Investire Ottobre 2019

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Ottobre 2019 Euro 5,00 90009

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Conoscere, rischiare, guadagnare presenta

il film di «TUTTI I FONDI ETF CHE NEGLI USA HANNO SUPERATO PER VOLUMI I FONDI ATTIVI» SIMONE ROSTI... VINCENZO SAGONE...

con URSULA MARCHIONI...

ROBERTO CITARELLI...

...e tanti altri protagonisti che anche in Italia stanno incrementando le loro quote di mercato. Il segreto sta nei bassi costi, nella trasparenza e nell’elevata liquidità. Ma investire bene in Etf non è per tutti. E per sceglierli la consulenza aiuta

LAURA CASTELLI

RIVOLUZIONE AZIMUT

L’AIM, ROSE E SPINE

«Più investimenti e la fiducia ritornerà»

Martini: «Apriamo ai clienti il private equity»

Il mercato delle piccole imprese vale ormai 6,5 miliardi di euro e attrae emittenti e investitori. Ma ora la strada della crescita transita attraverso un tagliando alle regole che sono state finora utiizzate. Nel segno della serietà. Come dimostra il caso Integrae.

INVESTIRE SPECIALIST

OCF, LA PACE È FATTA

FONDI IMMOBILIARI

Tanti nomi nuovi nel board dell’albo unico

Il mattone corre solo dov’è top di gamma




AZIMUT LIBERA IMPRESA EXPO 29-30 OTTOBRE 2019 - MILANO RHO FIERA

CUORE & MOTORE DELL’IMPRENDITORIA ITALIANA L’evento dell’anno, punto di incontro tra Economia Reale e risparmio gestito.

12.000 Mq di allestimenti

10.000

Partecipanti

50

Conferenze

150

Relatori

Scopri di più su expo.azimutliberaimpresa.it

Storie

di

successo


EDITORIALE

Basta sfiducia, si torni a investire di Sergio Luciano

È

affascinante e confortante il percorso ideale - e indicato a tutti - he Papa Francesco ha intrapreso verso la primavera del 2020, quando dal 26 al 28 marzo ha convocato ad Assisi “giovani economisti, imprenditori e imprenditrici di tutto il mondo” con una lettera aperta pubblicata il 1° maggio, nel giorno in cui anche la Chiesa Cattolica festeggia San Giuseppe lavoratore. E’ affascinante e confortante perché – comunque la si pensi, e indipendentemente dal fatto che si abbia o meno fede in Dio o comunque in un’altra e migliore dimensione di quella materiale in cui viviamo – non si può negare che Bergoglio abbia rappresentato in questi ultimi anni uno dei pochi, anzi forse l’unico, leader ideologico della modernità. Un leader divisivo, proprio per la forza delle sue affermazioni. Ed anche il fervore di dibattito, e di protesta, esploso intorno al cambiamento climatico ha avuto proprio in un suo atto, l’enciclica “Laudato sii”, pubblicata più di quattro anni fa, lo starter che ha impresso la svolta. Come Bergoglio la pensi sull’economia è in senso generale ben noto, ed è erroneamente ma comprensibilmente temuto dai suo detrattori, che lo considerano l’ultimo dei comunisti. Leggiamo un passo della sua lettera: «Occorre pertanto correggere i modelli di crescita incapaci di garantire il rispetto dell’ambiente, l’accoglienza della vita, la cura della famiglia, l’equità sociale, la dignità dei lavoratori, i diritti delle generazioni future. Purtroppo resta ancora inascoltato l’appello a prendere coscienza della gravità dei problemi e soprattutto a mettere in atto un modello economico nuovo, frutto di una cultura della comunione, basato sulla fraternità e sull’equità». Dunque un chiarissimo invito a fare: fare in un modo diverso, ma fare, agire. E del resto, basta rileggere “The Management Methods of Jesus”, del manager e produttore televisivo americano Robert Briner, per rendersi conto che l’ultimo degli insegnamenti di Cristo, sul vivere economico e sociale degli uomini, è stato quello dell’inazione, del non-fare. Soccorre anche qui una memorabile parabola del Vangelo: la parabola dei talenti. In cui il possidente che aveva affidato ai suoi servi il suo denaro

affinchè lo facessero fruttare, punisce severamente quello che si era limitato a custodirlo senza investirlo: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso; per paura andai a nascondere il tuo talento sotterra; ecco qui il tuo. Il padrone gli rispose: servo malvagio e infingardo, sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. (…) E il servo fannullone gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti” (Mt 24-30). Quando rileggiamo il dato dei 1400 miliardi di euro – Investire lo ha ricordato, e deprecato, anche lo scorso numero - che gli italiani tengono parcheggiati in conti correnti infruttiferi, che anzi costano e dunque glieli erodono, non può non venire in mente il forte monito di questa parabola. Non ci sono alibi, non c’è timore che tenga. Impegnarsi per far fruttare i propri talenti è un obbligo morale ineludibile. La sfiducia non giustifica la passività. Certo: le ragioni di timore sono tante. Timore sistemico, angoscia sul futuro. Non c’è solo l’incubo del cambiamento climatico. Ci sono le guerre commerciali, e la “guerra mondiale a capitoli” (altro copyright di Bergoglio). C’è la paura, infondata, di devastanti migrazioni. C’è l’inedita, e indecifrabile, scomparsa dell’inflazione e la stasi dei tassi d’interessi, c’è un generale rallentamento della crescita. Tutto vero. Ma tutto questo concorre a rende più assurda che mai la reazione del non-fare, del capitalizzare e basta per chi ha soldi, del non lanciarsi nel lavoro per chi ne ha bisogno, almeno dove il lavoro c’è, e in molti luoghi, campi e mestieri ancora c’è. Investire, insomma. Denaro o tempo, che sono per tanti versi equivalenti. E costruire o ricostruire credibilità per se stessi e per la comunità e il sistema in cui si vive. Compito della politica, innanzitutto: per esempio nel ridare dignità ad un’istituzione ormai ridotta al minimo della credibilità qual è ormai la giustizia italiana, che congela gli investimenti esteri in Italia (la bufala P4, inabissatasi dopo 9 inutili anni ne è l’ennesima riprova). Ma anche compito individuale non delegabile.

www.investiremag.it Conoscere, rischiare, guadagnare

Registrazione Tribunale di Milano N. 126 del 27/3/1982 Direttore responsabile Sergio Luciano Caporedattore Marco Muffato Newsroom Marina Marinetti, Marco Scotti, Riccardo Venturi, Raffaela Jada Gobbi, Liliana Nori Hanno collaborato Antonio Quaglio (Consulente del direttore), Rosaria Barrile, Francesco

Bellizzi, Ugo Bertone, Annalisa Caccavale, Angelo Curiosi, Mauro Del Corno, Giacomo Damian, Giuseppe De Lucia, Giuseppe D’Orta, Fabiana Giacomotti, Luigi Orescano, Pasquale Orlando, Davide Passoni, Matteo Ramenghi, Claudio Riva, Mario Romano, Nicola Ronchetti, Monica Setta, Davide Terziotti, Gloria Valdonio, Riccardo Venturi, Paolo Zucca Contributors Vittorio Borelli, Enrico Cisnetto,

Giuseppe Corsentino, Anna Gervasoni, Glauco Maggi, Andrea Margelletti, Marco Onado, Francesco Priore, Matteo Ramenghi, Giulio Sapelli, Franco Tatò Partnership Editoriali Assoimmobiliare Redazione info@economymag.it Segreteria di redazione Monia Manzoni Presidente e A.D. Giuseppe Caroccia

Editore incaricato Domenico Marasco Responsabile commerciale Luca Ronzoni Casa editrice Economy s.r.l. Piazza Borromeo 1, 20123 Milano Tel. 02/89767777 Distribuzione Pressdi - Via Mondadori, 1 Segrate - 02 7542097 Stampa Stampa Rotolito. S.p.a 20063 - Cernusco S.N. (MI)

ottobre 2019

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SOMMARIO Ottobre 2019

03 EDITORIALE

di sergio luciano

13 IL GERMANISTA

09 WATCHDOG

di marco onado

14 FINANZA REALE

Basta sfiducia, si torni a investire

Quale ricetta per sopravvivere ai tassi negativi

di g.sapelli

Greta, un cuore antico con contraddizioni

Gli Etf sempre più superstar festeggiano negli Usa il sorpasso sui fondi attivi. Anche in Europa e in Italia i fondi indicizzati crescono

16 III REPUBBLICA

COVERSTORY PARLA LAURA CASTELLI

MERCATO

Il vice ministro dell’Economia spiega come la spesa pubblica farà ripartire l’Italia

La gara tra gli operatori degli Etf sta passando dai costi all’innovazione di prodotto

DISTRIBUZIONE

L’OPINIONE

I fondi passivi non sfondano tra le reti, ma conquistano il cuore dei consulenti autonomi

Orlando di Deus Technology: ecco perchè gli indicizzati cambieranno le reti distributive

18

COSMOPOLITICA di andrea margelletti Attacco al cuore del potere in Arabia Saudita

QUI PARIGI di giuseppe corsentino

Tutti i motivi perchè la Francia non ha ancora un Nasdaq europeo

QUI NEW YORK di glauco maggi

Gli Etf superano i fondi attivi? È un segno dei tempi

IL GIRO DEL MONDO IN 30 GIORNI

Ultimo tango a Buenos Aires, stime al ribasso per l’Argentina

ottobre 2019

di e.cisnetto

La vera sfida è ripopolare il centro

26

4

di a.gervasoni

Il private banking c’è e batte un colpo

78 80 81 82

20 28

MONDO

10 IL SISMOGRAFO

di franco tatò

Germania in crisi, rinnova la classe dirigente



INVESTIRE SPECIALIST

SOMMARIO 30 33

OCF/ Conosciamo da vicino i nuovi protagonisti del board dell’Albo unico dei consulenti finanziari

IW BANK/ Focus sul modello di business e sulla piattaforma di consulenza evoluta in arrivo

56

34

CONSULTIQUE/ Luca Mainò racconta il network

58

36

LIBERA IMPRESA/ Azimut lancia il primo fondo

60

38 40 42 46 49

di riferimento dei consulenti fee only

chiuso di private equity retail al mondo

MERCATI FINANZIARI/ Mal di (troppi) bond? La cura si chiama sostenibilità

RENDIMENTI NEGATIVI/ Dal fondo sovrano norvegese ai fondi pensione, alla ricerca del segno + REPORT SCHRODERS/ Investire in tempi di guerra? Ecco cosa succede ai portafogli FASHION & LUXURY/La domanda di beni di lusso solida nel lungo periodo. Cosmesi in luce

OUTLOOK/ Le 5 previsioni per il 2019 di Zehrid Osmani di Martin Currie (Legg Mason)

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popolari per ridefinire offerta e backoffice

TREND/ Prima di quotarsi all’Aim, le pmi devono necessariamente passare per il private equity

ESECUTIVO & MERCATI/ Un’altra chance per l’Italia che non deve essere sprecata

RISPARMIO GESTITO/ Dall’architettura aperta a quella guidata, il consulente rimane protagonista

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PRODOTTI/ La famiglia di fondi sulla sostenibilità

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AIM/ In crescita ma vulnerabile, il mercato delle

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pmi deve decidere come e se diventare grande

CREDITO/ Che investimenti per le banche

TRUFFATI E RIMBORSATI/ I fortunati che

GREEN BOND/ Il

sistema dei prodotti finanziari verdi continua a dare soddisfazioni ma...

NOMAD/ Tutti i segreti della società numero uno, Integrae Sim, nel portare più pmi sull’Aim

64

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hanno riottenuto i soldi investiti e persi per i raggiri realizzata da Fidelity International

SEDIE&POLTRONE/ Matteo Astolfi al timone di Capital Group in Italia

PROFESSIONE CONSULENTE/ Francesco Priore risponde alle domande dei lettori

POLE POSITION/ Il fondo LTCM e la storica cantonata dei due premi Nobel

TALENT/ Torna la gara tra fai da te, consulente finanziario e robo advisor

88 IMMOBILIARE

104 WHISKY

94 MODA & FINANZA

108 AUTOAPPASSIONATI

96 DENARO DEI VIP

110 BIBLIOTECA

98 ANTIQUARIATO

112 EDUCAZIONE FINANZIARIA

Corre il mattone top di gamma

Guida ragionata al mercato del reselling

La sfida “green” di Justine Elizabeth Mattera

L’arte come investimento secondo Carlo Orsi

100 PIPE

Da fumatore a collezionista il passo è breve

6

55

ottobre 2019

Il single malt del 1926 da un milione di euro

Che record di velocità per la Bugatti Chiron

Storia di banche che innovano il sistema

Il conto corrente non è un investimento

114 MALALINGUA

L’agenda del bis-Conte giallorosso


Mediobanca Certificates, 70 anni di storia. Il mercato finanziario è come il mondo. Per essere esplorato in tutta la sua ricchezza ha bisogno di navigatori esperti. Dal 1946 Mediobanca assiste le imprese e gli investitori con servizi finanziari altamente specializzati dedicati a realtà che evolvono continuamente. I Certificates Mediobanca sono il frutto di competenza, esperienza e affidabilità. Certificates Mediobanca: un punto d’arrivo.

Il presente documento ha esclusivamente scopi di marketing. Esso non costituisce in alcun modo una sollecitazione all’acquisto o alla vendita di qualsiasi strumento finanziario, né attività di consulenza o ricerca in materia di investimenti. Per maggiori informazioni consultare il sito www.mediobanca.com Mediobanca Banca di Credito Finanziario S.p.A. Piazzetta Enrico Cuccia, 1 20121 Milano, Italia • Partita IVA: 10536040966 • Codice fiscale e numero di Iscrizione al Registro delle Imprese di Milano, Monza, Brianza, Lodi: 00714490158 • Mediobanca S.p.A., iscritta all’Albo delle Banche e Capogruppo del Gruppo Bancario Mediobanca, iscritto all’Albo dei Gruppi Bancari al n. 10631. Aderente al Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi e al Fondo Nazionale di Garanzia. • Iscritta al Registro Unico degli Intermediari assicurativi e riassicurativi. Capitale sottoscritto e versato € 443.521.470,00


ACTIVE IS: INVESTIRE ACTIVE IS: NELLA NUOVA “PET ECONOMY” INVESTIRE NELLA NUOVA “PET ECONOMY” Oltre ai trend virtuali dei settori ultra innovativi, si sviluppano nuove tendenze concrete con ampie frontiere e voglia di coccole. Il boom degli ultimi anni ci ha convinto ad investire nella “pet economy” con il fondo Allianz Pet and Animal Wellbeing: per stare al fianco dei nostri amici a quattro zampe cogliendo nuove opportunità. Oltre ai trend virtuali dei settori ultra innovativi, si sviluppano nuove tendenze concrete con ampie frontiere e voglia di coccole. Il boom degli ultimi anni ci ha convinto allianzgi.it ad investire nella “pet economy” con il fondo Allianz Pet and Animal Wellbeing: per stare al fianco dei nostri amici a quattro zampe cogliendo nuove opportunità.

allianzgi.it

Value. Shared. L’investimento implica dei rischi. Il valore di un investimento e il reddito che ne deriva possono aumentare così come diminuire e, al momento del rimborso, l’investitore potrebbe non ricevere l’importo originariamente investito. Allianz Pet and Animal Wellbeing è un comparto di Allianz Global Investors Fund SICAV, società d’investimento a capitale variabile di tipo aperto costituita ai sensi del diritto lussemburghese. I rendimenti passati non sono indicativi di quelli futuri. Le classi del comparto dsponibili per la commercializzazione in Italia sono: A EUR (LU1931535857), A H2-EUR (LU1931536079), AT EUR (LU1931535931) e AT H2-EUR (LU1931536152); spese correnti annue stimate per suddette classi del comparto 2,10%. Il prospetto, i documenti istitutivi, gli ultimi rendiconti contabili e il documento delle Informazioni chiave per gli investitori in Italiano, nonché le commissioni ed i prezzi giornalieri delle azioni di ciascuna classe di ogni comparto sono disponibili gratuitamente sul sito www. allianzgifondi.it. Il presente documento è una comunicazione di marketing da Allianz Global Investors www.allianzgi.it, di l’investitore gestione a L’investimento implica dei rischi. Il valore di un investimento e il reddito che ne emessa deriva possono aumentare così comeGmbH, diminuire e, al momentouna del società rimborso, responsabilità limitatal’importo di dirittooriginariamente tedesco, con sede legale Allianz in Bockenheimer Landstrasse 42-44, Francoforte Meno, iscritta Fund al Registro presso la potrebbe non ricevere investito. Pet and Animal Wellbeing è un60323 comparto di Allianzsul Global Investors SICAV,Commerciale società d’investimento Corte di Francoforte sultipo Meno col numero HRB 9340,del autorizzata dalla BaFin (www.bafi n.de).passati Allianznon Global ha futuri. stabilito succursale in Italia, Allianz a capitale variabile di aperto costituita ai sensi diritto lussemburghese. I rendimenti sonoInvestors indicativiGmbH di quelli Le una classi del comparto dsponibili Global Investors GmbH, Succursale in Italia, via Durini 1 20122 Milano, soggetta alla vigilanza delle competenti Autorità italiane e tedesche in conformità alla per la commercializzazione in Italia sono: A EUR (LU1931535857), A H2-EUR (LU1931536079), AT EUR (LU1931535931) e AT H2-EUR (LU1931536152); spese correnti normativa comunitaria. La presente comunicazione non è redatta in base ai requisiti legali previsti per assicurare l’imparzialità delle raccomandazioni in materia di annue stimate per suddette classi del comparto 2,10%. Il prospetto, i documenti istitutivi, gli ultimi rendiconti contabili e il documento delle Informazioni chiave per gli strategia non comporta pertanto di negoziazione rispetto di suddette raccomandazioni. investitoridiininvestimento, Italiano, nonché le commissioni ed ialcun prezzidivieto giornalieri delle azionianticipata di ciascuna classealla di divulgazione ogni comparto sono disponibili gratuitamente sul sito www. Giugno AdMaster 798138 allianzgifondi.it. Il presente documento è una comunicazione di marketing emessa da Allianz Global Investors GmbH, www.allianzgi.it, una2019, società di gestione a

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responsabilità limitata di destinato diritto tedesco, con sede legale in Bockenheimer Landstrasse leggere 42-44, 60323 Francoforte sul Meno, iscrittapresso al Registro Commerciale presso la Annuncio pubblicitario all‘investitore al dettaglio. Prima dell’adesione il KIID e il prospetto disponibili i soggetti distributori e sul Corte di Francoforte sul Meno col numero HRB 9340, autorizzata dalla BaFin (www.bafin.de). Allianz Global Investors GmbH ha stabilito una succursale in Italia, Allianz sito www.allianzgifondi.it. Global Investors GmbH, Succursale in Italia, via Durini 1 - 20122 Milano, soggetta alla vigilanza delle competenti Autorità italiane e tedesche in conformità alla

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WATCHDOG Marco Onado È professore senior di Economia degli intermediari finanziari nella Università Bocconi di Milano. È stato Commissario Consob. Collabora con “Il Sole - 24 Ore”, “Lavoce.info” e “voxeu.org”.

C’È UNA RICETTA PER SOPRAVVIVERE AI TASSI NEGATIVI?

L

a crisi finanziaria ha rivodi sotto dello zero, tutti gli altri tassi si luzionato il mondo delle adattano a quel livello. Inevitabilmente, obbligazioni, un tempo il non solo i titoli degli stati più solidi, ma paradiso degli investitori. anche una porzione crescente di quelli Prima ha spazzato via tutti privati vengono emessi a tassi negativi. i titoli avvelenati nati sulla pianta della E allora non rimane che prendere rischi bolla immobiliare americana, poi ha cocrescenti: o andando su emittenti meno stretto le banche centrali ad abbassare solidi (un’impresa inglese ha dovuto continuamente il livello dei tassi di inportare il tasso delle sue obbligazioni al teresse, spingendolo non solo ai livelli 5,25 per cento, dopo che il mercato aveva più bassi della storia, ma addirittura nel bocciato le precedenti) oppure giocando regno surreale dei tassi negativi, fino ad sulla sensibilità dei titoli a variazioni anallora esplorato solo dal Giappone dopo che piccole dei tassi di interesse. Non a la loro grave crisi degli anni ‘90. caso una delle reginette delle obbligazioOggi nel mondo ci sono oltre 16 trilioni MARIO DRAGHI COME DRACULA, VISTO DA BILD ni 2019 è proprio un titolo tedesco con di dollari di obbligazioni con tassi negatasso negativo (a 30 anni!) che grazie alle tivi e per arrivare a rendimenti superioulteriori e non attese riduzioni di tasso ri al tasso di inflazione occorre prendere ha dato rendimenti estremamente posirischi consistenti. Se si pensa che venti tivi. Ma che si tratti di cavalcare il rischio anni fa (quindi prima della parte più caldi credito o quello di durata, è evidente da della bolla) metà delle obbligazioni che il pericolo che l’elastico si tenda fino mondiali offrivano tassi superiori al 5 a spezzarsi è sempre più elevato. per cento, si capisce come lo scenario sia La domanda quindi è: per quanto tempo cambiato e generi problemi per gli invesi protrarrà questa anomalia? Per quanto stitori ma anche per gli intermediari, a tempo i gestori professionali dovranno cominciare dalle banche. passare gran parte del loro tempo a spieBisogna innanzitutto riconoscere che si gare ai risparmiatori che con questi chiari tratta dell’effetto collaterale della teradi luna portare a casa un rendimento appia d’urto che le banche centrali sono da oltre dieci anni co- pena positivo è già tanto? E di quanto dovranno sacrificare le strette a praticare per rendere sostenibile un livello di debito loro commissioni di gestione per non sembrare di chiedere un – pubblico e privato – mai raggiunto in passato oltre che per compenso troppo esoso rispetto al risultato che ottengono? cercare di far ripartire il motore dello sviluppo globale che si La risposta dipende da quanto si ritiene che questa situazione è inceppato da un pezzo. dipenda da cause strutturali anziché semplicemente congiunComunque sia la redditività bancaria langue perché è nor- turali. Perché se il problema sta nell’eccesso di debito pubblimalmente correlata positivamente al livello dei tassi. Il feno- co e privato accumulato in passato che pesa come un macigno meno è sempre più evidente non solo in Italia, ma anche in sulle possibilità di crescita mondiale, questo scenario rischia Germania. Dove non a caso la situazione è stata descritta con di protrarsi per un pezzo. E questa interpretazione è suffrauna nuova parola: Strafzins, che significa “tassi-punizione”. I gata da un filone di ricerca economica sempre più robusto che tedeschi, si sa, da Goethe in poi non guardano al debito con non solo dimostra che oltre un certo limite la finanza può escon occhio benevolo e sono gli unici ad usare la stessa paro- sere nociva per lo sviluppo, ma dice anche che quel limite lo la (Schuld) per definire “debito” e “colpa”. Ma questa volta la abbiamo superato da un pezzo. Poiché la politica non vuole semiologia rinvia alla politica: la “punizione” viene dalla Ban- affrontare questo nodo, tutto il peso sulle spalle grava sulle ca centrale europea sempre meno amata. Non a caso il quoti- spalle dei banchieri centrali, che sono invece gli unici che dodiano che strizza l’occhio al populismo, la Bild, ha raffigurato vremmo ringraziare, con buona pace dell’ultra-destra tedesca Mario Draghi come il Conte Dracula che succhia il sangue non o di altri paesi. Quello che le banche centrali non dicono persolo alle banche, ma anche ai risparmiatori. ché la ragion di Stato glielo impedisce, è quello che ogni meIn realt, gli investitori razionali non hanno bisogno di essere dico dice ai pazienti che si lamentano degli effetti collaterali: Albert Einstein per capire che il mondo dei tassi di interesse se non ci fosse questa medicina, stareste molto peggio e forse è il regno della relatività. Se i tassi di interesse base sono al non sareste neppure più in grado di lamentarvi.

Oggi più di prima per ottenere rendimenti dai bond bisogna prendere rischi crescenti

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IL SISMOGRAFO Giulio Sapelli È Ordinario di Storia Economica presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Milano e direttore scientifico della Fondazione Enrico Mattei.

GRETA HA UN CUORE ANTICO CON TANTE CONTRADDIZIONI

L

a transizione energetica è senza dubbio un feno- qualcosa che è già in atto da molti anni. Il capitalismo ha inimeno in atto. Ma ha e avrà alti costi, e del resto ziato a cambiare veramente volto, o almeno a interrogarsi su nessuna transizione globale è un pasto gratis. Lo come cambiarlo. Il riaffermarsi della prospettiva dell’econospiega bene Massimo Nicolazzi nel suo ultimo mia circolare non va assolutamente sottovalutato, anche persaggio “Elogio del petrolio”, uscito per Feltrinelli. chè si avvale della forte spinta del capitalismo finanziario. Da «Non abbiamo nessuna certezza che vivere senza combusti- vent’anni i cosiddetti titoli etici a Wall Street spopolano. bili fossili sia compatibile con la crescita che questi ci hanno Adorno avrebbe detto che in questo capitalismo potentissigarantito». Un illuminante esempio l’ho trovato in una re- mo ogni opposizione si trasforma in un’opposizione di Sua cente analisi di una grande banca d’investimento sulla Shell, Maestà, un’opposizione che il potere fa propria. Come sarebche investe sullo sviluppo delle energie pulite una gran parte be possibile altrimenti che milioni di persone si muovessero dei profitti che le derivano dal petrolio: dunque la vera tran- nel mondo senza suscitare l’apprensione delle forze dell’orsizione energetica efficiente, che è poi quella basata sul gas dine? Ad Hong Kong, dov’è in corso una protesta di ben dinaturale più che sulle energie rinnovabili, nasce dall’energia versa natura, la mobilitazione militare è altissima. Greta e il inquinante. suo movimento accedono all’Onu, accede Il fenomeno Greta, senza dubbio tra i più rial Vaticano. Non solo vengono sopportati, levanti sul piano mediatico da molto tempo ma addirittura glorificati ed integrati ai a questa parte, va riletto anche alla luce di massimi livelli anche perché pongono tutqueste e molte altre considerazioni. ti sotto accusa, ma nessuno in particolare. Per coglierne la portata, le implicazioni, Tutti colpevoli, nessun colpevole. le contraddizioni e gli effetti, respingenIn quest’ottica Greta appare anche la mido dietrologie e complottismi. Io partirei glior riprova del fatto che dopo il crollo ricordando che Olaf Palme, fino all’ultimo dell’Unione sovietica le grandi ideologie giorno della sua vita – spenta da due colpi non ci sono più, e dunque l’ecologia rapdi pistola sparatigli nella schiena da un atpresenta l’unico nuovo mito. Questa grantentatore mai identificato con certezza il 28 de mobilitazione pacifica è quel che ci febbraio del 1986 - parlava già del problevuole per la conservazione dell’ordine. La ma ecologico, di una trasformazione ecogrinta di Greta ricrea un solco tra le genelogica del capitalismo. Alla sua proverbiale razioni, ma contemporaneamente giovani attenzione per il welfare, la Svezia ha seme vecchi sono sulla stessa barca minacpre unito un profondo senso dell’ambiente, ciata dal cambiamento climatico, dunque del rispetto per la natura, la Svezia rappre- GRETA THUNBERG ALL'ONU il messaggio è divisivo e conciliante allo senta un mondo che dell’ecologia ha fatto stesso tempo. In questo senso il contrasto un’ideologia: pensiamo alla festa delle candele, che ne è un po’ s’inquadra benissimo, ideologicamente anzi omeostaticamenil simbolo. C’è in Svezia un’ideologia ecologica che ha dato vita te, con la questione del debito pubblico, la colossale balla dei a tante derivate. vecchi che hanno accumulato il debito sulle spalle dei giovani. Si deve a Knut Wicksell - grande economista liberista, pri- Insomma il movimento di Greta ha delle basi nobili, ma ci pormo segretario del partito socialdemocratico svedese, fonda- ta nel mondo della post-verità. Un particolare che mi irrita è tore della lega contro l’alcolismo – la creazione di una sorta che se c’è un Paese che ha imprese chimiche e petrolchimiche di eugenetica socialdemocratica. La Svezia comincia a fare tra le più avanzate al mondo dal punto di vista della sosteniinterventi eugenetici che durano fino alla fine degli anni '70, bilità è l’Italia. E lo dicono gli indici del Global Standard, non che pongono al centro l’uomo in una natura sacrale. La social- solo quelli di casa nostra. La verità è dunque che in un mondo democrazia svedese ha scelto da molto tempo l’ecologia e la frastagliato e contraddittorio, il tema dell’ecologia va analizsostenibilità come suoi cavalli di battaglia. Tutte le teorie del zato a partire dalle sue radici culturali e valutato anche sulle Club di Roma nascono nel mondo socialista illuminista svede- contraddizioni che crea e che ha al suo interno. Tutta l’agricolse. Quindi il fenomeno Greta è anche il ritorno in campo sotto tura si fonda sulla catena del freddo, che produce Co2, e non altre forme di una grande forza ideologica figlia della socialde- credo che in nome della sostenibilità sia pensabile ritornare a mocrazia scandinava. quando ogni famiglia, per nutrirsi, doveva coltivare il suo orto: Detto questo, il fenomeno Greta illumina clamorosamente oltretutto, consumeremmo molto più territorio. 10

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critEri EsG aziEndE sostEnibili

azioni intErnazionali

diVErsificazionE

pErformancE sEmprE più GrEEn, pEr una crEscita sostEnibilE. Eurizon Fund Sustainable Global Equity (lu1529957687) Le aziende non generano profitti tutte allo stesso modo: i profitti generati con l’attenzione al benessere delle comunità e all’ambiente sono più sostenibili nel tempo, rispetto ai profitti ottenuti con strategie opportunistiche di breve periodo. Per questo Eurizon Fund Sustainable Global Equity investe sui mercati azionari internazionali e si distingue per: l’utilizzo di una strategia che integra l’analisi EsG (di impatto ambientale, sociale e di governo aziendale) e l’analisi fondamEntalE per individuare aziende con vantaggi competitivi sostenibili nel tempo; ricercare Extra-pErformancE nel lungo termine rispetto al benchmark 100% MSCI World Hedged in Euro. Eurizon fund sustainablE Global Equity è un Comparto del fondo lussemburghese Eurizon Fund, istituito da Eurizon Capital S.A. e gestito da Eurizon Capital SGR S.p.A..

Società del gruppo

www.eurizoncapital.lu

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IL GERMANISTA Franco Tatò Manager eclettico e innovativo, è tra i pochissimi italiani ad aver diretto aziende in Germania, paese (e cultura) che ama ed è l’unico ad essere stato amministratore delegato sia di Rizzoli che di Mondadori

LA GERMANIA IN CRISI FA QUADRATO E RINNOVA LA CLASSE DIRIGENTE

U

na notizia che può avere importanti conseguenze per i rapporti italo tedeschi, è passata quasi inosservata sui giornali italiani. Con sorpresa di tutti, a fine settembre, il ministro degli interni della Repubblica Federale, nonché presidente della Csu, il partito democristiano bavarese, ha annunciato in una riunione di vertice un vero e proprio capovolgimento delle precedenti energiche posizioni anti migratorie. Le cause di questo improvviso e disinvolto voltafaccia sono molteplici. Sicuramente un ruolo determinante lo ha giocato l’uscita di scena di Salvini e della sua impropria rappresentanza dell’Italia nell’ambito europeo. Salvini era contemporaneamente un suo alleato nell’ostilità all’immigrazione e un suo concorrente che alzava continuamente l’asticella, per esempio con la chiusura dei porti, e che con i suoi atteggiamenti smargiassi a livello europeo rendeva difficile spiegare che concretamente non combinava nulla di serio. Ora, in attesa di un atteggiamento più costruttivo dell’Unione europea, per non restare isolato su posizioni di estrema destra, è meglio correre a ripararsi sotto l’ombrello di Angela Merkel, rafforzandone la posizione all’interno del Governo. Elettoralmente le posizioni di Seehofer non avevano ripagato: nelle ultime elezioni in Baviera, gli elettori avevano impartito una dura lezione alla Csu a vantaggio dell’Afd. Forse è venuto il momento di ritornare ai valori originari e alla capacità di governo. Manca solo Franz Joseph Strauss. Il governo tedesco sembra accorgersi per la prima volta che il rallentamento evidente dell’industria e dell’econo- ANGELA MERKEL mia stanno configurandosi come una vera e propria recessione. Infatti in un anno in cui i conti governativi chiudono con un profitto record di 17 miliardi, il ministro dell’economia Scholz si dà molto da fare per cercare nuove entrate, sicuramente perché si è accorto che la ristrutturazione della mobilità provocata dall’avvento esplosivo delle automobili elettriche, accompagnato dai ritardi nell’adeguare al digitale le attività della grande industria meccanica, costeranno moltissimo danaro cui vanno aggiunti i costi dell’attrito sociale conseguente a questi fenomeni. In una discussione parlamentare su queste e altre complesse problematiche economiche, la Cancelliera Angela Merkel ha risposto con un laconico: ”Noi ce la facciamo”, che non è lo Yes we can di Obama, ma una dichiarazione pericolosa di fiducia che sta facendo il giro della Germania applicata ironicamente a qualsiasi cosa, anche a quelle impossibili.

A parte i problemi delle grandi imprese, i problemi più seri sono costituiti dal ritardo nel passaggio al digitale anche delle piccole medie imprese e il grave ritardo nell’informatizzazione tecnologicamente adeguata della pubblica amministrazione. Ma non si capirebbe nulla di questa strana crisi dai contorni ancora indefiniti e dall’esito molto incerto, se oltre a guardare alle usuali conseguenze della guerra commerciale cino americana, della congiuntura internazionale, della globalizzazione, dei dazi di Trump e così via, non si desse uno sguardo a quello che sta accadendo nel mondo delle imprese. Della Deutsche Bank si è parlato a lungo, ora si aggiunge la CommerzBank, che annuncia 4500 esuberi e la chiusura di 200 filiali a causa di un radicale cambiamento di impostazione strategica. Il fallimento della Thomas Cook è in realtà il fallimento della Thomas Cook tedesca, vittima della sua incapacità a gestire economicamente la linea aerea Condor incautamente acquistata dalla Lufthansa, malgrado un contributo governativo di 320 milioni. Questi infortuni non sono frutto di una congiuntura negativa, ma di un management inadeguato. La Thyssen-Krupp, gigante dell’acciaio e icona, insieme alla defunta Mannesmann, della grande impresa tedesca nel bacino della Ruhr, ha licenziato in tronco il Ceo Kerkow, appena succeduto al dimesso grande manager Hiesinger, in mezzo alla disputa sulla vendita del ramo d’azienda degli ascensori, superstite perla del gruppo, per dare un ingiustificato dividendo straordinario al nuovo azionista finanziario svedese Cervian, furibondo per il suo incauto acquisto del 40% delle azioni del gruppo. Sembra che stiano per lasciare il loro posto i ceo della Siemens e della Bmw, un tempo simbolo dell’eccellenza tedesca. E si potrebbe continuare estendendo il discorso anche alle medie imprese, spina dorsale dell’industria tedesca. In realtà sembra che quello che è andato in crisi sia il sistema di cooptazione dei manager di più alto livello. Un sistema complesso che coinvolge presidenti di fondazioni, di grandi imprese, di banche, che sembrano aver perso la capacità di prendere le misure di cosa serve oggi a un’impresa ancora coinvolta nella dialettica pro o contro la piena rivoluzione digitale, mentre nuove imprese, nate improvvisamente dal nulla, le sorpassano, lasciandole al palo. Questo sta succedendo un po’ dappertutto in Europa. Angela Merkel dice “noi ce la facciamo”, magari con un po’ di fatica e qualche ferito. Gli altri non so. ottobre 2019

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FINANZA REALE Anna Gervasoni Professore Ordinario di Economia e Gestione delle Imprese alla Liuc di Castellanza. È anche direttore generale dell’Aifi (Associazione italiana del private equity, venture capital e private debt)

IL PRIVATE BANKING C’È E BATTE UN COLPO

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egnali positivi dal comparto private. È quello che emerge dal Private Banking Barometer, uno degli indicatori proprietari dell’Osservatorio Private Banking, promosso da Liuc - Università Cattaneo e Banca Generali con il supporto di BlackRock e Natixis. Attraverso un brevissimo questionario di 4 domande ci si propone di inquadrare con efficacia ed immediatezza le aspettative degli esperti del settore. Con riferimento allo scorso semestre, le aspettative degli operatori che costituiscono il panel del Private Banking Barometer sono state confermate dall’effettivo andamento del comparto private. Anzi la metà dei componenti segnala performance migliori rispetto alle attese, che evidenziavano una certa prudenza dovuta all’andamento negativo dei mercati nell’ultimo trimestre 2018. Notizie confortanti quindi per la prima parte del 2019, con aspettative ulteriormente al rialzo per i prossimi sei mesi, da ottobre 2019 a marzo 2020; più nel dettaglio, si stima che ci sarà una crescita sia delle masse gestite che della clientela amministrata, con valori rispettivamente tra il 5 ed il 7% e tra il 3 ed il 5%. Sebbene la media delle risposte alle già menzionate 4 domande si sia attestata su tali valori, non è mancata una previsione ben più ottimistica, con una crescita che ha toccato il 12-15%. In particolare, si è chiesto: 1 - Si sono effettivamente verificate le sue aspettative con riferimento al semestre appena concluso? 2 - Quali sono le sue aspettative per il semestre successivo? Crescita, stabilità o contrazione? 3 - Come prevede l’evoluzione dell’ammontare gestito nel prossimo semestre? Incremento entro/oltre il 10%, il 20%, ovvero stabilità? 4 - Come prevede l’evoluzione del numero di clienti nel prossimo semestre? Incremento entro/oltre il 10%, il 20%, ovvero stabilità? Gli esperti hanno espresso pa14

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Confermate le aspettative per lo scorso semestre, outlook in crescita per i prossimi sei mesi reri concordi e positivi. Tra le principali motivazioni a sostegno di tale ottimismo, hanno citato alcuni driver principali, sia a livello macroeconomico che microeconomico: la speranza di un’attenuazione delle tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina; le possibili politiche fiscali a sostegno degli investimenti infrastrutturali a livello europeo; una “azione forte” delle banche centrali e in particolare della BCE a seguito delle dichiarazioni della nuova presidenza della Commissione europea; una progressiva e ulteriore “migrazione” della clientela facoltosa da banche tradizionali a banche specializzate di matrice private. Da ultimo la probabile conferma degli attuali trend macroeconomici relativi all’area euro, che favorirebbe un afflusso di capitali verso i cosiddetti “risky asset”, una categoria di prodotti finanziari riconducibile essenzialmente alla clientela tipica del settore del private banking. Il comparto nel suo complesso ha in programma strategie sempre più incisive, finalizzate a “drenare” parte della liquidità presente sui conti correnti verso forme di investimento caratterizzate da livelli di rendimento potenzialmente più interessanti, sempre tenendo d’occhio il profilo del grado di rischio. Si parla, in altri termini, di strumenti finanziari illiquidi e piani di investimento progressivo. Gli esperti sottolineano infine come un contesto di stabilità socio-economica e politica porterebbe certamente a migliori risultati grazie alla maggiore fiducia dei mercati e degli investitori.


E se lo strumento più innovativo per i tuoi investimenti fosse questo? Ci sono tanti modi per costruire il tuo portafoglio di investimenti, ma c’è un aspetto che spesso non viene considerato: il tempo. ANIMA applica un approccio graduale a molte soluzioni di investimento: piani di accumulo del capitale, switch programmati e fondi a finestra. Perché il punto non è solo dove investire, né come. Il punto è anche quando. Contatta il tuo consulente per gli investimenti o visita il sito tempo.animasgr.it

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TERZA REPUBBLICA Enrico Cisnetto È un editorialista, economista e conduttore televisivo italiano, ideatore della trasmissione televisiva Roma InConTra. È conferenziere, consulente politico-strategico e tifoso della Sampdoria

LA VERA SFIDA DELLA POLITICA È RIPOPOLARE IL CENTRO

I

n molti hanno chiamato la fase politica che stiamo vivendo Terza Repubblica. Ammesso (e non concesso) che l’ubriacatura maggioritaria durata dal 1994 al 2011 si possa chiamare Seconda, è evidente che da allora stiamo vivendo solo una lunga e faticosa transizione senza nessuna discontinuità. Una Seconda Repubblica-bis. Per questo, è evidente che all’Italia serva una svolta vera. Ma da chi e come è possibile ottenerla? L’ingrediente necessari sono tanti, ma ce n’é uno propedeutico a tutti gli altri: la nascita di un nuovo soggetto liberale, europeista, riformatore, che occupi la parte centrale dello schieramento politico – senza che questo significhi necessariamente essere un partito centrista – con l’obiettivo di recuperare l’elettorato, moderato e riformista, che per disperazione si è rifugiato nell’astensionismo. Tutti i tentativi avanzati fin qui sono falliti, ma lo scenario sta cambiando. La contaminazione corrosiva del potere sta destrutturato una forza anti-politica come i 5stelle, mentre le vicende agostane hanno palesato la fragilità e l’impalpabile consistenza del modello nazional-populista proposto da Salvini. Due buone premesse. Ma, ovviamente, questa fase destruens non basta senza quella construens. Allora si possono riporre speranze nel governo giallo-rosso? Sarebbe puro azzardo, il Conte2 è solo la meno peggio tra le alternative che si erano profilate con la caduta del Conte1. E nella nuova creatura di Renzi? Difficile scommetterci, quando la nascita di “Italia Viva” non è stata accompagnata da nemmeno lo straccio di un documento politico-programmatico su cui valutarne la solidità. È più facile credere che si tratti solo di una (pur abile) mossa tattica. E Forza Italia? Ma se non riesce a emanciparsi dal suo creatore e resta vittima dell’illusione del “centro-destra unito”... un certo esodo di parlamentari azzurri verso la creatura renziana, se avvenisse, non cambierebbe la questione. Si potrebbero allargare le fila dei parlamentari del centro, ma non la quantità e la qualità delle idee. No, ciò che occorre è che il centro politico, cioè quello spazio (larghissimo) che sta in mezzo tra le posizioni più radicali – e quindi più esposte alle sirene del populismo, di destra e di sinistra – si ripopoli dopo anni di desertificazione non attraverso la nascita di effimeri partiti personali, votati o al culto del leaderismo o al ricatto politico speculando sull’indispensabilità dei loro numeri nel gioco parlamentare, ma rianimando e rinnovando le culture politiche che hanno radici solide, e che non a caso in Europa sono rimaste preponderanti, avendo cura di selezionare con rigore le classi dirigenti. Altrove, come dimostra il caso Macron, qualcosa è successo. Ed ha avuto successo. In tutta la sua storia il Partito Repubblicano ebbe peso e 16 ottobre 2019

EMMANUEL MACRON E SERGIO MATTARELLA

Basta effimeri partiti personali, votati al culto del leader di turno. Il nostro sistema deve tornare a essere il combinato disposto di grandi partiti popolari e di forze di minoranza capacità di incidenza politica nonostante faticasse ad attestarsi sul 3%. E questo perché aveva un solido radicamento culturale, una classe dirigente di straordinario spessore, una visione politica di medio-lungo termine che travalicava le Alpi e una capacità di analisi dei fenomeni economici e sociali che gli consentiva una produzione programmatica di altissima qualità. Insomma del Pri non si poteva fare a meno a prescindere dalla sua consistenza parlamentare. Ecco, se il nostro disastrato – e perciò da ricostruire da zero – sistema politico tornerà a essere il combinato disposto di grandi partiti popolari e di forze di minoranza, per nulla frustrate delle loro dimensioni perché capaci di influire sulle grandi scelte strategiche del Paese, allora saremo davvero sulla buona strada. (twitter @ecisnetto)


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INTERVISTA AL VICEMINISTRO LAURA CASTELLI

PIÙ INVESTIMENTI PUBBLICI E PRIVATI, MENO EVASIONE E L’ITALIA RIPARTE di Sergio Luciano

C’

è sfiducia, e lo capisco. Per superare la sfiducia occorre avere una visione di futuro. È una delle ragioni per le quali siamo nati noi, i Cinquestelle. E non mi stupisce che attorno all’allarme ambientale si sia coagulato tanto consenso. Ma credo proprio che con la nuova legge di bilancio, gli italiani avranno nuovi motivi per superare la loro sfiducia e credere nel futuro»: Laura Castelli, viceministro all’Economia nel governo Conte1 riconfermata nel Conte 2, laurea in economia aziendale a Torino, si è sempre occupata di bilanci pubblici, dagli enti locali agli enti centrali, e oggi lavora a stretto contatto con il ministro Gualtieri nella preparazione della legge di Bilancio 2020.

«

Onorevole, per avere di nuovo fiducia nel futuro i mercati si aspettano una ripresa degli investimenti. Ci sarà? Una politica economica lungimirante deve saper usare tecnologia e innovazione per migliorare la qualità vita delle persone. Puntando su modelli economici con moltiplicatori molti alti – penso all’aerospazio, alla Nasa, e al suo impatto sulle tecnologie del trasporto pubblico, per citarne uno – che negli anni cambiano la vita delle persone. Quindi ci sono investimenti che permettono sul lungo termine di cambiare il quotidiano in meglio. Si riprenderà a farli. Nonostante la macchinosità delle regole? Sì, una volta entrati nelle istituzioni ci siamo resi conto che tutti gli investimenti infrastrutturali subiscono procedure dalla complessità pazzesca. Ma bisogna procedere. E ci stiamo riuscendo. Per esempio abbiamo impie18

ottobre 2019

IN AGENDA LE MISURE FISCALI CON FORTI INCENTIVI AI PAGAMENTI ELETTRONICI Nella foto Laura Castelli, viceministro all’Economia

gato otto mesi per attivare gli investimenti stanziati sul dissesto idrogeologico: perché si parte dai comuni, poi si passa per il Cipe, per le Regioni, tutti passaggi giusti che però nei fatti rallentano le procedure. Una svolta è stata la legge Fracaro, che si ispira alla norma spagnola con cui Madrid velocizzò gli investimenti locali. Li abbiamo inquadrati in due tronconi, il primo nella manovra 2019 dedicato ai piccoli comuni, il seconda nel decreto crescita, aperto a tutti i comuni e dedicata alla riqualificazione energetica e territoriale. Queste norme davano immediatamente ai Comuni la disponibilità delle risorse, con una regola per cui se non avessero cantierato le opere entro poco tempo avrebbero perso i soldi, e molti comuni sono riusciti a far cose bloccate da anni.


