#2 2013
italy-india.gruppozenit.com DAL TECHNOPARK DI TRIVANDRUM, IL MAGAZINE CHE AVVICINA I NOSTRI DUE PAESI.
SALVAR: L’ABITO CHE NON FA LA MONACA Ogni luogo ha le proprie usanze... VIAGGI
CINQUE LOCALITÀ PER ESPLORARE IL RAJASTHAN
Italy-India è un progetto di Gruppo Zenit
L'INDIA SI PREMIA CON LA FORMULA UNO Un ingresso nel mondo delle corse in grande stile.
LA LEPRE SULLA LUNA Una leggenda che narra come la lepre sia apparsa sulla luna.
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SOMMARIO MITI E LEGGENDE 6 La lepre sulla luna 7 Matsya, Manu e il grande diluvio 8 Leggenda di dhola maru
FESTE 10 Il grande Maha kumbha mela sta per iniziare
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11 La festa degli aquiloni guerrieri ATTUALITÀ 16 L'India si premia con la formula uno 17 Chetak-Vespa: la lunga strada degli scooter in India VIAGGI 20 15905/15906 - Vivek Express
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22 Cinque località per esplorare il Rajasthan 22 A Varanasi il mito si fa presente 23 Una visita al tempio: indicazioni guida CULTURA 24 Salvar: l'abito che non fa...la monaca
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ITALY-INDIA: TUTTO QUELLO CHE AVRESTE VOLUTO SAPERE SULL’INDIA Gruppo Zenit è stata una fra le prime aziende italiane di Information Technology a collaborare quotidianamente con l'avanguardia tecnologica del subcontinente indiano. Da questo rapporto è nato un magazine dedicato a chi vuole orientarsi fra gli usi e i costumi di un Paese ricco di storia e di cultura, di contraddizioni e di opportunità di sviluppo e dove tutto, dal passato al futuro, è sempre presente. Un Paese da scoprire visitandolo, lavorandoci o anche soltanto leggendo le storie e i suggerimenti che abbiamo raggruppato per voi in sei categorie che faciliteranno la ricerca e la consultazione: VIAGGI Luoghi, monumenti, alberghi e mezzi di trasporto CULTURA Dal cibo ai costumi, tutto quello che fa India FESTE Eventi e festival in India e in Italia MITI Storie, leggende e racconti da un Paese incantato NEWS Numeri, notizie, curiosità dall'India STAMPA L'India vista dall'Italia italy-india.gruppozenit.com
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MITI E LEGGENDE RACCONTI DA UN PAESE INCANTATO
La lepre sulla Luna Cosa vedete osservando la superficie della Luna? L’India ci vede una lepre. Per questo è anche detta Sasi, che ha il disegno di una lepre e, naturalmente, c’è anche una leggenda che narra come la lepre sia apparsa sulla Luna. La storia è stata raccolta nei Jataka, fiabe buddhiste che descrivono le vite precedenti del Buddha. Nello Sasajataka leggiamo che un tempo il futuro Buddha, in attesa di nascere come Siddharta e diffondere nel mondo la via dell’illuminazione, si incarnò in una lepre. Il virtuoso animale promise di offrire la sua stessa carne a chiunque fosse arrivato a chiederle del cibo il sacro giorno di Uposatha, dedicato alle offerte. Così avrebbe potuto sfamare un bisognoso e nel contempo risparmiargli l’impuro atto di uccidere un animale. Per metterla alla prova Indra, il re degli dei hindu, prese le sembianze di un brahmano e andò da lei. Fedele alla parola e alle intenzioni la lepre preparò un falò e ci si buttò nel mezzo – dopo essersi debitamente scossa di dosso tutti gli insetti e parassiti che vivevano nella sua pelliccia. Ma il dio aveva creato un fuoco magico e la lepre invece di bruciare percepì una piacevole sensazione di freschezza.
Indra rivelò la sua reale identità e per immortalare la virtù della lepre disegnò la sagoma dell’animale con la linfa della montagna sulla superficie della luna. Poi, appoggiando delicatamente la lepre sulla tenera erba in un boschetto, Indra disse: «Ora il tuo gesto rimarrà impresso negli occhi di tutti fino alla dissoluzione dell’universo». Se siete uomini dotati di discreta immaginazione, sollevando gli occhi al cielo in una notte di luna crescente vedrete Sasi e potrete meditare sugli insegnamenti del Buddha. In questa storia, tra le righe della fiaba, la lepre vi racconta di una cultura del rispetto della vita e di una terra in cui le religioni si sviluppano dialogando tra loro, per poi viaggiare anche oltre i confini geografici. Riuscite a scorgere la lepre?
Ma il dio aveva creato un fuoco magico e la lepre invece di bruciare percepì una piacevole sensazione di freschezza.
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Matsya, Manu e il grande diluvio Questa storia è accaduta in un’altra era, molti molti secoli fa ed è raccontata per la prima volta nel Shatapatha Brahmana.
Dopo qualche tempo l’acqua cominciò a scendere, finchè di nuovo la terra comparve.
Io arriverò con l’acqua che sale dall’oceano. Lega l’arca alla pinna sulla mia schiena e vi condurrò in salvo”.
