Yakuza, la mafia giapponese tra mito e violenza

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East Journal è una testata registrata presso il Tribunale di Torino, n° 4351/11, del 27 giugno 2011.

Direttore responsabile: Matteo Zola. Indirizzo: info@eastjournal.net Tutti i contenuti sono concessi con licenza creative commons, citando autore e fonte www.eastjournal.net Testo di: Massimiliano Aceti Editing: Matteo Zola Foto interne e di copertina: Jeff Laitila, Flickr

Il presente lavoro è una riduzione e rielaborazione del dossier La mafia che non trema, apparso sulla rivista Narcomafie nell'ottobre 2011 e pubblicato anche su Flare col titolo Yakuza: Japan's greatest earthquake

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Indice Yakuza, sulla via degli antichi samurai La yakuza oggi, tra ritualitĂ e ferocia Breve storia della Yamaguchi-gumi Lo Shinogi, tutti gli affari della mafia giapponese Il Botaiho, contromisure al crimine organizzato

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Postfazione Fukushima, quando le yakuza aiutano i terremotati di Alessia Cerantola

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In questo mondo anche la vita della farfalla è frenetica Kobayashi Issa

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Yakuza, sulla via degli antichi samurai Tatuaggi, dita mozzate, spade affilate e arti marziali, le yakuza giapponesi sono conosciute in campo internazionale più per l'aspetto folkloristico che per quello criminale, dimenticando che queste sono associazioni dedite ad attività illegali. Il mondo occidentale ha per molto tempo evitato di riconoscere il potere di queste organizzazioni, evidenze empiriche dimostrano però che quest’ultime sono attive nel mercato europeo, americano e anche australiano fin dagli anni ’60, oltre ad essere molto attive nei paesi dell’Asia centroorientale fin dagli inizi del XX secolo. Uno dei problemi principali che oggi s'incontra nel contrasto alle yakuza è che esse siano a tutti gli effetti delle imprese registrate e quindi legali dal punto di vista del diritto penale e amministrativo giapponese. L'evoluzione storica della mafia giapponese si radica nel banditismo sociale del Medioevo, passando per la conversione di questi “rivoluzionari tradizionalisti” ad associazioni organizzate, fino alla collaborazione con le forze alleate del dopoguerra. La prima legge di contrasto alle Yakuza è la legge Botaiho del 1991 che, sorprendentemente, fa parte del diritto amministrativo e non penale. È molto frequente sentir dire che le yakuza siano fondamentalmente diverse dalla mafia siciliana. Questo luogo comune è basato sulla percezione che la mafia sia un’entità predatoria ambigua, coinvolta in battaglie sanguinose contro lo Stato, e ciò contrasta con il tradizionale prassi del “non conflitto” delle yakuza nei confronti delle istituzioni giapponesi. La mafia italiana c’è ma non si vede, mentre i vari clan delle yakuza hanno uffici che, fino al 1991, esplicitamente identificavano se stessi mostrando il nome e il simbolo (daimon) del proprio gruppo all’ingresso dei propri uffici (molti di questi tuttavia mantengono quest’usanza, anche se la legge ora lo proibisce). Le yakuza somigliano però molto alla mafia, forniscono servizi di protezione a imprese legali e illegali attraverso metodi intimidatori (violenti o meno), organizzano e proteggono i mercati della prostituzione, del gioco d’azzardo, della droga, del mercato immobiliare e oggi anche dei nuovi mercati finanziari. La struttura gerarchica, i rituali, il codice d’onore seppur in parte diversi da quelli della mafia italiana non differiscano completamente, tanto che possiamo ritrovare delle grandi similarità. Nelle due organizzazioni esiste la figura di un padrino che svolge le medesime funzioni, i legami familiari sono fittizi, ed esistono rituali di affiliazione legati a un preciso codice d'onore. Banditi gentiluomini. L’evoluzione storica delle yakuza affonda le proprie origini negli anni del banditismo sociale giapponese dove i banditi dell’epoca, i kabuki-mono, perlopiù non erano altro che samurai disoccupati. Il Giappone del periodo Tokugawa proveniva da secoli di guerre civili contraddistinte da innumerevoli eserciti ognuno costituito da centinaia di samurai. L’unificazione del Giappone e la conseguente pace avevano però evidenziato l’inutilità della figura del guerriero professionista, il samurai in questo periodo perde il proprio status sociale, ritrovandosi da uno dei più alti ranghi della società a uno dei più bassi. Il samurai che non ha più un padrone da cui dipendere diventa ronin, un “cane sciolto”. Questi “tradizionalisti rivoluzionari” prendono il nome di kabuki-mono, tuttavia questa denominazione rappresenta almeno due sotto-gruppi: gli hatamoto-yakko e i machi-yakko. La popolazione contadina in molti casi parteggia per loro tanto che alcuni di questi banditi diventeranno eroi popolari. Ancora oggi tra i membri yakuza prospera l’immagine di essere onorevoli fuorilegge, confortata da romanzi, periodici, riviste, film e manga. Tra i giapponesi è un sentimento molto diffuso considerare i yakuza come gangster romantici. Persino molti poliziotti la pensano in questo modo. Le yakuza dichiarano che le proprie origini derivino da questi banditi leggendari, tuttavia i veri e 5


propri antenati di queste organizzazioni sono i gruppi bakuto e tekiya del XVII° secolo. In questo peridodo la normalizzazione della società e la repressione delle autorità avevano permesso l'eliminazione dei gruppi di banditi nel secolo precedente, tuttavia iniziarono a diffondersi gruppi dediti all’organizzazione del gioco d’azzardo, alla regolamentazione dei mercati locali e alla gestione della società. Bakuto e tekiya. A metà del XVIII secolo, in una società contraddistinta ancora dalle leggi feudali dello shogunato, fanno la propria apparizione nuove associazioni che possiamo considerare come i più diretti antenati delle moderne yakuza: i bakuto, o tradizionali organizzatori del gioco d’azzardo, e i tekiya, o venditori ambulanti. La denominazione yakuza fu utilizzata per molto tempo per definire solo i gruppi bakuto ma gradualmente si diffuse l’uso per definire anche i gruppi tekiya e altre organizzazioni criminali giapponesi. I due gruppi controllavano diversi ambiti della società tanto che operavano nella stessa area senza alcun conflitto: i bakuto lungo le vie principali e nelle città dell’antico Giappone, i tekiya nei crescenti mercati e fiere locali; distinzioni che sopravvivono in certa misura ancora oggi. I gruppi bakuto e tekiya iniziarono a organizzarsi in famiglie a loro volta organizzate attraverso un sistema gerarchico a capo delle quali possiamo identificare la figura del padrino o oyabun. I membri sottostanti possono essere definiti come fratelli maggiori, fratelli giovani e figli. Le yakuza attuali adottano una struttura unica nel panorama mafioso conosciuta come oyabun-kobun, letteralmente “padre-figlio”, struttura che deriva da queste antiche associazioni. L’oyabun dà consigli, protezione e aiuto, in cambio riceve un’incondizionata fedeltà e servizi dai propri kobun qualora li necessitasse. I tekiya operavano nei mercati e nelle fiere, l’oyabun di un gruppo tekiya decideva l’allocazione delle bancarelle e la disponibilità di certe mercanzie, riscuoteva gli affitti e il denaro della protezione, inoltre intascava la differenza dell’affitto richiesto dalle autorità dei templi e dei santuari. Era un tipo di estorsione che è sopravvissuta fino ai giorni nostri: ancora oggi i tekiya pretendono un pagamento dai venditori ambulanti per il privilegio di aprire le proprie bancarelle. Diversamente dai bakuto, che si dedicavano principalmente all’organizzazione del gioco d’azzardo, i tekiya organizzavano anche lavori legali, tanto che le autorità feudali garantirono ai capi di questi gruppi grandi poteri e nell’anno 1740 ricevettero il riconoscimento ufficiale del proprio status. Il governo, per ridurre le truffe dei tekiya e per prevenire disordini e conflitti tra i vari gruppi, nominò un numero di oyabun come supervisori delle attività, ai quali fu garantita la dignità di avere “un cognome e possedere due spade”, simboli di uno status molto vicino a quello dei samurai. Grazie a questo riconoscimento i gruppi tekiya iniziarono a fiorire e a espandersi in tutto il Giappone. A dispetto della legittimazione ottenuta, questi gruppi comprendevano nei propri ranghi un vasto numero di criminali e fuggitivi. Le organizzazioni di tekiya, infatti, fornivano opportunità di riscatto per i giapponesi fuori casta (burakumin). La vendita ambulante era un’opportunità per i membri delle famiglie di burakumin per sfuggire dalla propria povertà e dalla propria disonorata origine sociale. I bakuto, come si è detto, erano organizzavano il gioco d’azzardo. La reazione delle autorità contro questi gruppi fu inizialmente dura. In seguito, tuttavia, il governo centrale sviluppò una più pragmatica politica di segreto aiuto per i più potenti leader bakuto cercando di esercitare influenza su di essi e per poi ottenere favori. Durante questo periodo, le autorità di polizia integrarono nei propri ranghi alcuni membri dei bakuto e dei tekiya utilizzandoli come informatori o spie. I bakuto poterono così svilupparsi tanto che alcuni boss del gioco d’azzardo divennero rilevanti figure politiche ed economiche del mondo legale. Alcuni di questi prominenti bakuto operavano anche come procacciatori di 6


mano d’opera per i lavori delle costruzioni, da sempre una delle attività complementari dei bakuto. C’è una felice sinergia tra queste due industrie: il gioco d’azzardo attrae lavoratori che dopo il lavoro perdono ai tavoli da gioco il denaro appena guadagnato direttamente dai bakuto che così si converte in debito che può essere ripagato lavorando nei cantieri. Anche i bakuto attraevano gente dagli strati più bassi della società come banditi e criminali, oltre che membri della classe dei buraku. Questa classe sociale è sempre stata discriminata non a causa dell’origine etnica ma piuttosto per le attività lavorative che svolgevano. Essi erano per lo più macellai, venditori di pellame, esecutori di criminali e tumulatori di cadaveri: tutte attività considerate impure. La discriminazione di queste persone è sopravvissuta fino ai giorni nostri e continua a condurre un numero sostanziale di burakumin nelle mani dei gruppi yakuza. La restaurazione Meiji. Il 1867 fu un anno molto importante per la storia giapponese, fu, infatti, l’anno finale dello shogunato Tokugawa e il primo anno del nuovo impero Meiji e della seguente Restaurazione Meiji. Il Giappone uscì dal periodo feudale e si catapultò nell’era industriale. Alla fine del 1800 poteva contare una popolazione di circa 45 milioni di persone. Tra il 1890 e il 1914 la produzione industriale totale fu raddoppiata e la nascita di nuove imprese triplicata. Politicamente il Giappone vide l’istituzione del primo parlamento e dei primi partiti politici, parallelamente alla nascita di un poderoso esercito che presto avrebbe invaso la Cina, annesso la Corea e nel 1905 sconfitto la Russia in guerra. I gruppi yakuza approfittarono di questa modernizzazione e di questo sviluppo economico per incrementare le proprie attività. I gruppi organizzavano i lavoratori per i lavori di costruzione nelle grandi città e i caricatori nei porti. Inoltre controllavano i nuovi mezzi di trasporto: i rickshaws che nel 1900 erano più di 50.000 nella sola Tokyo. Il gioco d’azzardo rimase un’attività centrale per i gruppi bakuto, sebbene un controllo più rigido da parte della polizia relegasse quest’attività nei sobborghi delle città e in edifici privati. Per depistare le indagini della polizia molti boss intrapresero attività legali di facciata. I tekiya si svilupparono territorialmente molto più facilmente dei gruppi bakuto poiché le loro associazioni avevano un’investitura legale. I due gruppi continuarono ad avere rapporti con la politica e gradualmente svilupparono sempre più forti legami con importanti ufficiali del tempo. Toyama, la yakuza e il fascismo. La città di Fukuoka e la figura di Mitsuru Toyama sono molto importanti per capire questi legami. Fukuoka fu la città dove nacquero i movimenti di estrema destra del tempo e Mitsuru Toyama proprio qui svilupperà le sue idee ultra-nazionaliste. Toyama nacque in una famiglia di samurai in rovina, passò la sua gioventù pelando patate nelle vie di Fukuoka fino a vent’anni, quando fu arrestato e condannato a tre anni di prigione per avere partecipato all’ultima rivolta dei samurai. Dopo il rilascio iniziò la sua attività politica affiliandosi al primo gruppo nazionalista del tempo, il Kyoshisha (Associazione dell’Orgoglio e del Patriottismo). Organizzò meeting e riunioni, si circondò di uomini disciplinati e pronti alla lotta. Toyama guadagnò la reputazione di essere un Robin Hood distribuendo denaro a chiunque lo seguisse per le vie della città e fu etichettato “Imperatore degli Slums”. Rapidamente ottenne rispetto dai politici locali che allo stesso lo temevano a causa del suo costante ricorso alla violenza. Nel 1881 fondò una nuova associazione, la Genyosha (Associazione dell’Oscuro Oceano), un gruppo di estremi nazionalisti dediti alla repressione dei movimenti di sinistra, oltre che all’omicidio e al ricatto. I membri di quest’associazione lavoravano anche come guardie del corpo di ufficiali governativi e, a differenza dei gruppi bakuto e tekiya, questi nuovi yakuza si consideravano espressione della migliore società nipponica. L’associazione mandò agenti segreti in Cina, Corea e Manciuria, per organizzare le future basi 7