COVERSTORY Ma allora i soldi pubblici per investire ci sono! Sì! Pensiamo a quelli sbloccati dal Cipe, grazie al lavoro fatto dal Mef e dal Mit (Ministeri dell’Economia e dei Trasporti, n.d.r.): sono circa 50 miliardi. Ora c’è polemica sui sussidi ambientalmente dannosi… Purtroppo in tanti casi il nostro Paese ha gestito male la sua fiscalità. E oggi constatiamo che 45 miliardi di spesa pubblica finanziano comportamenti ambientalmente dannosi. Questo è un problema che si risolve però solo facendo investimenti che permettano la riconversione. Un esempio? Banalmente, oggi ci sono ancora incentivi per i camion euro 3: è chiaro che togliendoli di punto in bianco si determinerebbe un grave problema per moltissime aziende, ma se invece riusciremo, come sarà, a programmare un piano di piano di lungo termine per incentivare l’acquisto di camion nuovi, utilizzando anche il superammortamento, i crediti d’imposta speciali in alcune zone del Paese, insomma: in qualche anno la riconversione si fa. Ma quanti soldi potrà investire direttamente lo Stato? Contiamo di poter destinare agli investimenti circa 45 miliardi di spesa pubblica. Che però, spesi in modo coordinato con gli investimenti privati, possono attirarne per ulteriori 400 miliardi. Coordinando naturalmente l’azione dello Stato con quella delle grandi aziende partecipate. Bene, mettere in bilancio 45 miliardi è un grande risultato, ma poi si riuscirà a spenderli? Bella domanda. L’anno scorso abbiamo chiesto ai ministeri impegni precisi e soprattutto la promessa a restituire al centro investimenti non spesi... e monitoraggio in Parlamento assiduo. Lo rifaremo, le cose stanno già migliorando. Quali saranno le macrovoci cui saranno destinati quegli investimenti? Ci sarà un decreto interministeriale che sarà coordinato dalla presidenza del Consiglio che li indirizzerà al green-new-deal, definendo principi molti chiari e forti sul decreto-clima, principi-obiettivi secondo una strategia coerente su energia e clima. Questo decreto e i piani strategici che indurrà avranno valore di legge. Rilancerete Industria 4.0? Sì, sarà riprogrammato: con il super ammortamento, l’iper-ammortamento e l’ammissione agli incentivi degli investimenti sul software. Ma con una connotazione di economia circolare, programmando quindi al meglio gli interventi rispetto all’obsolescenza di macchinari e programmi. Molti programmi. Ma ci vuol coraggio per contrastare la tradizionale inazione delle pubbliche amministrazioni. È vero, e l’autotutela sui due mandati che noi Cinquestelle ci siamo dati è anche un antidoto all’assuefazione ai tempi assurdi della politica e della burocrazia, che alla lunga sfianca chiunque voglia davvero lottare per il miglioramento dei processi. Resta il nodo delle risorse per finanziare gli investimenti. Quanto vi aspettate dalla lotta all’evasione? Molto, e molto verrà. Lo hanno promesso tutti, attuato nessuno. Voi come farete? Innanzitutto va detto che già il governo Conte 1 ha trovato un sistema fiscale che su certi fronti era già reimpostato in un senso più moderno ed efficiente. La fatturazione elettronica ne è stata una prova. Noi abbiamo lavorato bene per un anno per migliorarlo ancora. Questa del 2020 sarà la manovra decisiva. Perché

siamo riusciti a sviluppare e proseguire quel percorso. E quella logica. Entrerà in vigore lo scontrino elettronico per tutti, con l’annessa lotteria degli scontrini – che non è una cosa né sbagliata né inutile - e abbiamo lavorato a tutti i sistemi digitali di pagamento, per ottimizzare le informazioni che scaturiscono dai pagamenti elettronici e poterli tracciare anche quando, per esempio, non venga rilasciato lo scontino o la fattura. Nei Paesi più avanti del nostro su questa strada si è impostata la scelta del pagamento elettronico sulle convenienze del consumatore: è lui, per capirci, che salendo per esempio sul taxi decide all’inizio della corsa come pagare, se con la carta o con il contante. In Italia l’esperienza è sempre stata lasciata all’iniziativa del venditore. Quando si parte dal consumatore, le cose funzionano. Quindi lotta al contante? Soprattutto incentivi per i pagamenti elettronici. Perché c’è la grande evasione – e la stiamo contrastando, si pensi all’ottimo lavoro fatto sul mercato dei carburanti ma c’è anche l’evasione individuale, che va combattuta, anche togliendole l’alibi della pressione fiscale. In che senso? Chiederemo di usare il denaro elettronico, e lo incentiveremo, assumendo contemporaneamente l’impegno programmatico di abbassare nettamente le tasse. Questo è il disegno, e gli italiani non l’hanno mai visto scritto così, finora. Una rivoluzione virtuosa che cambierà il Paese. Sappiamo che alcune forti lobby si opporranno, ma il futuro è questo. E a chi non pensa che i costi di uso dei pos possano scendere e addirittura azzerarsi dico che presto dovranno ricredersi. Eppure tanti sono attaccati al contante.. Meno di un paio d’anni fa. E le dico: col reddito di cittadinanza oggi anche gli anziani meno abbienti hanno imparato a usare la carta di credito, non ci sono più scuse. Peccato, però, che il maggior gettito atteso da quest’estensione del denaro elettronico non possa essere spesato nella legge di bilancio. Non è del tutto vero: con le innovazioni digitali il maggior gettito atteso può essere prudenzialmente spesato. E’ una sfida, ma possiamo vincerla e la vinceremo. Lei ci crede? Altrimenti non avrei fatto politica e non sarei rimasta al Mef. ottobre 2019

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MERCATO

ETF SEMPRE PIÙ SUPERSTAR ARRIVA IL SORPASSO SUI FONDI ATTIVI di Marco Muffato

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l 2019 sarà ricordato come l’anno del sorpasso di prodotti indicizzati ed Etf (Exchange traded fund) sui fondi attivi. Evento storico celebrato per il momento solo a Wall Street dove, come racconta Glauco Maggi a pagina 81 di questo numero di Investire, il volume in amministrazione dei prodotti a gestione passiva che replicano i benchmark è ora pari a 4.270 miliardi di euro, 20 miliardi in più del patrimonio complessivo dei gestori attivi che provano a battere il mercato. “L’accelerazione verso il passivo negli Usa è arrivata dopo la crisi finanziaria del 2008 che ha evidenziato il problema della mancanza di trasparenza dei gestori”, spiega Antonio Celeste, head of distribution Southern Europe and Latin America and head of Esg business development di Ossiam. «L’Europa ha vissuto la prima fase di espansione qualche anno dopo, nel 2011-2012. Il mercato è dominato dall’equity, però le obbligazioni stanno venendo fuori in termini di masse con valori ormai di 1000 miliardi di dollari in Etf obbligazionari a livello globale. In particolare gli Etf provider stanno orientando l’offerta su prodotti obbligazionari high yield e paesi emergenti dove i rendimenti sono più alti». Negli Stati Uniti in maniera più evidente, ma in tutto il globo in maniera crescente, gli Etf e

WALL STREET FESTEGGIA IL PRIMATO DEGLI INDICIZZATI SUI PRODOTTI CHE CERCANO DI BATTERE IL BENCHMARK tutto il sistema dei prodotti indicizzati sono diventati strumenti che non possono mancare nella pianificazione degli investimenti finanziari per le caratteristiche di indubbia efficienza e trasparenza. Jp Morgan ha infatti appena pubblicato uno studio sugli Etf realizzato a livello globale intervistando 240 investitori specializzati (gestori istituzionali e asset manager) da cui si evince un ulteriore potenziale di crescita di questa tipologia di strumenti finanziari, come osserva Roberta Gastaldello, head of Italian Etf distribution di J.P. Morgan Asset Management: «Gli intervistati hanno l’obiettivo di aumentare fino al 39% gli investimenti in Etf nei portafogli gestiti rispetto al 22% di tre anni fa. Sui privati siamo un passo indietro, la distribuzione tradizionale è ancora molto legata al mondo dei fondi e della gestione 20

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attiva». «C’è una ricerca che dà l’esatta misura della crescita di questo mercato», aggiunge Vincenzo Sagone, head of Etf, indexing & smart beta business unit di Amundi in Italia, riferendosi alle conclusioni della “Edhec European Etf, Smart Beta and Factor Investing Survey” condotta nell’ambito della cattedra di ricerca di Amundi Etf, Indexing & Smart Beta. “Solo il 45% degli investitori istituzionali rispondenti usava Etf per investire in equity nel 2006, la percentuale è più che raddoppiata, al 91% nel 2019”. E in Italia? Anche i dati ufficiali (al 30 agosto 2019) di Borsa Italiana riferiti al mercato telematico EtfPlus, dedicato alla negoziazione degli strumenti che replicano indici (rappresentati dalla sigla Etp, che comprende Etf, Etc e Etn), attestano una crescita evidente: 78,22 miliardi masse di Etp, contro 1,64 miliardi nel 2004. Ancora, gli Etp listati in Italia sono oggi 1.327, versus i 13 del 2003. Di fronte a dati di mercato e ricerche che mettono in luce le sorti progressive di tutto l’universo dei prodotti indicizzati, l’appetito degli operatori cresce eccome. Proprio Amundi, uno dei più grandi protagonisti


COVERSTORY dell’asset management europeo ha annunciato urbi et orbi le sue intenzioni di raddoppiare il proprio patrimonio gestito in Etf, fondi indicizzati e smart beta per raggiungere i 200 miliardi di euro entro il 2023. Per raggiungere questo obiettivo, la business line si concentrerà su tre fattori di crescita: aumentare la copertura dei clienti, arricchire l’offerta di prodotti e di soluzioni di investimento, rinforzare la propria presenza nel mercato retail (che in Italia è agli albori per quello che riguarda gli indicizzati). In linea con quest’ultimo obiettivo strategico, Amundi ha lanciato la gamma Amundi Prime Etf, offerta a un prezzo con pochi eguali sul mercato, dello 0,05% per i tutti i fondi. Nella pagina accanto Roberta Gastaldello, head of Italia Etf distribution di J.P. Morgan Am; a sinistra Simone Rosti, responsabile per l’Italia di Vanguard. A destra in alto Vincenzo Sagone, head of Etf, indexing & smart beta business unit di Amundi in Italia; a destra Franco Rossetti, senior Etf relationship manager di Invesco

Etf poco mi costi Quello dei costi straordinariamente bassi - negli ultimi tempi in ulteriore ribasso - è uno dei cardini del successo di mercato degli Etf. Sul taglio delle commissioni in Italia ha inciso con ogni probabilità l’avvento dell’operatore statunitense che ha fatto del ribasso costante delle fee la propria bandiera. «È vero, si può parlare di Vanguard effect anche per il mercato italiano: ogni volta che Vanguard entra su un mercato infatti spinge la concorrenza sul terreno della riduzione dei costi. E a guadagnarci è soprattutto l’investitore», afferma Simone Rosti, responsabile per l’Italia di Vanguard, che aggiunge però come l’effetto di spinta dei costi determinato dall’avvento sul mercato nazionale della società fondata da John C. Bogle si stia normalizzando. «La pressione competitiva sui costi tra gli operatori del nostro comparto sta continuando e continuerà anche se con ritmi più lenti rispetto agli anni precedenti perché si è arrivati ad avere un pricing molto competitivo. Ci saranno ancora aggiustamenti ma non così ampi come in passato, perché come in ogni mercato che raggiunge una certa espansione poi il prezzo tende a normalizzarsi e la competizione si sposta su altri piani, per esempio sulle aree di specializzazione». L’effetto Vanguard è stato avvertito dagli investitori istituzionali. «Il costo medio dei nostri Etf è dello 0,12%. Questo primo anno di attività è andato molto bene, abbiamo raccolto nei primi otto mesi del 2019 diverse centinaia di milioni di euro da gestori, investitori istituzionali e intermediari». Etf poco mi costi, ma non sempre. «È vero che nella guerra tra fondi attivi e Etf il cliente finale oggi cerca la soluzione più efficiente al prezzo più basso», esordisce Franco Rossetti, senior Etf relationship manager di Invesco. «Ma va chiarito che i costi sono stati abbassati sui prodotti più

semplici di pura replica passiva, mentre con i prodotti ad alto valore aggiunto i prezzi sono stati mantenuti mediamente stabili. Un esempio è il nostro AT1 Capital bond che mira a replicare il mercato dei subordinati bancari, asset complessa da replicare, dove il Ter di 39 basis point è necessario per rendere realizzabile l’Etf». Insomma l’unicità e la qualità si pagano, anche nell’economico contesto dei prodotti indicizzati. «I nostri costi medi sono in linea con quelli dei nostri competitor, intorno ai 25 basis point, con prodotti che vanno dai 12 basis point come nel caso delle esposizioni sugli Usa, a quelli sugli emerging market sui quali applichiamo 45 basis point», rivela Francesco Branda, head of passive & Etf specialist sales Italy di Ubs Am. «Certo se, invece di prendere un indice Msci, S&P 500 Usa o ottobre 2019

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Jp Morgan, ci orientassimo su indici meno conosciuti e utilizzati forse potremmo abbassare i costi ma con il rischio concreto di una qualità del prodotto inferiore. Che intendiamo per qualità superiore? Che l’indice da replicare deve essere costruito in modo efficiente e questo emerge con chiarezza dal risultato a parità di area geografica. Perché far risparmiare tre basis point col rischio di farne perdere cinquanta di rendimento?». «Noi non giochiamo sul terreno della replica pura e quindi ci tiriamo fuori da questa competizione sui costi al ribasso», afferma Celeste di Ossiam. «I nostri prodotti indicizzati smart beta si posizionano mediamente nella forchetta tra i 30 e i 60 basis point. Che è comunque una fee a buon mercato visti i livelli dei costi medi normalmente applicati dai gestori attivi. Non solo, abbiamo una strategia che batte lo S&P 500 normalmente di un 2-3% annuo, dove quindi l’investitore può rendimenti da gestione attiva spendendo nettamente di meno (il riferimento è all’Ossiam Shiller Barclays Cape US Sector Value TR Ucits Etf che negli ultimi tre anni ha fatto +54,7% rispetto all’indice S&P500 che ha fatto +46,6%, n.d.r.)». Ma la guerra sui costi fuori dal nostro Paese sta andando avanti in modo esasperato, con potenziali rischi. «Ci sono Etf all’estero che hanno un costo di gestione pari a zero, si sta parlando addirittura di lanciare fondi passivi con costi negativi dove il cliente viene pagato per investire su questi fondi», dichiara Roberto Citarella, managing director di Hsbc Global Am. «Come mai accade tutto questo? Perché di fatto la società di gestione guadagna attraverso il prestito titoli, erogato ad altri investitori che vendono allo scoperto i titoli come gli hedge fund. L’investitore privato o istituzionale che sia potrebbe essere attirato da queste condizioni apparentemente favorevoli ma attenzione: i prodotti che fanno prestito titoli chiedono a garanzia altri titoli per la collateralizzazione del prestito sui quali non c’è visibilità. Nel malaugurato caso di uno shock di mercato, gli investitori potrebbero sperimentare sulla propria pelle il rischio di liquidità dell’investimento».

Nella foto a destra Francesco Branda, head of passive & Etf specialist sales Italy di Ubs Am. Sotto a destra Roberto Citarella, managing director di Hsbc Global Am. In basso Ursula Marchioni, head of BlackRock portfolio analysis and solutions Eme

LA GARA TRA GLI OPERATORI STA PASSANDO DAI COSTI ALL’INNOVAZIONE DI PRODOTTO

Lo scontro si sposta sull’innovazione di prodotto La competizione dai costi si sta spostando sul terreno dell’innovazione di prodotto, è il parere quasi unanime degli operatori. «La crescente disponibilità di dati e tecnologia ha determinato significativi progressi nella definizione di soluzioni d’investimento che solo 5 anni fa erano impensabili, basti pensare a quanto avvenuto in ambito obbligazionario o in relazione a strategie fattoriali, tematiche e Esg», esordisce Ursula Marchioni, head of BlackRock portfolio analysis and solutions Emea. «Prendiamo proprio il comparto obbligazionario che vede a livello mondiale investimenti pari a 105 triliardi di dollari ma di questi solo circa l‘1% è investito in Etf. Lo spazio di crescita è enorme grazie ai benefici che gli etf offrono nell’accedere un’asset class tipicamente poco trasparente - e stiamo continuando a sviluppare prodotti obbligazionari per coprire l’intero spettro con Etf specifici per curva, valuta, duration o tipologia di merito creditizio. Un ampio ventaglio di possibilità si è aperto e siamo solo agli inizi di questa evoluzione». «Il tema dell’innovazione di prodotto è diventato centrale», riflette Gastaldello di J.P. Morgan Am. «A fronte di un aumento progressivo della domanda, è aumentata la competizione sull’offerta 22

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che si traduce nella realizzazione di strumenti sempre più all’avanguardia, pensiamo per esempio agli Etf smart beta, agli Etf Esg e agli Etf attivi. Proprio di quest’ultima tipologia siamo stati pionieri, in cosa consistono? Il veicolo rimane l’Etf ma l’expertise sottesa è attiva. Quindi non siamo in presenza di una replica pura e semplice di un indice ma di una gestione attiva con attività di selezione dei titoli da parte del team di gestione che si prende cura del portafoglio come se fosse un fondo, associata ai vantaggi di uno strumento quotato. Abbiamo lanciato infatti due Etf obbligazionari in Borsa Italiana per il mercato italiano e un terzo al London Stock Exchange». Naturalmente – e questo è il bello di ogni competizione – innovare varia da caso a caso. «Noi cerchiamo di fare innovazione principalmente in due modi, da un lato proponendo Etf con sottostanti che siano unici, mai realizzati cioè da altri provider, così da offrire esposizioni nuove al mercato. Ricordo che siamo i stati tra i primi per esempio a quotare un Etf sui Cocobond», spiega Antonio Sidoti, co-head of Southern Europe Distribution di WisdomTree. «Il secondo elemento di innovazione è rappresentato dall’adozione di metodologie inedite all’interno di esposizioni di mercato già coperte. E’ il caso di un Etf il cui sottostante è rappresentato da un indice concepito dalla collaborazione di WisdomTree e degli esperti del mercato tecnologico di Nasdaq e della Consumer Technology Association. Le società selezionate sono classificate in 3 gruppi in base alla propria posizione nella catena di valore dell’intelligenza artificiale e alla presunta epsosizione del proprio fatturato a quest’ultima». «Il mondo degli Etf si sta spaccando in due trend», afferma Citarella di Hsbc Global Am: «il primo è la replica di indici tradizionali che è il nostro approccio, il secondo è quello dei prodotti a leva e degli smart beta ovvero basato sulla creazione di prodotti con indici proprietari. Sul secondo trend opero un distinguo: a noi non piace il mondo dei prodotti a leva long o short che siano, a replica sintetica, che richiedono la presenza di derivati, mentre svilupperemo in futuro gli smart beta. La filosofia attuale è di offrire prodotti semplici e trasparenti senza i rischi collegati al prestito titoli”. E senza perdere di vista l’innovazione di prodotto, appunto. Hsbc infatti ha lanciato recentemente un Etf su Borsa italiana studiato per replicare la performance dell’indice Msci Saudi Arabia 20/35 Capped, che traccia l’andamento delle azioni saudite presenti nell’indice Msci Emerging Markets. Ad attestare l’ampiezza delle opportunità offerte dai prodotti indicizzati contribuisce la

specializzazione degli operatori. «Tra le varie asset class e i vari settori che proponiamo agli investitori in Italia si trovano anche i nostri Etf più conosciuti con esposizione al settore aurifero. Non si tratta di Etc perchè non c’è sottostante fisico ma di veri e propri Etf che replicano lo sviluppo di società aurifere quotate in Borsa”, afferma Salvatore Catalano, responsabile per l’Italia di VanEck. “Il primo è dedicato a società di media e grande capitalizzazione con un indice sottostante non proprietario, mentre il secondo su società più junior e di conseguenza a bassa capitalizzazione. l’indice proprietario in questo caso è stato creato per mancanza di possibili indici di terzi che rispecchiassero le nostre esigenze e opportunità d’investimento a suo tempo». Proprio VanEck dà la misura di dove può arrivare l’innovazione di prodotto nel comparto. «Gli Etf tematici sono in forte crescita e vediamo richiesta anche all’interno di gpf e unit linked. Da poco abbiamo lanciato sul mercato un prodotto unico, il primo Etf Ucits sugli eSports (si chiama VanEck Vectors Video Gaming and eSports Ucits Etf ed è quotato su Borsa Italiana, n.d.r.). Un Etf tematico che si basa sui millennial, un pubblico cioè con una età media inferiore ai 30 anni e con reddito elevato (75mila dollari, n.d.r.). Più in dettaglio l’Etf offre al’opportunità di replicare la performance complessiva delle società attive nel segmento del video gaming e degli eSport rappresentata da un nostro indice proprietario (il MVIS® Global Video Gaming and eSports, n.d.r.). L’indice copre lo sviluppo del video gaming e degli eSport in un’ottica pure play, includendo cioè società che generano oltre il 50% dei propri ricavi da questo segmento. Il Ter annuale è dello 0,55%». Il tasto dell’innovazione di prodotto non riscalda più di tanto il cuore di Vanguard. «Non rincorriamo trend e mode, ma puntiamo su prodotti che rappresentano dei pilastri per i risparmiatori, cioè molto diversificati, efficienti e a basso costo», aggiunge Rosti di Vanguard. «La nostra gamma? Abbiamo 19 Etf quotati su Borsa Italiana e altri 7 Etf quotati a Francoforte e a Londra che sono acquistabili dagli investitori istituzionali». Metti un Esg nel motore Etf Il trend delle soluzioni che si riconoscono nell’acronimo Esg (Enrivoromental, social e governance) non è solo un trend di lungo termine nella gestione attiva ma sta furoreggiando anNella foto in alto Antonio Sidoti, cohead of Southern Europe Distribution di WisdomTree. Nella foto in basso Salvatore Catalano, responsabile per l’Italia di VanEck

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Nella foto a sinnistra Vincenzo Saccente, head of sales per i Lyxor Etf in Italia. Nella foto in basso Andrea Favero, head of iShares Italy Wealth

che tra gli operatori della gestione indicizzata. Sono tanti gli Etf provider infatti che stanno arricchendo la gamma sotto l’effige della sostenibilità. A partire da Ubs Am, probabilmente il primo operatore in ordine di tempo ad aprire la gamma Etf agli Esg e a poter vantare anche il primo Etf sostenibile a superare in Europa la soglia di un miliardo di euro di aum. Parliamo dell’Ubs Etf –Msci World Socially Responsible Ucits Etf che ha una quota di circa il 34% del mercato europeo (secondo Morningstar, dato giugno 2019) e che può contare precisamente su pari a circa 1,16 miliardi di euro (la fonte è Bloomberg). Ma la ricerca di soluzioni Etf con filtro Esg spazia anche su altre asset class e in modo sempre più sofisticato, come spiega Branda di Ubs AM: «Ci siamo mossi anticipare le esigenze dei clienti è sul lato fixed income. Il nuovo Etf (Ubs Etf Lu J.P. Morgan Usd Em Ig Esg Diversified Bond Ucits Etf, n.d.r.) offre esposizione a obbligazioni sovrane, para-sovrane e societarie dei Paesi emergenti denominate in dollari di alta qualità, solo investment grade, con un filtro Esg. Il prodotto è particolarmente interessante per tutti quegli investitori sensibili alle tematiche di assorbimento di capitale come le assicurazioni, oltre che a quegli investitori particolarmente attenti agli investimenti sostenibili come i fondi pensione». C’è però un luogo comune che va sfatato a proposito degli Esg, tanto più abbinati agli Etf, e cioè che abbiano effetti negativi sui rendimenti. Lyxor Asset Management ha pubblicato i risultati di una nuova ricerca secondo cui una politica di esclusione basata sui punteggi Esg delle società non ha incidenza negativa sulle caratteristiche di rischio/rendimento di un portafoglio di investimento. Nella maggior parte dei casi anzi l’utilizzo di un filtro Esg ha migliorato la performance corretta per il rischio dei portafogli. Per esempio l’esclusione del 50% delle società con i punteggi Esg più deboli all’interno di un portafoglio esposto all’azionario europeo ha aggiunto il 2,3% di rendimento annuo su 10 anni, diminuendo dell’1,6% la volatilità. E a proposto di Lyxor Am, l’etf provider del gruppo Société Générale, annuncia una decisa virata della gamma in direzione Esg, con tre pilastri: equity, tematici (relativamente a quattro filoni: acqua, energie rinnovabili, green bond e parità di genere) e fixed income. «Con riferimento ai nostri prodotti Esg tematici siamo la casa di Etf che copre più obiettivi di sviluppo sostenibile previsti delle Nazioni Unite, quattro su diciassette», illustra Vincenzo Saccente, head of sales per i Lyxor Etf in Italia. «Per quanto riguarda gli innovativi Etf azionari Leaders e Trend Leaders ci avvaliamo della ricerca Msci sugli indici geografici che dà peso alle società con più 24

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alto punteggio Esg e con rating in miglioramento. Se da un lato quindi prendiamo le best in class dall’altro premiamo anche le società che si sforzano di migliorare costantemente». Tutto questo sforzo, di Lyxor come degli altri operatori che stanno investendo nella sostenibilità, non è casuale: in Europa gli Etf Esg stanno conoscendo una crescita molto significativa: nel primo semestre del 2019 la raccolta totale è stata pari a 7 miliardi di euro, con un incremento del 70% rispetto alla fine del 2018. In un settore, quello degli Etf Esg, che vale complessivamente oltre 17 miliardi di euro, a farla da padrone sono gli strumenti azionari (che pesano per l’84% sugli asset totali), ma l’ambito del reddito fisso sta recuperando terreno, grazie alla considerevole raccolta registrata nel corso degli ultimi 12 mesi e che ne ha raddoppiato gli asset, portandoli agli attuali 2,8 miliardi di euro (la fonte è Morningstar, e i dati sono a giugno 2019). La liquidità non è più un problema Un tempo tra i temi che consigliavano prudenza all’atto dell’acquisto di Etf e fondi indicizzati era il tema della loro scarsa liquidità. Che però alla luce dell’evoluzione del mercato appare un problema superato, a detta degli operatori. «La liquidità ormai non è più un grosso problema perché il mercato è veramente esteso. Naturalmente la liquidità dell’Etf è collegata alla liquidità del sottostante. Più il mercato di riferimento è liquido, più l’Etf è liquido», sottolinea Rossetti di Invesco. «Come casa abbiamo un Etf sul Nasdaq 100 quotato negli Usa dal 2000, con oltre 70 miliardi di dollari di asset, uno dei titoli più liquidi a livello globale. La liquidità quindi non è più un problema, anche perché ci sono diversi soggetti che intervengono a rendere


COVERSTORY il mercato liquido. Soggetti quali i market maker, i liquidity provider e gli authorized participant forniscono liquidità al mercato creando o riscattando azioni dell’Etf a seconda dei bisogni della domanda e dell’offerta». La liquidità non dà pensieri anche per Ishares, «Nella gamma europea abbiamo 70 fondi indicizzati, su oltre 300, che hanno una dimensione superiore al miliardo di euro di masse», sottolinea Andrea Favero, head of iShares Italy Wealth. «Inoltre se guardiamo all’asset class più in crescita da inizio anno, quella obbligazionaria, due dei nostri Etf fixed income hanno scambiato nel corso dell’estate oltre un miliardo di dollari in una sola giornata di negoziazione». Consulenti e fund selector Da alcuni anni la relazione tra gli Etf provider e le reti distributive del settore finanziario (banche e consulenti finanziari)

IL DECALOGO DI CONSULTIQUE PER INVESTIRE (BENE) IN ETF Gli Etf sono prodotti di investimento semplici, trasparenti e a basso costo: è una evidenza che il mercato li conosca e apprezzi sempre di più. Ma restano comunque strumenti da adattare a un portafoglio, a finalità e obiettivi che vanno calati sul singolo investitore, come fosse un vestito fatto su misura. Alcuni consigli per un investitore riguardano infatti il modo con cui utilizzarli: Prima di investire: 1 Fissa gli obiettivi che vuoi ottenere dagli investimenti, dai loro un tempo coerente per raggiungere finalità personali o familiari. 2 Determina la tua asset allocation (la ripartizione degli investimenti): è la componente che per il 90% determinerà il risultato finale nel lungo periodo. 3 Scegli un intermediario efficiente per effettuare i tuoi investimenti. Mentre si investe: 4 Per gli investimenti non devono mancare Etf molto diversificati che coprano il più possibile sia l’azionario (tutte le aziende del mondo), sia l’obbligazionario (tutto le emissioni globali, di società e governi). 5 Segui una strategia ‘coresatellite’: mantieni i pesi

maggiori per le asset class più importanti, limita i pesi per le esposizioni di nicchia o particolari. 6 Scegli Etf liquidi e ben scambiati: il rating di Consultique ti può aiutare a individuare quali sono gli Etf più efficienti. 7 Se i mercati sono ‘ballerini’, attua Pac in Etf per smussare la volatilità degli indici: utilizza le fasi di crisi per effettuare dei ribilanciamento tra gli Etf del portafoglio. 8 Evita le strutture complesse o con leva. Dopo aver investito: 9 Se non sono cambiati gli obiettivi, mantieni la rotta e la strategia definite inizialmente. 10 Se alcuni punti ti sembrano ostici, rivolgiti a un consulente indipendente. Ovviamente gli Etf non devono per forza essere gli unici strumenti del portafoglio, ci possono essere anche strumenti a gestione attiva capaci di creare valore rispetto al mercato. Tuttavia è importante che nel complesso il paniere dei prodotti abbia un costo limitato, per non impattare in modo significativo sui rendimenti nel lungo periodo.

è diventata più intensa e a beneficiarne è anche l’investitore finale retail. «Nel corso degli ultimi tempi sta crescendo l’interesse verso gli Etf da parte dei cf ma anche delle direzioni centrali, per realizzare portafogli modello che sempre più spesso abbinino strumenti attivi e indicizzati», spiega Favero di iShares. Ma sono i fund selector oggi a rappresentare il collante professionale tra società emittenti di Etf e intermediari. «I fund selector sono sempre più attenti alle dinamiche degli Etf per ragioni di costo e di ampiezza del perimetro delle asset class replicate», afferma Sidoti di WisdomTree. «Ora che hanno imparato ad apprezzare lo strumento, i fund manager stanno incominciando a utilizzare Etf che offrono esposizioni specifiche per esempio sui mercati emergenti oppure settoriali o tematici, come per esempio information technology». Anche Sagone di Amundi Etf rileva un ruolo accresciuto del fund selector. «Mentre prima la figura del selezionatore degli Etf spesso non era prevista oggi compare tra i maggiori asset manager in Italia. L’analisi e la selezione degli Etf è diventata molto importante, si fanno delle due diligence, si va a osservare l’indice e il tipo di replica. Ma il punto di attenzione più rilevante riguarda la casa emittente degli Etf, di cui si va a osservare la solidità e l’esperienza». L’aspetto della corretta selezione degli strumenti indicizzati da parte dei fund selector è fondamentale anche per la Marchioni di BlackRock. «Il fund selector ha un compito complesso perché il mondo della gestione indicizzata può fare leva su oltre 3,2 milioni di indici, non tutti costruiti a regola d’arte. Pertanto il primo aspetto a da valutare riguarda la qualità dell’indice e la precisione dell’esposizione che rappresenta, il secondo aspetto attiene alla capacità di replica del gestore, mentre il terzo si riferisce alla dimensione del patrimonio dell’Etf che più è grande in termini di masse gestite, più assicura una profonda liquidità secondaria - la liquidità primaria è collegata al sottostante con il conseguente efficientamento delle operazioni di compravendita. Infine il quarto elemento di valutazione è legato alla tipologia di strutturazione dell’Etf da inserire nella fund selection, se a replica fisica o sintetica: entrambe possono essere valide, ma devono essere fatte in modo opportuno». ottobre 2019

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DISTRIBUZIONE A DUE FACCE

ETF, PER MOLTI MA NON PER TUTTI di Rosaria Barrile

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assi costi, elevata liquidità, nonché l’estrema varietà stanno avvicinando gli investitori privati agli Etf. Ma chi intende investire attraverso questo strumento dovrà far ricorso nella maggior parte dei casi al fai da te, scegliendoli in completa autonomia e acquistandoli direttamente sul mercato Etfplus di Borsa Italiana tramite il proprio intermediario finanziario così come farebbe per tutti gli altri strumenti quotati. Salvo poi magari scoprire di averli già in portafoglio all’interno di altri prodotti più complessi. E qui occorre fare un passo indietro: nonostante gli Etf disponibili sulla piattaforma dedicata agli scambi abbiano già superato quota mille (dati di Borsa Italiana, luglio 2019, n.d.r.), confermando il loro potenziale commerciale, gli Etf si confermano tra i prodotti meno gettonati a livello distributivo. Difficilmente l’investitore privato potrà ricevere dal suo consulente finanziario, attivo nell’ambito di una rete tradizionale, un suggerimento sul singolo Etf più adatto ai propri obiettivi di investimento, dato che, allo stato attuale, la struttura retributiva di questa tipologia di professionisti è legata all’assetto provvigionale e alla vendita dei prodotti a catalogo. Da qui la ritrosia di molte reti di consulenza interpellate da Investire a fornire un’opinione sul tema: quasi tutte le reti infatti forniscono consulenza su gestioni attive e advisory amministrato, lasciando ai gestori il compito di utilizzare gli Etf per ottimizzare le gestioni interne. Ma il panorama è variegato e in continua evoluzione, come ci raccontano alcuni operatori del settore. Widiba per esempio mette a dispo26

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NONOSTANTE L’OFFERTA SIA IN RAPIDA CRESCITA, SI CONFERMANO PRODOTTI POCO AMATI DALLE RETI DI CONSULENTI FINANZIARI

Nella foto Luigi Provenza, chief commercial officer, investment & wealth management di Widiba

sizione dei clienti e dei consulenti finanziari, attraverso la piattaforma di consulenza certificata Wise, la possibilità di investire in Etf sia ad integrazione di strategie costituite solo da Fondi & Sicav a gestione attiva sia come unici elementi del portafoglio. «Un tempo l’utilizzo degli Etf era rivolto a soddisfare esigenze di asset allocation tattica», sottolinea Luigi Provenza, chief commercial officer, investment & wealth management di Widiba. «Da circa un anno invece riscontriamo una tipologia di sottostante, size degli ordini e un periodo di detenzione che si coniugano maggiormente con gli obiettivi di asset allocation strategica per circa il 50% degli aum allocati in Etf, che tuttavia hanno ancora un peso limitato sul totale degli asset dei nostri clienti. Per consentire lo sviluppo e l’utilizzo di queste strumenti mettiamo a disposizione dei nostri consulenti percorsi di formazione specializzati e la consulenza di un ufficio di wealth management che offre supporto alle richieste dei consulenti finanziari su tutti gli strumenti finanziari. Le richieste che ci arrivano riguardano in particolare il funzionamento degli indici smart, l’efficienza nella replica degli indici sottostanti e la combinazione efficiente dei costi di portafoglio». Come prevedibile invece tra gli utilizzatori abituali di Etf vi sono i consulenti autonomi (gli ex indipendenti) e le Società di consulenza finanziaria (Scf) il cui pagamento è legato alla fornitura esclusivamente del servizio di consulenza fee only. Ce ne dà conferma Paolo Tirabassi, attivo a Reggio Emilia e da oltre dieci anni consulente indipendente, «l’universo investibile, in termini di classi di attivo e di strumenti, dipende


COVERSTORY dai criteri concordati con il cliente, sulla base delle sue caratteristiche e dei suoi desideri. Non vi sono pertanto strumenti finanziari o tipologie di fondi necessariamente inclusi o esclusi. L’interesse del cliente a investire al più basso livello possibile di costi impliciti conduce tuttavia a un ampio utilizzo di Etf. L’ampia offerta consente prese di posizione che possono essere nello stesso tempo diversificate per titoli sottostanti ma mirate per macro asset class, settore, area geografica, rischio di mercato, in funzione delle esigenze del cliente. La recente offerta di Etf smart beta e ora anche di Etf a gestione attiva o semi-attiva sta inoltre riducendo la necessità di cercare i pregi della gestione attiva tra i fondi distribuiti in modo tradizionale». Per Roberto Cappiello, 50 anni, iscritto alla sezione dei consulenti finanziari autonomi dell’Albocon la prima delibera del primo dicembre del 2018 e attivo da quasi quindici anni a Brescia, occorre fare delle distinzioni dato che sarebbe crescendo l’uso degli Etf da parte delle strutture di wealth management, focalizzate sulla gestione dei grandi patrimoni: «Con l’obbligo della rendicontazione conseguente all’applicazione della Mifid2, e di conseguenza con l’emergere dell’incidenza dei costi per i clienti, sempre più strutture di wealth management stanno iniziando a utilizzare questi strumenti in maniera più diffusa per diversificare e contenere i costi a carico del cliente. Ma se escludiamo questo mondo, l’investitore privato difficilmente potrà avere un suggerimento qualificato su questo tema rivolgendosi allo sportello o a un consulente finanziario legato da un contratto di mandato con una rete. Di conseguenza chi vuole saperne di più deve rivolgersi a un consulente autonomo in grado di garantire indipendenza sia soggettiva che oggettiva. Oggi la domanda per gli Etf è sostenuta e viene in gran parte veicolata tramite i consulenti autonomi in virtù non solo della mancanza di conflitti di interesse, ma anche per effetto del loro ruolo complessivo che comprende quello di monitoraggio e analisi globale dei

portafogli detenuti presso gli intermediari. L’Etf può infatti essere utilizzato per esempio per diversificare laddove l’investitore appaia troppo esposto nei confronti di determinati rischi». Ma il fai da te, combinato con la scarsa propensione a fornire informazioni e consigli su come utilizzare il prodotto da parte degli intermediari, starebbe favorendo il proliferare di alcuni convinzioni non sempre corrette, precisa Andrea Carboni, da 15 anni amministratore della società romana di consulenza indipendente HCinque: «Nonostante l’indubbia crescita di interesse, il rischio è che gli Etf vengano considerati esclusivamente

TRA GLI UTILIZZATORI DEI FONDI PASSIVI SPICCANO I CONSULENTI AUTONOMI E LE SCF

In alto il consulente autonomo Paolo Tirabassi; in basso il consulente autonomo Roberto Cappiello e Andrea Carboni, amministratore di HCinque

come un’ opportunità di scelta a basso costo». La loro economicità dipende dal fatto che non richiedono alcun team di gestione a differenza dei fondi attivi. L’investitore si limita a pagare una commissione di intermediazione che può essere diversa da un intermediario a un altro. A differenza dei fondi di investimento attivi inoltre non occorre che ci sia alcun contratto tra chi fabbrica il prodotto, l’asset manager, e chi lo colloca. «Noi riteniamo che l’Etf sia un prodotto valido tanto quanto i fondi attivi”, continua Carboni: «devono essere scelti e proposti al cliente sulla base degli stessi criteri che devono guidare la scelta di qualunque altro fondo, come per esempio l’orizzonte temporale di investimento e il costo complessivo da sostenere per la gestione delle strumento e per liquidarlo. In linea teorica non c’è alcuna differenza in termini di processo tra la selezione di un fondo attivo e un Etf. Discorso diverso se si guarda a quanto avviene nel concreto al momento della distribuzione: la mancanza di retrocessioni alla rete ha reso la vendita degli Etf poco attraente per gli operatori che non vengono pagati a parcella”. ottobre 2019

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FENOMENO ETF

LA RIVOLUZIONE DELL’INDICIZZATO CAMBIERÀ LA DISTRIBUZIONE di Pasquale Orlando*

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li Etf sono uno strumento finanziario altamente efficiente che si sposa benissimo con le tematiche di automazione dei processi di robo-advisory. Hanno il “semplice” obiettivo di replicare in modo sintetico un indice di mercato. Nascono come risposta alla inefficienza della gestione dei fondi attivi e ai loro esorbitanti costi. Nel corso del tempo hanno subito un progressivo allargamento della gamma, oggi infatti oltre ai classici replicatori di indici di borsa troviamo quelli settoriali e in generale a tema, non ultimi quelli sul fintech, biotech, Artificial intelligence, Esg. Insomma ormai la platea degli Etf ha raggiunto una numerosità importante nell’ordine di un migliaio di prodotti. Ma perché gli Etf sono considerati efficienti? Perché replicano in modo quasi perfetto l’andamento dei sottostanti e, mancando un gestore umano, i costi per questa replica sono bassi e sostanzialmente ascrivibili ai costi di transazione e di amministrazione nonché relativi alle attività commerciali. Nel mondo, come recentemente ha sottolineato una survey di Morningstar, il successo degli Etf è certificato da numeri molto importanti e da stime di crescita anche più impressionanti per i prossimi anni e si parla di trilioni di masse sugli Etf ne certamente l’incremento dei modelli di consulenza automatizzati (i robo-advisor) ne spingono l’utilizzo. Per quanto riguarda il mercato italiano gli Etf iniziano ad affermarsi come asset type interessante, registriamo infatti una raccolta nel 2018 di poco meno di 7 miliardi di euro. Evidentemente i numeri sono comparabili ormai a quelli dei fondi comuni di investimento sui quali oggi ancora però resistono masse raccolte superiori ai 2000 miliardi di euro. Uno spazio enorme che gli Etf potrebbero occupare nei prossimi anni seppure il mercato italiano risulta essere molto complesso per varie ragioni: 1) Il sistema finanziario è fortemente captive ovvero ogni gruppo bancario ha una propria Sgr di gruppo e tende a privilegiare i prodotti “della casa”. 2) Il mondo delle reti detiene una grossa fetta del risparmio ed orienta gli investimenti su prodotti quali i fondi che garantiscono retrocessioni molto importanti rispetto a un Etf. 3) La cultura media finanziaria in Italia non è altissima ed è gioco facile per i consulenti evitare di affrontare i temi di efficienza che gli Etf propongono. 4) Non c’è una attitudine dei risparmiatori a operare da soli attraverso il trading online che permetterebbe (almeno per importi retail) di costruire agevolmente un portafoglio fatto di Etf, non dimentichiamoci che gli Etf sono comodamente sottoscrivibili attraverso un normale home banking. In sostanza in Italia ma anche in Europa gli Etf sono rimasti più indietro rispetto al mondo anglosassone e americano poiché la struttura del mercato è differente ovvero la fabbrica prodotto 28

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non è disgiunta dal distributore. Sul mercato italiano sarebbe insostenibile una offerta solo in Etf in quanto occorre sostenere i costi della banca unitamente a quelli del consulente finanziario oltreché i costi del produttore dell’Etf, insomma una catena del valore lunga e costosa. Lo scenario però sta cambiando grazie a vari fattori che stanno ridisegnando il mondo del wealth management europeo e nostrano. Un primo elemento di disruption è la normativa a tutela degli investitori ovvero la Mifid 2 che segue la Mifid 1 e definisce le regole di ingaggio delle istituzioni finanziarie che sono chiamate a impostare modelli di erogazione di servizi di advisory al posto dei tradizionali modelli di vendita di prodotto. Impone finalmente di rendere chiaro al cliente il costo totale (implicito ed esplicito) del proprio portafoglio. Questa è la vera rivoluzione in quanto oggi i costi di gestione dei prodotti sono prelevate alla fonte quindi il cliente tecnicamente non vede addebiti diretti sul suo conto ed è portato (erroneamente) a pensare che non vi siano costi associati. Nel ricevere i rendiconti vedrà chiaramente i costi e sarà portato a chiedere alla banca di ridurre i costi (soprattutto in condizioni di mercato sfavorevoli) e anche in questo gli Etf sono provvidenziali. Un secondo elemento di cambiamento è l’avvento del fintech ovvero dei modelli di consulenza che si avvalgono della tecnologia e del digitale per essere fruiti. I robo-advisor promettono ai clienti di servirli in modo indipendente ed efficiente; i costi bassi diventano determinanti per sostenere il business model dei robo e gli Etf infatti sono perfetti anche in questo contesto; non è un caso infatti che tutti i robo b2c più importanti utilizzino proprio gli Etf come strumenti consigliati. Un terzo elemento è di tipo culturale sia nel management delle banche che anche dei clienti; si genera infatti un circolo virtuoso dove il cliente più consapevole richiede maggiore efficienza e costi più bassi e questo genera una risposta degli operatori che adeguano servizi e universi investibili aprendo in modo importante agli Etf. E’ un processo che richiede tempo ma è partito ed è inarrestabile. Sul lato della offerta gli asset manager dovranno prevedere fondi Etf “tradizionali” meno costosi e un set di Etf che consentiranno raccolte importanti. *Capo marketing strategico e co-founder di Deus Technology


RIPETI SEMPRE LE STESSE VECCHIE STRATEGIE D’INVESTIMENTO? RIPETI SEMPRE LE STESSE VECCHIE STRATEGIE D’INVESTIMENTO? RIPETI SEMPRE LE STESSE VECCHIE STRATEGIE D’INVESTIMENTO? RIPETI SEMPRE LE STESSE VECCHIE STRATEGIE D’INVESTIMENTO? RIPETI SEMPRE LE STESSE VECCHIE STRATEGIE D’INVESTIMENTO? RIPETI SEMPRE LE STESSE VECCHIE STRATEGIE D’INVESTIMENTO? RIPETI SEMPRE LE STESSE VECCHIE STRATEGIE D’INVESTIMENTO? RIPETI SEMPRE LE STESSE VECCHIE STRATEGIE D’INVESTIMENTO? RIPETI SEMPRE LE STESSE VECCHIE STRATEGIE D’INVESTIMENTO? RIPETI SEMPRE LE STESSE VECCHIE STRATEGIE D’INVESTIMENTO? RIPETI SEMPRE LE STESSE VECCHIE STRATEGIE D’INVESTIMENTO? RIPETI SEMPRE LE STESSE VECCHIE STRATEGIE D’INVESTIMENTO? RIPETI SEMPRE LE STESSE VECCHIE STRATEGIE D’INVESTIMENTO? RIPETI SEMPRE LE STESSE VECCHIE STRATEGIE D’INVESTIMENTO? RIPETI SEMPRE LE STESSE VECCHIE STRATEGIE D’INVESTIMENTO? RIPETI SEMPRE LE STESSE VECCHIE STRATEGIE D’INVESTIMENTO? RIPETI SEMPRE LE STESSE VECCHIE STRATEGIE D’INVESTIMENTO? RIPETI SEMPRE LE STESSE VECCHIE STRATEGIE D’INVESTIMENTO? RIPETI SEMPRE LE STESSE VECCHIE STRATEGIE D’INVESTIMENTO? RIPETI SEMPRE LE STESSE VECCHIE STRATEGIE D’INVESTIMENTO? RIPETI SEMPRE LE STESSE VECCHIE STRATEGIE D’INVESTIMENTO?

Una gestione attiva dei portafogli comincia dall’indicizzazione. In BlackRock crediamo che ETF e fondi indicizzati debbano avere un peso maggiore nei portafogli di investimento moderni.

Investi in qualcosa di più grande. Capitale a rischio. Il valore e il reddito degli investimenti possono aumentare o diminuire e non sono garantiti. L’investitore potrebbe non recuperare il capitale iniziale. Questo documento è stato elaborato da BlackRock Investment Management (UK) Limited, succursale italiana, Milano, Piazza San Fedele n. 2 (“BlackRock Milano”). BlackRock è la denominazione commerciale di BlackRock Investment Management (UK) Limited. Capitale a rischio: Tutti gli investimenti comportano dei rischi e non vi è garanzia di restituzione del capitale investito. © 2019 BlackRock, Inc. Tutti i diritti riservati. MKTGH0919E-949757-1/1


NOMINE IN OCF

Il ballo dei debuttanti di Marco Muffato

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scoppiata la pace in Ocf, l’Organismo di vigilanza e tenuta dell’albo unico dei consulenti finanziari, dopo i venti di guerra che sono spirati forti tra la fine della primavera e l’inizio dell’estate tra due dei tre azionisti forti dell’authority, Anasf e Assoreti. Oggetto del contendere: la riconferma della presidente Carla Rabitti Bedogni, con Assoreti a favore e Anasf contraria e con l’asso nella manica, il candidato presidente Francesco Di Ciommo, docente della Luiss ed esperto di diritto societario. Un braccio di ferro risolto dal lavoro delle diplomazie che ha avvicinato i contendenti fino all’accordo, concretizzatosi lo scorso 17 settembre, quando l’assemblea dell’Ocf riunita a Roma ha rivelato i nomi del presidente, dei vice presidenti e degli altri componenti del consiglio direttivo dell’Organismo, quello che di fatto costituisce il vero e proprio consiglio di amministrazione dell’authority. Dunque confermata, al terzo mandato consecutivo, Carla Rabitti Bedogni, nominati vice presidenti Maurizio Donato (debuttante e in quota Anasf, che sostituisce il collega Elio Conti Nibali) e Marco Tofanelli (riconfermato in quota Assoreti). E a seguire tanti neofiti: completano il range dei consiglieri, per gli iscritti nelle sezioni dell’Albo riservate alle persone fisiche, Cesare Armellini, presidente di Nafop in rappresentanza dei consulenti autonomi, 30

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TANTI NOMI NUOVI NEL BOARD DELL’ALBO UNICO DEI CONSULENTI FINANZIARI. ECCO I LORO OBIETTIVI gli esponenti Anasf Drago Biafore, Rosario Pietro Di Pietro, Guido Pagani (confermato Alberto Forti) e inoltre il rappresentante di Assonova nella persona di Giuliano Xausa. Completano il Consiglio direttivo Ocf, su designazione della categoria degli associati che rappresentano i soggetti abilitati e le società di consulenza finanziaria, i consiglieri espressione di Assoreti e di Abi Roberto Brega, Angela Maria Carrozzi, Rossella Martino, Francesca Palisi, Pier Luigi Sappa e infine (altro debuttante) Massimo Scolari (presidente di Ascofind), in rappresentanza delle Scf, le società di consulenza finanziaria. L’assemblea ha inoltre provveduto alla nomina dei sindaci effettivi, Luigi Vestini su designazione delle associazioni degli intermediari e Alfonso Falà su designazione delle associazioni di persone fisiche. Nelle due pagine seguenti Investire ha intervistato i nuovi esponenti del board dell’Organismo consulenti finanziari per capirne intenzioni e obiettivi.


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ORA È DAVVERO LA “CASA DELLA CONSULENZA” Il neo vice presidente di Ocf sottolinea l’importanza dell’ampliamento della rappresentanza nella cabina di comando dell’Albo unico dei cf

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cf ha un nuovo vice presidente. Si chiama Maurizio Donato (nella foto), di professione consulente finanziario (per Banca Mediolanum) e dirigente Anasf di lungo corso. Ecco cosa ha detto, fresco di nomina, a Investire. Donato, quali sono i suoi obiettivi da vice presidente di Ocf? Intanto vorrei ringraziare i soci per la fiducia accordatami. Porterò il mio entusiasmo e l’esperienza maturata in questi anni nell’Anasf sia come presidente dei probiviri sia come componente dell’esecutivo. Ci metterei anche un pizzico di emozione e tanta voglia di imparare. L’obiettivo è di sviluppare sinergie

«APRIRE AI GIOVANI L’ATTIVITÀ DI CONSULENZA» Il presidente di Ascofind detta la linea associativa per i prossimi impegni in Ocf

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nche le Scf, le società di consulenza finanziaria, hanno il loro “posto al sole” all’interno della struttura di governo dell’Albo unico dei cf. Ecco gli obiettivi dell’associazione di categoria, Ascofind, descritti dal suo presidente Massimo Scolari (nella foto).

