Bob Noorda - il Maestro della Linea

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Bob Noorda Il maestro della linea



DesignVerso DesignVerso: una collana dedicata ai designer della comunicazione immaginata come allegato alla rivista Multiverso, Università degli Studi di Udine. Curatori della rivista Il tocco di Noorda - Andrea Silvano Noorda e l’editoria - Arianna Lacroce Bob Noorda, un viaggio attraverso la metro - collettivo Case studies - Beatrice Curti Dopo Noorda - Arianna Dipollina Stampa GRIMM service snc di F. Coldani e A. Rossi Via Candiani 114, Milano (MI)

2 . 2 . | I L M A R C H I O, I L LO G OT I P O : L E D E C L I N A Z I O N I

Facoltà di Design, A.A. 2016/2017 Laboratorio di Fondamenti del Progetto Sezione C2 Docenti Prof. Daniela Calabi Prof. Cristina Boeri Prof. Raffaella Bruno Cultori della materia Dott.ssa Monica Fumagalli Dott.ssa Silvia Mondello


Editoriale

Designverso è una collana di monografie dedicata ai più noti designer del Novecento. Esso scaturisce dalla rivista mensile Multiverso nata nel 2005 presso l’Università degli Studi di Udine. Questo numero tratta del designer olandese Bob Noorda attraverso quattro sezioni. Gli articoli fanno parte di rubriche strettamente collegate le une con le altre: la rivista è stata pensata come un percorso che vuole raccontare il designer partendo da un’introduzione di quest’ultimo nel contesto in cui ha iniziato i suoi primi lavori, per poi passare allo studio di alcuni tra i suoi più noti lavori e concludere con una rubrica dedicata alle commemorazioni e i ricordi espressi dopo la morte di Noorda da coloro che gli furono vicini. Ci sembrava interessante cominciare il nostro percorso monografico con una rubrica dedicata ai suoi primi lavori; infatti Noorda fu uno tra i grandi designer che operò durante anni d’oro della grafica dando un enorme contributo alla creazione del noto stile milanese. Le due rubriche centrali trattano i lavori di Noorda nell’ambito dell’editoria, in particolare la sua grande collaborazione con il Touring Club, e due casi studio di branding per famose istituzioni del settore terziario: Enel e Regione Lombardia. Concludiamo con un toccante ricordo del grafico da parte dei suoi colleghi e di sua moglie. Ci auguriamo che il lettore si immedesimi nel viaggio che questa rivista si propone di essere.


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Il tocco di Noorda 06.Lo stile milanese Gli anni d’oro della grafica italiana nel capoluogo lombardo 12.Un grafico, cinque punti Bob Noorda raccontato da Bob Noorda

Noorda e l’editoria 18.Noorda su carta Noorda e la carta stampata: fatti l’uno per l’altra 26.Il grafico del viaggio Il lavoro di Noorda sull’immagine coordinata del Touring Club Italiano

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Case studies 38.Regione Lombardia Un’ensamble di comunicatori diretta da Munari inventa un logo di storia e di futuro 46.Enel Il progetto di un logo targato Noorda e Minoggio per il colosso dell’energia

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Inserto Un viaggio attraverso la metro Alla scoperta del progetto grafico della M1 in un inserto pieghevole che nasconde un poster al suo interno

Dopo Noorda 52.In memoria di Noorda Un ricordo del maestro dai suoi amici e colleghi 58.Una vita di passione per il design Bob Noorda per la moglie Ornella, la donna che lo ha conosciuto meglio

Indice

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Andrea Silvano

Il tocco di Noorda


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Lo stile milanese


di M. Piazza, 8 giugno 2007

Cartolina raffigurante Via Orefici, anni ‘60

Eccoci da Bob Noorda, limpido testimone di una stagione – gli anni Cinquanta e Sessanta – che ha visto molti grafici e fotografi stranieri approdare a Milano, polo attrattivo di una cultura unica del design. Una cultura sorgiva, che si stava generando, affiancando alle teorie del disegno industriale di matrice funzionalista, una propensione soggettiva, tipicamente italiana, libera e immaginativa. Quello “stile milanese”, come lo ha definito ad esempio Hollis, che ha saputo dare un volto alla grande industria italiana. Pur non essendoci scuole, disciplinarmente orientate, Milano, con la Triennale come incubatore e cassa di risonanza della scena mondiale della ricerca, con il Compasso d’Oro de la Rinascente, le riviste da “Stile Industria” a “Pagina” era una meta, un luogo di approdo per possibili incontri e scoperte. È stato così per Max Huber e per tutta la filiera migratoria della scuola elvetica – funzionale e costruttiva – ed è stato così anche per l’olandese Bob Noorda. Noorda: “Sono arrivato nel 1955. Dovevo scegliere se andare in

America o restare in Europa, e Milano con le esposizioni della Triennale aveva un forte richiamo. Alla fine ho scelto Milano e da allora lavoro qui. Ricordo che quando arrivai ebbi la fortuna di incontrare un grafico di origine tedesca/cecoslovacca. Si chiamava Pavel Michael Engelmann e lavorava per la Pirelli. Abitava a Milano in via dei Transiti, a due passi da viale Monza dove aveva sede la Pirelli. Lavorava per Arrigo Castellani, il responsabile della comunicazione e aveva fatto un manifesto, Il pneumatico che morde la strada, usando dei veri copertoni per lasciare le impronte tipiche del battistrada. Così, tramite Engelmann, che quando partì mi lasciò la casa, il contatto con la Pirelli. Avevo studiato ad Amsterdam: prima all’Accademia d’arte e poi all’IvKNO, una scuola che trasmetteva e continuava la lezione del Bauhaus e di De Stijl. A Milano, sono stato fortunato. Ho iniziato subito una proficua collaborazione con la Pirelli. Nel 1961 ne sono diventato anche art director.

“Pur non essendoci scuole disciplinarmente orientate, Milano era una meta, un luogo di approdo per possibili incontri e scoperte.”

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Foto d’epoca nelle prossimità del Duomo

Castellani era un tipo molto energico, chiedeva una vicinanza assoluta. Dovevi essere facilmente reperibile e disponibile per risolvere i problemi: fare un manifesto, un opuscolo. Allora la Pirelli faceva molte cose non solo per il mondo automobilistico, produceva anche per la casa, per l’arredamento. E l’obiettivo non era una pubblicità come si intende oggi, anzi c’era una sorta di contesa ‘culturale’ con l’Olivetti. Pintori faceva una 8

grafica di qualità, con annunci molto originali e allo stesso tempo molto identificativi, una sorta di stile aziendale. La Pirelli di Castellani aveva una visione più corale, un approccio un po’ come quello dello studio Boggieri. Si offriva la possibilità a molti grafici di dare la propria interpretazione e i nomi di allora sono diventati tutti noti: da Tovaglia a Vignelli, da Grignani a Fletcher. Credo che Castellani cercasse una


grafica moderna, con molta libertà di ricerca espressiva ma anche contemporaneità da spendere nella comunicazione Pirelli”. In effetti in un numero di “L’Ufficio moderno. La pubblicità”, Arrigo Castellani in un servizio Il grafico del mese: Bob Noorda scrive a proposito dell’esistenza di uno stile, un linguaggio Noorda “attraverso il quale s’esprimono certe persuasioni occulte, certi fatti della vita collettiva come il libro o il metrò.

Si tratta di un linguaggio che ha superato l’epoca del pittore-pubblicitario e che corrisponde a quella del graphic design (‘servire la tecnica’) e stimolato dalla famosa ‘filosofia della comunicazione’”.

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Foto d’epoca di Amsterdam

“L’approccio razionale della formazione olandese si esprime in una grafica molto controllata, costruita su temi visivi semplici.” 10

L’esperienza di Noorda muove proprio in questa direzione, l’approccio razionale della formazione olandese, si esprime in una grafica molto controllata, costruita su temi visivi se vogliamo semplici, ma chiari e capaci di tenere il campo, lo spazio dell’artefatto. È una grafica sintetica, basata sul ragionamento, sulla necessità di un equilibrio da raggiungere. Ricerca un ordine formale che non è mai banale, risolto con un approccio iconico prevalentemente astratto (forme geometriche e forme tipografiche) ma anche facile da decodificare. L’orizzonte visivo di Noorda è davvero lontano dall’approccio figurale e

pittoricistico, è una tradizione nuova che sorprendentemente è capace di misurarsi anche con la nascente cultura dei consumi di massa. Noorda ha fatto annunci anche per i Pavesini e per i biscotti Plasmon. Usa la fotografia, il documento visivo, ma l’impianto costruttivo è astratto. E un ordine nascosto e raziocinante che sovraintende e spiega la chiarezza grafica di Noorda, la sua necessità di lavorare per sistemi e per funzioni.