dell’invasione giapponese. Toyama organizzò scuole, dove si studiavano le arti marziali, tecniche di spionaggio, lingue straniere e dove s’impartivano le nozioni del nazionalismo. Le persone che uscirono da queste scuole furono i creatori del sistema repressivo giapponese negli anni immediatamente precedenti la Seconda guerra mondiale. Dalla Genyosha alla Yamaguchi Gumi. La Genyosha, l’associazione fondata nel 1881 da Toyama, si macchiò di efferati crimini sopprimendo nel sangue i movimenti dei lavoratori, tanto che quando, nel 1892, in Giappone si tennero le prime elezioni nazionali, Toyama con il suo seguito e con l’aiuto dei politici di estrema destra iniziò una campagna di violenza contro i movimenti liberali, ordendo attentati che uccisero, tra gli altri, il ministro degli Esteri Shigenobu Okuma e Toshimichi Okubo, probabilmente lo statista più brillante dell’epoca Meiji. Nel 1905 il Giappone invade la Corea, anche grazie agli agenti che la Genyosha aveva mandato. Da questo momento iniziarono a fiorire innumerevoli associazioni simili alla Genyosha in tutto il Giappone. Inizialmente le tradizionali organizzazioni yakuza presero le distanze da questi gruppi, ma poi iniziarono a sbocciare delle affinità: la visione unilaterale del potere, l’estrema avversione per gli stranieri e le idee straniere (liberalismo e socialismo), il passato romantico, l'osservanza dei dettami scintoisti e la divinizzazione dell’imperatore, erano tratti comuni, come anche la struttura oyabun-kobun e i rituali per l’affiliazione. Nel 1919, un anno prima che fu introdotto il suffragio universale in Giappone, Toyama organizzò una nuova formazione, la Dai Nippon Kokusui-kai (Associazione della Grande Essenza Nazionale Giapponese), un’associazione di oltre 60.000 gangster, lavoratori e ultra-nazionalisti dediti alla repressione violenta delle manifestazioni operaie e liberali: furono il corrispettivo giapponese alle camicie nere italiane. Il partito Seiyu-kai (uno dei due maggiori partiti del tempo) assimilò la parte militarizzata della Kokusui-kai come proprio gruppo armato. Il partito dell’opposizione il Minseito Party, dal suo lato organizzò il suo gruppo di gangster: la Yamato Minro-kai, anch’essa formata da gruppi yakuza. Il Parlamento giapponese era infestato da boss della malavita e da ultra-nazionalisti che si dividevano il potere. Il Giappone, come già l’Italia e la Germania, entrò nel periodo dell'ultra-nazionalismo. In quel contesto, mentre alcuni gruppi yakuza aprivano il proprio business alla politica e all’estero, altri gruppi nascevano e controllavano i mercati interni delle costruzioni. Il gruppo che emerse nel porto di Kobe merita attenzione poiché è tutt’oggi l’organizzazione yakuza più grande e pericolosa del Giappone. Il gruppo è conosciuto come Yamaguchigumi e il leader e fondatore di questo gruppo fu Kazuo Taoka, tuttora conosciuto in Giappone come il “padre di tutti i padri”. Certamente il leader che più di tutti ha lasciato il segno nella storia delle yakuza moderne. Il mercato nero e l’anfetamina. Alla fine del conflitto mondiale il Giappone si ritrovava devastato. La polizia per prevenire una nuova rivolta militarista era stata disarmata, purgata e screditata, quindi era temporaneamente incapace di mantenere l’ordine pubblico. Per le autorità americane, che occupavano il Paese, non fu una priorità il controllo delle attività illecite. Il mercato nero fiorì e divenne l’unica fonte capace di offrire mercanzie alla popolazione civile. Lo Stato era incapace di controllare questi mercati e la popolazione, quindi, dovette utilizzare i servizi delle yakuza. Nel 1948 i boss yakuza furono ufficialmente investiti dell’autorità di riscuotere le tasse dalle imprese di Tokyo. Ovviamente non esisteva controllo che evitasse che il denaro riscosso dalle yakuza fosse effettivamente quello che era versato nelle casse statali. Similarmente la polizia fu obbligata ad accettare la realtà che le yakuza controllassero i mercati locali: questo fu ufficialmente formalizzato da un’ordinanza del 1946 che dava ai boss tekiya il controllo 8


completo sui mercati all’aria aperta di Tokyo. Il mercato nero non forniva soltanto beni di prima necessità ma anche droga. In questo periodo il consumo di droghe raggiunse livelli altissimi. La causa di questa diffusione è da ricercarsi nel periodo bellico: durante la guerra, infatti, il governo aveva prodotto ingenti quantità di anfetamine per incrementare la produttività degli operai e la resistenza delle truppe. In seguito alla sconfitta giapponese nei magazzini militari restarono stivate ingenti quantità di anfetamine. Per le yakuza non fu difficile mettere le mani su questi redditivi prodotti. L’uso di droghe, inoltre, non era mai stato criminalizzato, quindi la popolazione era già abituata e dedita all’uso, tanto che in mancanza di un fornitore ufficiale doveva affidarsi al mercato nero. La prima legge che controlla e limita l’uso delle anfetamine non sarà approvata fino al 1951. Il boom economico. Il 1952 segna la formale fine dell’occupazione militare americana. Durante gli anni ‘50 l’economia giapponese iniziò a spiccare il volo. Questo processo ricevette un grande stimolo quando la guerra di Corea creò un'enorme domanda di equipaggiamento militare. Lo Jinmu boom 1955-56 e l’Iwato boom del 1959-60 portarono allo sviluppo di grandi progetti per la costruzione di strade, edifici residenziali e infrastrutture di ogni tipo. In questo periodo la quasi totale domanda di manodopera edile e la gestione dei porti era soddisfatta dai gruppi yakuza. Approfittando di questo rapido sviluppo, le yakuza si lanciarono sul business dell’intrattenimento: dal pachinko, gioco d’azzardo legale e illegale, alla gestione dell’industria conosciuta col nome di mizushobai strettamente relazionata alla gestione di bar, ristoranti e prostituzione. Questo periodo vide una considerevole crescita del numero dei membri delle yakuza, nel 1963 fu raggiunto il picco storico di 184.091 affiliati distribuiti in 5.216 gang. Tra le migliaia di gruppi che esistevano alcuni divennero dominanti. Nella regione del Kanto, nei dintorni di Tokyo, nomi come Kinsei-kai, Tosei-kai e Sumiyoshi-kai iniziarono a monopolizzare le cronache dei giornali. Nella regione del Kansai, intorno ad Osaka, la Yamaguchi-gumi e la Honda-kai iniziarono a dominare il territorio. La vendita delle scorte militari di anfetamine durante l’occupazione aveva creato un mercato che ora era solo necessario alimentare. Le yakuza monopolizzarono questo mercato facendone una delle chiavi di sviluppo del proprio impero finanziario. La prostituzione anch’essa divenne un business delle yakuza. Tradizionalmente alcune forme di prostituzione erano considerate rispettabili in Giappone e non erano certo controllate dalle yakuza, ma alla fine della guerra tutto cambiò. Molte donne furono vendute dai propri famigliari alle yakuza, le quali le utilizzavano come prostitute nelle città, spesso per soddisfare una clientela americana. L’opinione pubblica si mosse per contrastare questo business e la prostituzione fu dichiarata ufficialmente illegale nel 1958. Da questo momento il completo controllo del mercato del sesso cadde nelle mani delle yakuza. La crescita delle opportunità del mercato vide quindi la contemporanea crescita della competizione tra gruppi per il controllo di queste nuove fonti finanziarie. La natura violenta di questi conflitti è dimostrata dal fatto che nell’anno picco del 1963, il 48,4% degli arresti totali relazionati ad associazioni criminali fu di natura violenta: assalto, lesioni o omicidio. Questo periodo di guerra determinò che un gruppo di poche associazioni raggiungesse l’espansione nazionale grazie a un processo di assimilazione dei gruppi più deboli, attraverso alleanze militari o direttamente con il loro annientamento durante i conflitti. Sette gruppi in particolare furono identificati dalla polizia come essere le maggiori organizzazioni criminali: Yamaguchi-gumi, Honda-kai (si convertirà nella Dai Nippon Heiwa-kai), Sumiyoshi-kai (Sumiyoshi Rengo), Kinsei-kai (Inagawa-kai), Nippon Kokosui-kai, Kyokuto Aio-kai e la Matsuba-kai. Per impedire una nuova espansione delle organizzazioni criminali furono introdotte nuove leggi. Nel 1958 la legge criminale fu 9