Scolari, è sorpreso della sua nomina in Ocf o era un atto dovuto? Non siamo sorpresi. La riforma dell’Organismo e il nuovo statuto prevede la presenza negli organi direttivi di un rappresentante per ogni sezione dell’Albo. Ascofind è a oggi l’unica associazione riconosciuta da Ocf come rappresentante delle società di consulenza finanziaria. Quindi la nostra nomina ne è la conseguenza. Quale può essere il contributo di Ascofind per migliorare

con gli altri attori dell’Organismo per far crescere nei consulenti la consapevolezza del loro ruolo al servizio dei risparmiatori. Ocf esce dalla tornata di nomine con un’anima più pluralista grazie all’ingresso nel direttivo dei rappresentanti di nuove associazioni. Con che spirito accogliete queste realtà? Come Anasf abbiamo fortemente voluto che il nostro Albo diventasse la “Casa della consulenza”, in un’ottica di tutela dei risparmiatori. L’ingresso dei rappresentanti delle altre associazioni nel direttivo riflette questa apertura dell’albo anche nei confronti degli iscritti delle altre categorie. Abbiamo responsabilmente scelto l’ottica del confronto aperto a più modelli di business, distinti e caratterizzati ciascuno da proprie peculiarità ma che siano tutti ispirati al concetto di qualità, che pone al centro il risparmiatore e la sua relazione di fiducia con il consulente Con Assonova ora dividerete la rappresentanza dei cf in Ocf. Cosa vi unisce e cosa vi differenzia? Si tratta di rappresentare la medesima categoria professionale, ovvero i cf abilitati all’offerta fuori sede, che sono iscritti alla stessa sezione dell’Albo, ma di ambiti di provenienza diversi; pertanto gli intenti possono unirci ma occorre mantenere le proprie peculiarità. Anasf rappresenta un mondo di professionisti legati da un rapporto di agenzia con le società mandanti, Assonova ha una platea di ambito bancario stretto e dunque di rapporto dipendente. L’apertura a una loro rappresentanza nella governance dimostra che si auspica una collaborazione proficua, su una direttrice comune, quella che mette al centro la categoria professionale, senza rinunciare al dibattito virtuoso che proviene da associazioni con background e caratteristiche diverse. Ocf? E quello di Ocf per migliorare e valorizzare il ruolo della Scf che rappresentate? Entriamo negli organi direttivi dell’Ocf per dare il nostro contributo allo sviluppo complessivo della consulenza finanziaria in Italia. Certamente vogliamo rappresentare gli interessi dei nostri associati, ma non vogliamo limitarci a un ruolo di pura difesa delle istanze del nostro settore. Credo infatti che sia molto importante impegnarsi affinché la professione del consulente finanziario, in ognuna delle sue modalità, si sviluppi e contribuisca alla crescita del mercato e alla tutela del risparmio. Per quanto riguarda il ruolo dell’Organismo, direi che si è conclusa la prima fase che ha visto l’iscrizione all’Albo delle Scf che già esistevano e operavano. Ora si tratta di aprire la strada ai soggetti nuovi, in particolare ai giovani, che intendono avviare una nuova attività di consulenza. Cosa può diventare l’albo unico dei consulenti finanziari grazie all’inserimento di rappresentanti di associazioni di categoria fino a oggi non rappresentate? Dal 1 dicembre 2018 all’Organismo è stata affidata l’importante funzione di vigilanza su tutto il settore dei consulenti finanziari. Svolgere questa attività in modo rigoroso ed efficiente può contribuire ad accrescere la fiducia degli investitori nei riguardi dei consulenti e degli intermediari. Anasf intende modificare lo statuto di Ocf prevedendo il limite dei due mandati per il presidente e gli altri organi sociali. E’ d’accordo? Ha altre idee su come modificare lo statuto o va bene così? È prematuro esprimere opinioni in merito. Parteciperemo in modo costruttivo alla discussione sullo statuto. ottobre 2019

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UN PASSO STORICO PER IL SISTEMA FEE ONLY Per il presidente di Nafop, la nomina nel direttivo Ocf, è una svolta per i consulenti autonomi

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esare Armellini (nella foto), presidente di Nafop, la sigla a cui fanno riferimento i consulenti finanziari autonomi, è raggiante per la fresca nomina nel consiglio direttivo, il “salotto buono” di Ocf.

Armellini, dopo un limbo normativo durato 10 anni i consulenti finanziari ex indipendenti e ora autonomi hanno trovato riconoscimento in Ocf prima con la sezione loro dedicata e ora con la sua persona che entra a far parte del direttivo dell’Organismo. Cosa prova? L’intero mercato dei servizi finanziari si trova a una svolta epocale: soggetti indipendenti e slegati dal sistema bancario e distributivo sono rappresentati all’interno di un Organismo di vigilanza. Si tratta di un’opportunità unica, non solo per gli operatori del settore che hanno la possibilità di capitalizzare le esperienze e indirizzarle verso una nuova libera professione, ma soprattutto per le

«PIÙ PREVENZIONE ED EDUCAZIONE FINANZIARIA»

Il presidente di Assonova esprime le (sue) priorità per l’Organismo

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l debutto nel consiglio direttivo Ocf c’è anche Assonova e il suo presidente Giuliano Xausa (nella foto). A cui chiediamo indicazioni sui loro propositi all’interno del sistema Albo Unico dei cf.

Xausa, Assonova quale contributo intende dare nel direttivo Ocf e sotto quali punti di vista? Riteniamo fondamentale la nostra partecipazione nell’Organismo che corona finalmente molti anni di impegno. Intendiamo portare la voce di quasi un terzo degli iscritti all’albo. Stiamo parlando infatti dei consulenti finanziari che sono lavoratori dipendenti i quali hanno evidentemente esigenze, modo di lavorare, pressioni alla vendita, ben diverse rispetto a un libero professionista. Crediamo fermamente che l’Organismo debba avere anche un ruolo di prevenzione oltre che di vigilanza al 32

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famiglie italiane che possono optare, come avviene in altri Paesi, per una consulenza senza conflitti di interesse volta alla pianificazione dei propri obiettivi finanziari e di vita. La sezione dei consulenti autonomi è partita da poco ma le iscrizioni di professionisti sono ancora poche. Cosa può fare l’Ocf per favorire l’affermazione della categoria? Stiamo dando il nostro contributo per consentire all’Ocf di rendere sempre più efficiente il percorso di iscrizione alle due nuove sezioni dell’Albo. Ricordo che la nostra professione fino a poco tempo fa era vietata e riservata solo agli storici advisor operativi da prima della Mifid. I numeri rappresentano solo la punta di un iceberg la cui crescita porterà in pochi anni a un’offerta di consulenza indipendente più capillare su tutto il territorio nazionale. C’è ancora da sciogliere il nodo degli iscritti d’ufficio all’Albo nella sezione degli ex-pf, che ancora oggi non possono switchare in quella degli autonomi. Abbiamo affrontato il tema con legislatore e autorità che ci hanno assicurato la risoluzione del problema nei prossimi mesi. Quali sono in sintesi secondo lei i fattori che possono favorire una maggiore diffusione dei consulenti autonomi in Italia? La nostra istituzionalizzazione consente di individuare in modo semplice le figure indipendenti cui fare riferimento per le proprie scelte. La normativa comunitaria, imponendo maggiore trasparenza, favorirà lo sviluppo della consulenza fee only di pari passo con l’aumento della consapevolezza da parte della clientela. L’approccio “fee based” si sta diffondendo velocemente in tutto il mondo, come emerge da varie ricerche di settore. Per esempio secondo la Consob circa il 50% degli italiani è disposto a pagare per un servizio di advisory. fine di tutelare con efficacia risparmiatori e imprese. In questa ottica l’ottimo accordo sulle politiche commerciali firmato tra Abi e sindacati del settore bancario potrebbe cercare applicazione anche nel mondo delle reti. Noi ci impegneremo in questo senso. Crediamo che l’Ocf debba avere un ruolo chiave per fare educazione finanziaria e come Assonova faremo la nostra parte su questo argomento. Ci impegneremo infine perché l’Organismo abbia vita veramente autonoma rispetto ai soci che ne fanno parte. Che differenza vede tra Assonova ed Anasf, l’altra grande realtà associativa di riferimento dei cf? Quale collaborazione ritiene possibile tra le vostre realtà? Assonova rappresenta in primis i consulenti finanziari lavoratori dipendenti e la sua natura e origine é quella sindacale. Credo Anasf abbia una visione leggermente diversa. La collaborazione potrà essere ampia e su molti argomenti ma non potrà prescindere dal rispetto reciproco e dalle logiche di democrazia e rappresentatività. Anasf vuole il limite dei mandati per il presidente? Noi potremo valutare questa variazione statutaria se contemporaneamente verranno riviste le norme legate alla rappresentatività e al rispetto delle minoranze. Ecco perché credo che ogni riflessione del genere dovrà essere fatta coinvolgendo anche Nafop. Quali sono i nodi da sciogliere per la professione del consulente finanziario che lavora per una rete? Adeguata remunerazione, autonomia gestionale, minori cavilli amministrativi, un trattamento di welfare minimo per tutti, spazio alle donne, ricambio generazionale, formazione costante, integrità nella vendita dei prodotti. Per iniziare penso possano bastare.


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IWBANK PRIVATE INVESTMENTS

Consulenza finanziaria d’avanguardia di Mario Romano

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onti in ordine e idee chiare per imporsi con successo nel mercato della consulenza finanziaria. IWBank Private Investments, la banca del gruppo Ubi Banca specializzata negli investimenti di individui e famiglie, guidata dal direttore generale Dario Di Muro, sta affrontando con determinazione le sfide poste dall’avvento della Mifid 2, come testimoniano i numeri: la banca ha infatti chiuso il primo semestre 2019 con un utile netto positivo pari a 5,1 milioni di euro (+153% rispetto al dato del primo semestre 2018) e masse totali pari a 12 miliardi. Ma è soprattutto la raccolta netta dei consulenti finanziari a entusiasmare: al 30 giugno 2019 ha raggiunto quota 374,5 milioni di euro, secondo i dati Assoreti, con un significativo incremento del +117% rispetto al primo semestre del 2018. Dietro i numeri c’è una macchina che funziona a pieni giri grazie al costante incremento della qualità media dei portafogli gestiti dai professionisti abilitati all’offerta fuori sede, all’attenzione nell’attività di reclutamento, alla conferma di un modello di business incentrato su un’offerta in autentica architettura aperta, tra le più estese del settore di riferimento, e alle consolidate sinergie tra la rete dei cf, il canale digitale (a breve sarà introdotta la nuova piattaforma di consulenza evoluta) e i servizi offerti da Ubi Banca nel mondo del credito e della consulenza alle aziende. Reclutamento in primo piano Nel primo semestre è proseguito con decisione il percorso di crescita qualitativa della rete, composta al 30 giugno 2019 da 687 consulenti finanziari, con un portafoglio medio attestatosi a circa 14 milioni di euro (+8% rispetto al secondo semestre 2018). L’attività di reclutamento effettuata nella prima metà dell’anno è proseguita positivamente concentrandosi su profili di consolidata esperienza e professionalità, portando all’ingresso di 27 nuovi professionisti provenienti da reti e realtà bancarie di primo piano, altamente patrimonializzati e presenti su tutto il territorio nazionale. L’obiettivo di IWBank Private Investments è mettere i consulenti finanziari nelle migliori condizioni per svolgere la loro attività senza vincoli. Questa priorità viene perseguita innannzitutto attraverso l’evoluzione dei servizi digitali, volti a liberare tempo da poter dedicare al cliente. La tecnologia è infatti vista come un elemento abilitante del rapporto umano tra consulente e cliente, non certo un sostituto. In più, forte è l’impulso dato alla formazione, finalizzata a rafforzare tutte le competenze dei professionisti della consulenza finaziaria in ambito normativo, tecnico-finanziario e gestionale.

DARIO DI MURO, DIRETTORE GENERALE DI IWBANK PRIVATE INVESTMENTS

UN MODELLO DI BUSINESS FORTE BASATO SULL’ ARCHITETTURA APERTA E SULLE SINERGIE TRA IL CANALE DIGITALE E LA RETE DEI CONSULENTI FINANZIARI Architettura davvero aperta IWBank PI si caratterizza per un modello di business basato su un’autentica architettura aperta, con 4500 fondi di oltre 40 case di gestione, incentrato sulla figura del cf libero di operare nell’interesse esclusivo dei propri clienti e indipendente sia da logiche di budget sui prodotti che da politiche preferenziali in tema di livelli commissionali.

Consulenza evoluta, ci siamo A breve andrà a regime il servizio di consulenza evoluta. Questa nuova piattaforma, frutto sia del know-how in ambito tecnologico del Gruppo Ubi che degli investimenti effettuati, permetterà al cf di ampliare il suo raggio d’azione, offrendo un servizio sempre più personalizzato. In questo modo il cliente potrà essere affiancato anche per la protezione e la valorizzazione del patrimonio extra-finanziario. Quest’ultimo aspetto è un passo avanti decisivo nell’evoluzione del consulente finanziario che, grazie anche al supporto di programmi formativi di eccellenza, deve diventare una guida in tutte le fasi della vita del cliente. ottobre 2019

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CONSULENTI AUTONOMI

Largo ai pionieri del FeeOnly di Rosaria Barrile

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all’avvio del nuovo Albo unico dei consulenti finanziari al recepimento della Mifid 2 sono tanti gli stimoli che a partire dall’inizio del 2019 stanno pungolando il mondo della consulenza indipendente che se da un lato può muoversi su un terreno meno accidentato rispetto al passato, dall’altro continua a confrontarsi con difficoltà in termini di organizzazione e compliance. Ad agevolare il percorso, portando l’esperienza di chi il sentiero lo conosce già e quindi è in grado di segnalare i passaggi più impegnativi, è Consultique che passo dopo passo ha predisposto sia servizi software, che permettono ai consulenti autonomi e alle società di consulenza di essere conformi alla normativa e al nuovo regolamento Consob, sia una serie di iniziative di confronto e formazione tra cui quella che si terrà nel mese di ottobre, il FeeOnlySummit. Come spiega a Investire Luca Mainò, oltre che cofondatore di Consultique SCF Spa, è anche vicepresidente AssoSCF e membro del direttivo Nafop. Molti professionisti si stanno avvicinando alla consulenza indipendente, caratterizzata da una remunerazione “FeeOnly”, ossia solo ed esclusivamente pagata dal cliente. Come incide questa tendenza sul contesto competitivo? Si parla già di prove tecniche di dialogo tra banche e consulenti indipendenti. A quali condizioni? Quello che sta avvenendo sul mercato ricalca in parte ciò che è avvenuto all’estero con lo sviluppo della consulenza indipendente. L’intera industria del risparmio gestito sta osservando l’evoluzione della nostra categoria a pochi mesi dalla sua istituzionalizzazione. In particolare alcuni intermediari, banche, Sim e Sgr, che intendono ottenere un vantaggio da “first mover” in questo mercato, stanno studiando prodotti e tecnologie per soddisfare la clientela dei consulenti indipendenti per 34

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SECONDO LUCA MAINÒ DI CONSULTIQUE PER LA CONSULENZA INDIPENDENTE «SIAMO SOLO ALL’INIZIO DELLA TRASFORMAZIONE, NEI PROSSIMI MESI CI TROVEREMO DI FRONTE A NOVITÀ MOLTO INTERESSANTI». E ALL’ORIZZONTE SI PROFILANO NUOVI SERVIZI RISERVATI A QUEI CLIENTI CHE DIMOSTRINO DI AVERE UN CONTRATTO DI CONSULENZA IN ESSERE CON UN SOGGETTO INDIPENDENTE… Nella foto Luca Mainò, cofondatore di Consultique Scf spa, vice presidente di AssoScf e membro del direttivo Nafop

mettere a loro disposizione servizi in grado di rendere più fluido e sempre più low cost il rapporto consulente-cliente-intermediario. La novità è che si tratta di servizi riservati solo ai clienti che dimostrino di avere un contratto di consulenza in essere con un soggetto indipendente, iscritto all’Albo nelle due sezioni degli autonomi o delle Scf. Per esempio stanno nascendo piattaforme che permettono al consulente di inviare raccomandazioni personalizzate al cliente che con un semplice click le potrà rendere operative presso la propria banca, oppure forniscono la possibilità di sottoscrivere fondi e sicav beneficiando del rimborso dei costi di distribuzione o di acquistare fondi e sicav “clean fee”, come avviene nel Regno Unito dopo l’introduzione nel 2013 della normativa


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Retail Distribution Review. Ma solo siamo solo all’inizio della trasformazione, nei prossimi mesi ci troveremo di fronte a novità molto interessanti. Il modello adottato da Consultique, basato sulla costituzione di un network di professionisti, a quali condizioni può essere replicabile? Il modello adottato da Consultique è unico nel suo genere. Il rapporto con i professionisti e le società è regolato da un semplice contratto di servizio a fee annuale. Consultique non conosce i clienti dei consulenti, i quali fatturano direttamente le proprie prestazioni con un approccio che consente la massima trasparenza. Si tratta di un modello molto sviluppato negli Usa che consente al consulente di focalizzarsi sull’erogazione della consulenza al cliente in una logica di pianificazione patrimoniale complessiva, risparmiando

«IL RAPPORTO CON IL NETWORK DEI CF È REGOLATO DA UNA FEE ANNUALE. NON CONOSCIAMO I LORO CLIENTI» tempo con l’utilizzo di sistemi di reg-tech, di generazione di reportistica personalizzata, di invio e archiviazione di raccomandazioni in formato automatizzato, di sistemi di profilatura Mifid 2 compliant. Facciamo il punto sull’Albo: come sta andando? Il tasso di iscrizioni è quello che vi aspettavate? Come noto il processo di iscrizione non è banale e questo sta rallentando la crescita degli iscritti. Abbiamo comunque registrato una velocizzazione delle procedure; oggi, se la pratica è presentata correttamente si riesce a ottenere la delibera in circa tre mesi. Per adesso gli attuali iscritti, poco meno di 250, stanno beneficiando di questa situazione nella quale tutta la domanda di consulenza indipendente è indirizzata verso di loro. Ci aspettiamo una crescita costante dei numeri. Entro i prossimi mesi attendiamo un totale di circa 300 soggetti operativi sia in proprio che all’interno delle nuove società fee only. Per quanto riguarda queste ultime, è nata anche AssoSCF, l’associazione spin-off di Nafop che raccoglie già oggi circa la metà delle società iscritte e che sta supportando diverse nuove start up di Scf che si stanno affacciando sul mercato. Al momento il 70% delle Scf iscritte al nuovo Albo OCF ha sede in Lombardia e Veneto.

APPUNTAMENTO AL FEEONLYSUMMIT 2019

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i terrà a Verona il 29 e 30 ottobre la nona edizione del più importante evento nazionale dedicato alla consulenza finanziaria indipendente promosso da Consultique. Nella cornice nello storico Palazzo della Gran Guardia in Piazza Bra, verranno presentati approfondimenti sulla consulenza fee only rivolti ai professionisti del settore, appassionati di finanza, studenti e giovani laureati. L’evento, che chiuderà il mese dell’Educazione Finanziaria, ospiterà mercoledì 30 ottobre alle 10.00 la conferenza istituzionale a cui interverranno il ministero dell’Economia, la Consob, l’Ocf e associazioni di categoria (Abi, Anasf, Ascofind Assonova, Assoreti, Nafop). A moderare l’incontro saranno Marco Muffato, caporedattore del mensile Investire e Gianfranco Ursino della redazione di Plus24, il settimanale di finanza personale del Sole24Ore.

L’interesse per le opportunità offerta dalla consulenza indipendente potrebbe crescere anche tra le fila dei professionisti già attivi all’interno delle reti. Come stanno cambiando le esigenze dei consulenti finanziari che si rivolgono a voi? Il desiderio di queste persone è avviare uno studio professionale o una società di consulenza slegata dal sistema distributivo, sul modello di paesi finanziariamente più evoluti come gli Usa, l’Australia o il Regno Unito. A partire dal luglio del 2018 abbiamo potenziato la nostra attività dedicata ai consulenti finanziari e alle società che si sono già iscritte all’Albo e anche a tutti quei soggetti che si apprestano a farlo. Da un lato abbiamo creato un percorso per step che consente di redigere tutta la documentazione per l’iscrizione, dall’altro abbiamo sviluppato una serie di servizi software che permettono ai consulenti autonomi e alle Scf di essere completamente compliant con la normativa ed il nuovo regolamento Consob. Nel corso del 2019 poi abbiamo coinvolto oltre mille professionisti di banche e reti distributive in un corso di formazione itinerante in 20 città d’Italia, Consultique & friends, dove abbiamo riscontrato enorme interesse per l’evoluzione della consulenza. Girare l’Italia e incontrare così tanti consulenti è un’esperienza fantastica. Non dimentichiamo mai di dire che esperienza e competenze accumulate in anni di lavoro all’interno di banche e reti sono molto preziose e possono essere capitalizzate nella nuova professione indipendente. Siamo ormai a ridosso dell’appuntamento con il FeeOnlySummit. Quali sono i temi caldi di questa edizione? Le parole chiave di questa edizione sono: albo, normativa, mercati, tecnologia, fintech, strumenti, competenze, crypto assets, strategie e temi di investimento, investimenti Esg. Prevediamo almeno 2000 partecipanti. Abbiamo coinvolto tutti i principali attori del risparmio gestito oltre agli ospiti istituzionali che porteranno il loro contributo. L’evento, che permetterà di ricevere i crediti Efpa, comprende anche alcune tavole rotonde realizzate con la collaborazione dell’Ordine dei Commercialisti e l’Ordine degli Avvocati, per dare luce a tutte le sinergie che possono crearsi tra queste diverse figure. ottobre 2019

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AZIMUT LIBERA IMPRESA

Private equity per tutti di Mario Romano

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una vera e propria rivoluzione quella che Azimut, il principale gruppo indipendente italiano del risparmio gestito e quotato alla borsa di Milano, sta portando avanti con Azimut Libera Impresa: da un lato aiutare le imprese italiane (e in futuro, quelle dei Paesi nel mondo dove Azimut da tempo ha scelto di investire) nel reperire nuove forme di finanziamento e idee per crescere senza necessariamente il supporto di un partner bancario, dall’altro lato trovare nuove forme d’investimento per i risparmiatori nel mondo a tasso zero in cui viviamo e rischiamo di vivere ancora per tanto tempo.

Più liquidità nell’economia reale Da questo duplice obiettivo trae origine la scelta di Azimut di creare, attraverso Azimut Libera Impresa Sgr, una piattaforma integrata di prodotti e servizi dedicata da un lato a imprenditori e piccole e medie imprese e dall’altro a investitori e risparmiatori, con l’obiettivo di favorire l’immissione di liquidità nell’economia reale al fine di stimolarne la crescita e renderla sostenibile nel tempo, offrendo al contempo opportunità di rendimento maggiori agli investitori. Grazie ai nuovi fondi dedicati agli asset alternativi reali dunque anche gli investitori privati potranno accedere alle opportunità offerte dal private equity, venture capital e private debt. Investire nei mercati privati è un affare La nuova linea strategica di Azimut nasce dall’esigenza di offrire ai propri clienti l’accesso a ritorni superiori in un contesto di tassi estremamente bassi che hanno determinato nel risparmio gestito deflussi importanti e una fuga dei risparmi verso la liquidità. Da parte loro gli investimenti in economia reale hanno offerto rendimenti superiori degli investimenti in società quotate: 36

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UNA PROVA DI DEMOCRAZIA NEL SETTORE FINANZIARIO. I CLIENTI RETAIL POTRANNO ACCEDERE AGLI INVESTIMENTI IN PRIVATE MARKET, FINORA PREROGATIVA DEL MONDO ISTITUZIONALE Nella foto Paolo Martini, presidente di Azimut Libera Impresa Sgr, vice presidente di Azimut Capital Management Sgr e amministratore delegato e direttore generale di Azimut Holding

private equity, venture capital, private debt hanno generato ritorni annuali in media del 12% circa negli ultimi 10 anni (in base a una rielaborazione dati Aifi-Kpmg riferiti a private equity, venture capital e private Debt), contro la media del 7,5% delle attività quotate (secondo l’elaborazione dei dati Azimut CM/Bloomberg). Inoltre gli investimenti nei mercati privati rappresentano un fattore importante di differenziazione del portafoglio, in quanto non correlati alle dinamiche dei mercati finanziari. Una rivoluzione democratica per l’investitore retail Fatta questa premessa, andiamo a osservare da vicino la piattaforma Azimut Libera Impresa che comprende a oggi


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IN AZIMUT L’1% DELLE MASSE È RAPPRESENTATO DAGLI INVESTIMENTI ALTERNATIVI. ENTRO 5 ANNI IL PESO DI TALI ATTIVITÀ PESERÀ ALMENO PER IL 15% DEGLI ASSET UNDER MANAGEMENT TUTTE LE BUONI RAGIONI PER INVESTIRE IN ECONOMIA REALE NEL LIBRO DI MARTINI

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arte di fare impresa – Come e perché investire in economia reale” è il nuovo libro di Paolo Martini, di professione top manager in una delle più brillanti realtà del risparmio gestito nazionale e dalla più marcata internazionalizzazione, la galassia Azimut (Paolo è infatti presidente di Azimut Libera Impresa Sgr, vice presidente di Azimut Capital Management Sgr e amministratore delegato e direttore generale di Azimut Holding). Un tema quello dell’investimento nell’economia reale molto diverso da quello nel “quotato”: «detenere azioni o debito privato di un’azienda», si legge nella prefazione del libro, «può, con il giusto orizzonte temporale e la corretta diversificazione, offrire grandi opportunità di rendimento andando a cogliere trend che possono stravolgere le regole a cui siamo abituati nel mondo del quotato». Nelle 164 pagine del volume il tema degli investimenti nel private market è affrontato da tutte le angolazioni e ripartito in cinque sezioni. In quella introduttiva Martini racconta conquiste ed errori dei pionieri del private capital nel mondo e in Italia. Nella seconda sezione si passa all’analisi di quanto vale e quanto rende investire in economia reale; segue il capitolo su come ragionano i fondi private capital, con i diversi approcci per investire nelle piccole e medie imprese. Nella quarta sezione l’autore descrive come i privati possono oggi investire nell’economia reale, quale opportunità di diversificazione e di partecipazione alla creazione di valore, mentre il capitolo conclusivo tratta della fiscalità di questa tipologia degli investimenti. In definitiva un libro che spiega in modo chiaro e con ricchezza di esempi come la stagione del private capital sia solo agli inizi e prometta copiosi frutti a tutta la filiera: imprese, investitori e operatori.

otto fondi, tra i quali alcuni in fase di lancio e altri che saranno varati nel corso dei prossimi mesi, per una raccolta complessiva di 1,5 miliardi di euro a fine 2020. Per Azimut la crescita negli investimenti in private market rappresenta una linea strategica di grande importanza: dei 56 miliardi di euro di masse gestite dal gruppo oggi circa l’1% è rappresentato da asset alternativi ma entro 5 anni il peso di tali attività crescerà ad almeno il 15% degli asset under management al 2024. Intanto è stato presentato lo scorso 25 settembre a Milano Demos 1, il primo fondo chiuso di private equity retail al mondo, con importo minimo di sottoscrizione pari a 5mila euro. Ha una dotazione di 350 milioni di euro da investire in aziende italiane, con un fatturato compreso tra i 30 e i 250 milioni e un ticket di investimento per operazione dai 20 ai 60 milioni di euro. Paolo Martini, ad e dg di Azimut Holding e presidente di Azimut Libera Impresa, spiega l’importanza della nuova gamma: “Grazie ai fondi di Azimut Libera Impresa Sgr la clientela retail potrà accedere all’investimento in private market, partendo dal private equity: abbiamo democratizzato i rendimenti degli strumenti alternativi e siamo i primi al mondo a offrire questi prodotti ad alto rendimento al cliente retail”. I prodotti che fanno parte della piattaforma Azimut Libera Impresa Sgr, oltre a Demos 1, sono il fondo di fondi Global Invest, Ita 500, Corporate Cash, Private Debt, Ipo Club, Antares e FSI.

ALI Expo, parte il networking Questo mondo di opportunità per imprenditori e investitori sarà presentato ufficialmente a i prossimi 29 e 30 ottobre nell’ambito di “Azimut Libera Impresa Expo” presso Rho Fiera. Un evento di grande respiro con 5 percorsi tematici (una nuova cultura d’impresa, gli investimenti alternativi, i servizi dedicati alle imprese, innovazione e start up e un focus ALI per investitori e liberi professionisti), 50 conferenze, 200 relatori e oltre 10mila partecipanti previsti. Un momento di confronto e riflessione che non sarà fine a sé stesso. Proprio il 29 e 30 ottobre infatti nascerà Alihub, la community digitale e fisica di Azimut tra imprenditori, liberi professionisti e investitori, che svilupperà il networking tra gli aderenti. ottobre 2019

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MERCATI FINANZIARI

Mal di (troppi) bond? La cura si chiama Esg di Ugo Bertone

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caccia di rendimenti in un mondo dominato dai tassi negativi. L’impresa non è facile ma l’esperienza del 2019 dimostra che si può. Soprattutto se non si ha paura di avventurarsi in un terreno sconosciuto, impensabile fino a non molto tempo fa. Al contrario, chi non ha esitato a far la scorta di bund decennali in primavera, quando i titoli del debito di Berlino prevedevano un interesse negativo attorno allo 0,28% ha fatto un ottimo affare perché nel frattempo i rendimenti dei titoli tedeschi sono scivolati a -0,58% sull’onda degli sforzi della Bce per sostenere gli investimenti e rilanciare la crescita. Una missione, l’ultima della presidenza di Mario Draghi, che ha premiato sia gli scettici che hanno scelto la soluzione del “porto sicuro”, sia i risparmiatori e i gestori che hanno puntato sulla tenuta dei titoli di Stato italiani spuntando grosse plusvalenze andate perlopiù a vantaggio di banche e investitori internazionali. Ma adesso? Vista con gli occhi del risparmiatore si è comunque generata una situazione complicata: la valanga di titoli a rendimento sottozero (oltre 17 mila miliardi di dollari in giro per il mondo) rende sempre più difficile investire in obbligazioni. Non a caso le compagnie di assicurazione tendo o ritirarsi dal mercato delle polizze a rendimento garantito, vista la difficoltà, dato il calo dei tassi, a rispettare gli impegni con i clienti cui si sottopongono altre soluzioni. E non a caso il gruppo Generali ha ceduto la tedesca Leben, specializzata in quel ramo, mentre in Francia, la mossa ha meritato la prima pagina di “Les Echos”, il primo quotidiano economico transalpino, perchè ha annunciato che quest’anno cesserà la commercializzazione di due iniziative. «Siamo entrati in un mondo nuovo e siamo convinti che la situazione sia destinata a durare» ha commentato Jean-Laurent Grenier il patron del Leone sotto la Tour Eiffel che non avrà grandi difficoltà a convincere i clienti visti i brillanti risultati delle gestioni separate della compagnia (Gesav viaggia su uno strepitoso 5 per cento). Ma resta la difficoltà a convincere i vecchi e, ancor più difficile, i nuovi potenziali clienti a entrare nel ciclo del risparmio, materia più che mai strategica viste le condizioni della previdenza pubblica in Europa, Italia in testa dove, complice la crisi, la situazione si è deteriorata. Di recente Fabio Panetta, prossimo membro del direttorio della Bce, ha rilevato che nel 2018 gli italiani hanno speso 107 miliardi di euro in giochi e lotterie legali (il doppio di dieci anni prima). Al confronto i 17 miliardi di premi nel ramo danni non auto sono davvero una cifra irrisoria. In questa cornice i tassi bassi non aiutano. Anche perché le prospettive, ammonisce un recente report di Standard & Poor’s, non sembrano destinate a migliorare. Anzi. Il Vecchio Continente rischia di entrare nel tunnel della “stagnazione secolare” 38

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FABIO PANETTA, PROSSIMO MEMBRO DEL COMITATO ESECUTIVO BCE

L’EFFETTO GRETA ACCELERA IL TREND DEGLI INVESTIMENTI SOSTENIBILI, ALLA RICERCA DEI RENDIMENTI ORMAI PERDUTI fatta di bassa crescita e bassa inflazione un cocktail che rende assai più complicata l’arte di far fruttare i propri risparmi. Proviamo a individuare perciò alcuni “sentieri” per evitare sia i rischi del mercato azionario, che promette un anno turbolento in vista dell’appuntamento elettorale Usa, che i rendimenti da prefisso telefonico del mercato monetario. Una strategia passa senz’altro dalla finanza verde, ovvero gli investimenti eco-sostenibili secondo i criteri Esg (che sta per Environment, social e governance). «Sono la strada obbligata per perseguire una gestione prudente nel tempo


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specie in un periodo come l’attuale in cui è già un buon risultato conservare il potere d’acquisto iniziale», sostiene uno dei grandi del settore, Andrew Ball di Pimco, preoccupato dalla “carta” che si è accumulata in questi anni presso broker e finanziarie dopo la pulizia della crisi.«In questo contesto è fondamentale restare concentrati su investimenti che possano deviare dal sentiment condiviso». I numeri del resto dimostrano che il mondo degli investimenti tende a premiare la bontà. A fine 2018 i capitali amministrati secondo i canoni Esg ammontavano secondo una ricerca di Lyxor, a oltre 31 mila miliardi in crescita del 35% rispetto al 2016. Ma negli ultimi mesi, complice l’effetto Greta, la giovanissima icona svedese dell’ambientalismo, la tendenza è fortemente accelerata. Per convenienza, non per moda. «E’ ormai confermato», spiega François Millet, capo di Etf strategy di Lyxor, «che gli investimenti che applicano i criteri Esg migliorano la performance del portafoglio. Abbiamo rilevato che l’esclusione del 50% delle società con i punteggi Esg più deboli, in un portafoglio esposto all’azionario europeo, fa ottenere rendimenti corretti per il rischio superiori a quelli dell’indice tradizionale. Se 12 anni fa un risparmiatore avesse investito nell’Msci Europe, il capitale sarebbe aumentato del 3,63% medio annuo, mentre se avesse investito nel 50% delle società dello stesso indice, selezionate tra quelle con il miglior profilo Esg, il guadagno medio annuo sarebbe stato del 4,42%». Anche grazie a queste performance il patrimonio dei fondi attivi e passivi che investono secondo i criteri Esg è salito nella prima parte del 2019 oltre i 1.000

IL PATRIMONIO DEI FONDI ATTIVI E PASSIVI CHE INVESTONO SECONDO I CRITERI ESG È SALITO NEI PRIMI 6 MESI DEL 2019 OLTRE I 1.000 MILIARDI DI EURO. E LA CORSA È DESTINATA A DURARE CON LA MESSA A PUNTO DI NUOVE STRATEGIE

FRANCOIS MILLET, HEAD OF ETF & INDEX PRODUCT DEVELOPMENT

miliardi di euro (1.056, per esattezza). In testa figurano ancora i fondi attivi ma i passivi, guidati dagli Etf, sembrano in grado di passare in testa già entro il 2019 grazie alla crescita vertiginosa del loro patrimonio:+102% nei primi otto mesi dell’anno grazie a una raccolta miliardaria. «La domanda è molto sostenuta», rileva l’analisi di Main Street. «I green bond raccolgono in media il quintuplo del target fissato dagli emittenti, ovvero tre volte l’offerta per i bond tradizionali con caratteristiche analoghe». E la corsa è destinata ad accelerare, perché man mano che aumentano le informazioni, vengono messe a punto nuove strategie che attireranno sempre più liquidità nei 2.200 fondi censiti da Morningstar (tra cui, per ora, 102 Etf). Tra questi c’è senz’altro ampia scelta. Basta prendere una selezione dei migliori fondi azionari large cap Europa, classificati secondo i criteri low Carbon di Morningstar, in cui figurano fondi di Fidelity e di Axa. Guidano la classifica due fondi di Fidelity (fast Europe e European Dynamic), entrambi con una performance a doppia cifra per il 2019. Chi vuole investire su Borsa Italiana nel segmento dei green bond emessi nella zona euro ha a disposizione, a partire da fine aprile, l’Etf attivo in eEuro denominato Franklin Liberty Euro Green Bond Ucits che investe almeno il 70% del suo valore patrimoniale netto in obbligazioni definite green bond e la restante parte in obbligazioni allineate alla sostenibilità del clima. Ma tra le proposte migliori figurano senz’altro le iniziative delle utility italiane: Snam ha emesso un climate action bond per ridurre le emissioni derivanti dalle proprie attività. Proprio questo mese, Enel, tra i leader mondiali del settore grazie alla controllata Green Power ha emesso un cosiddetto Sdg-linked bond per rafforzare gli sforzi per raggiungere i propri obiettivi in termini di energie rinnovabili. Insomma, per cacciare la depressione da tassi bassi niente di meglio che la carta verde. Non mancheranno di disicuro i tranelli e le delusioni ma, come sottolinea Pictet, il fenomeno è destinato a crescere nel tempo. Nello scenario previsto dall’Accordo di Parigi, cioè l’obiettivo di mantenere l’innalzamento del riscaldamento globale a non più di due gradi centigradi, i titoli del settore – specie l’energia e i servizi di pubblica utilità in particolare – saranno chiamati a far fronte, a rischio di grosse penalità, alle limitazioni che saranno imposte ai settori “high carbon”. I titoli dei mercati emergenti, d’altro canto, potrebbero beneficiare di iniezioni di capitale per aiutarli nel passaggio verso un’economia a minori emissioni di carbonio. Per gli attivi immobiliari come le infrastrutture e le proprietà immobiliari, gli incentivi saranno necessari per rendere i nuovi attivi “verdi” sin dall’inizio e per “decarbonizzare” quelli esistenti. Il ballo di Greta durerà per un bel po’. Sarà un bell’antidoto alla stagnazione secolare. ottobre 2019

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FONDI PACHIDERMA

Fuga dai rendimenti negativi di Mauro Del Corno

GLI ESCAMOTAGE DEL FONDO SOVRANO NORVEGESE, DI ALLIANZ E DI FONDI PENSIONE E ASSICURAZIONI ASSORTITE PER OVVIARE AL SEGNO MENO DEI TROPPI BOND IN PORTAFOGLIO. SOLUZIONI? POCHE

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iccoli, grandi o giganti, il problema è lo stesso per tutti: scovare rendimenti. Con obbligazioni pari a 17mila miliardi di euro che nel mondo pagano interessi negativi, la sfida per la redditività accomuna investitori di ogni dimensione e tipologia, dal piccolo risparmiatore al fondo pachidermico. A cominciare dal più grande di tutti, il fondo sovrano norvegese dove confluiscono i proventi del petrolio estratto dal Mare del Nord, e che oggi gestisce l’equivalente di mille miliardi di dollari di patrimonio. Il fondo ha in portafoglio bond con interessi sotto lo zero per 67 miliardi di dollari. Per compensare questo buco nero finanziario che risucchia rendimento, è stato spinto ad aumentare la sua esposizione verso l’azionario, passata dal 66% di fine 2018 al 69% attuale. Oggi il fondo possiede in media l’1.4% di tutti i listini globali. Lo spostamento verso l’azionario comporta naturalmente dei rischi, diversi osservatori si sono fatti delle domande sulla tempistica di attuazione di questa strategia, per altri versi quasi obbligata. Il mercato azionario viaggia già su valori piuttosto tirati e i precedenti non sono particolarmente incoraggianti. Il fondo norvegese incrementò infatti la sua quota azionaria già nel 1998 e nel 2007, proprio alla vigilia di due crolli dei mercati. Il colosso finanziario ha però deciso di testare anche altre possibilità. I suoi manager hanno per esempio proposto di introdurre la facoltà di acquistare quote in grandi aziende non quotate. L’ultima parola spetta però alla politica, visto che il via libera alle modifiche statuarie compete al Parlamento di Oslo. In caso di ok circa l 1% del portafoglio (si parla comunque di 10 miliardi di dollari) potrebbe essere destinata a questo tipo di investimenti. Un altro peso massimo che si trova di fronte a scelte “rivoluzionarie”, per far fronte al nuovo contesto è la tedesca Allianz. A fine agosto il primo gruppo assicurativo europeo ha annunciato che non acquisterà più titoli sovrani del proprio paese. Addio, o almeno arrivederci, bund insomma. Del resto al momento i rendimenti dei titoli tedeschi sono negativi su tutte le scadenze e, visti anche i recenti orientamenti delle banche centrali, è improbabile che la situazione si modifichi a breve. In realtà anche con una ge40

ottobre 2019

Nella foto Yngve Slyngstad, ceo del fondo sovrano norvegese. Nella foto della pagina accanto Oliver Bäte, ceo di Allianz

stione molto attiva di titoli con rendimenti negativi è in teoria possibile strappare dei guadagni. Naturalmente a patto di non portare il titolo a scadenza, ma vendendolo sul mercato nel momento in cui il suo valore dovesse aumentare. A soffrire parecchio, specialmente in Germania e centro Europa, sono anche tutti quei fondi pensione e assicuratori che hanno offerto prodotti con rendimenti garantiti e faticano moltissimo a rispettare i loro impegni, anche a causa delle soglie all’investimento azionario presenti nei loro statuti. Così si spingono verso i bond dei paesi periferici, Italia compresa, provocando una compressione anche per i rendimenti di questi titoli. La grande fame di cedole fa digerire rapidamente qualsiasi fattore di rischio: tensioni politiche, crescita fiacca, finanze pubbliche fragili. Tutto passa in secondo piano e viene riflesso solo in parte dal livello di interessi. In questa era glaciale dei rendimenti, appena spunta all’orizzonte qualche punto percentuale tutti ci si avventano sopra all’istante, inflazionando i prezzi e abbat-


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tendo rapidamente gli interessi. Due terzi dei bond europei hanno oggi rendimenti negativi. Non si tratta solo di titoli di Stato, anche le aziende con rating più elevati, come Siemens o Nestlé, riescono a farsi pagare dai mercati per prendere soldi in prestito. Secondo JP Morgan questa situazione è destinata a durare per almeno 8 anni. Blackrock è ancora più radicale: «i tassi negativi sono qui per restare e lo faranno per un periodo molto lungo», ha recentemente affermato Michael Krautzberger, responsabile europeo del settore obbligazionario. Per il gruppo statunitense gli unici bond europei che potrebbero dare qualche soddisfazione imprevista sono quelli irlandesi o i Btp indicizzati. In prospettiva Dublino dovrebbe essere infatti uno dei principali beneficiari della Brexit, accogliendo una fetta consistente delle attività in precedenza domiciliate a Londra e che devono mantenere un legame con l’Unione europea. I Btp italiani indicizzati offrono qualche margine di guadagno poiché nei prezzi sarebbe incorporata una previsione di inflazione eccessivamente bassa. Negli ultimi anni banche e investitori hanno studiato di tutto. Compreso calcolare il costo di stivare materialmente del contante e quindi affitto dei locali, assicurazione. Se depositarli presso la banca centrale costa lo 0,5% e l’inflazione è bassa, persino questa opzione può avere un senso. A settembre la Bce ha varato il “tiering”, un sistema che consente di esentare dagli interessi negativi partedei depositi delle banche presso l’istituto centrale. Una misura utile per la redditività ma limitata nella sua portata complessiva e che non cambia lo scenario complessivo. Oltre al bisogno di sicurezza, l’unico motivo che giustificherebbe il pagamento di interessi sui depositi è l’attesa di uno scenario fortemente deflattivo che comporterebbe guadagni in termini reali. Le banche centrali stanno facendo però tutto il possibile per evitare che questo accada. Bisogna investire e prestare quindi anche quando non si vorrebbe farlo. Nell’attesa e nella speranza che la politica fiscale si affianchi a quella monetaria e che gli investimenti dei governi che possono permetterseli diano davvero una spinta all’economia. Gli stessi problemi che affliggono i grandi protagonisti della finanza, incidono anche sulle scelte di semplici risparmiatori. Oggettivamente le alternative non sono molte. Tutti consigliano di accrescere la

quota di azioni in portafoglio, allungando l’orizzonte temporale dell’investimento. Tra i bond qualche soddisfazione si può ottenere solo da obbligazioni high yield o da titoli di Paesi emergenti. Guardare sempre di più all’estero e azioni è, in fondo quello che hanno fatto i giapponesi, che convivono il “mondo sotto zero” da un decennio. Il Giappone è così per esempio tornato ad essere il primo detentore estero di debito statunitense e solo nel 4° trimestre del 2018 ha acquistato bond esteri per quasi 500 miliardi di dollari. La contropartita

NEGLI USA LA METÀ DEI CORPORATE BOND “INVESTMENT GRADE” SUL MERCATO HA UNA VALUTAZIONE TRIPLA B, OSSIA UN SOLO GRADINO SOPRA IL PRODOTTO DI NATURA SPECULATIVA di queste scelte è però sempre la stessa: un aumento significativo del livello di rischio per chi investe. Finché le banche centrali continuano a fare le badanti dei mercati esiste una sorta di rete di sicurezza, che dovrebbe scongiurare crolli diffusi e repentini. Tuttavia i pericoli, sempre più mimetizzati, non dovrebbero essere sottovalutati. A livello sistemico c’è un fenomeno in particolare che andrebbe monitorato con attenzione: i leveraged loans. Si tratta di prestiti concessi ad aziende già fortemente indebitate. Un mercato che, secondo dati di Moody’s, solo negli Usa vale 1.200 miliardi di dollari, il doppio del 2010. Con questi prodotti i pericoli che riguardano aziende finanziariamente molto fragili finiscono a carico di mercati e risparmiatori. E’ qui che si sta accumulando la parte più insidiosa del rischio, che non sparisce mai ma semplicemente si trasforma e si sposta. Negli Usa la metà dei corporate bond “investment grade” sul mercato ha una valutazione tripla B, ossia un solo gradino sopra il prodotto di natura speculativa. «L’eccesso di indebitamento è nella corporate America», ha sottolineato lo scorso maggio Anna Walsh di Guggenheim Partners. «Qui è dove vediamo il rischio ma al momento chi si assume questo rischio non viene remunerato per farlo», ha concluso Walsh. Dal 2008 a oggi il controvalore dei corporate bond Usa è salito da 5 mila a 9 mila miliardi di dollari. Nel mondo aziende, enti locali e governi non sono mai stati tanto indebitati, nel complesso oltre 240 mila miliardi di dollari, il 40% in più di dieci anni fa. Il problema è che nessuno sa quanto di questo debito sia realmente a rischio insolvenza. Si naviga al buio insomma, e per di più con il faro dei rendimenti spento. ottobre 2019

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GEOPOLITICA E MERCATI

Investire in tempi di guerra Ecco cosa succede ai portafogli di Francesco Bellizzi

UN REPORT DI SCHRODERS SVELA IL NESSO PROFONDO TRA GUERRE E ATTACCHI TERRORISTICI NEGLI ULTIMI 30 ANNI E L’ANDAMENTO DI TRE PORTAFOGLI, UNO SICURO, UNO RISCHIOSO E UNO DINAMICO

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L’ECONOMISTA IRENE LAURO

hi è nato tra gli anni ’60 e gli ’80, la cosiddetta Generazione X, è cresciuto passando tra periodi di crisi internazionali, sanzioni commerciali e guerre. Non è un caso forse che il Gpr, il Geopolitcal risk index di Schroders, sia nato nel 1985 e che da quell’anno misuri su base mensile l’impatto che eventi di rischio geopolitico hanno sulla realtà economica globale. La casa di investimenti londinese ha prodotto un report analitico sugli effetti che tali rischi hanno avuto sugli investimenti nel corso dei cinque principali periodi di criticità che il pianeta ha vissuto (e vive tutt’ora) dagli anni ’90 a oggi, usando il Gpr come misuratore e come fonti, gli archivi elettronici di 11 Paesi, insieme alle informazioni giornalistiche. L’indice prende in considerazione tre elementi che qualificano una determinata vicenda come rischio geopolitico, quelli che Keith Wade , chief economist & strategist di Schroders definisce la “trinità”: l’incertezza geopolitica, l’incertezza economica e quella politica. A queste tre macro-dinamiche si affiancano alcuni settori dell’attività economico-finanziaria: quella industriale, l’occupazionale e quella commerciale. Dall’andamento di questi tre ambiti è possibile ricavare il livello di impatto che i rischi geopolitici hanno su alcuni segmenti individuati come cartina tornasole dello stato di salute economico-finanziaria. Parliamo del mercato dell’equity, quello dei titoli di stato statunitensi; e il flusso di capitali sia nei mercati emergenti che in quelli avanzati. Il report di Schroders, curato da Wade e dall’economista Irene Lauro, ha il suo centro nel comportamento che i mercati e gli 42

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investitori assumono davanti ai rischi geopolitici. L’analisi viene effettuata attraverso una simulazione di tre portafogli - uno sicuro, uno rischioso e uno dinamico – per valutarne l’andamento durante alcuni grandi rischi geopolitici che si sono succeduti dal 1990 a oggi. «Abbiamo creato un portafoglio rischioso e uno sicuro», scrivono i due autori del testo, «e confrontando i loro ritorni in relazione all’indice Sharpe (il sistema di misura della performance in portafoglio, n.d.r.) in periodi qualificati dall’indice Gpr come fasi di elevato rischio geopolitico». «Il nostro portafoglio sicuro», continuano Lauro e Wade, «alloca il 50% delle sue attività al treasury decennali statunitensi e il resto,equamente distribuito tra oro, franco svizzero e yen giapponese». Nella simulazione il portafoglio rischioso, invece, è allocato «al 50% nel S&P 500, il 25% tra Msci World Index e Msci Emerging Market e il restante 25%, nell’indice azionario». Infine il terzo portafoglio, quello dinamico, che è un mix degli altri due. I debiti sovrani emergenti inseriti nel paniere di Schroders sono quelli di Turchia, Brasile, Messico, Russia e Sudafrica. La simulazione contenuta nel report consiste nell’immergere questi tre portafogli nei cinque principali contesti di rischio geopolitico, identificati come tali avendo superato i 100 punti del Gpr. Dai dati ricavati da questo indice viene calcolato il rendimento totale dei portafogli di investimento e il rapporto di Sharpe di ciascuno dei portafogli simulati. I rischi geopolitici scelti come parametri sono: la prima Guerra del Golfo (1990-91); l’attacco alle Torri gemelle e la conseguente invasione dell’Iraq (2001-03); gli attacchi terroristici di Madrid


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e Mosca (2004); la guerra in Crimea e quella contro l’Isis (20142015); e la crisi tra Nord Corea e Stati Uniti (2017-2019). Nell’ultimo periodo (caratterizzato da test di missili balistici, di testate nucleari e minacce di intervento armato) Schroders fa rientrare le varie guerre commerciali ingaggiate in parallelo dal presidente Trump: quella con la Cina, ma anche con il Canada, con Messico e più di recente con l’Europa. «Negli ultimi 30 anni» si legge nello studio, «tre grandi conflitti hanno scosso significativamente i mercati finanziari: la Guerra del Golfo del 1990; l’attacco terroristico dell’11 settembre e la guerra in Iraq nel 2003”. Gli elementi in comune tra questi tre eventi storici sono molti. «Sia l’indice S&P 500 che l’indice Msci World sono diminuiti bruscamente durante questi periodi», spiegano Wade e Lauro, «mentre i beni rifugio, come i bond decennali degli Stati Uniti e l’oro hanno registrato rendimenti positivi sostanziali». I due analisti notano come, in questi tre periodi, l’andamento delle azioni segua uno schema ben preciso: «inizialmente cadono quando i mercati prezzano il rischio, per poi registrare un brusco rialzo entro pochi mesi. Durante la guerra del Golfo lo S&P 500 ha iniziato a riprendersi a cinque mesi dall’inizio del conflitto. Nei due eventi successivi, i mercati azionari rimbalzarono più rapidamente su entrambi gli indici che registrano rendimenti positivi e cioè due mesi dopo l’attacco alle Torri gemelle e dopo tre mesi della guerra in Iraq». Di seguito la simulazione delle performance registrate dai portafogli rischiosi e da beni rifugio per i cinque periodi presi in esame dallo studio.

