Investire Ottobre 2021

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INVESTIRE | ANNO III | N.30 | MENSILE | OTTOBRE | DATA DI USCITA IN EDICOLA: 20 OTTOBRE 2021 | POSTE ITALIANE S.P.A. - SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - D.L. 353/2003 (CONVERTITO IN LEGGE 27/02/2004 N° 46) ART. 1, COMMA 1, LO/MI

LA FOGLIA DI FICO

Non è tutto verde quel che viene venduto come tale nei prodotti d'investimento. Anzi: il greenwashing dilaga. E vanno considerati a fondo i rischi di investire i propri soldi in asset che di ecologico hanno solo il nome

LA STAGFLAZIONE FA PAURA Non è l'aumento dei prezzi a spaventare ma il rischio che l'economia non cresca • LOMBARDO/ «Gestioni iperattive!» • ION / Come rivoluzionerà le banche

PRIVATE EQUITY

Pompei (Deloitte): «La via per la crescita delle Pmi»

EDUCAZIONE FINANZIARIA • SAVONA: «Alt alle criptovalute!» • LUSARDI: «Nelle scuole come obbligo» • CONTE: «I consulenti primi docenti» • DE LUCIA: «Consigli allo sportello»

IMMOBILIARE

Roma Capitale riparte dopo un lungo buio

NATIXIS CUP, IL PODIO DELLA GARA DI INVESTIRE Quest'anno di competizione professionale tra campioni del risparmio gestito si è chiuso con risultati sorprendenti. Ecco i nomi di vincitori e concorrenti


&

Hanno il piacere di annunciare i vincitori della

Natixis IM Portfolio Cup 20/21 Ecco il podio finale della appassionante competizione tra consulenti finanziari per il portafoglio con il miglior rapporto tra rendimento e indice di draw down

Valeria Tedaldi

Lorenzo Gazzaniga

< GLI ARTICOLI SULLA GARA SONO DA PAGINA 60 A PAGINA 64 >

Gabriele Zeloni


EDITORIALE

Birra, e sai cosa bevi

È

stato uno slogan memorabile, nella storia della pubblicità italiana: “Birra, e sai cosa bevi”. Reso celebre da Renzo Arbore, insuperabile testimonial. E coinciso con una lunga e progressiva affermazione della bevanda bionda nei costumi alimentari nazionali. Della quale quello slogan, ideato dai produttori, diceva sostanzialmente una cosa: si sa cosa c’è dentro, non è adulterata. E’ onesta. Che c’entra con i mercati finanziari, con gli investimenti? C’entra: perché in ogni ambito del consumo di beni, dell’acquisto di servizi e dell’impiego del denaro, le persone prima o poi – salvo casi infrequenti di totale insipienza – qualche domanda sul senso del proprio spendere se la fanno. E gli italiani più di altri, semmai. Cosa che spiega la forte tendenza al risparmio, più che al consumo, la diffidenza verso il debito, la prudenza nell’investimento. Ebbene, c’è un filo rosso che collega i tre temi “forti” di questo numero di Investire, cioè il greenwashing che sta purtroppo manifestandosi con eccessiva frequenza nella finanza verde, i timori per la stagflazione e la scarsa educazione finanziaria italiana. C’è un filo rosso e una soluzione obbligata: la maggior trasparenza di chi costruisce e di chi vende prodotti finanziari. Una trasparenza che, di solito, c’è già ma non basta. In un Paese “bancocentrico”, a forte indebitamento pubblico, il combinato disposto della ricca offerta di titoli di Stato e della pesante tutela bancaria sulle scelte dei singoli, rendeva inevitabile che gli investimenti finanziari evoluti, quelli borsistici, fossero poco praticati dal grande pubblico e venissero considerati roba da “furbi” o da ricconi. Ad aggravare il quadro si sono aggiunti gli scandali finanziari, in fondo non più gravi né più frequenti che altrove ma da noi enfatizzati dalla nostra diffusa cultura anti-capitalistica, diffidentissima verso gli investimenti “di rischio”. Oggi il quadro è cambiato. L’11% del risparmio è “drenato” dall’industria delle gestioni e delle reti. Circa un milione di italiani si cimenta, più o meno spesso, nel trading on-line. Non abbiamo ancora le meme stocks, ma ci stiamo arrivando; e decine di migliaia di italiani – ahiloro! – sono proprietari di criptovalute.

di Sergio Luciano

Forme alternative di investimenti individuali – dal crowdfunding al social lending – cominciano ad affacciarsi sul mercato. Insomma: il quadro evolve. Ma con quali effetti, attuali e potenziali? Difficile prevederlo, ma le premesse non sono buone. L’educazione finanziaria in Italia è sempre mancata, e la gente sa poco e niente su come investe: anche quelli che fingono di saperlo. Le mode finanziarie seducono, ma gli anticorpi contro di esse sono deboli. E dunque se fa bene Paolo Savona, presidente della Consob, ad ammonire forte e chiaro: “Non investite nelle criptovalute”. Ma sono tanti anche quelli che, avendo soltanto capito che l’ecologia tira, per questo e solo per questo chiedono prodotti “verdi” alla banca o al consulente finanziario. Piurtroppo, una parte – minoritaria ma non trascurabile – dell’industria internazionale della gestione del risparmio risponde offrendo prodotti che dicono di essere ecologici ma non lo sono. Foglie di fico sulle vergogne di settori inquinanti. Destinate prima o poi a svelarsi per quel che sono, puri mascheramenti di contenuti inadeguati. Non va bene, così. Nell’attesa che l’educazione finanziaria si diffonda e propaghi nell’organismo del risparmio delle famiglie gli anticorpi della consapevolezza e del discernimento, chi crea, gestisce o distribuisce beni da investimento ha l’obbligo morale di non barare. Per questo, se lo fa, va stigmatizzato. POST-SCRIPTUM – Il 30 ottobre Investire porterà in edicola un nuovo numero speciale di Investire Today, il proprio “spin-off” su carta da quotidiano che periodicamente vi offriamo per sviluppare il trattamento giornalistico di alcuni temi cruciali. Quello del 30 ottobre sarà un “Investire Today” dedicato appunto all’educazione finanziaria e al risparmio. Che uscirà in edicola da solo al prezzo di 2 euro, in allegato a Il Giornale in Lombardia e in omaggio nelle lounge di Trenitalia per i viaggiatori che le frequentano. Nel Today, approfondimenti e articoli di vademecum sui grandi comparti del risparmio realizzati dalle nostre migliori firme. Un fascicolo da leggere con calma e da approfondire, per le soluzioni pratiche che proporrà e per i consigli e le testimonianze che ospiterà. In questo numero, qualche pagina di “prequel” e sul prossimo Investire un seguito ricco di ulteriori contenuti di qualità. Buona lettura!

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ottobre 2021

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A scopo promozionale. Capitale a rischio. La performance passata non è un’indicazione della performance futura. Niente in questo annuncio deve essere interpretato com investire. Le ipotesi e gli sgravi fiscali dipendono dalla legge vigente e dalle circostanze particolari di un investitore e possono cambiare. Janus Henderson Capital Funds l’investitore KIID prima di investire. Nel caso di investimenti effettuati tramite intermediari abilitati, si prega di rivolgersi direttamente a questi ultimi, in quanto costi, rendi investimenti. Il rating Morningstar si riferisce alla classe di azioni A2 USD (codice ISIN: IE0009355771) al 31 maggio 2021.

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SOMMARIO Ottobre 2021

03 EDITORIALE 09 WATCHDOG 10 SISMOGRAFO

12 IL GERMANISTA 15 FINANZA REALE 16 III REPUBBLICA 48 IL SOTTOSTANTE

di sergio luciano

Birra, sai cosa bevi. E in finanza?

di marco onado

di a.gervasoni

Servono competenze ad hoc per il private asset

Evergrande, non ci sarà l’effetto domino

di e.cisnetto

di giulio sapelli

Perchè su fisco e catasto i giochi non sono fatti

Come selezionare la nuova classe dirigente

Troppo finto verde nei portafogli dei risparmiatori italiani. Molti operatori devono correggere il tiro per rendere veramente tale la rivoluzione Esg

di franco tatò

Cosa può insegnare il voto tedesco all’Italia

di matteo ramenghi

Per i mercati la stagflazione è dietro l’angolo

COVERSTORY NODO GREENWASHING

LA VISION DI SCHRODERS

Non è tutto green quello che luccica

Ecco perchè le aziende Esg resteranno sovraperformanti

IL PENSIERO DI ETICA SGR

IL PUNTO DI RONCHETTI

Con le nuove regole l’Esg non sarà più un Far West

Sugli investimenti verdi la sostenibilità sta rifiorendo

18

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anteprima INVESTIRE TODAY

28 32 34 6

LUSARDI (EDUFIN)

«Educazione finanziaria a scuola? Aiuterà a ridurre le disuguaglianze»

DE LUCIA (ASSOPOPOLARI)

«Il ruolo delle banche del territorio è cruciale per formare i risparmiatori»

CALZOLARI (ASSOSIM)

«Chi investe nel trading online è più preparato del risparmiatore italiano medio» ottobre 2021

30 33 36

SAVONA (CONSOB)

«Cari risparmiatori, vi spiego perchè bisogna stare alla larga dalle criptovalute»

CONTE (ANASF)

«Insegnare l’abc della finanza? I consulenti finanziari sono i docenti migliori»

PIVA (BCC VER. E VIC.)

«Anche agli sportelli delle Bcc si formano risparmiatori più consapevoli»


SOMMARIO

INVESTIRE SPECIALIST 38 42 44 46 50 52 54 56 58 60 61 62

FINTECH LENDING/ Crovetto di ItaliaFintech: «Ecco come stiamo aiutando le pmi»

INFLAZIONE/ Non fa paura ai mercati, mentre la stagflazione invece sì

RETI E LIQUIDITÀ/ Salgono i prezzi? Motivo in più per non lasciare i soldi sul conto

ASSET ALLOCATION/ Chi sa scegliere dove investire in tempi di inflazione può essere ottimista BANCHE CENTRALI/ La Fed apre (in prudenza) la stagione del tapering

LA CINA PERDE APPEAL/ È partito il China Reset. I capitali in viaggio verso l’India PIANETA PLENISFER/ La Sgr che sfida

i conformismi con una iper-gestione attiva

SYCOMORE/ Il lucroso business dell’istruzione nel mirino dei gestori BANCA VALSABBINA/ Un occhio alla tradizione e l’altro al fintech

MONDO VERDE/ Pmi a scuola di sostenibilità con l’aiuto di Generali e Sda Bocconi L’INVITO DI KAIROS/ Investire sul Belpaese, è arrivato il momento

NATIXIS IM PORTFOLIO CUP/1 Finita la gara, tutti i tweet dei concorrenti in gioco

64 68 69 70 71 72 74 75 76 78 80 82

NATIXIS IM PORTFOLIO CUP/2 La parola al vincitore Lorenzo Gazzaniga

SEDIE & POLTRONE/ Brivio Sforza diventa managing director del private di Banca Lombard Odier PROFESSIONE CONSULENTE/ Se le Borse vanno bene bisogna preoccuparsi?

EVENTO INVESTIRE AL SALONE/ Dai conti inerti alle imprese il denaro si sposta se capisce perchè

LE NOSTRE INTERVISTE AL SALONE/ Con JP Morgan Am, Morgan Stanley, Natixis Im e Vanguard ECONOMIA REALE/ Tra imprese familiari e private equity un matrimonio che si può fare

IL CONVEGNO SUL PRIVATE ASSET/ Private capital, l’asso nella manica del capitalismo italico

ADVICE & REAL ESTATE/ La consulenza di Banca Generali accelera col mattone

ROMA CAPITALE/ La città capitolina può tornare a primeggiare nel settore immobiliare

UNICREDIT/ Per essere sostenibile la crescita ha bisogno di capitali pazienti

LE STRATEGIE DI ION/ Le banche del futuro non saranno solo giganti grazie al digitale

POLE POSITION/ L’auto ha fame di chip ma per Elon Musk non è un problema

94 FASHION FINANZA VERDE BIBLIOTECA 97 I PIANI DI DOORWAY 84 98 MALALINGUA

Com’è figo mettere al bando la pelle e inquinare

Il futuro della Vigilanza nel libro di Cesarini e Beccalli

COSMOPOLITICA di andrea margelletti

L’Europa alla guerra energetica tra caro-kilowatt e sogno-idrogeno

QUI NEW YORK di glauco maggi

Immobili, la bolla che non scoppia ma che continua a gonfiarsi

IL GIRO DEL MONDO IN 30 GIORNI

Argentina, è arrivato il momento di sfruttare le miniere di litio

Letta si vaccina contro il fuoco amico. E Salvini?

49 89 90

MONDO

L’equity investing punta le sue fiche sulla sostenibilità

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WATCHDOG

I

EVERGRANDE, NON CI SARÀ L’EFFETTO DOMINO MA IL DRAGONE HA BISOGNO DI PROFONDE RIFORME

mercati mondiali hanno tirato un gran respiro di sollievo quando hanno capito che il tracollo di Evergrande, il colosso cinese dell’immobiliare che è anche la società più indebitata al mondo, non porterà a una crisi finanziaria analoga a quella del 2008 che fu provocata da un boom eccessivo del settore delle costruzioni sia negli Stati Uniti, sia in Europa. Il governo cinese ha infatti tutti i mezzi, finanziari e politici, per attutire l’impatto di qualsiasi insolvenza. Ma il vero problema messo a nudo dal caso Evergrande sta nel modello cinese di sviluppo e questo sembra arrivato veramente al momento in cui deve fare i conti con le compatibilità economiche di fondo. La grande crescita degli ultimi decenni è stata trascinata in gran parte dal settore immobiliare: costruire, costruire, costruire era la parola d’ordine. Da anni si accumulavano dubbi sulla sostenibilità di questo modello: siti web documentavano ad esempio le ghost towns cinesi, grandi metropoli costruite nel mezzo del nulla, pronte per essere abitate, ma desolatamente deserte. Almeno dallo scoppio della grande crisi finanziaria, si è detto che la sfida per il governo di Xi era quello di reorientare la produzione e quindi la domanda dall’immobiliare verso i beni di consumo. Missione fallita. Un’importante ricerca cui ha contribuito Kenneth Rogoff, uno dei più autorevoli studiosi di crisi finanziarie, dimostra che il settore immobiliare ha trainato lo sviluppo cinese degli ultimi anni e ha raggiunto nel 2016 quasi un terzo del pil (la ricerca ha dovuto fare un notevole sforzo per districarsi fra i dati ufficiali controllati dal regime e dunque l’ultimo dato sicuro non è freschissimo). Si tratta di un valore superiore a quello di Stati Uniti, Spagna o Irlanda prima della loro crisi immobiliare e di un valore che non solo non è più sostenibile, ma che getta lunghe ombre sul reale valore economico degli immobili che sono stati inclusi nella contabilità nazionale cinese. Lo stesso Xi ha detto che bisogna perseguire uno sviluppo genuino piuttosto che gonfiato artificialmente. Ma ci sono i presupposti economici e soprattutto politici per riportare a valori fisiologici il contributo del settore immobiliare e per aumentare in modo corrispondente le altre componenti a cominciare dalla domanda di beni di consumo? Sarà tutt’altro che facile. In primo luogo, la quantità di immobili ultimati e invenduti è impressionante: c’è da alloggiare l’intera popolazione di un intero grande paese del G7, Stati Uniti esclusi ovviamente. Auguri. In secondo luogo. lo shock macroeconomico non sarà modesto: sempre lo studio citato stima che una caduta del 20 per cento dell’attività del settore im-

mobiliare potrebbe portare ad una diminuzione del 5-10 per cento nel Pil cinese, anche se non si verificassero crisi bancarie e senza tener conto degli effetti generali della caduta dei prezzi immobiliari, che tanto peso hanno nelle garanzie dei prestiti in essere. E il debito accumulato come è noto ha raggiunto livelli elevati anche rispetto agli standard dei paesi avanzati: quello delle famiglie si attesta al 61 per cento del pil; quello delle imprese al 160 per cento. Tutti questi squilibri hanno radici politiche, a cominciare dall’incapacità del regime, nonostante i proclami di Xi, di orientare la domanda aggregata verso beni di consumo di massa o verso una distribuzione più equa della ricchezza e in particolare della proprietà immobiliare. Con buona pace di Carlo Marx, la Cina ha livelli di diseguaglianza fra i più elevati al mondo. Il reddito disponibile del 20 per cento più ricco del paese è dieci volte superiore a quello del 20 per cento che sta al fondo della scala. Il top 1 per cento possiede quasi un terzo della ricchezza totale, esattamente come gli Stati Uniti che sono fra I paesi con il più alto indice di disuguaglianza. Da qualche anno a questa parte, è stata lanciata, secondo la liturgia cara ai regimi totalitari, la parola d’ordine “prosperità per tutti” (common prosperity). È in questa ottica che vanno interpretate le recenti campagne contro grandi imprenditori come la clamorosa iniziativa di bloccare la quotazione da 37 miliardi di dollari di Ant Group del miliardario Jack Ma oppure la condanna a 18 anni di un altro miliardario (immobiliare) per aver criticato la gestione di Xi della crisi Covid. Come al solito gettare in pasto all’opinione pubblica qualche vittima illustre è facile. Più difficile sarà varare le riforme (a cominciare da quelle sociali) necessarie per elevare il reddito dei 600 milioni di cinesi (il doppio della popolazione degli Stati Uniti) che oggi non vanno oltre i 150 dollari al mese. Ma se ciò si rivelasse più difficile di quanto oggi Xi proclami, i tassi di crescita dell’economia cinese non saranno per molto tempo quelli del passato. L’analogia con il 2008 non è nelle conseguenze finanziarie, ma nella costatazione di quanto squilibrati fossero i modelli di sviluppo esaltati dai più. Ieri si è trattato dell’economia occidentale e in particolare degli Stati Uniti. Oggi tocca alla Cina. Non è un bel segnale: non si salva nessuno, alla fine.