Manu era un uomo saggio e viveva nella foresta. Un giorno mentre si lavava nel fiume un piccolo pesce, Matsya, gli saltò tra le mani. “Oh Manu” -in quei tempi mitici i pesci sapevano parlare- “non posso mai stare tranquillo in questo fiume di pesci divoratori di pesci! Portami via, salvami da questo tormento”. Manu portò a casa il pesciolino in un’ampolla e si prese cura di lui. Ma Matsya in pochi giorni crebbe e l’ampolla si fece troppo piccola per lui. Manu lo mise in un vaso più grande, ma in pochi giorni nuovamente il pesce era troppo grande. Allora Manu lo mise in un lago dove il pesce nuotò felice per qualche tempo, ma presto anche il lago si fece troppo piccolo. “Padre Manu, portami sulle montagne dove scorre il Gange, là starò bene”. Così
Manu si mise in cammino e arrivato sulle rive del sacro fiume liberò il pesce. Anche nel Gange Matsya continuò a crescere, così tanto che perfino il fiume non aveva più acqua da offrirgli. Allora Manu portò il pesce al mare. Nell’oceano Matsya trovò spazio a sufficienza, anche se continuava a ingrandirsi a vista d’occhio. Prima di scomparire nelle profondità delle acque disse a Manu: “Non scorderò le cure che mi hai offerto e del tuo buon cuore. Ascolta, presto Brahma il creatore si addormenterà e un enorme diluvio distruggerà la terra. Costruisci un’arca abbastanza grande da accomodare un seme di ogni tipo e i sette Rishi, i saggi asceti che vivono da sempre sulle montagne. Quando il cielo diventerà nero e la pioggia comincerà a cadere ininterrotta entrate nella barca e aspettate.
Manu fece come il pesce aveva spiegato e quando arrivò il diluvio universale per anni e anni la sua arca navigò sulle acque in tempesta. Quando tornò il sole non c’era che un’infinita distesa di acqua. Il pesce condusse Manu sulla cima dell’Himalaya, unica parte della terra non sommersa dal mare. Dopo qualche tempo l’acqua cominciò a scendere, finché di nuovo la terra comparve. Fu così che Manu sopravvisse al grande diluvio e con l’aiuto del pesce Matsya, che era un’incarnazione divina, e i sette saggi ripopolò la terra, diventando il padre dell’intera umanità.
MANU FECE COME IL PESCE AVEVA SPIEGATO E QUANDO ARRIVÒ IL DILUVIO UNIVERSALE PER ANNI E ANNI LA SUA ARCA NAVIGÒ SULLE ACQUE IN TEMPESTA.
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L’amore vero sconfigge qualsiasi nemico, supera ogni ostacolo e fa sognare. Da secoli e secoli in Rajasthan la fantasia vola sulla groppa di cammelli magici cullata dalla leggenda di Dhola e Maru. Un tempo vi fu in Rajasthan una grande siccità. Il maharaja del regno settentrionale di Pugal andò in pellegrinaggio con la moglie e la figlioletta Maru a Pushkar per invocare la pioggia. Anche il maharaja del regno orientale di Nalwar si trovava nel luogo sacro per la stessa ragione, anche lui accompagnato dalla moglie e dal figlioletto Dhola. I due re divennero amici e per sancire l’alleanza tra i regni maritarono Dhola e Maru, all’epoca infanti. Arrivò la pioggia e ognuno tornò al proprio regno. Passarono gli anni. Il re di Nalwar morì e Dhola, dimentico del matrimonio con Maru, si sposò con Malvani, figlia del raja di Malvi. I due erano normalmente felici. A chilometri di distanza invece Maru, da poco entrata nella gioventù, soffriva le pene acute della separazione dall’amato Dhola, di cui conservava miracolosamente un’indelebile ricordo. A nulla valsero gli innumerevoli messaggi che fece recapitare a corte dello sposo: messaggi e messaggeri venivano immancabilmente intercettati e bloccati da Malvani, gelosa del neo marito. Ma il destino era scritto nelle stelle e Maru riescì infine a raggiungere Dhola. Affida infatti a un gruppo di menestrelli la più triste delle tristi canzoni d’amor lontano che ripeteva in cuor suo a ogni ora del giorno e della notte. I cantanti giunti a Nalwar vengono respinti dalle guardie di
Malvani, ma nottetempo si accampano alle spalle del palazzo e al chiaro di luna intonano il malinconico canto di Maru. Le note sono cariche di un potere magico, destano il principe Dhola e gli rubano il tormentato sonno. I musici sono convocati a corte il mattino seguente e cantano delle pene d’amore di Maru che soffre per la separazione da un marito lontano che si è scordato di lei. Improvvisamente Dhola ricorda il suo matrimonio infantile e il suo cuore s’avvampa dal desiderio di riunirsi alla prima moglie. Malvani non è felice e vorrebbe in tutti i modi trattenere l’amato, ma a nulla valgono le sue implorazioni e le sue preghiere: Dhola parte alla volta di Pugal. Giunto a Pugal il principe è accolto con tutti gli onori. Una gran festa celebra il ricongiungimento dei due amanti. Finiti i festeggiamenti gli sposi partono per tornare a Nalvar. Le agonie dell’attesa, le pene della separazione sono curate dal balsamo dell’amore e tutto sembra essersi felicemente risolto. Ma le disavventure e gli ostacoli non sono ancora finiti. Umar, un nobile locale che si era invaghito follemente di Maru, si unisce a un gruppo di briganti e pianifica la sua vendetta. In viaggio Dhola e Maru incontrano Umar che offre loro ospitalità nel suo caravanserraglio. Dhola accetta ignaro e si gode la lauta cena bagnata da gu-
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stoso liquore offertogli da Umar. Ma alcuni menestrelli (ancora una volta i cantastorie) scoprono le cattive intenzioni di Umar e avvertono Maru. La ragazza ricorre a un dono magico, un portentoso cammello che ha la facoltà di volare più veloce del vento. Scaltramente recupera il marito e i due, galoppando sul cammello magico si salvano dai banditi, ma gli ostacoli non sono ancora finiti. Quando ormai la meta è vicina, Maru muore per il morso di un serpente. Dhola disperato si sta per immolare sulla pira funebre dell’amata quando giunge una coppia di asceti (mandati da Shiva e Parvati, o manifestazioni degli dei stessi). Grazie alla meditazione e all’austerità i saggi hanno acquisito il potere di restituire la vita e resuscitano Maru. Benedetti dagli dei e dagli asceti Dhola e Maru rientrano finalmente alla corte di Nalvar, dove sono accolti da Malvani, ora serenamente rassegnata alla condivisione. I tre vissero da allora felici e contenti. L’amore vero conquista tutti e su tutto vince.