KEITH WADE, CHIEF ECONOMIST & STRATEGIST SCHRODERS

Attentati di Madrid e Mosca, il rischio non paga “Gli attacchi terroristici hanno aumentato il rischio geopolitico nel 2004. Gli attentati ferroviari di Madrid, tre giorni prima delle elezioni generali di marzo in Spagna, costituisce l’attentato più letale nel 1988. Nel frattempo, Mosca veniva scossa da quattro separati attacchi di attentatori suicidi nell’arco di sette mesi”. In questi periodo il portafoglio sicuro, “anche in questo caso, ha prodotto prestazioni migliori rispetto alle attività rischiose, registrando un rendimento positivo del 2% contro una perdita dello 0,9%”.

Guerra del Golfo, i beni rifugio premiano Il primo evento significativo per i mercati finanziari è stata la guerra del Golfo all’inizio degli anni ‘90. Sette mesi di battaglie da parte delle forze della coalizione di 35 nazioni, guidate dagli Stati Uniti contro l’Iraq durante il quale “il portafoglio rischioso ha subito una perdita del 6,3%”, al contrario del portafoglio costituito da beni rifugio che è aumentato di più dell’8%”.

Crimea & Isis, il portafoglio spinto è vincente Dopo un periodo di 10 anni in cui l’indice Gpr era rimasto per lo più al disotto della media post 9/11, il rischio geopolitico è aumentato ancora una volta in modo significativo nel 2014. In coincidenza con l’aumento delle tensioni tra Ucraina e Russia per l’annessione russa della Crimea, che provocò operazioni militari dell’Isis in Iraq e Siria. Durante questo periodo, si legge nel report, «il portafoglio rischioso ha registrato un rendimento +1,3%, superiore a quello del portafoglio sicuro che ha fatto segnare +0,4%».

9/11 e invasione dell’Iraq, il portafoglio sicuro a gonfie vele Il report evidenzia che dieci anni dopo la fine del primo Guerra del Golfo, l’indice Gpr è aumentato vertiginosamente nel 2001, a causa del notevole impatto dell’attacco terroristico dell’11 settembre, dopo di che il livello medio di rischio geopolitico è raddoppiato. Il 9/11 (il modo in cui gli statunitensi chiamano l’attentato terroristico al World Trade Center, n.d.r.) e l’invasione dell’Iraq hanno creato un periodo di elevate tensioni geopolitiche durate per 22 mesi, il periodo più lungo mai registrato dall’indice Gpr, durante il quale il portafoglio sicuro ha registrato guadagni del 18%, a fronte di una perdita del 16 da parte del portafoglio rischioso.

Guerre & finanza: azioni giù, oro e bond decennali Usa su S&P

MSCI World

Gold

US 10-year

Guerra del Golfo (agosto 1990 febbraio 1991)

-14.2

-9.6

6.4

1.9

9/11 attacco terrostico (settembre-ottobre 2001)

-14.9

-14.7

8.9

4.1

Guerra in iraq (gennaio-marzo 2003)

-10.2

-9.0

9.6

5.6

FONTE: THOMSON DATASTREAM, SCHRODERS ECONOMICS GROUP. 14 MAGGIO 2019

Tensioni Corea del Nord-Usa, puntare sul rischio conviene L’ultimo periodo di incertezza geopolitica è iniziato nell’estate del 2017, quando la Corea del Nord ha condotto una serie di test missilistici per dimostrare la capacità del paese di effettuare lanci oltre i confini regionali. Le tensioni tra la Corea del Nord e gli Stati Uniti sono notevolmente diminuite a gennaio 2018, spiega il report, ma ottobre 2019

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il rischio geopolitico è rimasto elevato a causa delle guerre commerciali avviate da Trump con Cina, Canada, Messico ed Europa”. A chiusura di questo periodo periodo, il portafoglio rischioso ha registrato un guadagno dell’1,6% rispetto al 0,7% del portafoglio sicuro. Cosa insegnano questi cinque casi? «In primo luogo che quando analizziamo i rendimenti sul lungo periodo, il portafoglio sicuro sottoperforma il portafoglio rischioso in tutti i casi, tranne durante l’11 settembre e l’invasione irachena”. Anche se “il portafoglio rischioso, che ha iniziato a riprendersi nel secondo trimestre del 2003, non è riuscito a compensare le perdite subite durante il conflitto”. Nel complesso tuttavia continua il report di Schroders, «l’analisi suggerisce che se gli investitori sono disposti o in grado di ignorare la volatilità, investire nel portafoglio rischioso, rappresenta una strategia migliore rispetto al sicuro, in quanto offre un rendimento più elevato in quattro sui cinque periodi considerati». Inoltre l’allocazione rischiosa«performa meglio nel rapporto tra rischio e rendimento in ciascuno di questi quattro periodi». L’unica eccezione è la guerra in Crimea e quella contro l’Isis, durante le quali “le attività di rischio si comportano particolarmente bene nel semestre dopo il calo al disotto dei 100 punti del Gpr». Riassumendo, l’analisi empirica di Schroders dimostra che “il portafoglio composto da beni rifugio sicuri offre un rendimento superiore e rendimenti adeguati al rischio migliori, rispetto al portafoglio rischioso in quattro su cinque periodi in base al rapporto dell’indice Sharpe”. La terza simulazione riguarda il portafoglio dinamico, gestito in base all’andamento dell’indice Gpr, «risulta offrire un ritorno maggiore del portafoglio rischioso in tre dei cinque eventi e si dimostra migliore del portafoglio sicuro in quattro dei cinque periodi. La dinamica del dinamico, inoltre, offre un indice Sharpe più elevato rispetto al portafoglio rischioso in tre delle cinque fasi di rischio geopolitico, e superiore al portafoglio sicuro in quattro su cinque». Insomma «un portafoglio dinamico, che detiene beni rifugio è sicuro quando le tensioni diventano elevate e passa ad attività rischiose quando si dissipano, offre un rendimento totale più elevato rispetto a un portafoglio rischioso in tre dei cinque periodi considerati e in quattro su cinque, rispetto a un portafoglio sicuro». Wade e Lauro hanno 44

ottobre 2019

IL PORTAFOGLIO SU CUI CONVIENE PUNTARE È QUELLO DINAMICO PERCHÈ COMBINA I VANTAGGI SIA DELL’APPROCCIO SICURO CHE RISCHIOSO verificato anche se un portafoglio 60/40 (60% in attività rischiose e 40% in attività rifugio) potrebbe funzionare meglio del portafoglio sicuro. «La nostra analisi suggerisce che il portafoglio diversificato non fa migliorare la performance corretta per il rischio e che gli allocatori dovrebbero investire nel portafoglio sicuro non appena le tensioni iniziano a salire e il Gpr supera 100». L’ultimo esperimento contenuto nello studio riguarda il caso in cui il Gpr superi i 200 punti segnando un rischio geopolitico estremo, prendendo in considerazione i tre periodi in cui il portafoglio rischioso offre le migliori performance. “In questo caso abbiamo riscontrato i risultati più contrastanti. Abbiamo notato che alcuni di questi i periodi sono piuttosto brevi e che le attività rischiose iniziano a riprendersi prima che l’indice di rischio torni alla normalità”. Questi risultati possono anche stare a significare che gran parte del rischio viene scontato “prima che il GPR raggiungesse il livello estremo di 200 punti”. In queste simulazioni è ricorrente una caratteristica dei rischi geopolitici: essi “possono avere un impatto significativo sui rendimenti, ma temporaneo abbassando i prezzi delle azioni e supportando al contempo i beni rifugio. Identificare i cambiamenti nel corso di un rischio geopolitico è difficile, anche perché i prezzi delle azioni spesso recuperano entro pochi mesi la fine delle tensioni. “Di conseguenza, ignorare i rischi e mantenere le posizioni di rischio significherebbe affrontare una maggiore volatilità, ma anche ottenere miglio performance sul lungo termine”.

LA GUERRA VERA OGGI È QUELLA COMMERCIALE

L

o studio di Schroders sugli effetti della geopolitica sui comportamenti degli investitori e sugli investimenti stessi, parte dai fondamenti, ossia dalla definizione di rischio geopolitico. Un concetto che fa riferimento all’insieme di “problematiche derivanti da conflitti militari, cambiamenti climatici e Brexit”. Il rischio geopolitico non deve essere confuso con quello di “eventi attuali”, quali l’inizio di una guerra o di sanzioni nei confronti di un paese, i quali sono soltanto delle componenti di un contesto di rischio più ampio. La differenza tra i due concetti sta nella durata degli effetti prodotti. A monte dei cinque rischi ci sono fattori dai quali essi scaturiscono.

Per Schroders i fattori più recenti sono l’ascesa della Cina e la nascita dei movimenti populisti, con il crescere delle ineguaglianze economiche e sociali. Ormai gli Stati Uniti non sono più l’unico elefante nella cristalliera della finanza globale; da un po’ di tempo a questa parte Washington deve fare i conti con Pechino che, prevede Schroders, “raggiungerà il livello del reddito nazionale statunitense entro i prossimi dieci anni”. I due elefanti oggi si confrontano e si scontrano su vari campi di battaglia; primo fra tutti, quello della tecnologia: la “tech war” che si traduce, a sua volta, in una guerra sulla proprietà intellettuale delle soluzioni di automazione e intelligenza artificiale.



FASHION & LUXURY

La forza del brand di Gloria Valdonio

LA DOMANDA DI BENI DI LUSSO APPARE SOLIDA NEL LUNGO PERIODO TRAINATA DALLA NUOVA CLASSE MEDIA ASIATICA E DAL MARKETING VEICOLATO DAL WEB. IN LUCE LA COSMESI

S

ostenuto da una ricchezza che segue un’eclittica inversa da occidente verso oriente, da una classe media asiatica molto orientata ai consumi e trovandosi per il momento al riparo dalla guerra commerciale, il settore del lusso presenta prospettive interessanti di lungo periodo, nonostante le proteste di Hong Kong - che incide per una quota del 2-3% su fatturato del settore - abbiano raffreddato un po’ gli entusiasmi nelle ultime settimane. «Crediamo che il consumo di beni di lusso continuerà a essere forte nei decenni a venire grazie a tre megatrend: la crescita dei consumi da parte della classe media dei mercati emergenti, l’urbanizzazione, e il crescente desiderio di beni esclusivi da parte dei consumatori in generale», dice Zehrid Osmani, head of global longterm unconstrained di Martin Currie (affiliata Legg Mason). Che aggiunge: «Il settore beneficerà della forza dei grandi brand che, rimanendo altamente innovativi e creativi, avranno la possibilità di allargare l’architettura dei prezzi dei propri prodotti in tutti i settori». Il perimetro del settore Stiamo parlando di un settore le cui vendite hanno generato un fatturato nei primi cento gruppi di 247 miliardi di dollari nel 2017 (+13.8% rispetto all’anno precedente), con le prime dieci aziende che esprimono il 48% del volume d’affari complessivo. Con 265 deal registrati nel 2018, ben 47 in più rispetto al 2017, il settore del Fashion & Luxury conferma di essere un terreno incredibilmente fertile per l’attività di M&A e di continuare a crescere nonostante il rallentamento delle principali economie, Cina inclusa. L’industria del lusso infatti è sostenuta da una domanda a lungo termine incredibilmente solida. Secondo i dati del Fondo Monetario Internazionale, dal 1996 al 2018 il tasso di crescita annuale composto per il mercato globale dei beni di lusso personali è risultato pari al 6%, superando la crescita del Pil dell’area euro e degli Stati Uniti, rispettivamente del 2,5% e del 4,1%. Come spiega Andrea Cattapan, Cfa di Consultique, il settore negli ultimi dieci anni ha espresso tre punti di performance di più all’anno sull’azionario globale: «Un risultato conseguito grazie alla spinta dei mercati emergenti, ma soprattutto 46

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Nella foto in basso Zehrid Osmani di Martin Currie. Nelle pagine seguenti la foto in alto è di Stefan-Guenter Bauknecht di Dws, la foto in basso è di Stefano Milantoni di Deloitte

perché la maggior parte delle aziende ha visto migliorare i propri conti e ampliare i limiti geografici senza perdere le caratteristiche distintive del brand».

Previsioni al rialzo È opinione degli analisti che un’ingente crescita composta possa stimolare elevati rendimenti per gli azionisti, anche se il settore è ciclico e tende ad amplificare i corsi azionari nel bene e nel male come indica il suo “beta” superiore a 1, e in tal senso potrebbe risentire di un rallentamento economico globale. Le previsioni sono però concordi nell’indicare una crescita complessiva del 6% nel 2019 e nel 2020. «L’Europa sarà in assoluto l’area più lenta con una crescita del 2-3%», spiega Stefan-Guenter Bauknecht, head of global equity research di Dws. «Il 70% delle vendite in Europa sono infatti non-domestic, e quindi vittime del rimpatrio delle vendite di lusso nella Cina continentale. Inoltre un renmimbi più debole rispetto all’euro non favorisce le vendite. Infine la


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domanda domestica nell’Europa occidentale non dovrebbe crescere molto più del Pil, data la fase più matura del mercato». L’unico elemento di incertezza per le aziende italiane ed europee del comparto è l’adozione da parte degli Stati Uniti di politiche commerciali restrittive sui prodotti europei. Il mercato americano rappresenta infatti il 20% del fatturato delle aziende quotate del lusso e l’introduzione di dazi andrebbe a impattare i prezzi di vendita. «Tali dazi non solo riducono il potere d’acquisto dei consumatori, ma generano reazioni simili da parte degli altri Paesi. Ne consegue un aumento dei costi di produzione per le aziende, con possibili impatti negativi sulla loro competitività», spiega Bauknecht. Secondo lo strategist, a sorpresa, Londra proprio a causa dell’esito incerto della Brexit e della conseguente ulteriore debolezza della sterlina, potrebbe diventare la metropoli europea più attraente per l’acquisto di beni di lusso. Lusso “social”. Con o senza Hong Kong è la Cina il vero motore di crescita del settore e lo sarà anche in futuro. «La domanda proveniente da consumatori cinesi ha rappresentato negli ultimi anni oltre la metà della domanda totale e prevediamo che mantenga questo peso anche nel prossimo futuro», dice Elio Milantoni, partner e head of corporate finance advisory di Deloitte. «Infatti, a oggi, solo una minima parte della popolazione cinese è raggiunta dai principali brand del lusso, ed è prevedibile un ampliamento di tale porzione». In più, grazie all’alta percentuale di teenager cinesi già proprietari di casa, crescerà il potere di acquisto dei cosiddetti millennial, aumentando il già alto potenziale delle future esportazioni nell’area. «Le previsioni per il settore sono positive anche perché il fashion veicolato dai social raggiunge questa fascia di consumatori molto incline ai consumi”, è il commento di Andrea Carzana, gestore azionario Europa di Columbia Threadneedle Investments. Come spiega Lauren Carter, analista azionario di Capital Group, le vendite digitali, che oggi rappresentano poco meno del 10% dei ricavi, dovrebbero raggiungere il 25% entro il 2025. Ma, cosa ben più importante, internet inciderebbe sul

LA TOP 10 DELLE AZIENDE DEL LUSSO CLASSIFICATE IN TERMINI DI VENDITE # FY2017 Top 100

$ FY2017sales (US$billion)

% Sales growth

$ 28.0

17.2

$ 13.7

15.7

$ 12.8

#4

Kering SA - France

+1

$ 12.2

27.5

#5

Luxottica Group SpA - Italy

-1

$ 10.3

0.8

#6

Chanel Limited - UK

NEW

$ 9.6

11.5

#7

L’Oréal Luxe - France

-1

$ 9.5

10.6

#8

The Wwatch Group Ltd - Switwerland

-1

$ 7.8

5.4

#9

Chow Tai Fook Jewellery Group Limited - HK

+1

$ 7.6

15.4

-1

$ 7.4

10.7

Top 10

$ 118.9

14.2

Top 100

$ 246.7

10.8

LWMH Moët Hennessy Louis Vuitton SE - France

#2

The Estée Lauder Companies Inc. - US

#3

FONTE: DELOITTE

◀ ◀

PVH Corp. - US

#1

Compagnie Financière Richemont SA - Switwerland

◀◀ ◀◀ ◀ ◀ ◀ ◀ ◀

Change in rank

70% delle vendite attraverso il marketing e i consigli degli influencer sui social media.

Il lusso come esperienza Ovviamente la presenza online si sviluppa di pari passo con il tentativo di agganciare una clientela più giovane. Secondo alcune stime, nel giro di cinque anni i millennials costituiranno la metà del mercato del lusso rispetto all’attuale 30 per cento. Ma attenzione: questo target cambierà le modalità di fruizione del lusso e avrà impatti su tutta l’industria. «Viviamo in un’era di ubiquità, in cui i beni di lusso classici sono disponibili per chiunque alla portata di un’app, ma il cachet è diminuito», spiega Swetha Ramachandran, portfolio manager della strategia luxury brands di Gam Investments. Per questa ragione crescono modelli di consumo quali il noleggio/rivendita al posto dell’acquisto, anche nel settore dell’abbigliamento e accessori. «I consumatori tendono a spostare sempre più il proprio portafoglio da ottobre 2019

47


beni fisici verso “esperienze” di lusso uniche e differenziate tra le varie fasce di reddito, con categorie quali l’ospitalità di lusso, vini e liquori pregiati, automobili e ristoranti di fascia alta che nell’ultimo decennio sono cresciuti più velocemente dei beni di lusso personali», aggiunge Ramachandran.

L’unione fa la forza Se social e blog sono il moltiplicatore delle vendite, è anche vero che l’informazione digitale aumenta il cosiddetto fashion risk, ovvero la possibilità che qualcosa che è di moda oggi possa non esserlo più domani. Il modello vincente per gli analisti è quindi quello francese, cioè holding che collezionano una serie di marchi affermati e di qualità. La Francia, sede di alcune delle più grandi società di beni di lusso del mondo come Lvmh, Kering SA e L’Oréal Luxe, ha infatti conseguito la migliore crescita nelle vendite di prodotti di lusso, pari al 18,7% nel 2017, e il peso delle prime sette società francesi rappresenta il 23,5% del totale delle vendite di beni di lusso della Top 100 mondiale. «I titoli di gruppi che riuniscono una collezione di marchi affermati sono interessanti, poiché offrono una diversificazione per gli investitori», spiega Ramachandran. «Un’impresa come Kering, proprietaria di Gucci, Saint Laurent, Bottega Veneta, Balenciaga e alcuni altri marchi, offre questo vantaggio di diversificazione unita a un potenziale di rialzo della valutazione». Per quanto riguarda l’Italia, le nostre aziende sono ancora le più numerose della Top 100 (sono 24), ma realizzano solo il 14% dei ricavi totali globali (dati 2017). Luxottica, che si colloca al quinto posto è l’unica azienda italiana presente in Top Ten. «In futuro la maggiore sfida che saranno chiamate ad affrontare sarà fronteggiare le dinamiche di mercato, coniugando modelli di business innovativi con tradizione ed esclusività del prodotto che da sempre hanno contraddistinto il made in Italy», dice spiega Patrizia Arienti, Deloitte Emea Fashion & Luxury Leader. C’è lusso e lusso Ma su quale categoria di prodotti conviene puntare? Le preferenze degli analisti vanno alle società del soft luxury (pelletteria, abbigliamento, accessori) rispetto ai player del cosiddetto hard luxury (orologeria) a causa del maggiore appeal nei confronti del consumatore asiatico millennial. La cosmesi premium è un’altra area con forti opportunità di crescita, poiché continua a rafforzarsi l’attuale tendenza per la cura della pelle con L’Oreal e Estee 48

ottobre 2019

Da sinistra a destra Andrea Carzana di Columbia Threadneedle Investments, Swetha Ramachandran di Gam Investments, e Caroline Reyl di Pictet Am

Lauder ben orientati per trarre vantaggio da questo tema. Proprio Estée Lauder, insieme a Shiseido, Treasury Wine Estates, Pernod Ricard e Brunello Cucinelli, sono considerate le società favorite perché, come spiega Caroline Reyl, gestore del fondo Pictet-Premium Brands di Pictet Am, «hanno pubblicato solidi bilanci trimestrali, hanno superato le attese e rivisto in positivo o confermato la guidance per l’intero esercizio». Per contro, spiega ancora Reyl, i dati di società come Ferrari, Marriott, Accor e Tiffany si sono rivelati eterogenei. Sul fronte negativo infine Farfetch, che ha riportato risultati deludenti a causa di una flessione del fatturato negli Usa e una crescente concorrenza nel segmento degli articoli di lusso online che ha allarmato gli investitori. Un altro titolo amato dagli analisti è Moncler che, nonostante sia un’azienda monomarca, presenta un forte potenziale di crescita, mentre Ferrari è l’azienda che in assoluto potrà beneficiare dei trend del mercato dei beni di lusso di lungo termine. Quanto ai fondi specializzati, la scelta non è affatto ampia: sono quattro (Gam Luxury Brands, LO Global Prestige, Diversified Growth Company – Franck Muller Luxury, NN Luxury Consumer Goods) quelli specializzati nel lusso tout court, e altri quattro quelli che puntano sul concetto di Premium Brands. A questi si aggiunge il fondo multi asset (a cedola) Anima Patrimonio Globale Lusso&Moda 2024. I costi di gestione (che si aggirano sui 1,5-2%) scendono a circa lo 0,25% per gli Etf specifici, come Amundi IS S&P Global Luxury Etf e i vari Consumer Discretionary (Sdpr, Invesco, Lyxor, Dws, iShares) che investono su varie aree geografiche (Globale, Usa, Europa ed Emergenti).


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MERCATI FINANZIARI

Le 5 previsioni per la fine del 2019 di Zehrid Osmani

I

l rischio di recessione per ora resta basso. I mercati hanno alternato paure e distensioni riguardo il rischio recessione, anche se il sentiment è peggiorato negli ultimi tempi con il crescere delle tensioni commerciali, l’ulteriore declino dei rendimenti e l’invertirsi della curva dei rendimenti in alcuni dei principali mercati sviluppati. In genere quest’ultimo fattore è stato efficace nel predire l’arrivo di una recessione, almeno per quanto riguarda la curva dei rendimenti Usa. Questo ha alimentato le paure dei mercati sul quadro macroeconomico. È importante sottolineare due cose a riguardo: 1) i mercati azionari possono continuare a crescere per un po’ di tempo anche dopo l’inversione della curva; 2) potenzialmente ci sono dei fattori tecnici che stanno contribuendo a spingere i rendimenti in territorio negativo, il che potrebbe in qualche modo alterare la capacità predittiva di questo indicatore. La Cina dovrebbe riuscire ad evitare un hard landing L’indebolirsi dello slancio economico negli Usa e in Cina è stato evidente. Riguardo la Cina nello specifico, crediamo che le misure prese dal governo, sia per quanto riguarda il taglio fiscale che la spesa pubblica, dovrebbero consentire all’economia di evitare un hard landing, tenendo la crescita all’interno del range 6-7%, anche se probabilmente da qui alla fine dell’anno non si andrà oltre il 6,5%.

Le attività di M&A (fusioni e acquisizioni) continueranno a essere favorevoli Come prevedevamo, recentemente le attività di M&A sono aumentate: gli accordi di M&A annunciati quest’anno ammontano a circa 1.4 trilioni di dollari, ed è probabile che quest’anno si supererà la cifra di 2.35 trilioni di dollari registrata nel 2018. Stimiamo che, annualizzando gli accordi avvenuti finora quest’anno, la dimensione degli accordi di M&A nel 2019 sarà del 31% più alta rispetto al 2018.

Il potere di determinazione dei prezzi resterà un fattore chiave. Le pressioni inflazionistiche hanno avuto vita breve e le preoccupazioni per il mancato rialzo dell’inflazione sono cresciute, come mostrato dalle decisioni delle banche centrali. Le tendenze deflazionistiche innescate dalle innovazioni tecnologiche evidenziano il bisogno di focalizzarsi sulle società con un forte “pricing power”. I mercati sempre di più stanno giungendo alla stessa conclusione, con il re-rating di molte di queste società dall’inizio dell’anno. In questo contesto restiamo concentrati sulle componenti chiave del nostro processo di investimento unconstrained: la valutazione attenta del rischio-rendimento nella scelta dei titoli, la costruzione ponderata dei portafogli e il monitoraggio costante dei rischi per assicurare risultati ottimali ai nostri investitori.

Andamento previsioni crescita degli utili per azione

80 60 40

Next 12 months

Una recessione degli utili è già in corso e potrebbe peggiorare Le stime di consensus attualmente si aggirano nel range del +1-6% a seconda della regione, e a nostro parere probabilmente scenderanno verso lo 0%, a causa del minor slancio economico e delle previsioni di utili eccessive nelle stime attuali. C’è da aspettarsi dunque ulteriori revisioni al ribasso per il resto dell’anno, nonostante i significativi downgrade già registrati finora. Sottolineiamo anche come le stime sugli utili per il 2020 sembrino molto ottimiste, attestandosi a oggi a una crescita del 10% per l’indice MSCI World.

Nella foto l’autore del’articolo Zehrid Osmani, head of global long-term unconstrained di Martin Currie (affiliata Legg Mason)

20 0

(20) (40) (60) 2007

2008 USA

2009

2010

European Union

2011

2012

2013

Developed Asia ex Japan

2014

2015

2016

Global Emerging Markets

2017

2018

2019

Global

FONTE: MARTIN CURRIE

ottobre 2019

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OBBLIGAZIONI GREEN

Oltre l’etichetta verde di Gloria Valdonio

I

l Green new deal è come la new economy, ovvero un filone di investimento che è stato straordinariamente ricco a cavallo del millennio, ma ora perfettamente integrato nella produzione mondiale digitalizzata? Avverrà lo stesso per l’etichetta green dei prodotti finanziari? Detto in altre parole, i criteri ambientali stringenti (o, come si dice, “sostenibili”) diventeranno la buona pratica delle aziende nei prossimi anni nonché la spinta per ridisegnare l’industria del Terzo Millennio - al punto che per gli investitori istituzionali non si porrà più il problema di scegliere e premiare le società più virtuose? La tesi è suggerita dal report “Oltre i green bond” firmato da Gail Counihan, Esg analyst di Franklin Templeton Fixed Income Group, che offre un’analisi priva di enfasi rispetto a un mercato che cresce in maniera inarrestabile. Per definire meglio il perimetro del fenomeno, è sufficiente dire che già a fine 2018 i green bond avevano superato in dimensione asset class obbligazionarie come i bond convertibili e l’high yield europeo. Secondo i dati di Climate Bond Initiative (organizzazione no profit che si occupa di mobilitare il mercato obbligazionario globale, valutato in 100 miliardi di dollari, verso soluzioni che facilitino la transizione a un’economia a basse emissioni), alla fine di agosto l’ammontare delle emissioni di green bond stava raggiungendo 621 miliardi di dollari. Se ci concentriamo solo sull’indice Bloomberg Barclays Msci Global Green Bond, che è più rappresentativo dell’universo di investimento delle strategie di green bond, a fine agosto le masse totali erano pari a 317 miliardi di dollari, con 404 emissioni. Questioni di etichetta Nonostante la spinta allo sviluppo di questi prodotti sia sancita in più trattati, ecumenicamente sostenuta da organiz50

ottobre 2019

LO SVILUPPO DI QUESTI PRODOTTI DI INVESTIMENTO POTREBBE NON ESSERE PIÙ ESPONENZIALE, MA L’INDICE BLOOMBERG MSCI EURO GREEN BOND HA SOVRAPERFORMATO L’INDICE BLOOMBERG EURO AGGREGATE DI CIRCA IL 2% NEGLI ULTIMI 5 ANNI

Nella foto in basso Alban De Fay, head of fixed income Sri processes & green bonds di Amundi

zazioni e istituzioni internazionali (da ultima la Commissione Europea, che sta lanciando uno standard europeo per i green bond) e benedetta anche dalle banche centrali, che stanno iniziando ad attuare una politica relativa ai rischi climatici, Gail Couniham invita a riflettere. «Esiste», dice la strategist, «un’opportunità potenziale nell’individuare i titoli “non etichettati”, a sostegno di un futuro sostenibile, ma senza il premium dei green bond”. Secondo la Couniham infatti la crescita delle emissioni di bond verdi è stata davvero straordinaria («Nonostante questi prodotti non offrano alcun miglioramento di credito rispetto alle obbligazioni tradizionali e siano soggette a ulteriori obblighi di segnalazione»), ma è destinata a un ridimensionamento, poiché nel 2018 il mercato è cresciuto di appena del 5 per cento. «E mentre la crescita dei titoli provvisti di etichetta “green” potrebbe non essere più esponenziale esiste una chiara tendenza all’emissione di obbligazioni legate alla sostenibilità ambientale, probabilmente attraverso strumenti più diversificati», è il commento della strategist. Ambiente surriscaldato Non ultima la questione prezzo. Il report citato sostiene infatti che la domanda da parte di investitori con un’agenda incentrata sull’ambiente, «dovrebbe ulteriormente far salire i prezzi delle obbligazioni verdi». E’ effettivamente opinione generale che l’ambiente si stia surriscaldando. Le nuove emissioni di green bond riscuotono quasi sempre un grande successo con un rapporto medio di sottoscrizione tre volte più alto. «La domanda è altissima e il mercato primario è stato molto dinamico dall’inizio dell’anno», ,


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IL SISTEMA DEI GREEN BOND IN ITALIA SI È ATTESTATO A 10,3 MILIARDI DI EURO, CON 18 EMISSIONI CHE CONTRIBUISCONO PER IL 2,2% AL MERCATO GLOBALE DI QUESTI STRUMENTI dice Alban de Fay, head of fixed income Sri processes & green bonds di Amundi, il più grande asset manager europeo. «I green bond sono infatti un mezzo per finanziare la transizione energetica e gli investitori responsabili sono i primi a investire in tali strumenti. In ogni caso, anche gli investitori “agnostici” rispetto a questa tematica possono sottoscrivere green bond da una prospettiva neutrale. Infatti proprio come per le obbligazioni ordinarie, il rischio finanziario è legato alla qualità del credito dell’emittente». Performance Ma come si sono comportati finora questi prodotti? L’indice Bloomberg Msci Euro Green Bond ha sovraperformato l’indice Bloomberg Euro Aggregate di circa il 2% negli ultimi 4/5 anni. Se ci concentriamo sull’indice Bloomberg Barclays Msci Global Green Bond, il rendimento medio è risultato pari allo 0,61 per cento. «La nostra ricerca a campione mostra che c’è meno di un punto base di differenza di rendimento tra le obbligazioni verdi e i loro equivalenti non green dello stesso emittente, e tutti i nostri portafogli e fondi sui green bond hanno storicamente superato i normali indici a reddito fisso. Inoltre con l’evoluzione del mercato stiamo assistendo a una maggiore evidenza di sovraperformance dei green bond», afferma Bram Bos, lead portfolio manager green bonds di NN Investment Partners, che gestisce il fondo NN (L) Green Bond che ha superato la soglia del miliardo di euro di Aum a luglio 2019. La società olandese è pioniera della “dark green bond” e ha deciso – come spiega Bos - di etichettare alcuni emittenti come non green soprattutto per il loro coinvolgimento e la loro volontà di continuare a sostenere i progetti relativi ai combustibili fossili. «NN IP conduce le proprie analisi sul carattere ecologico dei progetti e su come questi sono integrati nella strategia generale di un’azienda», spiega Bos. Che chiude bacchettando l’Italia: «In Italia per esempio non abbiamo

Nella foto Bram Bos, lead portfolio manager green bonds di NN Investments Partners

visto alcun supporto per lo sviluppo di edifici verdi o la gestione sostenibile delle risorse naturali e dell’uso del territorio». Volatilità Quanto alla volatilità, gli strategist sostengono che nei periodi di avversione al rischio, le obbligazioni verdi mostrano una volatilità inferiore poiché gli investitori tendono a mantenerle in portafoglio. «I nostri dati indicano che, sia nei mercati primari che nei mercati secondari, il 72% delle obbligazioni verdi presentava rispettivamente dopo sette giorni spread minori rispetto alle obbligazioni ordinarie e il 62% dopo 28 giorni», spiega David Zahn, head of european fixed income di Franklin Templeton, che a maggio ha lanciato il primo Etf Euro Green Bond a gestione attiva in Europa. «La gestione attiva», dice Zahn, «ci consente di beneficiare al meglio delle opportunità di pricing. In ogni caso diamo valore anche nei titoli non etichettati Green, perché riteniamo che questo universo offra opportunità interessanti sebbene meno conosciute rispetto a quelli con marchio Green, perché sono titoli caratterizzati da una domanda relativamente bassa».

Offerta in Italia Dalla prima emissione nel 2007 l’Europa è rimasta una pietra miliare nel mercato globale delle obbligazioni verdi, con emissioni cumulative per un totale di 165 miliardi di euro. Quanto all’Italia a settembre 2019 il mercato delle obbligazioni verdi si è attestato a 10,3 miliardi di euro, con 18 emissioni che contribuiscono per il 2,2% al mercato globale dei green bond (fonte: Bloomberg), l’80% delle quali hanno un rating BBB. Il mercato è trainato principalmente da utility e società energetiche (78%), mentre la restante quota di mercato è detenuta da società finanziarie e industriali: tra queste Generali, che ha regalato un primato all’Italia con l’emissione a fine settembre del primo green bond di una compagnia assicurativa europea. Il bond ha raccolto ordini superiori a 2,7 miliardi di euro, pari a circa 3,6 volte l’offerta, da una base altamente diversificata di investitori istituzionali internazionali, nonostante il coupon sia il più basso mai pagato da Generali su un bond subordinato. ottobre 2019

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BORSA ITALIANA/1

La doppia vita (spericolata) dell’Aim Ma ora servono regole più stringenti di Marco Scotti

DA UN LATO ROBUSTO E IN CRESCITA COSTANTE, DALL’ALTRO FRAGILE E VULNERABILE A CAUSA DI ATTACCHI ESTERNI: IL MERCATO ALTERNATIVO DEVE DECIDERE COME DIVENTARE GRANDE

S

e dovessimo usare una sola parola o espressione idiomatica per descrivere l’Aim, il mercato alternativo di Borsa Italiana, come lo potremmo raccontare? Probabilmente l’immagine più adatta sarebbe quella delle montagne russe, con quel tipico andamento a scossoni, a sobbalzi, ora su ora giù, che spiegano bene che tipo di anno sia stato quello del mercato più “giovane” della Borsa Italiana. Perché questi nove mesi sono stati tra i più tumultuosi degli ultimi anni. Basta pensare a tre eventi: il tira e molla sul Decreto Crescita e la normativa sui nuovi Pir (o Pir 2); l’attacco del fondo speculativo Qcm (Quintessential Capital Management) contro Bio-On, una storia che ha dei risvolti legali che dovranno essere approfonditi nelle sedi più opportune ma che ha mostrato una serie di nervi scoperti dell’Aim; la liquidazione di Advance Sim. Ma, prima di tutto, per raccontare i primi nove mesi del 2019 dell’Aim serve partire dai numeri.

Lo stato di salute dell’Aim Il 2019 dell’Aim è stato fin qui positivo: tra giugno e luglio la capitalizzazione complessiva di questo mercato ha flirtato con quota nove miliardi, prima che la storiaccia di Bio-on (di cui parleremo tra poco) facesse scivolare il market cap del listino intorno agli otto miliardi alla fine di agosto (ultimo dato disponibile). Si tratta di una valutazione totale delle aziende quadruplicata rispetto al 2014. Anche il numero di quotazioni cresce in maniera costante: 25 ammissioni (22 Ipo e 3 business combination) tra gennaio e agosto, un dato analogo allo stesso periodo dell’anno precedente. Merito, tra l’altro, della normativa sulle Spac, che sono valse circa un quinto della raccolta complessiva che si è attestata a quota 157 milioni di euro. Secondo il consueto Osservatorio, il giro d’affari del mercato Aim Italia nel 2018 è pari a 5,6 miliardi di euro (5 miliardi nel 2017), con una crescita del +13%. Dall’analisi emerge un buon incremento dei ricavi 2018, che registrano un aumento medio del 30% rispetto al 2017, con una quota estera del 37%, mentre l’Ebitda mostra una performance analoga: +35% rispetto a 12 mesi fa. La crescita dei ricavi ha interessato l’84% delle società, con tassi di incremento superiori al 50% nel 17% dei casi. Le 52

ottobre 2019

società Aim impiegano circa 18.000 dipendenti, con una crescita, in media, pari al 22% rispetto al 2017 (circa 16.200 dipendenti). D’altronde, lo status di società quotata agevola l’attrazione: +54% è la crescita del numero delle risorse impiegate dalla data di Ipo a oggi. Ancora: l’Osservatorio Aim ha permesso di realizzare una sorta di “identikit” delle aziende quotate su quel segmento della Borsa Italiana. Si tratta di imprese con ricavi medi per 47 milioni di euro (nel 2018), con una capitalizzazione di 38 milioni, un flottante in sede di Ipo del 22% e una raccolta media durante la quotazione di 7,9 milioni di euro. Infine l’analisi delle società quotate evidenzia che il 46% di esse ha realizzato una raccolta inferiore ai 5 milioni di euro; il 21% una raccolta


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DA BANKITALIA AD ASSOGESTIONI, SONO IN MOLTI AD AVER CHIESTO LA CANCELLAZIONE DELLA NUOVA NORMA SUI PIR. CHE NEL PRIMO SEMESTRE SONO CROLLATI, CALANDO DI OLTRE 500 MILIONI

compresa tra 5 e 10 milioni di euro; il 6% compresa tra 10 e 15 milioni di euro; il 27% superiore a 15 milioni di euro. Il 46% delle imprese ha un flottante da Ipo inferiore al 20%; il 24% compreso tra il 20% e il 30%; il 12% tra il 30% e il 50%; il 18% superiore al 50%. L’altra faccia della medaglia Fin qui, dunque, numeri interessanti, qualche spunto per pensare che l’Aim effettivamente sia un mercato dinamico e dalle buone performance. Ma nulla di trascendentale, anche perché non sono numeri capaci di far tremare le vene ai polsi. Ma due sono le criticità di Aim che lo rendono ancora problematico e quindi – tornando alle metafore iniziali – acqua cheta e montagna russa al tempo stesso:

le dimensioni contenute lo espongono a fattori esogeni come un’incertezza normativa o attacchi speculativi. E se entrambi si verificano nello stesso anno, c’è soltanto da allacciare le cinture di sicurezza. Partiamo dall’incertezza normativa: se i Pir nel biennio 2017-2018 avevano fatto registrare buone performance, con una raccolta di 15 miliardi nel periodo, il primo semestre del 2019 non è stato altrettanto favorevole, complice una legge di revisione dei piani di risparmio individuali che è stata quantomeno convulsa. Con l’introduzione nella Legge di Bilancio (convertita in legge a maggio di quest’anno) della nuova composizione dei portafogli dei Pir, si sperava di aiutare le pmi a reperire capitali. Una quota del 3,5% del totale investito infatti deve confluire su aziende quotate sul segmento Aim e un altro 3,5% in venture capital. Il risultato? Complice la brutta picchiata della fine del 2018, nessun fondo ha predisposto Pir che avessero le nuove caratteristiche e, nel primo semestre del 2019, la contrazione a volumi dei Piani di risparmio individuali è superiore al mezzo miliardo. Secondo i dati ufficiali di Assogestioni pubblicati a fine settembre, nel secondo trimestre di quest’anno i Pir hanno avuto una raccolta negativa di 348,3 milioni, rispetto ai 2,2 milioni del primo. Inoltre, secondo il Sole 24 Ore, a luglio e agosto i deflussi sono stati negativi rispettivamente per 151 e 46 milioni di euro. Totale: 546 milioni che hanno abbandonato questi veicoli. Ed entro l’anno, sempre secondo Assogestioni, dovrebbero mancare all’appello altri 150 milioni, per un saldo complessivo di circa 700 milioni. Ma non è tutto: su sei Etf certificati sul sito di Borsa Italiana come Pir compliant, per tre è stata annunciata la liquidazione a causa della modifica della normativa (Etf Invesco Italian Pir Multi-Asset Portfolio, Etf Lyxor Italia Bond Pir e Etf Amundi Ftse Italia Pir), mentre altri due (Lyxor Italia Equity Pir e iShares Ftse Italia Mid-Small cap) hanno un patrimonio in gestione molto esiguo (attorno ai dieci milioni). Non basta, perché in questa situazione di pesante riduzione degli afflussi di capitale, è arrivata la richiesta di almeno due “mammasantissima” per ritornare sui nostri passi. Da una parte Bankitalia, dall’altro Assogestioni. Palazzo Koch, già a maggio, aveva messo in guardia dal rischio che «i fondi registrino

Marco Astorri, fondatore e amministratore delegato di Bio-On, azienda finita sotto attacco da parte del fondo speculativo Qcm a luglio di quest’anno, polverizzando in poche ore oltre il 60% della propria capitalizzazione sull’Aim.

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perdite derivanti da vendite di attività in mercati poco liquidi a fronte di episodi di forte volatilità dei corsi che inducano i sottoscrittori a liquidare l’investimento prima di conseguire il beneficio fiscale. Tali perdite potrebbero riflettersi negativamente sui risultati dei Pir e sulla reputazione degli intermediari che li promuovono. Proprio al fine di limitare questi rischi gli investimenti dei fondi aperti italiani in titoli di pmi italiane e in fondi di venture capital sono attualmente pressoché nulli». Una stroncatura pesante cui ha fatto seguito, pochi giorni fa, il presidente di Assogestioni Tommaso Corcos, il quale ha chiesto senza mezzi termini di “riavvolgere il nastro” e tornare alla versione precedente dei Pir che tanto bene aveva fatto. In un’intervista al Sole, Corcos dichiarava che i Piani individuali di risparmio «hanno avuto il grande pregio di avvicinare il pubblico retail al mercato dei capitali, l’imprenditore alla Borsa, di immettere liquidità e di aver favorito le Ipo. Insomma, hanno dato vivacità a un mercato che infatti adesso è fermo». Se dunque si può trovare un problema nell’Aim è il fatto che una norma fatta proprio per agevolarlo abbia al momento rallentato le sue performance.

Questione di… chimica Ma il vero tallone d’Achille del mercato più dinamico di Borsa Italiana è un altro, ed è rappresentato dalla grande volatilità cui può essere sottoposto se qualcuno decide di prendere di mira una o più aziende. Ma anche la facilità con cui un’impresa può essere assurta nell’Olimpo delle capitalizzazioni senza che abbia ancora dimostrato sul campo le proprie potenzialità. È una storia più americana che italiana, con le Ipo di grandi colossi del tech (Twitter o Snapchat) o di nuovi modelli di business (WeWork) che si tramutano in un incubo per i risparmiatori. Bio-on si quota in Borsa nel 2014 raccogliendo 6,9 milioni per meno dell’11% del capitale azionario, con un controvalore di 66 milioni. È tanto per un’azienda che garantisce di essere pronta a commercializzare una bioplastica ricavata dallo smaltimento di rifiuti ma che l’anno precedente ha registrato un fatturato di 1,23 milioni? Sicuramente è una valutazione significativa, ma si può pensare che questo sia stato fatto in previsione di una rivoluzione epocale che sarebbe arrivata di lì a poco. Solo che ancora non si è giunti lì dove i rifiuti agricoli diventano plastica interamente compostabile, anche se le premesse ci sono tutte e gli accordi – anche di peso, come nel caso di Hera – non possono far altro che far guardare con ottimismo al futuro. Ma dopo la metà di luglio di quest’anno il fondo Qcm decide 54

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Dall’alto nelle foto, il governatore di Bankitalia Ignazio Visco; il presidente di Assogestioni Tommaso Corcos; l’amministratore delegato di Borsa Italiana Raffaele Jerusalmi

(ovviamente con interesse, non certo per una meritoria opera di debunking) di andare all’attacco di Bio-on e di affondarla. La capitalizzazione della società emiliana, arrivata sopra al miliardo, tracolla, con il valore azionario che passa da 55 a 15 euro nel giro di una seduta. Fino a qui nulla di strano: nella storia dei mercati finanziari non è certo un unicum. Preoccupa un po’ di più però il fatto che un attacco speculativo su un singolo titolo possa creare scossoni all’intero mercato. Che in quei giorni ha visto calare il proprio valore pesantemente. Non sarebbe allora il caso, per evitare problemi così complicati da gestire, che alcuni titoli – segnatamente quelli relativi alle startup – venissero gestiti in un segmento “controllato” dell’Aim, in cui non tutti sono ammessi ma solo gli istituzionali, in modo da garantire la stabilità dell’intero sistema? E non sarebbe utile, al di là delle buone idee in materia di Pir, cercare di rendere ancora più robusto il mercato dei capitali dell’Aim, incentivandolo, come chiesto recentemente dal numero uno di Borsa Italia Raffaele Jerusalmi? E poi: dal momento che la procedura di quotazione sull’Aim prevede la presenza di un Nomad (Nominated Adviser) che aiuti l’impresa ad aprire le porte di Piazza Affari, forse bisognerebbe iniziare a vigilare in modo più puntuale su questi soggetti. È il caso di Advance Sim che, dopo aver accompagnato diverse aziende sull’Aim, come per esempio Il Fatto Quotidiano, è stata sottoposta a procedura di liquidazione dal Mef su proposta di Banca d’Italia. Ora, dal momento che Palazzo Koch non è proprio famosa per essere un fulmine a quando si tratta di questi interventi, significa che sono state riscontrate irregolarità particolarmente pesanti, che hanno costretto a prendere un provvedimento così drastico. Possibile che nessuno si sia accorto di nulla? Possibile che un mercato più piccolo, per carità, ma che comunque capitalizza oltre otto miliardi, possa muoversi con tanta “leggerezza” da non accorgersi che qualcosa non quadra? Perché il dovere di essere garantisti – e ci mancherebbe altro – non può cozzare con il fatto che la stessa Advance Sim fosse il nomad indicato per la quotazione della società Cyberoo ai primi di giugno di quest’anno, un mese prima di essere messa in liquidazione.


