Domenico Vecchioni
TIRANNI E DITTATORI Volti, manie, deliri e crimini del potere assoluto. Da Bokassa al dispotismo irreale di Shwe
Domenico Vecchioni
TIRANNI E DITTATORI Volti, manie, deliri e crimini del potere assoluto. Da Bokassa al dispotismo irreale di Shwe
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ISBN: 978886618 Prima edizione digitale 2011 Questo eBook non potrà formare oggetto di scambio, commercio, prestito e rivendita e non potrà essere in alcun modo diffuso senza il previo consenso scritto dell’editore. Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata costituisce violazione dei diritti dell’editore e dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla legge 633/1941
PREMESSA
Diceva Winston Churchill: «La democrazia è la peggiore forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle che si sono sperimentate finora». Come dargli torto? La democrazia, in effetti, conosce debolezze, eccessi, distorsioni, complicazioni, necessita di continui aggiornamenti e messe a punto. È indubbio. Ma al termine del nostro impressionante viaggio attraverso le figure dei dittatori più «singolari» del XX secolo, dopo aver constatato quante sofferenze questi abbiano provocato alle popolazioni nel cui nome hanno giustificato la loro presa del potere, quanti danni abbiano prodotto nei paesi da loro amministrati, quante perdite abbiano causato alle economie da loro gestite, non possiamo non tornare con sentimenti di piena condivisione all’affascinante formula di sir Winston. Preferire, cioè, la peggiore democrazia alla migliore dittatura, in attesa magari di un nuovo sistema di governo proprio del XXI secolo, al momento, però, ancora da immaginare. Due parole di chiarimento mi sembrano necessarie prima di iniziare il nostro viaggio. Abbiamo volutamente escluso dal nostro percorso i «grandi» dittatori sui quali è stato detto e scritto probabilmente tutto o quasi tutto. Mi riferisco ai vari Hitler, Stalin, Mussolini, Franco, Salazar, Mao ecc. Abbiamo invece concentrato la nostra attenzione sui dittatori del XX secolo più «originali», meno conosciuti o conosciuti male, pur consapevoli che il catalogo non è certo esaustivo. Si tratta in effetti solo di una lista iniziale, alla quale potranno eventualmente seguirne altre. Il primo sorprendente riscontro è l’aver individuato un filo conduttore che lega in qualche modo tutti i dittatori esaminati, sotto qualunque cielo e a qualunque latitudine essi operino. Un filo trapuntato di lampi di una lucida follia che indubbiamente è presente in ogni esercizio del potere assoluto. Forse perché è lo stesso potere assoluto a corrompere gli animi e a rendere ineluttabilmente folli? O forse perché sono i folli che, nelle loro visioni illuminate e assolutiste, sono spinti più naturalmente di altri verso il potere senza limiti? Difficile rispondere. Certo è che i dittatori mostrano inquietanti caratteristiche comuni, dovute probabilmente alle medesime motivazioni recondite. Tutti iniziano con l’appoggio popolare (i salvatori della patria) e finiscono con la ripulsa generalizzata (legittimità di abbattere il tiranno). Tutti poi, immancabilmente, hanno l’ambizione di creare l’uomo nuovo, di dare vita a una nuova era, di marcare indelebilmente la storia dell’umanità con nuovi princìpi politici e sociali. Ma quanti uomini nuovi abbiamo visto nascere nel XX secolo? Quanti nuovi calendari sono stati inventati per marcare le fasi temporali del dittatore di turno? Quanti nuovi princìpi hanno vissuto lo spazio di una stagione dittatoriale? Tutti poi si credono investiti di una missione trascendentale (chi da Dio – spesso e volentieri al riguardo scomodato – chi da divinità sincretiche, chi da entità animiste, chi dall’essere supremo, chi dagli spiriti dei morti ecc.) nel nome della quale tutti i