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Noorda contempla la ciitĂ di Milano


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Un grafico, cinque punti


Pagina dal Graphics Standards Manual per la subway di New York City

di F. Dondina e B. Noorda, 2009 Nell’affrontare il disegno di un marchio, ho sempre cercato, tra le altre cose, di garantirne la memorabilità. Questo nel rispetto di un pensiero di Bruno Munari, che mi è sempre stato utile: Munari sosteneva che un marchio svolge pienamente la sua funzione quando viene facilmente ricordato e rimane impresso nella memoria; al punto che, se viene fatto vedere ad un bambino, anche per breve tempo, questi riesce a ridisegnarlo, almeno nelle caratteristiche principali che lo contraddistinguono. Un buon marchio certo non decreta il successo di un’azienda, ma può influenzarlo e sostenerlo significativamente, proprio perché capace di “raccontare” quell’azienda, presentandola e differenziandola rispetto all’offerta complessiva. Il metodo di lavoro per il design di un marchio parte da un briefing sviluppato insieme al committente e, come è ovvio, il primo approccio al progetto si focalizza sull’analisi del “problema”. Nel design di un marchio e di un sistema di corporate identity, ho sempre seguito un metodo molto semplice che essenzialmente si basa su cinque punti. Quando queste cinque regole sono rispettate e garantite, possiamo dire di essere di fronte a un progetto di corporate che funziona, che ha una propria personalità; e che quindi si è riusciti a cucire l’abito giusto per quell’azienda.

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Il secondo punto è l’atemporalità. Un marchio deve durare nel tempo, perciò non deve essere soggetto alle mode del momento. L’immagine coordinata è cosa ben diversa dalla pubblicità: le campagne pubblicitarie hanno una durata limitata, mente un progetto di corporate identity, creato per durare decenni, deve essere quanto più possibile svincolato dalla dimensione temporale.

Sintesi e semplicità, il primo. Per sua natura, il marchio è un elemento sintetico, un segno grafico che in pochi tratti deve essere in grado di rappresentare un’azienda, una società, un’istituzione o soggetto individuale. Il marchio deve essere semplice perché deve parlare al pubblico tramite un messaggio immediato, sintetico, riconoscibile e quindi facilmente comprensibile.

Il terzo punto è la riproducibilità. Un marchio, per dirsi tale, deve essere facilmente riproducibile su ogni tipo di supporto e in ogni situazione. Proprio per questo esistono diverse declinazioni del marchio, ossia versioni con caratteristiche differenti. Un marchio deve poter essere riproducibile a colori e in bianco e nero, in positivo e in negativo, ossia tanto su fondi chiari che su fondi scuri, senza però perdere le sue principali caratteristiche personali e di riconoscibilità. Da qui deriva la necessità di accompagnare lo studio del marchio con un manuale di istruzioni che spieghi sinteticamente, ma con estrema precisione, come utilizzarlo.


Il quinto punto riguarda il concetto di corporate identity. Spesso si tende, erroneamente, a limitare al solo marchio il progetto di immagine coordinata di un’azienda. Niente di più sbagliato che ritenere, una volta fissato il marchio, di aver creato l’abito completo per la società. L’immagine coordinata aziendale è una struttura molto complessa, di cui il marchio è una parte fondamentale, ma non è tutto. L’immagine coordinata è costituita da diversi codici di comunicazione, come i codici cromatici, ovvero i colori; i codici tipografici, ovvero il lettering e i font istituzionali; i codici iconografici, ovvero i pittogrammi e le icone; e, a volte, addirittura i codici fotografici, vale a dire le immagini istituzionali. Continuità: ecco, questo è un aggettivo molto vicino al concetto di corporate identity.

Il quarto punto è la memoria, ed è direttamente collegato alla frase di Bruno Munari che ho appena citato: un marchio deve utilizzare un linguaggio semplice e comprensibile a tutti.


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Arianna Lacroce

Noorda e l’editoria


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Noorda su carta


di M. Piazza, 2015 Un altro importante ambito di lavoro di Noorda è stato la grafica editoriale. Dai primi anni sessanta egli si è dedicato in maniera costante a progetti per l'immagine di editori, al disegno di collane, all'art direction di riviste. Il tratto comune di questa immensa mole di realizzazioni è il prevalere di un metodo che potremmo definire anti-iconico. È evidente che Noorda predilige il libro come oggetto tipografico. La sua attenzione è sul manufatto, sulla composizione e sul colore. Certo non esclude l'immagine, ma è un piano di secondo livello della progettazione. La forma del libro la si ottiene con le lettere, con la loro composizione, con la disposizione nella pagina, con il progetto cromatico e la scelta dei materiali e dell'allestimento. È un tenace assunto e sembra esprimere il significato che ha per Noorda il libro: una "merce" nobile, una sorta

Sede Mondadori a Segrate progettata da Oscar Niemeyer.

“Il libro: una "merce" nobile, una sorta di assoluto del progetto.”

di assoluto del progetto. Il libro non deve essere contaminato e impreziosito. Deve invece rispondere a un altro principio: essere parte di un sistema molteplice. Il progetto editoriale non è mai un unicum, è un programma, la pianificazione di una serie con regole e corollari. Nelle testate delle riviste disegnate da Noorda è sempre presente un minimalismo della "mossa" progettuale. Come se il lavoro fosse una partita a scacchi, dove la riflessione per le scelte è sempre più audace e determinante dell'azione. Più pensiero, meno forma. È così per “Questo e altro”, per “aut aut”, per “Ottagono” (1966), per “l’Arca”, per “Aqua”. Anche nei libri troviamo lo stesso approccio. La Vallecchi dei primi anni sessanta è quasi tutta risolta tipograficamente, tranne la narrativa. La Feltrinelli, realizzata dopo il 1965 con Massimo Vignelli, ripropone la stessa linea. Le collane “SC/10” e “I narratori” sono rimaste un modello. La saggistica tra scienza e umanesimo è disegnata con copertine a goffratura telata e con larghe bande diagonali disposte a 45 gradi a colori squillanti, come certi quadri di Kenneth Noland, dentro le quali corrono le titolazioni in Garamond. Il concetto di visibilità segnaletica entra in libreria.

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di F. Dondina e B. Noorda, 2009

Pagine estratte dal manuale di immagine coordinata della Mondadori.

Passiamo ai tuoi grandi progetti per l’editoria, come il marchio per la Mondadori. Per quel marchio, ho ottenuto l’incarico grazie a un concorso che ho vinto nel 1969. Era un concorso a inviti: eravamo quattro o cinque grafici, i soliti nomi mi sembra che ci fossero Giulio Gonfalonieri e Ilio Negri... Ma sai, una volta vinto non mi sono interessato molto di chi fossero i miei concorrenti. L’ho spuntata io, con quel marchio. L’applicazione però non è stata curata da me, in quella prima fase, perché Mondadori aveva una grossa organizzazione e uno staff grafico interno che si occupava di tutto questo. Quando poi, dopo qualche anno, Franco Tatò divenne amministratore delegato, mi chiamò per vedere se fosse possibile cambiare nuovamente il marchio, ma a quel punto era talmente conosciuto che non mi sembrò il caso di

“La fusione delle due iniziali porta con sé la memoria del sigillo tipografico dell'editore e l'efficacia del suggello di marchiatura del prodotto editoriale moderno.” M. Piazza rimetterci mano per modificarlo, e lo convinsi a mantenerlo così com’era. L’unica cosa su cui sono intervenuto è il re-design del logotipo, perché il mio marchio veniva sempre accompagnato dalla dicitura “Arnoldo Mondadori Editore”, che non funzionava bene. Così decidemmo di scrivere solo “MONDADORI” con un alfabeto ricavato dal carattere che avevo disegnato per il marchio della famosa “A”, con la “M” inscritta al suo interno. A quel punto mi hanno chiesto di sviluppare il manuale di applicazione di Mondadori, e devo dire che sono stati straordinariamente precisi e scrupolosi nel seguirlo alla lettera. II progetto di applicazione è stato successivamente esteso anche ad altre società del gruppo, come i Multicenter ed Electa. Il carattere che hai utilizzato per questo marchio è un Bodoni? Più o meno, è un altro Noorda. Non posso dire che funzioni sempre, ma qualche volta funziona, come in questo caso. È molto tipico. È un marchio “tipicamente Mondadori”, come accadde per Agip.

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Un altro progetto articolato, in campo editoriale, è quello che hai realizzato per la Vallecchi di Firenze. Il progetto per Vallecchi è più vecchio rispetto a quello per Mondadori; si parla dei primi anni Sessanta. Iniziai la mia collaborazione con Vallecchi disegnando le copertine dei libri, mentre Mondadori non me ne affidò neanche una. Per Mondadori avevo soltanto definito il posizionamento dei marchio in copertina, che doveva essere a otto millimetri al piede, dal margine inferiore preferibilmente al centro, ma con la possibilità di muoversi a destra o a sinistra a seconda del tipo di immagine sulla quale andava a cadere.