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BORSA ITALIANA/2

Integrae Sim, i segreti del Nomad leader nelle Ipo delle pmi

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uattro Ipo sull’Aim in nove mesi: un dato che ribadisce la leadership di Integrae Sim nel mercato dei Nomad e dunque nel promettente scenario delle piccole e medie imprese italiane che decidono di aprirsi agli investimenti… L’ultima è stata effettuata a fine settembre, con un risultato lusinghieri: il collocamento di 2.300.000 azioni ordinarie di Websolute - digital company italiane attiva nei settori della comunicazione e tecnologia digitale e del digital marketing e commerce collocate - a un prezzo unitario pari a 1,5 euro per azione, pari a 3,5 milioni incassati. La domanda di azioni è stata tripla rispetto all’offerta. Ma questa o quella quotazione vincente non basta, pur essendo molto apprezzabile, a fugare qualche ombra allungata sull’Aim Italia, nella sua storia recente, da alcuni episodi critici che sarebbe stato molto meglio evitare. C’è un modo sensato per costruire sui successi dell’Aim e superarne le problematiche che hanno determinato questi e altri inciampi? Una risposta va cercata nel modello organizzativo di quella figura chiave che sono le società che svolgono la funzione di Nomad, cui di fatto oggi l’ordinamento demanda in via privatistica una serie di presidi sostanziali che nel mercato

di Angelo Curiosi

TRE AREE DISTINTE CHE LAVORANO SU BINARI AUTONOMI PER ACCOMPAGNARE LE AZIENDE CLIENTI ALLA QUOTAZIONE A PIAZZA AFFARI

Nelle foto in basso, a sinistra Luigi Giannotta, direttore generale di Integrae Sim, a destra Francesco D’Antonio, responsabile corporate finance di Integrae Sim

azionario maggiore sono prerogativa pubblica. Ed ha senso studiare l’impostazione produttiva e organizzativa seguita appunto da Integrae, leader di mercato per operazioni effettuate e finora mai lambita da polemiche o tantomeno infortuni. Ebbene,un Nomad come Integrae ha strutturato la propria attività in tre aree distinte e ben separate che convergono sullo scopo sociale di accompagnare società all’Aim ma lavorando su binari autonomi. C’è il team del corporate finance con i key-executive; la divisione ricerche; e la divisione equity-sales e trading. Inoltre il vertice aziendale non si limita al coordinamento ma prende parte attiva alle operation e ne controlla dunque la corretta organizzazione. La tripartizione delle funzioni garantisce l’integrità e la professionalità dei processi. Come accade nelle grandi banche d’affari globali. E come serve per creare una scuola professionale che, oltretutto, sappia formare e trattenere talenti. Chi non ha in casa l’attività di equity sales e trading o la ricerca azionaria può naturalmente praticare prezzi più bassi alle società clienti (i.e. le quotande), il che peraltro stressa il mercato di questi servizi, rischiando di non assistere in modo ottimale le aziende nell’impegnativo percorso sul mercato dei capitali. È come vendere un’auto senza airbag, freni a disco, abs eccetera: per andare va, ma alla prima curva rischia il fuoristrada. L’Aim Italia sta diventando adulto e per questo è importante che gli imprenditori si affidino a strutture che abbiano al loro interno tutte le funzioni e dunque le competenze necessarie per assisterli al meglio, appunto le tre divisioni opportunamente indipendenti l’una dall’altra e separate dalle famose “muraglie cinesi” che garantiscono quest’indipendenza. «Oltretutto, questo approccio integrale al mercato», spiega Luigi Giannotta, direttore generale e fondatore di Integrae Sim, «è quello che ci ha suggerito il nome da dare alla nostra azienda quando abbiamo iniziato, richiamando insieme la scelta dell’integrità etica». «E il concetto di essere integri», conclude con un sorriso Francesco D’Antonio, responsabile del corporate finance di Integrae Sim, «richiama anche la capacità di essere sopravvissuti indenni alle crisi finanziarie anche meno recenti». ottobre 2019

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CREDITO

Un nuovo progetto di mutualità al servizio dei territori di Giuseppe De Lucia Lumeno (*)

LE BANCHE POPOLARI STANNO INVESTENDO PER RIDEFINIRE L’OFFERTA DI PRODOTTI E SERVIZI E UNA PIÙ MARCATA INGEGNERIZZAZIONE DI TUTTI I PROCESSI DI BACK-OFFICE

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li indicatori delle segnalazioni di Banca d’Italia di queste settimane hanno evidenziato, per le banche popolari e del territorio, una dinamica positiva con gli impieghi vivi (al netto delle sofferenze) cresciuti mediamente dell’1%, contro il -0,7% del sistema; la riduzione significativa del peso delle partite problematiche; una crescita della provvista dell’1,5% e del 3% per i depositi; nuovi impieghi alle Pmiche hanno superato i 6,4 miliardi di euro e quelli relativi ai nuovi mutui alle famiglie, 3,2 miliardi. Dunque un sistema, quello del credito popolare, che è in grado di confermare validità ed efficienza. È indicativo che 951 comuni italiani hanno soltanto uno sportello di banche popolari e del territorio su poco meno di 5.400 comuni bancati complessivi. Le sfide che si profilano all’orizzonte, in contesti di mercato sempre più concorrenziali, esigono tuttavia scelte ben definite per preservare e ampliare il ruolo del credito popolare. Per questo sono già state individuate nuove e più avanzate forme di collaborazione in un quadro che prevede una riformulazione del rapporto generativo con il corpo sociale, elemento insostituibile e indiscusso di spinta propulsiva. Nell’ambito di un ampio accordo di collaborazione progettuale le banche attraverso la Luzzatti Spa (società partecipata dalle popolari) hanno messo in campo una serie di iniziative dove le urgenze regolamentari e di contesto competitivo richiedevano 56

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Nella foto in basso Ignazio Visco, governatore della Banca d’Italia

interventi più immediati, tali da consentire un miglioramento sostanziale dei ratios patrimoniali e una maggiore solidità dei conti. Tali misure hanno riguardato l’avvio di una gestione integrata e più efficace degli Npl attraverso un insieme di di operazioni di cartolarizzazione per un contro valore di oltre 3,5 miliardi di euro con lo scopo di assicurare un impatto di medio e lungo periodo positivo sui conti e sugli indici di patrimonializzazione. A queste importanti operazioni se ne è aggiunta una ulteriore riguardante un progetto di cessione dei crediti Utp con l’adesione in forze delle banche socie già in una fase di avvio con una “prova sul campo” di verifica della dimensione dell’operazione comune. Le analisi messe in campo nei mesi scorsi attraverso l’ausilio di primarie società di consulenza nazionali e internazionali hanno evidenziato inoltre la necessità di programmare nuovi investimenti nella ridefinizione da un lato di una più efficace struttura dell’offerta di prodotti e servizi e dall’altra di una più avanzata ingegnerizzazione dei processi di back-office. Su questo versante la Luzzatti Spa si è rapidamente attivata e, con l’ausilio di consulenti di primario standing, ha messo in campo una serie di interventi con tempi e metodi di realizzazione certi. Si sta infatti lavorando alla definizione di strutture di acquisto comuni sulla formazione, sui servizi fiscali e alle imprese e sulle strutture di advisory. Un primo blocco di misure è stato portato a termine ed è già in fase di testing e applicazione mentre un secondo, con l’individuazione di soluzioni su back-office, sistemi informativi e data pooling comuni per la validazione dei modelli interni di rating è in avanzata fase di elaborazione. Tali iniziative, sotto la guida strategica della Luzzatti Spa, culmineranno con misure concrete nella razionalizzazione delle strutture organizzative e della rete delle filiali, fino alla definizione di modelli di gestione integrata delle passività con lo scopo di alleggerirle e renderle più efficienti. Il contenimento dei costi, senza sacrificio per efficacia e spirito mutualistico, è stimato fra il 20 e il 30 per cento.


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QUEGLI ERRORI DA NON RIPETERE NEL CREDITO Se i primi esiti positivi di questa attività di coordinamento stanno rafforzando nelle banche socie la convinzione di pianificare un ulteriore sviluppo delle attività sociali della Luzzatti Spa, il rilevante sforzo progettuale e realizzativo messo in campo dal credito popolare, coordinato della stessa Luzzatti, sta già configurando i risultati attesi per un futuro più solido e capace di intercettare, con maggiore efficacia, le esigenze della clientela imprese e famiglie per un rilancio dell’economia reale nei territori serviti. *Segretario Generale Associazione Nazionale fra le Banche Popolari

LE BANCHE ASSOCIATE* 2018 60

BANCHE

+1,2% IMPIEGHI A IMPRESE

+2,5% MUTUI A FAMIGLIE

265 MILIARDI

DI EURO DI RACCOLTA

225 MILIARDI

DI EURO DI IMPIEGHI

500.000 SOCI

6.100.000 CLIENTI

951 COMUNI

UNICA REALTÀ BANCARIA

*Associazione Nazionale fra le Banche Popolari

C’

è un bel saggio di Sergio Rizzo, già autore de “La casta” e oggi vicedirettore de La Repubblica, che applica alla società italiana la giustissima definizione rappresentata da un titolo icastico: “La memoria del criceto”. La tendenza, cioè, a voltar pagina e dimenticare con estrema, anzi troppa facilità, precedenti storici cruciali e scelte individuali incancellabili. Ne è stata ampiamente riprova – diciamo noi - quel che è accaduto sul campo, cruciale per l’economia, del settore creditizio, delle sue regole (ormai dettate quasi esclusivamente da organismi internazionali dove il nostro Paese conta pochissimo) e degli interventi che la politica nazionale ha fatto e tende ancora a fare. I mille giorni del governo Renzi furono devastanti, in tal senso. Si distinsero per la gestione trafelata e tendenziosa che venne fatta dapprima della crisi delle quattro banche poi liquidate – Etruria, Marche, Carife e Carichieti – poi delle due popolari venete e infine del Monte dei Paschi. Ma soprattutto per la decisione di buttare la palla in tribuna – cioè distorcere l’attenzione dell’opinione pubblica e della politica additando a esse un solo genere di responsabili – e dunque varando in malo modo la riforma, poi parzialmente naufragata, delle banche popolari e delle banche di credito cooperativo. Come per addossare alla categoria ogni colpa. Errori su errori. Tendenziosi o dettati da mera incompetenza, si vedrà, ma certo nocivi. E’ bene ricordarli, e ricordare chi li commise, tanto per prevenire qualsiasi tentazione di replica. Quel che è certo è che i fatti e la loro resilienza s’incaricano, presto o tardi, di ristabilire la verità. I dati sull’efficienza delle banche popolari, e sull’utilità del loro ruolo nell’economia nazionale, ricordati in queste pagine, confermano come la categoria sia stata trattata da capro espiatorio per ben altri problemi e ben altri responsabili. Ecco: ricordiamocelo. Non bis in idem. (Sergio Luciano)

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TREND

Primi passi verso l’Aim? Occorre passare per il private equity di Annalisa Caccavale

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entoventotto aziende per una capitalizzazione di 6,7 miliardi ad agosto 2019, erano 113 per 6,6 miliardi esattamente un anno prima. Questi sono i numeri delle quotate all’Aim, il segmento dedicato alle aziende di piccole e medie dimensioni che puntano ad accelerare i progetti di crescita e internazionalizzazione (sul tema del l’Aim abbiamo scritto anche a pagina..., n.d.r). Il mercato delle pmi quotate resta quindi piccolo e può essere sicuramente un motore per la crescita delle imprese ma non è sufficiente. Di certo abbiamo un sistema, la Borsa, che cerca di avvicinare il risparmio dei privati all’economia reale, “Il punto è che lo strumento con cui finanzi l’azienda deve essere adeguato alle sue esigenze” ci racconta Matteo Cirla, managing director di Igi Private Equity. «La crescita dell’impresa non è solo questione di soldi. C’è chi afferma che le società non crescono perché non hanno fondi né finanza e la Borsa è uno strumento per sopperire a ciò. Ma la prima risorsa di aiuto alle imprese è il capitale umano». Il ragionamento è chiaro: prima di arrivare a un aumento di capitale, l’imprenditore deve strutturarsi con un management in grado di affrontare le richieste del mercato, i report, la governance e la regolamentazione che una società deve avere se vuole affrontare le sfide della internazionalizzazione. Oggi la liquidità per finanziare le aziende non manca, servono però progetti costruiti e presentati in modo che un investitore possa valutarli. «Noi abbiamo investito, in passato, in round di private equity che hanno permesso poi all’azienda di approdare in Borsa e ci è stata riconosciuta l’importanza del percorso di sviluppo realizzato e del sistema di governance e 58

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IL PERCORSO TRA FONDO E BORSA VIENE VISTO POSITIVAMENTE DA TUTTI GLI OPERATORI. IL PRIVATE EQUITY INSEGNA, SUPPORTA E AIUTA LE AZIENDE A CRESCERE E DIVENTARE GRANDI

Nella foto Marco Canale, presidente e ceo di Value Italy Sgr

reporting costruito insieme», racconta Marco Canale, presidente e ceo di Value Italy Sgr. «Un modus operandi più organizzato e la managerializzazione della società è fondamentale per un accesso efficace nel mercati dei capitali». Altro tema è far concordare la visione di breve della Borsa e quella di lunga dell’imprenditore. «Se compri un capannone all’inizio appesantisci il bilancio. Il consensus a tre mesi confligge con la visione di chi annuncia l’acquisizione e la Borsa ti penalizza perché non vede il valore strategico dell’operazione. Nel medio periodo, il valore aggiunto sull’attività aziendale, permetterà all’imprenditore di crescere e valorizzare l’azienda. Queste diverse visioni vanno metabolizzate e spiegate al capo azienda che spesso non comprende le oscillazioni di Borsa», continua Cirla. L’approdo al mercato delle quotate quindi necessita di passi intermedi dove un fondo di private equity può avere un valore determinante. «Noi lavoriamo con aziende che per vari motivi non sono ancora pronte per la quotazione al mercato principale ma, in alcuni casi, possono prendere in considerazione l’Aim come alternativa futura”, racconta Nicola Emanuele, managing partner di Aksìa Group Sgr. «Quotarsi oppure aprire il capitale a un private equity, sono situazioni differenti che dovrebbero rispondere a esigenze diverse dell’azienda. In alcuni casi l’ingresso nel capitale di un fondo può favorire l’ingresso in Borsa dell’azienda anche se la quotazione può non essere ottimale per l’investitore. Se l’azienda cerca un partner che, oltre a fornire finanza, supporta la strategia di crescita, probabilmente è preferibile fare un percorso con un fondo di private equity. Mi è capitato d’incontrare società che, dopo avere affrontato il Programma Elite, hanno deciso di fare un’operazione di Pri-


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vate equity, pur considerandola il percorso offerto da Borsa, un’ottima palestra, cosa che condivido». Il percorso tra fondo e Borsa viene visto positivamente anche dal mondo dei consulenti: «La presenza di un investitore di rischio nella compagine sociale è sicuramente una buona palestra per le aziende che vogliono andare in Borsa», racconta Francesco Giordano, partner di PwC: «Dalle nostre ricerche emerge che un investitore di private equity, oltre a portare capitali, stimola l’azienda a sviluppare i processi interni e a dotarsi e a migliorare funzioni, quali per esempio il controllo di gestione, che di solito sotto una proprietà familiare sono considerate meno rilevanti. In generale dalla nostra ricerca dell’Economic impact del Private Equity emerge che le aziende possedute da tali operatori hanno un tasso di managerializzazione molto più elevato. Negli ultimi 5 anni, il tasso di occupazione dei manager nelle partecipate da tali operatori è cresciuto del 10% contro il 3% registrato in altre aziende comparabili».

NEL MIRINO DEI FONDI

Nella foto sopra Nicola Emanuele, managing partner di Aksìa Group Sgr. Nella foto in basso Francesco Giordano, partner di PwC

L’INVESTITORE OLTRE A PORTARE CAPITALI STIMOLA L’AZIENDA A SVILUPPARE I PROCESSI INTERNI E A MIGLIORARE LE FUNZIONI Se si arriva in Borsa ben strutturati si riesce a sfruttare in modo maggiore la possibilità che il capitale pubblico ti offre. Insomma, l’Aim e l’ingresso di un fondo di private equity sono due strumenti validi che possono inserirsi in un unico percorso di crescita aziendale, però serve fare il passo giusto nel momento adatto: il fondo di private equity, insegna, supporta e aiuta a diventare grandi; se vai in Borsa e sei piccolo sia a livello dimensionale sia organizzativo spesso la quotazione è un momento di liquidità isolato e una occasione persa.

Castelli Castelli è un’azienda veneta attiva nel settore dell’abbigliamento tecnico sportivo che fa capo alla famiglia Cremonese e è parte del gruppo Manifattura Valcismon che ha anche brand come Sportful (ciclismo e sci nordico) e Karpos (specializzato in trekking e outdoor). Equinox, fondo di private equity focalizzato sul mid market italiano ha rilevato una quota di minoranza della società in un’operazione di expansion. Trussardi Trussardi è un società lombarda conosciuta per la lavorazione della pelletteria e degli accessori; nel mondo il marchio italiano è sinonimo di lifestyle, eccellenza, tradizione artigianale, eleganza contemporanea. QuattroR, fondo di private equity specializzato in operazioni di turnaround, ha rilevato il 60% di Trussardi con l’obiettivo di rilanciare l’azienda e supportarne il piano quinquennale di sviluppo internazionale. Labware Labware è un’azienda marchigiana che produce Pos e altri servizi personalizzati per il mondo della ristorazione, utili per il monitoraggio del punto vendita oltre che per la fidelizzazione e l’analisi dei dati della clientela. Green Arrow Capital SGR, società di asset management che opera anche nei settori del private equity, energy and infrastructure, private debt, impact investments e fund of funds, ha rilevato una quota di maggioranza di Labware. Trime Trime è una società lombarda specializzata nella progettazione e nella produzione di torri di illuminazione, che grazie a un elevato livello di innovazione, ha conosciuto una grande crescita negli ultimi anni. Wise Equity Sgr, fondo di private equity che investe in pmi italiane, ha acquisito la maggioranza di Trime in un’operazione di buy out, che aiuterà la società nel suo piano di crescita esterna mediante acquisizioni. Foodness Foodness è un’azienda lombarda leader nel settore dei prodotti solubili “Free From” alternativi al caffè, tra cui ginseng, orzo, creme gelato, the, infusi, etc. Italian Strategy, il nuovo fondo di private equity di Riello Investimenti SGR focalizzato prevalentemente sui settori delle “4 A”, arredamento, alimentare, automazione e abbigliamento, ha comprato il 73% di Foodness in un’operazione di buy out.

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NUOVO ESECUTIVO E MERCATI

Un’altra chance per l’Italia è cruciale (e possibile) non sprecarla di Matteo Ramenghi*

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n seguito alla crisi di governo e alla formazione di un nuovo esecutivo guidato da Movimento 5 Stelle e Partito Democratico il rendimento del Btp a 10 anni è crollato dall’1,8% del 9 agosto a circa lo 0,8% attuale. Del resto, i mercati e le agenzie di rating avevano vissuto con nervosismo le dichiarazioni delle Lega riguardo a politiche fiscali più aggressive e le posizioni fortemente critiche nei confronti dell’Unione Europea. Non è un caso che il Movimento 5 Stelle e il Partito Democratico si siano dati come priorità il miglioramento delle relazioni con l’Unione Europea e un maggior coinvolgimento dell’Italia nelle decisioni chiave. Da questo punto di vista, sembrano esserci stato un primo risultato come la nomina di Paolo Gentiloni, ex presidente del Consiglio, a commissario per gli affari economici. Con i rendimenti dei Btp ai minimi storici, si apre un’opportunità di ridurre il debito che non va sprecata come è successo tante volte in passato. Le prime indicazioni in materia economica suggeriscono che la prossima legge di bilancio sarà improntata a un alleggerimento della pressione fiscale sulle fasce più deboli, probabilmente tramite la riduzione del cuneo fiscale, evitando allo stesso tempo l’aumento dell’Iva. La crescita economica si è affievolita in tutta l’eurozona, Germania e Italia in primis, e conseguentemente l’atteggiamento si sta orientando verso politiche fiscali meno austere. Anche per questo è possibile che la Commissione Europea conceda all’Italia una correzione dei conti più morbida di quanto sarebbe necessario. Il punto di partenza è una riduzione del deficit strutturale dello 0,6%, ma questo livello potrebbe essere anche dimezzato. I minor oneri di finanziamento, grazie al crollo dello spread, implicano minore spesa per interessi consentendo di recuperare un altro decimale già l’anno prossimo. Insomma la manovra potrebbe essere meno pesante di quanto si temeva. I leader della nuova coalizione hanno escluso un’imposta patrimoniale aggiuntiva rispetto a quelle esistenti sui conti titoli e sugli immobili. È noto che l’Italia abbia un’imposta sulle successioni tra le più favorevoli d’Europa e che da anni viene considerata oggetto di possibile revisione. A oggi non vi sono indicazioni che ciò possa avvenire in questa legislatura; queste misure potrebbero essere attivate in uno scenario di stress ma, sulla base dell’andamento dello spread e delle politiche monetarie intraprese dalla Bce, questo rischio appare molto diminuito rispetto a pochi mesi fa. Una ritrovata stabilità e armonia con l’Unione Europea potrebbero dare impulso agli investimenti in capitale fisso lordo. L’Italia è infatti uno dei pochi paesi avanzati a livello mondiale dove questi investimenti non hanno ancora recuperato i livelli pre-crisi finanziaria. 60

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PAOLO GENTILONI E DAVID SASSOLI, PER ENTRAMBI RUOLO CHIAVE NELL’UE

CON I RENDIMENTI DEI BTP AI MINIMI STORICI, SI APRE UNA GRANDE OPPORTUNITÀ DI RIDURRE IL DEBITO CHE NON VA SPRECATA COM’È SUCCESSO TANTE VOLTE IN PASSATO In particolare, in parallelo agli annunci della Germania, uno degli obiettivi del nuovo governo è di migliorare la sostenibilità ambientale dell’Italia, cosa che potrebbe creare un buon volano per il settore delle costruzioni se venissero affrontati temi come, per esempio, l’efficienza energetica delle abitazioni esistenti. Sarebbe un modo per far bene sia all’ambiente che all’economia. Anche dopo il crollo dello spread del Btp, i rendimenti – molto bassi in valore assoluto – restano notevolmente superiori a quelli di altri paesi del Sud Europa, come Spagna e Portogallo. Ulteriori conferme di stabilità politica e distensione con l’Unione Europea potrebbero portare a un afflusso di capitali comprimendo ulteriormente questi differenziali di rendimento. La combinazione di uno spread più basso e di politiche monetarie più espansive ha portato a una rapida compressione dei tassi sui mutui. Le quotazioni degli immobili italiani sono rimaste al palo da un decennio, tranne in parte la città di Milano. Potrebbero quindi esserci le condizioni per tentare una parziale convergenza verso il resto d’Europa. * Chief Investment Officer Ubs Wm Italy


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RISPARMIO GESTITO

Sgr e distribuzione cambia il modello ma non la relazione di Nicola Ronchetti*

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uasi 30 anni fa le reti dei consulenti finanziari introdussero un’ampia selezione di prodotti di terzi che garantiva per la prima volta in Italia un’offerta ad architettura aperta. Da quel momento nulla è stato più come prima. L’enorme massa di denaro accumulata dagli italiani ha attratto nel nostro bel Paese decine di SGR internazionali, ai CF non sembrava vero di avere – unici nel panorama dei professionisti della finanza nostrana – un’offerta così ampia, quando, per esempio, i loro colleghi bancari potevano scegliere solo tra prodotti “di casa” e obbligazioni strutturate della propria banca. Poi come capita quando ci si appassiona, si è passati dalla degustazione a una vera e propria sbornia: 3 le SGR con cui i cf volevano lavorare nel 2005, 13 nel 2017 su un’offerta che ne contava quasi sessanta. Considerato che ogni Sgr offre in media 25 fondi, ciò significa, che ogni cf dovrebbe conoscere almeno 325 prodotti, e che sappia differenziarli e adattarli alle esigenze dei loro clienti. Ciò richiederebbe doti da gestore, il CF è un professionista responsabile della relazione con i propri clienti e i loro bisogni dei quali si deve fare interprete. Il desiderio – più o meno inconscio - di ogni cf di voler fare il “piccolo chimico” per meglio seguire il proprio cliente, si scontra con i normali limiti umani, tant’è che spesso lo stesso cf rischia di cadere negli stessi bias cognitivi del suo cliente e alla fine di non offrirgli sempre le soluzioni migliori. Sono vivi nella memoria di tutti almeno 4 o 5 casi di prodotti “di moda” che in momenti di sbornia non pochi consulenti finanziari proponevano a man bassa ai propri clienti in ragione di rendimenti eccezionali, dimenticando il sano principio della diversificazione e che, una volta girato il vento, hanno deluso tutti, consulenti in primis. Dopo la stagione dell’architettura aperta è arrivata la stagione dell’architettura guidata, sia perché la complessità del mercato lo richiedeva ma anche per consentire ai cf di concentrarsi meglio sulla relazione con il cliente: soluzioni a “pacchetto” o “wrapped” concepite dalla mandante con sottostanti prodotti di case terze. Aumenta il peso dei “gatekeeper” o fund selector riferendosi a chi nelle aziende di distribuzione di prodotti di investimento – banche o reti di cf – ha un ruolo determinante nella selezione e nella scelta delle Sgr con cui lavorare. MIFID 2, contrazione dei margini, spin-

gono i distributori a spremere le fee delle Sgr mettendo in atto una dura selezione tra queste e promettendo a quelle selezionate masse maggiori per compensare fee minori. Di fronte al noto dilemma “make or buy?” alcuni dei distributori più importanti sembrano puntare più che in passato NICOLA RONCHETTI sul “make” e quindi sulle Sgr di casa per ridurre o comunque non dividere con terzi i margini sempre più risicati derivanti dalla gestione. L’architettura guidata è stata adottata dai più ma, evviva l’indipendenza dei cf, non da tutti: alcuni cf nella convinzione di fare gli interessi dei loro clienti possono ancora scegliere il singolo prodotto di investimento o la Sgr con cui lavorare. È però un dato di fatto che il modello architettura aperta “pura”, lasciando ampio spazio discrezionale al cf che per definizione non è un gestore professionista, nasconda in sé alcune pericolose insidie che vanno quanto meno scongiurate. Quindi ben venga la nuova stagione che potremmo chiamare del “sub-advisory” o delle “gestioni in delega” dove il distributore diventa più attivo tramite la creazione di una propria Sgr e di una suite di prodotti all’interno del quale i gestori delle case terze vengono delegati a gestire e molto spesso a replicare la gestione dei loro migliori prodotti sotto la regia del distributore con un evidente aumento del livello di controllo e quindi di ottimizzazione dei costi. In questa ottica suggeriamo di leggere il risultato dei nostri ultimi monitoraggi (Finer® CF Explorer e Finer® PB Explorer che hanno coinvolto oltre 5.000 cf private banker intervistati tra giugno e settembre 2019): le Sgr con cui i professionisti del risparmio vorrebbero lavorare è tornato a crescere raggiungendo il fatidico numero di 15 (+ 3 rispetto al 2018). In un mercato libero e dinamico come quello della finanza a questa fase ne succederà un’altra e poi un’altra ancora, nessuno riuscirà a limitare il libero arbitrio dei cf, garantendo a questi splendidi professionisti quella libertà da vincoli che ne ha decretato il successo negli ultimi 40 anni.

DALL’ARCHITETTURA APERTA A QUELLA GUIDATA, IL CONSULENTE RIMANE IL PROTAGONISTA

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*Founder e ceo di Finer


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FRODI

Storie esemplari di truffati e rimborsati di Giuseppe D’Orta

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ell’infinita storia delle truffe finanziarie esiste una piccola quanto fortunata categoria di investitori: sono coloro i quali hanno visto rientrare una porzione importante dell’investimento, a volte addirittura tutto il capitale. Una categoria di risparmiatori, si diceva, molto poco nutrita poiché i grandi crack portano grandi danni. Peggio ancora se si tratta, come spesso accade, di truffe piramidali. Eppure i fortunati esistono, come alcuni casi dimostrano. Intendiamoci: si tratta di veri e propri colpi di fortuna dovuti alla natura dell’investimento, alla presenza di transazioni con soggetti a vario titolo coinvolti, all’accertamento di responsabilità da parte di enti deputati al controllo o anche (eventualità che si registrava in passato, molto meno oggi) alla scarsa partecipazione dei danneggiati alle attività di recupero. L’unico modo sicuro per uscire indenni dalle frodi insomma è la prevenzione: non bisogna incapparvi.

Default Madoff, che recupero per gli investitori italiani Il più grande fallimento dei tempi moderni, sia per importo (ben sessanta miliardi di dollari Usa), sia per visibilità dei soggetti coinvolti, sia per la fama di cui godeva è quello della società gestita da Bernard Madoff, condannato nel 2009 a 150 anni di carcere. Proprio alcune settimane fa è stata messa in pagamento la quarta rata dei rimborsi, portando il tasso di recupero al 66,85% del capitale investito. Da notare come, dopo Usa e Giappone, i clienti italiani siano al terzo posto tra i beneficiari. Oltre a tanti istituzionali infatti Madoff attirava anche singoli investitori privati, di fascia medio alta, che hanno 64

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PIÙ IL CRACK È GRANDE PIÙ GRAVI SONO I DANNI E REMOTE LE POSSIBILITÀ DI OTTENERE UN RISTORO ECONOMICO. EPPURE ESISTONO DEI FORTUNATI CHE HANNO RIOTTENUTO QUANTO PERSO PER I RAGGIRI ALTRUI. VEDIAMO I CASI

Il gestore Bernard Madoff, condannato nel 2009 a 150 anni di carcere

affidato in media cinquantamila euro a testa. La procedura è affidata al Madoff Victim Fund, gestito da Richard Breeden, fondo istituito dal Dipartimento di Giustizia statunitense che ha a disposizione quattro miliardi di dollari raccolti da una transazione con Jp Morgan, banca di riferimento di Madoff. Titolati a ricevere i rimborsi sono le persone fisiche che hanno presentato domanda entro febbraio del 2014, provando di essere state vittime in maniera diretta, affidando quindi denaro alle società di Madoff, o anche in via indiretta, avendo investito in prodotti finanziari che abbiano a loro volta affidato somme a Madoff. Un aspetto importante è che i risarcimenti sono destinati anche a coloro i quali sono stati esclusi dal passivo fallimentare perché non sono creditori diretti. Sono invece escluse tutte le persone giuridiche e soprattutto gli investitori istituzionali, perché soggetti che avrebbero potuto evitare di investire con Madoff se avessero deciso di approfondire. Utile a tal proposito l’episodio che riguarda una controllata della holding bresciana Mittel, che era sì interessata a investire ma che evitò di farlo dopo che la società di Madoff aveva risposto in maniera negativa a due semplici richieste, ovvero il poter vedere le passate operazioni del fondo e il poter fare visita alla sede. I due strani dinieghi portarono i responsabili a soprassedere. Come si può comprendere la prevenzione è l’arma migliore a disposizione anche dei soggetti istituzionali.

Europrogramme, fruttuoso lavoro dei liquidatori Un episodio particolare è rappresentato da un celebre scandalo degli anni ottanta, quando il finanziere Orazio Bagnasco cominciò a collocare i certificati di diritto svizzero (defi-


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Nella foto il finanziere Orazio Bagnasco, che con il suo fondo Europrogramme è stato al centro delle cronache negli anni ‘80

niti atipici perché non regolati dalla normativa italiana) del fondo Europrogramme International, Serie 69 per 80 miliardi di lire sui 615 nel complesso raccolti, poi finito in liquidazione. Uno strumento allora sconosciuto in Italia che, oltre a promettere rendimenti allettanti, prospettava agli investitori una certa solidità perché puntava su un settore considerato sicuro come quello immobiliare. Il limite del fondo Europrogramme era quello di essere di tipo aperto: le sue quote cioè dovevano essere rimborsate in qualunque momento dietro richiesta. Il fondo venne messo in ginocchio da una catena di eventi, in particolare da una campagna stampa molto aggressiva che ne evidenziò il mancato inquadramento giuridico dei contratti, appunto atipici. Il risultato fu una raffica di richieste di riscatto che non ricevettero soddisfazione in quanto gli attivi del fondo erano logicamente rappresentati soprattutto da immobili e non disponeva dei liquidi sufficienti a pagare tutti i richiedenti. Non essendo in grado di far fronte ai riscatti il fondo dovette alzare bandiera bianca. Ancora oggi Orazio Bagnasco è accomunato agli altri “cavalieri dell’atipico” come Vincenzo Cultrera, Luciano Sgarlata e altri che ne seguirono le orme con intenti truffaldini, ma la storia di Europrogramme è ben diversa. Come fu successivamente appurato, la campagna contro Europrogramme non era nata per caso, ma nascondeva l’intenzione di impossessarsi dei cespiti del fondo. L’allora noto manager e finanziere Florio Fiorini, acquirente di numerosi immobili appartenuti a Europrogramme, in un processo in Svizzera che lo riguardava fu costretto a esibire un contratto segreto da cui si evinceva come il reale acquirente fosse l’ingegnere Carlo De Benedetti, proprietario de La Repubblica. La normativa di allora non consentiva di utilizzare quel contratto come prova in un procedimento penale italiano e il caso termino lì. Gli immobili di Europrogramme non ancora venduti hanno dato nel tempo i loro frutti, tanto che la liquidazione ha consentito il rientro di importi a volte superiori rispetto al versato. La liquidazio-

Nella foto in basso Walter e Giovanni Burani, condannati per bancarotta fraudolenta per le società del gruppo Burani

ne è infatti ancora aperta sebbene siano stati effettuati vari riparti soprattutto attraverso la fiduciaria Europrogramme (che detiene 52.805 mandati per 4.069.167 quote del fondo). Un ultimo riparto è avvenuto nel 2015, circa trent’anni dopo il crack. La procedura è affidata alla Pricewaterhouse Cooper di Lugano, mentre la fiduciaria italiana si può raggiungere attraverso la Deutsche Bank, che è la banca depositaria.

Caso Burani, costituirsi parte civile conviene Un caso particolare è rappresentato dagli appena 139 piccoli azionisti costituitisi parte civile risarciti mediante transazione (di cui non conosce l’importo, di sicuro consistente) nell’ambito del procedimento penale che ha portato alla condanna di Walter e Giovanni Burani, accusati di bancarotta fraudolenta per il crack dell’omonimo notissimo gruppo di moda, in particolare in relazione al fallimento delle società “Burani Designer Holding”, “Mariella Burani Family Holding” e “Mariella Burani Fashion Group” per oltre un miliardo di euro. I due imprenditori erano stati arrestati dalla Guardia di Finanza di Reggio Emilia il 28 luglio 2010, con l’accusa di aver dissipato il patrimonio della società attraverso operazioni finanziarie tra le quali anche il sostegno artificioso del titolo in Borsa. A metà 2008 infatti fu effettuata un’offerta pubblica parziale di acquisto lanciata, attraverso una subholding, da Bdh (Burani and Design Holding) sul 15 per cento del capitale di MBFG (Mariella Burani Fashion Group). Bdh era stata

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OTTENERE UN RIMBORSO DIPENDE DA VARI FATTORI: LA NATURA DELL’INVESTIMENTO, LA PRESENZA DI TRANSAZIONI, POCHI DANNEGGIATI NELL’ATTIVITÀ DI RECUPERO te la casa di moda, di cui sono infatti divenuti creditori chirografari. Creditori della società che essi stessi avevano portato al fallimento.

la prima società del gruppo a fallire e a essere accusata di estero-vestizione. Il Pm di Milano Luigi Orsi, durante la propria requisitoria, aveva descritto la frode come sistematica, parlando di una bancarotta da antologia creata non da un imprenditore che, disperato in un momento di difficoltà, fa un atto scellerato, ma di una gestione di impresa «illegale», nella quale «i bilanci tutte le volte vengono manipolati, pompati in virtù di un’attitudine criminale molto significativa». La fortuna delle parti civili deriva dal loro numero, appunto limitato, che ha consentito ai due imputati di sostenere l’esborso economico. Se si fossero costituti in tanti infatti l’accordo non sarebbe stato possibile, o lo sarebbe stato per importi singoli esigui. È per questo motivo che si è registrata l’unica occasione in cui, per un caso del genere, la costituzione di parte civile ha portato a dei veri frutti. Non è l’unica particolarità di quel processo: nell’aprile 2011 infatti i due imputati avevano presentato istanza di ammissione allo stato passivo del fallimento della “Burani Private Holding”, società di diritto olandese che controllava indirettamen66

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Nella foto la sede della Consob, che la Corte di Cassazione ha condannato al risarcimento di un gruppo di clienti della Girardi Sim per omessa vigilanza.

Vicenda Girardi Sim, quando è l’authority che rimborsa A volte invece il risarcimento avviene da parte di chi doveva vigilare e non l’ha fatto come doveva. Caso esemplare quello di Girardi Sim, iscritta all’albo nonostante ispezioni delle stesse autorità di vigilanza riportanti avessero riscontrato una situazione assai precaria. I clienti della Commissionaria di Borsa A.C. Girardi, divenuta con la riforma la Società di Intermediazione Mobiliare, e della controllante Centro Milano Finanziaria si erano ritrovati sul lastrico (120 miliardi di lire il buco complessivo) a causa di spregiudicate operazioni finanziarie, per le quali alcuni dei suoi esponenti erano stati imputati del reato di bancarotta per distrazione dei beni. Al termine di un procedimento lungo tre decenni, il mese scorso la Corte di Cassazione ha sancito un risarcimento di 4,5 milioni per un gruppo di clienti perché la Consob ha omesso, tra il 1988 e il 1991, di controllare il comportamento della Girardi quale società commissionaria ammessa agli anti-recinti alle grida, soggetta quindi alle prescrizioni di cui alla legge n. 216 del 1974 in ordine all’approvazione dei prospetti informativi di sollecitazione al pubblico risparmio, con poteri di sospensione dell’attività in caso di inosservanza. In riferimento al periodo successivo al 1991 invece l’omissione fu assai più grave: la società Girardi fu iscritta all’Albo delle Sim dietro semplice dichiarazione del presidente del collegio sindacale affermativa dell’esistenza di un capitale nella misura richiesta dalla legge. Eppure poco prima erano state condotte due ispezioni, una della Banca d’Italia e l’altra proprio della Consob, le quali si erano concluse con un giudizio negativo. I giudici della Suprema Corte non hanno usato giri di parole nell’affermare che il danno patito dai clienti è venuto a determinarsi in un contesto in cui erano emersi nel tempo fatti materiali, specifici e reiterati che consegnavano alla stessa Consob elementi gravi di valutazione sulla effettiva consistenza patrimoniale della Girardi e sulla correttezza e trasparenza delle condotte a essa riconducibili, tali dunque da imporre - al di là della stessa discrezionalità riservata alla Commissione l’attivazione decisa, dapprima (nel periodo sino alla richiesta autorizzazione di iscrizione dell’albo delle Sim) di poteri interdittivi nei confronti della società commissionaria e quindi (al momento della richiesta e successivamente) l’attivazione dei poteri di controllo, a vocazione anche sostanziale (in coerenza con la funzione pubblica rivestita), sul possesso dei requisiti di iscrizione necessari.


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a cura di Francesco Bellizzi

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IL FONDO DI ZEST ASSET MANAGEMENT

INVESTIRE IN NPL GARANTITI CON ASSET IMMOBILIARI, OGGI SI PUÒ ANCHE IN ITALIA

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a inizio anno a oggi la riduzione delle sofferenze accumulate dalle banche italiane si è ridotta del -39%. Una percentuale che in euro si traduce in 21 miliardi rispetto a marzo del 2018. Questo dato, offerto da un recente outlook di Abi e Cerved sulle sofferenze delle imprese non finanziarie, dimostra la forza che il mercato dei crediti bancari in sofferenza ha oggi in Italia. Secondo lo studio il tasso di deterioramento oggi è sceso al 2,4%, dal 2,6% del marzo 2018. Gli effetti sul sistema bancario nazionale sono ovviamente positivi. Come dichiara Bankitalia a aprile: “L’attuazione dei piani di riduzione delle posizioni in sofferenza, nel 2018, ha contribuito all’ulteriore calo dell’incidenza del volume complessivo dei crediti deteriorati sul totale dei finanziamenti”. Di conseguenza l’offerta per gli investitori interessati ai non performing loan si arricchisce sempre di più. Un esempio è il primo fondo su Npl e Utp immobiliari italiani lanciato il 10 settembre scorso da Zest Asset Management. Si chiama Héra Zest Npe Fund ed è un prodotto di investimento alternativo che ha l’obiettivo di acquistare, dagli istituti di credito e dagli altri soggetti istituzionali, crediti Npe (non performing exposure) che vengono garantiti da singoli asset immobiliari da valorizzare con interventi dedicati. “Il mercato dei crediti non performing in Italia offre opportunità interessanti visto che vengono ceduti a prezzi che vanno dal 30% al 40% del valore del credito lordo”, spiega in una nota stampa Antonella Ponte (nella foto), specialista investimenti alternativi Zest. Héra Zest Npe Fund è un fondo chiuso, denominato in euro, con una durata di 8 anni e un obiettivo di raccolta di 200 milioni di euro. Il fondo è costituito in forma di società a capitale variabile, qualificato come Raif (Reserved alternative investment fund) di diritto lussemburghese; è destinato a investitori istituzionali, family office e private banking ed è sottoscrivibile attraverso Aqa Capital Management, con un investimento minimo di 125mila euro. I target di investimento sono crediti deteriorati, di tipo non performing loan (NPL) o unlikely to pay (UTP), “single name”. Ogni credito viene garantito con un corrispondente asset immobiliare, principalmente di tipo residenziale, commerciale e ricettivo, con un valore contabile lordo tra 1 e 50 milioni di euro. L’investment manager del fondo è la svizzera Zest Sa, mentre l’ advisor tecnico è la società specializzata nella valorizzazione degli asset immobiliari sottostanti a crediti Npe, Héra Holding Spa, che si occuperà della due diligence e della valorizzazione dei debiti in portafoglio. I crediti saranno acquisiti tramite un veicolo di cartolarizzazione. 68

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I TITOLI AZIONARI SAUDITI SBARCANO IN BORSA ITALIANA CON HSBC GLOBAL AM I titoli del mercato saudita sono da oggi a disposizione anche degli investitori italiani. La novità arriva da HSBC Global Am che ha lanciato su Borsa italiana, a metà settembre, il fondo l’Hsbc Msci Saudi Arabia 20/35 Capped Ucits Etf. La domanda di azionario proveniente dall’Arabia Saudita sta avando un exploit da quando, ad agosto, il paese è stato inserito da Msci nel proprio indice Emerging Markets. Il nuovo Etf è studiato per replicare la performance dell’indice Msci Saudi Arabia 20/35 Capped, che traccia l’andamento delle azioni saudite presenti nell’indice Msci Emerging Markets. Con un Ter stimato dello 0,50%, l’Hsbc Msci Saudi Arabia 20/35 Capped Ucits Etf permetterà un accesso a circa l’85% del flottante di mercato delle azioni saudite con un’unica transazione. Gli investitori riceveranno il dividendo su base trimestrale. «L’Italia è un mercato importante per Hsbc Global Am e con questo nuovo Etf portiamo a 21 il numero di Etf quotati sul listino di Borsa Italiana», commenta in un comunicato stampa il managing director in Italia, Roberto Citarella (nella foto). Hsbc vanta una presenza di lunga data in Arabia Saudita, dove offre servizi di gestione del risparmio dal 2006. È un asset manager leader nel paese, con un team di oltre 25 professionisti con sede a Riyad per servire il mercato saudita. CERTIFICATI

I CASH COLLECT CON L’AIRBAG DI BNP PARIBAS

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no strumento ideale per chi cerca occasioni di investimento con premi periodici e al riparo dal rischio di ribassi del sottostante. Parliamo della serie di Airbag Cash Collect lanciata da Bnp Paribas. La serie copre panieri di quattro azioni, con premi annui potenziali compresi tra il 7,2% e il 10,8% e durata triennale. I certificati sono muniti di “airbag” (pari al 60% del valore iniziale) che, in caso di performance negativa fino all’80% del valore iniziale, permette di ottenere un rimborso sul capitale iniziale migliore rispetto all’investimento diretto nel sottostante o su un cash collect senza effetto airbag. La serie proposta da Bnp Paribas consente di ottenere premi potenziali con effetto memoria nelle date di valutazioni mensili anche nel caso in cui i sottostanti perdano terreno e la quotazione dell’azione in paniere superi il suo valore iniziale. Se alla fine del sesto mese di vita del certificato, o nelle successive date di valutazione mensili, tutte le azioni siano quotate a un valore pari o superiore al valore iniziale, il certificato scade anticipatamente e il valore nominale viene riconosciuto insieme al premio mensile e gli eventuali premi non erogati precedentemente (“effetto memoria”).


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FONDI MULTI ASSET ESG

LA FAMIGLIA DI FONDI SULLA SOSTENIBILITÀ DI FIDELITY INTERNATIONAL

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na nuova gamma di prodotti multi asset focalizzata sui criteri ambientali, sociali e di governance (Esg). È l’offerta prodotta da Fidelity International con la Famiglia di fondi sostenibili, la gamma Sustainable Family che offre una categoria di investimento best-in-class e una categoria di investimento tematica sostenibile. Mentre i fondi best-in-class selezionano con una gestione attiva le imprese con i punteggi Esg più elevati, i fondi tematici sostenibili applicano un approccio di investimento focalizzato sulla sostenibilità. La gamma Sustainable Family sarà composta da cinque prodotti: due strategie tematiche sostenibili, di cui una sulla

CESSIONE DEL QUINTO

BANCA SISTEMA ALLA TERZA CARTOLARIZZAZIONE DEL PORTAFOGLIO CQ

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anca Sistema ha avviato la terza cartolarizzazione del suo portafoglio sulla gestione del quinto. L’operazione segue le prime due operazioni lanciate tra il 2016 e nel 2017 e prevede un periodo di warehousing che si completerà indicativamente alla fine del prossimo anno. Quinto Sistema Sec. 2019, la società veicolo fondata per l’operazione, ha emesso 3 classi di titoli asset-backed securities (ABS), per un valore iniziale di circa 152 milioni di euro, incrementabile con il meccanismo partly paid fino ad un massimo di 780 milioni di euro. Dopo la cartolarizzazione la banca potrà beneficiare dei rifinanziamenti a lungo termine (Tltro III), decisi di recente dalla Bce, per un massimo di 295 milioni di euro. Rispetto alle precedenti cartolarizzazioni, la principale novità riguarda la presenza dell’istituto dell’ad Gianluca Garbi (nella foto) tra gli original lender diretti del portafoglio che in larga parte rimane fortemente diversificato in termini di soggetti erogatori.

gestione dell’acqua e dei rifiuti (FF Sustainable Water & Waste) e una sulla riduzione delle emissioni di carbonio (FF - Sustainable Reduced Carbon Bond Fund); e tre fondi best-in-class azionari e obbligazionari (FF - Sustainable Eurozone Equity Fund, FF - Sustainable Global Equity Fund e FF - Sustainable Strategic Bond Fund). Fidelity applica una strategia che combina engagement e esclusione per garantire che le imprese rientrino in determinati standard sostenibili. A lavoro 180 analisti nella selezione delle società su cui puntare, a cui si aggiunge il team di specialisti Esg di Fidelity. Questa attività di ricerca applica i nuovi rating proprietari sulla sostenibilità, che suddividono l’universo di investimento in 99 sottosettori.