modificata introducendo il crimine d’intimidazione di testimoni, inoltre furono attuate protezioni per difendere i testimoni. Allo stesso tempo furono introdotte pene più severe contro l’uso di pistole e spade e una legge che impediva le riunioni con armi. Olimpiadi di Tokio, la prima repressione. Nei primi anni sessanta, un diffuso malcontento pubblico, la campagna anti-violenza del periodico “Mainichi Shinbun” e l'alto livello di scontri fra gang, fecero pressione alla polizia per elaborare misure più restrittive contro il crimine organizzato. L’imminente evento dei giochi olimpici di Tokyo del 1964, obbligò le autorità a “ripulire” la capitale. La strategia che la polizia mise in atto consisteva nell’eseguire arresti coordinati dei membri dei vari gruppi, mirando particolarmente ai più alti gradi delle organizzazioni (kanbu) fino agli oyabun. In particolare la polizia fece sforzi per controllare le fonti finanziarie e le armi da fuoco. Furono così smantellate importanti associazioni come la Sumiyoshi-kai, la Kinsei-kai e la Honda-kai, ma nella maggior parte dei casi i sottogruppi di cui erano composte proseguivano la propria esistenza e si ricomposero molto rapidamente, tanto che tutt'oggi sono in attività. Gli interventi della polizia si diressero in primo luogo ai crimini tradizionali come il gioco d’azzardo ed estorsione. Furono sproporzionatamente presi di mira i piccoli e medi gruppi i quali dipendevano interamente dalle risorse finanziarie derivanti da queste attività. I gruppi più grandi che si erano specializzati in diverse attività economiche legali e illegali furono capaci di diluire gli effetti della repressione governativa. Le dirigenze delle grandi associazioni svilupparono rapidamente un sistema che le potesse proteggere dai frequenti attacchi. Il sistema elaborato è conosciuto con il termine jonokin, questo consisteva nel pagamento di una tassa associativa da versare ai boss da parte dei subordinati, questo significava che i capi delle associazioni ricevevano un sostanziale introito senza essere direttamente coinvolti nelle attività illecite dei propri subordinati. I più grandi sindacati mafiosi furono ovviamente quelli che beneficiarono maggiormente di questa nuova situazione. La fratellanza di Yamaguchi ancora una volta si trovò a essere in una situazione di dominio che si mantiene tutt’oggi. Yakuza e politica. Come abbiamo visto nel periodo post-bellico i rapporti tra i partiti politici, in particolare quelli di destra, e le yakuza sono sempre stati cordiali e di reciproco aiuto. Questi rapporti sono stati apertamente dichiarati per molto tempo. In alcuni casi i legami furono così forti che era praticamente impossibile far differenza tra le autorità e i gangster. Abbiamo esempi di boss locali che occuparono posizioni nelle amministrazioni e anche nelle commissioni delle forze dell’ordine. Dal 1954 la situazione si normalizza e questo tipo di casi poco a poco iniziano a scomparire. Tuttavia i politici continuavano a considerare necessarî e utili i rapporti con le yakuza. I politici giapponesi mandavano omaggi floreali alle cerimonie di successione, matrimoni e funerali delle yakuza, erano accolti come membri d’onore alle feste e s’impegnavano per il rilascio di membri arrestati. Tuttavia gli emergenti scandali politici e il clima intimidatorio diffuso iniziarono, a partire dalla fine degli anni ’70, a rendere sconveniente l’espressione esplicita di questi legami. La connessione tra yakuza e politica non scompare ma diventa più discreta. Tutt’oggi i rapporti tra i partiti politici di destra e le yakuza rimangono attivi sebbene i cambi strutturali e le attività sempre più estreme delle yakuza abbiano seriamente minato questa collaborazione. La legge Botaiho del 1991 sembra avere scritto l’ultimo capitolo di questa stretta collaborazione, tanto che già nel 1992 l’uomo politico più potente del Giappone, Shin Kanemaru, è stato arrestato in seguito all’inchiesta che rivelava una violazione della legge sui contributi elettorali. Kanemaru secondo l’accusa aveva ricevuto finanziamenti illeciti per il suo partito (LDP) da un’impresa di trasporti, la Sagawa Kiubin, nota per avere stretti legami con gruppi yakuza. Ad oggi la politica giapponese, sebbene sembri essere stata ripulita, prosegue tuttavia questa informale collaborazione. 10


La yakuza oggi, tra ritualità e ferocia La struttura delle yakuza. Le organizzazioni criminali giapponesi sono strutturate in una complessa rete di relazioni con forti legami interni sia orizzontali che verticali.Le yakuza sono composte da ikka, o famiglie fittizie. Le ikka (a volte ci si riferisce anche al termine kumi o gumi) sono le unità basiche fondamentali delle yakuza. Queste strutture creano coesione e stretti legami all’interno di un gruppo e contrastano le divisioni interne. Possiamo definire quindi quattro strati a base piramidale: i saiko kanbu (dirigenti supremi), kanbu (dirigenti), waka-chu (giovani organizzatori) e lo strato composto dai jun kosei-in (apprendisti). La categoria del jun-kosei-in include anche figure periferiche (shuhensha), come il kigyo shatei (fratello/socio d’affari), queste figure non sono direttamente connesse con la ikka, ma collaborano profiquamente mantenendo agganci informali. La struttura gerarchica è molto simile alla struttura di una corporazione legale o di una organizzazione militare giapponese. I ruoli sono molti, il più importante è sicuramente il ruolo di kumi-cho o oyabun (padre, boss, padrino), occupa la posizione più alta della gerarchia e dirige l’associazione. È seguito dai waka-gashira termine che letteralmente significa “figlio del kumi-cho” si rivolge al padrino col termine oyaji che significa “padre”. Normalmente in un’associazione sono presenti più di un waka-gashira. Il ruolo che segue è quello occupato dai so honbucho letteralmente “capo del quartiergenerale”, sono i direttori generali dei vari uffici yakuza. Affiancano la struttura principale, una famiglia di ruoli denominati burocraticamente komon (gruppo di consiglieri). Fanno parte di questo gruppo lo shatei gashira, lo shatei gashira hosa e lo shatei. All’interno di una ikka i membri individuali occupano quindi due differenti posizioni, quella all’interno della ikka intesa come un unico gruppo e quella all’interno di in gruppo interno. La maggior parte dei gruppi interni tendono ad essere composti da meno di dieci membri. Proprio grazie alle loro piccole dimensioni, e al fatto che condividano diariamente un business, questi gruppi interni sono le unità più coese e “intime” dell’universo yakuza. Per quanto riguarda i compiti pratici che ogni ruolo svolge possiamo dire che le decisioni finali sulle strategie finanziarie di una ikka dipendono esclusivamente dal volere del oyabun, mentre le strategie da adottare possono essere suggerite dai suoi consiglieri (komon), dai dirigenti più anziani e da colui che attua come vice-capo (waka-gashira). I jun kosei-in sono incaricati della protezione e di altri piccoli compiti quotidiani come rispondere alle chiamate telefoniche, fare da autista, servire gli ospiti e visionare gli apprendisti. I gruppi criminali sono effettivamente organizzazioni burocratiche, tuttavia i legami interni sono di distinta natura. I legami all’interno di una ikka sono di natura famigliare (anche se fittizia), viene creata la relazione oyabun-kobun (padre-figlio) a la relazione di kyodaibun (fratello-fratello). È importante notare come questi legami uniscano più gli individui tra di loro piuttosto unirli a un gruppo. Questa parentela fittizia è cruciale per mantenere la coesione del gruppo verticalmente (oyabun-kobun) e orizzontalmente o anch’essa verticalmente (kyodaibun). Queste relazioni sono stabilite da un rituale di scambio di sake nella cerimonia di sakazuki. Il sakazumi, come si diventa fratelli. Il rituale d’affiliazione tipico delle famiglie yakuza è il rituale di sakazuki (letteralmente scambio di sakè). Sicuramente uno degli aspetti che attrae maggiormente gli aspiranti yakuza è il proprio fattore famigliare. Infatti, la maggior parte delle nuove reclute vive solo e il 43% ha perso uno o entrambi i genitori. In questi casi l’affiliazione a un gruppo yakuza rappresenta la fine di una ricerca di un sostitutivo alla propria mancante famiglia. Di fronte ai membri della gang è stipulato un 11


patto padre-figlio (oyako sakazuki). La cerimonia di sakazuki normalmente si svolge di fronte ad un altare scintoista durante una cerimonia eseguita nel più assoluto silenzio. Gli stendardi con i nomi della divinità del sole Amaterasu e il dio patrono dei guerrieri Hachiman sono esposti alle spalle dell’altare. L’oyabun e le nuove reclute siedono uno di fronte all’altro mentre gli azukarinin (servitori, solitamente yakuza di basso rango) preparano il sakè. Il sakè è mischiato con sale ed è razionato secondo la relazione che si sta instaurando. A questo punto i partecipanti ne bevono un poco e in seguito si scambiano le tazze, il nuovo kobun dichiara le sue responsabilità nei confronti della famiglia. Le nuove reclute ricevono la spilla con l’emblema della famiglia yakuza. Inoltre è rilasciato un documento nel quale si elencano i membri del gruppo, il nome della famiglia appartenente, la struttura dei gruppi interni, la posizione di ognuna e infine il nome del nuovo membro. La nuova famiglia ha la precedenza su quella “reale”, le due saranno separate e la famiglia “reale” sarà in un rapporto di subordinazione. La famiglia fittizia si prenderà cura di quella “reale" in caso di problemi del membro (per esempio durante un’incarcerazione o malattia), ma allo stesso tempo la famiglia “reale” non avrà possibilità di ereditare la posizione di membro o i diritti di successione. Il rituale di sakazuki non solo è utilizzato per la formalizzazione delle affiliazioni ma anche per definire nuove posizioni gerarchiche. Esistono due tipi di relazione in un gruppo yakuza: una di tipo verticale: oyabun-kobun, e una di tipo orizzontale: kyodaibun. Queste ultime sono stabilizzate appunto dal rituale di scambio di sakè durante la cerimonia di sakazuki. La natura della relazione è determinata dalla quantità di sakè contenuto nelle tazze. Il controllo interno. Le organizzazioni yakuza sono entità che operano in un ambiente in cui non esiste una protezione legale, per questo motivo devono creare e rafforzare un proprio sistema legale e protettivo. Essenzialmente esistono cinque regole fondamentali rimaste immutate da decenni: 1) non disobbedire o causare problemi ai tuoi superiori 2) non tradire il gruppo o i tuoi compagni; 3) non lottare con i tuoi propri compagni o rompere l’armonia dell’organizzazione; 4) non sprecare i fondi dell’organizzazione; 5) non toccare alcuna donna dei membri dell’organizzazione. Oltre a queste regole esiste un rigido codice denominato Wakamono no kokoroe (regole per i giovani yakuza), è esposto nei saloni e nei dormitori dei quartieri generali delle yakuza. Con pochissime eccezioni queste regole sono identiche a quelle insegnate ai nuovi dipendenti delle grandi aziende. Le yakuza richiedono una disciplina ferrea, tuttavia l’esperienza empirica ci insegna che questo ideale è ben lungi dall’essere realizzato. Il fatto che queste regole esistano suggerisce che sono forti le tentazioni a massimizzare i propri interessi alle spese del gruppo o del boss. Di conseguenza la “virtù” più importante per un membro yakuza è l’obbedienza incondizionata, anche al di là di ogni logica. Un proverbio tradizionale delle yakuza, recita: “se l’oyabun dice che il corvo nero è bianco, il kobun deve essere d’accordo”. La fedeltà incondizionata è premiata con promozioni o premi in denaro, viceversa esistono punizioni per chi contravviene alle regole. Per piccole offese ad esempio si può richiedere la rasatura integrale dei capelli, una reclusione temporanea, una multa o una temporanea espulsione. Offese più gravi possono provocare il linciaggio (rinchi), lo yubitsume (amputazione di una falange), hamon (espulsione dalla ikka), zetsuen (la irreversibile rottura dei legami famigliari, espulsione definitiva) e ovviamente la pena più severa, la morte. Il rituale del dito mozzato. Lo yubitsume può essere di due tipi e assumere quindi due significati diversi. Possiamo definire una ragione negativa e una positiva. La prima, normalmente lo yubitsume non è richiesto come punizione ma piuttosto rappresenta la decisione preventiva del trasgressore di dimostrare il proprio pentimento nella speranza di 12