“Capita, nei tuoi racconti, che non ricordi qualche data o qualche nome, ma noto che ricordi sempre perfettamente a quanti millimetri, quarant’anni fa, hai allineato un marchio in una pagina.”

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Capita, nei tuoi racconti, che non ricordi qualche data o qualche nome, ma noto che ricordi sempre perfettamente a quanti millimetri, quarant’anni fa, hai allineato un marchio in una pagina. Cosa vuoi? È una deformazione professionale... Il mio rapporto con Vallecchi è iniziato disegnando le copertine, ma poi, quando l’azienda ha deciso di promuovere un programma di rinnovamento generale dell’immagine, mi ha affidato l’incarico di realizzare il marchio insieme a Ceno Pampaloni, che era il direttore editoriale. Il marchio, in realtà, deriva proprio da un’idea di Pampaloni e rappresenta una catasta di tronchi d’albero disposti secondo un antico schema tradizionale toscano. Il logotipo è stato realizzato in Bodoni classico. Successivamente, ho ridefinito l’impostazione grafica delle diverse collane e delle copertine, per arrivare, anche qui, a una definizione precisa di un sistema coordinato. É stata una collaborazione duratura.


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Alcune copertine della Vallecchi Editore progettate da Noorda.


Un’altra grande casa editrice con cui hai lavorato è Feltrinelli. Per Feltrinelli ho iniziato a disegnare copertine negli anni Sessanta, direttamente con Giangiacomo Feltrinelli. Con Massimo Vignelli, abbiamo progettato anche l’immagine coordinata di alcune collane, la cui più forte caratterizzazione è quella SC/10, della Serie cultura, che propose anche una nuova concezione editoriale, I’high quality paperback. ll nome dell’autore, il titolo e l’editore erano su campo bianco, inseriti all’interno di una “F” composta da tre bande diagonali che, inclinata a quarantacinque gradi, correva dalla prima alla quarta di copertina. Si trattava di un caratterizzazione visiva in cui la componente cromatica, fortemente calibrata, non era secondaria. Segni forti, che dovevano assicurare l’immediata identificazione della casa editrice sugli scaffali delle librerie. Più tardi, negli anni Ottanta, sono stato incaricato di ridefinire completamente la corporate identity.

Innanzitutto abbiamo scelto come carattere istituzionale per il nuovo logotipo, cioè la scritta del nome per esteso, il carattere Century, che è stato utilizzato anche per tutti i titoli delle copertine. L’intero progetto è stato molto bene organizzato e ancora adesso viene applicato con scrupolo. Il marchio, invece, è stato costruito sul quadrato, tagliato in diagonale e ruotato di quarantacinque gradi, partendo proprio dalla collana degli economici di cui ti parlavo. Si andava ad appoggiare sul margine esterno della pagina, al vivo, alla fine di una linea. Da li è stato adottato come marchio istituzionale. Ho visto che è stato utilizzato anche in forma tridimensionale, per gli allestimenti dei megastore, e mi sembra funzioni molto bene.

“Quando disegno un marchio lo faccio avendo presente l’aspetto culturale, non solo quello commerciale, di un’azienda.” Bob Noorda 24


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Impaginazione copertine libri Feltrinelli realizzate da Bob Noorda.


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Il grafico del viaggio


di F. E. Guida, 2011 Chi scrive è certo che, a proposito di Noorda e del lavoro che egli ha svolto per il Touring Club Italiano, nell’immaginario di molti sono rimaste impresse, oltre le celebri guide rosse o quelle verdi, i distintivi e distinguibili Atlanti d’Italia (quelli con le copertine verdi e il dettaglio della mappa nella medesima tonalità) o quelli d’Europa. Oggetti d’uso se non quotidiano, sicuramente frequente per chi programmava uno o più viaggi l’anno alla scoperta delle bellezze d’Italia o d’Europa. Oggetti, reliquie di un’epoca, oggetti-libri che, se non erano conservati nella propria biblioteca con attenzione e referenza –per

Libreria del Touring Club Italiano di Milano.

“...ed è Noorda a donarvi una nuova e aggiornata autorevolezza comunicativa, fatta di raffinata e controllata eleganza, di chiarezza ragionata a beneficio degli utenti finali.”

l’autorevolezza di chi li aveva prodotti–, restavano per anni in auto, ad accompagnare gli spostamenti. Certo oggi fa un certo effetto pensare a quanto potessero essere diffusi e popolari tali oggetti, oggi che per il viaggio non si ricorre più alla mappa o all’atlante cartaceo, ma all’ottuso per quanto aggiornato e georeferenziato navigatore elettronico. Nessuna nostalgia, ma certo è che Noorda ha svolto un ruolo determinante, assumendosene anche la responsabilità, nel dare non solo nuovo vigore all’immagine di uno storico sodalizio, ma soprattutto a farlo entrare nell’immaginario di più generazioni di persone, di italiani, che proprio a cavallo degli anni Ottanta viaggiavano, vivendo il turismo non semplicemente come ferie o vacanza, ma come momento di scoperta, riflessione, approfondimento se non aggiornamento culturale. Quando Noorda inizia la sua collaborazione con il Touring –che durerà continuativamente per più di tre lustri–, nel sodalizio, definito come la più grande libera associazione italiana del tempo, vi si respira un clima di fiducia e aspettativa. Nel ’78 gli organi direttivi avevano impostato una operazione di rinnovamento che si concretizzerà negli anni a seguire e porterà a ridefinirne tutta l’immagine, a caratterizzarne tutte le principali uscite editoriali degli anni ’80 fino alla prima metà degli anni ’90, ed è Noorda a donarvi una nuova e aggiornata autorevolezza comunicativa, fatta di raffinata e controllata eleganza, di chiarezza ragionata a beneficio degli utenti finali.

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Alcune copertine realizzate da Noorda per il TCI.

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Noorda per tutta la durata del rapporto con il TCI fornisce indicazioni e determina le scelte grafiche, spesso firmando le prime uscite delle collane, o i primi numeri delle riviste come “Qui Touring”, “Alisei” o “Le vie del Mondo”, per poi lasciare che sia l’ufficio tecnico del sodalizio a portare avanti, spesso adattandolo alle esigenze, il progetto grafico originale. Per quanto è dato sapere non esiste un manuale di istruzioni per l’applicazione di regole grafiche specifiche alla produzione editoriale, ma è possibile individuare alcuni elementi di continuità negli accorgimenti –primi fra tutti la tipografia, l’organizzazione delle informazioni accompagnate da pittogrammi e i

colori– che rimandano a un sistema ragionato in grado di definire l’identità dell’editore e di facilitare la consultazione degli strumenti da parte del viaggiatore-turista. Il tradizionale fermento editoriale del TCI quindi riprende vivacità in coincidenza con l’inizio della collaborazione di Noorda e da subito questi viene coinvolto nel ridefinire gli impaginati di alcuni titoli già in programma dagli anni precedenti e le copertine delle nuove collane come quella dedicata ai manuali pratici di turismo le cui prime due uscite sono del 1979 (“Manuale pratico per viaggiare” e “Manuale pratico di campeggio”). Si tratta di pubblicazioni turistiche snelle e di agile lettura,


“Aveva una visione globale dell’azienda; sentiva la necessità di scoprirne identità e unicità per trasferirla a tutti gli elementi, che compongono il racconto dell’azienda stessa.“ A. Guerretti

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1. Il marchio precedente del TCI. 2.Il marchio disegnato da Noorda. 3 - 4- 5. Tre delle proposte di nuovo marchio presentate al concorso da Unimark International e Noorda, 1978.

caratterizzate da copertine essenziali che sembrano voler recuperare quello spirito partecipativo del TCI proprio delle origini nell’utilizzo di fotografie amatoriali per quanto espressive ed esplicative dei contenuti, nel solco di quella tradizione che chiede ai soci di documentare fotograficamente i viaggi e di mettere a disposizione dell’Associazione tali documenti. Immagini che non hanno nulla di autoriale, ma semplicemente documentano i molteplici aspetti del turismo. Su queste immagini Noorda compone le informazioni in carattere Times introducendo da subito la divisione mediante i letti e articolando i vari blocchi di testo in modo razionale e leggibile. Una partizione del campo grafico delle copertine che d’ora in avanti diverrà la caratteristica di molte delle guide (come le verdi), dei repertori (a cominciare da quella per “Campeggi e villaggi turitici in Italia 1979” e per tutte le edizioni successive fino al 1994), delle carte e degli atlanti (a partire dal 1980). L’altro evidente contributo di Noorda è l’utilizzo dei noti pittogrammi, come per la copertina del menzionato repertorio del 1979, ma anche per i successivi “Campeggi in Europa” e, soprattutto,