Quando ormai la meta è vicina, Manu muore per il morso di un serpente.
FESTE EVENTI E FESTIVAL IN INDIA E IN ITALIA
Il grande Mahakumbh Mela sta per iniziare
Maha in sanscrito significa grande, Kumbh è il vaso sacro, importante simbolo dell’induismo che rappresenta l’utero della dea madre, e mela significa fiera, festa.
A dodici anni dall’ultimo grande raduno religioso dell’India la città di Allahabad, in Uttar Pradesh, è nuovamente pronta a ospitare il Maha Kumbh Mela che si svolgerà dal 27 gennaio al 25 febbraio. Una visita al Maha Kumbh Mela è un’ottima occasione per vedere l’India religiosa in maniera intensa e concentrata. Maha in sanscrito significa grande, Kumbh è il vaso sacro, importante simbolo dell’induismo che rappresenta l’utero della dea madre, la forza generatrice e mela significa fiera, festa. Di Kumbhamela ce n’è uno ogni tre anni in quattro località, a rotazione. Vuole la leggenda che si celebri laddove alcune gocce della mitica amrita, il nettare dell’immortalità ottenuta dalla zangolatu-
che sarà il 10 febbraio. Così da gennaio fino all’inizio di marzo, il prayag, dove si incontrano i fiumi terresti Yamuna e il Gange e il mitico fiume celeste Sarasvati, diventa un immensa città di tende dove confluiscono milioni di persone da ogni parte del mondo e dai diversi percorsi di vita (l’affluenza prevista è sui 110 milioni). Il ra dell’oceano di latte, caddero sulla terra, Maha kumbh Mela offre ai pellegrini la per l’esattezza nei fiumi: a Allahabad, Napossibilità di purificarsi e avvicinarsi alla sik, Ujjain e Haridwar. Nel giusto momento verità assoluta, di vivere alcuni giorni a astrale, quando Giove entra in aquario e il stretto contatto con gli uomini di dio, gli sole in ariete, fare un’abluzione nelle acasceti che dedicano l’intera vita alla ricerque sacre a Allahabad genera, si dice, un ca spirituale e ai diversi capi di infinite sette immenso merito religioso e cancella tutti i religiose. Ogni giorno ci sono assemdebiti negativi del karblee, dibattiti e programma, facilitando il raggiungimento del mokOgni giorno ci sono mi culturali, oltre naturalmente alle abluzioni della sha, l’uscita dal ciclo assemblee, dibattiti, mattina e della sera che delle rinascite. Talmente programmi culturali. sono il fulcro del pellegriforte è l’influenza divina naggio. Per i viaggiatori di che le acque mantenaltre fedi la Mela è la magono il potere sacro per nifestazione di un’intera un paio di mesi, prima e umanità e di una civiltà didopo il giorno climax
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stillata in un piccolo spazio geografico sulla riva dei fiumi. Ognuno trova posto nel campo tende: dal guru che riceve i devoti su cuscini di seta broccata in tende con aria condizionata, agli asceti appartati in quelle modeste di materiale economico. Ci sono i capi politici, famiglie di contadini che viaggiano su trattori stracolmi da villaggi lontani e cialtroni in cerca di proseliti e offerte. Ad attirare maggiormente l’attenzione dei media, dei curiosi e dei pellegrini sono i naga sanyasi (o Baba), gli asceti nudi seguaci di Shiva (naga, nudo; sanyasi, rinunciante). Il giorno più sacro sono proprio loro a iniziare le abluzioni, attraversando in regale processione un corridoio umano che ambisce a toccare la sabbia su cui posano i piedi. I naga sono avvolti in un ambiguo mistero. Sono temuti, rispettati e guardati con sospetto allo stesso tempo. Non appartengono più a questo mondo pur vivendoci, e non si incontrano quasi mai. Non sono soggetti alle stesse leggi fisiche dei comuni mortali, perché con pratiche esoteriche e yogiche si dice abbiano trasceso i limiti. Non portano vestiti perché non ne hanno più bisogno, a proteggerli dal freddo è sufficiente la cenere sacra di cui si cospargono il corpo e i lungi capelli. Arrivano a centinaia per il bagno più propizio, giungendo dalle grotte sull’Himalaya dove conducono una vita solitaria senza contatto con il mondo degli umani. Ma nessuno li vede arrivare o ripartire, semplicemente compaiono.
Bagnarsi nelle sacre acque del Gange in inverno è per gli uomini comuni un’impresa che richiede coraggio. La temperatura notturna si aggira attorno ai 10°, talvolta scendendo ulteriormente e l’abluzione va fatta all’alba, quando i timidi raggi del sole hanno appena la forza di perforare la coltre di nebbia umida. Se vi perdete questo grande Maha Kumbh Mela non occorre aspettare altri 12 anni: tra tre anni ci sarà il kumbhmela di Nasik quindi a Ujjain e ad Haridwar, anche se su scala più ridotta. Altrimenti potete optare per il piccolo Kumbh, l’Ardha kumbh mela, ad Allahabad tra sei anni o l’annuale versione in miniatura, il Magh Mela che inizia ogni anno a gennaio. Se decidete di andarci potete inserire la visita in un itinerario tra Delhi e Varanasi e, se vi piace allontanarvi dai percorsi più battuti, considerate anche una visita a Chitrakoot: un piccolo gioiellino di quiete sulle rive della sonnolenta Mandakini, un’oasi tranquilla dopo l’affollato pellegrinaggio del prayag.