evitare una punizione più pesante. Recentemente la tradizione dello yubitsume è diventata meno prevalente tra i giovani membri, poiché preferiscono pagare una multa piuttosto che perdere una falange. Dalle interviste con la NPA (la national police agency giapponese, una sorta di “Federal Bureau” nipponico) emerge che alcuni membri utilizzano anestetici per sopportare il dolore o, cosa molto più curiosa, che una volta mozzata e mostrata (al boss) la falange si dirigano rapidamente all’ospedale per farsela riattaccare. Lo yubitsume esiste anche come pratica positiva, non solo come punizione o dimostrazione di pentimento ma anche per risolvere un problema o un conflitto. Quando la pratica è positiva il dito mozzato lo si definisce iki yubi (dito vivente) mentre quando la pratica è negativa lo si definisce shinu yubi (dito morto). L’iki yubi è quindi mostrato in segno di sacrificio per risolvere un problema o conflitto di cui il sacrificante non ne è direttamente responsabile. Questo secondo tipo di yubitsume assume il significato di sincera fedeltà, una pratica medioevale che le prostitute attuavano per dimostrare la fedeltà e devozione a un proprio particolare cliente. Ovviamente sia per le prostitute del medioevo giapponese che per i membri yakuza esiste chiaramente un limite al numero di volte che questa sincerità, devozione o pentimento possano essere “fisicamente” espresse. Il giri e l'irezumi. Il controllo all’interno delle yakuza è attuato anche con modalità meno dirette. Una di queste è l'adesione al concetto di giri. Non è possibile spiegare questo termine con una traduzione univoca. Nel mondo delle yakuza questo termine rappresenta un obbligo, un forte senso di rispetto che coinvolge valori come la fedeltà, la lealtà e la gratitudine. Il concetto di giri è un debito morale che si crea tra membri yakuza. È un concetto che deriva dal bushido, il codice d’onore dei samurai del medioevo giapponese, dove appunto il concetto di giri rappresentava il senso di dovere nei confronti di una persona. Un’altra modalità indiretta di controllo è quella degli irezumi. I gruppi bakuto furono i primi ad introdurre questa pratica. I tatuaggi fin dal periodo feudale, dove erano utilizzati dalle autorità per marcare i criminali, sono sempre stati considerati come un simbolo che contraddistingue chi decide di uscire dalla società. I membri yakuza tutt’oggi vengono identificati con maestosi tatuaggi. I tatuaggi delle yakuza sono molto costosi non solo dal punto di vista economico ma anche dal punto di vista sociale. In Giappone infatti chi veste un tatuaggio è indelebilmente considerato un poco di buono, saune, bagni pubblici e piscine molto spesso proibiscono a queste persone, che siano yakuza o meno, di accedere alle proprie strutture. Il tatuaggio si rivela essere quindi una prova di coraggio, una consapevole diversificazione dalla società. Il demukai. E' forse il rituale più importante poiché esalta il concetto di giri e definisce la fedeltà dei membri Esso si realizza quando un membro yakuza si sostituisce nella confessione di un atto criminale al suo superiore, dimostrando così la sua dedizione e fedeltà. Il demukai tramanda il codice d’onore yakuza poiché insegna il valore della fedeltà tra i membri, della sottomissione ai propri superiori e della ricompensa per un’onorevole azione, e determina nuovi legami, poiché chi è rilasciato dal carcere, è abitualmente promosso e quindi sale di grado, infine produce shughi, il membro rilasciato riceve, infatti, una quota di denaro che potrà investire come meglio crede. L’associazione criminale ha tutto l’interesse, quindi, ad interferire con ogni tentativo da parte dello Stato di riabilitare il criminale. Vari atti nel rituale simbolizzano questa competizione fra Stato e organizzazione criminale. La prima fase del rituale di demukae riguarda la partenza dei membri yakuza dai rispettivi quartieri generali. Il giorno della liberazione i membri delle varie filiali dell’organizzazione e i membri delle organizzazioni amiche si dirigono verso il carcere dal quale sarà rilasciato il membro yakuza. Lo spostamento avviene utilizzando le automobili dell’organizzazione, per lo più di provenienza straniera. L’ordine dei membri 13


nelle automobili e l’ordine della colonna di automobili seguono la gerarchia interna del gruppo. Una volta giunti di fronte al carcere, alcune ore prima della liberazione, i vari membri lasciano le proprie automobili e una volta assolti i saluti con i membri delle varie filiali e dei gruppi alleati si dispongono ordinatamente di fronte alle mura del carcere. La preparazione alla scarcerazione consiste nella formazione di schieramenti di forma piramidale che, di fatto, rappresentano la gerarchia reale esistente all’interno di ciascun gruppo dell’organizzazione. Non c’è alcun incaricato a indicare la posizione di ciascun membro, tuttavia ogni associato sa dove collocarsi poiché è consapevole della posizione che occupa nell’organizzazione. La gerarchia dell’organizzazione si rivela formalmente e fisicamente, ogni posizione ha un significato e ogni significato rivela un ruolo ben preciso. Molto spesso le forze di polizia osservano minuziosamente gli assembramenti di queste organizzazioni per identificare i membri e per capire il ruolo che occupano all’interno dell’organizzazione, proprio perché la struttura interna è in pratica rivelata pubblicamente. Una volta che sono aperti i cancelli della prigione, l’oyabun seguito dal suo vice si dirige all’interno del carcere e accolgono lo scarcerato. L’ex-carcerato riceve i ringraziamenti e la promozione derivata dal “sacrificio” eseguito. L’azione che compie l’oyabun è molto rilevante poiché entra egli stesso nel carcere per riscattare il proprio membro, in questo modo si definisce la tensione tra l’intenzione dello Stato di riabilitare un criminale e l’intenzione dell’organizzazione di mantenerlo tra i ranghi dell’associazione. Una volta soddisfatte le ultime formalità, il gruppo si dirige all’esterno, dove il rilasciato riceverà i ringraziamenti e i doni in denaro dagli altri gruppi. Reclutamento e discriminazione. La discriminazione verso certi gruppi etnici proibisce ai membri di questi di avere l’opportunità di una scalata sociale. Il mondo criminale quindi rimane l’unica strada per questi gruppi per raggiungere i propri obiettivi materiali. La discriminazione più forte è diretta verso i burakumin e non caso le yakuza sono sempre state delle organizzazioni attente ad arruolare persone provenienti da questa classe nei confronti della quale è ancora pratica comune richiedere, prima di un matrimonio o prima di un’assunzione in un’impresa, l’origine famigliare per accertare o no l’appartenenza a questa “casta”. I guadagni per una famiglia di origine buraku sono del 40% inferiori rispetto alla media nazionale; i giovani buraku che lasciano la scuola sono il doppio rispetto agli altri giovani giapponesi e solo la metà accede all’università. Tra i gruppi che non assumono persone di origine buraku è inclusa anche la polizia, e ciò malgrado la discriminazione legale dei buraku sia terminata per decreto già nel 1871. Ovviamente non tutti i membri di gruppi discriminati o svantaggiati si affiliano alle yakuza; i “talent scout” yakuza non cercano di convincere un individuo perché è coreano o un buraku o perché non ha un’educazione scolastica, ma piuttosto perché alcuni individui sono “appropriati” per questo “lavoro”. Nelle statistiche della NPA del 1989 l’11,3% erano ladruncoli, il 33% abusava di solventi, il 75% era stato arrestato una volta prima di affiliarsi a un’organizzazione criminale e il 50% più di una volta. Dalle interviste si può ricavare un dato importante: il 60% dei nuovi affiliati aveva già precedenti di delinquenza come partecipazione a gruppi bosozoku (automobili truccate) e gang di strada. I “talent scout” yakuza battono i luoghi frequentati da questi giovani come “game-centers” e quartieri periferici. Le potenziali reclute possono ottenere per i primi piccoli lavori iniziali del denaro, cibo o droga. Alcune investigazioni non ufficiali hanno evidenziato che alcuni karate club e alcune università di basso prestigio sono prese di mira come potenziale terreno di reclutamento. Sempre secondo ai dati del NPA, tra le motivazioni che spingono ad affiliarsi c'è il fascino del mito della yakuza (36,5%) e delle tradizioni giri (29%) ma resta forte la motivazione “considerano anche una persona come me” (17%) che può essere sicuramente interpretata come un’indicazione del sentimento di discriminazione avvertito prima di affiliarsi. 14


Religione e yakuza. La maggior parte dei giapponesi è o buddista o scintoista. La quasi totalità della popolazione pratica entrambe le fedi. Molto spesso i giapponesi si affidano a rituali scintoisti e a rituali buddisti secondo cosa vogliano celebrare. Si eseguono rituali scintoisti per inaugurare una nuova impresa o per propiziare felicità e denaro nella vita di un figlio, dall’altro lato si utilizzano rituali buddisti per la celebrazione di un matrimonio o di un funerale. La religione scintoista, che è la religione indigena, vive sincretizzata con quella buddista d’importazione cinese. La società giapponese si rivela poco praticante, anche se i festival scintoisti vedono una grande partecipazione, probabilmente più per le bancarelle e le parate che per un vero e proprio sentimento religioso. I membri delle yakuza molto spesso sono gli animatori di questi festival scintoisti. Si fanno carico della gestione dei venditori ambulanti (tekiya) e sono incaricati di trasportare gli altari delle divinità durante le processioni dà e per il santuario. L’anima religiosa dei membri yakuza si rivela nella venerazione di quella che è la religione nazionale, lo scintoismo. Una delle manifestazioni più conosciute in cui si possono vedere membri yakuza che sfoggiano liberamente tatuaggi è quella che si tiene il terzo fine settimana di maggio a Tokyo. È conosciuta col nome di Sanja matsuri, ed è una celebrazione scintoista del tempio Asakusa. Come durante l’”Affruntata” calabrese, dove si possono vedere membri di famiglie mafiose svolgere il ruolo di portatori delle statue di S. Maria, S. Giovanni o Gesù, qui si possono vedere i membri di varie famiglie yakuza che caricano i mikoshi in processione. Secondo un’inchiesta dell’Asahi Shinbun il 70% dei gruppi che partecipano a questo festival sono controllati dalle yakuza. La maggior parte sono yakuza della Yamaguchi-gumi o della Sumiyoshi-kai anche se non manifestano pubblicamente la propria appartenenza.

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Breve storia della Yamaguchi-gumi La sesta generazione della Yamaguchi-gumi è l’organizzazione yakuza più grande e violenta del panorama criminale giapponese. L’organizzazione può essere considerata una delle più estese anche a livello globale con ramificazioni in vari paesi asiatici in Australia e anche negli Stati Uniti. L’organizzazione può contare su un numero di circa 20.400 membri e 18.600 associati, per un totale di 39.000 persone. In concreto il 49,9% delle persone dell’intero panorama criminale giapponese ha in qualche modo contatti con la Yamaguchi-gumi. I membri che possono essere considerati il cuore dell’associazione, secondo stime non ufficiali, dovrebbero essere un centinaio. Questi sono i membri che hanno sancito un patto di sakazuki. La Yamaguchi-gumi nasce a Kobe nel 1915 ad opera Harukichi Yamaguchi. In questo periodo l’organizzazione conta solo una dozzina di membri ed estende il proprio controllo solo localmente. Il grande passo è l’elezione come terzo kumi-cho di quello che è ricordato come “il capo di tutti i capi”, l’incontrastato padrino Kazuo Taoka. Costui è l’artefice dell’incredibile espansione di questa piccola famiglia. Taoka orfano di padre e madre dall’età di quattro anni è cresciuto da alcuni parenti e fin dalla giovane età lavora nel porto di Kobe, dove entra in contatto con i membri della piccola Yamaguchi-gumi. Di personalità alquanto violenta si conquista il soprannome di “Kuma” l’orso. L’indole violenta lo porterà in carcere, nel 1937, per l’omicidio di un membro di una banda rivale. Nel 1943, in seguito ad un’amnistia generale, è rilasciato. Tre anni più tardi sarà nominato oyabun della terza generazione della Yamaguchi-gumi. Taoka impone una rivoluzione strutturale nelle yakuza giapponesi. L’attività illegale deve d’ora in avanti essere associata a un’attività di facciata legale. La politica espansionistica violenta permette al gruppo di espandersi in tutte le regioni del Giappone. Estorsione, gioco d’azzardo, industria del sesso, contrabbando di armi da fuoco, droga, controllo del mercato immobiliare e delle costruzioni sono le attività che ricadono sotto il controllo della Yamaguchi-gumi. La quasi totalità dei piccoli sindacati mafiosi del tempo sono fagocitati dall’associazione. L’organizzazione dagli anni ’70 e ’80 è attiva anche nel mercato finanziario attraverso l’utilizzo di sokaiya e operazioni nel mercato borsistico. La morte di Taoka e del diretto successore il wakagashira, Kenichi Yamamoto, nel 1981, segnano l’inizio di lotte intestine. Per tre anni il potere è gestito della moglie di Taoka, Fumiko Taoka, e nel 1984 è scelto il nuovo oyabun, Masahisa Takenaka. Tuttavia questa decisione non è ben accolta da tutti i membri dell’organizzazione. Gli scissionisti (circa 3.000 membri e 18 dirigenti) formano una nuova associazione denominata Ichiwa-kai. Il 26 gennaio 1985, in seguito all’assassinio del nuovo oyabun, Masahisa Takenaka, inizia quella che è ricordata come uno degli scontri più sanguinosi tra gruppi yakuza, la guerra Yama-Ichi. Nei successivi quattro anni sono uccisi trentasei membri e feriti più di cento. La repressione poliziesca e il grande spargimento di sangue costringono la Ichiwa-kai ormai decimata a dichiararsi sconfitta. La Inagawa-kai di Tokyo fa da garante per la riconciliazione e reintegrazione degli scissionisti nei ranghi della Yamaguchi-gumi. Il ruolo di oyabun, durante la guerra, era stato temporalmente affidato a Kazuo Nakanishi (oyabun della Nakanishi-gumi un sottogruppo della Yamaguchi-gumi). Nel 1989, formalizzata la pace, è eletto, come oyabun, Yoshinori Watanabe. Nel 1997 è assassinato il wakagashira, Masaru Takumi, e per otto anni non si trova un accordo per un nuovo successore. Solamente nel 2005, Shinobu Tsukasa (vero nome: Kenichi Shinoda), sarà eletto come nuovo wakagashira. Nell'agosto del 2005 in seguito alla morte di Watanabe, Shinoda è eletto come il nuovo oyabun della Yamaguchi-gumi. Shinoda è tuttora il padrino della più grande associazione criminale giapponese.