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I 140 pittogrammi progettati da Noorda a partire dal 1979 per il TCI.

per l’“Annuario generale dei comuni” del 1980. Pittogrammi che in realtà aveva ridisegnato non tanto per ragioni decorative o di mera evocazione di soggetti turistici, ma per aggiornare e unificare le legende dei vari repertori e, soprattutto, comporre tipograficamente la miriade di informazioni contenuta in ciascuna pubblicazione. L’attenzione è rivolta in questo caso a una scala microtipografica, a quella dell’accesso alle informazioni, in cui l’obiettivo della leggibilità è prioritario non solo per il progettista ma per il committente stesso. Più in generale emerge una cura tipografica che determina l’immagine delle varie pubblicazioni: per le copertine è sintomatico l’utilizzo del graziato istituzionale dalla spaziatura ristretta per i titoli, eccezion fatta per l’Helvetica utilizzato per la nuova carta dell’Europa editata a scala continentale e in collaborazione con l’Alliance Internationale de Tourisme (AIT) nel 1980. La copertina quindi ha una doppia valenza, da un lato informativa ed evocativa sui contenuti del volume, dall’altro di affermazione di una reputazione, quella del TCI, da adeguare ai tempi nel rispetto della propria

“Nel 1980 il fatturato dall’editoria è quasi doppio rispetto all’anno precedente raggiungendo le 950.000 copie vendute nel complesso.”

missione statutaria e degli obiettivi strategici. Strategia che da subito dà i suoi risultati tanto che nel 1980 il fatturato dall’editoria è quasi doppio rispetto all’anno precedente raggiungendo le 950.000 copie vendute nel complesso. Una cura evidente anche negli impaginati revisionati o progettati ex-novo come nel caso delle celebri guide rosse (Guida d’Italia) per le quali Noorda riorganizza la pagina e le informazioni, facendo guadagnare ai testi leggibilità e chiarezza conservandone i tratti distintivi e il formato. Si tratta di guide per un turista dai tempi cadenzati, contemplativi e pertanto la leggibilità è indispensabile a una lettura conoscitiva dei luoghi. Noorda nel dare maggiore ariosità alla composizione tipografica, aggiunge alcuni semplici elementi peritestuali come le testatine nella parte superiore della pagina (inizialmente nel colore del resto del testo, in nero, poi in verde) per rendere più fruibile il contenuto e di migliorato utilizzo lo strumento nel suo insieme. È un intervento umile, quasi artigianale, neanche troppo evidente se non lo si utilizza. Le copertine restano le stesse, in tela rossa con titolazioni composte a epigrafe e stampagliate in oro. Noorda interviene a partire dalla metà degli anni Ottanta anche sull’altra storica serie di guide del TCI, genericamente note come le guide verdi, introducendo alcuni accorgimenti che verranno poi ripresi e mantenuti per i successivi 15 anni.

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In questo periodo –oltre ad aver introdotto o fatto introdurre su tutta la collana la sequenza progressiva di linee parallele che la caratterizzerà per tutti gli anni Novanta– suggerisce una distinzione cromatica tra le varie sotto-collane in parte messa poi in essere con le “Guide del Mondo” e il prototipo delle “Guide regionali d’Europa” (nello specifico il volume “Corsica” uscito nel 1995). La proposta è di caratterizzare cromaticamente la serie di linee parallele –introdotte proprio con i volumi delle “Guide del Mondo” nel 1987– mantenendo invariato il distintivo colore verde di sfondo. Suggerisce infatti un marrone per le “Guide d’Europa”, un viola per le “Guide regionali d’Europa” (applicato nel menzionato prototipo), un blu per le “Guide del Mondo” e un verde più brillante per le “Guide d’Italia”. Tale proposta non verrà mai accolta in pieno, per quanto negli anni successivi molte guide utilizzeranno la medesima logica di distinzione, come ad esempio le “Guide del sole”. Ma la ricchezza della produzione è tale che si potrebbero aprire altri capitoli: basti menzionare i progetti per la collana “Nauticus” e le “Guide escursionistiche per valli e rifugi”, poi più avanti quelli per le “Guide ai paesi lontani” e le “Guide di viaggio”. Ma anche, in tempi più recenti, a testimoniare la ripresa di un rapporto interrottosi a metà anni Novanta e sintomo di una stima reciproca mai venuta meno, il progetto grafico per la collana “Reportage” (2004). Una produzione dalla quale emerge quella capacità –se non necessità– di controllo della serie, con “regole e corollari” precisi.

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“Un denso essere scarni convinto che semplicità significasse sottrarre l’ovvio e aggiungere il significato. Ed è in questa “scarsità” che Noorda adhuc loquitur.” D. Piscitelli


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“Guide di viaggio“, 1993.


Un viaggio attraverso la metro

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Vai su www.bobnoorda.tumblr.com o inquadra il QR code

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Scegli il video adatto al tuo device

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Posiziona il device sotto alla prossima pagina , seguendo le guide

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Guarda la pagina prendere vita!


Tecnologia CinePrint “CinePrint” è un concept sviluppato da Lexus nel 2012 per dare nuova vita alla carta. Sovrapponendo il foglio allo schermo di un iPad o iPad Mini il cartaceo e l’audiovisivo si integrano in una simbiosi che genera un nuovo medium. Originariamente concepito come forma di pubblicità sperimentale, per questo progetto è stato usato a scopo divulgativo.

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Beatrice Curti

Case Studies


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Regione Lombardia


Logo Regione Lombardia, costruzione geometrica

di A.Rauch e G.Sinni, 2009 “Finito il lavoro della commissione degli esperti, il 27 febbraio 1974, il Presidente della Giunta regionale, dott. Piero Bassetti, e l’Assessore alla Cultura, prof. Sandro Fontana invitano i tre grafici, segnalati dalla commissione, prof. Bob Noorda, prof. Roberto Sambonet, prof. Pino Tovaglia a elaborare lo stemma regionale. A questi si sono aggiunti il prof. Bruno Munari come coordinatore e il dott. Pietro Gasperini come segretario.” Alla definizione della struttura di progetto per il marchio della Regione Lombardia (istituita al pari delle altre Regioni italiane a Statuto ordinario nel 1970) si era giunti dopo un lungo lavoro di preparazione e di definizione del campo operata da altri prestigiosi professionisti: Bruno Munari, che sarà confermato come coordinatore del team di progettisti, Italo Lupi e Massimo Venecchia. Si era in sostanza esaminato quale tipo di lavoro progettuale avrebbe dovuto svolgersi, quale la direzione dove guardare per il disegno del marchio, quali i riferimenti storici da valutare e considerare. Tra questi

elementi una ricognizione era stata effettuata in quello che si potrebbe definire ‘l’i-mmaginario collettivo’ delle popolazioni lombarde, una prima ‘analisi di mercato’, testata tra cinquecento cittadini: “... si va è scritto nella relazione - dall’efiige di Sant’Ambrogio ai Longobardi, rievocati con la corona ferrea, la croce di Agilulfo o altri elementi; dal Medioevo genericamente presentato con castelli o mura al periodo dei Comuni simboleggiato con riproduzioni del Carroccio, giuramento di Pontida, battaglia di Legnano, Alberto da Giussano; dalle Signorie evidenziate attraverso il biscione visconteo, il Castello sforzesco, il Duomo di Milano, i ritratti di alcuni Visconti, la Sforzinda, cioè la città ideale progettata da Filarete, sino agli stemmi delle Province e della città di Milano.” Campo, come si vede, molto vasto che portò i progettisti a una prima scrematura sia logico-politica che tecnico-progettuale. Furono scartati i simboli troppo evidentemente riferiti alla città di Milano, che non poteva essere considerata se non un primus inter pares, furono evitati gli elementi di lettura così iconograficamente complessi

“Uno stato moderno ha la sua immagine culturale che si evidenzia nei suoi stampati e nell’uso della comunicazione visiva esatta.” Bruno Munari 39


