depositi di Villafranca d’Asti. Esse non hanno restituito né reperti di vertebrati, né altri elementi di datazione, ma il tipo di paleoflora che si è potuto ricostruire suggerisce un’età medio-pliocenica. L'ubicazione della Foresta Fossile nell’alveo dello Stura, torrente soggetto a piene fluviali di estrema violenza, impedisce qualsiasi intervento di protezione fisica dei reperti, ma, d’altro canto, la continua azione erosionale esercitata dal torrente esuma ogni anno nuovi reperti e fornisce ottime opportunità per una fruizione turistica e didattica all’aperto. In questa situazione effimera il sito paleontologico è sottoposto a un notevole rischio, sia naturale, in quanto potrebbe nuovamente essere sepolto da coltri di ghiaia portata dal torrente Stura oppure essere eroso dalla corrente, sia antropico. La principale minaccia antropica è rappresentata dagli scavi per la sistemazione dell’alveo e dalla costruzione di opere di difesa delle sponde, le quali potrebbero occultare gli strati fossiliferi ed impedire le attività scientifiche e didattiche. Per impostare la gestione del sito, l’Ente di Gestione del Parco Regionale La Mandria e dei Parchi e delle Riserve Naturali delle Valli di Lanzo ha promosso nel 2002 la creazione di un gruppo di lavoro formato dal CNR – IRPI, dal Comune di Nole Canavese, dal Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Torino, dal Museo Regionale di Scienze Naturali di Torino, dalla Provincia di Torino e dalla Soprintendenza Archeologica del Piemonte. Nell’attesa dell’avvio delle attività del suddetto gruppo di lavoro è emersa l’esigenza di salvaguardare dalla possibile fluitazione alcuni ceppi fossili, in posizione tale che anche solo un lieve innalzamento del livello delle acque del fiume avrebbe facilmente potuto scalzarli. I ceppi a rischio sono stati recuperati con pala meccanica e provvisoriamente collocati in un bacino idrico artificiale, onde prevenirne l’essiccazione, che notoriamente causa seri danni al legno mummificato. Infine, la presenza di una zona di salvaguardia lungo la fascia fluviale dello Stura di Lanzo fornisce un'ottima opportunità per tentare una ricostruzione “in vivo” del paleoambiente della foresta fossile. Esistono infatti numerose cave per l'estrazione della ghiaia che pongono problemi di ripristino ambientale. In una di esse si potrebbe eseguire un impianto di entità botaniche affini a quelle fossili volto a ricostruire un ambiente di foresta palustre a Taxodiacee simile a quello che esisteva in loco circa 3 milioni di anni fa.

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Giornate di Paleontologia 2003 – Alessandria, 22-25 Maggio 2003 _________________________________________________________________________ ANALISI MORFOMETRICHE DI FORAMINIFERI BENTONICI DEL MARE DI ROSS: CONSIDERAZIONI RELATIVE AL TRASPORTO DEI GUSCI Melis R. Dipartimento di Scienze Geologiche, Ambientali e Marine, Università degli Studi di Trieste

Il trasporto post-mortem di gusci di foraminiferi è un fenomeno che avviene frequentemente in ambienti marini ad elevato idrodinamismo. Il riconoscimento della rielaborazione dei gusci diventa quindi di fondamentale importanza nell’analisi ecologica e paleoecologico di ambienti con tali caratteristiche. A tal riguardo lo studio morfometrico dei gusci, atto alla valutazione della classazione nella taglia delle popolazioni, è una metodologia riportata da Autori vari, sia per quanto riguarda ambienti attuali (Brunner & Ledbetter, 1987; Snyder et al., 1990), che per sedimenti cenozoici (Holcova & Maslowska, 1999). E’ infatti riconosciuto che gusci selezionati nella loro dimensione sono probabilmente il risultato di accumulo relativi a trasporto da parte di correnti (in sospensione o al fondo). Questo tipo di approccio è molto utile negli studi paleoambientali di aree antartiche, dove fenomeni di rimescolamento di gusci ad opera di processi gravitativi, all’azione dei ghiacciai e alle correnti trattive sono stati segnalati da Brambati et al., 1999; Domack et al., 1999; Melis et al., 2002). Per poter definire l’influenza di tali processi è stato eseguito uno studio statistico dimensionale dei gusci di alcune specie ben rappresentate in livelli di sedimenti tardo-quaternari del Mare di Ross. A tal riguardo sono state scelte specie di forma tondeggiante (Globocassidulina biora e G. subglobosa), specie di forma allungata (Trifarina angolosa) e di forma tronco-conica (Cibicides refulgens). Attraverso l’utilizzo di un software idoneo all’analisi dell’immagine (Matrox Inspector 3.0) sono state misurate la lunghezza (diametro max) e la larghezza (diametro min) di un certo numero di individui/specie, i cui risultati sono stati successivamente riportati come curve di frequenza nelle classi dimensionali del phi. L’andamento delle curve di frequenza delle dimensioni ha indicato una tendenza alla classazione nei sedimenti glacio-marini tardo-pleistocenici ed una più ampia rappresentatività di taglia nei sedimenti olocenici, tipicamente marini. Unitamente allo stato di conservazione dei gusci, rappresentato dalla percentuale di frammentazione (Melis et al., 2002), il grado di classazione è stato interpretato come testimonianza della rielaborazione dei gusci e, quindi della loro alloctonia. Brambati A., Fanzutti G.P., Finocchiaro F., Melis R., Pugliese N., Salvi G., Faranda C. (1999) - Some paleoecological remarks on the Ross Sea Shelf, Antarctica. In Faranda F., Guglielmo E., Ianora A. (eds.), Ross Sea Ecology, ItaliAntartide Expeditions (1987), Springer-Verlag 2000, 51-61. Brunner C.A., Ledbetter M.T. (1987) – Sedimentological and micropaleontological detection of turbidite muds in hemipelagic sequences: an example from the Late Pleistocene levee of Monterey fan, Central California continental margin. Mar. Micropal., 12, 223-239. Domack E.W., Taviani M. & Rodriguez A. (1999) – Recent remolding on a deep shelf, Ross Sea: implications for radiocarbon dating of Antarctic marine sediments. Quaternary Scienze Reviews, 18: 1445-1451. Holcova K., Maslowska H. (1999) – The use of multivariate statistical methods in analysis of postmortem transport and resedimentation of foraminiferal tests in relation to species composition of oryctocenoses. Miocene of the South Slovak Basin (Central Paratethys). Rev. Espan. Micropal., 31 (1), 1-21. Melis R., Colizza E., Pizzolato F., Rosso A. (2002) – Late Quaternary Late Quaternary glacial marine sequences in Ross Sea (Antarctica): paleoenvironmental inferences throughout calcareous taxa. In Monegatti P., Cecca F., Raffi S. (eds.): Intern. Conf. “Paleobiogeography & Paleoecology 2001”, Piacenza & Castell’Arquato 2001. Geobios, 35 (m.s. 24), 207-218. Snyder S.W., Hale W.R., Kontrovitz M. (1990) – Assessment of postmortem transportation of modern benthic foraminifera of the Washington continental shelf. Micropal., 36 (3), 259-282.

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Giornate di Paleontologia 2003 – Alessandria, 22-25 Maggio 2003 _________________________________________________________________________ I FORAMINIFERI DELL'AREA COSTIERA DI PHETCHABURI (TAILANDIA): OSSERVAZIONI PRELIMINARI Melis R.1, Tsakiridou E.1, Violanti D.2 1 2

Dipartimento di Scienze Geologiche, Ambientali e Marine, Università degli Studi di Trieste Dipartimento di Scienze della Terra, Università degli Studi di Torino

Lo studio di aree costiere di ambienti fortemente antropizzati rientra negli obiettivi del programma Cofin 2002 “Evoluzione olocenica e ambienti attuali in aree costiere tropicali: uno studio pilota nel Golfo di Tailandia” (resp. prof. Robba). L’area di Phetchaburi, ad ovest del Golfo della Tailandia, è caratterizzata dall’influenza di corsi d’acqua, fra i quali il secondo fiume della Tailandia, il Mae Khlong, e dalla presenza di particolari attività antropiche fonti di inquinamento di vario tipo. Sulla base di una campionatura eseguita nel corso della primavera 2002, sono state eseguite analisi sui foraminiferi in stazioni posizionate dalla piana di marea, fino alla profondità di circa 20 m. I dati preliminari sui foraminiferi mettono in evidenza che le microfaune sono poco diversificate a settentrione, di fronte l’apparato deltizio del Mae Khlong, mentre nella parte centromeridionale sono relativamente più ricche di specie. Complessivamente sono rappresentati da una ventina di specie, appartenenti prevalentemente ai generi Ammonia, Elphidium, Bolivina, Quinqueloculina, Miliolinella, Spiroloculina e Ammotium, fra gli agglutinanti; sono presenti, inoltre, sporadici planctonici. La gran parte dei taxa rinvenuti appartiene alla tanatocenosi. Subordinati, invece, sono le forme viventi all’atto del prelievo marcate con il rosa di bengala, essenzialmente appartenenti al genere Ammonia. Molte di queste specie sono tipiche di ambienti paralici e sono più abbondanti nei fondali antistanti il delta del Mae Khlong. Alcune, infatti, sembrano meglio tollerare l’influenza dell’acqua dolce come appare evidente nella carta della distribuzione delle isoaline. Fra i foraminiferi, infatti, Ammonia tepida con la sua presenza/dominanza indica il grado di influenza delle acque fluviali. In alcune stazioni meridionali, si segnala una fauna a foraminiferi di dimensioni estremamente piccole (giovani Ammonia tepida, unitamente a porcellanacei di piccola taglia).

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Giornate di Paleontologia 2003 – Alessandria, 22-25 Maggio 2003 _________________________________________________________________________ ECOLOGICAL STRUCTURE OF THE MIDDLE PLEISTOCENE MAMMAL FAUNAS OF ITALIAN PENINSULA Palombo M.R.1,2, Giovinazzo C.1 1 Dipartimento di Scienze della Terra, Università "La Sapienza� di Roma 2 CNR, Istituto di Geologia Ambientale e Geoingegneria, Roma

The transition from the Early Pleistocene to the early Middle Pleistocene, i.e. from early Galerian to middle Galerian Mammal Age (MA), was characterised by a considerable faunal renewal, at a time of significant climatic and paleoenvironmental changes. According to previous studies (Palombo et al 2002 and references therein), as well as to the our result of multivariate analysis of similarity, a substantial faunal turnover occurred during the climate worsening which follows the Early/Middle Pleistocene boundary. The renewal, after the successive phases corresponding to Slivia Ponte Galerian faunal units (FUs), reached its maximum with Isernia FU. During the Middle Pleistocene, however, the overall structure of the large mammal faunas progressively changed in taxonomical composition, in richness of species, in trophic structure, as well as in the percentage of forms inhabiting different environments. The middle and late Galerian large mammal assemblages were generally dominated by medium/large sized taxa, mainly herbivores, but the percentage of pachyderms, as well as the overall faunal richness, became markedly higher. With the end of Galerian and the transition to the Torre in Pietra FU, a significant faunal event occurs: most of the large-sized Galerian herbivores become extinct, while new little or medium sized carnivores appear. The fauna progressively acquires modern characters. This renewal corresponds to important climatic modifications happening in the Mediterranean area around the OIS 11/OIS 10 transition, when the climate of the interstadials became progressively milder and the average rate of humidity increased. Furthermore, following the expansion of wooded areas during OIS 9 and 7, the percentage of "open" taxa decreased, while the species of mixed environment gradually increased in number. The structure of the large mammal complexes changed, too, and the percentage of middlesized to large carnivores and herbivores became more balanced. Several local faunas are known, currently aggregated into two different FUs (Torre in Pietra and Vitinia). Taxonomical, ecological and structural differences, however, are quite restricted, moreover stratigraphical evidence demonstrates that the faunal complexes belong to a single FU (Palombo et al. 2002) The change in ecological structure of Middle Pleistocene faunal complexes can be investigated also using cenogramms. A cenogram is a graphical representation of the rank-size distribution of nonvolant mammals species in an ecologically cohesive fauna (Legendre, 1995). It is constructed by plotting the log of the body mass for each species versus the rank order of size for all species. In recent mammal communities, cenogram shape tends to correlate with habitat. Cenograms of closed habitats tend to show no gaps in the body size distribution whereas cenograms of more open habitats tend to show a gap among medium-sized species (500-8000 g). The slope for large mammals (> 8 kg) tends to be greater in more arid environments. On the basis of cenograms, calculated for mammal faunas from the middle-late Galerian (early Middle Pleistocene) to the early Aurelian MAs (late Middle Pleistocene) a progressive transition from open/arid to woodland, more humid, environments is confirmed. Legendre, S. (1995) - Le Garouillas et les sites contemporains (Oligocene, MP 25) des phosphorites du Quercy (Lot, Tarn-etGaronne, France) et leurs Faunes de Vertebrate. Palaeontographica Abt A, 236: 327-343, Stuttgart Palombo M.R., Azanza B., Alberdi M.T. (2002) - Italian mammal biochronology from Latest Miocene to Middle Pleistocene: a multivariate approach. Geologica Romana, 36: 335-368