Foto da sinistra verso destra In copertina foto di Filippo Cottone Maha Kumbh Mela 2001 di Yosorian Naga in processione di Stefania Zamparelli Sadhu di Edson Walker
NON PORTANO VESTITI PERCHÉ NON NE HANNO PIÙ BISOGNO, A PROTEGGERLI DAL FREDDO È SUFFICIENTE LA CENERE SACRA DI CUI SI COSPARGONO IL CORPO E I LUNGI CAPELLI.
Se vi perdete questo grande Maha Kumbh Mela non occorre aspettare altri 12 anni: tra tre anni ci sarà il kumbhmela di Nasik quindi a Ujjain e ad Haridwar, anche se su scala più ridotta. Altrimenti potete optare per il piccolo Kumbh, l’Ardha kumbh mela, ad Allahabad tra sei anni o l’annuale versione in miniatura, il Magh Mela che inizia ogni anno a gennaio.
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LA FESTA DEGLI AQUILONI GUERRIERI
Lontanto dalle corti dei re, gli aquiloni sono un sogno a portata di tutti. Un volo con slancio verso il sole che torna a scaldare dopo i giorni invernali, umidi e freddi.
L'India ama fare volare gli aquiloni. La festa di Makara Sankranti (il 14 gennaio) segna l'inizio della nuova stagione degli aquilonioltre che l'arrivo della stagione primaverile: in questo giorno le famiglie salgono sui tetti o scendono in cortile per partecipare a una delle guerre meno violente più attese del paese, la festa degli aquiloni. Nessuno è escluso dal gioco: bambini, bambine, adulti e stranieri. C'è spazio per tutti e aquiloni per ogni gusto. Dove? A Jaipur, Jodhpur, Ahmedabad, Benares... e in tutte le piccole e grandi città del nord. In tutte le città il cielo si riempe di patang, il tipico aquilone indiano di forma semplice, materiali economici e elevatissime prestazioni di volo e di manovrabilità. Qualità essenziali per la grande guerra che si scatena nel giorno di festa: aquilone contro aquilone, una lotta all'utlimo filo. Per permettere ai patang di librarsi in volo occorrono lunghi metri di filo, avvolto su una spola. Durante la festa solitamente tre persone collaborano al volo: uno tiene la spola e fa scorrere il filo a bisogno, un altro fa volare l'aquilone e un terzo recupera gli aquiloni. Se volete fare felice un bambino regalategli filo, spola e aquiloni - il filo buono è costoso e molto apprezzato. Il gioco consiste del tagliare il filo degli avversari e mantenere i propri aquiloni il più a lungo possibile. Il filo viene preparato con speciali paste, alcune preparare con polvere di vetro, per renderlo più tagliente. Si usano anche fili di metallo e semplice cotone che si impugna facilmente e in sicurezza.
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Il gioco agguerrito degli aquiloni è uno dei passatempi preferiti dagli indiani che lo prendono molto seriamente- soprattutto del nord- ed è fonte di reddito per numerosissime famiglie. In molte città c'è un quartiere e uno speciale bazar specializzato in aquiloni. A far volare gli aquiloni si impara fin da piccoli e bambini di 10 anni possono essere abilissimi. Guardando e copiando l'arte si tramanda da generazione a generazione. Fare volare un patang richiede istinto e concentrazione. Le dita manovrano il filo direttamente e si usano cerotti per prevenire tagli. Vi consigliamo di iniziare con del semplice filo di cotone, per evitare tagli, e di affidarvi ai consigli dei bambini
(felici di aiutarvi e svelarvi i trucchi). Attenzione, non è così semplice come sembra! Partecipare al volo collettivo degli aquiloni è una gioia estrema. Occhi al cielo inseguendo invisibili fili salire verso il sole e controllando le correnti: il mondo è un gioco dove differenze di età, etnia e religione scompaiono. Qualcuno sostiene che furono i cinesi a introdurre la pratica degli aquiloni, altri dicono che fossero stati gli antichi greci. Sicuremante sono secoli che l'India fa volare i suoi patang da combattimento. Numerose sono le storie sugli aquiloni: i nawab di Lucknow giocavano con fili di metalli preziosi per rendere più eccitante il gioco mentre il maharaja di Jaipur instituì nel XVII fabbriche di aquiloni. Il più antico
aquilone conservato pare abbia 217 anni e appartiene a Baba Saheb di Bareily. Il 14 gennaio è la grande Festa degli aquiloni, ma il gioco continua nei mesi successivi (un'altra grande occasione è la festa della Repubblica il 15 agosto). Praparatevi a volare.
A far volare gli aquiloni si impara fin da piccoli e bambini di 10 anni possono essere abilissimi.
ATTUALITÀ RACCONTI DA UN PAESE INCANTATO
L'India si premia con la formula uno La cultura delle corse dei motori si sta diffondendo tra i giovani e in un paese dove la metà della popolazione ha meno di 25 anni i numeri, anche se si considerano solo le aree urbane e la classe media, sono notevoli.