Applicazione del logo su una vetrata del palazzo della Lombardia, Milano

da non poter essere riassunti in un simbolo graficamente efficace (es. il Carroccio). Altre ipotesi furono accantonate perché di esse aveva già fatto uso la società civile (il ‘biscione’, ad esempio, era già nello stemma dell’Alfa Romeo e nello scudetto dell’Inter Football Club. Si sarebbe in seguito aggiunta la Fininvest ma, all’epoca, delle attività di Berlusconi con il ‘biscione’ si conosceva soltanto il simbolo di Milano Due). La scelta dei progettisti cadde alla fine su un graffito rupestre della Val Camonica, la cosidetta ‘rosa camuna’: attraverso questi segni incisi su pietra - si legge ancora nella relazione di progetto - conosciamo le credenze, gli usi, i costumi e la vita di antichi 40

abitanti della Lombardia, che sono i testimoni e i messaggeri di tappe fondamentali della civiltà europea nelle sue fasi formative dal neolitico fino alle Età del Bronzo e del Ferro.” La restituzione grafica della rosa fu ‘normalizzata’ da un disegno che tenesse evidenti i nessi di geometria leonardesca. Il colore istituzionale fu bianco su verde perché la Lombardia “...è ricca di acque e di verde”. Il carattere istituzionale fu, da allora, il Futura con eventuali accostamenti in Times Roman. “Il simbolo fu sottoposto al giudizio di numerose persone. Gli intervistati ne hanno intravisto molti significati: ruota, elica, turbina, manubrio, volante, svincolo autostradale, colomba,


La progettazione di un simbolo è oggi un lavoro preciso e complesso che richiede un impegno di tipo professionale e la collaborazione di quegli esperti che possono collaborare per ogni componente che si presenti nell’analisi del problema. Nel caso della progettazione di un simbolo per un ente pubblico, è indispensabile avere la collaborazione di esperti di araldica, di storici, di percettologi, di psicologi, di esperti di problemi legali, di sociologi, oltre ai grafici. Non si può progettare un simbolo partendo dalla pura ispirazione, senza tener conto dei valori preesistenti di immagini già memorizzate da generazioni vissute in quel territorio. Non si può progettare un simbolo senza considerare gli aspetti sociali delle immagini, senza considerare come questo simbolo da progettare può essere visto, letto e interpretato dal pubblico, senza verificare quali elementi si possono estrarre dalla tradizione locale, senza compiere delle ricerche sugli elementi visivi basilari percepibili anche nella riduzione del simbolo alla misura di cinque millimetri, senza considerare tutte le possibili applicazioni che potrà avere questo simbolo che non saranno limitate all’uso sugli stemmi e sul gonfaIone e sugli stampati dell’ente che lo userà,

“Non si può progettare un simbolo senza considerare gli aspetti sociali delle immagini, senza considerare come questo simbolo da progettare può essere visto, letto e interpretato dal pubblico”

Allestimento per la mostra retrospettiva dedicata a Munari, Milano, 2007

ameba, erba di buon augurio, pianta di un castello, rosone gotico, sezione di pilastro gotico, sezione di un estruso o di un profilato...”.

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Scelta della Rosa Camuna La scelta cadde alla fine su un graffito rupestre della Val Camonica, la cosidetta ‘rosa camuna’, segno dell’esistenza di antichissimi abitanti in Lombardia.

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Colore e font Il colore istituzionale fu bianco su verde perché la Lombardia “...è ricca di acque e di verde”. Il carattere istituzionale fu, da allora, il Futura con eventuali accostamenti in Times Roman.

Progetto e storia Primo esame del tipo di lavoro progettuale da svolgere e selezione di quali riferimenti storici valutare e considerare, Selezione fra svariati simboli della storia lombarda.

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Semplificazione La restituzione grafica della rosa fu ‘normalizzata’ da un disegno geometrico che tenesse ben evidenti i nessi di geometria leonardesca.

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A destra: 01 Simbolo tradizionale del biscione, stemma dell’aquila asburgica e stemma lombardo medievale 02 Simboli rupestri della rosa camuna e scorcio della Valle Camonica 03 Passaggi del processo di sintesi del simbolo rupestre effettuati dai progettisti 04 Logo definitivo, vista aerea della Lombardia che testimonia il moltissimo verde caratteristico del territorio, Cascate dell’Acquafraggia in Val Chiavenna (SO) 42


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“Tutte le possibili applicazioni che potrà avere questo simbolo che non saranno limitate all’uso sugli stemmi e sul gonfaIone” fabbrica, di segnali, di stemmi, di segni sintetici ed eventualmente anche di scritture. A questo punto si può capire quanto sia sbagliato fare concorsi nelle scuole o chiamare i cittadini a mandare delle loro idee; per cui si raccoglierà una moltitudine di lavori di ogni tipo, dai disegni su cartolina postale, ai dipinti a molti colori e pieni di soggetti e di significati illeggibili, dai pacchi di disegni dei bambini delle scuole elementari ai disegni più complicati e impossibili da realizzare. Questi concorsi in genere sono pura demagogia e producono una moltitudine di scontenti e delusi [...]

Varie applicazioni del logo Regione lombardia, fotografie di Beatrice Curti

ma anche ingrandito a grandi misure per certe manifestazioni all’aperto oppure rimpicciolito al minimo su un distintivo o un biglietto da visita: in bianco e nero o a colori su stampati vari, su libri, su cataloghi, su depliant turistici, nella propaganda, negli avvenimenti sportivi ecc. Costruito in carta, in legno, in metallo, in cemento, a due dimensioni, a tre dimensioni, luminoso, proiettato, sagomato eccetera. E alla fine sarà necessario verificare se il simbolo che si sta progettando non sia già stato progettato da altri, in altri paesi. Oggi l’informazione corre rapida nel mondo. Occorre quindi consultare tutte le pubblicazioni esistenti. tutte le raccolte di simboli, di marchi di

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Enel


Padiglione Enel ad Expo 2015

“Il colore scelto per questo marchio è un arancione caldo, come è ovvio, non si poteva fare altrimenti.”

di F. Dondina e B. Noorda, 2009 Tra gli anni novanta e il duemila hai realizzato altri marchi molto importanti, sviluppando in seguito programmi di immagine coordinata che rappresentano una continuità nel tuo percorso; uno di questi è il nuovo marchio di Enel. La genesi di quel marchio -sviluppato con Maurizio Minoggio, un mio allievo all’Istituto Europeo di Design- ha una sua storia abbastanza complessa. L’immagine su cui si basa mette insieme due elementi molto importanti: il primo è il sole -o meglio, i raggi del sole- per esprimere l’idea di energia; il secondo è l’albero, a simboleggiare il radicamento nella terra. Abbiamo

girato verso la terra due raggi di sole, per indicare il concetto di sole come energia e suggerire un’impressione di solidità, e da qui è scaturita la figura dell’albero. Il sole come emblema di energia, luce, calore, forza, e l’albero come simbolo di ambiente, ecologia, natura, vitaltà. I raggi/rami sono nove, perchè il Gruppo Enel aveva nove divisioni: Produzione, Distribuzione, e via dicendo. Il colore scelto per questo marchio è un arancione caldo, come è ovvio, non si poteva fare altrimenti. Ho trasformato il logotipo ENEL, che sta per “Ente Nazionale per l’Energia Elettrica”, in “Enel”, in maiuscolo/minuscolo e in corsivo, come una parola sola. Volevo che diventasse un acronimo spersonalizzato. 47


Schizzi esplicativi di Bob Noorda

di R.Fontanella, M. Di Somma, M. Cesar e F.Ruta, 2016 L’Enel, acronimo di “Ente Nazionale per l’Energia Elettrica”, nacque nel 1963 come ente pubblico frutto della nazionalizzazione di un migliaio di aziende operanti nel settore dell’energia elettrica e con il compito di assicurare una disponibilità di energia elettrica adeguata alle esigenze dello sviluppo economico del Paese. Il primo marchio presentava l’acronimo composto in maiuscolo con lettere graziate ed imponenti, inserite in una cornice arrotondata. All’inizio degli anni Ottanta fu sostituito dal marchio con la saetta. Nel 1991 l’Enel, analogamente ad altri enti di proprietà dello Stato, fu trasformata in società per azioni

“Straordinaria corrispondenza tra il segno e la pluralità di valenze richieste sul piano simbolico ed evocativo” interamente posseduta dal Ministero del Tesoro, come primo passo verso la privatizzazione. La denominazione fu modificata in “Enel SpA” e furono costituite società separate per lo svolgimento delle attività in settori affini assumendo funzioni di indirizzo e coordinamento. Il marchio era composto in Futura maiuscolo, imponente ma statico ed impersonale. Nel 1997, quando ci fu la piena privatizzazione, si pensò a cambiare il marchio, segno del rinnovamento e delle nuove prospettive di sviluppo. Fu indetto un concorso ristretto e la scelta definitiva cadde sulla proposta di Maurizio Minoggio, progettista del marchio di Unimark, ed avvenne sulla base della straordinaria corris48


pondenza tra il segno e la pluralità di valenze richieste sul piano simbolico ed evocativo. Infatti si è preferito un marchio di tipo pittogrammatico che si avvalesse di una simbologia primaria e familiare: il sole, l’albero, la raggiera e l’albero con le radici. La sintesi di questi simboli ha generato un marchio originale, dalle linee morbide; qualcuno ravvisa una lampadina al centro dell’albero, prodotta da un’illusione ottica. I colori, l’arancio ed il blu, completano l’idea che l’Enel intende dare: energia e vitalità nuove. Per il logotipo si è scelto il Frutiger capitalizzato, leggermente modificato otticamente per ottenere una migliore percezione complessiva. Per adattare l’immagine di Enel ai cambiamenti in corso all’interno del gruppo e alla rapida evoluzione del settore energetico, nel 2016 cambia la sua corporate identity. L’imponente lavoro di rebranding è stato affidato al direttore della comunicazione Ryan O’Keeffe che si è assicurato l’aiuto dell’agenzia Wolff Olins; il progetto del nuovo logotipo riflette l’esigenza di ampliare l’offerta di energia con la filosofia “Open Power” incarnando la natura innovativa, sostenibile, multidimensionale e “digital” dell’azienda. In particolare la sua forma è creata dai cursori luminosi che informano il “look and feel” della corporate identity per creare l’emozione della luce. Rappresentano anche il punto di avvio di una scia colorata di energia che, con il suo movimento, disegna le forme delle lettere.