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Lo Shinogi, tutti gli affari della mafia giapponese Nel dicembre 2006 l’ex capo della polizia nazionale giapponese, Suganuma Hiromitsu, interpretando le statistiche ufficiali dichiarava che l’ammontare totale degli ingressi finanziari annuali del maggiore gruppo boryokudan, la Yamaguchi-gumi era di 8.000 miliardi di Yen (circa 61 miliardi di euro), una cifra impressionante se si considera che gli introiti totali annuali del gruppo Toyota, leader mondiale del mercato automobilistico fossero di 10.000 miliardi di Yen (76 miliardi di euro). All’interno delle organizzazioni yakuza, tutte le attività economiche dalle quali i membri ricavano denaro sono conosciute collettivamente col nome di shinogi. L’attività principe è sicuramente il traffico di stupefacenti (35% del totale) seguita dall’attività tradizionale del gioco d’azzardo (17%) e dalle attività estorsive e di protezione (sono incluse la prostituzione e le pratiche di minbo, il 9%). Queste tre attività occupano più del 60% dei profitti totali. Rimane costante la funzione tradizionale di “risolutori di dispute” (7%) che pur essendo un’attività poco redditizia continua a essere praticata. Le yakuza hanno esteso il campo di attività anche nel mondo della finanza e delle costruzioni. Il 3% degli introiti deriva dalle attività dei sokaiya-yakuza, veri e propri criminali professionisti che s’insinuano nei consigli di amministrazione delle aziende, influenzandone le decisioni. Le yakuza attuali non solo operano nel mercato illegale ma anche in quello legale (il 20% degli introiti). Tuttavia dobbiamo sempre tener presente che le attività legali sono sempre portate avanti con metodi non del tutto ortodossi. Droga e rotte del narcotraffico. Durante gli anni Trenta e fino alla metà dei Quaranta, il Giappone adotta una politica a due facce nella gestione delle droghe. Sul territorio nazionale era assolutamente proibito l’uso di narcotici mentre nei territori occupati il commercio di oppio era visto come una fonte d’introiti e un modo di mantenere docile la popolazione occupata. L’industria era legale e controllata dal governo ma allo stesso tempo le yakuza controllavano la distribuzione e supervisione delle sale dove si consumava questa sostanza. Per mantenere una popolazione docile era necessaria una sostanza narcotica, ma per tenere una popolazione attiva e produttiva era necessaria una sostanza stimolante. In Giappone l’oppio era quindi illegale ma allo stesso tempo era legale la vendita di anfetamine. Il primo prodotto che fu lanciato nel mercato giapponese fu l’Hiropon venduto sotto forma di ampolle contenenti liquido iniettabile o in pastiglia. Il governo pubblicizzava l’uso della sostanza come una miracolosa panacea che si poteva utilizzare per curare innumerevoli malattie dalla pressione bassa all’obesità. Dobbiamo considerare che questo è un periodo di forte crescita industriale e di preparazione militare. L’applicazione in campo militare e industriale di questa sostanza è stata fondamentale per incrementare la resistenza delle truppe e dei lavoratori prima e durante il periodo bellico. Alla fine della guerra ingenti quantità di anfetamine confezionate per uso militare furono riversate nel mercato nero gestito dalle yakuza. Dal 1948 il governo iniziò a considerare ufficialmente la pericolosità della droga, ridusse la concentrazione di principio attivo nei prodotti in vendita ma li mantenne legali. Solo nel 1951 fu approvata la legge di proibizione delle anfetamine (Kakuseizai Torishimari Ho) e nel 1953 iniziò una vera e propria campagna informativa sulla pericolosità della sostanza. Grazie alla legge, dal 1954 iniziò un rapido declino del consumo delle anfetamine e nel 1957 questo epidemia si poteva considerare risolta. Una seconda epidemia di anfetamine iniziò negli anni Settanta per raggiungere il suo apice a metà anni Ottanta, questa volta però le yakuza non si limitarono al controllo e alla gestione del mercato ma si fecero esse stesse promotrici del consumo. Tutto iniziò a Osaka 17


dove a molti lavoratori, impegnati nelle costruzioni per l'Expo Mondiale del 1970, fu insegnato l'utilizzo di questa sostanza per sopportare il duro lavoro. Con l'inizio degli anni Duemila si sono intensificate le attività di contrasto e i sequestri di droghe ma il consumo di anfetamine resta diffuso. La qualità della droga venduta è molto alta, le droghe in Giappone non sono abitualmente tagliate con altre sostanze. La produzione locale è inesistente a causa del forte controllo sulle sostanze basiche di produzione e a causa della competitività dei prezzi dei prodotti importati. Fino agli anni ‘80 la maggior parte dell’import di anfetamine proveniva dalla Corea (79%) e in piccola parte da Taiwan (21%), in seguito alla repressione effettuata dalle autorità coreane prima dei giochi olimpici di Seul (1988) l’asse d’importazione si è spostato principalmente su Taiwan (78%) e in misura minore dalla Corea (11%). Negli anni ’90 l’importazione cambia ulteriormente rotta rivolgendosi alla Cina (69%) e alla Corea del Nord (31%). I problemi diplomatici con la Corea del Nord e l’effettivo embargo dei prodotti provenienti da questo paese obbligano le yakuza ad affidarsi quasi interamente al mercato cinese tanto che nel 2003 l’88% delle meta-anfetamine importate proveniva dalla Cina, inclusa Hong Kong. Ultimamente sembra che le yakuza giapponesi e le triadi cinesi non solo collaborino ma che si siano alleate in una joint venture coinvolta nella vendita di eroina. I patti sono chiari: è proibita la vendita in Giappone della sostanza, però allo stesso tempo è permesso l’utilizzo dei porti per imbarcare la merce da distribuire in Europa e America. Questa joint venture sembra avere avuto importanti ripercussioni. L’utilizzo dei porti giapponesi come transito dell’eroina destinata ai mercati dell’America e dell’Europa sembra essere stato contraccambiato dalla possibilità di utilizzo della rotta Cina-Canada-Giappone (attraverso i porti canadesi, le triadi cinesi in Canada sono molto attive) per l’importazione in Giappone non solo di meta-anfetamine (il 62% dei sequestri della sostanza è di provenienza canadese) ma anche di cannabis (il 58% dei sequestri della sostanza è di provenienza canadese) e negli ultimi anni di MDMA (metilenediossimetanfetamina, meglio nota come ecstasy) una droga in crescita tra i giovani giapponesi. Anche in questo caso il 54% dei sequestri è di provenienza canadese. Quando l'azzardo si chiama pachinko. Il gioco d’azzardo è stato per molto tempo illegale in Giappone, nonostante sia sempre stato e tuttora sia molto praticato dai giapponesi. La partecipazione delle yakuza nella gestione del gioco d’azzardo in Giappone assume tre distinte forme: organizzazione di diversi tipi di gioco d’azzardo utilizzando carte, dadi e negli ultimi tempi roulette (bakuchi); scommesse illegali (nomikoi); pachinko (un tipo di bagatella elettronica). Proprio quella del pachinko è un’industria sorprendentemente sviluppata in Giappone, dove, infatti, quasi venti milioni di persone sono dedite a questo vizio. Le stime più recenti (2005) dell'NPA ci illustrano un mercato che va dai 2.500 ai 3.000 miliardi di Yen, pari 19-23 miliardi di euro. I profitti generati sono molto difficili da quantificare poiché è un’industria che pur essendo legale, fa di tutto per non pagare le tasse. Questo gioco è considerato in una zona grigia tra legalità e illegalità. Non si vincono premi in denaro ma solo delle biglie d’acciaio che sono scambiate con premi come sigarette, pupazzi, bambole etc. Questi premi, spesso, vengono convertiti in denaro grazie a delle piccole ricevitorie situate all’esterno delle sale le quali poi rivendono questi premi a pachinko. Le yakuza hanno sviluppato l’industria dello scambio dei premi. Normalmente i membri yakuza obbligano i vincitori che escono dai pachinko a vendere il proprio premio a un 30% meno del suo valore reale. A quel punto rivendono il prodotto ai pachinko a prezzo pieno, guadagnando quindi il 30% su ogni vincita. Caporalato nipponico. I bakuto hanno sempre avuto stretti legami con i procacciatori responsabili di fornire la manodopera per le grandi opere pubbliche fin dell’epoca Edo. 18