crimini sembrano avere una giustificazione, che sfugge al buon senso dei comuni cittadini. Quasi sempre si vogliono accreditare come «uomini universali» che hanno proprie idee su tutti gli argomenti, che trovano la soluzione a tutti i problemi, che sono presenti su tutti i fronti. I dittatori soffrono senza eccezioni della sindrome del distacco dalla realtà. Sindrome che per la verità colpisce qualche volta anche i governanti democratici. Ma almeno questi ne guariscono quando scade il loro mandato e tornano a confrontarsi con la vita reale. Nei dittatori invece la sindrome si aggrava progressivamente rimanendo al potere tutta la vita, e i fumi dell’ubriacatura del comando continuo impediscono loro di vedere oltre i loro schemi e parametri ideologici. Per loro quindi non è la struttura del potere che deve adattarsi alle esigenze del popolo, ma, al contrario, è quest’ultimo che si deve sacrificare per fare in modo che l’illuminato possa realizzare i propri sogni e dare contorni reali alle proprie ossessioni. I cittadini insomma come comparse di una mega produzione cinematografica, dove il dittatoreregista ne dispone a suo piacimento. Pochi infine resistono alla tentazione di perpetuarsi, nominando nella famiglia eredi e «principi ereditari» di vario genere. Per il bene del popolo, s’intende! Come per il bene del popolo la maggior parte dei dittatori si lascia andare ad un incontinente culto della personalità, dalle forme più aberranti, forse per sentirsi rassicurati nella loro follia di potere, per credere nella solidità del loro status, per convincersi che non saranno dimenticati. È strano come le dittature, di qualunque colore politico o ideologico siano, finiscano per somigliarsi nelle strutture «rivoluzionarie», nell’organizzazione del consenso, nella gestione del potere, nella manipolazione dell’opinione pubblica, nell’indottrinamento dei giovani, nel disprezzo dei diritti dell’uomo, nella giustificazione dei propri abusi. Una galleria degli errori e degli orrori, quella che stiamo per visitare, che ci farà scoprire o conoscere meglio personaggi tragici, grotteschi e persino patetici. Distingueremo assassini di massa, torturatori, cannibali, manipolatori, falsi profeti e miti posticci. Tutti protagonisti di una tragedia umana dove milioni di persone sono state (e sono, purtroppo) in balia di uomini che, da salvatori della patria, si riveleranno boia del popolo. Una galleria di crimini, di rovine e di sofferenze. Una galleria dove nemmeno la follia può esimere i protagonisti dalle loro schiaccianti responsabilità. Una galleria che ci è sembrato utile e opportuno percorrere in questa nostra incursione nel mondo del totalitarismo e dell’arbitrarietà. Affinché gli anziani ricordino e i giovani sappiano. Affinché nessuno dimentichi. L’autore
DITTATURE E DECOLONIZZAZIONE
Bokassa I. L’imperatore nero ammiratore di Napoleone Il testo del decreto, pubblicato il 29 luglio del 1972, con cui Jean-Bédel Bokassa, da poco auto-proclamatosi «Presidente a vita» della Repubblica Centrafricana, vuole rimettere ordine nel suo agitato paese, ponendo in speciale modo un freno alla delinquenza comune dilagante nella capitale, Bangui, così recita: “Al ladro preso in flagrante delitto sarà tagliato un orecchio al momento dell’arresto, a seguito del primo furto. L’altro orecchio gli sarà tagliato dopo il secondo furto. Al terzo furto, gli sarà tagliata la mano destra. Il colpevole non potrà beneficiare di alcuna circostanza attenuante, subirà una pena di cinque anni di reclusione e la domanda di grazia gli sarà rifiutata”. A chi gli fa notare che si tratta forse di una misura eccessiva, lesiva dei diritti dell’uomo (mutilazioni del corpo) e in qualche modo anti-giuridica (la pena in pratica già stabilita in anticipo per decreto), replica genuinamente sorpreso: “…ma in Francia non è forse in vigore la pena di morte? Cosa è meglio allora la pena di morte o un orecchio tagliato su una persona che vive ancora?”