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Giornate di Paleontologia 2003 – Alessandria, 22-25 Maggio 2003 _________________________________________________________________________ SIMILARITIES AMONG LARGE MAMMAL FAUNAS OF FRANCE FROM THE PLIOCENE TO THE MIDDLE PLEISTOCENE Palombo M.R.1,2, Valli A.1,3 1 Dipartimento di Scienze della Terra, Università "La Sapienza” di Roma 2 CNR- Istituto di Geologia Ambientale e Geoingegneria, Roma 3 Istituto Italiano di Paleontologia Umana, Roma

The classic criteria, such as new and last occurrence, presence/absence of particular taxa, “evolutionary stage” within given anagenetic lineage, could be an useful tools in establishing detailed local biochronological sequences of faunal complexes. Nevertheless, several factors make often difficult to use the local biochronological scheme for correlation having wide geographical significance. The application of multivariate analysis can be very helpful in order to define faunal complexes, which could be regarded as ecologically adjusted assemblages of taxa living together in a given space and time. The faunal complexes can be successively arranged in a biochronological sequence. This communication presents the results of the similitary analysis preformed on French large mammal faunas ranging from the Pliocene to the Middle Pleistocene. This work is a part of a larger project which aims to compare the local faunal assemblages from several European regions. Its main objective is to establish a biochronological mammal fauna succession that should be utilised in the Northern Mediterranean area, as basis and to understand the changes of large mammal complexes in term of taxonomical composition and ecological structure. Selected French local faunal assemblages (LFAs) have been analysed using a multivariate clustering methodology, based on Jaccard coefficient. In the Q-dendrogram of species a first division, separates the cluster of LFAs, belonging to Ruscinian and Villafranchian Mammal Ages (MAs) (cluster A), from that of LFAs belonging to the latest Early - Middle Pleistocene (Galerian + Aurelian partim MAs, sensu Gliozzi et al, 1997) (cluster B). Inside A, two groups of lower rank can be recognised: A1, which clusters all the Ruscinian LFAs, and A2, which includes those belonging to the Villafranchian MA. Inside this last subcluster, the group A21 includes the faunas ascribed to MN16, whereas the A22, includes the faunas of MN17 as well as the most recent ones attributed to MNQ18 and MNQ19 (sensu Guérin 1982, 1990). In B, the subcluster B1 includes latest Early Pleistocene/early Middle Pleistocene LFAs, which transitional character is highlighted by the persistence of several Villafranchian taxa. The subcluster B2 groups all the other faunas of the Middle Pleistocene. Inside B2, two sub groups, “a” and “b”, are recognisable. The last one mainly included LFAs previously attributed to MNQ24, with a most advanced faunal pattern comparing to others, group “a”, formerly assigned to MNQ23. On the basis of analysis results, the major cluster separation occurs between Ruscinian and Villafranchian faunas (cluster A) and the latest Early-Middle Pleistocene ones (cluster B). This separations is emphasizes by the scarcity of French LFAs that could be referred to the late Villafranchian. Gliozzi, E., Abbazi, L., Ambrosetti, P., Argenti, P., Azzaroli, A., Caloi, L., Capasso Barbato, L., Di Stefano, G., Esu, D., Ficcarelli, G., Girotti, O., Kotsakis, T., Masini, F., Mazza, P., Mezzabotta, C., Palombo, M.R., Petronio, C., Rook, L., Sala, B., Sardella, R., Zanalda, E. & Torre, D. (1997): Biochronology of selected Mammals, Molluscs, Ostracods from the Middle Pliocene to the Late Pleistocene in Italy. The state of the art. Riv. It. Paleont. Stratigr., 103 (3): 369-388. Guérin, C. (1982): Première biozonation du Pléistocène européen, principal résultat biostratigraphique de l’étude des Rhinocerotidae (Mammalia, Perissodactyla) du Miocène terminal au pléistocène supérieur de l’Europe occidentale. Geobios, 15 (4): 593-598. Guérin, C. (1990): Biozones or Mammal Units? Methods and Limits in Biochronology. In: Lindsay, E.H., Fahlbusch, V. & Mein, P. (Eds): European Neogene Mammal Chronology: 119-130; Plenum Press, New York.

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Giornate di Paleontologia 2003 – Alessandria, 22-25 Maggio 2003 _________________________________________________________________________ GEODIVERSITÀ NELLE ASSOCIAZIONI FOSSILI DEL MIOCENE INFERIORE E MEDIO DELLA COLLINA DI TORINO Pavia G. Dipartimento di Scienze della Terra, Università degli Studi di Torino

Recenti progetti nazionali e internazionali, sotto egida UNESCO e IUGS, operano nell’ambito della geoconservazione, cioè della salvaguardia e della fruizione delle risorse culturali e ambientali rappresentate dalle emergenze geologiche. Ogni progetto di geoconservazione presuppone una fase preparatoria, di tipo concettuale, che si concretizza nella definizione della geodiversità, e una fase operativa di individuazione di un sito-tipo o geosito rappresentativo di detta diversità geologica. La geodiversità, cioè la varietà dei fenomeni geologici e dei relativi processi genetici che interessano il settore in studio, costituisce una risorsa non ancora pienamente valutata (Poli, 1999), che, in sintesi, può essere espressa secondo due accezioni: la geodiversità territoriale che elenca tutte le emergenze geologiche distribuite su un’area definita, laddove tempo di formazione e fattore genetico costituiscono solo discriminanti disciplinari; la geodiversità tematica che studia la materializzazione di un fenomeno legato a eventi che possono essere sia sincroni, a prescindere dalla pertinenza territoriale, sia ripetuti nel tempo ma controllati da fattori genetici che risultano omologhi in proiezione cronologica. In questa seconda accezione la geodiversità diventa strettamente disciplinare e richiede definizioni e valorizzazioni attuabili attraverso una ricerca di base specializzata. Lo studio del patrimonio paleontologico rientra direttamente, e a maggior titolo rispetto ad altre discipline geologiche, nell’ambito della geodiversità tematica. Un campo di sperimentazione in tal senso è offerto dalle successioni sedimentarie e dalle relative associazioni fossili del Miocene della Collina di Torino. Particolare interesse presenta la Formazione di Termô-Fôrà, riferita al Burdigaliano, costituita da un’alternanza di peliti e marne siltose, contenenti fossili autoctoni di deposizione batiale, con arenarie fossilifere più o meno conglomeratiche in strati discontinui a struttura canalizzata, dovuti a deposito gravitativo per frane sottomarine in area di scarpata (delta-conoide in Clari et al., 1994). La stessa tematica deposizionale si riscontra nel soprastante Complesso di Baldissero la cui base è riferita al Langhiano inferiore. Il contenuto paleontologico dei litotipi detritico-grossolani di tali unità litostratigrafiche è spesso molto elevato con prevalenti resti di macroforaminiferi, coralli e molluschi. Toponimi ripetuti in letteratura sono Valle Ceppi, Valsanfrà di Baldissero e Monte dei Cappuccini, che rappresentano alcuni dei siti di provenienza delle ricche collezioni paleontologiche rese famose dalle monografie di Bellardi (18721890), Sacco (1890-1904), Chevalier (1961). In chiave territoriale i giacimenti fossiliferi di Valle Ceppi, Valsanfrà di Baldissero e Monte dei Cappuccini costituirebbero altrettanti geositi con valore regionale. In realtà i tre livelli fossiliferi rappresentano il risultato di processi omologhi, seppure spaziati nel tempo, e possono essere compresi nell’evento geologico di instabilità ripetutosi nel settore settentrionale del Bacino Terziario Piemontese, durante la fase medio-miocenica di evoluzione geodinamica del Mediterraneo. Essi sono differenziati dal punto di vista biocronologico, dal Burdigaliano superiore al Langhiano inferiore, e si distinguono per il diverso contenuto tassonomico, anche in riflesso di variazioni paleobiogeografiche. In prospettiva di geodiversità tematica essi sono rappresentabili da un unico geosito (olo-geosito) che materializza l’evento geodinamico e il fenomeno genetico; nel caso particolare si può eleggere a rappresentante-tipo la località di Valsanfrà di Baldissero Torinese (Pavia, 2000). Le altre due località possono essere descritte come para-geositi a complemento e integrazione della geodiversità paleontologica del Miocene inferiore-medio della Collina di Torino. Bellardi L. (1872-90) - I molluschi terziari del Piemonte e della Liguria. Vol. 1-6. Mem. R. Acc. Sc. Torino. Chevalier J.P. (1961) - Recherches sur les Madréporaires et les formations récifales miocènes de la Mediterranée occidentale. Mém. Soc. Géol. France, 93, 562 p., Paris. Clari P.A., Dela Pierre F., Novaretti A. & Timpanelli M. (1994) - La successione oligo-miocenica del Monferrato occidentale: confreonti e relazioni con il Monferrato orientale e la Collina di Torino. Atti Tic. Sc. Terra, ser. Spec. 1: 191203, Pavia. Pavia G. (2000) - Il Geotopo fossilifero del Miocene inferiore di Baldissero Torinese. Mem. Descr. Carta Geol. Ital., 54: 111119, Roma. Poli G., ed. (1999) - Geositi: testimoni del tempo. Regione Emilia-Romagna. Ed. Pendragon, 260 p., Bologna. Sacco F. (1990-1904) - I molluschi terziari del Piemonte e della Liguria. Vol. 6-30. C. Clausen, Torino.

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Giornate di Paleontologia 2003 – Alessandria, 22-25 Maggio 2003 _________________________________________________________________________ SIGNIFICATO PALEOAMBIENTALE DELL’ICNOFOSSILE GLOCKERICHNUS PICKERILL, 1982 NELLA FM. DI SAN VITO (CAMBRO-ORDOVICIANO, SARRABUS, SARDEGNA SUD-ORIENTALE) Pillola G.L.1, Piras S.2 1 2

Dipartimento di Scienze della Terra, Università degli Studi di Cagliari; Dipartimento del Museo di Paleobiologia e dell’Orto Botanico, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia.