Questo è tuttora un ruolo tradizionale delle yakuza. L’industria delle costruzioni in Giappone dipende da una struttura piramidale nella quale un piccolo gruppo di grandi compagnie subappalta lavoro a imprese mediane che a loro volta subappaltano lavoro a piccole compagnie. Questo permette alle imprese di avere un piccolo nucleo di lavoratori qualificati e assunti a tempo indeterminato, i quali possono essere istantaneamente affiancati da una manodopera poco qualificata o senza qualifiche e a basso costo. Alla base di questo mercato del lavoro ci sono i lavoratori diari (hiyatoi rodosha) che si ritrovano all’alba di ogni giorno nei “mercati del lavoro” (yoseba) delle grandi città. I procacciatori di manodopera (tehaishi) responsabili del rifornimento di questi lavoratori nell’industria delle costruzioni sono per lo più essi stessi yakuza. Lo stipendio dei lavoratori è pagato in maggior parte al procacciatore di manodopera, piuttosto che al lavoratore stesso. Da questa somma il procacciatore detrae la sua tassa (pinhane) prima di pagare il lavoratore. In generale questo pagamento è di circa il 15% del salario guadagnato. Prostituzione, mercato del sesso e tratta. Fino all’approvazione della legge baishun boshi ho del 1956, la prostituzione in Giappone era legale. Per molto tempo nella storia del Giappone, i legislatori hanno incoraggiato un sistema di prostituzione legale basato sul rilascio di licenze. Questo accadeva non solo per salvaguardare l’ordine pubblico ma anche per mantenere un controllo sulla popolazione, i bordelli erano, infatti, delle risorse per ottenere informazioni sulle attività dei cittadini. Fino al 1956 questo business non era direttamente controllato dalle yakuza, ciò non vuol dire che non avesse bisogno dei servizi di protezione forniti da queste organizzazioni. Dopo il 1956 la situazione si fa più complessa. La legge sulla prevenzione della prostituzione è vista dai giapponesi come un kago-ho (una legge bambù) cioè una legge piena di falle. L’articolo 2 della legge del 1956 definisce la prostituzione come: “un atto sessuale in cambio di un compenso o una promessa di compenso”. Questo significa che ogni altro servizio sessuale che escluda la penetrazione vaginale non sia contemplato da questa legge. Di conseguenza in Giappone si è sviluppata un’estesa industria legale che si dedica ai servizi sessuali, conosciuta col nome di “soapland”, in questa industria donne nude, completamente ricoperte di sapone massaggiano i clienti con i propri corpi, alcuni centri di bellezza e di massaggi offrono in questo modo servizi di masturbazione. È difficile che le yakuza siano coinvolte direttamente in questo business. Ci sono invece due aree dell’industria del sesso che sono monopolizzate dalle yakuza. Queste sono i “club d’incontri”, la gestione della prostituzione straniera e la prostituzione di strada. Un'altra attività è l'organizzazione di viaggi a scopo sessuale. L'esplosione dell’industria del turismo alla fine degli anni ’60, grazie a una forte moneta permise ai giapponesi di viaggiare come mai avevano fatto nella loro storia. I giapponesi iniziarono così a organizzare viaggi a scopo sessuale. Probabilmente furono i giapponesi a inventare questo tipo di pratica, organizzandola meticolosamente. Le yakuza furono direttamente responsabili dello sviluppo di questo tipo d’industria. Taipei, Seoul, Manila e Bangkok iniziarono a essere meta di yakuza incaricati dell’organizzazione dei viaggi dei giapponesi. Dalle stesse località furono “importate” le donne da impiegare nella prostituzione da strada, con un crescente numero di cinesi. Il traffico internazionale di esseri umani non è nuovo per le yakuza, e si radica anch'esso ai tempi della seconda guerra mondiale per registrare il suo boom negli anni 90, con lo scoppio dell'economia nipponica. Si calcola che oggi ci siano almeno 100.000 stranieri/e che sono coinvolti/e nel mercato della prostituzione in Giappone, un business remunerativo se si tiene conto che una prestazione sessuale con una prostituta in Giappone costa minimo 300 euro e quindi, facendo un calcolo sulle 100.000 prostitute straniere, il giro d'affari si attesta all’incirca sui 7.3 miliardi di euro. Calcolando poi che una futura prostituta può costare anche solo 300 euro nel suo paese d’origine e che una volta giunta in Giappone possa essere venduta per circa 19


30.000 euro, il guadagno delle yakuza da questo tipo di business si rivela altissimo. Il minbo, estorsioni d'ogni genere. Minji kainyu boryoku, letteralmente intervento violento negli affari civili, abbreviato in minbo. Sono moltissime le attività che possono considerarsi minbo, dagli incidenti stradali fittizi alla riscossione crediti fino alla gestione dei fallimenti d'impresa. Per la legge giapponese solo gli avvocati sono autorizzati alla riscossione dei debiti. Tuttavia la lentezza del processo e le spese per un avvocato molto spesso suggeriscono ai creditori di utilizzare altri modi di riscossione. La commissione che le yakuza richiedono per questo tipo di servizio è del 50% cui si possono aggiungere altre spese la cui più conosciuta è la ashidai (letteralmente tassa per le gambe). Di conseguenza la maggior parte del denaro riscosso molto spesso si dirige verso le tasche del riscossore piuttosto che del creditore. Tuttavia recuperare il 30% di un debito è sempre meglio che non recuperarne il 100%. Un altro recente sviluppo nelle attività delle yakuza nella quale le vittime sono ordinari cittadini è il business della predazione del territorio o jiage. Questa pratica si riferisce alla costrizione di piccoli proprietari che possiedono terreni adiacenti a vendere o a costringere gli affittuari a rinunciare all’appartamento in cui vivono. Molti piccoli spazi adiacenti formeranno un terreno più vasto e più economicamente lucrativo. La gestione dei fallimenti finanziari (tosan seiri) è una delle tecniche più ricercate e avanzate attraverso le quali le yakuza ottengono introiti. Quando un’impresa in Giappone va in bancarotta, il meccanismo legale per la pacificazione dei vari creditori può richiedere molti anni e l’ammontare del debito ripagato molto spesso è una piccola percentuale del dovuto. I creditori perciò trovano conveniente vendere il proprio debito a uno specialista di gestione dei fallimenti finanziari (tosan seiriya) anche per ottenere un solo 5% del dovuto. Dall’altro lato alcuni manager possono decidere di avvalersi delle yakuza per impedire l’aggressione dei creditori. Le due cose più importanti per la gestione di un fallimento finanziario sono la velocità d’azione e l’accumulazione di un debito maggiore rispetto a quello degli altri creditori. Quello che un seriya fa, è identificare una compagnia sull’orlo del fallimento e insediarsi al suo interno fornendo un supporto finanziario a breve termine. In questo modo un seriya potrà forzare il presidente dell’impresa a firmare un documento che permetterà al seriya di possedere i libri contabili, il simbolo e i contratti dell’impresa. A questo punto il seriya potrà creare cambiali e altri documenti in suo favore. Una volta che la compagnia fallisce, è importante riscuotere il più rapidamente i crediti dell’impresa prima che lo facciano gli altri creditori. Il tempismo è quindi fondamentale, poiché una volta fallita l’impresa è nominato dalla corte fallimentare un garante (kanzainin) che normalmente è il maggiore creditore dell’impresa. Il seriya essendo quindi il maggior creditore potrà controllare l’amministrazione incaricata di gestire il pagamento dei debiti. Le yakuza si sono specializzate in questo campo. Business legittimo e “fratelli d'affari”. Con l'incremento della repressione nei confronti delle attività tradizionali delle yakuza, si è registrata una progressiva crescita delle attività legali. Le organizzazioni criminali hanno iniziato a considerare vantaggioso stabilire legittime fonti d’introito per ridurre il rischio di sequestro e per mitigare le altre spesso non sicure fonti legate ad attività illegali. Soprattutto le yakuza si sono mosse anche nella gestione dell’industria immobiliare, della finanza, delle scuole d’inglese, di ospedali privati e di hotel. In breve tutto ciò che può fornire una legittima fonte di denaro. Si sono anche sviluppate nuove figure come i “fratelli d’affari” i kigyo shatei. I kigyo shatei sono uomini d’affari che non sono formalmente membri delle organizzazioni yakuza ma che utilizzano l’affiliazione con questi gruppi per essere più competitivi nel mercato. Queste persone possono essere anche membri ufficiali dell’organizzazione yakuza o alternativamente essere semplici uomini d’affari che hanno sviluppato una relazione molto stretta (quasi-fratelli) con i dirigenti delle organizzazioni yakuza con l’intento di 20


incrementare il proprio business. Ovviamente questa evoluzione causa nuovi problemi alle forze dell’ordine nell’identificazione dei criminali. Questi collaboratori sono, di fatto, uomini d’affari e non dimostrano i propri legami con le associazioni attraverso tatuaggi o uno stile e comportamento tipico delle yakuza. Come l'impresa legale si appoggia alle yakuza. Per più di una generazione, l’industria Chisso ha dominato la vita politica ed economica di Minamata, una città di 36.000 abitanti dell’isola di Kyushu nel sud del Giappone. Chisso era una compagnia che produceva prodotti petrolchimici e in seguito fertilizzanti. La compagnia sin dalla guerra mondiale ha sistematicamente scaricato i suoi letali scarti industriali nelle acque del mare di Minamata. La compagnia aveva avuto dei problemi riguardo all’inquinamento già nel 1926, nel 1943 e nel 1953, ma i pescatori locali erano stati pagati per ritirare le denunce. Dal 1953 la situazione precipita. Inizia a diffondersi una malattia che attacca il sistema nervoso centrale e che riduce le vittime in vegetali. Le autopsie rivelano che le cellule del cervello di queste persone sono come state asportate. Centinaia di famiglie contraggono la malattia e più di un migliaio sono a forte rischio di contagio. Nel 1958 le famiglie delle vittime iniziano un’azione per richiedere un risarcimento del danno subito. La compagnia nega la responsabilità e così farà per altri quindici anni. La compagnia Chisso ben conosce però che lo scarico massiccio di mercurio nel mare di Minamata è la causa di questa nuova malattia. Solo nel 1968, il governo giapponese ufficialmente riconosce che il mercurio riversato nel mare di Minamata dalla compagnia Chisso è la causa della malattia degli abitanti della città. Forti di questa dichiarazione le vittime muovono causa contro l’impresa. Dall’altro lato Chisso assolda un gruppo di sokaiya e l’hosho kaisha, una sorta di gruppo di sicurezza, per contrastare le richieste di risarcimento delle vittime. Le vittime dall’altro lato si organizzano comprando azioni della Chisso così da poter partecipare alle riunioni aziendali. La prima riunione, a causa dell’intervento di questi yakuza-sokaiya dura meno di cinque minuti. La seconda riunione, nel 1971, si conclude in dieci minuti con pestaggi e violenze da parte degli yakuza-sokaiya. Nelle riunioni successive si ripete lo stesso copione. Tuttavia Chisso e gli yakuza-sokaiya non hanno previsto che tra i contestatori ci sia anche un giornalista americano, W. Eugene Smith, fotografo per la rivista Life e per il New York Times. Smith è ferito gravemente, tanto che non recupererà completamente la vista. Il coinvolgimento di un giornalista straniero fa sobbalzare il governo. La stampa nazionale inizia ad attaccare Chisso e i suoi metodi yakuza. Nel 1973 Chisso è formalmente giudicata colpevole dalla giustizia giapponese. Questo caso è molto importante nella storia delle yakuza, poiché definisce chiaramente che pure imprese legali facciano uso di gruppi mafiosi nella speranza di vedere protetti i propri interessi. Il caso di Minamata è clamoroso per la violenza perpetrata da questi yakuza e per il coinvolgimento di giornalisti stranieri. L’impresa legale molto spesso ha fatto uso di questi gruppi per coprire scandali e tutt’oggi utilizza gruppi di sokaiya e di yakuza per influenzare e dirigere in un certo modo le riunioni ammnistrative delle imprese. I gangster dal tocco dorato Keizai yakuza è il nome che è stato associato alle organizzazioni yakuza del tempo della bolla economica dalla metà degli anni ’80 fino al 1990. L’economia giapponese di questo tempo vive una delle febbri speculative più grandi del panorama mondiale del ventesimo secolo. Il suo impatto trasforma profondamente la società giapponese, incluso il mondo delle organizzazioni criminali. Il business legale e illegale subiscono una tremenda spinta in questi anni. Il credito diventa molto facile da ottenere, così che gli investitori lo riversano nel mercato immobiliare e in quello azionario. Le yakuza approfittano di questa situazione di prestito facile. Miliardi di Yen finiscono nelle tasche di questi nuovi imprenditori che a loro volta li reinvestono nel mercato azionario e in quello dell’edilizia. Ovviamente le organizzazioni yakuza traggono i maggiori 21


vantaggi da questa situazione essendo supportati dai metodi predatori tipici delle organizzazioni criminali. Oltre ad avere un’ingente disponibilità di credito queste yakuza reinvestono i proventi illeciti del gioco d’azzardo, prostituzione e droga ricavati negli anni ’70. Il denaro è così ripulito e reinserito nel circuito legale. La nuova keizai yakuza ora possiede immobili, attività e siede nei consigli d’amministrazione delle grandi corporazioni. Le speculazioni delle yakuza di questi anni costituiscono le basi finanziarie che ancora tutt’oggi permettono a queste organizzazioni di essere molto influenti anche nel mercato legale. Inoltre le ricchezze accumulate permettono alle yakuza di divenire le organizzazioni criminali più ricche nel panorama del crimine organizzato internazionale.