. Stupefacente argomentazione, meravigliosa approssimazione, immensa confusione. Come se in Francia all’epoca i ladri fossero condannati alla ghigliottina o i processi fossero celebrati senza le garanzie della difesa previste dalla legge. In realtà il decreto taglia-orecchio segna l’inizio del progressivo indurimento del regime dittatoriale stabilito alcuni anni prima, simboleggia l’identificazione totale del potere con la persona di Bokassa, il quale cinque anni più tardi, il 4 dicembre del 1977, si farà addirittura incoronare «Imperatore» nel corso di una grottesca, fastosa e dispendiosissima cerimonia dallo stile prettamente napoleonico. Cerimonia che avrebbe dovuto elevare il prestigio e la visibilità internazionale del dimenticato e povero paese, e che invece ne segnerà la definitiva rovina politica, economica e finanziaria. Ma chi era Jean-Bédel Bokassa? Chi era l’uomo che, senza scatenare reazioni ilari negli alti dignitari europei ed africani presenti all’investitura, giura solennemente davanti alle telecamere di mezzo mondo: “ Noi Bokassa I, imperatore del Centrafrica per volontà del popolo centrafricano, unito nel seno del partito politico nazionale, il Movimento per l’Evoluzione Sociale dell’Africa Nera (MESAN), giuriamo davanti al popolo (…) davanti all’intera umanità (…) davanti alla Storia (…) di tutto mettere in opera per verificare la piena applicazione della costituzione dell’impero centrafricano (…)”. Bokassa è il tipico esponente dei dirigenti africani francofoni arrivati al potere a conclusione della decolonizzazione, in un periodo in cui i nuovi paesi non costituivano più delle colonie, ma non si erano ancora consolidati come Stati sovrani e indipendenti. In un periodo in cui la Francia non rappresentava più la Madre Patria, ma non era ancora diventata un paese straniero. In un periodo in cui quasi tutti i dirigenti locali dell’ex-Africa francese, chiamati ad alte responsabilità istituzionali
nei rispettivi paesi appena istituiti, si erano formati a Parigi, prestando spesso servizio militare nelle stesse forze armate francesi. Dirigenti animati quindi da un singolare rapporto di amore-odio verso la ex-Métropole, da insanabili contraddizioni culturali, sociali e personali che daranno non di rado luogo a drammatici malintesi, dirompenti incomprensioni, inconfessabili compromissioni, spietate dittature. Come ci insegna appunto la storia di Jean-Bédel Bokassa. Nato a Bobangui il 22 febbraio del 1926, Jean-Bédel vive fin da piccolo la contraddizione esistenziale che mai l’abbandonerà. Giovanissimo in effetti perde i genitori a causa degli odiati «colonialisti» francesi (il padre fucilato per ribellione, la madre morta suicida per il dispiacere qualche tempo dopo), ma studierà in scuole francesi cattoliche, con scarsi risultati peraltro, non arrivando nemmeno alla maturità e finirà per arruolarsi nell’esercito francese come «soldato di prima classe». Sotto le armi Bokassa si comporta bene e con onore. Durante la seconda guerra mondiale raccoglie l’appello del generale De Gaulle e partecipa allo sbarco alleato in Provenza nell’agosto del 1944, guadagnandosi la medaglia al valor militare e la croce di guerra. Rimarrà vent’anni sous les drapeaux, dimostrando sempre assoluto rispetto per i superiori e riuscendo a salire tutti i gradini dei bravi sottufficiali che meritano di passare al livello superiore. Si congeda quindi nel 1961 col grado di capitano, primo centrafricano ad avere le stellette delle forze armate francesi. Centrafricano sì, ma anche francese, come l’interessato non si stancherà di ripetere. Nell’eterna oscillazione tra il cittadino di un paese che si vuole definitivamente affrancare dalla tutela dell’ex-Madre Patria e il cittadino metropolitano ammiratore di Napoleone e devotissimo del generale De Gaulle, che chiamerà affettuosamente «papà». Circostanza quest’ultima che darà sempre un gran fastidio al Presidente francese e sarà oggetto di un gustoso dialogo tra i due rimasto famoso. In occasione di uno dei suoi viaggi in Francia, Bokassa viene finalmente ricevuto da De Gaulle, che non lo teneva per la verità in grande considerazione, ma era consapevole della necessità di difendere gli interessi francesi nella regione e quindi dell’impossibilità di evitare continuamente di incontrarlo. Il presidente francese accoglie il collega africano in cima alla gradinata del palazzo dell’Eliseo con un cordiale: «Buon Giorno Signor Presidente, ha fatto buon viaggio?». Al che Bokassa, come è nelle sue abitudini, risponde: «Sì, papà». De Gaulle si innervosisce, si irrigidisce, non ama simili familiarità. Subito dopo l’incontro di lavoro, non resiste ad un franco chiarimento e gli lancia: “Senta, apprezzo i sentimenti che Lei nutre nei miei confronti, ma la prego di non chiamarmi papà. Mi chiami, come tutti fanno, Signor Presidente oppure, poiché Lei è stato membro delle Forze Francesi Libere, Signor Generale!”