Le tracce fossili rappresentano la componente paleobiologica più frequente nella Formazione delle Arenarie di San Vito (Testa, 1918; Debrenne & Naud, 1981; Pillola & Leone, 1991 e riferimenti citati), occasionalmente sono presenti palinomorfi e macrofossili (Gnoli & Pillola, 2001, e riferimenti citati), che hanno consentito di attribuire alla formazione in studio un’età compresa fra il Cambriano medio e l’Arenig. Recenti investigazioni nelle aree più significative lungo la valle del Rio Ollastu (Burcei, Sardegna S.E.), hanno portato alla scoperta di nuove località fossilifere e di meglio inquadrare gli aspetti paleoambientali (Piras 2002, tesi non pubbl.). Sulla base delle associazioni di facies sedimentarie, delle biofacies e delle icnofacies, sono stati individuati due membri informali ampiamente eteropici fra loro. Il primo mostra frequenti strutture sedimentarie di tipo HCS ed è caratterizzato dalla locale presenza d’abbondanti fossili (trilobiti, graptoliti e molluschi) e di tracce fossili indicanti l'ichnofacies a Cruziana (Phycodes circinatum, Rusophycus, Dimorphychnus, etc.); i dati finora raccolti su queste successioni indicano ambienti di shoreface e di offshore superiore. Il secondo membro è caratterizzato dalla presenza di noduli fosfatici e piritici e da associazioni d’icnotaxa, tra i quali Glockerichnus aff. radiatus, Phycodes, ?Gordia, etc., che indicano l’icnofacies a Zoophycos; questo membro è stato in parte attribuito ad ambienti di piattaforma distale. Glockerichnus appartiene alla categoria dei fodinicnia; mostra un contorno subcircolare (Ø 12-15 cm), e una zona centrale (Ø 2-4 cm) dalla quale si sviluppa una struttura raggiatapetaloide composta da 16-17 elementi. L’icnogenere Glockerichnus è stato spesso associato ad ambienti di mare profondo o a sequenze di flysch, ma il suo recente ritrovamento in facies di piattaforma distale nell’Arenig dello Skiddaw Group (Orr, 1996), del Bacino di Praga (Mikulas, 1999) e in Sardegna permette di precisare sia il suo significato paleoambientale che il suo potenziale utilizzo a scopi paleobiogeografici e biostratigrafici. Debrenne F. & Naud G., 1981-Méduses et traces fossiles supposées Précambriennes dans la formation de San Vito, Sarrabus, Sud-est de la Sardaigne-Bull.Soc.Géol.France, 8: 23-31. Gnoli M. & Pillola G.L., 2001-The oldest nautiloid cephalopod of Sardinia: Bathmoceras cf. linnarssoni Angelin, 1880 from the Arenigian (Early Ordovician) of Tacconis (South East Sardinia) and remarks on the surrounding biota. N. Jb. Geol. Paläont. Mh., 2001 (1):19-26. Mikulás R., 1999-Joint of occurences of body-and trace-fossils communities (Ordovician Barrandian area, Czech Republic). J.of Czech Geol.Soc., n°44: 69-78. Orr P.J., 1996-The ichnofauna of the Skiddaw Group (early Ordovician) of the Lake District, England. Geological Magazine 133: 193-216. Pillola G.L. & Leone F., 1997-Arenig (lower Ordovician) biota from S.E. Sardinia: biofacies and paleobiogeography. GEOITALIA, 1° forum FIST, 2: 72-73. Piras S., 2002-Facies e biofacies dell'Arenigiano della valle del Rio Ollastu (Burcei-Sarrabus-Sardegna Sud-Orientale). Università di Cagliari, Tesi non pubbl.,: 1-87. Testa L. (1918): Il Cambriano nel Sarrabus. Associazione mineraria Sarda, 23(8), p. 263. Iglesias.

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Giornate di Paleontologia 2003 – Alessandria, 22-25 Maggio 2003 _________________________________________________________________________ A NEW GAVIALID FROM EARLY MIOCENE OF SOUTH-EASTERN PAKISTAN Piras P., Kotsakis T. Dipartimento di Scienze Geologiche, Università Roma Tre

A relatively well preserved gavialid skull (a neurocranium and two rostral fragments) has been collected during a field work in 1982 by a research team of Utrecht University in the region of Sindh of south-eastern Pakistan. The specimen DSG/UR3-R1 is temporarily housed in the Department of Geological Sciences of Roma Tre University. The horizon from wich these remains have been collected is ascribed to the limit between Lower Manchar Formation and Gaj Formation; these beds indicate a fluvio-lacustrine environment and are assigned to Early Miocene upon the micromammalian associations. In the Indo-Pakistani area, and in particular from the Indus river basin and neighbours, numerous fossil garhial remains have been found and ascribed at least to seven extinct species: Gavialis breviceps Pilgrim of Early-Middle Miocene (Dera Bugti), Gavialis pachyrhynchus Lydekker of Middle-Late Miocene (Chinji), Gavialis curvirostris Lydekker of Middle-Late Miocene (Chinji) (with a second subspecies formally erected: G. c. naricus Pilgrim coming from Dera Bugti beds of Early-Middle Miocene age), Gavialis browni Mook of Late Miocene (Nagri), Gavialis hysudricus Lydekker of Late Miocene-Early Pliocene (Dhok Pathan), Gavialis lewisi Lull of Late Miocene-Early Pliocene (Dhok Pathan), Gavialis leptodus (Cautley & Falconer) of Late Pliocene-Early Pleistocene (Pinjor), plus the living garhial Gavialis gangeticus (Gmelin), known since Pliocene. Several crocodilian remains belonging to other genera (Crocodylus and Ramphosuchus) have been collected in the same region. Gavialis occupied since its appearance the trophic niche of piscivory. A preliminary study of the skull highlighted that it probably represents a new species and that it is the oldest described record of the genus Gavialis. The main differences between DSG/UR3-R1 and other garhial species concern the notably presence of pits behind maxillary tooth row and the very characteristic inner medial surface of supratemporal fenestrae that are strongly inclined medio-laterally; other features allow to distinguish DSG/UR3-R1 at species level in comparison with other forms; this morphology suggests a mosaic evolution for all garhials of Indo-Pakistan area. Our specimen has been compared with all fossil garhials housed in The London Museum of Natural History; none of them resulted very similar to DSG/UR3-R1; the closest form is undoubtedly G. c. naricus for its morphology; however it is necesary a more accurate study to unveil the relationship between all fossil forms; it would be desirable to analyze the fossil garhial collection of Old Indian Museum in Calcutta, India.

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Giornate di Paleontologia 2003 – Alessandria, 22-25 Maggio 2003 _________________________________________________________________________ ORIZZONTI A NAUTILOIDI E A BRACHIOPODI DELLA FORMAZIONE A BELLEROPHON (PERMIANO SUPERIORE) IN VAL GARDENA (DOLOMITI) Posenato R.1, Prinoth H.2 1 2

Dipartimento di Scienze della Terra, Università degli Studi di Ferrara Via Stufan 15, 39046 Ortisei, Bolzano.

La Formazione a Bellerophon rappresenta il Permiano superiore di ambienti evaporitici costieri e lagunari-litorali nel settore orientale delle Alpi Meridionali. Essa è famosa per il ricco contenuto paleontologico (alghe calcaree, foraminiferi, molluschi e brachiopodi), oggetto di numerosi lavori a partire dal XIX secolo, che documenta i bioeventi che precedono l’estinzione di massa permo-triassica. Recenti ricerche sulla Formazione a Bellerophon della Val Gardena (Dolomiti) condotte nell’ambito del progetto “Tirolonautilus” finanziato dal Museo “Archeologia e Natura” di Bolzano, hanno portato alla scoperta nei dintorni di Ortisei (BZ) di due ricchi orizzonti a nautiloidi. L’orizzonte inferiore (A), spesso circa 1 m, è formato da dolomie marnoso-arenacee grigie e da calcari dolomitizzati grigio-scuri. Affiorante in due diverse località dei dintorni di Ortisei (San Giacomo e Balest), precede di circa 10-15 m la “Val Gardena Sandstone tongue” (sensu Broglio Loriga et al., 1988). Da una prima analisi sistematica sembrano essere presenti almeno quattro generi: Tirolonautilus, Metacoceras, ? Domatoceras e ?Permonautilus. L’orizzonte, che per la prima volta viene segnalato in Val Gardena, è correlabile alla “Nautiloid and Bivalve Assemblage” già descritta in letteratura nelle sezioni del Butterloch e del Sass de Putia (Broglio Loriga et al., 1988). Nell’orizzonte A non sono presenti brachiopodi. L’orizzonte B, spesso circa 1,5 m, è formato da calcari arenacei nerastri e da calcari dolomitizzati giallastri. Affiorante lungo le ripide pareti occidentali del Balest, è stratigraficamente collocato in prossimità della base dei calcari neri della Facies Badiota Auct. Esso contiene i nautiloidi Tainoceras, ?Tainoceras e Liroceras ed i brachiopodi Comelicania doriphora Merla e C. haueri (Stache). Questo orizzonte non è mai stato segnalato in Dolomiti e particolarmente significativa è la presenza di Comelicania, un brachiopode di notevole valore bio- cronostratigrafico della Tetide occidentale e che prima d’ora si pensava fosse confinato nelle Dolomiti agli ultimi metri o decimetri della formazione. Le conchiglie di Comelicania dell’orizzonte B sono caratterizzate da una taglia medio-piccola, se rapportata alle grandi dimensioni delle Comelicanie più giovani e dalla presenza, in Comelicani doriphora, del foramen dorsale nella piastra cardinale. L’associazione a C. doriphora e C. haueri sembra essere peculiare degli orizzonti a Comelicania più antichi della Tetide occidentale descritti in Ungheria settentrionale (Monti Bükk, ?Dzhulfiano - Dorashamiano inferiore, Schréter, 1963) e nella Slovenia centrale (Peśić et al., 1988). Le Comelicanie più recenti delle Dolomiti, situate al tetto della Formazione a Bellerophon (Dorashamiano superiore), sono invece caratterizzate da esemplari di grande taglia e dall’associazione a Comelicania megalotis (Stache) e C. merlai Posenato (Posenato, 1998). Broglio Loriga C., Neri C., Pasini M., Posenato R., 1988, Marine fossil assemblages from Upper Permian to lowermost Triassic in the Western Dolomites (Italy). Mem. Soc. Geol. It., 34: 5-44. Peśić L., Ramovš A., Sremac J., Pantić-Prodanović S., Filipović I., Kovac S. & Pelikan P., 1988, Upper Permian deposits of the Jadar region and their position within the western Paleotethys. Mem. Soc. Geol. It., 34: 211-219. Schréter Z., 1963, Die Brachiopoden aus dem oberen Perm des Bükk Gebirges in Nordungarn. Geol. Hung., Ser. Palaeont., 28: 87-179. Posenato R., 1998, The gen. Comelicania Frech, 1901 (Brachiopoda) from the Southern Alps: morphology and classification. Riv. It. Paleont. Strat., 104(1): 43-68.

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Giornate di Paleontologia 2003 – Alessandria, 22-25 Maggio 2003 _________________________________________________________________________ ERYMNOCHELYS SP.: UNA TARTARUGA "MALGASCIA" NEL PALEOGENE DELLA SARDEGNA Righi D.1, Delfino M.2 1

Dipartimento del Museo di Paleobiologia e dell'Orto Botanico, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia 2 Dipartimento di Scienze della Terra e Museo di Storia Naturale (Sezione Geologia e Paleontologia), Università degli Studi di Firenze

La Formazione del Cixerri, affiorante in modo discontinuo nel settore sud-occidentale della Sardegna meridionale, è altrimenti conosciuta col nome di "Arenarie sterili del Sulcis" a causa della scarsità di fossili, limitati a rari resti di vegetali e di invertebrati. Le caratteristiche litologiche e strutturali, in accordo con il contenuto paleontologico, indicano che si tratta di un complesso sedimentario continentale, rappresentato principalmente da facies fluvio-lacustri e, in modo subordinato, lagunari ed eoliche, depositatesi in una vasta area deltizia fra l'Eocene medio (limite Cuisiano\Luteziano circa 50 Ma) e l’Oligocene inferiore (circa 30 Ma), quando la Sardegna costituiva ancora il margine meridionale della paleo-Europa. L'unico resto di un vertebrato rinvenuto in questa Formazione è un guscio di tartaruga, recuperato dal Prof. Barca (Università di Cagliari) nella seconda metà degli anni '80 in località Flumentepido (CA). Il guscio, originariamente diviso in alcuni frammenti e parzialmente ricoperto da concrezioni di arenaria, in seguito alle operazioni di restauro si presenta in uno stato di conservazione molto buono che consente di osservare gran parte delle particolarità anatomiche. Sebbene non sia possibile rilevare con certezza l'assenza dello scudo corneo cervicale (a causa della mancanza di una piccola porzione di carapace) e la fusione del cinto pelvico con il guscio (a causa del riempimento di arenaria), l'esistenza di una serie neurale che non separa completamente gli elementi ossei costali, unita alla presenza di mesopiastroni e di scudo corneo intergolare, consente di attribuire il resto all'Infraordine Pleurodira e alla famiglia Podocnemidae. Sulla base della presenza di uno scudo intergolare relativamente piccolo che non separa completamente i confinanti scudi golari, è possibile identificare il resto come appartenente al genere Erymnochelys, attualmente monotipico ed endemico del Madagascar. Resti attribuiti al gruppo di Erymnochelys sono conosciuti a partire dal Cretaceo superiore del Niger e successivamente in un ristretto numero di località cenozoiche africane. L'unica segnalazione europea riguarda il Luteziano (MP 13) della Francia centro-settentrionale. La tartaruga di Flumentepido rappresenta quindi la prima segnalazione del genere Erymnochelys in Italia e la seconda in Europa. La presenza dei Pleurodiri era stata precedentemente attestata in Italia nell'Eocene dell'area veneta (località di Avesa e Bolca) con i resti attribuiti ai generi estinti Neochelys (che si distingue da Erymnochelys per avere uno scudo intergolare che separa completamente gli adiacenti scudi golari) e Taphrosphys (una recente revisione considera questi resti come appartenenti a Pleurodiri indeterminati). Se, come sembra attualmente, le tartarughe della famiglia Podocnemidae si fossero realmente estinte in Europa con il finire dell'Eocene, il ritrovamento di Erymnochelys nella Formazione del Cixerri potrebbe costituire un vincolo temporale di rilevante importanza, consentendo di escludere che la serie basale della sezione di Flumentepido risalga all'Oligocene.