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Il Botaiho, contromisure al crimine organizzato Nel maggio del 1991 viene approvata la “Legge riguardante la Prevenzione degli Atti Ingiusti commessi dai membri delle Associazioni Boryokudan” (Boryokudanin ni yoru Futo na Koi no Boshi nado ni Kan-suru Horitsu). La legge, nota semplicemente col nome di Botaiho, è una svolta nel panorama del contrasto giapponese al crimine organizzato. Nel novembre del 1990, la NPA organizza un gruppo di esterni composto da professori universitari ed esperti legali con il dichiarato obiettivo di preparare una legge antiboryokudan. Le identità dei quindici membri della commissione sono tenute segrete con l’eccezione del presidente il professor Narita dell’Università di Yokohama e dei due rappresentanti del Nichibenren (associazione degli avvocati giapponesi). Inizialmente il gruppo aveva a disposizione da due a tre anni per la prima stesura, ma dopo sole quattro riunioni aveva già pubblicato i propri intenti (6 febbraio 1991). L’estrema velocità della pubblicazione della prima bozza ci fa pensare che la NPA avesse già fatto un lavoro preventivo. Il 27 febbraio 1991, la NPA produce la propria “considerazione basilare sulla bozza riguardante le contromisure ai boryokudan”. Queste considerazioni basilari saranno lo scheletro del Botaiho ad eccezione di un articolo che riguardava il sequesto dei profitti illegali. Il Botaiho opera senza ricorrere direttamente ai tribunali, è quindi una legge che si affida interamente al codice amministrativo (gyoseiho) piuttosto che a quello penale (keiho). La ragione dell’esclusione del sequestro dei beni illegali è che, allo stesso tempo della stesura del Botaiho, il ministero della Giustizia giapponese stava sviluppando una legge che avrebbe conformato il Giappone alle richieste della convenzione ONU sul traffico di droghe illegali e sostanze psicotrope. Il sequestro dei profitti del traffico di droga sarebbe ricaduto nel diritto penale riguardante questa legge. La nuova legge introduce burocraticamente il termine boryokudan: “un’associazione i cui membri (inclusi i membri dei gruppi che lo costituiscono) collettivamente o abitualmente promuovono un atteggiamento violento illegale” (Art.2 Par.2). Un “atteggiamento violento illegale” (boryokuteki fuho koi) è “un atto illegale che è definito dai criteri della Commissione Nazionale di Pubblica Sicurezza” (Art.2 Par.1). Le varie Commissioni Regionali di Pubblica Sicurezza sono quindi incaricate di indicare quali siano i gruppi boryokudan designati. Un boryokudan designato è quindi un gruppo/associazione i cui membri corrono collettivamente o abitualmente l’alto rischio di dedicarsi allo sviluppo di un atteggiamento illegale violento (Art.3). La definizione di boryokudan designato o non designato è dovuta quindi al termine “alto rischio”. Non è ovviamente una definizione arbitraria, un boryokudan è designato quando sono soddisfatti tre concreti criteri: l'uso dell'influenza del gruppo per ottenere vantaggi finanziari; una determinata percentuale di membri con precedenti penali (la percentuale decresce con l'aumentare del gruppo); una struttura organizzata e gerarchica. Ai boryokudan designati è quindi proibito di svolgere quelle attività che comprendono passaggi di denaro, compravendite, consegna di merci, servizi di sicurezza, riscossione debiti, mediazione nelle dispute. Il Botaiho oltre a limitare le possibilità dei boryokudan, incoraggia l’eradicazione di questi gruppi e organizza l’assistenza per le vittime. Ogni regione amministrativa (Todofuken) ha il proprio Centro per l’Eliminazione dei boryokudan (Boryoku Tsuiho Undo Suishin Senta). Ogni regione non può avere più di un centro e per essere qualificato come tale, dalla Commissione per la Pubblica Sicurezza, deve soddisfare determinati standard. In primo luogo deve essere un’entità legale (hojin) definita come tale dal codice civile; inoltre deve avere personale qualificato con un’esperienza nel settore. Lo scopo di questi centri è 23


fornire aiuti alle associazioni non-governative anti-boryokudan, offrire consulenza e assistenza legale alle vittime, educare i giovani, aiutare coloro che vogliono abbandonare la criminalità, organizzare corsi informativi per i lavoratori delle attività maggiormente colpite dalla yakuza. La giustizia giapponese ha preferito utilizzare il diritto amministrativo per colpire la “zona grigia” tra legale e illegale delle yakuza, demandando ad altre leggi del codice penale la repressione dei crimini più gravi. Il Botaiho si rivela perciò essere un ibrido che utilizza le parti migliori del modello americano e del modello europeo. Tuttavia questa legge non sembra essere sufficiente per eradicare questi gruppi. Le pene leggere e la necessità di emanare un’ingiunzione prima di poter perseguire direttamente il trasgressore ne dimostrano la debolezza. Sembra che la società giapponese più che volere l’eliminazione delle yakuza, ne richieda il controllo, rivelandosi alquanto pragmatica nel considerare impossibile l’eradicazione totale di questi gruppi: qiondi, piuttosto che relegarli nella totale illegalità e conseguente invisibilità, si preferisce lasciarli sopravvivere pur cercando di controllarli e limitarli. La nuova legge, più che eleminare i boryokudan ha costretto queste associazioni a dedicarsi a differenti attività rispetto a quelle tradizionali del minbo e del gioco d'azzardo. Una di queste è senz'altro il narcotraffico ma sono da registrarsi le infiltrazioni nel mondo della finanza, attraverso il brokeraggio o il cyber crime. Il settore della new economy è anch'esso contaminato dai tantacoli della yakuza come i molti arresti testimoniano. Arresti che dimostrano anche le intenzioni repressive del mondo politico che trovano appoggio nella società civile. Differenza tra boryokudan e yakuza. La National Police Agency, dall’introduzione del Botaiho, ha deciso di introdurre un nuovo termine per definire il crimine organizzato giapponese. Oggi le organizzazioni criminali giapponesi sono burocraticamente definite boryokudan, termine che letteralmente significa “gruppo violento”. Tuttavia i boryokudan non sono considerati di per sé organizzazioni illegali, la Costituzione giapponese, in materia di libertà associativa, tutela anche questo tipo di associazioni, tuttavia il Botaiho ne limita notevolmente le possibilità di azione. La differenza tra yakuza e boryokudan è nella genesi del termine: il primo è un termine storico auto-assunto dalle organizzazioni criminali, mentre il secondo è il termine burocratico attraverso il quale le autorità definiscono queste organizzazioni. La polizia giapponese considera che tutte le yakuza siano dei boryokudan tuttavia allo stesso tempo non li può considerare degli shitei boryokudan (boryokudan designati) questo perché della designazione è incaricata la Commissione per la Sicurezza. La polizia può quindi applicare le restrizioni della legge Botaiho solo ai boryokudan designati, mentre per le altre organizzazioni yakuza è applicata la legge ordinaria. Tutt’oggi sono boryokudan designati ventidue organizzazioni yakuza. Le tre più grandi associazioni yakuza, Yamaguchi-gumi, Sumiyoshi-kai e Inagawa-kai, sono state designate come boryokudan già dal 1992. I Boryokudan designati contano 82.600 membri questo numero, però non rivela quello reale di membri appartenenti a organizzazioni yakuza, questo perché non tiene conto delle associazioni yakuza che non sono state ancora designate come boryokudan o che non lo saranno mai. Dobbiamo quindi tener ben presente che il numero di membri e di associazioni che sono burocraticamente registrati, sia comunque un numero che sottostima il fenomeno reale. Statistiche non ufficiali stimano l’esistenza di più di 10.000 organizzazioni yakuza e un numero di membri molto superiore alle centomila unità. Una nuova mafia. Kakuji Inagawa (boss della Inagawa-kai) disse “in futuro la yakuza diverrà come la mafia americana, la yakuza ucciderà per far profitto”. Inagawa non è stato l’unico ad avanzare previsioni sul futuro delle yakuza. Tokutaro Takayama boss di un 24


gruppo di Kyoto affermava: “oggi i nuovi membri non rispettano più la tradizione, gli obblighi e la dignità. Non hanno più regole”. Il cambiamento delle yakuza è confermato dalla maggiore violenza, dalla minore obbedienza, dal cambio di obiettivi e dal poco rispetto della tradizione. Le yakuza sono in un momento di trasformazione. La loro struttura, il concetto di giri, i tatuaggi, le dita mozzate, la totale e indiscussa obbedienza sembrano iniziare a essere residuati del passato. Le organizzazioni criminali moderne hanno scoperto che nel ventunesimo secolo non è più necessario avere un’ideologia, essere “cavalieri”, o l’assoluta obbedienza. Per la prima volta nella storia i membri yakuza hanno iniziato ad agire più per se stessi che per l’organizzazione. Anche la percezione dei giapponesi riguardo le yakuza è mutata, la legge Botaiho si è potuta fare proprio perché qualcosa stava cambiando nell'atteggiamento dei cittadini nei confronti di queste organizzazioni che, abbandonate le attività tradizionali, hanno cominciato a usare armi da fuoco, trafficare in stupefacenti ed esseri umani, via via internazionalizzandosi. L’influenza delle yakuza americane e le collaborazioni con altre mafie hanno contribuito a mutare la natura di questi gruppi. Lo stile mafioso occidentale è prepotentemente subentrato ed ha contaminato il mondo criminale giapponese. La politica giapponese dall’altro lato sembra non avere più bisogno dell’aiuto di questi gruppi e la minaccia del comunismo sembra ormai essere scomparsa. Le yakuza tuttavia rimangono delle organizzazioni eccezionali nel panorama criminale mondiale. Tutt’oggi influenzano il potere politico, la società e l’economia giapponese. Queste associazioni pur essendo limitate e combattute si rivelano molto potenti e probabilmente impossibili da sradicare definitivamente. Quello che è certo, è che negli ultimi trecento anni queste organizzazioni si siano evolute e fortificate divenendo uno dei gruppi più di successo nel panorama criminale mondiale. Non sembra che le nuove leggi possano metterne in dubbio l’esistenza futura.