. Bokassa imperturbabile replica: «Sì, papà!». Congedatosi dall’esercito francese, Bokassa rientra nel 1961 in patria, da poco indipendente. In considerazione della sua esperienza militare riceve subito da David Dacko, primo Presidente della Repubblica Centrafricana, l’incarico di organizzare le forze armate del paese, che in quel momento contano appena tre ufficiali! Jean-Bédel in breve tempo diventa il braccio destro del Presidente e il principale punto di riferimento dei militari. Non gli sarà quindi difficile sbarazzarsi del suo amico David, sempre più tentato da un’inedita politica estera, poco gradita a Parigi
dove si nutrono forti preoccupazioni per i segnali di apertura lanciati ai comunisti cinesi. Così, nella notte tra il 31 dicembre 1965 e il 1° gennaio 1966, con un golpe militare andato in porto senza eccessivi spargimenti di sangue, Bokassa prende il potere. Si auto-nomina Presidente della Repubblica, il secondo della neonata Repubblica Centrafricana. Tre giorni dopo il putch abolisce la costituzione del 1959: è deciso ormai a governare per decreti. È l’inizio della dittatura. Ma Parigi è rassicurata dalla presenza alla testa del paese del francofilo Bokassa, ex-sottufficiale dell’esercito francese, desideroso, con l’aiuto della Métropole, di mettere ordine economico nel paese che stenta a decollare e di salvaguardare in definitiva gli interessi francesi. Sfortunatamente la politica economica del nuovo governo, dopo un inizio in apparenza promettente, si rivela un totale fallimento. Nonostante le risorse di cui pure dispone il «paese più povero del pianeta» (uranio e diamanti in particolare), il clientelismo sfrenato, la mancanza di regole, il disordine burocratico, la rapacità dei nuovi dirigenti affonderanno l’economia centrafricana suscitando forti critiche e dura opposizione al regime. Bokassa di conseguenza, per mantenersi al potere, si vedrà costretto ad irrigidire in una drammatica progressione le misure di repressione politica e di oppressione sociale, che includeranno anche l’eliminazione fisica dei suoi rivali. Nel contempo cresce la concentrazione del potere nelle sue mani (non gli basta essere Presidente della Repubblica: vuole per sé anche i dicasteri della Difesa, degli Interni, dell’Informazione e si fa acclamare anche Segretario Generale del partito unico). Dall’alto dei suoi incarichi sopporta sempre meno le critiche e le contestazioni. Il colonnello Banza, suo ex commilitone d’armi, sarà il primo di una lunga lista di oppositori fisicamente eliminati senza tanti complimenti. Almeno venti sono i casi accertati e riconosciuti di esecuzioni ordinate direttamente da Bokassa o alle quali il Presidente partecipa di persona per godere meglio della soppressione di antipatici oppositori politici e di fastidiosi rivali istituzionali. Ma le vittime della dittatura saranno molte di più sulla scia dell’irrefrenabile violenza cui si daranno numerosi rappresentanti dell’entourage presidenziale i quali, gustando per la prima volta il sapore del potere e la forza dell’autorità, pensano che tutto è loro permesso. Intanto Bokassa conduce un train de vie lussuoso e spregiudicato, dove può dare libero sfogo alla sua irresistibile passione per l’alcol e il sesso femminile. Avrà in effetti 17 mogli e 50 figli, dei quali 36 ufficialmente riconosciuti, senza contare le innumerevoli donne, anche giovanissime studentesse, che volenti o nolenti, cadranno nella rete presidenziale e saranno sedotte dal padre-presidente, da Papà Bok, come verrà soprannominato prendendo spunto da un altro suo esecrabile «collega», Papà Doc (al secolo dottor François Duvalier, il dittatore di Haiti). La stessa Catherine, che sarà incoronata imperatrice, viene notata da Bokassa per caso, mentre si reca a scuola. Ha appena quattordici anni! Ma questo non è un ostacolo. Contro la sua volontà (come resistere all’onnipotente presidente?), Catherine verrà sedotta, diventando presto la moglie prediletta dalla quale avrà sette figli. Gran bevitore, paranoico, manesco, di una gelosia malsana, non esita a picchiare duramente le sue donne quando queste osano alzare lo sguardo verso un altro uomo. Non indietreggia mai davanti a spese folli, pur di far piacere alla sua famiglia o meglio alle sue