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Marco Onado È professore senior di Economia degli intermediari finanziari nella Università Bocconi di Milano. È stato Commissario Consob. Collabora con “Il Sole 24Ore”, “Lavoce.info” e “voxeu.org”.

Xi Jinping, presidente della Repubblica Popolare Cinese

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IL SISMOGRAFO

SELEZIONARE UNA NUOVA CLASSE DIRIGENTE? “IL PRINCIPE DI SALINA” STAVOLTA DEVE FARE UN PASSO AVANTI

D

Giulio Sapelli È Ordinario di Storia Economica presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Milano e consigliere anziano della Fondazione Enrico Mattei

Nella foto Burt Lancaster “Principe di Salina” ne “Il Gattopardo”

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el declino della classe dirigente palesemente in atto si discute pubblicamente da molti anni, come si parla delle sue tante possibili cause. Gli economisti neoclassici pensano che siano cause meramente economiche.Ma si sa da sempre che c’è dell’altro. L’ascesa dell’impero britannico è stata determinata dall’eccezionale livello di competenza della classe dirigente usciva da Eaton, formata con la capacità di capire le culture altrui e il mondo. Su questo tema c’è una sterminata storiografia internazionale. Una nuova storiografia sta uscendo in questi mesi sulla caduta dell’impero romano, una serie poderosa di testi cui mi sono avvicinato con timore per la loro consistenza. Mi riferisco in particolare a Peter Heather che ha scritto due testi fondamentali: “La caduta dell’impero romano, una nuova storia “ e poi “L’impero e i barbari, le grandi migrazioni e la nascita dell’Europa”. L’autore osserva che questi popoli barbari si sono lasciati tutti colonizzare dalla cultura romana e cristiana, come aveva già ben scritto Manzoni, ma non solo: le classi dirigenti romane erano implose, l’impero era crollato, ma ciò che ne aveva garantito l’espansione era stato proprio l’eccezionale modello di selezione della classe dirigente messo in atto prima nella Repubblica romana e poi nell’impero. Peraltro la storia spiega e conferma chiaramente che quando un impero finisce sotto il governo dei militari – pensiamo ai quattro generali che detenevano il potere militare nell’ultima fase dell’impero romano – l’impero stesso si distrugge, come sta accadendo oggi anche in Afghanistan. Pur con tutta la loro potenza tecnologica i militari non conoscevano più l’arte della guerra ed hanno perso tutto.Venendo ai nostri giorni, dov’è che le classi dirigenti emergono, in una democrazia parlamentare? Quando si selezionano i candidati per le elezioni? È lecito dubitarne. Chi spiega tutto benissimo è Giuseppe Tomasi di Lampedusa nel suo Gattopardo, quando il Principe di Salina rifiuta di candidarsi al parlamento del regno. Chevalier, ambasciatore dei piemontesi, gli dice: “Principe, si candidi per carità!”, ma lui rifiuta e al proprio posto fa candidare Beppe Sedara, il padre di Angelica, volgarmente definito in paese Beppe Merda. È il modello Sedara che si afferma per non declinare mai più, in un’Italia unita per annessione e non per unificazione, come già rilevarono De Santis e poi Gramsci. A essere annessa al Regno di Sardegna fu l’Italia dei Sedara, non dei Salina. E oggi? Oggi noi

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tiriamo le fila di queste premesse. Con tutto il rispetto per i candidati attuali, è chiaro che il modello Sedara è rimasto e prevale. I principi di Salina si ritirano tutti indietro, salvo rare eccezioni. E lasciano spazio alle sedondo file. Anche oggi, come ieri: chi si salva? Si salvano i politici che conservano una comunità di destino. Sia a destra che alla sinistra estrema. Chi crede ancora in qualcosa, a prescindere da come si voglia giudicare questo credo. Non a caso la sinistra non c’è più. Basti pensare che Enrico Letta ha salutato le elezioni a Siena col pugno serrato, pur essendo un dc da sempre. Dove il modello Sedara è arrivato e non dilaga è perché ci sono ancora comunità di destino forti. Qualcosa c’è ancora in Italia. Guardiamo a Pierferdinando Casini: lo si può criticare ma almeno tiene botta e non saluta col pugno serrato, è sempre stato e rimane un centrista. Ma non candida nessuno alle amministrative. Oppure, a volte, ripenso alla solitudine di Rocco Buttiglione, che è un filosofo eccellente, una persona specchiata, eppure è politicamente scomparso. Come mai? Perché non ha trovato intorno a sé una comunità di destino, e l’hanno indotto a dimettersi perché s’era espresso contro una legge sul tema del gender. Lo stesso perdurare di Silvio Berlusconi alla ribalta è la riprova che una nuova classe dirigente non si manifesta: basti pensare che aspira a fare il presidente della Repubblica e lo dichiara. Mi si chiede come s’inserisca in un simile quadro il taglio dei parlamentari. Direi che è un’opportunità neutra. Forse se diventano meno numerosi fanno meno danno. Ma tra mille rappresentanti del popolo che non sono classe dirigente, o soltanto cinquecento di essi, non cambia nulla. Peraltro è ancora molto incerto il momento del voto per il rinnovo del Parlamento, e quindi la nomina di un Parlamento meno numeroso. Per quanto mi riguarda, se alle imminenti elezioni del presidente della Repubblica Mario Draghi sostituisse al Quirinale Sergio Mattarella sarei favorevole, perché il Paese andrebbe poi al voto con un Lord Protettore alle sue spalle. E so che gli Stati Uniti hanno manifestato la loro insoddisfazione perché in Italia non si sia ancora tornata al voto, protraendo l’attuale sospensione della politica ordinaria. Ma vogliono invece che Mario Draghi sia preservato. Perchè mentre ai cinesi, ai francesi, agli inglesi, ai tedeschi e agli iraniani un’Italia politicamente sospesa ed economicamente presidiata può bastare, agli Stati Uniti no: hanno troppe basi strategiche sul nostro territorio e vogliono sentirsi più tutelati. Quindi eserciteranno una sicura e forte pressione per il voto anticipato. Che si farà avvertire a patto che gli americani ritrovino il giusto spunto dopo la sindrome dell’Afghanistan.



IL GERMANISTA

QUEL CHE IL VOTO TEDESCO INSEGNA ALL’ITALIA SULLA SELEZIONE DELLA CLASSE DIRIGENTE

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Franco Tatò Manager eclettico e innovativo, è tra i pochissimi italiani ad aver diretto aziende in Germania, paese (e cultura) che ama ed è l’unico ad essere stato amministratore delegato sia di Rizzoli che di Mondadori

Olaf Scholz, membro del partito socialdemocratico, vicecancelliere del governo Merkel IV

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e elezioni tedesche sono state una specie di grande lezione che l’elettorato della Germania ha dato a tutti. È come se avesse fatto una riflessione pubblica, dicendo che dopo 16 anni di governo Merkel e 12 di grande coalizione era ora che veramente si voltasse pagina: tutto è diventato noioso, farraginoso, deludente, cambiamo pagina, abbiamo problemi grossi da affrontare e dobbiamo essere seri. E quindi confiniamo la Cdu all’opposizione, per come si è comportata in questi 12 anni: è ora che ci vada. Perché questa decisione? Perché la Cdu ha offerto per la successione della Merkel un candidato che era semplicemente inaccettabile: Armin Laschet. E quindi l’elettorato ha deciso di votare non per il partito socialista, che di suo stava sfaldandosi e stava perdendo consensi, ma per un candidato credibile, Olaf Scholz, indicato dalla Spd, che è stato un grande sindaco di Amburgo e che ha fatto per tanti anni il ministro dell’Economia lavorando, malgrado le sue posizioni molto divergenti, in costruttiva armonia con Angela Merkel. Tra i due non è mai trapelato un sospiro di disaccordo operativo, nonostante le chiare differenze di visione. Scholz ha fornito alla Germania un governo armonico, e ha avuto la capacità di gestire le sicure contraddizioni interne della grande coalizione in maniera esemplare. Quindi – hanno detto gli elettori - noi votiamo per lui e il suo partito, il quale rappresenterà in un nuovo eventuale governo la continuità con le cose migliori che ha fatto la Merkel nei suoi 16 anni di governo. Ma la Cdu andrà alla opposizione e verrà sostituita da una nuova coalizione. Questo messaggio risulta chiarissimo dai numeri usciti dalle urne elettorali, a valle dei quali qualsiasi persona ragionevole costruirebbe una coalizione tra la Spd e i Verdi e la aprirebbe anche ai liberali che in passato hanno dato ottima prova come membri di una coalizione di governo: pensiamo all’epoca Genscher, ministro degli Esteri e vicepresidente del consiglio. Peraltro, i liberali rappresentano un’istanza di libertà, di liberismo, di difesa dei diritti umani, che portano con sé nella loro tradizione e che è giusto vengano iniettati nei piani e nelle visioni di un partito socialista e di uno ecologista. Se questi tre partiti andranno d’accordo, be’: il loro potrebbe essere il governo giusto per risolvere i problemi dell’ambiente, dell’economia e dei diritti umani, che il futuro ci propone. È questo il messaggio complessivo che danno le elezioni. In questo quadro non sottovalu-

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tiamo il declino della Afd, nonostante alcuni successi di quadrante, come in Sassonia e Turingia. Ci si può stupire che i tedeschi dell’Est esprimano ancora un voto di protesta, ma è stato marginale, ed ha raggiunto un partito senza leader (quello vero è ancora Adolf Hitler). Tornando al senso delle elezioni, esso ridefinisce la Merkel come un personaggio di transizione – per quanto lunga - per un elettorato che fino a ieri ha sempre votato per i grandi partiti e che ora vota per le persone, le persone in cui crede, che quindi utilizzeranno i partiti come strumento al servizio della gestione della cosa pubblica. C’è poi un altro messaggio fortissimo che viene da questo voto, o meglio una domanda, soprattutto sulla Cdu: perché ha scelto un candidato così imbarazzante? Ed estendendo il quesito: perché le assemblee sbagliano sempre nella scelta dei candidati? Ecco un altro motivo di riflessione: anche in Germania il mondo funziona così, le assemblee sbagliano. Mi viene da dare ragione a D’Alema quando diceva che alle primarie Berlinguer non sarebbe mai diventato segretario del Partico comunista italiano, ed è una lezione che dobbiamo accettare perché se vogliamo introdurre o reintrodurre il governo dei capaci dobbiamo avere un sistema nuovo, che sia in grado di scegliere bene. E’ quel che è successo in Italia con Draghi, che non è stato eletto da nessuno ma sappiamo tutti che è capace, preparato, esperto, serio. Sarebbe stato eletto se si fosse presentato alle elezioni? Probabilmente mai. Però l’Italia, nella crisi, ha avuto fortuna. Ecco, ora su questo stesso tema la Germania, facendo capire che è ora di cambiare: il governo deve essere affidato a persone capaci. La coalizione di governo che si profila per la Germania ha la caratteristica di essere fatta di europeisti, verdi compresi. Non dimentichiamoci che sono stati rifondati da Joseph Martin Fischer, che è stato un valido ministro degli esteri tedesco e vicecancelliere di Schroder, europeista convinto. E sicuramente è europeista Scholtz, come ha dimostrato in tantissime circostanze. Dunque il rapporto della Germania con l’Europa non cambierà rispetto all’era Merkel ed anzi Scholtz cercherà di usare il peso economico del suo Paese per orientare l’Europa, come ha fatto la ex Cancelliera. Anche il rapporto con l’Italia è destinato ad arricchirsi, almeno se il governo Draghi durerà, perché per la prima volta abbiamo un leader che i tedeschi rispettano.



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FINANZA REALE

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PER CAVALCARE IL BOOM DEI «PRIVATE ASSET» SERVONO SPECIALISTI DALLE COMPETENZE “GIUSTE”

nteressi bassi, mercati volatili, risparmi da investire e necessità di capitali per ripartire. Questi elementi portano famiglie e operatori a cambiare il proprio profilo di investimento e a guardare verso nuovi strumenti. Infatti, da un lato, la presenza sul mercato di tassi di interesse a livelli molto bassi spinge gli investitori a cercare nuove forme di investimento che, pur essendo maggiormente rischiose, possano ambire a rendimenti significativi; dall’altro lato, la trasformazione di molti operatori in gestori multi-asset li porta a cercare diversi tipi di prodotti per meglio incontrare le esigenze emergenti. Sono un segnale importante le strategie di investimento che hanno portato a livello mondiale i grandi fondi pensione ad investire quote sempre più significative delle masse gestite in private asset, arrivando all’attuale 22%; casse di previdenza e fondi pensione italiani hanno raggiunto, incluso il real estate, il 16% e pensano di aumentare tale quota- secondo quanto riportato da una recente ricerca AIFI - Terzi&Partners. Del resto, i rendimenti sono interessanti. Se da un lato abbiamo imprese e progetti in cerca di capitali per poter diventare protagonisti della nuova economia, abbiamo ingenti patrimoni privati e flussi di risparmio in cerca di allocazione, magari depositati in infruttifera liquidità. In questo scenario, guardando i dati europei sulla raccolta dei fondi di private equity e venture capital, investitori individuali e family office nel periodo 2017-2019 hanno rappresentato una fonte importante del fundraising, destinando al settore oltre 36 miliardi di euro. Ecco, quindi, che Eltif (European Long Term Investments) e Pir (Piani Individuali di Risparmio) alternativi rappresentano interessanti soluzioni per proporre prodotti di private capital ad un mercato che sta cambiando velocemente. Tali strumenti sono ideali per far confluire risparmi verso l’economia reale, intendendo innanzitutto il mondo delle imprese non quotate e dei progetti infrastrutturali, che rappresentano un asse portante della nostra economia, ma che richiedono competenze in grado di comprendere le dinamiche e le strategie di un mondo complesso e articolato. Parliamo in fatti di investimenti in aziende che cercano capitali per lo sviluppo, per l’avvio, per la riconversione, per il ricambio generazionale e imprenditoriale: dietro a ciascuna storia abbiamo settori diverse, progetti differenti, aspettative di manager e imprenditori che vogliono fare un salto di qualità. In passato il private capital era un

I mercati borsistici richiedono valutazioni e comportamenti diversi da quelli necessari nel mondo degli «illiquidi». E occorre tutelare il risparmio delle famiglie dai rischi del lungo termine prodotto solo per i grandi investitori istituzionali, in grado di comprenderne appieno il rischio e le caratteristiche tecniche. Oggi non è più così. Stanno nascendo prodotti dedicati ad un pubblico più ampio, e proprio per questo con caratteristiche differenti. Ed anche il comparto dei cosiddetti investitori individuali o privati è molto segmentato. Così come lo è il mercato dei private asset. Fondamentale sarà la capacità di affidarsi a professionisti con esperienza specifica in questo comparto, che si basa su competenze profondamente differenti rispetto a quelle che vediamo nei prodotti dei public market, cioè dei mercati quotati. Inoltre, la crescita del mercato e della conseguente dimensione dei fondi, consentiranno una opportuna diversificazione di portafoglio. Va però ricordato che nel momento in cui si va a toccare il risparmio dei privati va rispettata la correlazione tra il singolo investimento e i capitali complessivamente in dotazione, nonché il profilo di rischio personale e la contestualizzazione nel progetto familiare e individuale di risparmio: stiamo parlando di prodotti illiquidi e che vedono rendimenti nel lungo termine; del resto, questi sono i tempi dell’economia reale. Un investimento che va fatto con consapevolezza, che va ben indirizzato dal consulente finanziario e che può dare un grande contributo allo sviluppo del Paese.