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Giornate di Paleontologia 2003 – Alessandria, 22-25 Maggio 2003 _________________________________________________________________________ MICRORGANISMI DOLOMITI

FOSSILI

INCLUSI

NELL'AMBRA

TRIASSICA

DELLE

Roghi G.1, Coppellotti O.2, Ragazzi E.3 1

Istituto di Geoscienze e Georisorse, CNR - Padova Dipartimento di Biologia, Università degli Studi di Padova 3 Dipartimento di Farmacologia, Università degli Studi di Padova 2

Nel 1913 Ernst Koken descriveva per la prima volta l'ambra fossile negli strati triassici di Rumerlo nei dintorni di Cortina d'Ampezzo nelle Dolomiti; a novant'anni dalla scoperta, il ritrovamento di microcenosi fossili, incluse all'interno di questa antica resina, ci svela ancora nuovi e sorprendenti segreti. In questa nota vengono per la prima volta descritti e preliminarmente inquadrati dal punto di vista tassonomico alcuni dei principali inclusi ritrovati in tale antica ambra, paragonandoli, dati gli scarsi studi in materia, prevalentemente a taxa attuali. L'ambra che contiene questi microrganismi proviene dalla Formazione di Dürrenstein di età Triassico superiore (Julico superiore, Zona ad Austriacum - Tuvalico inferiore, Zona a Dilleri) corrispondente a circa 225 milioni di anni fa (Gianolla et al., 1998). Malgrado l'antichità di questa resina fossile lo stato di preservazione delle sue inclusioni risulta a volte sorprendente, mantenendo intatti anche i più piccoli particolari; in alcuni casi i microrganismi presentano alterazioni da imputare alla meccanica delle fasi di inglobamento o ai processi di disidratazione e polimerizzazione della resina stessa. Le principali inclusioni riguardano organismi unicellulari ascrivibili a batteri, alghe azzurre e protozoi. Numerose sono anche le strutture microscopiche attribuibili a cisti, sia di alghe che di protozoi; di particolare rilevanza è il rinvenimento di probabili diatomee. Sono stati inoltre osservati inclusi di pollini, spore di felci e di funghi, oltre ad ipotetiche uova di invertebrati. Gli organismi ritrovati rappresentano una tipica associazione di acqua dolce che potrebbe essersi costituita direttamente in microcavità sulla stessa pianta resinifera e da qui inglobata nella resina; un’altra possibilità è che i microrganismi siano proliferati in stagni limitrofi e quindi, per successivo essiccamento, siano stati trasportati dal vento a contatto con la resina fluente dalle piante. L'ambra si distingue ancora una volta come uno strumento ottimale di preservazione degli organismi viventi del passato e la resina fossile triassica delle Dolomiti, che rappresenta la più antica resina con inclusi esistente al mondo, ne è la conferma. Gianolla P., Ragazzi E. and Roghi G. (1998). Upper Triassic amber from Dolomites (northern Italy); a paleoclimatic indicator? Rivista Italiana di Paleontologia e Stratigrafia, v. 104, pp. 381-390, Milano.

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Giornate di Paleontologia 2003 – Alessandria, 22-25 Maggio 2003 _________________________________________________________________________ MICRO CT-SCAN INVESTIGATIONS ON OREOPITHECUS BAMBOLII, A LATE MIOCENE FOSSIL APE Rook L.1, Bondioli L.2, Macchiarelli R.3 1

Dipartimento di Scienze della Terra e Museo di Storia Naturale (Sezione Geologia e Paleontologia), Università degli Studi di Firenze 2 Museo Nazionale Preistorico Etnografico “L. Pigorini”, p.le G. Marconi 14, 00144 Roma 3 Laboratoire de Géobiologie, Biochronologie et Paléontologie humaine, Univ. de Poitiers, 40 av. Recteur Pineau, 86022 Poitiers, France

State of the art in paleoanthropological and paleoprimatological research foresees the use of advanced nondestructive investigative approaches. Microcomputed tomography (microCT) is a fundamental tool, since it potentially offers the opportunity to get high quality morphological information with high spatial resolution. By combining the access to the facilities set up at the Physics Dept. of the Bologna University (an experimental microCT system able to operate on objects sized up to 3 cm with a nominal spatial resolution of 30 µm) with the use of advanced software for volume rendering and imaging, we have been able to produce 3D volume reconstruction and morphometric analysis of dental and bone specimens of Oreopithecus bambolii, a Late Miocene fossil ape known from a cluster of sites in southern Tuscany and northern Sardinia. The first specimen analysed (IGF 4351) is a fragmentary mandible bearing an unusual cavity on its third molar enamel, potentially representing the oldest known occurrence of carious disease in Hominoidea. Evidence from detailed microCT investigation has confirmed the cariogenic nature of the lesion. A second analysis concerned the inner ear structure reconstruction. Within the abundant collection of Oreopithecus odontoskeletal remains, specimen BAC#208 consists of a fragmentary young adult cranium including the left petrosa. Preliminary radiographic inspection of the specimen revealed the presence of a well-preserved inner structure suitable for the investigation of the bony labyrinth size and morphology. The specimen has thus been scanned at spatial resolution of about 30µm and virtually reconstructed into a 16 bits volume of 760x760x490 voxels. Oreopithecus bony labyrinth closely resembles the extant great ape condition in general morphology and relative proportions of the semicircular canals (SCc), a critical result that supports the taxonomic status of this "enigmatic anthropoid". Such results confirm that the use of microCT represents a forefront approach in paleobiological studies, capable to grant high quality access to hidden structural information.

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Giornate di Paleontologia 2003 – Alessandria, 22-25 Maggio 2003 _________________________________________________________________________ ADDITIONAL NOTES ON THE LITTLE KNOWN SERPULID SERPULA ISRAELITICA AMOUREUX, 1976 AND NEW MEDITERRANEAN RECORDS Sanfilippo R. Dipartimento di Scienze Geologiche, Sezione di Oceanologia e Paleoecologia, Università degli Studi di Catania

The polychaete serpulid Serpula israelitica was originally described by Amoureux (1976) from the Eastern Mediterranean (Israel coast), basing on an entire specimen and 4 incomplete individuals. In subsequent records, all the same from the Levant basin, the species is merely mentioned, without a description, and empty tubes are mainly found (Zibrowius & Bitar, 1981; Ben Eliahu, 1991; Ben Eliahu & ten Hove, 1992; Ben Eliahu & Fiege, 1996). Here, S. israelitica colonises soft bottoms with a conspicuous muddy component, from 45 to 110 m in depth. Elsewhere, it was reported (as Semiserpula israelitica) only once, from Canary and Capo Verde Islands (fide Ben Eliahu & Fiege, 1996). In the present work new Mediterranean records, from the Jonian Sea (soft bottoms from a cave and lower circalittoral environments), extend the previous Levant range. The present-day disjunct geographical distribution of S. israelitica, if confirmed by further data, could be due to the palaeoclimatic evolution of this species, which may posses the significance of a Tyrrhenian relict, as put forth by Ben Eliahu & Fiege (1996). Basing on the newly recorded material, a re-description of S. israelitica was performed both from tubes and soft parts, elucidating systematic characters not given by Amoureux (1976). The tube is rather strong and comprises two distinct layers: an outer white one, and an inner one very strong, white to brownish in colour, similar to that described for the cogeneric species S. cavernicola (Sanfilippo & Mollica, 2000). Tubes are always lacking in their proximal encrusting part and likely they break off at the base of the distal erect part, that grows away from the substratum for a considerable length. Here, an unusual internal tabula may occur, similar to that described by Hedley (1958) for Pomatoceros triqueter. It consists of a transversal grating of calcium carbonate, almost closing the damaged base of the erect distal part. Such internal structure ensures a better protection to the animal inside the unattached tube and allows it to continue free-living within soft bottoms. Scissiparity was also observed in one tube specimen; like the grating structure, this character is firstly observed for S. israelitica. As regards soft parts, an unusual high number of thoracic segments (12 instead of 7 normally present in serpulids) was observed, in addition to those reported in the original description (8-10 thoracic segments). Such variability, considered a plesiomorphous character at generic level by ten Hove (1984), is useable for a key to the species of the genus Serpula, that is here given. Amoureux L. (1976) – Serpula (Paraserpula) israelitica, nouvelle espèce de Serpulidae Annélides Polychètes) et une petite collection annélidienne de la Méditerranée orientale. Bull. Mus. Nat. Hist. Nat., (3), 404: 1047-1059. Ben Eliahu M.N. (1991) – Red Sea serpulids (Polychaeta) in the Eastern Mediterranean. In: Petersen M.E. & Kirkegaard J.B. (Eds.): Proc. 2nd Int. Polychaete Conference, Copenhaghen 1986. Systematics, Biology and Morphology of World Polychaeta. Ophelia Suppl., 5: 515-528. Ben Eliahu & ten Hove H.A. (1992) – Serpulids (Annelida: Polychaeta) along the Mediterranean coast of Israel – new population buildups of Lessepsian migrants. Isr. J. Zool., 38: 35-53. Ben Eliahu M.N. & Fiege D. (1996) – Serpulid tube-worms (Annelida: Polychatea) of the Central and Eastern Mediterranean with particular attention to the Levant Basin. Senckemb. Mar., 28 (1/3): 1-51. Hedley R.H. (1958) – Tube formation by Pomatoceros triqueter (Polychaeta). J. Mar. Biol. Ass. UK, 37: 315-322. Hove H.A. ten (1984) – Towards a phylogeny in serpulids (Annelida; Polychaeta). Proc. 1st Int. Polychaete Conference, Sydney 1984. Linnean Society of New South Wales: 181-196. Sanfilippo R. & Mollica E. (2000) - Serpula cavernicola Fassari & Mòllica, 1991 (Annelida Polychaeta): diagnostic features of the tubes and new Mediterranean records. Marine Life, 10 (1-2): 27-32. Zibrowius H. & Bitar G. (1981) – Serpulidae (Annelida Polychaeta) indo-pacifiques établis dans la region de Beyrouth, Liban. Rapp. Comm. Int. Mer Médit., 27(2): 159-160.