FONDO REAL ESTATE

LA RIGENERAZIONE URBANA AL CENTRO DEL FONDO DI ACP SGR Le macro tendenze sociali e i cambiamenti demografici e i loro effetti sul mercato del real estate sono al centro di Irerf, l’Infrastructure Real Estate Recovery Fund, lanciato da Acp sgr che va alla ricerca dei segmenti ancora vergini degli investimenti alternativi illiquidi tematici a elevato impatto sull’ambiente e sull’economia reale. Il fondo è dedicato a investimenti in immobili anche di origine problematica, con destinazione urbanistica prevalentemente direzionale, ricettiva e residenziale, da riconvertire attraverso interventi di light capex di rigenerazione urbana in infrastrutture immobiliari sociali. Tra le riconversioni possibili Acp sgr cita i settori del coworking, lo student housing, l’hostelling e il co-living. Il tutto senza consumo di ulteriore suolo. La strategia di investimento è prevalentemente reddituale e Esg compliant. Acp sgr ha annunciato di avere già individuato, selezionato e analizzato un primo portafoglio target di investimento di 9 operazioni. La Sgr ha recentemente avviato l’attività di raccolta del fondo con primo closing atteso nei prossimi mesi. La durata del fondo è di 8 anni e il rendimento atteso è superiore al 6,5% annuo senza utilizzo della leva finanziaria (superiore all’8,5% annuo con l’ utilizzo della leva finanziaria).

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SEDIE & POLTRONE di Marco Muffato Casacche che si scambiano, volti noti che passano da un ruolo all’altro: il valzer delle poltrone è intenso nella finanza, dove vige ancora il merito e dove chi rende bene viene promosso o ricoperto di offerte allettanti. Agli HR il compito di attrarre i talenti, a noi quello di raccontare il risiko, oltre a notizie e indiscrezioni su un mondo ricco di costanti novità.

ASTOLFI AL TIMONE DI CAPITAL GROUP IN ITALIA

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n cambiamento di maglia importante nel campionato dell’asset management. L’apprezzato manager Matteo Astolfi (nella foto) ha lasciato M&G, dove ricopriva il ruolo di country head of Italy and Greece, per entrare in Capital Group dov’è stato nominato managing director per gli intermediari finanziari in Italia. Astolfi sarà responsabile della continuazione del piano di espansione in Italia e riporterà a Grant Leon, managing director per gli intermediari

finanziari in Europa e Asia. Il manager italiano lavorerà a stretto contatto con il team di Capital Group già presente in Italia per espandere il business e formare alleanze strategiche con gli intermediari finanziari per rendere disponibili i servizi di investimento di Capital Group agli investitori italiani. Astolfi ha così commentato: “Sono entusiasta di entrare in una società che vanta un processo di investimento distintivo, un track record comprovato e una lunga storia”.

ERSEL SIM NOMINA ROTTI A.D.

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l cda di Ersel Sim ha nominato Andrea Rotti (nella foto) nuovo amministratore delegato, con Guido Giubergia che mantiene la carica di presidente. La scelta di Rotti avviene nel segno della continuità e corona vent’anni di esperienza nell’attività di gestione, tradizionale core business del gruppo. Rotti, infatti, è entrato in Ersel nel 2000, nel 2006 ha assunto la carica di direttore delle gestioni patrimoniali e dal 2017 di condirettore generale di Ersel Am. Nel 2018, in seguito all’acquisizione da parte di Ersel della quota di maggioranza di Banca Albertini, ha ricevuto il coordinamento della direzione investimenti del gruppo, entrando poi nel 2019 nel cda dell’istituto milanese come supervisore area investimenti.

MOSSETTI VA IN CREDIT SUISSE AM

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arco Mossetti (nella foto), con oltre 20 anni di esperienza nella gestione azionaria, entra in Credit Suisse Asset Management come senior portfolio manager. Mossetti sarà basato a Milano ed entra a far parte del team delle gestioni istituzionali guidato da Anna Guglielmetti come responsabile dell’analisi e gestione azionaria globale. Mossetti proviene da Eurizon Capital dove è stato per sei anni portfolio manager e co-head della ricerca azionaria per l’Europa e gli Stati Uniti. Marco è entrato in Eurizon nel 1999 come analista globale per il settore tecnologia e in pochi anni è diventato responsabile azionario Usa.

MARCONI SCEGLIE SPEZZIBOTTIANI PER CHEBANCA!

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uccio Marconi (nella foto), rafforza la squadra centrale a sostegno della rete dei consulenti finanziari e lo fa con Simone Spezzibottiani, nominato responsabile wealth e marketing direzione cf di CheBanca!. Il manager proviene da Ubi dove ha ricoperto dal 2018 il ruolo di responsabile del supporto commerciale top private. Prima anco-

ra ha lavorato in Banca Generali Private realtà in cui è approdato nel 2015 come responsabile dello sviluppo commerciale della rete cf con patrimoni più consistenti, e precedentemente nel gruppo Deutsche Bank, ricoprendo ruoli di crescente responsabilità all’interno della direzione commerciale del canale consulenti finanziari.

PECORI GIRALDI PRESIDENTE DI HEDGE INVEST SGR

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l Cda di Hedge Invest Sgr, boutique indipendente specializzata in fondi di investimento alternativi, fondata nel 2000 da Antonello Manuli e da sempre controllata e gestita dalla sua famiglia, ha affidato a Galeazzo Pecori Giraldi (nella foto) la carica di presidente. Pecori Giraldi porta in Hedge Invest esperienze professionali e

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manageriali di altissimo profilo. Dal 2010 al 2018 alla Société Générale a Parigi con il ruolo di global head del private investment banking, precedentemente vice chairman di Morgan Stanley Europe a Londra e per oltre 20 anni presidente e amministratore delegato di Morgan Stanley in Italia e Svizzera.


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PROFESSIONE CONSULENTE Risponde Francesco Priore all’indirizzo priore.studio@virgilio.it Startupper e decano della consulenza finanziaria, Priore ha fondato l’Anasf e contribuito alla fondazione dell’Albo. Docente Universitario, autore e consulente di comunicazione e marketing finanziario. È stato direttore marketing della rete di Banca Fineco e membro del CdA di Consultinvest Sim.

CF, I COSTI DELL’ALBO ORA SONO TROPPI

INCERTO TRA 2 CF, CHI SCEGLIERE?

Carissimo Francesco, abbiamo

Egregio Francesco, ho avuto un cf

collaborato per costituire Anasf,

che mi ha seguito per 30 anni e in questi

farla crescere, generare l’Albo di

giorni ho incontrato un cf indipendente.

autodisciplina, ottenere l’Albo

Ha un’ottima fama, ha esaminato i miei

pubblico a tutela dei risparmiatori e

investimenti e ha confermato che è tutto

del mercato. Dall’Albo Consob poi a

ok; ci rivedremo per esaminare il mio

Apf e Ocf. A proposito di quest’ultimo

patrimonio. Ho solo una gran bella casa

organismo, polemiche recenti a parte,

oltre agli investimenti finanziari.

ho l’impressione che i cf sopportino

Non mi ha chiesto compenso, ma a fine

troppi costi e rischi senza un potere

anno mi fatturerà la consulenza sull’intero

decisionale adeguato o sbaglio?

patrimonio. Intanto la mandante mi ha avvisato che verrò contatto da un nuovo cf.

G.T. via email

C

arissimo Giuseppe, noi due siamo parte in causa, per cui le nostre sensazioni sono emotivamente viziate, allineerei i fatti e lascerei valutare ai cf. L’Anasf ha ottenuto nel 1991 l’Albo Consob e lo ha cogestito con la Commissione sino al 2008, con costi a carico dei cf. I Commissari Anasf giravano all’associazione tutti i compensi, circa 300mila euro l’anno, ricevendo dall’associazione solo un gettone di presenza. Nel 2007 la legge ha previsto l’istituzione di tre organismi, è decollato solo Apf cogestito alla pari da Anasf e dalle associazioni datoriali, con costi sempre solo a carico dei cf. Apf e oggi Ocf è gestita da un’associazione privata, se la governance è paritetica perché i contributi no? I contributi dei cf, oltre a coprire i costi di gestione, del personale e della governance, servono a praticare un prezzo “politico” per l’esame da cf, sono serviti ad allargare l’Organismo alle altre due categorie che dopo vari anni non riuscivano a decollare. Generosità nei confronti di chi talvolta non si esprimeva positivamente sui cf? No, come sempre lungimiranza. Bisogna far crescere anche il mercato dei concorrenti perché la competitività fa crescere. Infine si è addossata la Vigilanza, è un onore, ma l’onere, non quello della gestione della vigilanza, bensì dei danni da pagare in caso di errori, è sempre possibile, anche questo sarà a carico dei soli cf. E’ ancora lungimiranza?

Cosa mi consiglia? M.V. via email

G

entile Maurizio, lei di sicuro suscita l’interesse di professionisti seri. Prima di prendere una decisione incontri il nuovo consulente e capisca se può, nel tempo, ripristinare il rapporto che aveva col precedente. Il collega indipendente si è dimostrato molto serio e professionale, è raro che non si trovino pecche nell’attività di un competitor, anche se materialmente non lo è più. Se entrambi i cf le danno fiducia, solo allora decida secondo la convenienza. Nella situazione attuale lei sostiene solo i costi di gestione, che rimarrebbero inalterati, con il consulente indipendente lei dovrebbe pagare la parcella e, visto che il patrimonio è solo finanziario, se restasse immutato sarebbe un costo in più: sono certo che il consulente autonomo non emetterebbe parcella di consulenza sul valore della casa dove abita. Dica a entrambi i consulenti che vuole conoscerli meglio e vedere cosa propongono nel giro di sei-otto mesi. Solo dopo questa valutazione deciderà a chi affidarsi e da quel momento, se sceglierà l’indipendente, lo autorizzerà a fatturare. Un cliente col suo patrimonio merita un investimento. Mi faccia sapere. ottobre 2019

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POLE POSITION

a cura di Buddy Fox

IL FONDO LTCM E LA CANTONATA DEI DUE PREMI NOBEL

“S

pecchio specchio delle mie brame, chi è la più bella di questo reame?” Il quesito più famoso della storia cinematografica rappresenta in modo perfetto il sogno (neanche tanto segreto) di ogni venture-capitalist: scovare la migliore (la più bella) formula magica per trasformare in assoluta sicurezza il capitale in profitto. No, non è una fiaba: è ciò che è accaduto a Long Term Capital Management, noto come “fondo dei Premi Nobel” perché tra i membri del board c’erano i signori Myron Sholes e Robert Merton, due super cervelloni premi Nobel, Merton in particolare premiato per il suo studio sul valore dei derivati. Anche i ricchi piangono e pure i Nobel prendono cantonate. La scommessa concettuale dei due economisti, premessa filosofica di LTCM, è che fosse possibile conseguire guadagni, anche consistenti, minimizzando la probabilità di subire grandi perdite. Purtroppo per loro e per i loro investitori, la grande crisi finanziaria del 1998 (il classico “cigno nero” per dirla con Nassim Taleb) ha spazzato questa rosea ma insensata concezione.

Come in ogni storia horror che si rispetti il “fondo dei Premi Nobel” si trasforma in bubbone purulento che mette a repentaglio la solidità del sistema. Segue l’intervento della Fed che allora come oggi mette una pezza applicando la teoria dei “tagli preventivi”. Sipario. La morale della fiaba è sempre la stessa: anche i Nobel sbagliano e il guadagno privo di rischio è una bubbola a cui non crederebbe neppure Biancaneve, l’ingenua fanciulla felicemente accasata nel bosco con sette piccoli minatori. PS. La leggenda narra che la sera (fine settembre 1998, 21 anni fa esatti) in cui il capo della Fed, il mitico Alan Greenspan, orchestrò il salvataggio di LTCM chiamando al capezzale tutte le grandi banche statunitensi, l’unica che rifiutò il soccorso pare fosse Lehman Brothers. Cosa accadde dieci anni dopo (Settembre 2008, 11 anni fa esatti) invece è storia documentata. Come direbbero i latini “et nunc erudimini” il cui significato vale ancora oggi: “e ora imparate”.

LA FED E L’EFFETTO HOTEL CALIFORNIA

“Q

uando la marea cala scopri chi sta nuotando senza costume”. Metafora perfetta per descrivere l’allarme liquidità che inquieta la finanza americana e con essa tutto il mondo dell’economia. La metafora non è mia, ma del solito (geniale) Warren Edward Buffett, l’imprenditore ed economista statunitense soprannominato “oracolo di Omaha”, senza ombra di dubbio il più grande value investor di sempre. Il dubbio che invece turba i mercati finanziari è, giusto per restare in tema, di natura squisitamente idraulica: la Fed continua a immettere liquidità con annunci a cadenza quotidiana senza rendere esplicita “urbi et orbi” la propria strategia: perché lo fa, che obiettivi persegue, che malanni vuole scongiurare. Nonostante abbia indicato il range di oscillazione dei tassi d’interesse, il mercato continua a fregarsene con serena indifferenza costringendo la Fed ad immettere altra liquidità. Che - effetto Hotel California? - ovviamente non serve a nulla. Per usare una 72

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metafora montessoriana, come se un bonario insegnante minacciasse ripetutamente l’allievo discolo, un Franti consapevole che la punizione non giungerà mai a destinazione. Per tornare alla metafora idraulica dell’amato Warren Buffet, il guaio è di natura epistemologica: è sensato continuare a versare acqua (immetto liquidità) sperando così di riempiere la vasca da bagno, oppure è uno sforzo insensato perché le tubature vecchie e corrose sono peggio di un colabrodo? Come sempre è un problema di comunicazione e di fiducia. O se vogliamo, di fiducia nella comunicazione, che in finanza è poi (quasi) tutto. La domanda delle cento ghinee è dunque perché mai il buon Powell taccia. Il suo silenzio riguardo a obiettivi, problemi e strategie induce a pensare che una nuova crisi stia accucciata come un troll dietro l’angolo; che qualcuno o qualcosa (banche di sistema?) abbia forato le gomme o, peggio, ne sia del tutto privo.


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IL CRACK ANNUNCIATO DI THOMAS COOK

L

e coincidenze. Anche Thomas Cook come Ingvar Kamprad, il fondatore dell’Ikea, faceva il falegname. Le somiglianze però finiscono qui. Mentre l’azienda dei mobili e complementi d’arredo prospera, l’impresa dei viaggi più antica al mondo fondata nel 1841 è caduta rovinosamente nella polvere. Fondi pensione ed hedge fund piangono lacrime amare, per non parlare degli azionisti cinesi costretti ad arrendersi di fronte ad un debito che pare abbia raggiunto i 2 miliardi di euro (si teme possano essere molti di più). Chi paga il conto più salato come al solito sono i dipendenti, 22 mila persone a spasso dal mattino alla sera, per non parlare dei clienti abbandonati nelle varie località turistiche. Vi domanderete perché mai accosto Cook a Ikea, poiché la prima vende (vendeva) servizi mentre l’altra beni durevoli. Il punto di confronto e di contrappasso sta proprio in questo: la capacità di comprendere lo Zeitghest, lo spirito del tempo come dicono i tedeschi, i più bravi al mondo in filosofia. Mentre Ikea è entrata in un mercato - mobili e suppellettili – che era già vecchissimo ai tempi di Noè, il fabbricatore di navi in legno, innovandolo profondamente, Cook non ha saputo cogliere i segnali della più grande trasformazione dell’era mesozoica ai giorni

nostri, l’età del digitale. L’epoca che mette in condizione qualunque cretino purché computerizzato e dotato di carta di credito di: a) chiedere un prezzo b) confrontarlo c) scegliere il meno costoso/il più vantaggioso d) prenotare un volo, una stanza, un soggiorno e) acquistare. Il tutto in pochi minuti e pochissimi click. Come le lavanderie di fine ‘800 specializzate nella consegna a domicilio dei pannolini per bambini non si accorsero che a Chicago i signori Procter & Gamble stavano per ammazzargli il mercato con i loro miracolosi usa e getta, così quei simpaticoni dei signori della Cook, manager pagati paccate di sterline mica piadine di Romagna, si sono distratti un dieci o quindici anni. Giusto il tempo necessario alle nuove specie digitali per colonizzare il pianeta. Come i gloriosi dinosauri, i dominatori indiscussi per 65 milioni di anni, anche della nobile arte dell’intermediazione pare resteranno solo le ossa. Mentre Golia cade, tanti piccoli David nutrono sogni di gloria. A Piazza Affari gruppi ai più sconociuti come I Grandi Viaggi o Caleido Group fanno salti di gioia. Peccato che un gruppo come Alpitour non sia ancora quotato. Chissà se Mister Tamburi sta pensando di procedere a una accelerazione del processo di quotazione.

MADAME LAGARDE DEGNA EREDE DI SUPER MARIO

“J

e suis ici avec mon petit sac pour collecter de l’argent”, sono qui con la mia piccola borsa per raccogliere del denaro. Sono forse in pochi a ricordare il gustoso siparietto di cui fu autrice Christine Lagarde a Davos nell’ormai lontanissimo 2012. Senza giri di parole il nuovo capo del Fondo Monetario Internazionale, prima donna ad esserne eletta alla guida, chiedeva soldi per far fronte alla crisi del debito che attanagliava l’eurozona. Coerentemente con lo chic che la caratterizza, la signora Lagarde non agitava una cesta francescana bensì una Louis Vuitton, borsa di squisita fattura acquistabile su ordinazione per soli 4.000 euro. Qualcuno strillò per la supposta caduta di stile, per mancanza di sobrietà in un momento travagliato e difficile per milioni di persone. Ma al di là delle apparenze, come la sua storia dimostra, la futura guida della Bce è una persona che ha costruito la propria carriera con l’impegno e con il merito. È possibile essere eletti alla guida di una grande istituzione finanziaria senza essere esperti di politica monetaria e neppure di economia? La risposta è sì se ti chiami Christine Lagarde. La donna

che prenderà (1 novembre 2019) il posto di Mario Draghi alla testa della Bce è dotata oltreché di raffinata intelligenza politica, anche di una delle doti più rare: la capacità di esercitare la leadership. Ovvero di guidare istituzioni complesse e sofisticate nelle acque perigliose della politica internazionale contemporanea. Christine Lagarde ha iniziato la sua carriera politica nel 2005 a Parigi: ministro del Commercio, e poi dell’Agricoltura e infine delle Finanze, ruolo che le spalancherà le porte del Fondo monetario internazionale nel 2011 e successivamente 2016. Come sarà il dopo Draghi il prossimo novembre? I commenti sono unanimi: la sua candidatura appare a tutti gli effetti una scelta di continuità. Anche se in passato ha sostenuto politiche di austerità, la signora Lagarde proseguirà le linee-guida definite dal suo predecessore in tema di stimoli monetari sia pure in un contesto di rigoroso controllo dei bilanci pubblici. Tradotto operativamente, liquidità infinita, per le borse effetto bonanza. ottobre 2019

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TALENT

LA COMPETIZIONE TRA UN “FAI DA TE”, UN CF E UN ROBOADVISOR

Ottobre, gara a tutto bond “U

na poltrona per tre” è una competizione tra tre portafogli realizzati da un “fai date”, un consulente finanziario e un roboadvisor. ha la durata di un anno e prevede la possibilità di rotazione del portafoglio, con un cambio di massimo due strumenti, al termine del primo semestre. Ogni mese partirà una nuova gara. Aggiornamenti e confronti L’aggiornamento sull’andamento di ciascuna di esse avrà cadenza semestrale. Tre concorrenti che non copiano La composizione dei portafogli è elaborata

LE SCELTE DEL “FAI DA TE”

di Giacomo Damian

in completa autonomia dai partecipanti al talent e oltre ad avere lo scopo della competizione vuole offrire spunti meramente informativi inerenti l’impiego di strumenti finanziari quotati sul mercato regolamentato italiano. Le informazioni e le analisi esposte pertanto non costituiscono sollecitazione al pubblico risparmio qualunque decisione di investimento e il relativo rischio rimane a carico dell’investitore. Investire non si assume alcuna responsabilità per l’eventuale utilizzo che il lettore potrà fare dei contenuti esposti. ISIN

ottobre 2019

Per questo mese il profilo di riferimento è di rischio elevato. Va costruito un portafoglio che punta sul mercato obbligazionario alla difficile ricerca dei rendimenti

BUND E BTP PER COPRIRSI DAL RISCHIO BOLLA

“La madre di tutte le bolle” questa è la definizione XS1739839998 che hanno dato alcuni analisti dell’attuale rialzo del US45950VEM46 mercato obbligazionario mondiale, rialzo che US369604BF92 sembra interminabile, un rialzo secolare, ma che come ogni ciclo troverà prima o poi una US345370CR99 sua conclusione. Ed è proprio il finale che più incuriosisce, o meglio preoccupa, perché sono IE00BYNXPH56 in molti a credere che non sarà a lieto fine. Sarà una tempesta perfetta, dicono i guru del FR0011023621 settore, provando la metafora metereologica, è come se il mercato dei bond fosse colpito LIQUIDITÀ da una grave siccità, il giorno in cui pioverà, sarà un diluvio. In effetti questo rialzo ciclico sta avendo una durata esagerata, mai vista nel tempo: da quando il possente governatore della Fed, Paul Volcker, cominciò e vinse la sua guerra contro l’inflazione nei primi anni ottanta, quando l’inflazione era a due cifre, da quel momento è cominciato un percorso che da rendimenti a due cifre è scivolato fino a zero o quasi. Siamo ormai a 35 anni di mercato toro. Per chi non mastica il tema obbligazionario, c’è un concetto fondamentale da conoscere, l’obbligazione è composta da due variabili, il rendimento e il prezzo, elementi che si muovono in maniera divergente, se sale il rendimento scende il prezzo, e viceversa. Questo per capire che se i rendimenti sono schiacciati a zero, significa che i prezzi sono saliti moltissimo. Sono saliti così tanto da essere definiti una bolla, ora la sfida è capire quando scoppierà. Sì, quando? Ci hanno provato in molti a salire sul ring

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IL PROFILO DEL MATCH

FONDO

MIX

UNICREDIT PERPETUAL 5,375%

20%

IFC 6,3% 2024 (rupia India)

20%

GENERAL ELECTRIC 4.125% CALL 09OT42

10%

FORD MOTOR 4.346% CALL 08DC26

10%

BOOST BUND 10Y 5X SHORT DAILY ETP

10%

LYXOR BTP DAILY -2X INV UCITS ETF ACC

10% 20%

contro il T-Bond, il più alto rappresentate della sua categoria, ma sono tutti scesi con le ossa rotte. C’è chi l’ha definito il Mike Tyson degli strumenti, a mio avviso è più un Rocky Balboa, sembra cedere ogni volta, e ogni volta si riprende sferrando un colpo da ko. Ci provò Bill Gross, il grande gestore “the King of Bond”, quando nel 2015 definì lo short sul bund la scommessa della vita. A quel tempo il rendimento del bund 10y era a 0,20%, e sembrava assurdo, oggi siamo a -0,50%. Bill Gross si è ritirato dalla scena. Ci ha provato Michael Hartnett, il bomber di Bank of America, quando nel 2016 dichiarò “l’11 luglio è stato il giorno in cui è terminata la più lunga fase rialzista sul mercato obbligazionario” aggiungendo che il T-bond trentennale aveva toccato il rendimento minimo storico. Tre anni dopo siamo a livelli più bassi. Ci ha provato il Maestro Alan Greenspan, per alcuni uno dei fautori di questa bolla, che nel 2018 dichiarò “i prezzi delle obbligazioni sono troppo alti, c’è una bolla”,


INVESTIRE SPECIALIST

senza però azzardare la data di scadenza dello scoppio. Prima o poi finirà, ma quando?Per questo mese abbiamo tentato l’azzardo, un investimento per un profilo di rischio elevato, tutto sul mercato obbligazionario. Il rischio elevato è stato scelto per le motivazioni scritte sopra, e perché oggi trovare rendimenti è molto difficile, ed i rendimenti di un certo peso comportano ovviamente una buona

dose di rischio. Come potete vedere nel mio portafoglio, per trovare rendimenti succulenti, ho dovuto cercare in paesi extra Ue, Stati Uniti soprattutto, ma anche India. Per tutelarmi dal rischio bolla ho inserito due prodotti che scommettono sul ribasso di bund e Btp, oltre a mantenere una quota di liquidità, che in fasi delicate può essere utile in caso di emergenze o possibili, improvvisi, scivoloni.

LE SCELTE DEL CONSULENTE FINANZIARIO UN OCCHIO PARTICOLARE AGLI EMITTENTI DEL SETTORE BANCARIO E FINANZIARIO DENOMINAZIONE

ISIN

PESO

ACHMEA 4,625% PERP

XS2056490423

18%

DEUTSCHE BANK 6% PERP SUB

DE000DB7XHP3

16%

SOFTBANK 4% 19/09/2029

XS1684385591

16%

PEMEX 6,625% 15/06/2035

US706451BG56

18%

UNICREDIT 8% PERP SUB

XS1046224884

16%

EBRD 08/02/2021 ZC

XS1655322797

4%

H2O MULTIBONDS SR

FR0013393329

12%

Simone Canale (a sin.) e Antonio D’Ambrosio Lao Tzu dice: un lungo viaggio comincia con un solo passo. Ecco dunque le ipotesi macroeconomiche alla base di questa proposta riservata a clienti “professionali” con un profilo di rischio avanzato: la forte determinazione di Trump a essere rieletto fa pensare che nei confronti della Cina non si andrà verso uno scontro frontale, ma verso un aumento della regolamentazione. Sul tema Brexit non saranno consentiti colpi di mano da parte di Boris Johnson; la situazione italiana rimarrà sotto controllo con rendimenti in calo e in ultimo l’ipotesi di impeachment nei confronti di Trump non avrà successo. Il fatto che le banche centrali continueranno a sostenere l’economia con una politica monetaria espansiva, non implica tuttavia che il mercato azionario raggiungerà nuovi massimi poiché le valutazioni sono al di sopra delle medie storiche e i tassi di crescita di fatturato e utili vengono rivisti al ribasso. Qual è dunque l’allocazione ottimale tra azioni e obbligazioni in portafoglio?

Pensiamo che selezionare delle obbligazioni, con un adeguato profilo di rischio rendimento e con una duration appropriata ad uno scenario in rallentamento economico, oggi sia la miglior soluzione. Un’ulteriore compressione dei tassi nel prossimo futuro, con anche i T-Bond che potrebbero esplorare il mondo dei tassi negativi, ci portano a privilegiare questa allocazione. Infatti, nonostante oggi vi siano già 16 triliardi di bond con rendimento negativo sul mercato, permangono delle opportunità interessanti con rendimenti anche superiori al 5% in euro e 6,5% in dollari. A livello settoriale vengono privilegiati emittenti del settore bancario e finanziario europeo con emissioni sia in euro che in dollari. Obbligazioni, definibili ad alto rendimento, che originano un flusso cedolare medio in portafoglio vicino al 5%.Un’esposizione al dollaro compresa tra il 30 e il 35%, un 3-5% di lira turca tramite un’Ebrd Zero Coupon con scadenza nel 2021 e il 10% del Fondo H2O Multibonds (fondo obbligazionario/alternative di cui si è parlato molto quest’anno) completano la nostra proposta. Monitorare giornalmente ll’andamento del portafoglio e aumentare il più possibile la diversificazione degli emittenti al fine del contenimento del rischio sono inoltre due elementi base che assumono un’importanza rilevante se si volesse optare per questa allocazione.

LE SCELTE DEL ROBOT (elaborazioni di Investire sui dati Deus Technology) Il rendimento è figlio del rischio, questo è il concetto classico e di base, che ogni investitore piccolo o grande che si affaccia sul mercato obbligazionario, dovrebbe stamparsi e tenere sul proprio comodino. Da leggere ogni giorno, da imparare a memoria, perché è su queste fondamenta che si è sviluppato il mercato obbligazionario. Concetti che però, nell’attuale fase irrazionale di mercato, possono essere

tranquillamente cestinati, cancellati e dimenticati. Oggi il rischio è ovunque, anche dove il rendimento è bassissimo, anche dove il rendimento è zero, o peggio dove il rendimento è negativo. Sì, avete letto bene, negativo, perché una delle grandi irrazionalità del nostro tempo è che oggi le parti si stanno invertendo, oggi è il creditore che paga un rendimento al debitore. Vi sembra assurdo? Provate

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TALENT

a prestare i soldi al governo tedesco, darete 100 e in cambio, non solo non riceverete un rendimento (come sarebbe dovuto), ma vi sarà restituito 99,50, cioè meno di quanto avrete prestato, per di più a un paese ritenuto dalle agenzie di rating come super affidabile. Tutto questo accade grazie alle banche centrali, che negli ultimi anni da arbitro sono diventate protagoniste del mercato, continuando a stampare denaro usato per comprare titoli di stato e comprendo quasi tutta l’offerta di questo prodotto schiacciandone i rendimenti. Il risultato dè che oggi circa 16 miliardi di titoli di stato hanno un rendimento negativo, e non solo, ora anche molte obbligazioni corporate stanno seguendo la stessa china discendente. Trovare rendimenti è molto difficile, e non è l’unico rompicapo, perché oggi cambiano le regole di base ma cambiano anche i punti di riferimento. Uno su tutti è la

curva sui rendimenti, la regola dice che se il rendimento del TBond a 2 anni taglia dall’alto al basso il rendimento del TBond a 10Y una recessione economica si avvicina. E’ accaduto più volte nell’ultimo periodo, ma il Pil Usa segna ancora un corposo rialzo. Trovare rendimenti è un’impresa sempre più ardua, minimizzando il rischio poi è un’opera per pochi. Noi abbiamo la fortuna di avvalerci dell’abilità di Deus Technology, che ha realizzato il portafoglio adatto al profilo richiesto. Come potete notare dalla sua composizione, anche in questo caso è necessario emigrare oltre la frontiera europea, fino ai Paesi emergenti, e soprattutto cercare nell’ultimo baluardo del rendimento che sono i bond high yield. A questi si aggiungono le banche italiane e il titolo di stato tricolore, gli unici in Europa a essere ancora a rendimento positivo. Per quanto ancora?

SPAZIO AI BOND HIGH YIELD PER SCOVARE I RENDIMENTI ISIN

NOME

13/09/2019

IE0030011294

BNY Mellon Global High Yield Bond A Dis EUR

13,90%

LU0603408039

MSIF Emerging Markets Corporate Debt A Acc EUR

11,10%

US023135AJ58

Amazon.com-2.5 Amazon 22 Nst-29/11/2022 CF USD

15,60%

XS1083986718

Aviva-Aviva 44 VRN Reg-S-03/07/2044 MX EUR

25,20%

XS1754213947

UniCredit-1 UniCredit 23 Bds-18/01/2023 CF EUR

9,20%

IT0005327306

Italy-1.45 Italy 25 Bds-15/05/2025 CF EUR

13,20%

United States-2.875 US Tr Nts 25-31/05/2025 CF USD

11,80%

US9128284R87

L’ASSET MIX DEL MESE PESO

MACRO

OBBLIGAZIONARIO

100%

MICRO

Fondi obbligazionari Obbligazioni corporate Obbligazioni bancarie Oblligazioni governative

The winner is... 13,84% 8,41% CF FRANCESCO BELLOCCHI

“FAI DA TE” GIACOMO DAMIAN

5,20%

ROBO ADVISOR LA CLASSIFICA È RELATIVA ALLA GARA INIZIATA CON IL NUMERO DI MARZO DI INVESTIRE

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PESO

25,00% 15,60% 34,40% 25,00%


INVESTIRE SPECIALIST

Enel ora è la regina di Piazza Affari I

GRANDI VIAGGI: da anni ormai etichettato, o peggio marchiato, come il listino dei titoli finanziari e bancari, Piazza Affari agli osservatori attenti offre anche aziende di grande valore e potenzialità, spesso totalmente inespresso. La specialità della casa è la mid-cap, piccola e media azienda che negli ultimi anni anche i piccoli risparmiatori hanno conosciuto nel formato “star”, ma se si osserva bene, usando la lente di ingrandimento, si scopre che c’è anche molto altro. L’azienda che vogliamo proporre questo mese è I Grandi Viaggi, società in miniatura, capitalizza intorno ai 60 milioni che presenta però una dote molto rara: conti in ordine e poco debito. L’ultimo bilancio (i primi nove mesi) presenta ricavi per 37 milioni (+5%) e soprattutto una pfn ancora positiva per 23 milioni. Soci di maggioranza del gruppo sono la società Monforte srl di Luigi Clementi (55,6%) e Maurizio Maresca (7,789%) importante immobiliarista nel settore del turismo. La società, come dice il nome, si occupa di turismo, settore portante della nostra economia, ancora poco valorizzato. Si sente ripetere spesso che l’Italia potrebbe vivere anche solo di turismo, Tamburi l’ha capito e infatti ha investito massicciamente su Alpitour, il mercato è vasto e di canali di sviluppo ce ne sono molti. I Grandi Viaggi possiedono 11 strutture (7 italiane e 4 estere) dai 4 di 21 anni fa, periodo in cui fu quotata. Ciò che non cambia è il prezzo di borsa, che nonostante lo sviluppo rimane lo stesso 1,60 circa, lo stesso del 1998. La mancanza di visibilità è uno degli handicap, Banca Akros è l’unica a seguire il titolo, concentrandosi però solo sui numeri e trascurando il patrimonio immobiliare, il valore aggiunto inespresso. Una mossa vincente potrebbe essere la distribuzione di un dividendo straordinario, ma dalla società sembra non esserci la volontà. Ora, con il fallimento del gigante Thomas Cook, si aprono nuove fette di mercato. E se invece I Grandi Viaggi diventassero una preda? ETFLIX: “la casa di carta” brucia! La fortunata serie televisiva spagnola ideata da Alex Pina, arrivata alla terza parte, gratificata da numerosi riconoscimenti della critica televisiva e dagli ascolti, sembra non essere in grado di sostenere Netflix, la società che la mette in streaming. Il motivo? Sempre lo stesso, Netflix ha una notevole produzione, un costante aumento di nuovi abbonati (anche se l’ultimo trimestre ha avuto una crescita inferiore alle stime), una forte crescita dei ricavi (+26% l’ultimo trimestre), ma soffre di una malattia molto comune tra i big della Silicon Valley: il cash burning. Brucia ancora troppa cassa, forse qualcuno inizia ad accorgersene. In più c’è una pressante concorrenza, sia da Disney, e ora anche da Apple, che recentemente ha annunciato il mega investimento

N

FESTEGGIAMENTI DOPO L’ASSEGNAZIONE DELLE OLIMPIADI 2026 A MILANO

in Apple Tv+, un servizio streaming con ampia offerta e un costo contenuto solo 4,99€ al mese, un piano volto a spodestare quello che era il regno incontrastato di Netflix. Secondo Barron’s Netflix a questi prezzi è un affare, il titolo ha ceduto il 30% nell’ultimo trimestre, la motivazione? Comprare semplicemente perché è sceso troppo. E se dovesse scendere ancora? Probabilmente a comprare ci penserebbe un concorrente. Un’opa? Questo sì sarebbe un affare. ISANAMENTO: dell’assegnazione delle Olimpiadi invernali nel 2026 abbiamo già detto, un successo che ha agevolato la crescita del titolo giunto ora a una performance del +100% da inizio anno. Ma c’è molta altra carne al fuoco per questo gruppo, che come dice il nome, è pronta a rinascere sia a livello finanziario che industriale. Le prossime tappe: l’accordo sulla gestione delle torri Sky presenti nell’area Santa Giulia di proprietà di Risanamento, l’approvazione del Comune di Milano sulla variante come da piano regolatore e dal 2020 la bonifica dei terreni di proprietà. Area Santa Giulia dopo un periodo di abbandono, ora è pronta a splendere, tanto che la società australiana Lendlease (per ora partner), secondo alcune voci, sembra sempre più intenzionata a rilevare tutto il pacchetto. E poi c’è la “black list”, la lista dei cattivi dove la Consob relega le società da osservare per i conti ancora non in ordine, che ci fa una Risanamento risanata lì dentro? NEL: +35% da inizio anno, uno dei migliori titoli del Ftse Mib, un rialzo che le permette di raggiungere i 68 miliardi di capitalizzazioni. Enel è ora la regina di Piazza Affari, il sogno che si realizza per il signor Rossi, l’investitore tipo a cui il governo del 1999 aveva pensato di collocare questa mastodontica quotazione. Un successo che arriva dopo molti anni di sofferenze, non sono state rose e fiori, soprattutto all’inizio quando i sottoscrittori vedevano la borsa volare sull’euforia internet, mentre l’elefante elettrico giaceva in profondo letargo. Oggi per il cassettista, il Signor Rossi della prima ora, in cassaforte c’è una corposa plusvalenza, azioni omaggio dei primi anni e un dividendo, che non è mai mancato, molto consistente. E credo sia proprio il dividendo, vista l’attuale penuria di rendimenti nel mercato obbligazionario, la variabile più accattivante del titolo, tanto da farle guadagnare lo status di “jumbo bond”. L’azione è talmente solida, con una cedola sicura, che in questa particolare momento, può essere accostaa ai cugini obbligazionari. Enel ha solo un difetto, un debito elefantesco, arrivato ora a 45 miliardi, cifra paurosa che nell’attuale obnubilazione dei mercati non fa paura, ma che per il futuro deve instillare prudenza. Anche per le elevate quotazioni raggiunte dal titolo in borsa.

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COSMOPOLITICA Andrea Margelletti Presidente del Centro Studi Internazionali, docente presso la Facoltà di Scienze delle Investigazioni e della Sicurezza dell’Università di Perugia e Narni. Unico membro onorario delle Forze Speciali

ATTACCO AL CUORE DEL POTERE SAUDITA

L’

Arabia Saudita ama il concetto di centralità. Il suo stesso nome evoca la terra d’origine del popolo arabo, il suo territorio domina la penisola arabica e con essa il Golfo Persico e il Mar Rosso, all’interno dei suoi confini sorgono le città sante dell’Islam di Medina e Mecca. L’Arabia Saudita è la culla dell’Islam e le sue sabbie nascondono i più grandi giacimenti di petrolio del Mondo. Non si può immaginare un Medio Oriente senza Arabia Saudita come non si può pensare al mercato mondiale dell’oro nero senza Riyadh. Se si colpissero i luoghi sacri all’Islam, si provocherebbe un terremoto in tutto il mondo islamico, come accaduto alla Grande Moschea della Mecca nel 1979. Allo stesso modo se si colpissero i giacimenti e le infrastrutture petrolifere saudite si potrebbe provocare uno tsunami politico che, propagandosi dalla sala del trono della famiglia Saud, presto raggiungerebbe il Medio Oriente e poi il resto del globo. Anche quest’ultima circostanza si è manifestata, precisamente il 14 settembre scorso, con l’attacco al complesso di Abqaiq, cuore pulsante dell’industria petrolifera saudita e polo logistico fondamentale per il trasporto e l’esportazione degli idrocarburi verso i mercati energivori mondiali. Un’azione ostile che, secondo alcune stime, ha causato la contrazione del 5% della produzione globale di greggio, provocando un repentino innalzamento dei prezzi del 20%, nonostante le rassicurazioni di Washington e Riyadh riguardo la capacità di sopperire all’ammanco. A rivendicare l’attacco, condotto con droni e missili, sono stati i ribelli yemeniti Houthi, impegnati dal 2015 in una sanguinosa guerra civile contro il governo del presidente Abdelrabbo Hadi, sostenuto politicamente e militarmente da Riyadh. Tuttavia, secondo gli Stati Uniti, la rivendicazione degli Houthi è una pura e semplice montatura per nascondere il vero mandante ed esecutore dell’attacco, ossia l’Iran, avversario strategico dell’Arabia Saudita e principale sponsor dei ribelli sciiti yemeniti. Sotto il profilo puramente tecnico le due possibili paternità dell’attentato sono ugualmente probabili. Infatti gli Houthi dispongono delle capacità militari per colpire obbiettivi in territorio saudita dalle proprie basi in Yemen. Allo stesso modo anche l’Iran potrebbe fare

altrettanto sia dal proprio territorio sia attraverso i tentacoli dei Pasdaran nel sud dell’Iraq. Sotto il profilo politico sia gli Houthi che l’Iran hanno le loro ragioni per colpire al cuore il potere saudita danneggiando il vitale indotto energetico. La rivalità di lunga data tra Riyadh e Teheran ha vissuto, negli ultimi mesi, una sensibile accelerata, sospinta dalle divergenze di vedute e interessi sul futuro della crisi siriana e aizzata dalle posizioni anti-iraniane dell’amministrazione Trump che, sin dal suo insediamento, si è fermamente schierata al fianco dei Saud e si è sbrigata a liquidare l’accordo sul nucleare iraniano. La scelta della Casa Bianca è stata determinante per aumentare la sfiducia di Teheran verso l’Occidente e per inasprire ulteriormente la propria sindrome da fortezza sciita assediata e, in ultima istanza, radicalizzare i falchi conservatori ai danni dei riformisti di Rouhani. Quindi l’attacco i pozzi sauditi rischia di innalzare ulteriormente i toni del confronto mediorientale e globale, parimenti incrementando il rischio di altre attività ostili contro infrastrutture produttive e logistiche nel settore petrolifero. L’Iran, a cui gli Stati Uniti hanno giurato l’appesantimento delle già draconiane sanzioni, con il sostegno alla causa Houthi o con azioni dirette contro i sauditi potrebbe puntare a dimostrare di essere pronto ad un conflitto più aspro, costoso e logorante per esso e per tutto il Medio Oriente, Arabia Saudita in primis. Infatti colpendo il settore energetico, oltre a colpire direttamente il portafoglio dei Saud, si mina la loro affidabilità internazionale di pompa di benzina del pianeta, costringendo i Paesi importatori di petrolio a diversificare gli acquisti per non restare a secco. Una gioco al rialzo del mercato petrolifero che rischia di far piangere i consumatori, creando un ipotetico salasso in grado di innescare rivolte sociali durevoli e trasversali, come il caso dei gilet gialli insegna. Di contro a ridere sono gli altri esportatori di petrolio che, barile alla mano, possono dimostrare di essere più resilienti e sicuri dei sauditi. Tra tutti spicca la Russia che, costruendo i suoi presunti muscoli d’acciaio sull’assunzione di steroidi petroliferi e gasiferi, non vede l’ora di bussare alle porte dei delusi della Aramco.

Colpire il settore energetico mina la loro affidabilità come pompa di benzina del pianeta

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QUI PARIGI di Giuseppe Corsentino

PERCHÈ LA FRANCIA NON HA ANCORA UN NASDAQ EUROPEO

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assa per essere il paese più aperto za industriale come il professor Philippe all’innovazione tecnologica, il paraTibi (che insegna anche all’università di diso delle start-up con incubatori Shangai e alla Luiss di Roma) una ricerca tipo Station F (finanziato dal boss con l’obiettivo, concretissimo, di trovare della telefonia cellulare Xavier una soluzione al deserto tecnologico della Niel) che noi ce li sogniamo; con fiere e conveBorsa di Parigi (testuale dalla lettera d’ingni che richiamano a Parigi il meglio dei cervelli carico: “proposer des transformations de da tutto il mondo tipo il VivaTech (la prossima l’écosystème de financiament des entrepriedizione a giugno 2020 già si annuncia come ses de haute technologie”). un evento superstar, 13mila start-up e 3mila Il professor Tibi, che è un’autorità in materia investitori pronti a finanziare le migliori idee); ed esprime un solido pensiero liberale (nel con decine di società di private equity e fondi 2017 il suo saggio “Plus de marché plus d’Ed’investimento (solo qualche nome: Amundi, IL MINISTRO FRANCESE BRUNO LE MAIRE tat”, Più mercato Più Stato, ha vinto il PreFidelity, Hsbc asset management, Keren France, Ubs, Sycomo- mio Turgot come il migliore libro di economia dell’anno), ha sure Am, Amplegest) che non si fanno pregare a sostenere con bito messo le cose in chiaro nel rapporto consegnato a settembre centinaia di milioni di dollari (qui si chiamano “léve de fonds”) al ministro: non ci sono al momento start-up tecnologiche che società come BlaBlaCar (che ha rivoluzionato il settore dei tra- riescono a superare la taglia industriale che gli consentirebbe di sporti in comune, 291milioni di euro di raccolta finanziaria) o affrontare un’Ipo senza rischi e per converso non ci sono abbacome Doctolib (che ha rivoluzionato il settore della medicina e stanza investitori istituzionali (non parliamo dei risparmiatori delle visite private, 234 milioni di raccolta e ora il progetto di francesi che non amano la Borsa e preferiscono mettere i quatsbarcare in Italia). trini nel classico Livret A come racconteremo in una prossima Insomma la Francia passa per essere una vera “smart nation” rubrica) pronti a investire in società hi-tech. come nell’annuncio fatto un paio di anni fa dal neo presiden- In una parola, come scrive Tibi, “un déficit simultané d’offre et de te Macron alla convention del capitalismo globale a Davos. Ma demande”. dal punto di vista finanziario (perché l’innovazione tecnologica Come fronteggiarlo? Come immaginare non si dice un Nasdaq non funziona senza montagne di quattrini come sa quel 95% francese - cosa che a quel nazio-gaullista di Macron piacerebbe, di startupper costretto a ritirarsi dopo gli entusiasmi iniziali) è eccome - ma un Cac40 arricchito da un bel parterre di titoli tectutt’altra musica. nologici come sarebbe opportuno di questi tempi? La Borsa francese infatti non ama particolarmente il settore Con una doppia manovra, spiega Tibi. Intanto creando fondi d’intecnologico e i suoi dirigenti non vanno al di là della retorica. vestimento “laste stage” in grado di intervenire nel capitale di Anzi, di veri titoli tecnologici, nel listino del CaC40 - di “jeunes quelle start-up che hanno superato il rodaggio industriale e sono pousses” come li chiamano qui, germogli dell’innovazione e del- quindi,pronte per la quotazione. la ricerca, - ce n’è solo uno, la Dassault Systèmes, cresciuta (dal Subito dopo, cioè subito dopo il collocamento, facendo interve1996, anno della sua quotazione) nella pancia della Dassault, il nire altri fondi “global tech” (con almeno 10 miliardi di attivi ciacolosso dell’aviazione. scuno) per sostenere le quotazioni dei titoli. Niente di nuovo: è la Non si segnala altro. Al punto che nel 2016 quand’era “solo” mini- strategia che ha seguito la grande finanza sia in Usa sia in Cina. stro dell’economia, Macron si lamentava del fatto che l’età media Solo che qui, in Francia, nella “smart nation” macroniana, semdelle società quotate al Cac40 era di…105 anni e citava, sempre bra più difficile. Tra le società francesi di gestione, per dire (e tra i titoli tecnologici, la Saint-Gobain fondata nel…1665. ce ne sono ben quattro tra le top 30 mondiali) solo Natixis ha E al punto, per venire all’oggi, che il ministro dell’economia Bru- messo in piedi un fondo specializzato nell’Intelligenza artificiano Le Maire ha sentito il bisogno di affidare a un esperto di finan- le (Ia) e nella robotica. 80

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QUI NEW YORK

di Glauco Maggi

IL SORPASSO DEGLI ETF SUI FONDI ATTIVI SEGNO DEI TEMPI

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ettembre, coppia di record a New York. Mentre le e veloce. Il primo mutual fund americano è stato il MassachuNazioni Unite accolgono con onori assembleari pri- setts Investors Trust, creato il 21 marzo del 1924, che ha dato vi di ironia e di valore legale una ragazza svedese vita all’industria del risparmio gestito. Per oltre mezzo secodi 16 anni, inflessibile neo-Savonarola che piange lo sul mercato sono stati presenti solo i mutual funds “attivi”, sul petrolio versato nei serbatoi dei suv del mondo, che vendevano l’appeal della professionalità degli operatori gli americani adulti lavorano e investono. Bisogna pure che nell’individuare le azioni più promettenti, e scartare quelle qualcuno crei ricchezza su questa Terra, fino a quando ci sarà, perdenti. Ma quando Jack Bogle con la sua Vanguard ha invenaffinchè i profeti verdi possano redistribuirla, l’occhio fissa- tato la versione “passiva” creando il primo fondo legato a un to sull’eguaglianza e sulla giustizia sociale (l’ultimo grido è in indice, il re si è ritrovato via via sempre più nudo agli occhi del realtà il ‘Climate justice’, giustizia climatica, che ha iscritto il grande pubblico. global warming nella lega dei problemi etici e politici, al di là Le commissioni degli “attivi” si dovevano insomma giustifidel meteo). care con i risultati, ma adesso c’era il modo di verificarlo atLa prima notizia-exploit riguarda, Greta traverso il paragone con gli indici (dagli permettendo, la produzione di petrolio e anni 90, alla categoria dei fondi indigas naturale negli Stati Uniti. Per la prima cizzati si sono aggiunti gli Etf, simili sul volta il paese che dagli anni del razionapiano sostanziale anche se diversi come mento e delle domeniche a targhe alterne forma borsistico-giuridica). ha sempre sofferto di grave dipendenza La svolta pesante nel trend della racenergetica, e quindi politico-militare, colta tra attivi e passivi è il frutto della dall’Opec e dalle altre nazioni ricche di crisi del 2008. Secondo S&P Global oltre giacimenti d’oro nero, è diventato il prol’80% dei fondi comuni gestiti attivaduttore numero uno. mente hanno dato performance più basGrazie al fracking (tecnica moderna, si- JACK BOGLE, FONDATORE DI VANGUARD se dell’indice S&P Composite 1500 nel cura ma odiata dagli ambientalisti, per decennio dal 2009 al 2018 compreso. estrarre il gas naturale dalle rocce) ha superato l’Arabia Sau- Chi ha subito perdite forti di denaro dal proprio investimento dita, già prima che l’Iran attaccasse le raffinerie della Aramco. nei fondi comuni azionari attivi ha perso la fiducia nel manaE osserva, con minore urgenza d’intervenire, i travagli nel gement attivo. Come conseguenza, con rare eccezioni in mesi mondo arabo. Il prezzo del greggio non è più un dramma per di mercato Orso particolarmente volatile, il flusso netto negli gli Usa, semmai lo è per la Cina, visto che è la Casa Bianca ad Etf e nei fondi indicizzati è sempre stato positivo nel decennio avere ora la mano sul rubinetto più grosso. post 2009, mentre i fondi attivi hanno sofferto più riscatti che Poi c’è Wall Street, dove i gestori-robot sono diventati “i nuovi nuove sottoscrizioni. I tre colossi del risparmio passivo sono titani” (definizione del Wall Street Journal). I fondi indicizzati BlackRock, Vanguard e State Street, che si spartiscono l’80% e gli Etf (Exchange traded fund), secondo la più recente rileva- del totale dei patrimoni legati agli indici. Tra i benchmark, lo zione mensile disponibile della società di ricerche finanziarie S&P 500 fa la parte del leone, rappresentando le 500 maggiori Morningstar, hanno infatti scavalcato i fondi comuni tradizio- società di Wall Street. I fondi indicizzati, secondo l’Investment nali nella corsa al risparmio. Il volume in amministrazione dei Company Institute (l’associazione Usa dell’intero risparmio prodotti a gestione passiva che replicano i benchmark è ora gestito, fondi e Etf), hanno ancora un enorme spazio di crepari a 4,27 trilioni di dollari (4270 miliardi), 20 miliardi in più scita nel mercato azionario complessivo americano: pesano dei 4250 miliardi del patrimonio complessivo dei money ma- infatti oggi per il 14% circa, il doppio del 7% del 2010. Quanto nager che promettono di battere il mercato. alla rilevanza nel trading, la stima degli economisti è di una Il sorpasso è il simbolo di una rivoluzione culturale profonda, quota di scambi pari al 5%. ottobre 2019

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ULTIMO TANGO A BUENOS AIRES: ARGENTINA, STIME AL RIBASSO

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’ulteriore svalutazione del una svalutazione di oltre il 20 per cento del peso e l’imposizione di con- peso, l’inflazione al 34 per cento, una cretrolli sui capitali, in un quadro scita all’1 per cento e un avanzo primario di elevata incertezza politica dell’1 per cento. L’Argentina sta vivendo una e di aumento dell’inflazione. grave crisi finanziaria, che ha spinto Buenos Sono gli ingredienti dell’ennesima tem- Aires a chiedere al Fondo monetario interpesta perfetta che sta colpendo la già tar- nazionale di riprogrammare le scadenze del tassata Argentina e che hanno spinto gli credito Stand By da 57,1 miliardi di dollari. analisti dell’Ocse a rivedere drasticamente Le stime dell’Ocse riflettono anche la preocal ribasso le stime di crescita. Per l’anno cupazione per un probabile prossimo camin corso il calo rispetto a maggio è stato bio di governo dopo le elezioni presidenziali di fine ottobre, di quasi un punto PER L’OCSE IL 2019 SI CHIUDERÀ alla luce del risultato percentuale fino al CON UN -2,7%. E ANCHE delle elezioni prima-2,7%, mentre per il 2020 il calo è stato LE PREVISIONI PER IL 2020 SONO rie dell’11 agosto, dove si è imposto con più consistente: il MOLTO PEGGIORATE: -1,8% 3,9% in meno, fino ampio margine il cana una previsione per l’anno prossimo del didato dell’opposizione, il peronista Alber-1,8%. Le previsioni dell’Ocse contrastano to Fernandez, favorito anche dai sondaggi. con quelle decisamente più ottimistiche Secondo l’organizzazione multilaterale «il contenute nel progetto di legge Finan- prossimo governo dovrà rivelare piani detziaria per il 2020 del governo di Mauri- tagliati per le politiche macroeconomiche e cio Macri. Il testo di legge prevede infatti contribuire a ripristinare la fiducia e garancome principali parametri di riferimento tire stabilità» Quest’ultimo punto è conside-

rato come “prioritario”. Le stime per il 2020 tengono conto inoltre del difficile contesto globale. Tra i fattori di rallentamento, al di là della difficile congiuntura locale, vengono citati anche l’estrema volatilità dei mercati e la guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina: la tempesta è anche globale.