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Anna Gervasoni Professore Ordinario di Economia e Gestione delle Imprese alla Liuc di Castellanza. È anche direttore generale dell’Aifi (Associazione italiana del private equity, venture capital e private debt)

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TERZA REPUBBLICA

VI SPIEGO PERCHÈ SU FISCO E CATASTO I GIOCHI NON SONO ANCORA FATTI

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Enrico Cisnetto È un editorialista, economista, imprenditore, ideatore e conduttore del format web War Room. È conferenziere, consulente politico strategico e tifoso della Sampdoria

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l disegno di legge delega di riforma fiscale approvato dal governo a poche ore dall’esito del primo turno delle elezioni amministrative, si presta a due tipi di considerazioni. Una, come ovvio, di merito; l’altra tutta politica, che misura lo stato dei rapporti tra Draghi e i partiti che formano la maggioranza e fornisce indicazioni per il futuro, dell’uno e degli altri. Andiamo con ordine, partendo dal merito. La delega, che riparte dalle conclusioni a cui erano giunte con grande consenso le Commissioni Finanze di Camera e Senato dopo mesi di audizioni, è volutamente “generica”. Anche per dichiarazione esplicita dello stesso presidente del Consiglio. Fissare indicazioni di massima è prerogativa di tutte le leggi delega, ma in questo caso – anche data la natura della materia dove un dettaglio sulle aliquote sposta di molto le cose – il perimetro è davvero molto largo e la direzione è quasi tutta da stabilire. Non è la prima volta, sia chiaro. Sempre in materia di imposte, sia la storica riforma degli anni ‘70 che quella incompiuta del 2014 partivano entrambe con leggi delega necessariamente generiche. Tuttavia, quelle fissavano obiettivi e limiti assai più cogenti. Invece questa volta si parla di “superamento” dell’Irap, di semplificazione, di riordino delle detrazioni, di alleggerimento del carico sui fattori produttivi, di riduzione dell’aliquota media dell’Irpef e della variazione eccessiva (di ben 11 punti) tra il secondo e il terzo scaglione: principi così ineccepibili con cui sarebbe difficile trovarsi in disaccordo. Poiché vincoli cogenti non ce ne sono, come ha spiegato Nicola Rossi durante una puntata di War Room, questa delega può consentire riforme del sistema di tassazione molto diverse tra di loro. Secondo l’economista pugliese si è voluta costruire una “scatola vuota” dove ognuno potrà mettere quello che vorrà, a cominciare dall’Europa che per erogare i fondi del Pnrr ha bisogno di essere certa che le riforme l’Italia le faccia. Si tratta insomma di una piattaforma che consentirà al prossimo governo, qualunque esso sia, di avere carta bianca sulla scrittura dei decreti delegati, cosicché la sua revisione del fisco potrà andare avanti senza passare dalle forche caudine del Parlamento. I vari provvedimenti attuativi che dovranno essere emanati entro i prossimi 18 mesi e dovranno trasformare i principi in realtà, infatti, saranno soggetti a pareri non vincolanti da parte delle Commissioni Parlamentari. Per cui, al momento, sul fisco è ancora tutto da

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IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO MARIO DRAGHI

decidere. Così anche per la tanto (strumentalmente) contestata riforma del Catasto. Anzi, a maggior ragione, visto che gli effetti fiscali della (sacrosanta) revisione degli estimi sono rimandati al 2026, quando il lavoro tecnico di adeguamento sarà terminato. Insomma, per dirla con Oscar Wilde, la norma varata da Draghi senza la presenza della Lega in Consiglio dei ministri è “aperta a tutte le interpretazioni”. Per cui è difficile capire perché c’è chi ha avuto esitazioni ad approvarla. E non meno complicato è comprendere perchè un decisionista come SuperMario si sia limitato alla “scatola vuota” anziché riempirla di contenuti veri. Apparentemente, però. Perchè a ben pensarci, questo “premessa e promessa” di riforma, si spiega con la condizione politica su cui è nato e si sorregge il governo Draghi: la crisi dei partiti e di tutte le loro alleanze, in una parola la crisi irreversibile del sistema politico che si è voluto chiamare Terza Repubblica, e che altro non è che la coda velenosa del fallimento della Seconda Repubblica. L’arrivo di Draghi a palazzo Chigi è la conseguenza di questa crisi. Egli può fare (quasi) tutto ciò che vuole, ma pur sempre lascia a chi lo sostiene in Parlamento l’esercizio del diritto di veto. L’ex presidente della Bce questo lo sa bene, ed è per questo che ha chiesto al ministro Franco che la scatola fiscale fosse vuota. Per i professori alla Cottarelli che non capiscono un acca di politica, Draghi ha fatto male. Ma basta una semplice riflessione per capire che la loro critica è infondata: se la “scatola vuota” ha suscitato un pandemonio politico, cosa sarebbe successo se fosse stata piena? Quella delle delega non è una riforma mancata, ma una giusta prudenza: abbiamo bisogno che il governo Draghi vada avanti. L’alternativa, per ora, è tra il duo Savini-Meloni e quello Letta-Conte. Scegliete voi quello più improbabile. (twitter @ecisnetto)



I NUMERI DEL GREENWASHING

NON È TUTTO VERDE QUELLO CHE LUCCICA di Riccardo Venturi

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e rivoluzioni non avvengono mai in modo rapido e indolore. Si affermano solo dopo lunghe fasi di assestamento, fatte di passi avanti intervallati da brusche fermate e arretramenti. È così anche per l’avvento della sostenibilità Esg negli investimenti. Il cambio è radicale: per usare le parole del Forum per la finanza sostenibile, il valore non va più creato solo per l’investitore ma per la società nel suo complesso, il che comporta uno spostamento dell’orizzonte dal breve al medio-lungo periodo. Per questo l’analisi finanziaria tradizionale va integrata con valutazioni ambientali, sociali e di buon governo, Esg appunto. Già: ma quali sono le caratteristiche che deve

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Molti prodotti finanziari si autodefiniscono Esg senza esserlo davvero o essendolo in modo discutibile: difficile stabilire un’oggettività in mancanza di regole Andrea Baranes, vice presidente di Banca Etica

avere un prodotto finanziario per potersi definire Esg? Criteri condivisi dalle istituzioni ancora non ne esistono, anche se come vedremo l’Europa si sta muovendo prima e meglio in questa direzione. Il che si riflette anche sull’ampio ventaglio delle stime sul valore totale di fondi e prodotti sostenibili, comunque enorme: si va da 1700 e 35mila miliardi di dollari. E in assenza di standard che permettano di stabilire se un investimento è sostenibile, il greenwashing è diffuso e inevitabile. Vale a dire che molti prodotti finanziari si autodefiniscono Esg senza esserlo davvero, o quantomeno in modo discutibile: difficile stabilire un’oggettività in mancanza di regole condivise. I problemi però sono evidenti e diffusi. Un recente studio di InfluenceMap riportato dal Financial Times ha analizzato 593 fondi azionari Esg con oltre 265 miliardi di dollari di patrimonio: 421 di questi, cioè il 71%, ha ottenuto un punteggio negativo in termini di allineamento del portafoglio all’Accordo di Parigi, sulla base del Paris agreement capital transaction assessment (Pacta), uno strumento di misurazione tra i più utilizzati. InfluenceMap ha esaminato inoltre 130 fondi a tema climatico da oltre 67 miliardi di dollari: anche in questo caso 72 fondi, circa il 55%, non sono risultati allineati all’Accordo di Parigi, pur se con una grande eterogeneità di risultati: dal +90% (che corrisponde a un elevato grado di allineamento) al -42%. “I fondi a tema climatico continuano a detenere società della catena del valore della produzione di combustibili fossili per un importo complessivo di 153 milioni di dollari”, si legge nel rapporto. “Alcune delle partecipazioni più frequenti nei fondi climatici legati ai combustibili fossili sono TotalEnergies, Kinder Morgan, Enbridge, Neste, Halliburton, Chevron e ExxonMobil”.


COVERSTORY Ma com’è possibile che un fondo climatico abbia partecipazioni in società attive nel settore dei combustibili fossili? «Ci sono fondi di investimento che ancora oggi si scelgono come benchmark, per fare un esempio, l’indice medio di Wall Street, che al 20% è composto da aziende che lavorano carbone e petrolio; creano un fondo in cui i combustibili fossili sono il 19,9%, e magnificano il fatto che stanno facendo un fondo green perché hanno sottopesato la composizione del fondo rispetto a un benchmark che loro stessi si sono dati» spiega Andrea Baranes, vicepresidente di Banca Etica. «Oppure un altro meccanismo utilizzato è quello dei fondi di fondi, sistemi di scatole cinesi» osserva Baranes. «Ci sono fondi che investono solo direttamente in azioni e obbligazioni di imprese quotate, quindi si sa dove investono, ma ce ne sono anche che hanno quote di altri fondi e organismi di risparmio, e quindi la trasparenza si perde notevolmente. Non c’è una disclosure completa per motivi di riservatezza, anche per l’idea che rivelare tutte le aziende di un fondo lo esponga al rischio di essere copiato. Altri fondi dichiarano di non investire in imprese che estraggono petrolio, ma magari hanno nel portafogli processi di raffinazione e distribuzione, con diversi livelli di coinvolgimento». Le vie del greenwashing, insomma, in attesa di regole chiare sono infinite. «Un altro meccanismo che usano alcuni fondi è quello della soglia» mette in evidenza il vicepresidente di Banca Etica. «Non eliminano completamente interi settori merceologici, ma fissano una soglia: se per esempio l’azienda ha al massimo il 10 o il 20% in quel settore, è ritenuta ammissibile». Il problema di questo approccio è che nel caso di aziende molto grandi, pur fissando una quota ridotta del fatturato l’investimento è comunque importante... «Il principale settore escluso dai fondi Esg è molto spesso quello delle

Le vie del trasformismo ecologico? Sono infinite. Ecco tutti i trucchi di (alcuni) fondi climatici per inserire asset che invece inquinano armi» rimarca Baranes. «Alcuni fondi dicono: per noi è ammissibile un’azienda se ha meno del 20% del fatturato nel settore militare e della difesa. Ma per alcuni colossi dell’aeronautica, il 20% non è per nulla residuale…». Lo studio di InfluenceMap è dello scorso agosto. Il 26 dello stesso mese le azioni di Dws, asset manager detenuto per l’80% da Deutsche Bank, hanno subito un tracollo del 14% dopo che la Bafin, l’autorità di vigilanza sul mercato tedesca, ha avviato un’indagine per presunte irregolarità nella comunicazione ai clienti sui fondi sostenibili. La vicenda nasce dalle accuse dell’ex global head of sustainability di Dws Desiree Fixler, secondo cui la società nella

ALLINEAMENTO DEI FONDI ESG ALL’ACCORDO DI PARIGI

Percentuale di allineamento di 593 fondi Esg all’accordo di Parigi 200 175 150

NUMERO DI FONDI

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IL 71% DEI FONDI NON È ALLINEATO ALL’ACCORDO DI PARIGI FONTE: STUDIO INFLUENCEMAP

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Dopo il caso Dws, la Sec non molla la presa e avvia una indagine tra gli asset manager per verificare l’esattezza delle dichiarazioni sui fondi Esg relazione annuale 2020 ha affermato in modo fuorviante che metà dei suoi 900 miliardi di dollari in gestione sono investiti secondo i criteri Esg. In seguito alle dichiarazioni della Fixler, anche la Sec americana starebbe indagando sull’asset manager tedesco; e per l’ex membro della Securities and Exchange Commission Amy Lynch, il caso Dws è solo «il primo di molti altri in arrivo». Secondo l’agenzia Bloomberg la Sec ha avviato un’ampia indagine, chiedendo agli asset manager (non solo Dws) di descrivere in dettaglio i processi di screening che utilizzano per garantire che alle dichiarazioni Esg corrispondano pratiche concrete. L’asset manager tedesco si è difeso con un comunicato ufficiale: «Dws intende confermare le informazioni contenute nel proprio Report annuale. Respingiamo fermamente le accuse mosse da un ex dipendente. Dws continuerà a rimanere un convinto sostenitore dell’investimento Esg come parte del proprio ruolo fiduciario per conto dei clienti. Il gruppo ha una lunga tradizione negli investimenti sostenibili e responsabili che risale a ben oltre 20 anni fa». Lynch non è l’unico ex responsabile Esg a denunciare la distanza tra quanto dichiarato e la realtà. L’ex Cio di BlackRock per gli investimenti sostenibili (da gennaio 2018 a settembre 2019) Tariq Fancy ha scritto un duro atto d’accusa pubblicato su Usa Today, nel quale sostiene che gli investimenti Esg sono diventati una trovata pubblicitaria che distrae l’attenzione dal cambiamento climatico, dall’ingiustizia sociale e dal malgoverno. «L’industria dei servizi finanziari sta ingannando il pubblico americano con le sue pratiche di investimento sostenibili e pro-ambiente. Questa arena multimilionaria 20

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di investimenti socialmente consapevoli viene presentata come qualcosa che non è. In sostanza, Wall Street sta facendo il greenwashing del sistema economico, creando una distrazione mortale» ha scritto Fancy. Non stupisce dunque che secondo l’ultimo Schroders Institutional Investor Study, che ha raggiunto 750 professionisti del settore in 26 Paesi, la più grande sfida per gli investimenti sostenibili è proprio il greenwashing, citato dal 59% degli intervistati. Sono anche gli stessi investitori a chiedere regole certe: secondo il rapporto Censis-Assogestioni “Gli italiani e la finanza sostenibile, per andare oltre la pandemia”, presentato al Salone del Risparmio, per l’84,6% servono regole condivise a livello europeo e strumenti come l’adozione di marchi con cui gli investitori possano identificare i prodotti finanziari green. Anche la Consob, come si legge nella relazione annuale, ha avviato «un’analisi comparata delle metodologie e dei criteri attualmente utilizzati per rilasciare i rating di sostenibilità, per prevenire fenomeni di greenwashing a tutela degli investitori». Dopo un monitoraggio sui giudizi di sostenibilità utilizzati sul mercato e su come vengono costruiti, Consob sta passando al confronto con chi produce i rating Esg e le società quotate che ne sono oggetto. Ma è l’Europa nel suo complesso che sta rispondendo all’esigenza di normare il settore in modo più incisivo e tem-

DE BLASIO (GREEN ARROW C.): «MANTENERE GLI IMPEGNI SULL’ESG»

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er evitare il greenwashing, gli istituti di vigilanza devono verificare che quel che i gestori si sono impegnati a fare lo facciano davvero. Ma ci vuole anche da parte degli investitori un po’ più di cultura per distinguere i gestori competenti e rigorosi da quelli che non lo sono». Parola di Eugenio de Blasio, founder e Ceo di Green Arrow Capital, piattaforma indipendente specializzata in investimenti alternativi in economia circolare con circa 1,8 miliardi di Aum e oltre 70 investitori istituzionali. «Voglio vedere il bicchiere mezzo pieno: sono contento che se ne parli, se in questa fase esce qualche scandalo in seguito ci saranno più rigore e competenze per selezionare i gestori più capaci e adeguati, e più controllo da parte dei governi». Green Arrow Capital si occupa di questi temi, investendo in energie rinnovabili, da 10 anni, e ha impianti in oltre 100 comuni italiani. Forte di questa esperienza, ha abbracciato fin da subito i criteri più stringenti previsti dalla nuova normativa europea. «Siamo stati

il primo gestore in Italia a mettere nel regolamento del nostro fondo Infrastructure of the future l’articolo 9 del nuovo Sfdr» spiega de Blasio, «che prevede impegni chiari sia di investimento che di controllo e reporting agli investitori. È un vero obbligo contrattuale nei confronti di chi lo sottoscrive a operare in modo rigorosamente Esg». Green Arrow Capital ha figure dedicate che si occupano di verificare che tutto proceda secondo quanto stabilito. «Abbiamo un team ad hoc che si occupa di controllare gli investimenti con queste caratteristiche e il rispetto degli obblighi contrattuali» rimarca il Ceo, «ogni fondo ha un Esg champion che fa parte del team e si dedica solo a questa attività». Green Arrow Capital interviene in modo trasformativo anche sulle aziende acquisite, in direzione della sostenibilità. «Per esempio Invicta, che abbiamo rilevato 3 anni e mezzo fa, oggi produce i suoi zaini per il 96% in materiali riciclabili, con il riutilizzo di 8 milioni di bottiglie di plastica» aggiunge de Blasio.