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Giornate di Paleontologia 2003 – Alessandria, 22-25 Maggio 2003 _________________________________________________________________________ OSTRACODI BATIALI PLEISTOCENICI DI CAPO MILAZZO (ME, SICILIA NE) Sciuto F. Dipartimento di Scienze Geologiche, Sezione di Oceanologia e Paleoecologia, Università degli Studi di Catania

La successione sedimentaria plio-pleistocenica della Penisola di Capo Milazzo (ME) è data da silt e sabbie fini carbonatiche che ricoprono, in discordanza, brecce e conglomerati di età tortoniana, a loro volta ricoperte, sempre in discordanza dalle sabbie e ghiaie del Tirreniano. Il loro spessore massimo è di circa 16 metri. L’analisi delle associazioni ad ostracodi condotta sulla porzione pliocenica della successione (Sciuto, 2003) ha consentito di delineare un paleoambiente deposizionale situato nell’orizzonte superiore del Piano Batiale ad una profondità stimata intorno ai 600 metri. Il presente studio riguarda l’ostracofauna della porzione pleistocenica (Zona a Globigerina cariacoensis). I due campioni esaminati provengono da un livello appena sottostante le sabbie tirreniane affioranti a Cala S. Antonino e da una sacca isolata rinvenuta in località Faro. L’ostracofauna è ben diversificata, con circa 40 e 60 specie, e abbondante, con oltre 200 e 350 esemplari rispettivamente. L’associazione, tipicamente batiale, è costituita prevalentemente da: Bythocypris bosquetiana (Brady), B. obtusata (Sars), Bairdoppilata conformis (Terquem), Henryhowella sarsi profunda Bonaduce et al., Cytherella vulgatella Aiello et al., Pseudocythere caudata Sars, Krithe compressa (Seguenza), Zabythocypris antemacella (Maddocks). Il paleoambiente deposizionale è confrontabile con quello dei sottostanti sedimenti pliocenici sebbene, rispetto a questi ultimi, sia stato osservato un considerevole incremento dei valori di ricchezza specifica e di abbondanza di esemplari. Questo fenomeno, peraltro già osservato in altre successioni di mare profondo dell'area mediterranea (Colalongo & Pasini, 1988), potrebbe essere correlato ad un incremento della produttività. Tale ipotesi sarebbe supportata, analogamente a quanto già rilevato in associazioni oloceniche dell’Atlantico settentrionale da Coles et al. (1996), dalla presenza e, talora, abbondanza di taxa quali Slerochilus, Paradoxostoma e Paracytherois, normalmente ritenuti di ambienti di piattaforma ricchi in vegetali. Colalongo, M. S. & Pasini, G ,1988, Ostracofauna plio-pleistocenica batiale rinvenuta nel Pozzo 654A dell’ODP Leg 107 (Mar Tirreno occidentale): Boll. Soc. Paleont. Ital., 27 (3): 277-289. Coles, G. P., Ainsworth, N. R., Whatley, R. C. & Jones, R. W., 1996, Foraminifera and Ostracoda from Quaternary carbonate mounds associated with gas seepage in the Porcupine Basin, offshore western Ireland. Riv. Esp. Micropal , 28 (2): 113151 Sciuto, F., 2003, Dati preliminari sulla ostracofauna pliocenica di Capo Milazzo (Sicilia N E): Boll. Soc. Paleont. Ital., 42 (1).

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Giornate di Paleontologia 2003 – Alessandria, 22-25 Maggio 2003 _________________________________________________________________________ LA COLLEZIONE LAWLEY (1877) PALEONTOLOGICO DI MODENA

DI

ITTIODONTOLITI

DEL

MUSEO

Serventi P. Dipartimento del Museo di Paleobiologia e dell’Orto Botanico Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia

Nell’ambito del lavoro di catalogazione e di valorizzazione delle collezioni storiche del Museo Paleontologico del Dipartimento del Museo di Paleobiologia e dell’Orto Botanico dell’Università di Modena e Reggio Emilia, viene qui presentata la Collezione Lawley di Ittiodontoliti, collezione che risale al 1877. La raccolta è composta da 61 denti di squalo, montati con filo di ferro su 28 “espositori” in cartone di forma rettangolare. Nella parte inferiore è presente una targhetta che ne riporta la determinazione specifica. Sul retro, oltre a un numero progressivo che identifica l’espositore, è presente un timbro a nome Roberto Lawley (1818–1881) con all’interno la scritta 1877. Troviamo segnalazione della collezione Lawley nel Museo Paleontologico di Modena nel lavoro di Stefanini del 1929, il quale riporta: “Esiste inoltre una serie di 30 Ittiodontoliti provenienti dalla collezione Lawley (1877), …”. Purtroppo Stefanini non fa riferimento né all’età né tantomeno alla provenienza dei reperti. È interessante, comunque, notare che su tutte le etichette è riportata la scritta “Vicentino?” che, con la dovuta cautela, viene qui accettata come località di provenienza dei reperti. Oltretutto Lawley stesso affermava nel lavoro del 1878 che il Prof. Carruccio, Direttore del Museo di Modena, gli aveva consegnato “alcuni” esemplari di Carcharodon megalodon provenienti dal Vicentino, sebbene qui si dubiti che questi denti appartengano di fatto alla collezione in esame. Sulle etichette sono riportate anche altre informazioni, per esempio, la posizione dei denti nella bocca, oppure accenni ad altri autori (p.e. l’americano Gibbes). Lo stato di conservazione dei reperti è più che soddisfacente, la corona è, infatti, quasi sempre intatta mentre le radici presentano rotture più o meno estese I denti di squali presenti nella raccolta documentano 13 specie e 6 generi (riportati di seguito): • Carcharodon • Hemipristis • Lamna • Oxyrhina • Prionodon • Sphyrna Il maggior lavoro di restauro è stato compiuto sulle etichette di determinazione: le scritte, a china, sono state cancellate quasi completamente dal tempo e dalla sporcizia. Dopo la pulizia, per la loro conservazione è stato usato un fissante realizzato su indicazioni fornite dall’Istituto di Patologia del libro di Roma. Sebbene il presente lavoro non intenda avere valore di una revisione tassonomica, ciò nonostante il restauro dei fossili e del supporto cartaceo ma soprattutto la ricerca bibliografica, permettono di recuperare e “riconsegnare” alla collettività una importante collezione che il tempo avrebbe cancellato. Lawley, R., 1878, Nuovi studi sopra i Pesci ed altri vertebrati fossili delle Colline Toscane. 122 pp., 5 tt. Firenze. Lawley, R., 1877, Quattro Memorie sopra a resti fossili. Atti soc. Tosc. Sc. Nat., 3 (2), 32 pp. Pisa. Stefanini, G., 1929, L’Istituto Geologico della R. Università di Modena e il suo recente riordinamento. Atti della Società dei Naturalisti e Matematici di Modena. Serie VI – Vol. VII (LX). Modena.

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Giornate di Paleontologia 2003 – Alessandria, 22-25 Maggio 2003 _________________________________________________________________________ I MICROFOSSILI DI ISOLA D’ASTI E DI CALLIANO: ELEMENTI PER CORRELAZIONI NEL PLIOCENE DEL PIEMONTE Violanti D.1, Mazzarella A.1, Righetto L.1, Bonci M.C.2 1 2

Dipartimento di Scienze della Terra, Università degli Studi di Torino Dipartimento per lo studio del Territorio e delle sue Risorse, Università degli Studi di Genova

Studi micropaleontologici in corso su successioni plioceniche piemontesi (Astigiano, Monferrato, Monregalese) riguardano prevalentemente affioramenti isolati, a causa delle ampie coperture della regione, ed associazioni della zona circalitorale o al limite con l’infralitorale, poco indicative dal punto di vista biostratigrafico. In alcuni residui, accanto ai foraminiferi, sono stati osservati anche esemplari di diatomee e radiolari, finora non segnalati nel Pliocene Piemontese, che prospettano condizioni particolari del bacino, con acque, almeno stagionalmente, ricche di nutrienti. I microfossili di Isola d’Asti (Astigiano) e di Calliano (Monferrato) risultano particolarmente significativi per correlazioni reciproche e con altri settori. La successione di Isola d’Asti è data da circa 20 m di argille grigio-azzurre, chiuse a tetto da un livello laminato di circa 0,5-1 m; le associazioni a foraminiferi contengono comuni esemplari planctonici, (P/P+B = 40-50%), numerosi taxa bentonici, indicativi di ambiente circalitorale profondo, (Cibicidoides pseudoungerianus, Hoeglundina elegans, Uvigerina spp.). I campioni basali sono caratterizzati dalla presenza concomitante di Globorotalia margaritae e G. puncticulata, che ne permettono l’attribuzione alla zona MPl3 del Pliocene inferiore; tutti i campioni successivi sono invece databili alla zona MPl4 in base alla presenza della sola G. puncticulata. Le associazioni delle siltiti (circa 13-15 m) di Calliano contengono foraminiferi, spicole di spugne silicee, radiolari e diatomee. Rare Globorotalia margaritae e Globorotalia puncticulata hanno permesso l’attribuzione alla zona MPl 3 (Pliocene inferiore) e la correlazione con la parte inferiore della sezione di Isola d’Asti. I bentonici sono dominati da forme infaunali, opportuniste, tipiche di fondali pelitici della zona circalitorale (Bulimina minima, Cassidulina carinata, Fursenkoina spp., Valvulineria bradyana). L'associazione a diatomee (frequenti Thalassionema group, grandi Coscinodiscaceae e Thalassiosiraceae) presenta una forte dominanza di forme planctoniche (oloplanctoniche e meroplanctoniche) e suggerisce forti influenze dalla piattaforma interna, condizioni di elevata produttività, salinità non inferiore al 20/17 ‰. Questi analisi sembrano fornire gli strumenti utili per correlazioni con associazioni prive di indici biostratigrafici e verranno applicate nei successivi studi volti alla ricostruzione delle condizioni paleoceanografiche del bacino pliocenico piemontese.

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Giornate di Paleontologia 2003 – Alessandria, 22-25 Maggio 2003 _________________________________________________________________________ L’URSUS SPELAEUS DELLA GROTTA DEL BANDITO DI ROASCHIA (CUNEO): DATAZIONE RELATIVA E CONSIDERAZIONI TAFONOMICHE Zunino M. & Pavia G. Dipartimento di Scienze della Terra - Università degli Studi di Torino

La Grotta del Bandito di Roaschia, situata in Valle Gesso (Cuneo) e famosa in letteratura per gli abbondanti resti di Ursus spelaeus (Sacco, 1890) è una cavità ad andamento approssimativamente Est-Ovest con tre ingressi principali di facile accesso; sia la sua genesi che il suo riempimento sono probabilmente riconducibili all’azione del Torrente Gesso che ancora oggi scorre a pochi metri dagli ingressi. Durante l’autunno 2001 sono stati effettuati, in accordo con la Soprintendenza Archeologica del Piemonte, tre sondaggi di ispezione all’interno della Grotta denominati A, B e C. Nei primi due punti di sondaggio è emersa la presenza di depositi ancora in posto (A e B), mentre nel terzo punto di sondaggio i depositi presenti sono rimaneggiati (C). Nei siti di ispezione A e B è presente, a contatto del pavimento calcareo, un livello fossilifero passante da argilloso a conglomeratico; entrambi i depositi sono sigillati da uno speleotema alabastrino di spessore centimetrico. Il sondaggio di ispezione C presenta un complesso di sedimenti del tutto diverso che consiste in tre livelli di sabbie fluviali fossilifere e rimaneggiate. Tutti e tre i punti di campionamento hanno restituito denti e ossa di Ursus spelaeus. E’ stato effettuato uno studio morfologico sui premolari inferiori e superiori di questa specie con lo scopo di attribuire un’età relativa ai resti di Ursus spelaeus provenienti dalla Grotta del Bandito in base al metodo messo a punto da Rabeder (1992), che ipotizza una progressiva complicazione delle cuspidi dei premolari durante l’evoluzione dell’orso delle caverne in relazione ad una dieta sempre più vegetariana. I risultati ottenuti dall’applicazione di questa analisi permettono di ipotizzare che l’Ursus spelaeus sia vissuto in Valle Gesso tra 66.000 e 30.000 anni in una delle fasi interglaciali del Pleistocene superiore, per esempio durante lo stadio isotopico 3, circa tra 61.000 e 29.000 anni fa, in cui sembra essersi verificato un periodo interglaciale o almeno un lungo interstadiale. Dall’analisi stratigrafica dei livelli riconosciuti durante il sondaggio di ispezione e dallo studio tafonomico delle ossa di Ursus spelaeus in essi conservati (Zumino, 2002), è possibile ipotizzare la dinamica di formazione dei depositi presenti nella Grotta del Bandito. Questa ipotesi prevede la deposizione di un livello argilloso con ossa di Ursus spelaeus più o meno trasportate, probabilmente esteso a buona parte della cavità, poi rimaneggiato a causa della modificazione della circolazione ipogea. A questo livello fossilifero si sovrappongono discontinui livelli sterili di argille laminate che testimoniano periodi di sedimentazione indisturbata e livelli sabbiosi con abbondanti resti di orso delle caverne, legati a successive e violente invasioni del Torrente Gesso. Rabeder G. (1992) - Gli orsi spelei delle Conturines. Ed. Athesia, 120 p., Bolzano. Sacco F. (1890) - La caverna ossifera del Bandito in Val Gesso. Boll. C.A.I., 23: 1-10, Torino. Zunino M. (2002) - Studio tafonomico e sistematico dei vertebrati fossili della Grotta del Bandito, Roaschia (Cuneo). Tesi Univ. Torino, inedita.