numerose famiglie… A ciascuna delle mogli, forse per farsi perdonare l’approccio iniziale, spesso alquanto brutale, regalerà una villa e abbastanza denaro per crescere ed educare i figli. Jean Bédel insomma è molto generoso, con il denaro pubblico. Le casse dello Stato saranno abbondantemente saccheggiate. Niente e nessuno resiste ormai a Papà Bok, il quale si ritiene così indispensabile e insostituibile da farsi nominare nel 1972 presidente a vita, con il titolo altisonante di Padre della Nazione. Essendo inoltre un militare di formazione, non gli deve mancare il massimo riconoscimento della carriera: nel 1974 sarà anche Maresciallo della Repubblica Centrafricana. Bokassa è alla continua ricerca di finanziamenti per il paese e di contributi per le sue spese personali. Nel 1976, con spirito quanto mai spregiudicato, si converte all’Islam per ingraziarsi i favori del colonnello Gheddafi in vista di sostanziosi sussidi da parte di Tripoli. Ribattezzato Salah Eddin Bokassa, dopo aver accumulato nelle sue mani ben dieci portafogli ministeriali, pensa bene di eliminare anche formalmente il governo, sostituendolo con un Consiglio della Rivoluzione. Tutto il potere è ora nelle sue mani. Sulla scia delle informazioni di agenti segreti formati a e da Parigi e nel clima di generale delazione che caratterizza il sistema bokassiano, proseguono arresti arbitrari ed esecuzioni sommarie per stroncare qualsiasi forma di dissidenza e tentativi di cambiamento di regime. La popolazione è terrorizzata, paralizzata. L’opposizione politica non ha alcuna possibilità di esprimersi e di manifestarsi. La Francia, malgrado l’assenza di qualsiasi forma di democrazia rappresentativa, nonostante le pesanti violazioni dei diritti dell’uomo e la pessima gestione dell’economia del paese, continua a sostenere il regime di Bangui con consistenti aiuti allo sviluppo, con finanziamenti diretti e indiretti al bilancio dello Stato onde evitare il collasso finanziario della ex-colonia, pur di salvaguardare la presenza e gli interessi nazionali di Parigi. Il presidente a vita, dal canto suo, ha accumulato tanti di quei debiti che non può permettersi alcun raffreddamento nei rapporti con Parigi. Cresce intanto la megalomania di Papà Bok il quale, dopo un fallito tentativo di colpo di Stato perpetrato da uno dei suoi generi, Fidèle Obrou, pensa che sia arrivato il momento di consolidare e rinforzare ulteriormente la sua autorità facendo rinascere l’antico impero di Karem Bornou. Sì, vuole e deve essere Imperatore. Tutto il pianeta conoscerà così il suo paese, tutti i Capi di Stato rispetteranno la nuova aristocrazia locale, si formerà un nuovo legame storico-politico tra Francia e Centrafrica nel ricordo di un altro grande imperatore che gode dell’incondizionata ammirazione di Jean Bédel: Napoleone Bonaparte, Napoleone I. Bokassa, insomma, vuole essere incoronato in una cerimonia degna appunto del grande corso, con il titolo di Sua Altezza Imperiale Bokassa I. Anche il Papa dovrà essere presente a Bangui alla consacrazione, anzi dovrà essere proprio Sua Santità a porgli sulla testa la fatidica corona. Mancanza di modestia? No, probabilmente qualcosa in più: genuina follia. Una follia assecondata dai cortigiani di turno, nazionali e internazionali, che non lo fanno desistere dal suo singolare progetto. Lo stesso governo di Parigi in qualche modo lascia fare, anzi lo incoraggia promettendogli in pratica il finanziamento della più grottesca e costosa cerimonia che mai si sia svolta nell’Africa decolonizzata.