COVERSTORY pestivo, seppur ancora incompleto, rispetto ai competitor. Il piano di azione dell’Unione Europea per la finanza sostenibile (Eu Action Plan on Sustainable Finance) si compone di una serie di regolamenti interconnessi, che secondo il Financial Times avranno conseguenze importanti non solo in Europa ma in tutto il mondo, perché definiscono standard a cui altri Paesi finiranno per fare riferimento. L’unica parte già entrata in vigore (il 10 marzo scorso) è il Regolamento relativo all’informativa sulla sostenibilità nel settore dei servizi finanziari dell’Unione Europea (Sfdr). Banche, assicurazioni, Sgr, consulenti, fondi pensione sono tenuti a spiegare come intendono integrare i rischi di sostenibilità nelle politiche di investimento. Inoltre le società di gestione devono inserire i prodotti di investimento in tre diverse categorie. Le strategie articolo 9 hanno un obiettivo di investimento sostenibile; quelle articolo 8 promuovono le caratteristiche sociali e/o ambientali e possono includere investimenti sostenibili, ma non hanno gli investimenti sostenibili come obiettivo principale; le articolo 6

Con la Sfdr banche, assicurazioni, Sgr, consulenti e fondi pensione devono spiegare come intendono integrare i rischi di sostenibilità nelle politiche di investimento

Luca Testoni, fondatore ed editore di Etica News

integrano le considerazioni Esg nel processo di investimento, oppure spiegano perché il rischio di sostenibilità non è rilevante, ma non soddisfano i criteri aggiuntivi delle strategie degli articoli 8 o 9. L’altro cardine del piano di azione Ue è la tassonomia, che deve stabilire quali attività sono sostenibili e quali no, ed entrerà in vigore nel 2022. Su questo la battaglia è ancora in pieno svolgimento, specie sul gas naturale - entro fine anno la Commissione pubblicherà l’atto delegato complementare che «coprirà il gas naturale e tecnologie affini come attività di transizione nella misura in cui rientrano nei limiti del regolamento sulla tassonomia» - e sull’energia nucleare, il cui impatto sulla sostenibilità è all’esame di due gruppi di esperti indipendenti. «Una delle critiche che sono state mosse all’Ue è di aver cominciato a costruire la regolamentazione dal tetto invece che dalle fondamenta» nota Baranes, «sono entrate in vigore le normative che prevedono disclosure e reporting sulla parte ambientale, ma si sta ancora discutendo su cosa può rientrare e cosa no per potersi definire sostenibile. Nell’ultimo report dell’organismo Onu che lavora allo stop ai fossili, gli esperti sul clima di tutto il mondo non fanno alcuna differenza tra petrolio, carbone e gas; ma la lobby del gas cerca di spingere per farlo considerare un combustibile di transizione». Non è detto però che le categorie introdotte con il Sfdr migliorino necessariamente le cose, almeno non da subito. «Qualche anno fa a misurare la sostenibilità erano i rating Esg; però fin dall’origine il paradosso era che un prodotto poteva avere un rating moto alto con un provider e uno molto basso con un altro» dice Luca Testoni, fondatore e direttore di EticaNews. «La decorrelazione tra i rating Esg viaggia attorno al 0,3 – 0,4; mentre tra i rating di credito siamo attorno al 0,9 – 1: vuol dire che c’è una grandissima eterogeneità di giudizi sui prodotti in termini Esg. Questo è già una fonte di greenwashing, posso dire di essere sostenibile perché me lo dice tizio, anche se caio e sempronio dicono che non lo sono». Mentre il rating Esg era l’unico strumento fino a qualche tempo fa, oggi oltre alle società che fanno rating si sono moltiplicate anche le label, le etichette a livello europeo, più o meno istituzionali. «Tutte le label guardano all’Esg con un diverso punto di vista, e così la decorrelazione già elevata nei rating viene moltiplicata» insiste Testoni. «L’ultimo caso clamoroso sono i famosi articoli 8 e 9 legati al Sfdr entrato in vigore il 10 marzo. L’articolo 9 ha limiti stretti e permette di avere una label che attesta la coerenza con quello che l’Europa chiede per essere sostenibile. Ma poi c’è il grande mare magnum, anzi stra-magnum dell’articolo 8, che tiene ottobre 2021

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Giancarlo Fonseca, head of distribution Italy of Lombard Odier

Testoni (Etica N.) sui fondi articolo 8: «Il greenwashing è un allarme enorme ma anche un effetto fisiologico di una situazione assolutamente complessa» insieme prodotti che possono anche avere obiettivi effetti di sostenibilità: il paradosso è che sono talmente tanti i soggetti che ne hanno superato i paletti, che il problema ora è come scegliere tra questi articolo 8. La confusione che c’era prima si è voluto risolverla con una label ufficiale, ma visto che tutti sono articolo 8 siamo esattamente nel problema di prima: come scegliere tra articolo 8 e articolo 8?». Come si diceva, ogni rivoluzione ha i suoi travagli. «Il greenwashing oggi è un elemento fisiologico di questo mondo che sta affrontando una complessità di paletti e di complicazioni enormi anche strutturali, e che necessariamente abbraccia la prima etichetta che riesce ad abbracciare» rileva Testoni, «per cui il greenwashing è un allarme enorme ma anche un effetto fisiologico di una situazione assolutamente complessa; non dico una cosa distante dalla realtà se dico che quanto accaduto a Dws sarebbe potuto accadere a gran parte dei gestori europei». In un quadro di simile complessità, mantenere il focus dell’analisi sui prodotti potrebbe non essere la scelta giusta. «La mia visione è che occorra spostare la valutazione dal prodotto al gestore» afferma il fondatore e direttore di EticaNews. «È comunque complesso, devi valutare cosa fa un soggetto da n punti di vista, ma almeno il gestore è quello, non cambia da prodotto a prodotto. Magari ha una serie di committment scritti molto forti, un track record personale 22

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di impegno su certe tematiche, si comporta verso le aziende in cui investe in maniera trasparente e attiva: questo comincia a dare garanzie. L’idea è di non guardare più solo all’offerta, ma a chi sta dietro all’offerta. Non c’è ancora sul mercato una vera proposizione di questo nuovo servizio, anche se noi al salone Sri lo facciamo, si chiama Esg Identity». Un’altra potenziale criticità deriva dal fatto che le linee guida dell’Ue dovranno essere tradotte dalle diverse autorità nazionali in altrettante regolamentazioni. «La tassonomia sembra abbastanza dettagliata, bisogna riconoscere il lavoro degli esperti, ma esiste un rischio di arbitraggio delle regole, di una corsa al ribasso tra Paesi» mette in guardia il vicepresidente di Banca Etica. «L’attuale corsa al ribasso tra Irlanda, Malta e Lussemburgo per attrarre fondi, gestori e capitali ci dice che si potrebbe replicare qualcosa del genere sulla finanza sostenibile; potrebbe esserci qualche autorità nazionale che controlla un po’ meno, con maglie un po’ più larghe per attrarre fondi che vogliono fregiarsi del titolo sostenibile con il patentino europeo, ma facendo qualche sforzo in meno e quindi sopportando qualche costo in meno dal punto di vista della compliance». Nel bel mezzo di questa storica transizione, il mondo finanziario è impegnato nel cimento, in certi casi con maggior convinzione e determinazione. «Oggi tutta la comunità degli asset manager è impegnata da un lato a dotarsi di metodologie di analisi e di metriche per analizzare le aziende, sia nelle strategie equity che fixed income, per capire qual è il loro posizionamento rispetto ai temi della sostenibilità: c’è un grosso impegno della nostra comunità a svolgere sempre meglio questo tipo di lavoro» assicura Giancarlo Fonseca, head of distribution Italy di Lombard Odier. «Dall’altro lato ci sono i regulator, che stanno scaricando a terra nuove norme rivolte al sistema finanziario per fornire parametri certi da seguire per svolgere sempre meglio questo tipo di lavoro e comunicarlo sempre meglio agli investitori. Questo lavoro sia da un lato che dall’altro è un costante work in progress, ci aspettiamo che anche la normativa Sfdr venga migliorata e sviluppata nel corso del tempo. Anche la


COVERSTORY FINANZA VERDE: C’È FONDO E FONDO, GUAI A CONFONDERLI

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sistono fondi responsabili, sostenibili, a impatto, allineati agli accordi di Parigi. Sono quattro prodotti finanziari del tutto diversi, eppure vengono spesso confusi sia negli articoli di stampa che nelle analisi delle società finanziarie. Un prodotto responsabile non è necessariamente sostenibile, investe in aziende che hanno buone pratiche per esempio nella diversity ma non contribuiscono a obiettivi di carattere ambientale: magari sono petrolifere o farmaceutiche». Fabio Ranghino, head of sustainability & strategy di Ambienta Sgr, società europea di investimenti focalizzati sulla sostenibilità ambientale in aziende pubbliche e private che gestisce asset per oltre 1,5 miliardi di euro, mette in guardia dall’uso improprio delle parole. «Siamo in una fase di espansione e confusione in cui sarebbe necessaria molta chiarezza: quelle quattro definizioni di fondi, anche se non normate a livello globale, esistono» insiste Ranghino. «In questa confusione, spesso purtroppo arriva prima l’interesse commerciale e poi

successivamente la chiarezza». I prodotti finanziari di Ambienta hanno proprio il pregio della chiarezza. «Investiamo soltanto in società che forniscono soluzioni a problematiche di carattere ambientale» spiega l’head of sustainability & strategy di Ambienta Sgr, «vogliamo essere sicuri che contribuiscano in maniera materiale e misurabile all’uso efficiente delle risorse naturali e al controllo dell’inquinamento. Per questo abbiamo sviluppato nel tempo delle metodologie che ci permettono di valutare, sia nel private equity che nel public, quali aziende possano essere oggetto del nostro investimento». Non si tratta soltanto di un tema di etica, ma anche di tassi di crescita, di redditività e di posizionamento competitivo nel lungo termine. «Risparmiare acqua e energia, così come ridurre l’inquinamento, è un driver di sviluppo economico» aggiunge Ranghino. «Le aziende che forniscono soluzioni a questi problemi non solo fanno del bene, ma avranno successo, perché il mondo ne avrà sempre più bisogno».

Fonseca (Lombard O.): «Gli investitori ora misureranno non solo i rendimenti ma l’impatto positivo sul climate risk» tassonomia dopo essere partita si svilupperà, perché il tema della sostenibilità non si conclude una volta che hai definito i vari capitoli ma è un lavoro che richiederà un costante sviluppo, proprio perché è un tema di transizione dei modelli di business che coinvolge tutti i settori, compreso quello finanziario». Una trasformazione di tutto il mondo economico richiede soprattutto collaborazione. «Siccome parliamo di una transizione che si svilupperà nel corso degli anni e che richiede uno sforzo veramente molto importante di risorse sia umane che finanziarie, sinceramente andare oggi a sprecare energie intellettuali per fare una sorta di cronaca nera o rosa legata alla sostenibilità ci sembra discutibile» afferma Fonseca. Gli sfidanti obiettivi dell’accordo di Parigi - dimezzare le emissioni di Co2 entro il 2030 e arrivare al target zero entro il 2050 - richiedono senza dubbio uno sforzo collet-

tivo, anche da parte del mondo finanziario. «Tutti siamo impegnati a elaborare il processo di investimento con le metriche più evolute per fare meglio il nostro lavoro» evidenzia l’head of distribution Italy di Lombard Odier. «Non mi esprimo su quello che fanno altre aziende, è poco elegante. Quello di cui sono assolutamente certo è che la transizione non è un nice to have ma un must. Quindi da un lato ci saranno i regulator che rafforzeranno il quadro normativo e metteranno pressione su tutti i settori affinché decarbonizzino sempre più, dall’altro gli investitori che ci misureranno per vedere quanto bravi siamo nello sviluppare investimenti che generano non solo un rendimento positivo, ma anche impatti positivi dal punto di vista del climate risk e del rischio collegato al depauperamento delle risorse naturali». La stessa Lombard Odier ha dimostrato di saper passare dalle parole ai fatti, diventando una B Corp. «Per rispondere al quesito degli investitori ci siamo sottoposto diversi anni fa a un assessment molto severo, quello di B Lab che produce la certificazione B Corp, la più autorevole, severa ed indipendente a livello globale» spiega Fonseca. «Su 140mila aziende nel mondo che hanno fatto l’assessment, peraltro gratuito, solo 4100 sono state in grado di poter avere la certificazione B Corp. L’abbiamo ottenuta nel marzo del 2019 facendo un percorso trasformativo, in modo che alla domanda “Lombard Odier è sostenibile?”, oggi possiamo rispondere convintamente di sì. Abbiamo messo a punto delle metriche tramite partnership esterne come quella con l’Università di Oxford, rilasciando una metodologia che ci consente di analizzare la traiettoria climatica delle aziende in modo accurato. Questa certificazione globale di un ente terzo attesta che siamo in una fase avanzata di sviluppo del nostro modello di business sostenibile, ma non è un punto d’arrivo, è un invito a continuare il percorso».

ED ANCHE NEL FASHION C’È CHI FA FUMO

Anche il settore del fashion è coinvolto dalla discutibile pratica del greenwashing, o quantomeno del marketing emozionale che enfatizza un ecologismo di facciata e non di sostanza. Alle pagine 94 e 95 il servizio di FABIANA GIACOMOTTI

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RENDIMENTI & SOSTENIBILITÀ

VI SPIEGO PERCHÉ LE AZIENDE VERDI RIMARRANNO SOVRAPERFORMANTI di Duncan Lamont*

Gli investimenti Esg possono sovraperformare per la capacità di individuare i rischi non riflessi nei prezzi e di individuare le aziende che progrediscono su questo fronte

L’autore, Duncan Lamont è Cfa, head of research and analytics di Schroders

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i parla tanto di investimenti Esg. Tuttavia, alcuni aspetti possono polarizzare le opinioni. Tra i temi più caldi del dibattito c’è quello spinoso della performance: gli investimenti Esg generano performance migliori?

Un problema di definizione e comparabilità Innanzitutto, cosa s’intende con investire in modo Esg? Escludere le aziende “cattive”? O favorire quelle “buone”? E secondo quale definizione di buono e cattivo? I rating Esg dei principali provider hanno pochi elementi in comune. Spesso capita che un’agenzia valuti un’azienda in modo positivo mentre un’altra la valuti negativamente. Tesla ne è un chiaro esempio: la si può amare o odiare sul fronte Esg, a seconda del provider di rating a cui si fa riferimento. È evidente che qualsiasi valutazione su un’eventuale sovraperformance delle strategie Esg dipenda in larga misura da come si sceglie di misurare i rischi Esg e da dove un investitore sceglie di porre l’enfasi Esg. Un altro quesito è dove si traccia il confine tra l’analisi sui fondamentali tradizionale e l’analisi specificamente Esg. Nessun analista azionario degno di questo nome ignorerebbe l’impatto di una tassa sullo zucchero sulle prospettive di una società di bevande zuccherate. Si potrebbe sostenere lo stesso per le aziende con alti livelli di leva finanziaria. Sono elementi che hanno un impatto sulla sostenibilità a lungo termine di un modello di business, indipendentemente dal fatto che la si chiami analisi di sostenibilità o analisi tradizionale sui fondamentali. A livello pragmatico, non è rilevante. Lo è tuttavia quando si mettono a confronto le performance di una strategia Esg con quelle di una strategia non Esg. Se an-


COVERSTORY che la strategia non Esg tiene conto di questi fattori (anche se non li etichetta come tali), allora non si può davvero dire quanta differenza abbia fatto l’analisi Esg. In ogni caso, credo che ci sia un altro modo in cui possiamo affrontare il problema, ossia attraverso la questione del rischio.