1963

1982

1991

1997

2016 49



Arianna Dipollina

Dopo Noorda


In memoria di Noorda


Bob Noorda con il suo gatto - Milano, anni ‘50

di G. Colin, 12 gennaio 2010 «Non ho una teoria da divulgare, posso solo parlare del mio lavoro»: Bob Noorda, classe 1927, olandese di Amsterdam ma ormai milanesissimo, uno dei grandi maestri della comunicazione visiva, rispondeva così, con pudore e garbo a Francesco Dondina in un libro intervista pubblicato solo qualche mese fa. Noorda se n’è andato ieri, improvvisamente, lasciando nel mondo della grafica, del design, ma soprattutto in quello della cultura un vuoto che si sentirà davvero: è mancato un raffinato e rigoroso progettista, un protagonista della creatività internazionale, ma soprattutto un uomo dotato di straordinaria sensibilità. Noorda era molto amato: per il suo fare allegro, per l’ironia, per l’eleganza (era molto invidiato per il suo fascino nordico), per la sua capacità di rapportarsi con il mondo. Un’abitudine di intendere la vita che univa rigore e divertimento, diventati subito carattere riconoscibile della sua progettazione, essenziale ma sempre ricca di fantasia. Se ne accorsero negli anni 50 per primi alla Pirelli. Vedendo quel giovane, benché fosse un po’ ingenuo (si era portato le matite e la carta temendo di non trovarle nell’Italia del post dopoguerra) alla Pirelli rimasero incantati dalla qualità del suo lavoro. Partirà da quella straordinaria esperienza il rapporto strettissimo di Noorda con la cultura (anche

imprenditoriale) italiana. Già, Bob Noorda è dentro la storia italiana, paradossalmente, in modo tanto stretto quanto invisibile. Qualche esempio? È lui ad aver inventato il sistema di immagine coordinata della Metropolitana di Milano, un sistema talmente perfetto da essere poi declinato per New York e San Paolo. È lui ad aver disegnato l’immagine coordinata della Feltrinelli. È suo il marchio Mondadori, dell’Enel, della Regione Lombardia, del Touring Club, per citare solo qualche progetto. E ancora suo l’intero sistema visivo della Coop e quello dell’Agip articolando la codifica dei caratteri e dei colori. Tra gli altri, anche un progetto dei primi anni 80 sul «Corriere della Sera», bellissimo, mai attuato: troppo avanzato per quegli anni. Un grande «progettista invisibile», dunque, che ha contribuito a far crescere una cultura visiva come pochi. Un uomo che ha disegnato la vita. «Autenticamente uno dei migliori grafici che avevamo» afferma Gillo Dorfles, che gli era amico. «La scomparsa di Bob è dolorosa per tutti. L’importanza del suo lavoro è notevole, perché univa il rigore tradizionale dell’Olanda e dei Paesi del Nord con la fantasia e la rapidità creativa che l’Italia gli aveva comunicato». Già, Noorda incarnava proprio la tradizione e la severità della scuola razionalista con la libertà espressiva del suo carattere. 53


54 Bob Noorda festeggia il suo diploma - Amsterdam, 1950


Bob Noorda al Politecnico diMilano in occasione della sua laurea ad honorem Milano, 2005, foto Stefano J. Attardi

“Non portava solo tradizione del Bauhaus, anche gli umori di una terra sanguigna.”

Lo ricorda anche Italo Lupi: «La sua grande importanza è stata quella di trasformare il concetto stesso di immagine coordinata in qualcosa che aveva una logica. L’olandesità era un suo punto di forza: non portava in Italia solo la grande tradizione della scuola della Bauhaus, ma sosteneva anche gli umori di una terra più sanguigna. Le pianure dell’Olanda si avvertono nella sua grafica. Per questo ha arricchito la scuola

milanese». Noorda da uomo silenzioso, sotto il sorriso dei suoi baffi chiari, forse non era davvero consapevole di tutto questo. Anche il giorno del conferimento della laurea honoris causa in Disegno industriale al Politecnico di Milano, nel 2005, fece un discorso brevissimo, illuminante come il suo segno. Lo ricorda Anna Steiner, figlia di Albe: «Sì, è stato un intervento toccante: sul senso del togliere, sul cercare 55


Di sicuro, Bob Noorda era ben consapevole di quanto fosse importante trasmettere la memoria e l’esperienza. Eccolo protagonista all’Umanitaria, all’Istituto Europeo di Design, eccolo insegnare al Politecnico, alla facoltà di Architettura di Venezia. Molti studenti ancora ricordano la sua forma maniacale per il disegno del carattere. Come quella volta che con l’amico Massimo Vignelli, con cui divideva il celebre studio Unimark, sul treno Milano-Venezia decide di fare una gara su chi meglio riesce a scrivere in Helvetica, corpo 8, nonostante i sobbalzi della carrozza. «Per lui, il carattere era l’architettura della grafica», sottolinea Aldo Colonetti, direttore di «Ottagono» (tra l’altro, una delle tante riviste progettate da Noorda). «Aveva una visione laica della grafica. Era amato 56

perché non era un fondamentalista del segno, piuttosto un ascoltatore e un intellettuale che sapeva interpretare il giusto rapporto tra forma e funzione». In questo, Noorda sembra incarnare, paradossalmente, meglio di altri, un rigore lombardo. Eppure, Milano, non gli è stata del tutto riconoscente: di recente l’Atm ha cambiato i “suoi” caratteri (pensati con Franco

Headline di un’intervista a Noorda del giornale olandese “Limburger”

l’essenziale, in fondo, sul senso etico di fare grafica».

“...un ascoltatore e un intellettuale che sapeva interpretare il giusto rapporto tra forma e funzione.” Aldo Colonetti


Bob Noorda - anni ‘60

Albini) della Metropolitana. Poi, grazie anche alla protesta di molti cittadini (e poi con un intervento del sindaco Letizia Moratti) è riuscito a supervisionare il restyling: ha difeso fino all’ultimo il suo progetto ma mai la città ha organizzato una mostra su di lui. Ora, il Comune vuole rendergli omaggio con la proposta di ospitare le sue spoglie al Famedio. «Eravamo andati a trovarlo poco tempo fa con Dorfles», ricorda Colonetti. Voleva fare un libro sui suoi lavori. Ma era come assente: tre anni fa una malattia fulminante gli aveva portato via un figlio. Forse lì, Bob, ha iniziato a morire».