Dal 30 ottobre del 2011 l’India è tra i paesi eletti che ospitano il gran premio di formula uno, uno degli sport più esclusivi del mondo. Il circuito, disegnato dall’architetto Herman Tilke, si chiama Buddh International, dal nome dell’area fuori Delhi in cui sorge. Uno dei più impegnativi, con cambi di pendenza che rendono le gare particolarmente spettacolari. Un ingresso nel mondo delle corse in grande stile. Perchè per l’India era tanto importante essere sulla mappa del gran premio, spendendo cifre astronomiche per esserci? Non è un paese famoso per lo sport, in generale. Se si esclude l’amatissimo e seguitissimo cricket e i campionati di scacchi, è quasi sconcertante la mancanza di competizione e le scarse vittorie indiane a livello mondiale. A seguire la formula uno è una piccola elite e ancora meno sono i piloti professionisti indiani. Anche se un team l’India ce l’ha: Sahara India Force. Da qualche anno l’India si sta impegnando a cambiare la propria immagine agli occhi del mondo. Da pacifico paese fiabesco ed esotico, come era percepita nei decenni successivi a Gandhi, alla fine del millennio era vista soprattutto come la terra dei milioni di poveri. Oggi l’immagine che l’India vuole dare di sé è di una nazione dinamica e moderna, un’Incredibile India. Qualcuno ritiene che il Buddh International circuito possa essere un passo in questa direzione. Ma la realtà non corrisponde fedelmente alle volontà del marketing. Ci sono molteplici e contrastanti Indie, che non possono essere cancellate. Ironica-
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mente l’India degli esclusi dai circuiti mondiali si è manifestata, quasi come un maledizione, alla vigilia del primo gran premio lo scorso anno, nella forma di un branco di cani di strada che si sono clandestinamente introdotti e hanno passeggiato sulle piste. Un incidente secondario che ha imbarazzato e messo a rischio il brand. Si è continuato a correre e le piste si sono dimostrate di alto livello, world class, come si usa dire da queste parti. La settimana scorsa si è conclusa la seconda edizione. In India è cresciuta la popolarità della formula uno, grazie soprattutto alla campagna pubblicitaria dell’Airtel, sponsor dell’evento. La cultura delle corse dei motori si sta diffondendo tra i giovani e in un paese dove la metà della popolazione ha meno di 25 anni i numeri, anche se si considerano solo le aree urbane e la classe media, sono notevoli. L’Airtel ha pensato sicuramente a loro quando ha deciso di spostare parte dei propri finanziamenti dal cricket alla formula uno. Se oggi esiste un gran premio indiano è perchè la formula uno ha bisogno dell’India, dei suoi tanti giovani e della sua continua, anche se un po’ rallentata, crescita economica. L’evento è una concessione che una piccola e affluente elite si regala, un momento di glamour da non mancare per gli attori del cinema e i personaggi pubblici. E naturalmente un sogno che si realizza per i fan dello sport che non devono più accontentarsi dello show in tv. Per gli appassionati all’estero potrebbe trasformarsi in una buona occasione per visitare l’India e sentire ronzare i motori dal vivo: con biglietti da 50 a 200 euro per un giorno e circa 440 per la stagione in tribuna.
Chetak-Vespa: la lunga strada degli scooter in India Lo scooter è un bene prezioso da aspettare per mesi o addirittura anni, in una limitata gamma di colori. A maggio la Vespa è approdata in India. La Piaggio ha inaugurato la produzione e la vendita della mitica motoretta che vuole conquistare il cuore degli indiani, soprattutto dei giovani. Le strade dell’India, dalle metropoli ai piccoli centri, sono battute da una gran quantità di scooter (due milioni e mezzo di unità vendute all’anno con un tasso di crescita annuo composto del 20%) e la Piaggio sta puntando tutto sul marchio e sullo stile. La Vespa 150 fu uno dei primi motorini a essere prodotti in India dalla Bajaj su licenza Piaggio nel 1960. Ma il successo per la casa motociclistica arriva dieci anni dopo, nel 1971, con Bajaj Chetak. Il disegno di ispirazione italiana (leggermente modificato dopo la cessazione della licenza nel 1977), il nome del mitico cavallo dell’eroe Rana Pratab Singh e soprattutto il prezzo abbordabile ne fecero lo scooter più ambito e amato dagli indiani. Con Chetak il motorino diventa l’emblema della libertà di consumo conquistata da una classe media avvezza a non potersi permettere molto nell’epoca del protezionismo economico. Lo scooter è un bene prezioso da aspettare per mesi o addirittura anni, in una limitata gamma di colori. Il motore non è dei più prestanti, ma è affidabile. Lo scooter è piccolo, ma c’è spazio per l’intera famiglia. Avere un Bajaj significava contribuire al sogno della rinascita di una
grande nazione, fatta di lavoratori che coscientemente spendono per migliorare la propria vita e quella delle persone a loro care. Soldi ben spesi, con anni di servizio in ritorno. Chetak: indistinto, ma pieno di risorse. Lo slogan creato dalla casa motociclistica “Hamara Bajaj” (il nostro Bajaj), catturò appieno lo spirito dello scooter e fece risuonare le corde emotive dell’India dell’epoca. Con l’apertura all’economia e la spinta emergente della nuova India i motorini hanno perso il loro valore emotivo, quasi etico. In un paese dove i figli hanno stipendi i cui padri non avrebbero mai potuto sognarsi, lo scooter attrae per le migliorate prestazioni e l’utilità, ma il sogno è la moto o l’auto, possibilmente un SUV. Il motorino ha mantenuto un valore simbolico per le donne, maggiormente dipendenti dagli altri per gli spostamenti in
uno spazio pubblico sempre descritto come ostile e pericoloso. Sono tantissime le ragazze che con sicurezza zigzagano nel traffico delle piccole e grandi città verso mete stabilite, dove i cambiamenti di rotta sono sempre possibili. Nella pubblicità della Hero Honda Pleasure una giovane ragazza sfugge alle assillanti domande (che al fratello sono risparmiate) rispondendo vagamente e pregustandosi il piacere di guidare lontano. Lo scooter: una gentile rivendicazione di libertà al femminile.
Soldi ben spesi, con anni di servizio in ritorno. Chetak: indistinto, ma pieno di risorse.
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E’ la prima volta nel segmento degli scooter che un marchio esplora la possibilità di creare un nuovo mercato, non più il motorino utilitario bensì il lifestyle scooter.