Pensare al rischio Esg come a un rischio di credito Il primo passo è pensare al rischio Esg in modo simile a come pensiamo al rischio di credito. È un rischio (o un insieme di rischi) che potrebbe influenzare la sostenibilità a lungo termine di un business – potremmo non essere d’accordo su quanto siano importanti questi rischi, ma è difficile metterne in dubbio l’esistenza -. Relativamente al rischio di credito, le aziende a basso rischio (per esempio con rating AAA) vengono scambiate con spread creditizi più stretti (il rendimento extra che i debitori devono pagare rispetto ai rendimenti dei titoli di Stato) a differenza di quelle che presentano rischi più elevati (con rating BBB o CCC). Supponendo che i mercati diano un prezzo equo al rischio, questo si tradurrà in aspettative di rendimento più basse per le obbligazioni emesse da società a basso rischio rispetto a quelle emesse da società ad alto rischio, anche dopo aver tenuto conto delle perdite stimate in riferimento a default e downgrade. Ciò vale anche dal punto di vista di una società: le società con un rischio di credito più alto devono pagare un costo di finanziamento più alto (attraverso uno spread di credito più alto). In questo senso, sono “punite” dal mercato per essere più rischiose. Possiamo trasportare questi concetti nell’universo Esg. Se gli asset sono prezzati in modo equo rispetto ai rischi Esg, ci si aspetta che: 1) le aziende con un rischio Esg più basso abbiano aspettative di rendimento più basse rispetto a quelle con un rischio più alto. Oppure 2) che Le aziende con un rischio Esg più basso beneficino di un costo del capitale più basso rispetto a quelle con un rischio più alto. È importante sottolineare che si tratta di due lati della stessa medaglia. È impossibile che le aziende con credenziali Esg più forti abbiano contemporaneamente aspettative di rendimento più elevate e un costo del capitale più basso. Ma i mercati non sono prezzati in modo equo I punti precedenti sarebbero validi se i prezzi di mercato riflettessero tutte le informazioni disponibili, compresi tutti i rischi Esg. Tuttavia, i mercati non sono noti per l’efficienza nel prezzare i rischi di lungo termine, come spesso succede in relazione al tema Esg. Per esempio, i rischi più significativi del cambiamento climatico e le risposte ad esso probabilmente si manifesteranno tra molti anni, e non nel breve termine. L’incapacità del mercato di concentrarsi sui rischi di lungo periodo può portare a un significativo mispricing. Ed è qui che gli investitori Esg possono trovare delle opportunità: individuare, prima del mercato, le aziende e i settori che sono più esposti ai rischi Esg, o che possono beneficiare di sviluppi in queste aree. Un’azienda con credenziali Esg deboli (alto rischio Esg) che si muove nella giusta direzione diventerà meno rischiosa, e quindi dovrebbe vedere un miglioramento sul fronte del prezzo (e un corrispondente calo dei costi di finanziamento). Questo è un punto su cui gli investitori e gli asset manager stanno giocando un ruolo sempre più importante, nell’incoraggiare e guidare il cam-

I rischi più significativi del cambiamento climatico con tutta probabilità si manifesteranno tra molti anni, e non nel breve biamento positivo. Guardando i dati headline, non è sempre evidente se un’azienda sia o meno su una traiettoria di miglioramento rispetto ai fattori Esg. Le indicazioni di un cambiamento culturale possono emergere dalle conversazioni con il management ben prima che lo si veda nei numeri e ancor prima che ci sia un miglioramento in un rating di terze parti. Ancora una volta, è qui che l’investitore Esg può avere un vantaggio. L’azionariato attivo - usare la nostra voce e la nostra influenza per ottenere informazioni ed effettuare cambiamenti - è un elemento chiave dell’investimento Esg.

Due condizioni per generare extra-rendimento In un mondo in cui gli asset sono prezzati correttamente e niente evolve, gli investitori dovrebbero aspettarsi che le aziende con minori rischi Esg sottoperformino rispetto a quelle con alti rischi Esg. Tuttavia, sappiamo che ciò non riflette la realtà del mondo degli investimenti, e che quindi gli investimenti Esg possono sovraperformare in virtù di due fattori: 1) la capacità di individuare i rischi Esg che non sono riflessi nei prezzi sul mercato e 2) la capacità di individuare le aziende che stanno facendo progressi sul fronte Esg. Al di là di qualche settore selezionato o titolo azionario, dove sarà più semplice raggiungere un consensus in merito ai ‘buoni’ e ai ‘cattivi’, è possibile che non raggiungeremo mai un punto di equilibrio in cui tutti i rischi Esg saranno prezzati in modo efficiente, a ulteriore supporto della tesi che investire in modo Esg può generare una sovraperformance. * Cfa, head of research and analytics di Schroders ottobre 2021

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PARLA FEDELI (ETICA SGR)

«LE REGOLE ORMAI SONO CHIARE L’ESG NON È PIÙ UN FAR WEST» di Marco Muffato

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al lontano 2000 la nostra mission è rimasta la stessa: rappresentare i valori della finanza etica all’interno dei mercati finanziari, focalizzando l’attenzione su quegli aspetti ambientali, sociali e di governance che oggi sono di grandissima attualità nel settore negli investimenti finanziari», così il vice responsabile area partner commerciali Maurizio Fedeli (nella foto) racconta a Investire il ruolo di pioniere della finanza green di Etica Sgr e il modello adottato dalla sua società per offrire chiarezza, trasparenza e risultati ai risparmiatori interessati a investire sui prodotti Esg. Dottor Fedeli, ormai non c’è operatore dell’asset management che non stia revisionando la gamma prodotti in direzione Esg. Negli anni precedenti l’approccio alla sostenibilità da parte degli operatori ha ricordato “la corsa all’oro nel selvaggio West”, anche per l’assenza di regole in un fenomeno che ha coinvolto tutta l’industria. Ora però le regole sono arrivate: basterà a dare certezze al mercato sulla qualità dell’offerta Esg? Sicuramente c’è un vento nuovo e positivo nel settore, la SFDR mette noi operatori dell’asset management finalmente nelle condizioni di parlare una lingua comune e di dare un messaggio univoco di chiarezza e trasparenza ai risparmiatori in particolare sui parametri ambientali, sociali e di governance che le aziende devono rispettare per essere inserite all’interno dei fondi. Come Etica Sgr siamo soddisfatti della nuova normativa di riferimento: va nella direzione che abbiamo sempre auspicato. Crediamo però che ci siano margini di miglioramento, per esempio in termini di maggiore coerenza, trasparenza e partecipazione. Occorre continuare su questa strada, definire sempre più chiaramente l’ambito della sostenibilità per aiutare i risparmiatori a orientarsi e a compiere scelte consapevoli. Fare una corretta educazione finanziaria agli utilizzatori dei prodotti sostenibili diventa indispensabile in un contesto in cui l’offerta si moltiplica e orientarsi non è semplice. Come aiutare gli investitori a scegliere i prodotti giusti in questo contesto di mercato? Etica Sgr da sempre fa una attenta selezione 26

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L’esponente della Sgr, specializzata in fondi sostenibili e responsabili, fa il punto sulla finanza green degli emittenti più virtuosi, scovando quelle società che nella propria attività riescono ad abbinare valore finanziario per i clienti con il bene del pianeta. Nella nostra idea di investimento responsabile, l’obiettivo di ottenere potenziali performance finanziarie positive va associato a quello di generare effetti positivi per l’ambiente e la società. Per questo pubblichiamo ogni anno il Report di Impatto, la cui edizione 2021 è appena uscita, in cui calcoliamo i risultati di impatto Esg degli investimenti dei nostri fondi rispetto al mercato di riferimento. Mi preme sottolineare che la scelta di non utilizzare un benchmark etico è dovuta alla nostra precisa volontà di misurarci con tutto il mercato di riferimento.

E i risultati sono soddisfacenti? Lo sono. Suggerisco a tutti i lettori di Investire di recarsi sul nostro sito www.eticasgr.it/report-impatto dove possono scaricare gratuitamente il report e consultare tutti i risultati. In particolare suggerisco di soffermarsi sul dato riguardante le aziende che si propongono di ridurre l’utilizzo dell’acqua, risorsa fondamentale e preziosa per il benessere del pianeta, oppure quello riguardante le aziende che si mettono in evidenza per l’attenzione ai diritti umani e alla parità di genere. Aggiungo che tutti i nostri prodotti sono soluzioni d’investimento ai sensi dell’articolo 9 della SFDR, quindi con un forte focus Esg. Una scelta questa del tutto coerente con la mission di Etica Sgr di rappresentare i valori della finanza etica all’interno dei mercati finanziari, portando valore sia agli investimenti sia alla società e all’ambiente.


COVERSTORY SPINTA ALLA CRESCITA

MA SUGLI INVESTIMENTI GREEN LA SOSTENIBILITÀ STA RIFIORENDO di Nicola Ronchetti*

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a sensibilità sulle tematiche Esg è cresciuta esponenzialmente dal 2018, sia tra i professionisti (+45%) che tra i loro clienti (+ 66%), soprattutto tra quelli più patrimonializzati (dal 15% al 42%). Le ragioni stanno innanzitutto nei danni causati dai cambiamenti climatici, ma anche nel contributo fondamentale che l’industria del risparmio gestito e della consulenza finanziaria ha dato puntando sui temi che attengono all’ambiente, all’impatto sociale e alla governance. La pandemia ha dato poi un’ulteriore spallata aumentando il senso di vulnerabilità delle persone, rendendole più sensibili a tutte le tematiche connesse all’umanità e al suo rapporto con il nostro pianeta. Da un’analisi che Finer ha realizzato sulle attività di comunicazione delle Società di gestione del risparmio emergono alcuni dati molto interessanti: il numero di Sgr che focalizzano la loro comunicazione sulle tematiche della sostenibilità è quintuplicato dal 2018 al 2021, passando da 7 a 34. È un dato assolutamente eccezionale che testimonia il valore e il potere di un’industria nel contribuire a cambiare i destini del mondo. Nel contesto degli strumenti che intrecciano le dimensioni della democrazia economica, della sostenibilità finanziaria e della responsabilità sociale di impresa, si inscrive l’entrata in vigore, dallo scorso 10 marzo, del primo regolamento europeo adottato nell’ambito del Piano d’azione per la finanza sostenibile che mira a introdurre una definizione condivisa del termine “sostenibilità” per gli investimenti finanziari e a disporre una serie di obblighi di trasparenza nei confronti degli operatori che li gestiscono. La cosiddetta Sfdr (Sustainable Finan-

Il numero di Sgr che focalizzano la comunicazione sulle tematiche Esg è quintuplicato dal 2018 al 2021

ce Disclosure Regulation) classifica i fondi sostenibili in base a una serie di criteri. I fondi più virtuali ex articolo 9 della Sfdr hanno un obiettivo di investimento sostenibile (con un forte focus Esg). Seguono i fondi che promuovono, tra le altre caratteristiche, quelle ambientali o sociali (con un certo grado di attenzione Esg), classificati come articolo 8. I fondi che non rientrano negli articoli 8 o 9 (senza focus Esg) sono classificati articolo 6. Oggi ci sono molte società che fanno rating Esg a queste si aggiungono gli stessi distributori (banche e reti di consulenti finanziari) che adottano sistemi proprietari di verifica dei parametri di sostenibilità. Certamente siamo in una fase iniziale dove la normativa stabilisce i parametri ma sta poi al singolo operatore adeguarsi e farsi certificare in base a criteri condivisi e uguali per tutti. Se confrontiamo oggi il numero di fondi articolo 9 con il numero di Sgr che comunicano genericamente un’offerta Esg vediamo che siamo solo all’inizio di un processo che ci auguriamo sia irreversibile. Viceversa è fortissimo il rischio che nell’opinione pubblica un’intera industria passi per essere più virtuale che virtuosa, allontanando gli italiani dalla prospettiva di passare da risparmiatori a investitori. *Founder e ceo di Finer ottobre 2021

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anteprima INVESTIRE TODAY

PREMIARE CHI FORMA SUL CAMPO I CITTADINI-RISPARMIATORI di Sergio Luciano

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ueste pagine che state sfogliando e poi un numero speciale di "Investire Today" che uscirà in edicola (sia da solo che, in Lombardia, allegato con Il Giornale) e sul web il 30 ottobre: sono solo due - le prime due - delle iniziative culturali che Investire svilupperà per scendere decisamente in campo sul fronte (perchè è come il fronte di una battaglia da vincere), dell'educazione finanziaria. La questione è delicata, anzi grave, ed è la stessa che agita, oggi, il dibattito sulla democrazia liberale occidentale come

la viviamo e l'abbiamo codificata dopo la Seconda Guerra Mondiale. Libertà e consapevolezza devono procedere insieme: sul piano politico e su quello economico. L'Italia è paurosamente - l'avverbio non è scelto a caso - arretrata sul fronte dell'educazione finanziaria ed è fiaccata su quello della maturità politica, da sempre incompleta ed oggi più che mai messa in crisi dal veleno dei social media. Il cittadino che vota è anche quello che lavora, guadagna, paga le tasse e investe i suoi risparmi.

Se capisce il proprio ruolo di lavoratore, contribuente e risparmiatore può essere anche un elettore maturo e consapevole. Fin quando invece non capirà il valore dei soldi - il diritto di intascarne quelli dovuti per il lavoro che si svolge e gli investimenti che si effettuano - difficilmente sarà un elettore maturo e consapevole. Ripartire dalle scuole è fondamentale per formare i cittadini di domani, come ben spiega la professoressa Lusardi in questa stessa pagina: a patto che l'educazione civica, che dovrà contenere quella economico-finanziaria, diventi una materia rilevante per le valutazio-

INTERVISTA CON ANNAMARIA LUSARDI

«Educazione finanziaria a scuola? Sì, ridurrà le disuguaglianze» di Marco Muffato

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rendere esempio dal Portogallo che ha introdotto l’educazione finanziaria nelle scuole. È l’unico modo per incidere in maniera positiva sul livello di alfabetizzazione degli italiani che ci vede fanalino di coda in Europa, preceduti solo da Malta. Ne parliamo con Annamaria Lusardi, docente di economia della George Washington University e soprattutto direttrice del Comitato per la programmazione e il coordinamento delle attività di educazione finanziaria in Italia. Professoressa Lusardi, è tornato l’appuntamento con il mese dell’educazione finanziaria. Qual è il tema chiave di questa edizione? Quanto è cresciuta negli anni questa manifestazione e quanto sta incidendo nella relazione tra gli intermediari e i risparmiatori? Il tema che abbiamo scelto per la quarta edizione del Mese della Educazione Finanziaria è “Prenditi cura del tuo futuro! – L’ABC della finanza – Conoscere dà i suoi frutti”. Il Mese è continuato a crescere nel tempo, questo anno con più di 700 28