CANADA, TRUDEAU PROMETTE MENO TASSE PER SUPERARE LO SCANDALO BLACKFACE Taglio delle tasse per la maggior parte dei canadesi e abbattimento delle tariffe dei telefoni cellulari. Sono le promesse con le quali il premier Justin Trudeau tenta di superare l’onda negativa provocata dal cosiddetto scandalo Blackface: sono stati pubblicati alcuni scatti nei quali Trudeau compare con il volto dipinto di nero e imitazione di un africano. Il tentativo del leader liberale è quello di riportare la sua campagna su uno dei temi centrali, ovvero gli aiuti alla classe media. Trudeau ha annunciato che «riducendo le tasse e tagliando le tariffe di telefonia mobile, il nostro team liberale riporterà più di 1.500 dollari all’anno nelle tasche di famiglie canadesi che lavorano duramente». Il premier ha anche aggiunto che «il piano abbassa di più le tasse per le persone che guadagnano meno, dà alla classe media un po’ di respiro e garantisce che i ricchi non abbiano una mano in più». Prima dello scandalo Blackface, i sondaggi d’opinione suggerivano un vantaggio dei liberali di Trudeau sui conservatori dell’opposizione, guidati da Andrew Scheer.

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IL GIRO DEL MONDO IN 30 GIORNI

L’INDIA ABBATTE LE TASSE SULLE IMPRESE MANIFATTURIERE

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l governo indiano guidato da Narendra Modi ha annunciato un taglio delle imposte sul reddito delle società per le aziende manifatturiere indiane. Le imposte scenderanno dal 30 al 22%, oppure al 25,17% in presenza di incentivi o esenzioni. Per le nuove imprese la riduzione sarà dal 25 al 15%, con l’obiettivo di incentivare gli investimenti; potranno beneficiarne le aziende che saranno avviate dal prossimo primo ottobre al 31 marzo 2023. Le nuove

LA CINA (RI)COMPRA SOIA MADE IN USA

Le trattative tra Stati Uniti e Cina proseguono tra brusche frenate e improvvise accelerazioni. Le ultime notizie sono piuttosto incoraggianti: la Cina infatti ha importato circa 600mila tonnellate di soia dagli Stati Uniti, dopo la ripresa dei colloqui commerciali di medio livello che si sono svolti a Washington. L’acquisto di prodotti agricoli statunitensi, come la soia, è considerato un punto cruciale per raggiungere un accordo che possa porre fine alla guerra commerciale tra Cina e Stati Uniti. Diversi altri provvedimenti mostrano la volontà delle due parti di allentare le tensioni e l’onere economico della loro guerra commerciale. La Casa Bianca ha annunciato l’esenzione di oltre 400 prodotti cinesi dalle tariffe del 25% imposte da Trump, dopo che Pechino aveva esonerato la carne di maiale e la soia da ulteriori aumenti dei dazi. La ripresa degli acquisti da parte di Pechino arriva dopo uno sviluppo che aveva fatto temere il peggio: i funzionari cinesi hanno improvvisamente annullato le visite programmate con gli agricoltori nel Montana e nel Nebraska, danneggiati dalle tariffe di Pechino sui prodotti agricoli statunitensi.

aliquote decorrono dal primo aprile, inizio dell’anno fiscale 2019-20, e si allineano a quelle dei paesi dell’Asia orientale. In termini di entrate il costo del taglio è di circa 1.450 miliardi di rupie (18,4 miliardi di euro circa) all’anno. La misura fiscale è stata decisa dal Consiglio dei ministri per

IL GOVERNO DI NARENDRA MODI TENTA DI RIDARE SLANCIO A UN’ECONOMIA IL CUI TASSO DI CRESCITA SI È RIDOTTO

ridare slancio all’economia, la cui crescita è rallentata scendendo a un tasso del 5% nel secondo trimestre dell’anno, e si aggiunge ad altri provvedimenti a beneficio del settore immobiliare e degli esportatori. L’esecutivo ha anche esortato i vertici delle banche pubbliche a incrementare il credito alle piccole imprese e ai privati, per alimentare i consumi nel periodo delle festività. Ad agosto la crescita dell’industria manifatturiera è scesa al livello più basso da quindici mesi. L’indice Nikkei dei direttori d’acquisto elaborato da Ihs Markit, pur rimanendo in zona espansione (sopra quota 50), è passato rispetto a luglio da 52,5 a 51,4. Secondo i dati della Society of Indian Automobile Manufacturers (SIAM), ad agosto le vendite di veicoli per passeggeri sono diminuite del 31,57% su base annua. ottobre 2019

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A DUE ANNI DALL’ENTRATA IN VIGORE DEL CETA, CROLLO DELL’EXPORT DI GRANA E PARMIGIANO

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ue anni dopo l’entrata in vigore in via provvisoria, dal 21 settembre 2017, dell’accordo di libero scambio tra Unione Europea e Canada (Ceta), nonostante sia stato ratificato a oggi da appena 15 Paesi europei su 28, arriva un segnale inquietante sugli effetti che può produrre. Le esportazioni di Grana Padano e Parmigiano Reggiano in Canada si sono ridotte di un terzo, per l’esattezza del 32%, scendendo a soli 1,4 milioni di chili nel primo semestre del 2019, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. È quanto emerge da un’analisi di Coldiretti sulla base di dati Istat. «Come prospettato, la diffusione del falso Made in Italy ha ridotto lo spazio ai prodotti originali dall’Italia: lo dimostra il fatto che il Cana-

da festeggia l’anniversario con la produzione nel primo semestre del 2019 di ben 6,3 milioni di chili di falso Parmigiano Reggiano (Parmesan), in aumento del 13% rispetto allo stesso periodo del 2018. In altre parole oggi sono falsi otto pezzi di Parmigiano su dieci, senza considerare peraltro i tarocchi che arrivano da altri Paesi sul mercato canadese con l’accordo Ceta che ha legittimato per la prima volta nella storia dell’Unione Europea le imitazioni del Made in Italy a partire dal

OBBLIGAZIONI A 50 ANNI, GLI USA CI PENSANO

COLDIRETTI DENUNCIA: LE ESPORTAZIONI IN CANADA DI GRANA PADANO E PARMIGIANO REGGIANO SONO CALATE DEL 32% Parmigiano Reggiano, che può essere liberamente prodotto e commercializzato dal Canada con la traduzione di Parmesan. Un precedente disastroso che è stato riproposto negli altri accordi successivi, da quello con il Giappone a quello con il Messico fino al negoziato drammaticamente concluso con i Paesi del Mercosur che sono grandi produttori di formaggi italiani taroccati», protesta in una nota Coldiretti.

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assi di interesse bassissimi per alleggerire il peso dell’indebitamento pubblico. È la principale attrattiva dei titoli obbligazionari a lungo termine. Per questo motivo gli Stati Uniti stanno “seriamente prendendo in considerazione” l’emissione di titoli a 50 anni nel 2020: lo ha affermato il segretario al Tesoro, Steven Mnuchin, nel corso di un’intervista all’emittente “Cnbc”. «Stiamo cercando di emettere titoli a 50 anni. Pensiamo che ci sia una certa richiesta. È una cosa che prenderemo molto seriamente in considerazione per il prossimo anno», ha spiegato Mnuchin. La dichiarazione del segretario al Tesoro è arrivata dopo l’ennesima sollecitazione del presidente Trump alla Federal Reserve a tagliare drasticamente i tassi di interesse. Trump chiede esplicitamente un “rifinanziamento” del debito americano, che ha ormai superato i 22.500 miliardi di dollari. Finora i titoli con la durata più lunga emessi dal governo statunitense sono quelli trentennali, ma più di una dozzina di Paesi sviluppati ha effettuato emissioni con scadenze tra i 40 anni e i 100 anni. Il Canada ha lanciato un titolo a 50 anni nel 2014, mentre Messico, Belgio e Irlanda hanno offerto bond addirittura a 100 anni. Numerose grandi aziende hanno a loro volta fatto debuttare bond a un secolo. Il deficit dell’ultimo anno fiscale ha raggiunto in agosto, vale a dire in undici mesi, i mille miliardi di dollari, il livello più elevato dal 2012. La cifra esatta del deficit di bilancio è di 1.070 miliardi. 84

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S&P DECLASSA LE BANCHE COOP TEDESCHE

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tandard and Poor’s ha abbassato le prospettive del merito di credito di numerose banche tedesche, sostenendo che presentano rischi crescenti. A essere interessate dal taglio del rating da “stabile” a “negativo” sono state soprattutto banche cooperative come Dz Bank, la Banca tedesca per i medici e i farmacisti (Apobank) e la banca immobiliare Dz Hyp. Il declassamento di S&P ha interessato anche Dekabank, banca finanziaria e di investimento. L’agenzia di rating motiva l’abbassamento delle prospettive, tra l’altro, con i tassi di interesse pari a zero e negativi praticati dalla Banca centrale europea (Bce). S&P spiega che, secondo le ultime previsioni, i bassi tassi di interesse continueranno a deprimere i margini di interesse e il reddito da interessi per i prossimi 2 anni. S&P ha anche sottolineato che «la concorrenza nel mercato bancario tedesco e i costi nel settore sono ancora elevati». Secondo l’agenzia di rating, inoltre, «la redditività delle banche tedesche è già indietro rispetto a quella di altri istituti di credito europei». A tutto ciò si aggiunge il rallentamento dell’economia tedesca che «inizia a pesare sulle imprese, mentre i prezzi delle abitazioni continuano a salire».


IL GIRO DEL MONDO IN 30 GIORNI

AUMENTANO GLI INVESTIMENTI IN ROMANIA

U NUOVE CONCESSIONI PETROLIFERE IN EGITTO

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n nuovo round di offerte per l’esplorazione di petrolio e gas nel Mediterraneo nell’anno fiscale in corso 2019/2020, che riguarderà 19 nuove concessioni nelle acque della zona economica esclusiva egiziana. Lo ha annunciato il ministero del Petrolio del Cairo. «Sono in corso i preparativi per offrire nuove aree nel Mediterraneo in una nuova gara mondiale», ha affermato Osama al Baqli, presidente di Egas, durante l’assemblea generale dell’azienda. Sono già state completate le procedure per 11 concessioni. Oltre al giro di offerte già pianificato, al Baqli ha annunciato che 7 accordi per la ricerca di petrolio e gas dovrebbero essere finalizzati nell’ultimo trimestre del 2019, con un investimento minimo fino pari 712 milioni di dollari e la perforazione di 23 pozzi esplorativi. L’investimento in progetti di sviluppo di campi ha raggiunto quota 10,6 miliardi di dollari, una cifra che include quelli per lo sviluppo del giacimento di gas supergigante Eni Zohr. «Lo sviluppo delle attività e dei campi ha aggiunto durante l’anno 1,3 miliardi di piedi cubi e 2.155 barili di condensati al giorno, aumentando l’autosufficienza che è stata raggiunta a settembre 2019, e la produzione del paese del 21%», ha aggiunto Al Baqli, specificando che «la produzione di gas continuerà ad aumentare nel corso dell’esercizio 2019/2020».

n aumento del 22,3% nei primi sette mesi dell’anno. L’hanno fatto registrare nei primi sette mesi di quest’anno gli investimenti esteri diretti in Romania, come riferito dalla Banca nazionale di Romania. «Gli investimenti diretti dei non residenti in Romania sono stati pari a 2,916 miliardi di euro, di cui le partecipazioni a capitale, compresi gli utili reinvestiti, hanno raggiunto 2,102 miliardi di euro, mentre i crediti infra-gruppo hanno registrato il valore netto di 814 milioni di euro», si legge nel comunicato della Banca nazionale. Il numero di aziende di proprietà straniera di recente costituzione è aumentato nei primi sette mesi di quest’anno dello 0,3% rispetto allo stesso periodo del 2018, arrivando a 3.348 unità. Le 3.348 nuove società avevano un capitale sottoscritto di 13,59 milioni di dollari, in aumento del 37,4% rispetto a gennaio-luglio 2018. Al 31 luglio 2019, il maggior numero di società con partecipazione straniera in Romania è stato relativo ad investitori dall’Italia, per la precisione 48.232, ma il valore più elevato del capitale sociale è di società olandesi, rispettivamente 12,93 miliardi di dollari, in 5.352 società. Nel frattempo qualche preoccupazione per la salute dell’economia rumena, in particolare secondo le analisi della Banca mondiale, viene dal persistente calo demografico, a causa della riduzione della popolazione in età lavorativa che potrebbe provocare un rallentamento del Pil al di sotto del 4% di crescita. La popolazione del Paese è calata di 38.651 abitanti tra gennaio e luglio 2019.

PUTIN COMBATTE L’ECONOMIA SOMMERSA. LA CRESCITA E I REDDITI REALI NE RISENTONO

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a lotta all’economia sommersa potrebbe costare cara in Russia, almeno in un’ottica di breve periodo. La cessazione forzata di tali pratiche da parte delle imprese potrebbe influire negativamente sulla crescita economica e sui redditi della popolazione. Secondo alcuni economisti intervistati dall’agenzia di stampa “Rbk” per commentare i dati sulla riduzione dell’economia sommersa diffusi da ministero delle Finanze, ministero dello Sviluppo economico e Servizio fiscale federale, proprio l’emersione dei salari in nero sarebbe uno dei motivi della caduta dei redditi reali disponibili della popolazione, come riconosciuto anche

SECONDO DIVERSI ECONOMISTI L’EMERSIONE DEI SALARI IN NERO PROVOCA LA CADUTA DEI REDDITI

dal ministero dello Sviluppo economico. Secondo quanto dimostra un’analisi del Servizio fiscale federale, dal 2013 al 2017 le entrate fiscali per il bilancio consolidato (federale e regionale) sono cresciute di quasi il 60%, sebbene le aliquote fiscali di base non siano cambiate durante questo

periodo. In termini reali, la crescita del gettito fiscale è stata del 19,9% e la crescita del Pil nei cinque anni solo dell’1,2%. Secondo il Servizio fiscale, nel solo 2017, circa 390 miliardi di rubli (5,6 miliardi di euro) sono stati versati nel bilancio esclusivamente grazie a una migliore amministrazione del prelievo. «Si tratta di entrate supplementari ricevute a causa del lavoro svolto dalle autorità fiscali per far emergere l’economia sommersa, utilizzando il controllo digitale remoto e gli strumenti di monitoraggio», si legge nel rapporto.

Il giro del mondo in 30 giorni è a cura di Riccardo Venturi ottobre 2019

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Leader Europeo nelle


M. Di Lorenzo

Autostrade del Mare

Via Marchese Campodisola, 13 - 80133 NAPOLI Tel. +39 081 496111 - Fax +39 081 55174 01 www.grimaldi.napoli.it - cargo@grimaldi.napoli.it


FONDI IMMOBILIARI REAL ESTATE

Corre il mattone top di gamma di Gloria Valdonio

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aldo bollente in centro e vento freddo nelle periferie. Sono queste le previsioni meteorologiche per l’immobiliare in Italia, che non è riuscito – a differenza del resto d’Europa - ad agganciare la ripresa del settore e che presenta quotazioni ancora ben al di sotto del periodo precedente la crisi del 2008. Ma che nel contempo ha visto lievitare alle stelle i prezzi di immobili di altissima qualità con caratteristiche architettoniche di pregio, contratti di affitto lunghi e iperconnessione situati in alcune zone centrali delle grandi città. «Dopo la recessione di dieci anni fa si è aperto uno scenario di grande divaricazione tra investimenti immobiliari core e tutti gli altri immobili ubicati in zone secondarie non riqualificate», spiega Giovanni Di Corato, amministratore delegato di Amundi Real Estate Italia Sgr che gestisce fondi immobiliari retail e istituzionali. «In altre parole, la prima categoria è percepita come investimento a basso rischio, mentre la seconda a medio-alto rischio con valutazioni ancora ben distanti dai prezzi pre-crisi». Questo dualismo del mercato immobiliare, secondo gli operatori, dovrebbe mantenersi a lungo guidato dalla paura indotta dalla bassa crescita economica che genera un’eccessiva percezione del rischio, ma soprattutto dall’andamento del mercato degli ultimi anni, che ha sostenuto solo investimenti immobiliari senza rischio anche in un ambiente caratterizzato da tassi di interesse estremamente bassi. Questo ambiente, che dovrebbe favorire - come è avvenuto nel resto d’Europa – il mattone nel suo complesso, ha quindi favorito solo il target alto con quotazioni a Milano e Roma nel complesso in linea con quelle di Parigi e Berlino, mentre il resto dello stock immobiliare è rimasto indietro. «Questa divaricazione potrebbe interrompersi solo in caso di accelerazione economica», è l’opinione di Di Corato. La delusione dei rendimenti I nodi vengono al pettine ora che gran parte dei fondi immobiliari quotati alla Borsa di Milano (sono una quindicina) si avviano alla liquidazione tra la fine del 2019 e la conclusione del 2020 avendo così raggiunto il loro obiettivo temporale, ma non certo quello di rendimento. Il patrimonio dei fondi immobiliari quotati al 2007 era di circa 6 miliardi di euro, mentre ora non supera un miliardo tra deprezzamento e costi. Se nell’epoca d’oro del real estate, cioè dal 2005 al 2007, c’erano i fondi che quotavano con poco sconto – circa il 10% - rispetto al loro Nav (che indica il valore del patrimonio immobiliare del fondo), 88

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LE GRANDI CITTÀ, MILANO IN TESTA, TENGONO. MA PER IL SETTORE RESIDENZIALE SARÀ DURA RIVEDERE LE QUOTAZIONI PRE-CRISI. IN CRESCITA UFFICI, HOTEL E ANCHE LA LOGISTICA. BILANCIO DECISAMENTE NEGATIVO INVECE PER I FONDI QUOTATI, ANCHE SE BORSA ITALIANA STA CERCANDO DI LIMITARE GLI SCONTI SUL NAV INAUGURANDO UNA NUOVA FORMA DI NEGOZIAZIONE nel 2012 lo sconto è arrivato al 60% per poi risalire, ma troppo poco. Per la precisione l’attivo stimato dei fondi è attualmente di 1,6 miliardi di euro e di 1,1 miliardi la corrispondente capitalizzazione di Borsa, che corrisponde a uno sconto di circa il 30 per cento. Come è stato possibile accumulare questa perdita? Come spiegano gli analisti la natura iperconservativa dei fondi immobiliari italiani (sono strumenti chiusi con un orizzonte lunghissimo) ha incentivato investimenti troppo rischiosi e nei patrimoni di questi fondi ci sono davvero pochi investimenti core. La crisi economica, sopraggiunta improvvisamente, ha fatto piazza pulita. «La regolamentazione iper-prudenziale dei fondi italiani caratterizzati da un orizzonte d’investimento di lungo termine, in alcuni casi di


FONDI IMMOBILIARI

LA DISCIPLINA ITALIANA CHE AMMETTE SOLO FONDI IMMOBILIARI CHIUSI NON HA CERTO FAVORITO IL MERCATO DEL MATTONE l’esecuzione di grossi ordini in vendita - sviluppata su più sedute di negoziazione - generava un avvitamento dello sconto sul Nav per via dell’ancoraggio dinamico al prezzo definito in precedenza, mentre con la nuova modalità ogni proposta di negoziazione fa prezzo avendo come riferimento il Nav», spiega Celia.

lunghissimo termine, e da una struttura rigidamente chiusa ha di fatto prodotto l’effetto contraddittorio di incentivare i gestori ad assumere rischi significativi in uno scenario e in un mercato che è radicalmente cambiato a valle della crisi economica globale del 2008», conferma Di Corato. Che aggiunge: «Si fosse trattato di fondi aperti con l’obbligo di garantire la liquidità ai sottoscrittori nel breve termine è probabile che le scelte dei gestori sarebbero state diverse e specificamente orientate a comprare immobili molto più liquidi, pienamente qualificabili come core». «Abbiamo cercato di capire se siamo l’unica Borsa che ha registrato questi sconti, ma non è così», dice Patrizia Celia, head of large caps and market intelligence di Borsa Italiana. «Abbiamo però registrato un forte gap in termini di numero di strumenti quotati (sono 450 i prodotti quotati, per esempio, sul London Stock Exchange, n.d.r) e abbiamo deciso di provare ad aiutare il mercato a distinguere l’esigenza di liquidazione della quota dalla valorizzazione degli asset». Come? Dal 3 giugno Borsa Italiana ha implementato una nuova forma di negoziazione ancorata al Nav (rivolta per ora agli strumenti commercializzati ai soli professionali) che permette al venditore di eseguire ordini di dismissione delle quote senza dover necessariamente generare importanti sconti sul Nav. «Con la modalità tradizionale,

Nella pagina accanto Giovanni Di Corato, amministratore delegato di Amundi Real Estate Italia Sgr. Nella foto in alto Patrizia Celia, head of large caps and market intelligence di Borsa Italiana. Nella foto in basso Andrea Cattapan, cfa di Consultique

Mercato ingessato In ogni caso la disciplina italiana, che ammette unicamente fondi immobiliari istituiti in forma chiusa, non ha certo favorito il mercato del mattone. Si calcola che ammonti a circa 70 miliardi il patrimonio immobiliare finanziarizzato (cioè veicolato in qualche prodotto finanziario tra fondi istituzionali, prodotti retail e società immobiliari quotate in Borsa) e di questa cifra ben il 92% è veicolato dai fondi istituzionali, il 5% dalle Siiq (società di investimenti immobiliari quotate) e solo il 2% dal retail. «Sono stati quotati prodotti inadatti al pubblico retail e per chi crede nel settore il consiglio è puntare su azioni collegate al mondo immobiliare, o meglio ancora scegliere tra i numerosi Etf, in Italia sono 15, che permettono anche di selezionare il target di prodotti o il singolo Paese», spiega Andrea Cattapan, Cfa di Consultique. «In ottica istituzionale, in questi anni abbiamo preferito l’immobiliare europeo legato all’healthcare, che è un business sostenibile e stabile, mentre a livello di titoli azionari è interessante tutto l’immobiliare legato allo storage dei dati, ovvero capannoni a uso cloud o data store, che è il filone più promettente del real estate americano. Quanto all’area geografica, conviene puntare su un mix tra area globale e Asia». Europa Diversamente dall’Italia, dove il mercato immobiliare residenziale è stato zavorrato da due recessioni e una prolungata stagnazione del credito, a livello globale gli immobili hanno vissuto anni di forti rialzi, grazie all’ingente liquidità immessa sui mercati finanziari dalle banche centrali dal 2009 in avanti. In media il settore ha visto un rialzo cumulativo del 15% dal 2012 e solo di recente alcune piazze tra le più gettonate hanno perso slancio. «Nella zona euro le quotazioni hanno registrato una forte crescita, soprattutto con riferimento al nord Europa, e in qualche caso si iniziano a vedere segnali di bolla», conferma Matteo Ramenghi, chief ottobre 2019

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FONDI IMMOBILIARI investment officer di Ubs Wm Italy. «Monaco, Amsterdam, Parigi, Francoforte mostrano segnali di surriscaldamento, con valutazioni che hanno raggiunto livelli elevati e prezzi che continuano a correre molto rapidamente. Nel sud Europa invece il mercato immobiliare, con poche eccezioni, continua ad andare a rilento e non vi è stato un vero e proprio recupero». Per quanto riguarda appunto l’Europa la performance da inizio anno del settore immobiliare quotato si aggira intorno al 12%. Le prospettive sono ancora relativamente positive, con un solido “dividend yield” di circa il 4,2% e un’ulteriore crescita prevista del valore del patrimonio. Quanto ai settori, vengono indicati in ordine la logistica, la sanità, il residenziale per gli studenti e gli alloggi residenziali a prezzi accessibili nelle aree urbane. Per quanto riguarda le azioni, secondo DPAM, in una prospettiva a dodici mesi, il rendimento totale (dato dal dividend yield sommato alla crescita del valore degli attivi netti per gli azionisti) è del 7%, senza considerare una rivalutazione o una correzione del mercato. Le Top five di DPAM è occupata da Argan, Vonovia, LEG Immobilien, Merlin Propertries e VIB Vermoegen. Ma in questo caso è da privilegiare, «L’investimento in fondi poiché si caratterizza per una migliore diversificazione, per una gestione quotidiana del portafoglio, per una gestione efficace anche in ottica fiscale e per la ricerca fondamentale realizzata da parte di professionisti sulle aziende e sui sottosettori”, dice Olivier Hertoghe, fund manager european listed real estate di DPAM. Italia In realtà il mercato immobiliare italiano non è del tutto al palo, se si considera il comparto non residenziale e l’immobiliare da investimento. Anzi per questo segmento il 2019 si annuncia molto positivo. «Il primo semestre è stato vivace con un incremento dei volumi di transazioni 90

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IL CAPOLUOGO LOMBARDO CERCA ALLOGGI MODERNI PER I SUOI 200MILA STUDENTI. ROMA LEADER ITALIANO PER TRANSAZIONI ALBERGHIERE

Nella foto in alto Alessandro Mazzanti, ceo di Cbre Italy. Nella foto in basso Olivier Hertoghe, fund manager european listed real estate di DPAM

(oltre 5 miliardi, contro i 4 miliardi del primo semestre 2018) concentrate soprattutto su Milano e nel settore uffici», spiega Alessandro Mazzanti, ceo di Cbre Italy, leader mondiale nella consulenza immobiliare. Che aggiunge: «Ottimo l’andamento anche del settore hotel (con operazioni per due miliardi nel primo semestre), mentre per la logistica l’andamento è stato un po’ rallentato, ma il settore sta ingranando in questa parte dell’anno». In generale, secondo Mazzanti, si preannuncia un secondo semestre ancora più positivo grazie all’allentamento monetario della Bce e della Fed che crea uno spread positivo per il settore (tra il 3 e il 6%) rispetto al tasso di interesse su periodo comparabili.

Milano Come già detto, Milano è la città che attrae di più gli investitori in Italia, anche se si posiziona solo al ventesimo posto della classifica (seguita da Roma al ventottesimo) stilata dall’Emerging Trends in Real Estate® Europe 2019, il rapporto annuale pubblicato da Pwc insieme all’Urban Land Institute che raccoglie le opinioni di oltre 885 tra investitori, promotori, finanziatori e consulenti immobiliari provenienti da 22 Paesi. La domanda di uffici è forte, afferma un investitore paneuropeo: «Se a Milano disponi di un buon asset, c’è una coda di tenant perché c’è un arretrato di costruzione di dieci anni». Secondo il report anche l’affitto residenziale in tutte le sue forme sarà un’opportunità per la città nei prossimi anni, a causa del divario tra offerta e domanda. “Il trend demografico negativo del comune di Milano si è recentemente invertito – è scritto nel report - e la città cerca alloggi moderni per i suoi oltre 200mila studenti. Diversi investitori internazionali si sono quindi diretti verso edifici da convertire a residenziale”. Quanto a Roma, si conferma la prima destinazione turistica e il più grande mercato in Italia per transazioni alberghiere, con il 20% del totale degli scambi nell’ultimo anno.



IMMOBILIARE LA RIFORMA POSSIBILE

l’Imu è tutta da rifare Ecco le proposte di Assoimmobiliare di Luigi Orescano

L’

Imu è da rifare: e Assoimmobiliare, l’associazione dell’Industria Immobiliare Italiana aderente a Confindustria, ha idee precise sul modo migliore per rifarla. Oddio: l’ideale sarebbe – parola a mezza bocca di tutti gli operatori – abolirla del tutto, ma certo oggi i conti pubblici non consentirebbero mai all’erario di privarsi di un simile cespite, 20 miliardi… E dunque? Dunque la Commissione Finanze della Camera sta lavorando a una riforma dell’Imu ed alla sua possibile integrazione con la Tasi, e per orientarsi al meglio sui contenuti ottimali della riforma ascoltando le richieste delle categorie. Quando alla fine dell’estate è venuto il momento dell’audizione di Assoimmobiliare, le proposte sono state numerose, articolate e precise. Vediamole.

Imu su immobili occupati abusivamente da terzi Si chiede di escludere gli immobili occupati abusivamente da terzi dal novero degli immobili oggetto della “nuova Imu” in capo al proprietario. Ciò anche nella considerazione che tali immobili sono di fatto improduttivi di reddito per il proprietario in quanto posseduti di fatto, perchè occupati, da terzi. Imu su fabbricati in corso di costruzione Alcuni comuni italiani, contrastando una sentenza di Cassazione (La 17035 dell’8 maggio 2013) pretendono di applicare l’Imu sul valore venale “in comune commercio” dell’area edificabile durante la fase di costruzione, come previsto in materia di Ici, e ciò ha creato molta incertezza operativa. Occorre chiarire per legge che la precedente disciplina Ici non è applicabile alla fattispecie del fabbricato in corso di costruzione. Esenzione dall’Imi per la “prima casa” condotta in locazione I proprietari di “prima casa” che per ragioni di lavoro (prevalentemente) cambiamo residenza, vanno a vivere in affitto e a loro volta danno in locazione la loro casa di proprietà, oggi perdono l’esenzione prevista per l’abitazione principale sull’immobile di proprietà e rimborsano al loro padrone di casa l’Imu da lui pagata in relazione all’immobile preso in locazione. Assoimmobiliare propone l’inclusione nel novero delle “ abitazioni principali” anche di quelle condotte in locazione. Ne beneficerebbe tutto il mercato delle locazioni residenziali che ne sarebbe rivitalizzato. Disciplina dell’imposizione Imu delle aree edificabili Il presupposto applicativo dell’Imu è il possesso di immobili, tra cui le aree edificabili. Ai fini Imu un’area edificabile è definita come l’area utilizzabile a scopo edificatorio in base agli strumenti urbanistici generali o attuativi in vigore. In pratica, un’area si 92 ottobre 2019

intende edificabile – il che comporta per il suo proprietario l’obbligo di pagare l’Imu - già con la semplice adozione da parte del Comune degli strumenti urbanistici. Quindi può accadere che an- SILVIA ROVERE, PRESIDENTE ASSOIMMOBILIARE che le aree che solo potenzialmente sono edificabili (in quanto non si è concluso l’iter autorizzativo) e quelle che nella sostanza non sono immediatamente sfruttabili ai fini edificatori (per esempio per l’esistenza di vincoli edificatori) siano soggette ad imposizione ai fini Imu in quanto qualificate come edificabili dagli strumenti urbanistici. Secondo Assoimmobiliare invece l’imposizione ai fini della “nuova Imu” delle aree edificabili dovrebbe tenere conto non della mera potenzialità edificatoria, ma dell’effettiva possibilità di utilizzarle a tale titolo. Quindi queste aree vanno escluse dall’applicabilità Imu finchè su di esse gravino vincoli all’utilizzo edilizio effettivo. Estensione e semplificazione del concetto di fabbricato inagibile L’attuale normativa Imu prevede che la base imponibile dell’imposta sia ridotta del 50% per i fabbricati dichiarati inagibili o inabitabili e di fatto non utilizzati, limitatamente al periodo dell’anno durante il quale sussistono dette condizioni. L’inagibilità o inabitabilità è accertata dall’ufficio tecnico comunale ma i regolamenti spesso considerano “inagibili o inabitabili e di fatto non utilizzati gli edifici per i quali sia sopravvenuto un degrado fisico strutturale non superabile con interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria”. Su questa base, spesso le domande presentate ai Comuni ai fini dell’ottenimento della riduzione del 50% vengono rigettate. Andrebbe chiarita la fattispecie di “inagibilità” e “inutilizzabilità” ed estesa anche al periodo di tempo delle ristrutturazioni.

Esenzione Imu sulle dimore storiche I fabbricati di interesse storico o artistico sono oggi soggetti a Imu su una base imponibile ridotta del 50%. Eppure la maggior parte di essi non produce reddito. Assoimmobiliare chiede un intervento normativo che comporti l’esenzione dall’applicazione dell’Imu per le dimore storiche, trattandosi di immobili con una funzione di rilevanza pubblica e utilità sociale.


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FASHION NUOVE-VECCHIE TENDENZE

Quant’è bella la moda nuova se è usata è più bella ancora di Fabiana Giacomotti

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n attesa della sfilata di Gucci all’Hub di viale Mecenate, appoggiati al tapis roulant sul quale, nel giro di pochi minuti, sfileranno i modelli, con l’amministratore delegato di Pitti Immagine Raffaello Napoleone si parla dei buyer internazionali sempre più scarsi della fashion week milanese, saloni compresi, degli osservatori senza scopo sempre più numerosi e della nuova grande tendenza che in realtà ha qualche centinaio di anni: il vintage. Il riciclo: il recupero, il second hand. Attraverso la propria piattaforma, Oxfam ha lanciato un invito mondiale a non acquistare capi nuovi per tutto il mese di settembre, da anni quello più importante e significativo per il cambio di guarda-

quello, molto studiato nei dipartimenti di storia medievale, di Ricca Norsa, abilissima mercantessa di Lucca), è abbastanza curioso che oggi si inneggi ai risvolti etici dell’economia circolare e alla coscienza ambientale dei ragazzi che indossano con molta gioia gli smoking del nonno rivoltati e ne fanno, anzi, motivo di vanto. Il dato è però significativo di un altro aspetto, e cioè dell’assoluta libertà di pensiero e di comportamento nei riguardi del consumo dei millennial rispetto alle generazioni precedenti. Per l’Occidente del boom post-bellico, nuovo è equivalso a “bello” fino all’altro ieri. Facevano eccezione l’alto antiquariato e, da qualche decennio ma solo nelle grandi città, l’arredo di modernariato. Meglio una libreria di Ikea di quella della nonna riadattata. L’abbigliamento di seconda mano poi era visto soprattutto in Italia come una scelta fricchettona o poveraccia. A fare acquisti di vintage si andava a Londra, a Los Angeles e, in Italia, presso quel tempio di storia dell’abbigliamento che è A.N.G.E.L.O. vintage Palace a Lugo di Romagna dove, non a caso, chiedono stage gli studenti che mirano a una carriera di archivisti di moda e costume. Dapprima lentamente, negli ultimi due anni con ritmi di crescita impressionanti, si sono moltiplicati non solo i negozi di vintage in tutta Europa e in Italia (in particolare, va da sé, al Nord, dove il gap socio-economico è meno sentito), ma anche le piattaforme di reselling online. Chi scrive collabora da anni con Rebelle, sito di origine amburghese nato nel 2013, che raccoglie capi di seconda

IL MERCATO MONDIALE DEL “RESELLING” VALE, SECONDO DUE STUDI DI MCKINSEY E BOSTON CONSULTING GROUP, TRA I 23 E I 25 MILIARDI roba. Comunque sia andata (mentre scriviamo non si conoscono ancora i risultati dell’iniziativa), la multinazionale del no profit arriva buona ultima su quello che è un grande business prima ancora che un movimento sociale. Secondo due differenti studi, il primo di Boston Consulting Group e il secondo di McKinsey, il mercato mondiale del “reselling” vale tra i 23 e i 25 miliardi di dollari. In buona sostanza, un quarto del totale mercato moda-abbigliamento in Italia, e per di più guidato da giovani e giovanissimi. Se si pensa che sul sistema del riutilizzo, del prestito a pegno e della rivendita di abbigliamento, nei secoli, sono nate banche come il Montepaschi e che la stessa attività era una delle poche concesse dalla Chiesa agli ebrei, tanto che molti banchieri del Rinascimento avevano iniziato la propria ascesa come stracciaioli (tra i tanti nomi spicca 94

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FASHION

mano griffati anche a casa e, dopo averne verificato l’autenticità e le condizioni (che devono essere “mint”, cioè perfette), li lava, li ricondiziona e li mette in vendita, garantendo una percentuale interessante a chi vende. Ve ne sono molti altri, come per esempio Vestiaire Collective, e tutti segnalano fatturati in aumento. Sta verificandosi anche un altro fenomeno interessante, che tocca sia le librerie sia i negozi di abbigliamento più chic, e cioè la vendita mista di capi nuovi e vintage, su scelta del proprietario. Caso milanesissimo, ma in via di esportazione, quello di Wait&See, il negozio più frequentato dalle giovani hype di Milano, che non metterebbero piede in via Montenapoleone neanche sotto tortura, a meno di non doversi dirigere in un negozio specifico per un acquisto già stabilito: la sua proprietaria, Uberta Camerana Zambeletti, l’ha fondato una decina di anni fa all’incrocio delle Cinque Vie dopo molti anni trascorsi negli uffici styling di importanti maison. Vende vecchio e nuovo, come la libreria Fahrenheit di Roma o quelle di via Marsala e via Terraggio sempre a Milano. Dopotutto, se si cercano per esempio i saggi di Bachofen sul matriarcato e quelli sono andati fuori catalogo da anni, come si fa, se non rivolgendosi a chi, con gusto e intelligenza, li tiene sugli scaffali o sa dove procurarseli? L’idea che il mondo debba continuamente espellere e distruggere il vecchio per innamorarsi solo del nuovo è vecchia come il modello di capitalismo che la sostiene e che, infatti, si sta sgretolando. In quest’ambito il caso di JJ Martin, in grande ascesa, è speciale e specifico. Bella, alta, molto spiritosa, JJ, acronimo di Jennifer Jane, nata a Los Angeles qualche decina di anni fa, cresciuta a san Francisco, è stata dapprima collaboratrice di Calvin Klein a New York, ufficio marketing e sviluppo, e poi giornalista freelance, per passione e per amore del banchiere Andrea Ciccoli. Approdata a Milano nel 2001, è stata dapprima corrispondente dall’Italia per il FashionWebDaily, uno dei primi quotidiani online di moda, poi collaboratrice di Suzy Menkes all’International Herald Tribune, quindi european editor di Har-

A sinistra, sotto il titolo, Wait&See, negozio-cult per la seconda mano. Sopra, uno screenshot del sito Vestiarie Collective. Sotto, da sinistra, Uberta Camerana Zambeletti e JJ Martin

per’s Bazaar Us, editor-at-large per Wallpaper ed editor del magazine WSJ del Wall Street Journal. A convincerla a cambiare strada, con un’agenda ricca e infiniti contatti, è stata la passione per il vintage. Il suo progetto, LaDoubleJ, è nato infatti come piattaforma online di “belle cose”, cioè abiti, capispalla e bijoux che piacevano innanzitutto a lei, in collaborazione con boutique specializzate di alta gamma e con il colosso Mytheresa. com., nel giro di quattro anni, è diventato una realtà imprenditoriale neanche più tanto piccola sempre meno vintage e sempre più moda “nuova”, classica e chic, fatta di pochi abiti in tessuti preziosi stampati (e comprati tutti a Como e dintorni, spesso in rimanenze) e di un esercito di “sciure” anche giovanissime (la sciura è una categoria dello spirito non necessariamente milanese) che li acquistano in tutto il mondo. L’idea di fondo, per l’appunto plurisecolare ma sostenuta nei decenni anche da Vivienne Westwood, una che non si è mai preoccupata di esporre i cartelli “buy less” nelle sue sfilate e nelle sue campagne, è che un bell’abito dura per molte stagioni, e può avere una seconda vita altrettanto interessante dello prima. Alle cianfrusaglie del fast fashion, questo non può accadere: oltre alle questioni relative all’etica del lavoro, allo sfruttamento delle risorse idriche, all’inquinamento di cui si sono fatti ormai e in parte a torto gli emblemi, le catene di fast fashion sono le prima a scontare la nuova passione per il reselling e il vintage. Non avendo un secondo mercato, perché di cattiva qualità, non rappresentano nemmeno un piccolo investimento.

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IL DENARO DEI VIP JUSTINE ELIZABETH MATTERA

Mattone mio, sei stato un affare Ora mi impegno nella sfida “green” di Monica Setta

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mericana e bellissima Justine Elizabeth Mattera è arrivata in Italia e ha trovato subito un grande successo. Lanciata da Rai 1 come showgirl - fisico splendido, talentuosa e versatile - Justine sposa in prime nozze l’indimenticato Paolo Limiti. Lui è la storia della televisione, conduttore colto e raffinato mentre lei è la Marylin Monroe 2.0 briosa, spiazzante, coinvolgente. Justine lavora in coppia con Limiti ma afferma velocemente il suo brand. Scomparso Limiti, la Mattera procede a vele spiegate coniugando tv cinema e teatro. Tra un set e l’altro si sposa con un imprenditore e mette al mondo due figli. Oggi è anche una regina del web con il milione di follower sui social pronti a far lievitare i like a ogni post. Ma che rapporto ha Justine con i soldi? Ce lo racconta in questa intervista esclusiva.