Bajaj è uscita dal mercato degli scooter nel 2010, non resistendo alla competizione di numerose altre case motociclistiche straniere che hanno lanciato diversi prodotti. E a due anni di distanza la Piaggio lancia il guanto della sfida. La nuova Vespa, resuscitata dalle ceneri italiane, aggredisce con eleganza le dissestate strade indiane. Il sedile posteriore è studiato per permettere alle donne passeggere in sari di sedere comodamente, con entrambe le gambe da un lato e il clacson è più potente. Le emissioni non sarebbero a norma in Europa e il prezzo sarebbe molto allettabile: meno di 1000
to, non più il motorino utilitario bensì il lifestyle scooter per giovani che si vogliono distinguere, per essere davvero alla moda Fashion Unchanged - come vuole lo slogan.
euro. Ma per l’India il prezzo è la dichiarazione di posizionamento sul mercato: il Se la Piaggio sia stata lungimirante e riesca chiaro messaggio di esclusività. A parità di a conquistarsi una nicchia di mercato inprestazioni tecniche gli altri scooter codiano non ci è ancora dato sapere dai nustano circa 250-300 euro di meno, non meri di vendita ufficiali, per ora non pubpoco. Ma la Vespa è ritornata forte della blicati. Ma da maggio a oggi non c’è giorpropria personalità di scooter italiano e no che non incroci scintillanti Vespe, gialle vuole mantenere il suo e rosse soprattutto, anche sulle strade pestatus d’icona, su questo Non c’è giorno riferiche di una città che è puntata la campagna non è per nulla una meche non incroci pubblicitaria e lo spot tropoli e dalle tendenze scintillanti Vespe, televisivo. E’ la prima solitamente piuttosto gialle e rosse. volta nel segmento degli provinciali Forse la Vespa scooter che un marchio farà davvero strada in Inesplora la possibilità di dia… creare un nuovo merca-
LIFESTYLE SCOOTER PER GIOVANI CHE SI VOGLION DISTINGUERE, PER ESSERE DAVVERO ALLA MODA.
Per l’India il prezzo è la dichiarazione di posizionamento sul mercato.
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VIAGGI LUOGHI, MONUMENTI, ALBERGHI E MEZZI DI TRASPORTO
15905/15906 - Vivek Express Ai loro occhi siamo noi le sagome senza consistenza che si materializzano in un secondo e poi svaniscono nel paesaggio che corre. Ore 17:15 di un qualunque sabato. Il semaforo rosso del passaggio a livello ci avverte che siamo arrivati in tempo. Le campane non smettono di diffondere il loro monito mentre le sbarre si abbassano lentamente, manovrate dalle mani esperte del ferroviere. Quante volte ripeterà gli stessi gesti nell’arco di una giornata? I miei pensieri sono interrotti dal fischio del treno: il Vivek Express si avvicina a velocità sostenuta al casello ferroviario. In un momento di frastuono e spostamento d’aria la locomotiva morde le rotaie verso il futuro. Sfrecciano le carrozze blu, colore tipico delle ferrovie… ma questo non è un treno comune.
Primo giorno Secondo giorno Terzo giorno Quarto giorno
Chilometri percorso: 4242km
U-no (cuccette di seconda classe); du-e; tre-e…. set-te, intravvedo passeggeri comodamente seduti nella carrozza con aria condizionata, cuccette a quattro posti; o-tto, a tre posti; no-ve, vagone ristorante; die-ci; un-dici… in coda al lombrico di acciaio le carrozze di seconda classe a sedere. Come faranno i passeggeri a stare seduti così a lungo? I volti delle persone sul treno mi interrogano. Ci sono famiglie, studenti, forse lavoratori che tornano a casa dai loro cari dopo mesi di assenza. Mi sembrano appartenere a un’altra realtà, colti in un momento di sospensione dalla vita
resta che una traccia di suono. Per giungere a destinazione impiegherà altri 4 giorni, se non ci sono ritardi. 82 ore e 15 minuti dividono Kannyakumari, la stazione di partenza nell’estremità meridionale dell’India da Dibrugarh, l’arrivo in Assam. Nel tragitto saliranno e scenderanno persone, ci saranno incontri di uomini e donne di fedi, casta, costumi differenti, che parlano lingue e mangiano cibi diversi. Il treno: un’isola su rotaie che mescola e unisce chi sulla terraferma si sarebbe incontrato a fatica. Solamente il prezzo del biglietto per le varie classi mantiene le distinzioni di ceto.
Durata viaggio: 82 ore 15 minuti Numero Stazioni: 54 Stati attraversati:
Tamil Nadu Kerala - Andhra Pradesh - Orissa Bihar - Bengala occidentale - Assam
quotidiana. Evanescenti figure che attraversano il mondo. Ai loro occhi siamo noi le sagome senza consistenza che si materializzano in un secondo e poi svaniscono nel paesaggio che corre. Se le stazioni in cui il Vivek Express riposa sono 54 e 615 quelle che attraversa, quanti saranno i passaggi a livello che taglia? Tanti volti diversi, accomunati dalla stessa polvere di binario ferroso e occhi distratti, curiosi o indifferenti nell’attesa. Dal ventre generoso del Vivek, il
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treno a più lunga percorrenza dell’India, i viaggiatori vedono sfilare il paese dai finestrini. Chilometro dopo chilometro, 4242 km in totale, scorrono i paesaggi: dalle campagne coltivate a riso del Tamil Nadu, alle distese di palme bagnate dai fiumi placidi del Kerala, su fino alle distese di tè dell’Assam che indicheranno l’avvicinarsi dell’ultima stazione del viaggio: Dibrugarh. Il suono della campanella mi richiama al presente. Il Vivek è passato, delle sue diciotto carrozze non
Le ferrovie indiane, nate nella metà del XIX secolo per permettere agli inglesi di spostare facilmente merci (soprattutto cotone) ed esercito attraverso il vasto territorio, sono da subito diventate veicolo di unione culturale, economica e sociale del paese. Il Vivek Express, battezzato con il nome del monaco errante Vivekanand Svami che all’inizio del secolo scorso percorse a piedi il paese da Calcutta a Kannyakumari, è stato inaugurato il 26 novembre 2011. Ogni settimana puntualmente attraversa il subcontinente e per pochi soldi trasporta chiunque abbia il tempo e la perseveranza di viaggiare placidamente verso la propria destinazione.