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ANNAMARIA LUSARDI, DIRETTRICE DEL COMITATO EDUFIN


ni, e dunque per i "voti di media" degli studenti. Ma l'educazione finanziaria non può fermarsi qui. Deve coinvolgere gli adulti disinformati ma risparmiatori, quelli che sono vittime della loro ignoranza e, a volte, purtroppo, degli imbonitori che inquinano il mercato. Come aiutarli? Può farlo soltanto chi ha rapporti consolidati con loro: soprattutto i consulenti finanziari e, più raramente, il personale delle filiali bancarie, e qualche agente di assicurazione più attivo sul ramo vita. L'adulto ignorante di economia può essere istruito e "salvato" dai rischi dell'ignoranza solo da queste categorie. Che devono farsi un punto d'onore di questo loro ruolo formativo. Dovrebbero essere anzi spinti, stimolati e addirittura premiati dalle loro aziende, nella misura in cui si rivelassero capaci di svolgerlo al meglio. Ed è questa la linea che Investire seguirà, facendosi promotore di iniziative, dibattiti e vere e proprie operazioni sociali. eventi in programma abbiamo aumentato di molto i numeri dello scorso anno. È un progetto che coinvolge stakeholder sia pubblici che privati e mette al centro le persone, le famiglie. È un’occasione unica di avvicinarsi ai temi della finanza, di imparare a prendersi cura del proprio benessere finanziario. Oggi dov’è più grave il problema della mancanza di educazione finanziaria in termini di età, sesso, condizione economico-sociale? I dati che abbiamo raccolto lo scorso anno e questo anno con la Doxa parlano chiaro. I gruppi più fragili in termini di conoscenze finanziarie sono i giovani, le donne, quelli con minore reddito e livello di educazione e quelli che vivono al Sud. Sono anche i gruppi finanziariamente più vulnerabili. I dati dimostrano che c’è una correlazione tra fragilità finanziaria e scarse conoscenze finanziarie. Chi meno sa ha più difficoltà a orientarsi nel mondo che lo circonda, ad affrontare i cambiamenti e a proteggersi dagli shock. E questo incide sulle disuguaglianze, ma anche sulla capacità di un Paese di produrre ricchezza. Viviamo in un’epoca di grandi trasformazioni, la nostra società è fondata sulla conoscenza. L’alfabetizzazione, compresa quella finanziaria, deve diventare una priorità, per non restare un privilegio di pochi. Secondo lei un consulente finanziario o un bancario devono porsi con il cliente anche in una logica di educatori finanziari? O è un compito che spetta ad altri e a chi a suo parere? Credo che i consulenti debbano prendere in considerazione il fatto che la grande maggioranza dei loro clienti non possiedono buone conoscenze finanziarie, quindi il livello della comunicazione, della consulenza stessa deve essere adeguato al livello delle conoscenze esistenti. Le esperienze di altri Paesi, come il Portogallo, che hanno introdotto questa materia nelle scuole,

ci dimostrano che l’educazione finanziaria ha bisogno di uno spazio di apprendimento dedicato e di programmi curriculari adeguati. È arrivato il momento che l’educazione finanziaria approdi ufficialmente nelle scuole come materia di studio anche in Italia? E quali potrebbero essere i vantaggi e gli eventuali problemi da risolvere? È più che arrivato ed è ora che l’educazione finanziaria approdi a scuola, per esempio nella educazione civica che è ormai materia obbligatoria. A questo proposito abbiamo già preparato delle linee guida per l’educazione finanziaria dei giovani che possono essere usate nelle scuole e stiamo predisponendo il materiale per i docenti oltre a fare progetti pilota nelle scuole che sono interessate a farlo. La scuola è il luogo in cui le disuguaglianze, anche di genere, nell’ambito dell’alfabetizzazione finanziaria possono essere colmate non solo tra i giovani, ma tra gli adulti. Attraverso la scuola, attraverso i giovani, le conoscenze finanziarie possono entrare nelle famiglie italiane. L’introduzione dell’educazione finanziaria a scuola può avere un impatto importante non solo sui giovani, ma sull’intera società. Chi ha acquisito cultura finanziaria come dovrebbe rapportarsi col proprio consulente? Sono le persone con una conoscenza finanziaria più elevata a rivolgersi ai consulenti. Chi conosce i concetti base della finanza riuscirà ad ascoltare e ad utilizzare meglio i consigli di un esperto. Lei vive negli Stati Uniti dove i fondi pensione investono molto in azionario e dove i risparmiatori non hanno paura di investire nell’equity. Noi abbiamo tantissima liquidità giacente sui conti correnti, circa 2000 miliardi di euro. Con una diffusione di massa della educazione finanziaria il problema sarebbe superato a suo giudizio? È un problema complesso e non credo dipenda solo e soltanto dalla conoscenza finanziaria, ma gli studi ci dicono che chi sa di più partecipa di più nei mercati finanziaria e investe di più in titoli azionari e in generale investe meglio. Quindi un investimento in educazione finanziaria potrebbe dare buoni frutti, come dicevamo nel tema del Mese. Nel Paese c’è un problema molto serio di scopertura delle prestazioni pensionistiche - tecnicamente si parla gap previdenziale - cosa può fare il Comitato su questo tema? Il Comitato si occupa non solo di educazione finanziaria ma anche di educazione previdenziale ed educazione assicurativa. All’interno del Mese abbiamo lanciato per la seconda volta la Settimana della educazione previdenziale, che si terrà dal 18 al 24 ottobre, con una particolare attenzione ai giovani, protagonisti del concorso “Un’idea per il futuro”. Un contest per sensibilizzare proprio le nuove generazioni sui temi della previdenza utilizzando il linguaggio dei giovani e il digitale. Quello delle pensioni è un altro tema importante ed urgente. Di cosa ha necessità il Comitato oggi per essere ancora più efficace? Buone idee, persone o budget maggiore? Le buone idee sono il punto di partenza, ma è necessario un budget adeguato e un team dedicato di persone. Poiché l’Italia è il fanalino di coda in tutte le statistiche sulla conoscenza finanziaria, dobbiamo investire molto e alla svelta se non vogliamo continuare a restare indietro. ottobre 2021

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anteprima INVESTIRE TODAY DIALOGO COL PRESIDENTE CONSOB

Savona: «Cari risparmiatori, state alla larga dalle criptovalute» di Alfonso Ruffo

«Si tratta di strumenti pericolosi che vanno maneggiati solo da chi li conosce. Il problema è che sul mercato ci sono ormai 6mila criptomonete»

«È

un rebus. Per risolvere il quale occorre fasi venire un’idea». Paolo Savona, economista, scrittore, ex ministro e presidente della Consob, accetta di parlare con Economy del cruccio delle Autorità di Vigilanza: l’avanzare impetuoso delle criptovalute in un mondo dove domina l’ignoranza della finanza virtuale e gli squali abbondano.

Quale idea? Ci vorrebbero un Keynes redivivo e una nuova Bretton Woods per mettere insieme tutti i Paesi del mondo e immaginare un nuovo ordine complessivo. Ma… Ma in questo momento siamo al minino della cooperazione internazionale. La Cina se ne va in una direzione e gli Usa in un’altra mentre la Russia dice che chi riuscirà a dominare l’infosfera sarà la nuova potenzia globale. L’Europa? Si attarda.

Eppure, il problema delle criptovalute non si può ignorare… Certo che no, anche perché è molto più sviluppato di quanto si pensi. In Italia, per esempio, sembra che il 18 per cento dei risparmiatori abbia investito in Bitcoin. Come si spiega? Troppi siti adescatori. La 30

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Consob ne ha fatti chiudere 516 e altri sono sotto osservazione. Una stima indica che nel nostro Paese le truffe sono arrivate a circa 3 miliardi di euro, ma non esistono informazioni precise. Occorrono strumenti per prevenire e non solo agire quando ormai è troppo tardi. Chi dovrebbe controllare, allora? È uno dei problemi aperti. La BRI sostiene che vale il principio “stessi strumenti, stessa regolamentazione”, ignorando la base tecnologica sul quale si deve applicare.

Non c’è difesa? La Consob e altre autorità lanciano da tempo dei moniti: attenzione, tenetevene lontani, si tratta di strumenti pericolosi che, almeno allo stato attuale della permissività, vanno maneggiati da chi li conosce. Qualcuno si è arricchito. Sì, chi ha comprato all’inizio quando il Bitcoin


ficienti e stanno entrando sempre più nell’area dei crediti, dei derivati e dell’organizzazione delle securities.

Un de profundis per il sistema bancario che abbiamo conosciuto? No, una profonda trasformazione alla quale devono prepararsi. Occorre che si chiedano con urgenza che cosa riserverà il futuro. La risposta dipende dalla decisione o meno delle banche centrali di dotarsi di una propria criptovaluta. Che cosa si aspetta? Forse il ritardo nelle decisioni è dovuto al fatto che le banche uscirebbero dal circuito monetario perdendo l’attuale quasi monopolio sul sistema dei pagamenti.

Diventerebbero inutili? No, perché se raggiungono l’efficienza delle piattaforme tecnologiche possono ancora gestire i pagamenti, ma dovranno specializzarsi nella gestione del risparmio e, quindi, essere più utili per la crescita reale.

LA SEDE CONSOB DI PIAZZA VERDI A ROMA

valeva meno di un dollaro. mentre oggi il valore oscilla enormemente attorno ai 40 mila dollari. C’è chi ha scritto che alla nascita con un Bitcoin potevi comprare una pizza, oggi una pizzeria. Il problema è ben più complicato perché parliamo di circa 6 mila cryptomonete. Non esiste un manuale che possa accompagnare le scelte dei risparmiatori tra le monete virtuali? No, un manuale elementare non esiste e dovrebbe esser fatto. Se avessi tempo lo scriverei io.

Da che cosa partire per tentare di orientarsi? Intanto bisogna capire la contabilità decentrata e criptata, la blockchain, su cui si basano le cryptocurrency. Poi conoscere alcuni elementi di base dell’intelligenza artificiale. Per quest’ultima esistono diversi trattati scientifici, tra i quali il più chiaro mi sembra quello di Pedro Domingos intitolato L’algoritmo definitivo. La macchina che impara da sola e il futuro del nostro mondo. I calcoli in materia imitano gli stimoli neurali del nostro cervello, sono quindi il nostro cervello potenziato… È abbastanza incredibile che la letteratura divulgativa sul tema sia così indietro. Non le sembra? Finora l’educazione finanziaria si è concentrata sull’assetto esistente. Ma l’assetto esistente sta saltando e non si sa come passare dal vecchio al nuovo. Viviamo nell’incertezza.

Anche le banche sono sotto pressione… Come ha detto il mio collega della Sec americana, Gary Gensler, le banche sono sottoposte a una violenta competizione da parte delle piattaforme tecnologiche che hanno metodi di gestione del sistema dei pagamenti molto meno costosi e molto più ef-

Quanto tempo ci vorrà perché la transizione si compia? Esistono altri due vincoli a quello indicato: l’esistenza di incisivo digital divide che impedisce a molte persone di entrare nel circuito virtuale dei pagamenti e i maggiori vantaggi di operare nella finanza per la finanza, trascurando la crescita reale. Non sono però ostacoli insormontabili. Siamo di fronte a una rivoluzione? Preferisco parlare di discontinuità, la quale dipende dalle scelte monetarie delle banche centrali e dalla preparazione strumentale di tutte le autorità di controllo della finanza. È una scelta politica o tecnica? Dietro c’è anche della tecnica. Ma la scelta di fondo è politica ed è legata al fatto che gli Stati Uniti considerano le criptovalute una manifestazione della libertà degli individui garantite dalla loro Costituzione, mentre la Cina questi problemi non se li pone e vuole mantenere il monopolio della moneta, perché è uno strumento importante di controllo del mercato. È quindi in atto uno scontro ideologico ad altissimo livello.

La Cina, che ha messo al bando le transazioni in criptovalute, sembra anche più attrezzata sotto il profilo tecnologico. Non crede? Esiste una forte probabilità che la Cina sia in grado di entrare in tutti i circuiti finanziari criptati e tecnologici per il suo assetto costituzionale, un potere di cui gli Stati Uniti e quelli in regime liberal-democratico non possono disporre. Se fosse così la Cina starebbe un pezzo avanti. Nel controllo degli sviluppi delle cryptocurrency certamente, nel resto dipende dal tipo di organizzazione sociale che si desidera.

È anche uno scontro di sistemi di libertà? L’essere umano sta appartenendo sempre di più alla società e meno a se stesso. Le conquiste dei due secoli precedenti si vanno indebolendo, ma ho il timore che la maggioranza pensi il contrario. ottobre 2021

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anteprima INVESTIRE TODAY ISTITUTI DI CREDITO & EDUCAZIONE FINANZIARIA

Il ruolo delle banche di territorio cruciale per formare gli investitori di Giuseppe De Lucia Lumeno*

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uali sono le cause della scarsa educazione finan- A chi spetta di impegnarsi per ridurre il problema? Alla scuola? ziaria degli italiani? Investire lo ha chiesto a Giu- Sì, ma per il futuro. E intanto a chi? Alle banche? seppe De Lucia Lumeno, segretario generale di As- A tutti. Ognuno per le proprie competenze e capacità. Nessuno si deve e sopopolari, l’Associazione tra le banche popolari si può sentire escluso. Il tema dell’educazione e dell’inclusione finanziaitaliane, da sempre attente a questo tema. ria è finalmente entrato nell’agenda istituzionale, come dimostra anche Non penso che si tratti di un problema specificamente italiano. Penso il simposio internazionale organizzato nei giorni scorsi dalla Banca d’Ipiuttosto che l’impressionante accelerazione della rivoluzione tecno- talia, in occasione del prossimo G20 presieduto dal Premier Draghi con logica, registrata negli ultimi dieci anni, stia producendo conseguenze la partecipazione del Governatore Visco. ancora tutte da decifrare anche su un piano puramente antropologico. Il credito popolare ha sempre seminato nei suoi territori qualche I protagonisti attivi di questi rapidi e profondi cambiamenti in corso, seme di educazione finanziaria. E’ ancora così? per certi aspetti positivi ma in alcuni casi anche negativi, sono prima di I semi del credito popolare in materia di educazione finanziaria negli tutto, proprio i giovani a cominciare dai cosiddetti millennial e, ancor anni sono stati tanti e si iniziano a vedere anche i primi frutti. L’Assodi più, gli appartenenti alla generazione zero. Sicuramente i ragazzi ciazione Nazionale fra le Banche Popolari aderisce e partecipa, anche hanno una dimestichezza impressionante con la tecnologia. In realtà quest’anno al Mese dell’Educazione Finanziaria. Per l’edizione 2021, per i giovani, nati alla fine del secolo scorso, e ancor di più quelli nati a abbiamo pubblicato due volumi sulla piccola imprenditoria e sui giovainizio del nuovo, la tecnologia è, prima di ogni altra cosa, semplicità e ni: “Banche Popolari, PMI e l’Educazione Finanziaria” e “I giovani, l’ecogioco. Questo però non basta a farne dei cittadini in grado di compiere nomia e la finanza”. Sono iniziative che si inseriscono in un percorso di scelte economiche e finanziarie avvedute e consapevoli. Per questo impegno ultradecennale che le banche popolari e del Territorio stanno l’educazione finanziaria riveste un ruolo di primissima importanza. portando avanti su questo tema al fine di sensibilizzare sempre di più Ad un ideale cittadino del futuro pienamente interno e partecipe della la propria clientela a partire proprio dai ragazzi e dalle scuole. Un imperivoluzione tecnologica non è affatto detto che corrisponda un citta- gno che ci assorbe anche in America, Africa ed Asia. dino con un accettabile grado di alfabetizzazione finanziaria. E’ allora Dipendesse da lei, cosa farebbe? necessario investire molto sull’educazione finanziaria e non dare per È necessario lavorare su questo tema avendo un’idea di fondo di cosa scontato che siccome i giovani padroneggiaro la tecnologia siano per è e cosa deve essere lo sviluppo e la crescita. Una finanza al servizio questo in grado di operare consapevolmente nel sistema finanziario. dell’economia reale non soltanto continua a essere utile e necessaria Ci sono poi almeno due generazioni che rischiano di restare del per la realizzazione del bene comune, ma resta, ancora oggi, un valido tutto fuori da questa rivoluzione tecnologica... antidoto ai facili e rapidi arricchimenti che, ostacolando una effettiva Lo sviluppo della tecnologia non può essere affrontato non tenendo circolazione e distribuzione della ricchezza, rappresentano un rischio conto dell’invecchiamento della popolazione. I trend demografici non per i redditi, l’occupazione e la stabilità dell’intero sistema economico lasciano dubbi: la popolazione sta invecchiando e l’Italia è uno dei e che si avvalgono della mancanza delle adeguate conoscenze nonPaesi in cui la terza età rappresenta una percentuale notevole della ché dell’ingenuità e su un’arretratezza incolpevole ma non per questo popolazione. A inizio 2021 le persone con oltre sessant’anni rappre- meno dannosa in materia finanziaria di tanti. La separazione tra svisentano un terzo della popolazione. Ma ci sono anche i bambini: come luppo della finanza ed economia reale, oltre a essere causa di squilibrio possono maturare una consapevolezza del valoè anche disfacimento morale, politico e sociale, re, se la versione digitale della moneta consiste che prospera sull’ignoranza altrui. Il lavoro di Asin una password numerica con cui si “accede” ilsopopolari su questo terreno è quotidiano ed è limitatamente a beni e servizi? Per questi soggetti il frutto di un investimento strategico di risorse l’educazione finanziaria è un’esigenza primaria e che ha visto diverse pubblicazioni realizzate neil loro rapporto con le banche non è sostituibile gli ultimi anni, così come tanti sono i percorsi di dalla tecnologia tanto più senza quella formaconferenze a favore delle associate che operano zione che un istituto bancario, facendo leva sulla poi autonomamente nei territori e nelle comunità conoscenza personale reciproca, sul supporto di riferimento. In una fase di incertezza globale, la “umano”, può garantire perché ritenuto interlocuprossimità rappresenta un elemento essenziale tore affidabile. Senza questo lavoro di formazione ed imprescindibile per raggiungere quella consain troppi sarebbero messi fuori dal processo propevolezza economica indispensabile per essere *SEGRETARIO GENERALE DI ASSOPOPOLARI duttivo, lavorativo e sociale. più liberi nelle proprie scelte e nelle proprie azioni. 32

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INTERVISTA CON LUIGI CONTE (ANASF)

«Insegnare l’abc della finanza? Il miglior docente è il consulente» di Marco Muffato

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erché l’educazione finanziaria dei risparmiatori italiani abbia successo servono docenti preparati. I migliori sono coloro che di finanza e di investimenti ci vivono, come i cf, interagendo ogni giorni con i propri clienti. A pensarla così è Luigi Conte (nella foto), presidente Anasf, che spiega a Investire il suo convincimento.