Il 4 dicembre del 1976 un congresso straordinario del partito unico MESAN proclama il maresciallo Bokassa Imperatore. Viene approvata nel contempo una nuova costituzione («imperiale» naturalmente), con un nuovo potere esecutivo. Si prepara anche psicologicamente la popolazione al grande evento. Si cerca smaccatamente di «mitizzare» la figura dell’imperatore. Un comunicato del dicembre dello stesso anno, ad esempio, statuisce che ogni persona che saluterà Bokassa «dovrà rimanere almeno a sei passi di distanza inclinando leggermente il capo in avanti», occorrerà chiamarlo d’ora in poi «Maestà Imperiale» e «se la situazione impone una risposta negativa bisognerà evitare di emettere un no brutale». Viene disciolta per prudenza l’Unione Generale dei lavoratori, la sola organizzazione che osava ancora contestare qualche volta le decisioni di Bokassa il quale, nella sua bislacca escalation sociale, abiura senza problemi l’Islam e incarica il nuovo governo di dedicarsi principalmente «alla preparazione della cerimonia dell’incoronazione che figurerà in buona posizione tra i grandi avvenimenti del XX secolo». L’incoronazione, prevista per il 4 dicembre del 1977, diventa l’affare di Stato più importante da trattare, come se si trattasse di preparare il paese ai giochi olimpici. Le terribili condizioni di povertà in cui vive la popolazione, le malattie endemiche che mietono vittime senza soste, l’imposizione di un regime che non lascia alcuno spazio alle libertà individuali non interessano molto né il governo francese né l’irresponsabile nomenklatura centrafricana. Ciò che interessa invece è far bella figura agli occhi del mondo per una cerimonia dai contorni surreali e dalle finalità improbabili. A Parigi si attiva un comitato organizzatore, filiazione diretta della Società Intercontinental de Courtage (ICC, diretta dal François Giscard d’Estaing, cugino dell’appena eletto presidente Valéry), abituale interlocutore di Bokassa, attraverso cui passano i finanziamenti parigini e transitano i fondi provenienti dallo Stato centrafricano, fondi che derivano poi in gran parte dagli stessi aiuti ed interventi dei competenti ministeri francesi. Un bilancio complessivo di più di 20 milioni di dollari di trent’anni fa. Lo scultore Olivier Brice è incaricato di disegnare il trono, le statue ornamentali e persino gli abiti della corte imperiale. Tutto deve essere in puro stile napoleonico. Bokassa nutre un’ammirazione sconfinata per Napoleone e vuole in qualche modo rievocarne l’epopea in Centrafrica, convinto anche di una certa somiglianza dei due destini: “Ci sono molte similitudini tra Napoleone e me. Anche lui era un ufficiale venuto da una famiglia povera ed è diventato imperatore. La sua storia è ammirevole, ha fatto molte cose per il suo paese.” Nessuno osa contraddirlo, per paura o per convenienza. Militari francesi si offrono di formare i trenta cavalieri africani che dovranno scortare le carrozze imperiali nel corteo della consacrazione. Vengono acquistati ad un allevatore normanno 32 splendidi cavalli bianchi che saranno trasportati a Bangui a spese del ministero della Cooperazione francese. Maisons specializzate forniranno tutto quanto è necessario per la sfilata d’epoca: uniformi, tuniche, spallette dorate, stivali ecc.