Cinque località per esplorare il Rajasthan
Cinque località da non perdere disseminate nel vasto territorio, per passare qualche giorno di scoperta o da cui partire per settimane di viaggio.
Il forte di Amber dove la storia delle città ebbe inizio nel medioevo e il tempo sembra essersi pietrificato.
A gennaio potreste sorseggiare un tè su un piccolo balcone di pietra o in mezzo alle dune del deserto del Rajasthan, terra che incanta con il suo passato spettacolare e il presente vibrante e unico. Dentro le mura rosa, colore voluto dal maharaja che fece edificare la città per dare il benvenuto agli ospiti stanieri, la città storica del XVIII d.C con le vie perpendicolari, i quartieri reali, il famoso palazzo dei venti e il parco astronomico, con i vibranti bazar centenari e le decrepite case nobili affrescate. Oltre le mura la città nuova, in strepitante crescita con strade ampie e trafficate, boutique di moda tessile e lussuosi centri commerciali. Jaipur è il luogo ideale da cui affacciarsi sul Rajasthan, cogliendo in un solo posto antico e moderno, tradizione e innovazione, cultura e progresso. Godetevi un safari in cammello a Osian e dopo la quiete delle dune del deserto una visita agli splendidi templi jaina e hindu dalle pietre traforate.
Jodhpur, la città blu. In mezzo a una terra inospitale e arida, il Marwar (letteralmente la terra della morte).
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Una visita al tempio: indicazioni guida Viaggiare in India e non entrare nei templi è come girare l’Italia senza visitarne le chiese: si perde un enorme patrimonio artistico e una delle migliori possibilità di incontrare la cultura più profonda. Il tempio può lasciarci disorientati perché tutto è intenso e ben poco famigliare: aria densa di odori forti, brulichio disordinato dei devoti intenti ad attività misteriose, sguardi autorevoli dei brahmani, i sacerdoti. E una grande confusione acustica: non si va al tempio per pregare in silenzio, ma per visitare il dio che ci abita e partecipare della sua presenza. E’ bene sapere come comportarsi per non offendere nessuno. Gli usi e i costumi cambiano da regione a regione, con differenze considerevoli dal nord al sud, ma ci sono alcune regole che si devono rispettare ovunque: L’abbigliamento deve essere decoroso: niente spalle scoperte (per le donne mentre nel sud per gli uomini è obbligatorio entrare a petto nudo), pantaloni o gonne lunghe. Non è richiesto coprirsi la testa, anzi nel sud è necessario il contrario. Nel nord si entra più vestiti e si può arrivare più vicino all’icona sacra, spesso la preghiera implica il toccare la statua fisicamente. Nel sud la testa e, per gli uomini, il petto sono scoperti per permettere all’energia divina di entrare nel corpo, ma è vietato toccare le icone. Si entra scalzi. Quasi sempre è possibile tenere i calzini. Togliersi le scarpe è un segno di rispetto. Implica lasciare fuori il mondo mondano, con le sue impurità e imperfezioni. Fuori dai templi maggiori ci sono depositi che custodiscono a pagamento le calzature. Scattare foto all’interno del sancta sanctorum è quasi sempre proibito, anche
dove non vi fosse un’indicazione precisa è meglio chiedere. In numerosi templi del sud ad accogliervi nella prima sala del tempio è un’elefantessa che per qualche rupia vi benedice ponendo la delicata proboscide sulla vostra testa. Benedisce solo chi vuole essere benedetto, proseguite se non vi interessa. Le foto sono ammesse. Prima di entrare nel cuore del tempio si gira in senso orario attorno alla cella. Non siete obbligati a fare il giro, che si chiama pradakshina, ma è altamente consigliato. Si crede che maggiore sia il numero dei giri (sempre dispari), maggiore l’ardore religioso e l’attenzione che dio vi presta. La deambulazione è segno di umiltà e al tempo stesso si lascia più tempo all’energia divina di purificare il corpo. E’ meglio non rimanere fermi direttamente davanti all’immagine sacra. Noterete che gli indiani si dispongono lateralmente o con le spalle non esattamente parallele all’icona. Sia per rispetto che per evitare un sovraccarico di energia divina. Il guardare la rappresentazione divina, fare il darshan, è il rito più intimo e importante, per cui nei giorni di ressa la gente si affolla spingendosi per non perdersi il momento in cui dio apre simbolicamente gli occhi e vi legge nel cuore, cancellando le paure ed esaudendo le vostre preghiere. Se decidete di proseguire fino alla cella sacra i sacerdoti forse vi chiederanno un’offerta, che dovrebbe essere libera. Non sentitevi obbligati a dare più di quanto ritenete opportuno, potete osservare gli indiani e decidere quanto. Ogni hindu riceve anche il prasada, un’offerta sacra costituita da polvere rossa, petali di fiori, del cibo e dell’acqua con basilico indiano, varia a seconda dei
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templi. Sarà offerto anche a voi. Nessuno vi vieta di prenderlo, ma non buttatelo a terra immediatamente dopo. E’ molto sacro per i fedeli e manchereste di rispetto, meglio non accettarlo affatto. Prima di uscire, se avete apprezzato la visita e vi sentite di buon umore e in vena di partecipazione gioiosa potete suonare la campanella; sempre presente nel nord è suonata all’entrata e all’uscita. Nessuno vi guarderà male e vi saranno molti volti sorridenti ad accompagnarvi verso il mondo imperfetto degli uomini. Il primo segno dell’imperfezione sono i questuanti che chiedono l’elemosina all’entrata del tempio. E’ un buon momento per lasciare alcune monete, se desiderate, perché è un’abitudine degli hindu donare al tempio e non farete altro che comportarvi come loro.