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Una vita di passione per il design


Un ritratto di Ornella e Bob Noorda

di G. Zuccari, 2013 L’appartamento di Ornella Noorda a Milano. La prima cosa che cattura il mio sguardo è un dipinto di Fontana. Ogni centimetro quadrato trasuda arte. Ornella mi dà un caloroso benvenuto al piano di sopra, un ampio e luminoso attico. Mi fa vedere le sue piante, orgogliosamente in mostra nell’atrio dietro grandi lastre di vetro. Iniziamo subito

una piacevole conversazione che dura fino al tardo pomeriggio. Parlando con Ornella, dimentico la sua reputazione da designer di prodotto, e il fatto che sia la vedova di Bob Noorda (1927-2010), il padre della grafica italiana. Bob Noorda nacque nei Paesi Bassi ma si trasferì in Italia all’inizio della sua carriera. I suoi progetti sono ancora visibili ovunque in Italia: il logo di Eni, il maggiore fornitore energetico 59


in Italia; la segnaletica della metropolitana a Milano; il logo di una delle maggiori catene di supermercati italiani, la COOP, e molto altro. La sua presenza si percepisce ancora a casa di Ornella. È una donna vitale e carismatica che ama tutte le forme d’arte e, sopratutto, la natura. Lungo la sua vita ha lavorato su progetti elaborati e ama la sperimentazione e l’assemblaggio. Plastica e vetro restano i suoi materiali preferiti per la loro trasparenza e perché sono difficili da modellare. La prima cosa che ero curiosa di sapere era in proposito al lavoro di Ornella, e così iniziò l’intervista. Cosa significa per te essere una designer, e come descriveresti il tuo lavoro? Se dovessi dire cosa faccio, risponderei: tutto. Mi piace dedicarmi a ogni tipo di lavoro in cui posso esprimere la mia immaginazione e creatività. Sono una designer a tutto tondo e ogni volta che ho l’opportunità di lavorare con un nuovo materiale o di sviluppare un progetto che non ho mai fatto, sono sempre molto entusiasta. Anche se significa essere ‘la moglie di Bob Noorda’ per tutta la vita, come Ella Fitzgerald. Quali collaborazioni ti ricordi in particolare? Ricordo con grande piacere quando Nazareno Gabrielli (fondatore del famoso marchio italiano di prodotti in pelle e vestiti) mi chiese di trovargli un materiale alternativo alla pelle per una serie di scarpe e borse. Quindi ho disegnato la trama a lisca di pesce per la superficie di plastica serigrafata. La mia idea funzionò molto bene e la linea fu un gran successo. 60

Quello fu l’inizio di una collaborazione che durò dieci anni. Un altro lavoro commissionato da Gabrielli fu il progetto e la ristrutturazione del negozio in Via Montenapoleone. Lo spazio sul pavimento era molto limitato. L’ho trattato come un palcoscenico: l’ho organizzato diagonalmente e ho posizionato un grande specchio sul retro del corridoio per enfatizzare la lunghezza del corridoio otticamente. Ho posizionato un numero di ali triangolari sui lati che facevano da nicchie dove scarpe e borse erano in mostra, mentre Gabrielli ha suggerito di mostrare la linea argentata che avevo progettato per lui su un lungo tavolo di vetro al centro del corridoio. Parlando, Ornella continuava a camminare in giro prendendo foto e libri e mostrandomi i suoi lavori. Quale dei prodotti che hai disegnato o progetti che hai fatto considereresti il tuo preferito? Ce n’è più di uno; certamente, Rinascente ha marcato un periodo importante della mia vita. Ero molto giovane quando ho iniziato a lavorare su Natale Idea e ho avuto l’opportunità di sperimentare con una varietà di settori e materiali: dal mobilio al piano degli uffici, dalla linea per bambini al piano della caccia, dal legno alla plastica. Un altro progetto che non dimenticherò per la sua eterogeneità fu il design dello Sporting Club di Milano Due. Claudio Dini progettò le strade e gli edifici, mentre io progettai lo Sporting Club, inclusa la piscina, i percorsi, i mobili di base - panche, lampade - che avevo fatto con Venini, gli spogliatoi, le uniformi degli addetti ai bagni, il fasciatoio.

“Se dovessi dire cosa faccio, risponderei: tutto.”


Ornella nel suo appartamento a Milano, 2013. Foto Daniele Tamagni

Quali premi e riconoscimenti hai apprezzato di più? Ho ricevuto il primo premio di scultura a Roma quando ero appena diciottenne dall’allora presidente della Repubblica Segni e dallo scultore Marino Marini. Poi mi hanno chiamato per consegnarmi il premio Città di Milano ma non ho potuto riceverlo perché essendomi sposata con Bob avevo cambiato nazionalità. Mi è spiaciuto

molto. Quando sono andata a Tokyo, sono rimasta piacevolmente sorpresa nello scoprire che un piano dei grandi magazzini Takashimaya stava esponendo i miei pezzi. Non era esattamente un premio, ma l’ho considerato un importante riconoscimento. Come ricordi il tuo periodo da insegnante? Ho insegnato per molti anni all’Istituto Europeo di Design (IED) a Milano e 61


“Eravamo diversi ma allo stesso tempo ci completavamo.�

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I Noorda in viaggio

ho deciso di smettere dopo la morte di mio figlio e poi dei lavori commissionati da Tokyo. Ho insegnato in vari corsi - packaging, design del prodotto, anche pubblicazioni per l’infanzia. Ho insegnato ai miei studenti ad abbandonare schemi prefissati e liberare la loro creatività per creare qualcosa di inaspettato e sorprendente. Qual è la tua relazione con le tecnologie digitali, e come hai vissuto il cambiamento? Ci è voluto molto impegno per usare i programmi di grafica, ma grazie alla pazienza del mio assistente, Paolo Vitti, ora me la cavo con Photoshop. Mi piace molto perché posso mescolare tutte le memorie che ho in mente e crearne di nuove con grande facilità. La tecnologia mi affascina. Mi ricordo dell’epoca in cui disegnavo a mano ogni progetto. Mio marito, d’altro canto, era irritato perché sosteneva che il computer non aiutasse la consistenza delle idee e portasse la gente a dimenticare l’iportanza del progetto manuale. Hai preso parte in eventi culturali? Ce n’è uno che ricordi in particolare? Poco dopo la mia domanda Ornella mi ha mostrato alcune foto dei suoi viaggi con Bob. Era comossa nel ricordare come condividessero la loro grande passione. Ci invitavano spesso a pranzi, cene e lezioni. Ho sempre visitato i Saloni, non solo di Milano ma anche in Nord Europa: Francia, Paesi Bassi, e Germania. Mi sento nostalgica ripensando ai Saloni nella vecchia Fiera di Lotto a Milano e mi fa effetto vedere tutto vuoto adesso. Ricordo con grande gioia il viaggio organizzato dal

governo olandese nel 2006 in onore di mio marito, per evidenziare le radici della cultura grafica olandese. Siamo partiti per Amsterdam e abbiamo visitato anche The Hague e Rotterdam. È stata una meravigliosa dimostrazione d’affetto e riconoscimento da parte dei Paesi Bassi per Bob, che ha lasciato il suo segno sulla storia della grafica su scala internazionale. Come hai incontrato tuo marito? Ho incontrato Bob per la prima volta al compleanno di Arnold Maker, a cui eravamo stati invitati entrambi. Ho immediatamente individuato un uomo che mi attraeva, seduto al tavolo con una ragazza. Quattro giorni dopo il primo incontro andai a Firm Italia per rivederlo con il pretesto di mostrargli alcuni miei progetti. Dopo, ho potuto conoscerlo meglio durante un viaggio io Yugoslavia organizzato da amici comuni. Com’era Bob Noorda? Bob non era dolce né sorridente: era un introverso olandese, a differenza mia. Eravamo diversi ma allo stesso tempo ci completavamo. Era rigoroso, elegante, e non cercava mai di compiacere le persone. Il suo carattere si è probabilmente indurito durante il periodo passato nella colonia olandese di Sumatra durante la seconda guerra mondiale, dove combatté nella giungla e poi riuscì a trovare lavoro per un giornale locale come assistente medico. Prese il tifo e rimase sordo da un orecchio per l’uso di una medicina sperimentale. Quando tornò nei Paesi Bassi, si dovette nascondere dai nazisti ed escogitò una botola con una scala nascosta nel soffitto della casa dove passava giornate in compagnia di suo fratello. 63


Com’è stata l’esperienza da insegnante di tuo marito? Ha insegnato comunicazione visiva per un periodo allo IED e poi per molti anni al Politecnico di Milano. Bob era solito a dire, “Il processo delle idee non si può spiegare. Posso solo dire che è un processo lento, individuale e di ricerca per trovare la sintesi incondizionata. È difficile.” Questa era anche la cosa più 64

importante che voleva insegnare ai suoi studenti. Mi dicevano che li faceva faticare e che li complimentava di rado. Era lusingato dall’insegnare al Politecnico. Ricordo il giorno che gli diedero una laurea ad honorem. Fu molto commovente. Andandocene, sentimmo interminabili applausi, e gli studenti si alzavano quando gli passavamo accanto.