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Giornate di Paleontologia 2003 – Alessandria, 22-25 Maggio 2003 _________________________________________________________________________

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Giornate di Paleontologia 2003 – Alessandria, 22-25 Maggio 2003 _________________________________________________________________________ ELENCO DEI PARTECIPANTI

BONCI MARIA CRISTINA Dipartimento per lo studio del Territorio e delle sue Risorse Università degli Studi di Genova Corso Europa, 26 - 16132 Genova bonci@dipteris.unige.it

ABBAZZI LAURA Dipartimento di Scienze della Terra e Museo di Storia Naturale (Sezione di Geologia e Paleontologia) Università degli Studi di Firenze Via La Pira, 4 - 50121 Firenze labbazzi@steno.geo.unifi.it

BOTTINO CECILIA Dipartimento di Scienze della Terra Università “La Sapienza” di Roma Piazzale A. Moro, 5 - 00185 Roma Cecilia.Bottino@uniroma1.it

ACCORNERO GUALTIERO Via Filadelfia, 109 10337 Torino accornerog@ciaoweb.it ANGELONE CHIARA Dipartimento di Scienze Geologiche Università “Roma Tre” Largo San Leonardo Murialdo, 1 00146 Roma angelone@uniroma3.it

BOVE FORGIOT LISA Dipartimento di Scienze della Terra Università degli Studi di Torino Via Valperga Caluso, 35 - 10125 Torino lisa.bove@libero.it CABRAS ROBERTO Dipartimento di Scienze della Terra Università degli Studi di Cagliari via Trentino, 51 - 09127 Cagliari

ARBULLA DEBORAH Museo Civio di Storia Naturale Piazza Hortis, 4 - 34123 Trieste ARBULLA@comune.trieste.it

CAPASSO LUIGI Dipartimento di Medicina e Scienze dell’Invecchiamento Università degli Studi “G. D’Annunzio” di Chieti Via Vicoli, 17 - 66100 Chieti l.capasso@unich.it

BARBERA CARMELA Dipartimento di Scienze della Terra Università degli Studi di Napoli "Federico II" L.go S.Marcellino, 10 - 80138 Napoli carmela.barbera@unina.it BARTOLOTTI GIUSEPPE Associazione Cultura e Sviluppo Viale M.T. Michel, 2 - 15100 Alessandria acsal@acsal.org

CAPPELLI PIERFRANCESCO Via A. Sangallo, 4 37138 Verona CARTA NICOLA Dipartimento di Scienze della Terra Università degli Studi di Cagliari via Trentino, 51 - 09127 Cagliari nikocarta@hotmail.com

BASSI DAVIDE Dipartimento delle Risorse Naturali e Culturali Università degli Studi di Ferrara Corso Porta Mare, 2 - 44100 Ferrara bsd@unife.it BEDETTI CLAUDIA Dipartimento di Scienze della Terra Università “La Sapienza” di Roma Piazzale A. Moro, 5 - 00185 Roma claudia.bedetti@uniroma1.it

CEREGATO ALESSANDRO Dipartimento di Scienze della Terra e Geologico - Ambientali (DSTGA) Università degli Studi di Bologna Via Zamboni, 67 - 40126 Bologna ceregato@geomin.unibo.it

BONA FABIO Dipartimento di Scienze della Terra "Ardito Desio" Università degli Studi di Milano Via Mangiagalli, 34 - 20133 Milano fabio.bona@unimi.it

CHERCHI ANTONIETTA Dipartimento di Scienze della Terra Università degli Studi di Cagliari via Trentino, 51 - 09127 Cagliari acherchi@unica.it

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Giornate di Paleontologia 2003 – Alessandria, 22-25 Maggio 2003 _________________________________________________________________________

DELFINO MASSIMO Dipartimento di Scienze della Terra e Museo di Storia Naturale (Sezione di Geologia e Paleontologia) Università degli Studi di Firenze Via La Pira, 4 - 50121 Firenze delfino@geo.unifi.it

CHIA BARBARA Dipartimento di Scienze della Terra Università degli Studi di Cagliari via Trentino, 51 - 09127 Cagliari CIOPPI ELISABETTA Museo di Storia Naturale (Sezione di Geologia e Paleontologia) Università degli Studi di Firenze Via La Pira, 4 - 50121 Firenze cioppi@unifi.it

DI CANZIO EMANUELE Dipartimento di Scienze della Terra Università “La Sapienza” di Roma Piazzale A. Moro, 5 - 00185 Roma emanuele.dicanzio@uniroma1.it

CONTI STEFANO Dipartimento di Scienze della Terra Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia Largo S. Eufemia, 19 – 41100 Modena sconti@unimo.it

DI GERONIMO ITALO Dipartimento di Scienze Geologiche Sezione di Oceanologia e Paleoecologia Università degli Studi di Catania Corso Italia, 55 - 95129 Catania digeroni@mbox.unict.it

COPPA MARIA GRAZIA Dipartimento Scienze della Terra Università degli Studi di Napoli "Federico II" L.go S.Marcellino, 10 - 80138 Napoli grappa@unina.it

DI STEFANO AGATA Dipartimento di Scienze Geologiche Sezione di Geologia e Geofisica Università degli Studi di Catania Corso Italia, 55 - 95129 Catania distefan@unict.it

CORRADINI CARLO Dipartimento di Scienze della Terra Università degli Studi di Cagliari via Trentino, 51 - 09127 Cagliari corradin@unica.it

ESU DANIELA Dipartimento di Scienze della Terra Università “La Sapienza” di Roma Piazzale A. Moro, 5 - 00185 Roma daniela.esu@uniroma1.it

CORRADINI DOMENICO Dipartimento del Museo di Paleobiologia e dell'Orto Botanico, Sezione di Paleontologia Università di Modena e Reggio Emilia via Università, 4 - 41100 Modena corradini.domenico@unimo.it

FAEDDA DANIELE Dipartimento di Scienze della Terra Università degli Studi di Cagliari via Trentino, 51 - 09127 Cagliari

CROBU ELENA Dipartimento di Scienze della Terra Università degli Studi di Cagliari via Trentino, 51 - 09127 Cagliari

FERRERO ELENA Dipartimento di Scienze della Terra Università degli Studi di Torino Via Accademia delle Scienze, 5 - 10123 Torino elena.ferrero@unito.it

DE FAVERI ALDO Associazione Cultura e Sviluppo Viale M.T. Michel, 2 - 15100 Alessandria acsal@acsal.org

FERRETTI MARCO P. Dipartimento di Scienze della Terra e Museo di Storia Naturale (Sezione di Geologia e Paleontologia) Università degli Studi di Firenze Via La Pira, 4 - 50121 Firenze mferrett@geo.unifi.it

DALLA VECCHIA FABIO MARCO Museo Paleontologico Cittadino Via Valentinis, 134 - 34074 Monfalcone fabdalla@tin.it DEIANA ALESSANDRA Dipartimento di Botanica ed Ecologia Vegetale Università degli Studi di Sassari Via Muroni, 25 - 07100 Sassari alessandra.deiana@tiscali.it

FILIGHEDDU ROSSELLA Dipartimento di Botanica ed Ecologia Vegetale Università degli Studi di Sassari Via Muroni, 25 - 07100 Sassari filighed@ssmain.uniss.it

54


Giornate di Paleontologia 2003 – Alessandria, 22-25 Maggio 2003 _________________________________________________________________________

GUIOLI SIMONA Civico Museo di Scienze Naturali Sezione di Paleontologia Via Gramsci, 1 - 27058 Voghera (PV) guioli@unipv.it

FREDIANI PIERO V. Masini, 58 Castelfiorentino (FI) FUGAGNOLI ANNA Dipartimento delle Risorse Naturali e Culturali Università degli Studi di Ferrara C.so Ercole I d'Este, 32 - 44100 Ferrara bro@dns.unife.it

GUALA GIORGIO Associazione Cultura e Sviluppo Viale M.T. Michel, 2 - 15100 Alessandria acsal@acsal.org

FUSCO FABIO Dipartimento di Scienze della Terra e Geologico - Ambientali (DSTGA) Università degli Studi di Bologna Via Zamboni, 67 - 40126 Bologna fusco@geomin.unibo.it

KUSTATSCHER EVELYN Dipartimento di Scienze della Terra Universita' degli Studi di Ferrara C.so Ercole I d'Este, 32 - 44100 Ferrara Evelyn.Kustatscher@libero.it

GALLAI GIANNI Dipartimento di Scienze della Terra Università degli Studi di Firenze Via La Pira, 4 - 50121 Firenze gianni.gallai@geo.unifi.it

LA PERNA RAFAEL Dipartimento di Geologia e Geofisica Università degli Studi di Bari via E. Orabona, 4 - 70125, Bari r.laperna@geo.uniba.it

GIOVINAZZO CATERINA Dipartimento di Scienze della Terra Università “La Sapienza” di Roma Piazzale A. Moro, 5 - 00185 Roma

LOZAR FRANCESCA Dipartimento di Scienze della Terra Università degli Studi di Torino Via Accademia delle Scienze, 5 - 10123 Torino Francesca.lozar@unito.it

GIRONE ANGELA Dipartimento di Geologia e Geofisica Università degli Studi di Bari via E. Orabona, 4 - 70125, Bari girone@geo.uniba.it

LUCIANI VALERIA Dipartimento di Scienze della Terra Università degli Studi di Ferrara Corso Ercole I d'Este, 32 - 44100 Ferrara lcv@dns.unife.it

GIROTTI ODOARDO Dipartimento di Scienze della Terra Università “La Sapienza” di Roma Piazzale A. Moro, 5 - 00185 Roma odoardogirotti@uniroma1.it

MAGENES PAOLO Via Bari, 20/H 20143 Milano paolomagenes@tiscali.it

GIUNTELLI PIERO via Torino, 160 10076 Nole (TO) bertino.sas@tin.it

MANA DAVIDE Corso Traiano 24/8 10135 Torino davide.mana@libero.it

GOLIA SILVIA Dipartimento di Metodi Quantitativi Facoltà di Economia Università degli Studi di Brescia C.da S.Chiara, 50 - 25122 Brescia golia@eco.unibs.it

MANGANO GABRIELLA Dipartimento di Scienze della Terra Università degli Studi di Messina Via Sperone, 31 - 98166 S.Agata (ME) gabri@labcart.unime.it MARRA ANTONELLA CINZIA Dipartimento di Scienze della Terra Università degli Studi di Messina Via Sperone, 31 - 98166 S.Agata (ME) amarra@unime.it

GOZZI EMANUELE Dipartimento di Scienze della Terra "Ardito Desio" Università degli Studi di Milano Via Mangiagalli, 34 - 20133 Milano Emanuele.Gozzi@unimi.it

55


Giornate di Paleontologia 2003 – Alessandria, 22-25 Maggio 2003 _________________________________________________________________________

PERUGINI GIANLUCA Dipartimento di Scienze della Terra Università “La Sapienza” di Roma Piazzale A. Moro, 5 - 00185 Roma gianluca.perugini@uniroma1.it

MARSILI ANDREA Istituto di Geologia Università degli Studi “Carlo Bo” di Urbino Campus Scientifico Loc. Crocicchia - 61029 Urbino marsili.and@tiscali.it

PETRUCCI FABRIZIA Via Nino Bixio, 1 50121 Firenze

MARTINETTO EDOARDO Dipartimento di Scienze della Terra Università degli Studi di Torino Via Accademia delle Scienze, 5 - 10123 Torino edoardo.martinetto@unito.it MASTROCINQUE DANILO via Laclos, 29 74100 Taranto

PIAZZA MICHELE Dipartimento per lo studio del Territorio e delle sue Risorse Università degli Studi di Genova Corso Europa, 26 - 16132 Genova mpiazza@dipteris.unige.it

MAZZARELLA ANNA Dipartimento di Scienze della Terra Università degli Studi di Torino Via Valperga Caluso, 35 - 10125 Torino anna.mazzarella@tin.it