Non si va al tempio per pregare in silenzio, ma per visitare il dio che ci abita e partecipare della sua presenza.
CULTURA DAL CIBO AI COSTUMI, TUTTO QUELLO CHE FA INDIA
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Salvar: l'abito che non fa...la monaca In India potete sentirvi libere di indossare i vestiti del luogo, sarà preso come un gesto di accettazione della loro cultura.
C’è un salvar kameez per ogni situazione. Se volete partecipare a una festa o siete invitate a un matrimonio potete sceglierne uno particolarmente ricco.
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C’era un tempo in cui in India l’abito faceva il monaco, il modo di vestire indicava la regione di appartenenza, la religione, la casta e lo stato civile… poi arrivò il Salvar Kameez che divenne negli anni uno dei vestiti di moda più diffusi nel subcontinente (assieme al sari) adottato dalle donne di qualsiasi credo. Il salvar kurta (conosciuto anche con altri nomi) è composto da tre capi: i pantaloni, salvar; una camicia lunga detta kameez (parola di origine araba, prestito forse dall’antico greco e dal latino) o kurta (l’equivalente indiano); e un ampio scialle chiamato dupatta o chunnari. Il salvar kameez arrivò in India con le invasioni musulmane intorno al 1000 d.C.. Furono i Moghul, che lo adottarono come abito imperiale, a diffonderlo in tutto il loro regno. L’imperatore Akbar incoraggiò la sintesi dello stile persiano e indiano in tutti i campi, dall’architettura alle arti tessili. Così nacque il vero e proprio antenato del salvar kameez moderno (il costume usato dalle danzatrici di Kathak è fedele allo stile originale moghul e il modello Anarkali di ispirazione moghul é molto di tendenza negli ultimi tempi) Dai tempi del moghul ad oggi il salvar kameez ha cambiato molti nomi e innumerevoli stili. Usato originariamente sia da uomini che da donne è diventato in seguito un abito prettamente femminile, portato soprattutto nelle regioni del nord ovest e dalle ragazze prima del matrimonio. L’industria della moda ne ha fatto un vestito chic per le donne delle città. Fin dagli anni ’80 è entrato nelle botteghe degli stilisti e nel mercato della moda globale. La maggior parte delle donne non compra un salvar kameez preconfezionato ma acquista la stoffa necessaria e se lo fa cucire da un sarto, su misura.
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IL BAFFO È UOMO Il baffo da record: il bel signore della foto nasconde baffi lunghissimi dentro il turbante. Secondo il libro dei Guinness dei primati i baffi più lunghi del mondo sono sempre stati indiani. L’uomo senza baffi, non è uomo. Puoi avere tanti soldi e una macchina scintillante. Puoi avere molte donne come un divo. Puoi avere bicipiti giganti e un petto enorme. Ma non sei un vero uomo, se questi non ce li hai! I ritratti dei maharaja dell'epoche passate testimoniano che i baffi fossero un simbolo di potere, virilità e segno di una forte personalità. Ai brahmani e ai fuori casta non erano concessi, al massimo potevano confonderli in una folta barba. Negli anni ’30 Gandhi favorì la crescita della peluria sul volto per boicottare l’importazione di rasoi e lame inglesi. Sarà che il baffo incute timore (i banditi li hanno sempre), ai poliziotti indiani è caldamente consigliato di farsi crescere un bel paio di baffi che rassicurino il pubblico sul coraggio e sul valore delle forze armate. Nell’India contemporanea i baffi e le barbe sono in crisi, riflesso della storia di un paese che si stia occidentalizzando e omolo-
gando al mondo. I modelli di bellezza maschile e le mode cambiano: i giocatori di cricket sono rasati e gli attori di Bollywood hanno al massimo un po’ di stilosa barbetta. Richard McCallum, che di baffi e barbe indiane la sa lunga e le racconta nel libro Hair India: A Guide to the Bizarre Beards and Magnificent Moustaches of Hindustan, individua diversi modelli di taglio indiani. Ci sono il tricheco, la mentoniera, il filtra-minestra, il comandante...Uno stile per ogni personalità. I baffi sono...sexy!
sono un simbolo indiscusso di virilità che non conosce crisi. Recita un proverbio: padre baffuto, padre rispettato.
Nonostante le mode straniere che avanzano, il baffo regge nel cinema, così come per strada e negli uffici aziendali. Qualche anno fa a un assistente di volo della Air India venne richiesto di tagliarsi i baffi, per ragioni igenico-sanitarie. L’uomo rifiutò di compromettere la propria immagine e identità, e venne trasferito allo sportello di un aeroporto, a terra. Seguì una battaglia La natura conosce le sue vie per attirare il legale, che vinse. In India i baffi sono un gentil sesso: Il gallo ha la cresta, il leone la diritto fondamentale. Paese che vai, cocriniera e l’uomo ha il baffo. Si usa in Rajastume che trovi. Se decidete di trasferirvi sthan, quando un uomo vede una bella in India e volete essere accolti nella codonna e vuole mostrare il proprio apprezmunità locale come pari, superando le dizamento, fare "il baffolistanze culturali che vi seRecita un proverbio: no" (arricciarsi il baffo): parano dalla gente attorno, un messaggio che, a “Padre baffuto, padre fatevi crescere un paio di detta degli uomini, non curati baffi. Tre settimane di rispettato”. passa inosservato. pazienza, un po’ di prurito e Nel sud dell’India i baffi sembrerete più indiani.
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