Ornella nel suo appartamento a Milano, 2013. Foto Daniele Tamagni

Cosa voleva dire per lui “essere internazionale”? Bob lavorava per importanti firme internazionali, incluse Pirelli, Biennale, il Milan, le metropolitane di New York e San Paolo, Agip, Mondadori, Feltrinelli, Barilla, Enel e Cassina & Busnelli, finché lui e il suo partner, Vignelli, hanno aperto sedi all’estero di Unimark. Abbiamo viaggiato molto; accompagnavo Bob soprattutto in viaggi a New York e Chicago. New York non

mi piaceva molto per via dei grattacieli altissimi, che toglievano spazio al cielo. Preferivo Chicago che, con il suo grande lago, dava alla natura più spazio e respiro. Non mi è mai piaciuta la mania americana dell’altezza e delle dimensioni. Come hai vissuto le differenze tra Italia e Olanda? La prima cosa, penso, è la bellezza dei panorami olandesi, la loro capacità di 65


preservare ed enfatizzare la natura. Amo i canali, il cielo ampio che copre le case basse; è diverso dall’Italia, che non è stata in grado di dare la giusta importanza al verde civico. L’Olanda è molto organizzata in termini di segnali stradali e trasporto pubblico. L’austerità domina, anche se gli olandesi si sono sempre dimostrati allegri e amichevoli. Apprezzo molto le piste ciclabili e, quando ero ad Amsterdam, sembrava straordinario il poter noleggiare una bici in qualunque momento (Milano ha imparato a farlo solo recentemente). È come se gli olandesi avessero fatto tutto prima e meglio degli italiani. Vi scambiavate opinioni sui progetti su cui stavate lavorando? Lavoravamo su cose completamente diverse. Mentre io sperimentavo con ogni progetto e creavo in tre dimensioni, Bob era il maestro dell’arte grafica e della linea. Era molto consistente e severo con il suo stesso lavoro e non diceva mai nulla del mio. Abbiamo lavorato insieme per Bellato. Io ho progettato tutta la loro immagine, dal furgone alla cassetta per i cataloghi, e Bob ha progettato il logo. Ma anche lavorando sullo stesso progetto lavoravamo individualmente. Ci davamo suggerimenti a vicenda, ma Bob rifiutava di farsi influenzare. Io ho addolcito alcuni aspetti del suo carattere e i suoi gusti, ma mai i suoi lavori. 66

I Noorda a passeggio a Como, anni ‘70

Bob ha influenzato l’arredamento dell’appartamento? Quale oggetto in casa ti ricorda di più di lui? Appena ho visto questa casa, ho immediatamento iniziato a lavorarci perché quando ho le idee non riesco a fermarle. Ogni volta che chiedevo a Bob la sua opinione, i suoi consigli arrivavano mesi dopo quando avevo già risolto la questione. Ho progettato e arredato la casa in cui vivevamo, e a Bob piaceva molto. Quando degli amici architetti ci hanno fatto complimenti sulla casa, Bob ha risposto come se ne avesse preso parte anche lui. Mi fece ridere e mi irritò allo stesso tempo. Ho un caro ricordo di quel grande dipinto sul muro che apparteneva alla mia famiglia, con Bob che imita la posa per farsi fotografare. Hai trasmesso la passione del design ai tuoi figli? Entrambi i miei figli hanno studiato architettura. Helbert ha studiato architettura, ma era irritato dalle frequenti domande dei professori sul suo cognome. La sua vera passione era la fotografia. Ha lavorato per Vogue, Armani, Dior e altri grandi nomi del mondo della moda. Mi diceva sempre: ‘Mamma, finalmente mi apprezzano e nessuno mi chiede se sono il figlio di Noorda’. È morto da sette anni. Mia figlia, Catharin, ha iniziato nello studio di suo padre, come suo fratello, ora è architetto e gestisce uno studio di successo con suo marito.

“Io sperimentavo con ogni progetto e creavo in tre dimensioni, Bob era il maestro dell’arte grafica e della linea.”


Verso la fine dell’intervista Ornella si è alzata improvvisamente per godersi la luce rossa del sole su Milano. Dal suo attico, la vista toglieva il fiato e potevamo vedere il Monte Rosa. La natura ci ha concesso un momento di riposo e nostalgia. Su cosa lavori al momento? I miei lavori più recenti sono Unica, in cui cerco di imbottigliare tutte le mie emozioni e i miei ricordi di viaggio. Basandomi su questo, ho deciso di creare tavolini o pannelli di plastica trasparente. Voglio ricreare la suggestione di raccoglimento dentro di essi attraverso fotografie che ho scattato in quei luoghi e un oggetto naturale tridimensionale. Queste creazioni possono essere posizionate su una libreria, ma anche trasformate in un tavolino trasparente. L’India mi ha rubato il cuore e ricordo il mio viaggio in Gujarat in uno dei pannelli. L’umanizzazione dei pesci è un altro soggetto della serie di scatole. Ho raccontato una storia. L’idea di inscatolare la natura è sorta dalla dichiarazione del maestro Abbado (un famoso direttore d’orchestra italiano ed ex-direttore della Scala), che promise di non tornare alla Scala a meno che Milano non piantasse mille alberi. Ho pensato che fosse grandioso e gli ho dimostrato il mio apprezzamento, ho dedicato il primo dei miei tavolini quadrati a lui, in cui ho messo alberi in miniatura e posizionato un merlo. Ho aggiunto una dedica: “Grazie ai mille alberi, più merli torneranno a intonare la loro canzone melodiosa nella nostra città.” Alla fine Ornella mi ha chiesto di scrivere della sua gratitudine per il commovente e sincero discorso di Nora Stehouwer ai funerali di Bob nel 2010. Vorrebbe anche ringraziare il suo assistente, Paolo Vitti, che l’ha aiutata nella ricerca e produzione della serie di scatole. Ha voluto menzionare che Paolo Vitti è una persona eccellente che si è sempre resa disponibile nonostante i suoi impegni. 67


Amsterdam, NL Luogo di nascita nel 1927 Diplomato all’ IvKNO (Instituut voor Kunstnijverheidsonderwijs) nel 1950

Chicago, USA Sede Unimark New York City, USA Sede Unimark Progetto New York City Subway

Milano, IT Sede Unimark Residenza fino alla morte nel 2011 Progetto Metropolitane Milanesi Docente Umanitaria e Polimi Venezia, IT Docente Scuola di disegno industriale Urbino, IT Docente ISIA

Sao Paulo, BR Progetto Metropolitana di Sao Paulo


Indonesia Servizio militare 1047-1950

Noorda nel mondo


Il tocco di Noorda Lo stile milanese Articolo di M. Piazza da Periodico dell’Aiap, Giugno 2007 p.6 immagine da http://milano-odd.it p.8-9 immagine da https://newsgate.it/wp-content/ uploads/2016/11/120439_broadcast06.jpg p.10 immagine da https://s-media-cache-ak0. pinimg.com/736x/24/0e/d9/240ed96bf9673c0fe0f2851e9b20ff57.jpg p.11 immagine 1 Un grafico, cinque punti Articolo 2 p.12 immagine da Manuale immagine coordinata della Metro di NYC, https://standardsmanual.com p. 14-15 immagine da 1

Noorda e l’editoria Il grafico del viaggio p. 19 articolo 1 p. 21 articolo 2 p. 18 immagine da www.archilovers.com p. 20, 21, 22, 23, 24, 25 immagini 1 p. 21 di Mario Piazza nell’ articolo “Bob Noorda: la misura dei segni” del 2014 p. 24 citazione 1 Noorda su carta Articolo di C. Ferrara, F. E. Guida 3 p. 26, 28 foto di Beatrice Curti p. 29, 30, 33 immagini 3

Inserto Un viaggio attraverso la metro fronte: articolo 1 p.1 https://it.wikipedia.org/wiki/Segnaletica_e_ allestimento_della_metropolitana_milanese p. 3, 5, 7 foto 1 retro: disegni di B. Curti, A. Dipollina, A. Lacroce e A. Silvano

Case studies Regione Lombardia Articolo 4 p. 40 immagine da www.avvenire.it p.41 immagine 4 p.43 immagini 1, http://caicusanomilanino.it p.45 foto di Beatrice Curti, 2017 Enel Articolo ⚪ e museodelmarchio.it p. 46-47 foto di www.flickr.com/photos/todotoit/ p.48 immagine 1 p.49 immagini da museodelmarchio.it

Credits

Dopo Noorda In memoria di Noorda Articolo di G. Colin per Corriere della Sera, 12 Gennaio 2010 p.52-53, 54, 56 e 57: foto 1 p.55 foto di Stefano J. Attardi Una vita di passione per il design Articolo di G. Zuccari per Connecting the Dots Magazine, 2013 tradotto da A. Dipollina p.58-59, 62, 67: foto 1 p.61, 64-65: foto di Daniele Tamagni

1 da Bob Noorda Design Curatori: MarioPiazza, Giovanni Anceschi e Giovanni Baule Editore 24 Ore Cultura Milano, 2015 2 da Una vita nel segno della grafica Bob Noorda e Francesco Dondina Editrice San Raffaele, 2009 3 da On the road. Bob Noorda il grafico del viaggio C. Ferrara, F. E. Guida Editore AIAP, 2011

da Disegnare le città, G. Sinni e A. Rauch LCD Edizioni, Firenze, 2009

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