PIGNATTI JOHANNES Dipartimento di Scienze della Terra Università “La Sapienza” di Roma Piazzale A. Moro, 5 - 00185 Roma johannes.pignatti@uniroma1.it

MELIS ROMANA Dipartimento di Scienze Geologiche, Ambientali e Marine Università degli Studi di Trieste via Weiss, 2 - 34127 Trieste melis@univ.trieste.it

PILLOLA GIANLUIGI Dipartimento di Scienze della Terra Università degli Studi di Cagliari via Trentino, 51 - 09127 Cagliari pillolag@unica.it

MOLINARO ETTORE Museo Civico “Craveri” di Storia Naturale Via Craveri, Bra (CN) craveri@comune.bra.cn.it

PITTAU PAOLA Dipartimento di Scienze della Terra Università degli Studi di Cagliari via Trentino, 51 - 09127 Cagliari pittaup@unica.it

ORSO JORDI Ente Nazionale Germanico per il Turismo Via Soperga, 36 - 20127 Milano jordi.orso@d-z-t.com

PLEBANI PIERA Via Einaudi, 6/a 24055 Cologno al Serio (BG) plebanipierina@virgilio.it

PALOMBO MARIA RITA Dipartimento di Scienze della Terra Università “La Sapienza” di Roma Piazzale A. Moro, 5 - 00185 Roma mariarita.palombo@uniroma1.it

POSENATO RENATO Dipartimento di Scienze della Terra Universita' degli Studi di Ferrara C.so Ercole I d'Este, 32 - 44100 Ferrara psr@dns.unife.it

PAVIA GIULIO Dipartimento di Scienze della Terra Università degli Studi di Torino Via Accademia delle Scienze, 5 - 10123 Torino giulio.pavia@unito.it

PRIANO GIGI Associazione Cultura e Sviluppo Viale M.T. Michel, 2 - 15100 Alessandria acsal@acsal.org PUGLIESE NEVIO Dipartimento di Scienze Geologiche, Ambientali e Marine Università degli Studi di Trieste via Weiss, 2 - 34127 Trieste pugliese@univ.trieste.it

PAVIA MARCO Dipartimento di Scienze della Terra Università degli Studi di Torino Via Accademia delle Scienze, 5 - 10123 Torino marco.pavia@unito.it

56


Giornate di Paleontologia 2003 – Alessandria, 22-25 Maggio 2003 _________________________________________________________________________ ROSI TIZIANO Associazione Cultura e Sviluppo Viale M.T. Michel, 2 - 15100 Alessandria acsal@acsal.org

QUARANTA FRANCESCA Dipartimento per lo studio del Territorio e delle sue Risorse Università degli Studi di Genova Corso Europa, 26 - 16132 Genova quaranta@dipteris.unige.it

ROOK LORENZO Dipartimento di Scienze della Terra e Museo di Storia Naturale (Sezione di Geologia e Paleontologia) Università degli Studi di Firenze Via La Pira, 4 - 50121 Firenze Lrook@geo.unifi.it

RAFFI SERGIO Dipartimento di Scienze della Terra e Geologico - Ambientali (DSTGA) Università degli Studi di Bologna Via Zamboni, 67 - 40126 Bologna raffi@geomin.unibo.it

ROSSO ANTONIETTA Dipartimento di Scienze Geologiche Sezione di Oceanologia e Paleoecologia Università degli Studi di Catania Corso Italia, 55 - 95129 Catania rosso@mbox.unict.it

RAGUSA MICHELA Dipartimento di Scienze della Terra Università “La Sapienza” di Roma Piazzale A. Moro, 5 - 00185 Roma michela.ragusa@uniroma1.it REBECCHI ANGELMARIO viale Dante Alighieri, 45 29100 Piacenza angelmario@libero.it

RUSSO ANTONIO Dipartimento del Museo di Paleobiologia e dell'Orto Botanico, Sezione di Paleontologia Università di Modena e Reggio Emilia via Università, 4 - 41100 Modena russo.antonio@unimo.it

RICCI LUCCHI MARIANNA Dipartimento di Scienze della Terra e Geologico - Ambientali (DSTGA) Università degli Studi di Bologna Via Zamboni, 67 - 40126 Bologna mariana@geomin.unibo.it

SACCÀ MARIA RITA Dipartimento di Scienze della Terra Università degli Studi di Messina Via Sperone, 31 - 98166 S.Agata (ME)

RIGHI DANIELA Dipartimento del Museo di Paleobiologia e dell'Orto Botanico, Sezione di Paleontologia Università di Modena e Reggio Emilia via Università, 4 - 41100 Modena daniela_righi@yahoo.it

SANFILIPPO ROSSANA Dipartimento di Scienze Geologiche Sezione di Oceanologia e Paleoecologia Università degli Studi di Catania Corso Italia, 55 - 95129 Catania Sanfros@mbox.unict.it

RINDONE ANTONINO Liceo Scientifico Statale "Archimede" Viale Regina Margherita, 3 – 98122 Messina rindone.me@tin.it

SARDELLA RAFFAELE Dipartimento di Scienze della Terra Università “La Sapienza” di Roma Piazzale A. Moro, 5 - 00185 Roma raffaele.sardella@uniroma1.it

ROBBA ELIO Dipartimento di Scienze Geologiche e Geotecnologiche Università degli Studi di Milano-Bicocca Piazza della Scienza, 4 - 20126 Milano elio.robba@unimib.it

SCHROEDER ROLF Forschungsinstitut Senckenberg Senckenberg - Anlage 25 D-60054 Frankfurt am Main GERMANY SCIUTO FRANCESCO Dipartimento di Scienze Geologiche Sezione di Oceanologia e Paleoecologia Università degli Studi di Catania Corso Italia, 55 - 95129 Catania fsciuto@mbox.unict.it

ROGHI GUIDO Istituto di Geoscienze e Georisorse IGG – CNR c/o Dipartimento di Geologia, Paleontologia e Geofisica Università degli Studi di Padova Via Giotto, 1 - 35137 Padova guido@geol.dmp.unipd.it

57


Giornate di Paleontologia 2003 – Alessandria, 22-25 Maggio 2003 _________________________________________________________________________ VECOLI MARCO Laboratoire de Paléontologie UMR 6538 "Domaines Océaniques" Université de Bretagne Occidentale 6, Av. Le Gorgeu BP 809 9285 Brest cedex FRANCE marco.vecoli@univ-brest.fr

SERVENTI PAOLO Dipartimento del Museo di Paleobiologia e dell'Orto Botanico, Sezione di Paleontologia Università di Modena e Reggio Emilia via Università, 4 - 41100 Modena pserventi@libero.it SMEDILE ALESSANDRA Dipartimento di Scienze Geologiche Sezione di Geologia e Geofisica Università degli Studi di Catania Corso Italia, 55 - 95129 Catania asmedile@unict.it

VIOLANTI DONATA Dipartimento di Scienze della Terra Università degli Studi di Torino Via Valperga Caluso, 35 - 10125 Torino donata.violanti@unito.it

TONON MARCO Dipartimento di Scienze della Terra Università degli Studi di Torino Via Accademia delle Scienze, 5 - 10123 Torino marco.tonon@unito.it

ZANNOTTI SIMONE Dipartimento di Scienze della Terra Università degli Studi di Cagliari via Trentino, 51 - 09127 Cagliari ZUNINO MARTA Dipartimento di Scienze della Terra Università degli Studi di Torino Via Accademia delle Scienze, 5 - 10123 Torino martazunino@tiscali.it

TRENKWALDER STEFANIA Dipartimento di Scienze della Terra Università degli Studi di Torino Via Valperga Caluso, 35 - 10123 Torino stefania.trenkwalder@unito.it VANNUCCI MARIA GRAZIA Dipartimento per lo studio del Territorio e delle sue Risorse Università degli Studi di Genova Corso Europa, 26 - 16132 Genova vannucci@dipteris.unige.it

58


Giornate di Paleontologia 2003 – Alessandria, 22-25 Maggio 2003 _________________________________________________________________________ INDICE DEGLI AUTORI NOME

TITOLO CONTRIBUTO

PAG.

ABBAZZI L.

I vertebrati fossili Plio-Pleistocenici del Monte Tuttavista (Orosei, Sardegna)

2

ABBAZZI L.

Resti fossili di insetti in depositi messiniani (Miocene superiore) nell’area di Gabbro (Livorno)

1

ANGELONE C.

I vertebrati fossili Plio-Pleistocenici del Monte Tuttavista (Orosei, Sardegna)

2

ARBULLA D.

Aspetti biogeografici dell'ostracofauna dell'Arcipelago de La Maddalena

3

ARCA M.

I vertebrati fossili Plio-Pleistocenici del Monte Tuttavista (Orosei, Sardegna)

2

ARCA M.

La sezione di paleontologia del Museo Archeologico di Nuoro

4

ATAABADI M.M.

Ricerca di dinosauri in Iran

BARISONE G.

I vertebrati fossili Plio-Pleistocenici del Monte Tuttavista (Orosei, Sardegna)

2

BASSI D.

Le associazioni a macroforaminiferi e ad alghe corallinacee dell'Oligocene superiore del Veneto: biostratigrafia e sinecologia

5

BASSI D.

Le Corallinacee del Pliocene del Monte Cetona (Appennino settentrionale, Italia)

6

BEDETTI C.

Gli uccelli fossili del Pleistocene della Grotta delle Mura (Monopoli, Bari)

7

BEDETTI C.

I vertebrati fossili Plio-Pleistocenici del Monte Tuttavista (Orosei, Sardegna)

2

BONA F.

Dieci anni di scavi paleontologici sul Monte Generoso

8

BONCI M.C.

I microfossili di Isola d’Asti e di Calliano: elementi per correlazioni nel Pliocene del Piemonte

50

BONDIOLI L.

Micro CT-scan investigations on Oreopithecus bambolii, a Late Miocene fossil Ape

46

BONFIGLIO L.

31

BOVE FORGIOT L.

Campagna di scavo 2002 nei depositi pleistocenici della Grotta di S. Teodoro (Acquedolci, Messina Sicilia Nord-orientale) Una nuova probabile evidenza della discendenza di Hippopotamus pentlandi da Hippopotamus amphibius Le microfaune Plioceniche di Verrua Savoia (Piemonte, Italia NW): problematiche biostratigrafiche e paleoambientali

CAPPELLI F.

Resti fossili di insetti in depositi messiniani (Miocene superiore) nell’area di Gabbro (Livorno)

CEREGATO A.

Malacofaune plioceniche di Rio Pontazzo (Torrazza Coste, Pavia)

27

CHAIMANEE N.

15

COCCIONI R.

A paleontological approach to the assessment of recent changes in benthic molluscan biodiversity: preliminary results in the Northern Gulf of Thailand Gli eventi anossici oceanici Selli (OAE1a, tardo Aptiano inferiore) e bonarelli (OAE2, Cenomaniano terminale): significato paleo-oceanografico dei foraminiferi planctonici

COPPELLOTTI O.

Microrganismi fossili inclusi nell'ambra triassica delle Dolomiti

45

CORRADINI C.

Prima segnalazione di loboliti (Crinoidea) nel Devoniano basale delle Alpi Carniche italiane

11

D’ALESSANDRO A.

Amygdalum (Mytilidae), il bivalve nel “bozzolo”: dati tafonomici e paleoecologici dal Pliocene Superiore della Puglia

29

DALLA VECCHIA F.M.

Ricerca di dinosauri in Iran

12

DE PAULA SILVA H.

Ricerca di dinosauri in Iran

12

DEIANA A.

Legni fossili dell’Anglona (Sardegna nord-occidentale)

13

DELFINO M.

Erymnochelys sp.: una tartaruga "malgascia" nel Paleogene della Sardegna

44

DELFINO M.

I vertebrati fossili Plio-Pleistocenici del Monte Tuttavista (Orosei, Sardegna)

DELFINO M.

Il record cenozoico dell'erpetofauna italiana

14

DI GERONIMO I.

A paleontological approach to the assessment of recent changes in benthic molluscan biodiversity: preliminary results in the Northern Gulf of Thailand

15

BONFIGLIO L.

12

59

16 9 1

10

2


Giornate di Paleontologia 2003 – Alessandria, 22-25 Maggio 2003 _________________________________________________________________________ NOME

TITOLO CONTRIBUTO

PAG.