Presidente Conte, cos’ha fatto Anasf per migliorare l’educazione finanziaria dei risparmiatori italiani? L’associazione è attiva sul fronte dell’educazione finanziaria ormai da anni: nel 2005 abbiamo realizzato la Carta dei Diritti dei Risparmiatori, che ha messo i primi punti fermi sulla necessità di trasparenza del mercato finanziario; dal 2009 eroghiamo nelle scuole “economic@mente – Metti in conto il tuo futuro”, con gli studenti come target. Dal 2019 abbiamo avviato l’iniziativa “Pianifica la mente – Metti in conto i tuoi sogni”, con l’obiettivo di trasmettere ai risparmiatori i principali concetti di alfabetizzazione finanziaria. Il Congresso Nazionale del 2020 ha istituito in Anasf una commissione specifica formata dai responsabili territoriali per l’educazione finanziaria, presieduta dal responsabile nazionale, allo scopo di ampliare l’area, proporre, progettare e validare nuove iniziative, come ad esempio il progetto dedicato agli studenti delle scuole primarie. L’associazione collabora inoltre da anni alla realizzazione della Wiw e del Mese dell’educazione finanziaria, e poi con Feduf, la fondazione per l’educazione finanziaria, e con altre realtà locali, quali l’Ufficio scolastico regionale della Lombardia e la Camera di commercio di Firenze. Per il prossimo futuro intendiamo continuare a presidiare e rafforzare queste attività dando così il nostro contributo fattuale all’innalzamento dell’alfabetizzazione finanziaria del Paese. Il risparmio deve diventare una materia di studio nelle scuole e nei licei? Ha una proposta sul tema? In Italia l'educazione finanziaria non è obbligatoria nel programma scolastico nazionale. Tuttavia, sono molti i dirigenti e i docenti degli istituti che hanno acquisito consapevolezza dell’importanza della materia e richiedono all’associazione di erogare il progetto economic@mente alle nuove sezioni, anno dopo anno. Le esperienze nazionali e internazionali dimostrano che la scuola costituisce il principale canale per veicolare iniziative, conoscenze e competenze di educazione finanziaria e riveste un ruolo fondamentale perché consente di raggiungere una vasta fascia della popolazione, con riferimento a tutti i ceti sociali, e, agevola il processo di familiarizzazione dei risparmiatori di domani ai temi finanziari e di conseguenza produrre benefìci indiretti per le loro famiglie in quanto gli studenti possono veicolare le nozioni e le esperienze acquisite anche ai propri familiari. Per questa ra-

gione auspichiamo che il legislatore istituisca l'insegnamento dell'educazione economica e finanziaria come materia curriculare obbligatoria e agevoli, affiancandola, l’attività svolta da tutto il settore che lavora sul tema per la crescita del Paese. Il consulente finanziario ha le carte in regola per essere un docente sui corsi di educazione finanziaria o basta la sua attività quotidiana di assistenza per contribuire alla crescita della cultura finanziaria tra i risparmiatori? Noi consulenti finanziari abbiamo il vantaggio di essere presenti nel tessuto delle famiglie italiane da sempre. Ne conosciamo le esigenze, il linguaggio per trasmettere le conoscenze e tradurle in scelte consapevoli e sostenibili. Possediamo le competenze socio-economiche necessarie per contribuire alla crescita della cultura finanziaria tra i risparmiatori e questo ruolo è intrinseco nella nostra professione in quanto viene svolto nell’attività quotidiana. L’associazione ha comunque ritenuto opportuno abilitare, tramite un percorso formativo ad hoc, le centinaia di colleghi e colleghe che svolgono i progetti di alfabetizzazione finanziaria per Anasf e sono numerosi i soci che intendono aggiungersi alla squadra di formatori Anasf per dare il loro contributo. Nel corso di quest’anno scolastico svolgeremo una nuova tornata formativa per qualificare coloro che vogliono essere parte attiva per incrementare la capillarità degli interventi dell’associazione sul territorio. Quali sono i vantaggi per un cf nell’interagire con un cliente consapevole in materia di investimenti finanziari? L’obiettivo di una consulenza di valore risiede nell’interloquire con risparmiatori e investitori pienamente consapevoli delle proprie scelte. Attraverso il confronto e la relazione di fiducia è possibile tessere le basi per una cultura finanziaria che viene coltivata nel tempo, pianificare insieme gli investimenti e, nel rispetto delle inclinazioni dei clienti, raggiungere i traguardi prefissati. È importante instaurare il patto di fiducia con ogni risparmiatore affinché i rudimenti di educazione finanziaria vengano condivisi anche tra la rete delle sue conoscenze. Grazie al lavoro costante della categoria che rappresento è quindi possibile diffondere la cultura finanziaria a molte più famiglie di quante già sono avvezze all’utilizzo di strumenti di risparmio gestito. ottobre 2021

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anteprima INVESTIRE TODAY INTERVISTA CON CALZOLARI (ASSOSIM)

«Chi investe nel trading on line è più preparato del risparmiatore medio» di Marco Muffato

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l punto di vista di Assosim su un tema che negli anni da soft è diventato cruciale per gli intermediari: quello dell’educazione finanziaria. Ne parliamo con il presidente dell’associazione Michele Calzolari.

rispetto al 2019, ma non intravediamo profili negativi in questa crescita. Gli intermediari attivi nel trading online sono tenuti a osservare le rigorose previsioni della Mifid 2 a tutela degli investitori. Pertanto i loro clienti operano in un contesto caratterizzato da un alto livello di inveDottor Calzolari, l’Italia è il fanalino stor protection. Inoltre i clienti attivi sul di coda in Europa, precede solo Malta, trading online, che comunque rappresenper educazione finanziaria dei suoi tano solo una piccola percentuale dei riabitanti. Dal suo personale osservatosparmiatori italiani, sono in genere quelli rio, di presidente dell’associazione di più avvezzi all’operatività in strumenti categoria degli intermediari dei merfinanziari, potendo tra l’altro beneficiaIL PRESIDENTE ASSOSIM MICHELE CALZOLARI cati finanziari, come giudica questa re di programmi di formazione online a lacuna? Alla lunga non rappresenta un problema anche per loro dedicati dagli intermediari. Quanto all’introduzione di regli operatori? strizioni all’accesso al trading online da parte degli investitori, si Il tema dell’educazione finanziaria assume particolare rilevanza tratterebbe di una misura sproporzionata e in contrasto con le nel nostro Paese. Dalla “International Survey of Adult Financial finalità della Capital Market Union, che vuole incentivare la parLiteracy” pubblicata nel 2020 dall’Oecd emerge che l’Italia si tecipazione dei clienti al dettaglio ai mercati dei capitali. Occorre colloca al penultimo posto, su 26 Paesi, per numero di adulti in inoltre considerare che gli intermediari profilano i clienti in base possesso di un livello minimo di conoscenza finanziaria. Occorre a conoscenza e esperienza finanziaria prima di consentire loro al riguardo considerare che il dato negativo è il risultato di una di operare: in presenza di un livello basso, il cliente potrà operaformazione scolastica e universitaria lacunosa in ambito finan- re solo su strumenti semplici e poco rischiosi. ziario. Ne emerge sicuramente un quadro preoccupante che può Quale educazione finanziaria serve nell’era Fintech? essere corretto solo con azioni incisive volte a introdurre un’of- Nell’era fintech il cliente deve acquisire, oltre alla conoscenza di ferta formativa dedicata ai mercati e agli strumenti finanziari mercati e strumenti finanziari, anche un’adeguata expertise diin tutti i percorsi di apprendimento a prescindere dallo speci- gitale. Purtroppo, la clientela italiana ha un’età media piuttosto fico indirizzo. Per esempio anche un percorso caratterizzato da alta e a ciò spesso corrisponde una bassa familiarità con gli strumaterie umanistiche o scientifiche dovrebbe dare spazio a una menti informatici e le nuove tecnologie. formazione finanziaria. Anche l’economia reale trarrebbe van- Quanto è cruciale il tema di una corretta informazione fitaggio da un più alto livello di educazione finanziaria degli inve- nanziaria per migliorare la relazione tra operatori del setstitori, i quali potrebbero accedere a un più ampio range di pro- tore e tra questi e i risparmiatori? Qual è l’impegno di Assodotti finanziari emessi per finanziare progetti imprenditoriali. sim in quest’ambito? Purtroppo, gli interventi summenzionati producono benefici Come ho già evidenziato l’educazione finanziaria è fondamensu un arco temporale piuttosto lungo, ma questo non esonera tale non solo per gli investitori ma anche per gli stessi interi policy maker italiani dall’avviare con urgenza un’inversione di mediari. A mio avviso una maggiore financial literacy avrebbe rotta. il beneficio di ridurre l’insorgenza del contenzioso in materia Negli ultimi due anni i volumi degli operatori del trading on finanziaria, che spesso deriva da una scarsa comprensione da line sono cresciuti molto. Siamo tornati ai tempi d’oro agli parte dei clienti delle numerose informazioni fornite ai sensi di albori del 2000 con un pubblico retail sempre più numero- legge dagli intermediari. A questo stesso riguardo vorrei ricorso che giocava in borsa salvo poi essere scottato dalla bolla dare che, come associazione, abbiamo manifestato in più occadei titoli tecnologici? Non servirebbe una massiccia campa- sioni - da ultimo la consultazione della Commissione europea gna di educazione finanziaria per consentire solo a investi- sulla retail investment strategy - la necessità di approntare intori consapevoli di avvicinarsi al trading on line? terventi di semplificazione dell’informativa ai clienti in modo da Nel periodo più recente, caratterizzato dalla pandemia, il trading renderla più chiara e comprensibile. In questo ambito c’è spazio online è cresciuto molto - sul mercato Mta +40% circa nel 2020 per un miglioramento sostanziale. 34

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anteprima INVESTIRE TODAY IL PUNTO DI VISTA DEL CREDITO COOPERATIVO

Anche allo sportello di una Bcc si formano clienti consapevoli di Flavio Piva – Presidente BCC Verona e Vicenza

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educazione finanziaria riveste uno spazio di notevole importanza nella vita di tutti i giorni. Se si considerano le difficoltà del periodo appena trascorso - non ancora del tutto superato - vediamo come queste dinamiche abbiano impattato in maniera importante sull’andamento finanziario del Paese e, a livello microscopico, su tutti i cittadini. Infatti, durante il periodo pandemico le banche hanno risposto prontamente alla richiesta di supporto attivando dei sistemi a sostegno dei cittadini e delle imprese, sistemi che sono risultati fondamentali per affrontare i problemi di liquidità. Si è realizzata una sinergia funzionale tra le iniziative del governo e quelle delle banche, volte a minimizzare i danni della pandemia sui cittadini e sulle imprese. È indiscusso che si sia trattato di un momento tragico per il nostro Paese ma,

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Il Gruppo Iccrea sostiene lo sviluppo della conoscenza e competenza, fondamentale per rafforzare i diritti di cittadinanza attiva

Flavio Piva, Presidente della BCC di Verona e Vicenza

questo periodo ha - in qualche modo - favorito una consapevolezza maggiore nei confronti della questione finanziaria e dell’importanza che essa riveste nella quotidianità. Le banche svolgono una funzione creditizia fondamentale, fungendo da intermediarie nel settore del credito tra coloro che offrono capitali e coloro che li richiedono in prestito. Chiaramente a questa funzione se ne aggiungono altre, come quella creditizia o di investimento, ma più in generale questa funzione di intermediazione è tanto scontata quanto fondamentale nel buon funzionamento dell’economia tutta. Avere la consapevolezza finanziaria significa, quindi, riconoscere l’importanza di questi elementi e il peso che essi hanno nel complesso sistema che compone la realtà in cui viviamo, questo perché l’aspetto finanziario è intimamente correlato ad altri meccanismi che permettono al sistema di rimanere in una condizione efficiente di funzionamento. Ciò da cui non si può prescindere è una corretta informazione sull’aspetto finanziario e quindi sul ruolo fondamentale che le banche svolgono, affinché ci sia una maggiore innovazione derivante dalla completa cognizione degli strumenti a nostra disposizione. Purtroppo, al momento, nel nostro Paese la consapevolezza finanziaria esiste in una percentuale esigua di popolazione e qui risulta indispensabile e lodevole il lavoro svolto ad esempio dalla Fondazione per l’Educazione Finanziaria e al Risparmio. FEduF rappresenta la possibilità di rendere gli individui capaci di far fronte a momenti di difficoltà o di incertezza, come è stato il periodo nel corso della pandemia da Covid-19, e mostra ai cittadini come rispondere a queste incertezze attraverso un maggiore controllo delle proprie risorse economiche, poiché capire lo spazio entro cui ci muoviamo è essenziale oggi più che mai. L’obbiettivo, direttamente correlato all’informazione, è diffondere maggiore sensibilizzazione sui temi economici so-


prattutto nei giovani che rappresentano il futuro sostenibile e consapevole del Paese e in questa direzione sono già stati fatti diversi passi avanti, le giuste premesse sono state poste ma le radici devono essere stabili e per questo FEduF lavora per rendere l’informazione finanziaria un fondamento basilare nello sviluppo delle capacità utili a guidare il futuro del nostro paese. Con “Ottobre in BCC” anche il Gruppo Bancario Cooperativo Iccrea promuove quindi un percorso info-formativo, articolato in quattro tappe che si svolgono lungo tutto il mese, a beneficio delle BCC, dei loro soci e clienti e non solo. Il primo di questi momenti è dedicato al “risparmio”, il secondo alla “protezione”, il terzo alla “previdenza” e l’ultimo agli “investimenti”. Tale percorso è pensato in piena coerenza con la missione della Cooperazione di Credito, che mette da sempre al centro l’educazione finanziaria. I principi fondanti espressi all’art. 2 dello Statuto delle banche cooperative esprimono lo scopo di miglioramento culturale di soci e comunità locali, anche con l’educazione al risparmio e alla previdenza, nonché con la crescita responsabile e sostenibile del territorio nel quale operano. In epoca pandemica, restano quanto mai attuali anche i valori espressi nella “Carta della Finanza Libera, Forte e Democratica”, siglata nel 2011 in occasione del 14° Congresso Nazionale del Credito Cooperativo per ribadire l’impegno delle BCC nell’agire economico, civile e sociale per il rilancio del Paese segnato dalla crisi economico-finanziaria innescata nel 2008. In essa si ribadisce la priorità per una finanza inclusiva, comprensibile ed educante, una finanza che offre strumenti per costruire il futuro ed autentica cittadinanza sociale: per questo deve essere accessibile e partecipativa, per generare integrazione, coesione e attenzione per il bene comune. Deve parlare il linguaggio comune delle persone in modo trasparente e paritetico, per porre le competenze al servizio delle esigenze delle persone, sinteticamente e con chiarezza. E deve accompagnarle nelle diverse fasi della vita, con discernimento e consapevolezza, accompagnando con i giusti consigli i processi di risparmio indebitamento, investimento e spesa. Lo stesso Gruppo Iccrea sostiene lo sviluppo della conoscenza e competenza, fondamentale per rafforzare i diritti di cittadinanza attiva delle proprie comunità di riferimento. E’ fondamentale la convinzione che l’educazione finanziaria non può essere scissa dagli obiettivi della transizione alla sostenibilità e al digitale: sono pilastri per il rafforzamento della consapevolezza civile e informata sui temi di maggio-

Le nostre casse hanno la possibilità di accedere ai servizi di FEduF per l'educazione finanziaria

re rilevanza. Anche alla luce dei nuovi scenari che si prefigurano nel mondo post-pandemico. In tal senso, l’educazione finanziaria diventa complementare all’istruzione scolastica e accademica, per avvicinare gli studenti al mercato del lavoro e formare i futuri soci, amministratori e collaboratori: si vuole offrire a ragazze e ragazzi le migliori condizioni per poter effettuare scelte consapevoli e commisurate alle proprie esigenze. Questo nella consapevolezza che l’avvicinamento dei giovani al mondo del Credito Cooperativo è determinante per il rinnovamento generazionale del sistema. Per la realizzazione del proprio progetto di educazione finanziaria, la Capogruppo Iccrea ha aderito a FEduF come partecipante ordinario. Ciò consente alle BCC, già molto attive nei propri territori nell’ambito dell’educazione finanziaria, la possibilità di accedere ai servizi di FEduF. In particolare, ai pacchetti formativi predisposti dalla Fondazione e rivolti alla formazione di studenti -dalla scuola primaria alle ultime classi delle superiori-, ai percorsi didattici per lo sviluppo di competenze trasversali e di orientamento (ex alternanza scuola – lavoro) e alle iniziative formative rivolte alle comunità territoriali. Concludendo, solo 3 italiani su 10 hanno un grado di alfabetizzazione sufficiente a compiere scelte consapevoli in tema finanziario con enormi disparità per genere, professione e distribuzione territoriale. Questi numeri sono anche la conseguenza della scarsa cultura che viene insegnata nelle scuole, dove infatti i nostri studenti sono molto meno preparati rispetto agli studenti di altri paesi e hanno molte difficoltà nel prendere decisioni finanziarie responsabili. L’ultima indagine OCSE afferma che gli studenti italiani in grado di risolvere compiti complessi a livello economico-finanziario è meno della metà dei Paesi OCSE. Uno studente su cinque non ha le conoscenze di base necessarie per poter prendere decisioni finanziarie responsabili e ben informate. Dunque c’è davvero bisogno di consapevolezza economica in Italia, al fine di prosperare e rinnovarsi. Per questo il ruolo centrale di realtà come FEduF o l’importanza dei programmi sull’educazione finanziaria promossi da Banca d’Italia diventano davvero indispensabili. ottobre 2021

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PARLA ANDREA CROVETTO (ITALIAFINTECH)

«Ecco come il Fintech lending sta aiutando le pmi a crescere» di Marco Muffato

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e le piccole e media imprese italiane nei prossimi anni avranno più frecce al proprio arco per competere oltre i confini del mercato domestico molto merito sarà delle società operanti nel fintech lending, ovvero di quegli operatori fortemente digitalizzati e specializzati nell’erogazione del credito che prestano denaro alle pmi per finanziare i loro piani di sviluppo. Di questo comparto in frenetica crescita ne parliamo con Andrea Crovetto, presidente di ItaliaFintech, l’associazione nata nel 2018 con lo scopo di promuovere la conoscenza e l’adozione delle soluzioni fintech da parte di consumatori, famiglie e imprese, oltre che ceo di Azimut Direct, uno dei player di punta del movimento nazionale del fintech lending.