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Postfazione

Fukushima, quando le yakuza aiutano i terremotati di Alessia Cerantola Anche se non è del tutto chiaro il ruolo che ha avuto dopo la catastrofe di Fukushima dell’11 marzo 2011, il nome della yakuza è presto rimbalzato su giornali e tivù di tutto il mondo. Pochi giorni dopo il terremoto e il conseguente tsunami che hanno spazzato via città e villaggi nel nordest del Giappone, lasciando quasi 16mila morti e più di 4mila dispersi, i vari clan dell’arcipelago sono stati tra i primi ad attivarsi per portare aiuti umanitari ai sopravvissuti. Camion carichi di acqua, cibo e beni di prima necessità sono partiti all’indomani del terremoto dalle città di Kobe e di Tokyo per andare nelle terre devastate. Filantropia criminale. Lo slancio umanitario dimostrato dalla yakuza in questa occasione non ha stupito coloro che da anni si occupano della criminalità organizzata giapponese. «Se aiutano i cittadini, è più difficile per la polizia dire qualcosa di male su di loro», ha spiegato Tomohiko Suzuki, giornalista giapponese autore del libro Il campo di battaglia della yakuza (Konyu rupo. Yakuza no shuraba). Da un punto di vista morale, secondo Jake Adelstein, giornalista d’inchiesta americano che lavora in Giappone, bisogna ricondurre questa apparente filantropia al concetto di ninkyo. Il termine, che si riferisce originariamente a un codice morale di derivazione cinese e a un insieme di valori che vanno dall’umanità, alla giustizia, al dovere di aiutare chi soffre, è stato celebrato sin dai primi film sulle yakuza, chiamati “ninkyo eiga”, film di cavalleria. Le organizzazioni criminali che seguono la via di questi valori morali si definiscono con il termine di ninkyodantai, gruppi cavallereschi. La polizia tacitamente tollera la loro esistenza e, fino a un certo punto, le loro azioni. Questi gruppi sono regolarmente registrati, hanno sedi con uffici e impiegati nelle zone più prestigiose delle città giapponesi, come nel quartiere di Roppongi a Tokyo. Tuttavia, il fatto di esservi iscritti è ritenuto illegale. Le autorità preferiscono non usare per loro il termine yakuza, che rievoca l’aspetto più romantico ed eroico, ma boryokudan, che significa bande violente. E invitano anche i giornalisti a usare questo termine quando si riferiscono alla mafia giapponese nei propri articoli, anche se non sempre questo consiglio viene rispettato. Tra i settimanali ce ne sono alcuni che si occupano regolarmente di questo tema, tra cui l’«Asahi Geino», «Shukan Jitsuwa» e «Shukan Taishu».«È necessario avere esperienza per sapere di che cosa si può parlare in un articolo che riguarda la yakuza – spiega il giornalista Suzuki –. Ho imparato con il tempo che ci sono argomenti tabù. Non si possono riportare critiche verso il proprio capo o il clan di appartenenza. E non si possono usare termini che rischiano di far perdere la faccia alla yakuza o che ne sminuiscano l’immagine, come le parole debole, scappare, piangere, rimanere a guardare o altre che contengano il significato di scuse». Yakuza deriva dalla lettura dialettale dei numeri 8 (ya), 9 (ku) e 3 (sa/za); la loro somma dà 20, una mano sfortunata nel gioco di carte oicho-kabu, che si gioca con il mazzo di 48 carte chiamato hana-fuda. I membri dei primi gruppi criminali cominciarono a usare quest’appellativo per definirsi la parte inutile e cattiva della società. La nascita della yakuza moderna si ricollega a bande di trafficanti (tekiya) che rivendevano oggetti usati o di giocatori d’azzardo (bakuto) che si organizzarono durante la metà del periodo Edo (1603~1868). Un altro gruppo che iniziò a occupare una posizione sempre più rilevante tra queste organizzazioni è quello dei burakumin, letteralmente “abitanti del villaggio”, una minoranza socialmente discriminata, discendenti di fuoricasta, che si occupavano di lavori umili e considerati sporchi, come la macellazione degli animali. È stato durante il secondo dopoguerra che la yakuza ha cominciato a riorganizzarsi e a rafforzare il proprio potere, 26


reclutando persone emarginate dalla società, dai reduci di guerra agli immigrati coreani. Tutte le forme di finanziamento e le attività che costituiscono la fonte di entrate economiche su cui conta la yakuza per mantenersi vanno sotto il nome di shinogi. Derivano principalmente dal traffico di stupefacenti, dal gioco d’azzardo e da varie attività estorsive. A gestirli sono numerose famiglie. Le tre principali sono la Yamaguchi-gumi, fondata nel 1915 e in grado di raccogliere il 50 per cento dei criminali in Giappone; la Sumiyoshi-kai, più simile a una federazione e l’Inagawa-kai, nata nel 1948, attiva a Tokyo e Yohohama. Il business umanitario. Il giorno successivo al terremoto il gruppo che si è mosso più attivamente per portare aiuti nelle aree colpite è l’Inagawa-kai, per le sue forti radici e gli interessi nell’area. Lo stesso Adelstein spiega che il gruppo ha spedito camion carichi di cento tonnellate di pannolini, acqua, ramen istantaneo (piatto a base di tagliatelle, ndr), batterie, fiammiferi e tutto il necessario per la sopravvivenza nelle prefetture di Ibaraki e di Fukushima. Tra questi il solo “blocco” di Kanagawa, uno dei gruppi in cui è suddiviso l’Inagawa-kai, ha gestito il trasporto con circa 70 camion. Hanno guidato per tutta la notte arrivando fino alle aree colpite dallo tsunami, radioattive, senza alcuna forma di protezione. Anche le altre due grandi famiglie si sono presto attivate per dare il loro sostegno: Sumiyoshi Kai ha anche offerto rifugio ai membri di altre comunità e Yamaguchi-kai ha aperto i propri uffici in tutto il territorio nazionale. Del resto, già in occasione del grande terremoto dell’area di Kobe (Hanshin Daijishin) che nel 1995 causò la morte di quasi 6.500 persone, i gruppi legati alla yakuza, soprattutto dello Yamaguchigumi, furono tra i più veloci, assieme ad alcune società private, come le catene dei minimarket, a spedire materiale di prima necessità nelle aree colpite dal sisma. Nonostante la rilevanza data da tivù e giornali giapponesi, soprattutto stranieri, a questi “gesti di filantropia”, gli affiliati dei clan sono stati attenti a non pubblicizzare troppo le loro azioni e a dare dettagli sui loro interventi. Assieme agli aiuti per le vittime del triplice disastro le organizzazioni criminali si sono mosse per tutelare i propri interessi nella zona e intervenire nella ricostruzione del terremoto e nella gestione di decine di milioni di tonnellate di macerie delle città distrutte. Il governo centrale e la polizia giapponese hanno cercato fin da subito di bloccare l’ingerenza della malavita giapponese nell’assegnazione degli appalti per la rimozione del materiale e la ricostruzione di villaggi, città e infrastrutture distrutte. Il mensile giapponese «Sentaku», che si occupa di questioni legali, ha riportato anche il racconto di un gangster cinese che è andato assieme a un rappresentante della politica giapponese dal sindaco di Minamisoma, città lungo la costa nordorientale del Giappone, 25 chilometri a nord dal reattore di Fukushima Daichi. Lo scopo era accordarsi per l’assegnazione di contratti sulla rimozione del materiale radioattivo e il trasporto in luoghi di stoccaggio, probabilmente anche in Cina. Per la polizia giapponese è spesso difficile distinguere fino a che punto questi affari sono gestiti dalla yakuza. Misure di contrasto. Nel tentativo di fermare l’accelerazione di queste attività, sono state prese in Giappone diverse iniziative. Già nel 2009 il capo dell’Agenzia nazionale di polizia Takaharu Ando, in seguito agli scandali che avevano colpito il mondo del sumo giapponese, aveva affermato con decisione di voler far scomparire la yakuza dalla società pubblica. Da allora sono state intensificate le misure per contrastare la criminalità organizzata nell’arcipelago, con l’intento soprattutto di eliminare il fascino romantico dalla parola yakuza e di rompere il suo tacito accordo con la società e la legge. Così, per non vedere il proprio nome associato a quello della yakuza, molti imprenditori hanno iniziato a rifiutare accordi con questi gruppi. Il primo aprile del 2011 è entrata in vigore nella prefettura di Miyagi un’ordinanza per contrastare la criminalità organizzata. Il testo riporta le regole sulle quote da rispettare nell’assegnazione degli appalti e i controlli che 27


devono fare le imprese edili per evitare l’interferenza e la collaborazione di gruppi malavitosi. «Per permettere uno sviluppo economico sano di Miyagi e delle sue imprese, si è deciso di portare avanti la lotta contro la criminalità organizzata. Questi gruppi, approfittando del terremoto dell’11 marzo scorso, sono intervenuti illegalmente negli affari di varie attività industriali, gestendo traffici di denaro. Abitanti e aziende di Miyagi, uniamoci in nome di questa ordinanza per estirpare la criminalità organizzata dalla nostra prefettura», si legge nel provvedimento. A sud, nella città di Osaka, a partire dal primo di settembre di quest’anno si richiede alle aziende edili coinvolte nella vendita o nel prestito di beni un giuramento scritto cui viene apposto un sigillo di garanzia. Il costruttore edile e il subappaltatore con contratti che superano i 5 milioni di yen deve assicurare che nell’operazione contratto non siano coinvolti membri della criminalità organizzata, pena l’annullamento del contratto stesso. Le nuove misure, si specifica, sono un accordo nato tra la città di Osaka e la prefettura per riaffermare l’intento di segnare una svolta nelle relazioni tra il mondo dell’edilizia locale e la yakuza. Un’altra ordinanza è stata à applicata anche a Tokyo a partire dal primo ottobre. Proprio alla fine del mese di agosto, la capitale era stata scossa dal caso di Shinsuke Shimada, un volto noto della televisione giapponese che aveva dichiarato in una conferenza stampa il proprio ritiro dal palcoscenico. È emerso che il motivo era legato al fatto di aver avuto per anni rapporti con i vertici della criminalità organizzata giapponese del gruppo Yamaguchi-gumi, documentato da un intenso scambio di email tra il 2005 e il 2007. Un fatto che non costituisce reato di per sé, ma il manager di Shimada ha dichiarato inammissibile per un uomo di spettacolo del suo calibro intrattenere questo tipo di rapporti. Il caso dimostra lo sforzo che sta facendo anche il mondo della tivù di ripulire la propria immagine. Un investigatore della polizia del dipartimento di Tokyo, rimasto anonimo, ha dichiarato alla stampa che c’è il rischio che un caso simile si ripeta. «Con questa ordinanza – ha dichiarato – chi ammette di aver avuto rapporti con la malavita, viene avvertito di interrompere questa relazione. Se non si ravvisano miglioramenti, la procedura prevede la pubblicazione del nome completo della persona e dell’azienda per cui lavora e il pagamento di una penale». Tohoku, riso ed energia. Nel caso del Tohoku i legami con la yakuza si sono inseriti nella complessa e incerta struttura economica e sociale del territorio. Il Tohoku, importante centro nazionale della produzione di riso, ha dovuto affrontare le difficoltà legate alla fluttuazione del prezzo del cereale cadendo in una crisi economica molto profonda dopo il 1929. In quel periodo era molto diffusa la pratica di mandare le figlie come schiave o prostitute a guadagnare soldi per le famiglie. Dal secondo dopoguerra le coltivazioni del Tohoku sono state soggette alla crisi o alle politiche alimentari controllate dal governo centrale di Tokyo. Durante i periodi di rapida crescita economica del Giappone negli anni Settanta e Ottanta, le aziende di Tokyo hanno iniziato ad assumere gruppi di operai provenienti dal Tohoku, che rappresentavano manodopera a basso costo. Sin dagli anni Trenta il Tohoku è stato anche un importante fornitore di energia elettrica per Tokyo, in particolare con la costruzione di centrali nucleari negli anni Settanta. La globalizzazione a partire dagli anni Novanta e la concorrenza degli altri paesi dell’Asia hanno frenato la crescita dell’area. Il risultato è stato un progressivo abbandono della forza lavoro più giovane, attratta soprattutto dalle opportunità nella capitale, e un progressivo aumento dell’età media della popolazione nel Tohoku. Il terremoto e lo tsunami hanno distrutto interi villaggi e città, spazzando via anche altri punti di riferimento dell’economia locale, come la pesca. Si prevede che in molti decideranno di lasciare questi posti, soprattutto tra i giovani. In questa situazione di incertezza e cambiamento, non è difficile per la yakuza raccogliere consensi e anticipare lo Stato, offrendo aiuti e gestendo la ricostruzione. È in questo territorio che si combatterà uno degli scontri più duri contro la criminalità organizzata giapponese. 28


Questo e-book è stato chiuso in redazione il 31 ottobre 2012

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