16

ESU D.

Una nuova probabile evidenza della discendenza di Hippopotamus pentlandi da Hippopotamus amphibius Oligo/Miocene mollusc fauna from near Otranto (Southern Apulia, southern Italy): a non-marine to marine transition

ESU D.

The latest Messinian “lago-mare” mollusc faunas from Italy. palaeo-biogeographical aspects

17

FERRERO E.

Esperienze di fruizione didattica e di valorizzazione di alcuni affioramenti fossiliferi del Monferrato

21

FERRERO E.

Il Museo Craveri alla scoperta delle isole di Capoverde

20

FERRERO E.

Malacofauna Pliocenica di Castellengo (Biellese, Italia NW)

19

FERRETTI M.P.

An overview on feeding adaptations in the Hyaenidae (Mammalia)

22

FERRETTI M.P.

South American Proboscideans: new data and new problems

23

FILIGHEDDU R.

Legni fossili dell’Anglona (Sardegna nord-occidentale)

13

FUSCO F.

24

GALLAI G.

Evoluzione paleovegetazionale e paleoclimatica nel Golfo di Izmit (Mar di Marmara) durante il Tardiglaciale e l’Olocene Considerazioni paleobiologiche sulla paleofauna mammaliana Turoliana (Miocene Superiore) del Bacino del Casino (Siena)

GHINASSI M.

Resti fossili di insetti in depositi messiniani (Miocene superiore) nell’area di Gabbro (Livorno)

GIOVINAZZO C.

Ecological structure of the Middle Pleistocene mammal faunas of Italian peninsula

38

GIROTTI O.

Oligo/Miocene mollusc fauna from near Otranto (Southern Apulia, southern Italy): a non-marine to marine transition

18

GORI M.

Resti fossili di insetti in depositi messiniani (Miocene superiore) nell’area di Gabbro (Livorno)

GOZZI E.

Interpretazione morfo-funzionale del cranio nel genere Birgeria Stensiö, 1919

26

GUIOLI S.

Malacofaune plioceniche di Rio Pontazzo (Torrazza Coste, Pavia)

27

JAFARIAN M.A.

Ricerca di dinosauri in Iran

12

KELLNER A.W.A.

Ricerca di dinosauri in Iran

12

KHOSRAVI E.

Ricerca di dinosauri in Iran

12

KOTSAKIS T.

A new Gavialid from Early Miocene of South-eastern Pakistan

42

KOTSAKIS T.

I vertebrati fossili Plio-Pleistocenici del Monte Tuttavista (Orosei, Sardegna)

KUSTATSCHER E.

Ricostruzione di Neuropteridium, una felce del Triassico Medio

28

LA PERNA R.

29

LUCIANI V.

Amygdalum (Mytilidae), il bivalve nel “bozzolo”: dati tafonomici e paleoecologici dal Pliocene Superiore della Puglia Gli eventi anossici oceanici Selli (OAE1a, tardo Aptiano inferiore) e bonarelli (OAE2, Cenomaniano terminale): significato paleo-oceanografico dei foraminiferi planctonici

MACCHIARELLI R.

Micro CT-scan investigations on Oreopithecus bambolii, a Late Miocene fossil Ape

46

MANA D.

Analisi statistica in paleontologia

30

MANGANO G.

31

MANGANO G.

Campagna di scavo 2002 nei depositi pleistocenici della Grotta di S. Teodoro (Acquedolci, Messina Sicilia Nord-orientale) Una nuova probabile evidenza della discendenza di Hippopotamus pentlandi da Hippopotamus amphibius

MARCOLINI F.

I vertebrati fossili Plio-Pleistocenici del Monte Tuttavista (Orosei, Sardegna)

MARRA A.C.

Da Reggio Calabria a Terreti: un itinerario tra i mari perduti d'Aspromonte

32

MARRA A.C.

Settimana della Cultura 2003. "Il giacimento Tirreniano di Bovetto”

33

MARTINETTO E.

Foglie di Angiosperme del Neogene: spunti per capirne meglio il significato paleobiologico e paleoambientale

34

MARTINETTO E.

La Foresta Fossile dello Stura di Lanzo: un Geosito da proteggere e valorizzare

35

DI PATTI C.

60

18

25 1

1

2

10

16 2


Giornate di Paleontologia 2003 – Alessandria, 22-25 Maggio 2003 _________________________________________________________________________ NOME

TITOLO CONTRIBUTO

PAG.

MAZZARELLA A.

I microfossili di Isola d’Asti e di Calliano: elementi per correlazioni nel Pliocene del Piemonte

50

MEDADI M.

Ricerca di dinosauri in Iran

12

MELIS R.

Analisi morfometriche di foraminiferi bentonici del Mare di Ross: considerazioni relative al trasporto dei gusci

36

MELIS R.

I foraminiferi dell'area costiera di Phetchaburi (Tailandia): osservazioni preliminari

37

MERLINO B.

Malacofauna Pliocenica di Castellengo (Biellese, Italia NW)

19

MOLINARO E.

Il Museo Craveri alla scoperta delle isole di Capoverde

20

MORTARA G.

Il Museo Craveri alla scoperta delle isole di Capoverde

20

NEBELSICK J.H. NEGRI M.

Le associazioni a macroforaminiferi e ad alghe corallinacee dell'Oligocene superiore del Veneto: biostratigrafia e sinecologia A paleontological approach to the assessment of recent changes in benthic molluscan biodiversity: preliminary results in the Northern Gulf of Thailand

15

PALOMBO M.R.

Ecological structure of the Middle Pleistocene mammal faunas of Italian peninsula

38

PALOMBO M.R.

I vertebrati fossili Plio-Pleistocenici del Monte Tuttavista (Orosei, Sardegna)

PALOMBO M.R.

Similarities among large mammal faunas of France from the Pliocene to the Middle Pleistocene

PASSERI L.

Le Corallinacee del Pliocene del Monte Cetona (Appennino settentrionale, Italia)

PAVIA G.

Geodiversità nelle associazioni fossili del Miocene inferiore e medio della Collina di Torino

40

PAVIA G.

L’Ursus spelaeus della Grotta del Bandito di Roaschia (Cuneo): datazione relativa e considerazioni tafonomiche

51

PAVIA M.

Gli uccelli fossili del Pleistocene della Grotta delle Mura (Monopoli, Bari)

7

PAVIA M.

I vertebrati fossili Plio-Pleistocenici del Monte Tuttavista (Orosei, Sardegna)

2

PICCIONE S.

16

PILLOLA G.L.

Una nuova probabile evidenza della discendenza di Hippopotamus pentlandi da Hippopotamus amphibius Significato paleoambientale dell’icnofossile Glockerichnus Pickerill, 1982 nella FM. di San Vito (Cambro-Ordoviciano, Sarrabus, Sardegna Sud-orientale)

PIRAS P.

A new Gavialid from Early Miocene of South-eastern Pakistan

42

PIRAS P.

I vertebrati fossili Plio-Pleistocenici del Monte Tuttavista (Orosei, Sardegna)

PIRAS S.

41

POSENATO R.

Significato paleoambientale dell’icnofossile Glockerichnus Pickerill, 1982 nella FM. di San Vito (Cambro-Ordoviciano, Sarrabus, Sardegna Sud-orientale) Orizzonti a nautiloidi e a brachiopodi della Formazione a Bellerophon (Permiano Superiore) in Val Gardena (Dolomiti)

POURBAGHEBAN M.R.

Ricerca di dinosauri in Iran

12

PRINOTH H.

Orizzonti a nautiloidi e a brachiopodi della Formazione a Bellerophon (Permiano Superiore) in Val Gardena (Dolomiti)

43

PROVERA A.

Esperienze di fruizione didattica e di valorizzazione di alcuni affioramenti fossiliferi del Monferrato

21

PROVERA A.

Malacofauna Pliocenica di Castellengo (Biellese, Italia NW)

19

RAGAZZI E.

Microrganismi fossili inclusi nell'ambra triassica delle Dolomiti

45

RETTORI R.

Le Corallinacee del Pliocene del Monte Cetona (Appennino settentrionale, Italia).

RICCI LUCCHI M.

Evoluzione paleovegetazionale e paleoclimatica nel Golfo di Izmit (Mar di Marmara) durante il Tardiglaciale e l’Olocene

24

RIGHETTO L.

I microfossili di Isola d’Asti e di Calliano: elementi per correlazioni nel Pliocene del Piemonte

50

RIGHI D.

Erymnochelys sp.: una tartaruga "malgascia" nel Paleogene della Sardegna

44

ROBBA E.

A paleontological approach to the assessment of recent changes in benthic molluscan biodiversity: preliminary results in the Northern Gulf of Thailand

15

ROGHI G.

Microrganismi fossili inclusi nell'ambra triassica delle Dolomiti

45

61

5

2 39 6

41

2

43

6


Giornate di Paleontologia 2003 – Alessandria, 22-25 Maggio 2003 _________________________________________________________________________ NOME

TITOLO CONTRIBUTO

PAG.

ROOK L.

An overview on feeding adaptations in the Hyaenidae (Mammalia)

ROOK L.

I vertebrati fossili Plio-Pleistocenici del Monte Tuttavista (Orosei, Sardegna)

ROOK L.

Micro CT-scan investigations on Oreopithecus bambolii, a Late Miocene fossil Ape

ROOK L.

Resti fossili di insetti in depositi messiniani (Miocene superiore) nell’area di Gabbro (Livorno)

ROOK L.

South American Proboscideans: new data and new problems

23

SANFILIPPO R.

15

SANFILIPPO R.

A paleontological approach to the assessment of recent changes in benthic molluscan biodiversity: preliminary results in the Northern Gulf of Thailand Additional notes on the little known Serpulid Serpula israelitica Amoureux, 1976 and new Mediterranean records

SCIUTO F.

Ostracodi batiali pleistocenici di Capo Milazzo (ME, Sicilia NE)

48

SERVENTI P.

La collezione Lawley (1877) di ittiodontoliti del Museo Paleontologico di Modena

49

SERVENTI P.

Prima segnalazione di loboliti (Crinoidea) nel Devoniano basale delle Alpi Carniche italiane

11

SEYFORI S.

Ricerca di dinosauri in Iran

12

SIMONETTO L.

Prima segnalazione di loboliti (Crinoidea) nel Devoniano basale delle Alpi Carniche italiane

11

TONON M.

Esperienze di fruizione didattica e di valorizzazione di alcuni affioramenti fossiliferi del Monferrato

21

TORRE D.

I vertebrati fossili Plio-Pleistocenici del Monte Tuttavista (Orosei, Sardegna)

2

TRENKWALDER S.

Le microfaune Plioceniche di Verrua Savoia (Piemonte, Italia NW): problematiche biostratigrafiche e paleoambientali

9

TSAKIRIDOU E.

I foraminiferi dell'area costiera di Phetchaburi (Tailandia): osservazioni preliminari

TUVERI C.

I vertebrati fossili Plio-Pleistocenici del Monte Tuttavista (Orosei, Sardegna)

2

TUVERI C.

La sezione di paleontologia del Museo Archeologico di Nuoro.

4

VALLI A.

I vertebrati fossili Plio-Pleistocenici del Monte Tuttavista (Orosei, Sardegna)

2

VALLI A.

Similarities among large mammal faunas of France from the Pliocene to the Middle Pleistocene

39

VAN KONIJNENBURG VAN CITTERT J.

Ricostruzione di Neuropteridium, una felce del Triassico Medio

28

VIOLANTI D.

I foraminiferi dell'area costiera di Phetchaburi (Tailandia): osservazioni preliminari

37

VIOLANTI D.

I microfossili di Isola d’Asti e di Calliano: elementi per correlazioni nel Pliocene del Piemonte

50

VIOLANTI D.

Le microfaune Plioceniche di Verrua Savoia (Piemonte, Italia NW): problematiche biostratigrafiche e paleoambientali

WACHTLER M.

Ricostruzione di Neuropteridium, una felce del Triassico Medio

28

ZUNINO M.

L’Ursus spelaeus della Grotta del Bandito di Roaschia (Cuneo): datazione relativa e considerazioni tafonomiche

51

62

22 2 46 1

47

37

9


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