Diversi scatti di Justine Elizabeth Mattera, showgirl e regina del web

«CON I PRIMI GUADAGNI HO ACQUISTATO UN AUTO E HO FATTO IL GIRO DEGLI USA PARTENDO DA SAN FRANCISCO»

Justine hai imparato a contare in euro o sei rimasta affezionata al dollaro da buona americana? Sono in Italia da troppi anni per non essermi abituata prima alla lira e poi all’euro! Adesso poi tra le due monete c’è quasi parità... (e ride divertita, n.d.r.) compro forse più facilmente quando sono negli stati Uniti ma in generale sono una spendacciona. Non bado al cente96

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simo e mi piace fare shopping soprattutto per i miei due bambini. Sono una mamma “cicala” che sceglie le cose più belle e di qualità per i figli. Che cosa hai acquistato con i primi guadagni? Ho comprato una macchina e mi ricordo di avere fatto il giro degli Usa partendo da San Francisco. Ero emozionata perché era la prima volta che spendevo soldi miei. Fa la differenza comprare qualcosa con il denaro frutto dei tuoi sacrifici o ricevere un regalo. Io sono abituata fin da piccola a camminare sulle mie gambe. Sono una lavoratrice che dà ai soldi il giusto valore. Non piovono dal cielo ma sono il prodotto di


IL DENARO DEI VIP

«STO PER DIVENTARE UN’IMPRENDITRICE. INVESTIRÒ TUTTE LE MIE RISORSE NELLO SPORT E NELL’AMBIENTE» una fatica. Sempre. Anche per noi che facciamo spettacolo. Come investi i tuoi soldi? L’investimento classico è il mattone. Ho comprato casa in un momento favorevole per il mercato e credo di aver fatto un buon affare. Per il resto sto mettendo da parte i miei risparmi per cambiare parzialmente lavoro. Sto per diventare imprenditore. Investo nello sport e nell’ambiente, due temi di stretta attualità. Non posso ancora anticipare i termini del progetto a cui sto lavorando e che presenterò entro fine 2019. Adesso tutte le mie risorse finanziarie sono destinate alla nuova impresa e speriamo che vada tutto bene. Che cosa insegni ai tuoi due figli a proposito del denaro? Insegno ai miei bambini che il denaro ha un prezzo. Per averlo bisogna sacrificarsi. Non do loro ancora la classica paghetta perché sono piccoli - hanno 10 e 12 anni- spenderebbero tutto in caramelle! Io compro tutto quello che a loro può servire e quando i miei figli hanno voglia di un giocattolo o di una maglietta mi chiedono i soldi. Sanno che non devono esagerare perché abbiamo un budget familiare che dobbiamo rispettare. Insegno loro anche a risparmiare. Mettere fieno in cascina può sempre servire in attesa di tempi migliori. Hai mai fatto nella tua vita una spesa folle? Si, mi è capitato. Anni fa ero in un momento in cui guadagnavo bene e pensai di regalare due anelli di Bulgari a due amici. Purtroppo non era vera amicizia. Da tempo non vedo più quelle persone ma non me ne sono mai pentita. Perché i regali una volta che si fanno non vanno mai richiesti indietro. Né ci si deve pentire. Hai mai ricevuto un dono importante? Mio marito mi ha regalato un anello molto costoso. Ma avviso gli eventuali ladri: abbiamo già subito alcuni furti per cui se venite a casa non troverete nulla perché abbiamo tutto in banca! Infine Justine se vincessi la lotteria e portassi a casa oltre 200 milioni di euro che cosa faresti di questi soldi? Li investire per aiutare il pianeta e l’ambiente. Credo molto in questa sfida green e poi sono altruista e penso agli altri dunque darei una mano alla mia famiglia e a chi sta meno bene di me. Condividere è la mia mission. ottobre 2019

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ANTIQUARIATO INTERVISTA A CARLO ORSI

Quando l’arte è godimento, oltre che (buon) investimento di Riccardo Venturi

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alla sua galleria milanese sono passate opere di Canova, Pontormo, Bronzino, Bernini, Vasari, Orazio Gentileschi. Molte di queste opere oggi trovano posto nei più prestigiosi musei del mondo, dal Metropolitan Museum of Art di New York alla Galleria dell’Accademia di Venezia, dal Musée d’Orsay di Parigi alla National Gallery di Ottawa. Carlo Orsi è tra i mercanti d’arte antica più importanti sulla scena italiana e non solo. Il suo ruolo a livello internazionale si è rafforzato dal 2016 con l’acquisizione del marchio inglese Trinity Fine Art, e l’apertura di una galleria a Londra nel cuore di Mayfair. Fondata nel

Nella foto a destra il mercante d’arte Carlo Orsi. Nella foto in basso un busto realizzato da Giovan Lorenzo Bernini che raffigura Urbano VIII Barberini

«LONDRA È AL CENTRO DEL MERCATO INTERNAZIONALE, CON LE CASE D’ASTE E LE GALLERIE PIÙ IMPORTANTI AL MONDO. RIFERIMENTO DA SEMPRE PER GLI USA»

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1984 da John Winter, Jonathan Mennell e Jock Palmer, tutti ex direttori di Sotheby’s a Londra e in Italia, Trinity Fine Art ha tra i suoi clienti molti dei maggiori musei del mondo e la maggior parte delle principali collezioni private. «Londra è al centro del mercato internazionale dell’arte», dice Orsi, «è sempre stato così: ci sono le case d’aste e le gallerie più importanti al mondo, è il primo riferimento europeo per il mercato americano, non ci sono limitazioni legislative, se non il rispetto delle norme vigenti». Per Orsi il cliente tipo delle opere d’arte classiche è cambiato profondamente: «Una volta ogni borghese aveva il ottobre 2019


ANTIQUARIATO

«LA NOSTRA CLIENTELA È DIVENTATA PIÙ PREPARATA, PIÙ DI NICCHIA. È UN COLLEZIONISMO COLTO CHE SPENDE» desiderio di acquistare opere d’arte» spiega il gallerista italiano, «non solamente per conoscenza e collezionismo, ma anche per metterle in casa e farsi notare. Oggi la cultura non è più di moda, i grandi ricchi preferiscono l’apparire, per esempio con i gioielli, e la nostra clientela è diventata più colta e preparata, più di nicchia. È un collezionismo colto che spende cifre importanti». Un mercato che è attivo in Europa, in America, in Asia: «Se è vero che in Asia ci sono collezionisti di arte antica, e che si costruiscono musei importanti come ad Abu Dhabi», rimarca Orsi, «in America c’è una cultura più diffusa legata ai musei e ai collezionisti che si appoggiano ai curatori dei musei». Le opere d’arte antica possono essere viste anche come una forma di investimento, ma solo sul lungo termine: «Nell’arte contemporanea si può pensare di investire in un’opera che domani vale il doppio» sottolinea il gallerista, «le opere d’arte antica, se rispondono a criteri sani di qualità e di unicità, sono certamente un investimento che nel corso degli anni avrà un notevole incremento. Ma chi investe in arte antica parte da un principio di godimento, non di investimento». La parte più affascinante del mestiere di Orsi è la ricerca delle opere. «La mia passione personale non è collezionare» spiega il gallerista, «ma trovare dipinti e sculture prima sconosciute al mercato dell’arte, intraprendere la giusta ricerca per poi portarle alla luce e condividerle. Amo il processo di scoperta di capolavori per poi vederli collocati in musei e collezioni dove

Un interno della galleria londinese di Carlo Orsi. Nelle immagini sopra a destra e in basso, Madonne col Bambino, nelle versioni rispettive di Domenico Beccafumi e di Lorenzo di Credi

possono essere pienamente apprezzati. È una grande soddisfazione per un gallerista». Per riuscire nell’intento è essenziale il rapporto con le collezioni private: «Sono relazioni che si coltivano nel corso degli anni grazie alla professionalità» osserva il gallerista, «anche mio padre era un antiquario di grande tradizione. Le famiglie private che vogliono vendere collezioni storiche si affidano a chi gode della loro fiducia». Le opere a volte sono già conosciute, altre no: «È un privilegio avere la possibilità di scoprire opere che sono nell’oblio», mette in evidenza Orsi, «come il ritratto di Moroni, che era stato dimenticato da cent’anni e non era neanche pubblicato, che abbiamo portato alla mostra dell’Antiquariato internazionale di Firenze a fine settembre, insieme a un busto del Bernini e a un dipinto del Beccafumi». Si tratta di un Ritratto di gentiluomo che si credeva smarrito, che per un certo periodo ha condiviso lo stesso spazio domestico con il Sarto, l’opera forse più celebre del pittore, nella villa fatta costruire da Federico Frizzoni von Salis a Bellagio, sul lago di Como. Ma l’opera che Orsi ha amato di più, tra quelle passate attraverso la sua galleria, è il dipinto del Pontormo Ritratto di gentiluomo, acquisito dalla Fondazione Cerruti del Castello di Rivoli per 3 milioni di euro. ottobre 2019

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COLLEZIONISMO UN PIACERE MASCHILE

Da fumatore a collezionista, step obbligato per chi ama la pipa di Davide Passoni

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l collezionismo è una malattia sostanzialmente incurabile. Fortunatamente non è fatale, ma chi ne soffre può andare incontro a complicanze pericolose. Collezionare significa principalmente dare sfogo a una propria passione, raccogliendo il maggior numero di oggetti che la incarnano. Vale per qualunque oggetto, vale per qualunque passione, dalle più innocenti alle più voluttuarie. Tra queste ultime c’è certamente il fumo lento, che si traduce in sigari o pipe. Della passione per i primi abbiamo già scritto sul numero di maggio di Investire, sottolineando come può diventare anche una interessante forma di investimento qualora si conoscano i marchi pregiati e le tendenze del mercato. La passione per le pipe offre invece meno margini alla speculazione e punta più alla soddisfazione di un piacere che è essenzialmente maschile. A testimonianza di quanto scritto poco sopra riguardo alla malattia del collezionismo, è curioso constatare come negli Stati Uniti da alcuni anni si sia cominciato a parlare, tra il serio e il faceto, di P.a.d., acronimo che sta per “Pipe aquisition disorder”: in poche parole, il d e s i derio maniacale di acquistare e possedere pipe, che pare colpisca i fumatori fin dagli inizi della loro relazione con tabacco e fornello. Manufatto artigianale dalla forte valenza simbolica e culturale, la pipa accompagna da secoli la storia dell’uomo ed è diventata spesso un tutt’uno con i personaggi celebri che l’hanno amata e fumata. A noi italiani basta ricordare le due pipe di Spagna ’82, quella di Sandro Pertini e quella di Enzo Bearzot, per sentire ancora oggi 100

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A NOI ITALIANI BASTA RICORDARE LE DUE PIPE DEL MUNDIAL DI SPAGNA ‘82, QUELLE FAMOSISSIME DI SANDRO PERTINI E DI ENZO BEARZOT, PER SENTIRE ANCOR OGGI UN FREMITO LUNGO LA SCHIENA Sopra il museo della pipa di Brebbia. Sotto un manufatto d’epoca con il volto di Omero

un fremito lungo la schiena. A proposito di personaggi, inoltrandoci nel mondo particolare del collezionismo di fumo lento, scopriamo come alcuni grandi del passato abbiano, in maniera del tutto inconsapevole, contribuito a orientare il mercato attuale. Se infatti per quanto riguarda il collezionismo di sigari, buona parte dei pezzi più rari e ricercati risale all’epoca precedente alla salita al potere di Fidel Castro a Cuba, scopriamo anche che alcune scelte protezionistiche attuate all’inizio del secolo scorso dal padre della Turchia moderna, Mustafà Kemal Ataturk, rendono alcune pipe più pregiate e ricercate di altre. Ce lo ha raccontato Luciano Buzzi, 64 anni, direttore del museo della pipa di Brebbia, in provincia di Varese. Una collezione che contiene


COLLEZIONISMO circa 2.000 pezzi, all’interno del museo aperto nel 1979 per volere di Enea Buzzi e oggi portato avanti con la stessa passione dal figlio. Pipe in schiuma o in radica, manifatture viennesi e serie numerate, bocchini in ambra e cultura del fumo.Tutto questo ci fa capire che anche per chi si avvicina a questa nicchia così particolare, la passione è indubbiamente il primo motore, ma che sono l’aggiornamento costante e la curiosità unita allo studio a trasformare una sterile raccolta in una ricca collezione. Non stupisce quindi il fatto che il collezionismo di pipe raccolga intorno a sé una comunità di appassionati in continua crescita, come sottolinea anche Luciano Buzzi. Qual è il profilo tipo del collezionista di pipe e quali pezzi colleziona in genere? Il collezionista di pipe è prima di tutto un fumatore di pipa. Nel momento in cui comincia a collezionare l’oggetto, non importa se poi continua a fumare o meno. Diventa un vero collezionista quando inizia a possedere anche pezzi antichi. Specialmente negli ultimi anni, la reperibilità dei pezzi rari sta diventando sempre più difficile, perché la pipa è qualcosa che ci sopravvive, per cui c’è maggiore disponibilità di pezzi recenti, mentre il collezionismo più importante è quello delle pipe realizzate nel ‘700-‘800.

Come vengono reperiti i pezzi da collezione? A parte i musei, che conservano il patrimonio storico e hanno una certa quantità di pezzi che si scambiano tra di loro, c’è tutta una serie di collezionisti privati che si appoggiano in genere a negozi specializzati; in Italia se ne contano pochissimi, direi uno, a Milano. Oltre a questo canale, le pipe di pregio, come accade con altri beni collezionabili, vengono reperite attraverso aste o collezioni lasciate in eredità per capitalizzare.

A che età mediamente si comincia a collezionare pipe? Se parliamo di collezionisti importanti, quasi tutti cominciano come fumatori e poi passano al collezionismo. Secondo una ricerca che abbiamo fatto realizzare qualche anno fa come museo, risulta che si comincia a fumare la pipa mediamente intorno a i 30 anni e poco dopo si inizia a collezionare. Poi, è qualcosa che dura per tutta la vita. Quali sono le tipologie di pipe più ambite? I pezzi più ricercati sono le pipe in schiuma pre-Ataturk. Nel 1906 lo statista turco proibì l’esportazione della materia prima per la loro realizzazione, la schiuma di mare o sepiolite, per dare lavoro alla manodopera locale. La Turchia era ed

Da sinistra a destra Enea e Luciano Buzzi, rispettivamente fondatore e direttore del Museo della Pipa di Brebbia

è una grande produttrice di sepiolite. Il materiale esportato veniva utilizzato per una fiorente produzione, soprattutto in Austria, a Vienna. Mancando così la disponibilità della materia prima all’estero, i turchi cominciarono a produrre in casa ma, specialmente all’inizio, si trattava di prodotti fatti con poca grazia. Non essendoci più approvvigionamento ed essendo le schiume viennesi di qualità superiore, le pre-Ataturk rimangono le pipe di maggior valore da collezionare.

C’è un aspetto speculativo anche in questo tipo di collezionismo? Il mercato delle pipe e il loro collezionismo sono di per sé abbastanza limitati. Si può certamente fare speculazione, come con tutte le merci di pregio, ma il mercato piccolo limita operazioni particolarmente ricche. Certo, si parla sempre di pezzi esclusivi, che con il tempo possono acquisire valore, ma le pipe da collezione rimangono comunque una nicchia. Tenga conto del fatto che è difficile anche trovare pezzi belli e ben conservati: tornando alle pipe di maggior pregio, esse sono quasi tutte montate con bocchini in ambra, un materiale molto delicato e fragile. C’è uno specialista a Torino che le restaura, ma i restauri hanno costi pesanti. Ecco perché questo tipo di collezionismo è qualcosa di bellissimo, ma riservato a una ristretta cerchia di appassionati. ottobre 2019

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COLLEZIONISMO

I PEZZI PIÙ PREGIATI? LE PIPE IN SCHIUMA DI MARE DELLA TURCHIA PRE-ATATURK E QUELLE IN CERAMICA Qualche consiglio per chi vuole iniziare a collezionare. Il collezionismo parte da una passione. Se questa c’è, le scelte di un collezionista sono sempre le migliori possibili. Prima di tutto si deve avere familiarità con l’oggetto pipa, per cui è necessario vederne tante per fare delle scelte oculate. Fondamentale è poi documentarsi. Prenda il caso delle pipe in ceramica: le fabbriche di ceramica siglavano tutti i loro pezzi, secondo una codifica che un buon collezionista dovrebbe conoscere bene. Per capire in profondità il valore di un pezzo, bisogna poi considerare come erano strutturati i negozi di pipe di un tempo, che non erano come li concepiamo oggi. Quei negozi erano gestiti da artigiani, che compravano le parti in ceramica dalle fabbriche di ceramica, poi le canne, i bocchini e gli altri componenti e montavano gli oggetti in funzione dei gusti del proprietario. Qualsiasi pezzo creato dal negoziante era personalizzato, su misura: con decalcomanie, dipinto a mano, con una dedica. Se una persona conosce bene i dettagli di questo processo, le sigle sulle varie parti della pipa, riesce a ricostruire le storie dei pezzi più importanti. Ci vuole sempre un minimo di conoscenza.

Come farsela? Esistono libri di collezionismo che spiegano queste cose e possono aiutare chi comincia. Anche in questo settore dunque, come negli altri del collezionismo, è importantissimo informarsi e restare informati, anche e soprattutto sui marchi che possono aumentare di valore. C’erano produttori, come per esempio Schemnitz di Bassano del Grappa, i cui pezzi in ceramica dell’800 si sono rivalutati tantissimo, così come una certa serie delle Gambier francesi. Con il fatto che oggi c’è molta meno reperibilità, le pipe che prima erano in secondo piano si stanno rivalutando di più rispetto ad altre che avevano già raggiunto il loro picco di valore. Qualche dato sul Museo della pipa di Brebbia? Il museo è nato un po’ per il fatto che mio padre aveva cominciato a collezionare pipe e ne aveva così tante che non avevamo più posto per tenerle in casa, un po’ perché aveva deciso

L’INGRESSO DEL MUSEO DELLA PIPA A BREBBIA NEL VARESINO

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di rendere pubblica la sua collezione privata. La collezione più pregiata all’interno del museo è la collezione Schuchardt, perché abbiamo avuto l’opportunità e la fortuna di acquistare in blocco queste pipe appartenute all’ingegnere berlinese Franz Schuchardt, il quale le aveva donate a un nipote appassionato fumatore. Le abbiamo acquistate da lui. Sono pezzi prevalentemente in ceramica, ma la collezione comprende anche con tante schiume. Tra queste pipe, la più importante è la cosiddetta Generale Metternich, una pipa in schiuma di fattura pregiatissima di scuola viennese, creata ai primi dell’800.

SCHIUMA E RADICA

La schiuma di mare, o sepiolite, utilizzata per realizzare pipe di pregio, è un minerale scoperto nel 1847. Deve il suo doppio nome al fatto che è possibile trovarla galleggiante sulle acque del Mar Nero e che il suo aspetto ricorda l’osso di seppia. La natura porosa del minerale di cui è composta la pipa, attira umidità e catrame direttamente nel minerale stesso. Quando vengono utilizzate, le pipe in schiuma cambiano gradualmente colore e quelle più vecchie aumentano le loro tonalità di giallo, arancione, rosso e ambra, che vanno dalla base della pipa verso l’alto. La radica come materiale ottimale per la creazione di pipe fu invece scoperta ai primi del ‘900 in modo

casuale. Si racconta che un ufficiale della Marina inglese vide dei carbonai bruciare la legna per fare il carbone e tra questa legna c’erano dei pezzi di un particolare tipo di radice (erica arborea) che rimanevano accesi a lungo. Avendo rotto la sua pipa di gesso, si fece fare una pipa con quel legno e la trovò perfetta: oltre al pregio di essere molto dura, non alterava il profumo e tutte le doti del tabacco. I carbonai provenivano da Saint Claude, un paesino nel sud della Francia non lontano dalla Svizzera, dove nacque così la prima lavorazione di pipe in radica. Da lì si propagò in Inghilterra e anche in Italia, poiché sulla Riviera ligure, in Maremma e in Calabria c’è ricchezza di erica arborea.


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COLLEZIONISMO INVESTIRE IN WHISKY

Una bottiglia da 1 milione di sterline, vola all’asta il single malt classe 1926 di Claudio Riva, Davide Terziotti*

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l 2018 è stato un anno importante per lo scotch whisky. Oltre ad avere battuto il record di esportazione, raggiungendo la ragguardevole cifra di 4,7 miliardi di sterline corrispondenti a 41 bottiglie da 70cl spedite ogni secondo, per la prima volta una singola bottiglia di whisky ha infranto all’asta la barriera di 1 milione di sterline. Era un raro Macallan vintage 1926, 60 anni, dipinto a mano dall’artista irlandese Michael Dillon. Era il 29 novembre 2018, presso la casa d’aste Christie’s di Londra questa bottiglia è stata battuta per 1,2 milioni di sterline, superando di parecchio il precedente record, sempre di un altro Macallan 60 anni, che si era fermato a sole … £. 848.750. Le aste di whisky hanno iniziato a proliferare a inizio millennio, oggi dopo 20 anni si contano decine di siti web specializzati dislocati principalmente in Gran Bretagna e in Germania. Il successo delle aste di distillati di qualità ha portato gli organizzatori a dichiarare il whisky un bene d’investimento tanto efficace quanto le opere d’arte. Cosa si colleziona e come è possibile che una singola bottiglia di whisky abbia raggiunto questo valore? Che cosa fa di un whisky un investimento? Prima di tutto la rarità ma non è l’unica discriminante, vi sono altri parametri che richiedono un po’ di conoscenza del mercato. Come in tutti i campi non ci si improvvisa esperti e investitori, per cui il suggerimento è di affidarsi a pro-

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UN RARO MACALLAN VINTAGE 1926, DIPINTO A MANO DALL’ARTISTA IRLANDESE MICHAEL DILLON, È STATO BATTUTO DA CHRISTIE’S NEL 2018 A UN PREZZO RECORD. E NON È UN CASO ISOLATO Nelle foto alcune etichette prestigiose ed esclusive di uno dei whisky più importanti del mondo, Macallan

fessionisti, noi vi daremo altri elementi nei prossimi numeri di Investire. Cosa fa invece del whisky un investimento particolare? Il fatto che se ben conservato possa essere comunque bevuto in tutto il suo splendore anche a distanza di decenni dal suo imbottigliamento, per cui nella peggiore delle ipotesi di un non auspicabile crollo del mercato almeno vi lascerà l’emozione di un prodotto straordinario. Il single malt scotch whisky la fa da padrone. Nel 2018 sono state battute nella sola Gran Bretagna ben 107.000 bottiglie per un valore complessivo stimato superiore ai 40 milioni di sterline, in crescita del 60% rispetto all’anno precedente. Le bottiglie battute per 10.000 o più sterline sono state 265, rispetto alle 90 del 2017. Le compagnie specializzate che offrono consulenza per l’investimento in whisky pubblicano an-


COLLEZIONISMO nualmente degli indici di mercato e la classifica delle distillerie o dei brand di maggiore valore. I risultati sono sorprendenti. Nel 2018 Macallan si conferma in prima posizione (circa 14% del mercato in volume), seguita a distanza da Highland Park (circa 6%), dalla torbata Ardbeg (circa 5%) e da Bruichladdich e Bowmore (entrambe attorno al 4%). Se consideriamo il valore delle bottiglie Macallan conferma la prima posizione con un imbarazzante 38% (più di un terzo del battuto), seguita da Bowmore (quasi 8%) e da Ardbeg (circa 4%). La distilleria Port Ellen, chiusa nel 1982, nonostante il numero di bottiglie ridotto si attesta in quarta posizione con un circa 3% del valore del mercato. La chiave di questo successo è tutta nell’abile mix di rarità, esclusività e qualità percepita. È chiaro che chi vende oggi con maggiore profitto è chi ha iniziato a collezionare whisky negli anni ’70 e ’80 quando la situazione era ben diversa rispetto a quella odierna e il single malt non era sicuramente considerato un bene da investimento. Bottiglie in edizione limitata, realizzate per particolari mercati, che assaggiate hanno catturato l’attenzione degli appassionati sono passate in pochi decenni da un valore di 10.000 lire a sfiorare i 1.000 euro. Un esempio su tutti il Macallan 7 anni Giovinetti degli anni ‘90, un giovanissimo single malt realizzato per il mercato italiano dall’allora importatore Giovinetti & Figli, venduto a poche decine di migliaia di lire negli anni ’90 passava in asta a 80-90 euro neanche 10 anni fa, oggi supera ampiamente i 400 euro. Il whisky giapponese è entrato prepotentemente sia nel mercato dei consumatori che nel collezionismo. Da perfetto sconosciuto, a fine anni ’90 ma soprattutto dopo il 2005, ha saputo conquistare il cuore degli appassionati di whisky. Si è scoperto che il Giappone produceva un whisky eccellente pochissimi anni dopo una loro grande crisi economica che aveva portato alla chiusura di alcune distillerie. Oggi gli imbottigliamenti rimasti in circolazione di queste distillerie sono il Sacro Graal dei collezionisti, vengono battute per centinaia di migliaia di dollari e hanno talmente condizionato il mercato da avere elevato il prezzo medio di tutto il whisky giapponese. Oggi un whisky giapponese anche giovane (4-5 anni), in edizione limitata, è normale che venga messo in vendita a 400 o più dollari. Emblematico è il caso della distilleria Hanyu, chiusa nel 2000 e demolita nel 2004. Chi ha ritirato l’intero stock della distilleria si è trovato tra le mani un magazzino pieno di botti che solo due anni dopo valeva letteralmente oro. Geniale il rilascio della serie della “Carte da gioco” , un insieme di 54 imbottigliamenti che rappresentavano in etichetta le 52 carte e i 2 joker, ottenuti miscelando le botti di Hanyu e con un valore del contenuto corrispondente al valore della carta. Il set completo delle 54 Card Series è andato in asta ad agosto di quest’anno ad Hong Kong per un valore prossimo ai 900.000 euro. Una ultima forma di investimento nel mercato di whisky è rappresentata dall’acquisto di botti sia in maturazione nei magazzini dei broker che appena riempite dalle distillerie. Una botte di whisky da 200 litri appena riempita ha un costo che varia normalmente dalle 2.000 alle 10.000 sterline e può dare vita ad oltre 200 bottiglie che se proposte a mercati di nicchia a distanza di 10 anni qualche soddisfazione la possono dare. Un ruolo importante lo giocano le nuove distillerie, negli ultimi anni ne sono nate oltre venti. Da un lato le distillerie realizzano cash immediato, aspetto importante per ridurre

CHI VENDE MEGLIO OGGI È CHI HA INIZIATO A COLLEZIONARE WHISKY NEGLI ANNI ’70, QUANDO IL SINGLE MALT NON ERA ANCORA REPUTATO UN BENE DA INVESTIMENTO lo stress finanziario a cui ogni distilleria di whisky è soggetta. Dall’altro lato chi acquista scommette sul successo di un brand che non è ancora stato creato e sulla qualità di un whisky che non si è ancora delineata. E dove c’è rischio, in caso di successo i risultati possono essere molto interessanti. L’Italia non è rimasta a guardare. Bolaffi ha all’attivo oltre 10 aste dedicate a vini pregiati e distillati, con risultati spesso sbalorditivi. Quale può essere il futuro è difficile da dire, tutti i record che sembravano imbattibili sono stati frantumati a distanza di pochi mesi, la maggior parte delle collezioni importanti è ormai passata di mano, la concorrenza tra le tante case d’asta ha un po’ saturato l’interesse. *Whisky Club Italia

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NOLEGGIO AUTO AVIS BUDGET GROUP

Reinventiamo il servizio al cliente Arriva la mobilità intelligente di Mario Romano

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razie alle capacità globali, alle competenze e al know-how acquisito negli oltre 40 anni di esperienza nel nostro Paese, Avis Budget Group Italia, tra le realtà leader nell’offerta di servizi per la mobilità, ha avviato l’implementazione di un piano strategico per le città che prevede lo sviluppo di un ecosistema altamente tecnologico e connesso, a misura di cittadino e a basso impatto ambientale, perfettamente funzionale alle esigenze degli enti locali di gestione del traffico e incremento della sostenibilità ambientale. Il piano ha l’obiettivo di supportare le città ad affrontare le sfide di uno scenario di mobilità in grande trasformazione attraverso l’innovazione. Le direzioni del piano di Avis Budget Group sono di reinventare radicalmente il servizio per il cliente al fine di rendere l’esperienza di noleggio più vicina alle esigenze odierne della mobilità, attraverso App e auto totalmente connesse; il processo di digitalizzazione, per rendere accessibili le piattaforme ai clienti e ai partner, creando nuove soluzioni per entrambi; creare soluzioni per una mobilità connessa e integrata, sviluppando nuove linee di business per la gestione delle flotte: Fleet Management as a Service e Mobility as a Service. “Il nostro obiettivo è di generare soluzioni di mobilità intelligenti nelle principali città italiane”, ha dichiarato Gianluca Testa, managing director Southern Region di Avis Budget Group. «E’ un obiettivo che prevede il dialogo e la collaborazione con i principali comuni italiani che sono in prima linea nella gestione della complessità delle città e nella realizzazione delle politiche pubbliche per la mobilità sostenibile del futuro». Le soluzioni sviluppate per l’“intermobilità” a minor impatto ambientale consentono alle amministrazioni comunali delle più grandi città italiane di sviluppare un modello di smart mobility di riferimento europeo. Come azienda leader nel settore della mobilità a livello mondiale, Avis Budget Group si sta impegnando per sviluppare il suo business al fine di soddisfare le esigenze presenti e future dei propri clienti, siano essi consumatori, flotte o amministrazioni. Le azioni intraprese per garantire che la propria flotta globale sia connessa sono parte di una serie di iniziative volte ad anticipare e guidare attivamente l’evoluzione della mobilità. Avis Budget Group ha recentemente siglato un accordo con 106

GRAZIE ALL’ACCORDO CON FORD COMMERCIAL SOLUTIONS PIÙ DI 4.000 VEICOLI FORD DELLA FLOTTA SARANNO CONNESSI VIA WEB ENTRO LA FINE DEL 2019 E ALTRI 10.000 PER IL 2020

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Ford Commercial Solutions per connettere più di 14.000 veicoli Ford Motor Company che fanno parte della flotta europea Avis Budget Group. I veicoli connessi consentiranno ai clienti Avis di gestire l’intera esperienza di noleggio tramite l’Avis App, inclusa la scelta del tipo di veicolo da noleggiare, l’aggiornamento e l’estensione della durata del noleggio. Anche la restituzione del veicolo noleggiato è automatizzata grazie alla connected technology, consentendo ai clienti di riconsegnare i loro veicoli con un semplice tocco dell’Avis App. Inoltre i veicoli connessi Ford forniranno preziosi dati di telemetria in tempo reale, come il chilometraggio, il livello di carburante e aggiornamenti sulle condizioni del veicolo. Ciò consentirà di ridurre i tempi per i clienti, poiché i gestori delle flotte di Avis Budget Group potranno elaborare le informazioni di cui hanno bisogno più rapidamente. Si prevede che più di 4.000 veicoli Ford della flotta Avis Budget Group saranno connessi entro il 2019, e che altri 10.000 veicoli saranno aggiunti nel 2020: un enorme progresso da parte di entrambe le aziende nel raggiungere gli obiettivi di connettività. Avis Italia ha lanciato lo scorso luglio “Avis Electric Motion”, una soluzione di noleggio 100% elettrico che offre massimi livelli di eco-sostenibilità, massima flessibilità e velocità di movimento per i clienti. Il nuovo servizio è basato sull’offerta di


NOLEGGIO AUTO

tariffe orarie, l’accesso libero all’interno di tutte le Ztl di Roma e alle Aree B e C di Milano. A Roma consente inoltre di parcheggiare gratuitamente sulle strisce blu. Avis Electric Motion è disponibile nella città di Roma presso l’aeroporto di Fiumicino, la Stazione Termini, Via Sardegna (nel centro della città). Nella città di Milano presso l’aeroporto di Linate, la Stazione Centrale, Milano Citylife, Piazza Diaz e Porta Romana. Avis Italia ha scelto la “smart EQ forfour” ad alimentazione 100% elettrica. Con una autonomia di circa 155 km, la smart EQ forfour offre piena libertà di movimento in città per un’esperienza di noleggio libera da ogni stress e a emissioni zero nel pieno rispetto dell’ambiente. Avis Electric Motion offre ai clienti tariffe orarie, con chilometraggio illimitato, di minimo due ore (spostamento aeroporto/centro città o brevi tragitti in città), da quattro a sei ore (per spostamenti all’interno della Ztl) e fino alle tariffe weekend, settimanale e mensile. L’auto verrà consegnata totalmente carica e non si ha l’obbligo di ricaricarla alla riconsegna della stessa presso un qualsiasi ufficio Avis Electric Motion (senza

Uno dei 4.000 veicoli Ford in forza alla flotta di Avis Budget Group nel 2019, grazie all’accordo con Ford Commercial Solutions

costi aggiuntivi). Nell’eventualità l’auto necessiti di ricarica, Avis mette a disposizione dei propri clienti degli sconti con alcuni operatori mobili di ricarica per veicoli elettrici. L’introduzione del servizio “Avis Electric Motion” segue il lancio dell’Avis App, nell’aprile 2019, e conferma l’impegno di Avis per soluzioni che consentano di “reinventare il noleggio” attraverso proposte di mobilità innovative. Per vivere l’esperienza, basta scaricare l’Avis App sul proprio smartphone o iscriversi al programma gratuito Avis Preferred. I clienti possono anche prenotare la “Smart EQ forfour” direttamente tramite App e ritirare l’auto presso il parcheggio di uno degli uffici Avis disponibili. Le caratteristiche dell’App daranno agli utenti la possibilità di gestire direttamente il processo di noleggio: i membri del programma gratuito Avis Preferred potranno cambiare o ottenere l’upgrade del loro veicolo mentre si avvicinano alla stazione di noleggio e scegliere esattamente il modello che desiderano. I clienti avranno quindi il pieno controllo della loro esperienza di noleggio dall’inizio alla fine, il tutto con un semplice tocco sullo schermo del proprio dispositivo mobile. Il lancio dell’Avis App è stato uno step molto importante per la strategia di implementazione di un sistema di “intermobilità” sostenibile per le città di Milano e Roma. Un’innovazione che, unita a una serie di servizi per la mobilità cittadina tra i quali la flotta sostenibile - grazie all’introduzione di flotte di veicoli ibridi ed elettrici - e le soluzioni di noleggio a brevissimo termine (due, quattro, sei ore o giornaliero), testimonia l’impegno del brand nel reinventare il noleggio attraverso soluzioni nuove e sostenibili che vadano perfettamente a integrarsi con quelle già offerte dalla città. ottobre 2019

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MOTORI

NUOVA LAMBORGHINI SIÁN: IL TORO PIÙ POTENTE DI SEMPRE

Al Salone dell’auto di Francoforte la Casa di Sant’Agata ha presentato la Sián, una supersportiva ibrida che diventa la Lamborghini più potente di sempre, capace di anticipare il futuro del marchio. Ispirata alla visione futuristica della Countach, lo stile di Gandini è evidente e le forme sono un mix tra richiami al passato e soluzioni aerodinamiche all’avanguardia.

La Lamborghini Sián adotta il V12 e sviluppa un nuovo sistema ibrido che punta a fornire la massima potenza possibile attraverso la soluzione più leggera. Un motore elettrico a 48 volt da 34 CV è stato incorporato nel cambio per garantire una risposta immediata e prestazioni migliori. Anziché adottare una batteria agli ioni di litio, la Lamborghini Sián innova il supercondensatore,

capace di immagazzinare una potenza dieci volte superiore.La Sián sviluppa un totale di 819 CV, raggiunge una velocità massima superiore ai 350 km/h e accelera da 0 a 100 km/h in meno di 2,8 secondi. Sessantatre gli esemplari totali, personalizzati per ogni proprietario dal Centro Stile Lamborghini in collaborazione con Lamborghini Ad Personam.

490,894 KM/H: RECORD DI VELOCITÀ PER LA BUGATTI CHIRON

Continua la sfida tra le auto più veloci del mondo e, dopo il record sullo 0-400 km/h, Bugatti ci è ricascata con una versione ancor più estrema della sua Chiron. La velocità raggiunta da questa speciale Chiron fa accapponare la pelle: 490,894 km/h (304,77 mph), la più alta mai registrata da una vettura stradale. L’esemplare del record è stato rivisto principalmente nella parte posteriore eliminando l’alettone mobile e conferendo 108

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MAZDA CX-30: IL SUV MEDIO DI HIROSHIMA Mazda CX-30 è il nuovo che avanza sia per la Casa di Hiroshima, sia per il semplice motivo che mancava un crossover in grado di colmare la casella “SUV medio” rimasta vuota tra CX-3 e CX-5. Il design degli esterni è chiaramente ispirato a Mazda3, a partire dal frontale dove la somiglianza è praticamente totale. Dietro invece la Mazda CX-30 offre un look più simile a CX-5, sebbene sia decisamente più bassa. Anche gli interni riprendono fedelmente l’aspetto della sorella più bassa. La plancia è minimalista, sintesi perfetta del Kodo Design 2.0, ma è l’ergonomia l’aspetto che colpisce di più. La distanza tra leva del cambio, volante, comandi fisici del clima è stata studiata al millimetro, mentre lo schermo del navigatore da 8,8 pollici sembra spuntare dalla plancia ed è sviluppato in larghezza. La gamma motori di CX-30 propone due benzina 2.0 aspirati da 122 CV e 180 CV, entrambi dotati sia di trazione integrale sia della possibilità di scegliere il cambio automatico con convertitore di coppia a 6 velocità. Sul fronte Diesel c’è il 1.8 da 116 CV di coppia e alle proposte “tradizionali” si aggiunge la grande novità, lo Skyactiv-X 2.0 da 180 CV, il benzina che funziona secondo i principi di un motore a gasolio.

25 centimetri di sbalzo in più, con un “codone” degno delle vetture della 24 Ore di Le Mans degli anni ’90. Modificato anche lo scarico e altri particolari come le sospensioni a regolazione laser e i pneumatici super performanti Michelin Pilot Sport Cup 2. Per raggiungere una velocità inimmaginabile solo fino a pochi anni fa, Il famoso W16 quadriturbo 8 litri è stato portato a 1.580 CV.

in collaborazione con Autoappassionati.it



BIBLIOTECA Antonio Quaglio Laureato in Economia aziendale all’Università di Venezia, è stato inviato e caporedattore a Il Sole 24 Ore. Collabora a www.ilsussidiario.net.

NUOVE BANCHE, LO STIMOLO ALL’INNOVAZIONE NEL SISTEMA

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oberto Ruozi, rettore emerito dell’Università Bocconi, e Pierpaolo Ferrari, economista bancario a Brescia, sono fiduciosi che “il modello di business vincente nelle banche di nuova costituzione sia già implicitamente presente nella mente dei massimi dirigenti di numerose banche commerciali tradizionali che, negli ultimi anni, hanno iniziato la ristrutturazione aziendale agendo proprio su alcuni dei settori considersti prioritari dai promotori della maggior parte delle banche di nuova costituzione”. Tuttavia la loro analisi - in un lungo articolo pubblicato sul quarto numero del 2019 di bancaria, la rivista dell’Abi - è preoccupata e la raccomandazione esplicita: “Occorre che le banche italiane facciano evolvere il loro modello di attività. I cambiamenti nella regolamentazione e nella tecnologia rendono in prospettiva non più sostenibile il modello italiano di banca prevalso nel decennio antecedente la crisi finanziaria globale”. Due sono i trend-binario entro cui le banche tradizionali stanno muovono nel ridisegnare le loro strategie. La forte tendenza alla concentrazione del sistema è alimentata da tempo dagli stessi intermediari esistenti sotto la spinta dei regulator, guardando sia al consolidamento del sistema dopo l’esplodere della crisi globale, sia ai massicci investimenti in tecnologia necessari in prospettiva a gestire un business bancario sempre più sofisticato e concorrenziale su scala globale. Ma proprio la sfida fintech sta già premendo dall’esterno, in modo strutturale sulle banche tradizionali, attraverso un vasto e magmatico mondo di player che autority e studiosi raccolgono sotto la denominazione di shadow banking: l’insieme di tuttl gli operatori che svolgono in misura crescente funzioni finora svolte dalle banche soggette a vigilanza (i gestori di blockchain sono solo gli ultimi e più noti tra i nuovi competitor dei sistemi creditizi). È su questo sfondo che Ruozi e Ferrari hanno individuato e posto sotto i riflettori un fenomeno tutt’altro che scontato: l’avvento sul mercato italiano di un numero consistente di banche di nuova costituzione. Non sorprende infatti che molte “vecchie banche” siano state espulse dal mercato: in parte per gli effetti della crisi finanziaria globale, in parte non meno rilevante nel gioco di lungo periodo delle fusioni e acquisizioni che ha già interessato l’Eurozona nell’avvicinamento all’unione monetaria e che pare destinato a riaccendersi nella lunga exit dalla crisi. E’ stato così che le 2.071 banche attive in Italia all’entrata in vigore della legge bancaria del 1936 sono divenute 507 nel 2018, con una riduzione drastica sia delle banche di credito cooperativo (oggi 268) sia di quelle costituite in Spa (137). Ma soprattutto nel primo ventennio dell’euro (1999-2018) non sono mancati ingressi significativi. In totale le costituzioni di nuove banche sono state 395 (di cui 179 Spa e 89 Bcc) e di esse 160 risultano sopravvissute. Una campione troppo signi110

ottobre 2019

Roberto Ruozi e Pierpaolo Ferrari hanno proposto su “Bancaria” una riflessione originale sul forte ricambio di intermediari in Italia nel primo ventennio dell’euro: asset manager in prima fila ficativo per non essere investigato da due studiosi come Ruozi e Ferrari: per cercarvi gli stimolatori dell’innovazione per l’intero sistema bancario in trasmigraROBERTO RUOZI, RETTORE EMERITO BOCCONI zione. Certamente importanti sono le 55 banche estere che hanno portato a 80 i brand direttamenti operanti in Italia. Ma un subinsieme significativo è rappresentato anche dalle trasformazioni in banche di 13 gestori di leasing, factoring e credito al consumo, mentre 17 sono gli asset manager che hanno scelto di riconfigurarsi come banche e 3 le nuove banche specializzate in credito immobiliare. Sono banche nate programmaticamente per “coltivare nuovi spazi di mercato”, sottolineano gli autori, che ne mettono in evidenza una lunga serie di caratteristiche-chiave: reti distributive basate su canali telematici, ingaggio di personale poco numeroso ma qualificato e produttivo, con elevato ricorso all’outsourcing e modesti investimenti immobiliari; offerta di prodotti più orientati a commissioni che ai margini d’interesse; leva strategica strutturale sull’utilizzo del Big Data. I primi risultati sono già visibili. Un campione identificato ad hoc, vede 56 “nuove banche” aver contribuito per oltre il 18% all’utile complessivo del sistema bancario italiano nel 2017, mentre i costi operativi rappresentano solo il 5 per cento del totale. Il futuro - come molto spesso sui mercati - arriva già oggi: nell’innovazione competitiva dentro il mercato stesso.


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CARO CLIENTE, IL CONTO CORRENTE NON È UN INVESTIMENTO

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isparmiatori, prendete atto che i soldi lasciati sul conto corrente non coprono l’inflazione e neppure, probabilmente, le spese aumentate mediamente di 7,5 euro l’anno come ha rilevato Banca d’Italia sui dati 2018. Banche, trovate il coraggio di comunicare al cliente che quel misero tasso di interesse pagato sui depositi a vista (che come quelli del c/c possono essere ritirati in ogni istante) potrebbe scendere ancora e forse annullarsi. Si potrebbe spiegare, ma non sarà facile perché è un argomento molto tecnico, che le banche stesse per depositare il loro denaro eccedente la riserva obbligatoria presso la Bce (Banca centrale europea) devono pagare. Pagare per depositare i miei soldi? Comprare titoli con rendimenti negativi? Sembra una beffa. Tutto parte dalla necessità di tenere molto bassi i tassi di interesse per contrastare la congiuntura negativa favorendo gli investimenti e i consumi. Le banche centrali agiscono da regolatori, come si dice aprono e chiudono il rubinetto della liquidità. Quando l’economia corre troppo e crea troppa inflazione girano il rubinetto a sinistra, quando non si muove aumentano il flusso. Ora i soldi per investimenti, pubblici o privati, ci sono. Meno la voglia di investire e consumare, chiaro segno di incertezza. In Italia la remunerazione dei soldi lasciati liquidi sul conto corrente non è mai stata in discussione. E’ un dogma. Altri sistemi bancari hanno preferito una politica di minor remunerazione e minori spese. Metterla in dubbio, senza spiegarla, aggiungerebbe rabbia al clima di diffidenza che già esiste tra clientela retail e istituti di credito. Anche se “danno poco” – come si lamentano gli italiani - sui c/c rimane depositato qualcosa come 1.400 miliardi. Che non rendono niente. Le statistiche indicano in 4.600 euro la giacenza media dei conti correnti parte dei quali sono poco attivi, quindi probabilmente la giacenza dei conti “vivi”, quelli veramente utilizzati è più alta. Ipotizziamo anche il doppio a 9.200 euro e ipotizzando in rendimento dell’1% lordo risulta evidente che i costi (dato medio 2018 di 86,9 euro con incremento di 7,5 euro sul 2017) si mangiano tutto. Senza contare il deprezzamento dei soldi depositati per effetto dell’inflazione. Chi detiene più conti correnti tradizionali certamente paga più di quanto incassa di interesse. Chi ha giacenze molto più alte ha, proporzionalmente, una minore erosione. Quali sono i ragionamenti (o forse le emozioni e le paure) 112

ottobre 2019

che portano a detenere una tale massa di denaro liquido? Sostanzialmente una cultura appunto di conto corrente come investimento. In verità il c/c è un servizio di base, dovrebbe servire non per far rendere il denaro quanto per fare da appoggio a incassi, pagamenti, qualche emergenza. La sensazione che possano essere necessari improvvisamente, anche in positivo – un box comodo da acquistare al volo – spinge verso la liquidità. Gli italiani hanno un 3% direttamente investito in titoli pubblici liquidabili in giornata, oltre alle azioni e alle quote di risparmio gestito (anche quelle facilmente liberabili in poche ore) e quindi non sembrano soffrire di portafogli immobilizzati al punto da far perdere l’affare. Forse non è ben percepita la buona liquidabilità, tempi rapidi e nessuna penalizzazione d’urgenza, di quei titoli. Esiste probabilmente una forma di pigrizia che non è mai stata ben analizzata: C’è sempre qualche cosa di più urgente di cui occuparsi, come far rendere correttamente al meglio i propri soldi che non è una priorità. Ci può stare. Forse ci sono cose più divertenti da leggere che non la migliore disposizione del denaro. Basta sapere che nell’immediato il rendimento delle giacenze sarà deludente. Cosa è prevedibile? Più che del marcio in Danimarca c’è qualche fatto reale: Jyske Bank, che è più una banchetta locale, ha rotto il tabù portando in negativo il tasso sui depositi dei correntisti. Altre stanno seguendo. Sulla base di tipologie dei clienti di arriva a -0,6%. Le spese bancarie solitamente sono basse. E il meccanismo degli interessi negativi per fortuna vale anche al contrario, cioè la banca premia chi chiede denaro in prestito con un tasso negativo (per esempio -0,5% su un mutuo a dieci anni). La rata è al contrario. Lo spread di convenienza per la banca si forma in area negativa, in un equilibrio tra tasso riconosciuto dalla banca centrale alla banca commerciale, tra banca commerciale e depositanti, tra banca commerciale e clienti privati e imprese. E’ un’architettura che regge, forse spinge meglio l’economia, di difficile importazione in Italia dove difficilmente verrebbe accettata; culturalmente, politicamente e anche nelle regole attuali che comunque possono cambiare. Per ora gli italiani cercano nei conti deposito, in posta, in qualche offerta promozionale, dei tassi di remunerazione meno smilzi. Si torna sopra l’inflazione e le spese solo con i conti online, oppure vincolando più a lungo il denaro (quindi rinunciando a quella liquidità d’emergenza su c/c che pare piacere). Va bene, è una battaglia difensiva. L’investimento è un’altra cosa.



MALALINGUA Vittorio Borelli Giornalista di lungo corso, condirettore de Il Mondo, fondatore e direttore di East, già direttore delle relazioni esterne di Unicredito nella gestione Rondelli-Profumo

L’AGENDA DEL BIS-CONTE GIALLOROSSO Giuseppe Conte

• Farsi mandare un centinaio di rosari di Padre Pio con dedica personalizzata. Informarne discretamente la stampa e lo staff di Papa Francesco. • Chiedere a tre editorialisti del Corriere, del Fatto Quotidiano e del Manifesto di scrivere tre opinioni diverse sull’immigrazione. Usarle a seconda delle necessità. • Informarsi sulla lacca per capelli di Ursula von der Leyen, potrebbe servire per un prossimo G7 ventoso. Valutare se renderne partecipe anche Gentiloni. • Mandare in ricordo a Salvini la poltrona del Viminale su cui avrebbe potuto sedersi. Vietato togliere il cellophane. • Approfittare dello stato d’animo positivo di Beppe Grillo per farsi mandare qualche battuta da spendere in televisione. Precisare che sono per la fascia protetta. • Proporre a Marcello Foa uno scambio: resta presidente Rai se riesce a far nominare Maria Elena Boschi Miss Italia 2020. Chiedere prima alla Boschi se le basta come risarcimento per l’assenza di ministri toscani. •Spiegare alla Berlinguer che Leu è stata cooptata nel governo per via dei suoi quattro senatori e che non è necessario intervistare tutte le settimane D’Alema, Bersani, Speranza, Grasso e Boldrini. • Suggerire a Erdogan il nome di Claudio Borghi per una cattedra di economia a Istanbul. • Sollecitare Berlusconi a far rientrare Rocco Casalino al Grande Fratello.

Luigi Di Maio

• Garantire a Casalino che non tornerà al Grande Fratello se riuscirà a indirizzare la Bestia su Conte e Zingaretti. • Spiegare agli ambasciatori accreditati che Conte è sì primo ministro ma che il capo del partito di maggioranza sono sempre io. • Comprare un mappamondo tascabile con i nomi dei paesi ben evidenziati. • Chiedere al Mago Silvan se conosce qualcuno che possa insegnarmi l’inglese con l’ipnosi. • Invitare Renzo Piano per una rinfrescata alla Farnesina. I modelli a cui ispirarsi sono Versailles, la Venaria Reale e la Reggia di Caserta. • Ordinare ai commessi di arredare il mio ufficio con ritratti di Washington, Lenin, Churchill e Mao Zedong. Dietro la mia scrivania vorrei un bell’affresco di Jean Jacques Rousseau 114

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In evidenza: sollecitare Berlusconi per far rientrare Rocco Casalino al Grande Fratello. E far nominare la Boschi Miss Italia che stringe la mano a Casaleggio. • Regalare a Danilo Toninelli una ruspa, una gru e una betoniera. Non dare spiegazioni. • Informare il direttore del Corriere della Sera che non rinnoveremo più alcun abbonamento finché non avrà cacciato quel Sabino Cazzese che pretende di saperla più lunga di Alfonso Bonafede. • Sondare Aurelio De Laurentis: gli potrebbe eventualmente servire un capo steward di vasta esperienza internazionale per lo stadio San Paolo.

Matteo Renzi

• Far cementare la Bocca della verità e dirottare i turisti curiosi di Roma su Piazza del Popolo. • Fornire riservatamente a Bruno Vespa la formazione del partito centrista che verrà: in porta Casini, in difesa Anzaldi e Marcucci, a centro campo Formigoni e Guerrini, sulla fasce Lorenzin e Giachetti, al centro dell’attacco Calenda e Boschi. In panchina Giorgetti e la Gelmini. Chiedere a Berlusconi se può mettere a disposizione la villa di Arcore per gli allenamenti. • Fare in modo che alla Leopolda 2020 partecipino i vincitori dei premi Nobel in scienze sociali. Li vorrei intervistare sul seguente tema: un grande leader politico deve essere necessariamente simpatico? • Consigliare a mio padre di trasferirsi nell’estremo sud della Patagonia. • Spiegare al neoministro dell’economia Roberto Gualtieri che se si azzarda a toccare gli 80 euro gli scateno contro Angela Merkel, i Clinton e Roberto D’Agostino. • Telefonare a Boris Johnson e avvertirlo che la sua carriera rischia di durare meno di quella di Enrico Letta. • Suggerire a Massimo Recalcati un saggio sulla sterilità del priapismo di Salvini. • Mandare a Massimo Cacciari una bella scorta di pastiglie Benagol per le prossime sbraitate televisive. • Chiedere ai coniugi Obama se possono presentarmi il loro editore.



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