Se a Parigi si lavora, a Bangui regna l’effervescenza. Si avviano le prove per tutti gli studenti della città che dovranno partecipare alla storica sfilata. Non dispongono di vestiti adeguati? Non è un problema. Si ordinano ad una ditta francese 7000 vestiti bleu marine in tergal. Per riparare, restaurare, imbellire, rendere presentabile la capitale destinata a ricevere 5000 invitati internazionali, 60 squadre di operai francesi si mettono per tempo all’opera. Anche la residenza del Capo dello Stato viene rinnovata in puro stile impero: letti dorati con teste d’aquila, marmi, stucchi, tende di seta color porpora. Persino nel bagno viene richiamato il gusto napoleonico: la vasca è fornita di rubinetti dorati a forma di aquila. Niente è troppo costoso per l’Imperatore nero! Olivier Brice termina rapidamente il trono imperiale: un seggio monumentale, consono alla megalomania di Bokassa, di 2,5 metri di altezza e 2,8 metri di larghezza, a forma d’aquila con ali spiegate, immerso nel bronzo dorato. Anche la carrozza per la sfilata imperiale deve essere degna dell’erede africano di Napoleone: viene recuperata e adattata alla circostanza il veicolo utilizzato nel film Caroline Chérie, con Martine Carol, del 1950. Infine la corona della consacrazione. Viene affidata alle mani del grande gioielliere parigino Arthus-Bertrand. Sui 70.000 carati di diamanti (nel paese non mancano) che Bokassa fa pervenire al bijoutier preferito, questi ne sceglie 7000 per creare un oggetto splendido e costosissimo. Più righe sono necessarie per descrivere la tenuta ordinata in Francia per l’imperatore: Una tunica ricamata con perle bianche e perle color oro. Nella parte bassa della tunica verrà ricamata un’aquila nel sole, il bordo della tunica sarà ricamata di foglie di lauro e di stelle. La cinta avrà i colori della bandiera del Centrafrica, ricamata di perle. Il mantello sarà di velluto rosso ricamato di aquile nel sole, di stelle e di foglie di lauro (…) Scarpe ricamate come la tunica con l’iniziale B ricamata in oro. Bokassa è ormai perso nel suo sogno megalomane di sentirsi al livello del suo «predecessore» francese, senza che nessuno abbia il coraggio di dissuaderlo, di farlo ragionare, di evitargli di ridicolizzarsi davanti al mondo. Compreso il governo francese che paga in gran parte e organizza l’assurda cerimonia, e scommette ancora, prendendo peraltro un abbaglio colossale, sull’ex sottufficiale dell’esercito coloniale. Il giorno della grande cerimonia, il 4 dicembre del 1977, 500 giornalisti di tutto il mondo sono presenti a Bangui per coprire l’evento. Il centro della città è stato rimesso a nuovo ed ha riacquistato l’antico fascino coloniale. Lungo i cinque chilometri che il corteo dovrà seguire verso la cattedrale, si innalzano magnifici pini, importati appositamente dalla Francia, sui cui tronchi si stagliano aquile in bronzo. Non manca naturalmente a metà strada un immenso arco di trionfo per celebrare inesistenti vittorie militari e mai realizzate conquiste sociali. Tuttavia, nonostante i mirabolanti preparativi, pochi capi di stato in definitiva si sposteranno per assistere alla cerimonia. C’è il presidente del Camerun, il primo ministro delle isole Mauritius, il principe Emanuele di Liechtenstein. Il Papa, con grande delusione dell’imperatore, non si sposterà e, saggiamente, si farà rappresentare da un suo inviato speciale. La Francia, dal canto suo, sarà rappresentata dal Ministro per la Cooperazione Robert Galley. Il presidente Giscard d’Estaing, che con il paese africano vanta intensi