Il presidente dell’associazione di categoria spiega come gli operatori fintech sono arrivati a occupare uno spazio crescente in un mercato, quello del credito, dominato dalle banche tradizionali

di un modello focalizzato è che hai una grande performance su quello specifico servizio. Il concetto di filiale è tramontato definitivamente? Il vostro modello prevede strutture fisiche? La filiale sarà sempre la referente a tutto tondo dell’impresa, anche perché le banche stanno rivoluzionando il modello di agenzia verso uno che ne incarni ancora di più i valori fiduciari che passano attraverso le persone. Tradotto: si Dottor Crovetto, l’ultimo anno può andrà in filiale non per le transazioni a definirsi quello della consacrazione basso contenuto oggi coperte dai servizi per le fintech nell’erogazione di creon line degli istituti ma per confrontarsi dito alle imprese? Quanto margine con un consulente di fiducia per le sceldi crescita può avere ancora in quete importanti. Non vedo le fintech con sto mercato? strutture fisiche, proprio no; le fintech È vero siamo un fenomeno che prima sono per natura aperte e quindi pronte ANDREA CROVETTO, PRESIDENTE DI ITALIAFINTECH era sottotraccia e adesso sta emergena collaborare con operatori tradizionali. do. I numeri 2019 attestano di circa 300 milioni di euro di Curiosità: da dove arriva il denaro poi erogato dalle finfinanziamenti alle pmi erogati dalle fintech; nel 2020 siamo tech alle imprese? passati a 1,6 miliardi di euro, quindi una crescita pazzesca in Il capitale di origine non bancaria quale quello derivante dal soli dodici mesi. Non finisce qui, nel primo semestre del 2021 risparmio assicurativo e previdenziale oltre quello dei fondi abbiamo pareggiato quanto fatto l’anno scorso, 1,6 miliardi. specializzati trova nelle fintech un valido strumento di impieIo penso che arriveremo a 4 miliardi di erogato solo come in- go e di selezione. dustria entro la fine dell’anno. Dove possiamo arrivare? A un Il pricing più favorevole delle banche tradizionali a gioco lungo potrebbe portare di nuovo il business dalla mercato da almeno 15 miliardi di euro annuali. Perché le banche tradizionali faticano a star dietro alle loro parte? fintech? Cos’hanno di speciale rispetto agli istituti di Io credo che alla lunga i due mercati si sovrapporranno per il principio dei vasi comunicanti. È vero che in alcuni casi le credito? Di speciale? Il fatto di focalizzarsi su un solo prodotto. Una fin- banche riescono a essere più competitive sui costi dove invece tech normalmente fa una sola cosa e fa il possibile per farla il fintech eccelle soprattutto nella velocità di risposta. A tenmolto bene. Siamo dunque un modello alternativo, molto spe- dere anche il pricing si allineerà, i due canali hanno già oggi cializzato, rispetto alla banca universale che offre tutti i servi- probabilmente prezzi simili sul mercato a parità di merito di zi: dall’amministratore delegato all’ultimo stagista ci si occupa credito dei finanziati. Perché in realtà per spiegare le differendelle stesse priorità e degli stessi dettagli. I limiti e i benefici ze tra banche tradizionali e fintech bisogna tener conto del 38

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INVESTIRE SPECIALIST

merito di credito dei beneficiari lente finanziario, si deve spingeche al momento è diverso tra i re qualche passo in più verso la due mercati. gestione strategica dell’impresa. C’è spazio per ridurre il priIn pratica, devi possedere la vicing? sione per cogliere la portata del Sì perché la liquidità erogata è in fabbisogno e così consigliare gli crescita attraverso questi canali strumenti finanziari più idonei. e ciò determina maggiore conIl mediatore dunque deve evolcorrenza che a sua volta porta a vere verso un ruolo di consulenuna diminuzione dei costi. te finanziario, quindi ampliando Le Fintech sono più rapide le proprie conoscenze o alleanma sono in grado anche di dosi con professionisti della conampliare i propri servizi per sulenza già attivi. le pmi, anche oltre l’ambito L’innovazione di prodotto del credito? dove porterà? Anticipiamo Quello che stiamo osservando è qualche scenario per il futuche la natura delle fintech è ben ro? più aperta alla collaborazione Nei prossimi anni mi aspetto piuttosto che all’espansione di un allargamento agli strumenti prodotto tout court; è cioè norequity, attraverso le piattaforme male per una fintech collaborare di crowdfunding che affianchecon altre fintech perché “nascoranno sempre più l’offerta di no aperte”. Al contrario la natura credito a lungo termine. Questa delle banche è quella di espanevoluzione risponde a una cronidersi, ampliare l’offerta proprio ca esigenza delle nostre pmi con in forma del modello universale riferimento al capitale di rischio che le ha portate a superare le che non può essere soddisfatspecializzazioni. Mi riferisco agli ta solo dal credito tradizionale. istituti di medio termine speciaVedo inoltre un chiaro trend che lizzati nel credito industriale che premierà le imprese che accedosono stati inglobati nel modello no ad una consulenza qualificata di banca commerciale moderper cogliere al meglio le opporna. In Italia le fintech operano tunità del mercato dei capitali; in diverse aree: nei pagamenti, questo lo vedo in concreto nell’enel credito, nel crowdfunding, sperienza di avanguardia che nell’asset management, ed è norAzimut ha lanciato da qualche male che si collabori. È normale anno e che si è rafforzata con il che una fintech che fa lending lancio di Azimut Direct in seno al collabori con un’altra fintech che cosiddetto “neo-financing”. fa analisi del merito di credito Italia Fintech sta finendo il piuttosto che open banking opsuo quarto anno di vita, può pure pagamenti. fare un bilancio dell’attività Il matrimonio tra fintech e dell’associazione? reti di mediatori creditizi è di Credo che grazie ai risultati dei lungo periodo? nostri 38 associati abbiamo afELABORAZIONI ITALIAFINTECH SU DATI AGGREGATI RELATIVI A PROPRIE Penso che stia funzionando in fermato che il fintech italiano ASSOCIATE ATTIVE NEL DIRECT LENDING E CAPITAL MARKETS coerenza con quello che abbiaè fatto da imprese serie, quasi mo evidenziato in merito alla velocità di esecuzione rispetto tutte regolate, che investono e che soprattutto danno lavoro a all’elemento consulenziale. Nel caso delle reti la consulenza è ormai di centinaia di giovani talenti italiani. La partita che stiaespressa dai professionisti in organico, mentre l’esecuzione mo giocando assieme al Governo e ad authority come Banca nel modo più rapido e immediato è fornito dalle fintech. La d’Italia e Consob è di posizionare l’Italia quale Paese d’eleziomia risposta è affermativa, la relazione delle fintech con le reti ne per le fintech europee, nell’ambito di uno scenario atteso di mediatori può diventare un rapporto di lungo periodo. che sarà caratterizzato da un numero crescente di operatori Quali sono le possibili aree di miglioramento nel rap- multinazionali. Questo obiettivo consegue all’incalzante azioporto tra Fintech e mediatori creditizi e reti? ne delle direttive europee che abbattono le barriere nazionali Quanto più le reti riusciranno ad educare le imprese alla tra- e impongono un vero mercato unico. In questo contesto dobsparenza e alla lungimiranza della pianificazione, tanto più le biamo recuperare qualche ritardo che fino a oggi ha premiato fintech saranno in grado di sostenere sempre meglio le pic- i Paesi del Nord Europa scelti come approdo delle fintech pacole e medie imprese. La rete deve diventare un vero consu- neuropee. ottobre 2021

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IL RITORNO DI BERTOLI

«Mediatori creditizi, il futuro è con digitale e pmi» di Marco Muffato

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l manager di fiducia di Ennio Doris, l’innovatore del sistema rete in Area Banca, Banca Fineco e Systema. Poi gli anni delle consulenze, il Covid aggressivo e ora il ritorno a un progetto ambizioso nel settore finanziario con Multiplay, una rete di mediatori creditizi dedicata alle pmi. Ma cosa fa oggi, di preciso, Gianfranco Bertoli? Lo chiediamo al diretto interessato, che si è raccontato con sincerità ne “La Pelle del Coniglio” (i ricavi della vendita del libro andranno alla Exodus di Don Mazzi). Con lui ripercorriamo la sua storia professionale.

GIANFRANCO BERTOLI

Gianfranco, partiamo dagli inizi. I primi passi di Bertoli… Nasco imprenditore tantissimi anni fa, il 26 ottobre del 1976 fondo una azienda nell’abbigliamento con i miei fratelli che esiste ancora e produce tra Italia, Albania e Romania facendo lavorare circa 400 persone. L’azienda si chiama Base 34 perché in famiglia eravamo sette fratelli di cui tre maschi e quattro femmine. Ricordiamo cos’hai fatto nel mondo delle reti... Sono partito da zero, in Programma Italia (ora Banca Mediolanum, ndr) ho avuto la fortuna di lavorare a stretto contatto con Ennio Doris da cui ho imparato tanto. Insieme con Federico Tralli, anche lui con me in Programma Italia, abbiamo dato vita al gruppo Area, che arrivo in pochi anni a 1000 promotori finanziari e a una valorizzazione intorno ai 1000 miliardi di vecchie lire (oggi circa 500 milioni di euro, ndr) facendo innovazione vera. Siamo stati i primi a fare una banca telefonica a livello europeo, a ideare le gpf, a fondare una compagnia vita in Irlanda, a riconoscere l’istituto del minimo garantito che ha permesso negli anni alle reti reclutare migliaia di bancari. Poi c’è stata Banca Fineco… Nasce dall’intuizione di mettere insieme l’online e la rete di vendita fisica, superando le perplessità del mercato che era per una separazione rigida tra i due mondi. Verrebbe da chiedersi cosa sarebbe oggi Fineco senza consulenti finanziari. In 15 mesi varammo una campagna di reclutamento senza precedenti riuscendo a portare con noi quasi 1500 pf, partendo dai 40

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15 colleghi del gruppo Area che mi avevamo seguito. Fineco partì con 20 milioni di euro di patrimonio e grazie alla bravura di Alessandro Foti, che ha gestito l’evoluzione della banca, oggi vale 10 miliardi. La fine della esperienza in Banca Fineco coincide con il cosiddetto caso Bipop e la vicenda delle gestioni patrimoniali privilegiate… Venni coinvolto in una indagine della magistratura su Bipop, in quanto componente del cda della banca, per mancata vigilanza e sono stato prosciolto dopo aver pagato una oblazione di 58mila di euro. È una vicenda che mi ha molto segnato ma non mi ha impedito di intraprendere l’esperienza di Systema. Sì parliamo di Systema… Dopo l’esperienza Fineco entro nel 2002 in una piccola rete che vendeva mutui che si chiamava Systema Mutui, aveva 70 venditori e faceva una decina di milioni di euro fatturato. Io e Diego Locatelli la portammo nel 2006 a 600 venditori con 110 milioni di fatturato e 40 milioni di utile. Con l’incredibile entrata di Lehman Brothers in Systema col 5%... Già entra valorizzando l’azienda 180 volte il valore del 2002: valeva 2 milioni di euro, nel 2006 Lehman Brothers la valutò 360 milioni! Poi arrivò la grande crisi dei mutui sub-prime che spazzò via un colosso come Lehman, noi e la maggior parte degli operatori del settore mutui. Che hai fatto in questi anni di silenzio… Ho lavorato nell’azienda di famiglia, Base 34, sviluppando l’apertura in Albania e ho fatto consulenza ad azienda che facevano a loro volta consulenza nella finanza agevolato. Attraverso questa esperienza ho capito che le pmi hanno necessità di avere assistenza finanziaria e amministrativa per accedere a finanziamenti garantiti dallo Stato. Da qui la nascita di Multiplay e la collaborazione con le fintech che rispetto alle banche tradizionali sono molto più versatili, hanno un approccio basato su rapidità e semplicità, con pochi documenti in tempi davvero brevi arrivano a delibera. I mediatori creditizi sono pronti per le pmi? Non sono ancora pronti al 100% al dialogo con le pmi ma stanno facendo grandi passi avanti grazie a processi formativi tecnici e legati alla capacità di entrare in sintonia con gli imprenditori, ricevendo la loro fiducia. Il mio ruolo è proprio questo: mettere i mediatori creditizi in grado di interagire con le pmi in modo efficace e positivo per tutti gli attori coinvolti.


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I NODI DELLA CRESCITA

L’inflazione non fa paura ai mercati ma la stagflazione invece sì di Gloria Valdonio

Le Banche centrali prevedono un ridimensionamento degli squilibri attuali entro la seconda metà del 2022. Alla base di questa view ci sarebbe una certezza: quella attuale è una crisi ‘buona’ che deriva da un eccesso di domanda. Ma crescono i timori tra gli strategist di... A sinistra Gian Marco Salcioli di Assiom Forex. In basso Luca Pantaleoni di P&G Sgr

L’

inflazione non è inferiore a un’epidemia nella scala delle disgrazie. Soprattutto per gli europei, che sviluppano già sui banchi di scuola una sorta di sindrome di Weimar. E ovviamente l’aumento vertiginoso del prezzo del metano auto, raddoppiato nel giro di 24 ore il 3 ottobre, insieme a forti incrementi del gas e di altre materie prime, rende sempre più concreto lo spettro di un’inflazione a briglia sciolta. Gli esperti sono molto più cauti, ma concordano sul fatto che l’inflazione salirà oltre gli obiettivi nei prossimi mesi. Sono tanti infatti i fattori che spingono sul lato dell’offerta. La ripresa industriale, i venti di guerra commerciale (e non solo) nell’area del Pacifico, i conseguenti colli di bottiglia delle consegne di prodotti e semilavorati e infine la transizione energetica, spinta al massimo nella fase post pandemica e che crea nuova domanda di materiali ma anche ampie zone di inefficienza produttiva. L’Agenzia internazionale dell’Energia stima che il raggiungimento degli obiettivi di emissioni nette zero richiederà un extra di 2,5 trilioni di dollari di investimenti all’anno a livello globale, che rappresenta un raddoppio della formazione lorda di capitale e un impatto sostanziale sul Pil mondiale per gli anni a venire. «Ci sono interruzioni, carenze e sabbia negli ingranaggi, ma il ciclo futuro sembra lungo e probabilmente rimarrà sostenuto dalle Banche centrali, anche perché dopo l’emergenza pandemica, il mondo sta affrontando un’emergenza climatica», spiega Tiffany Wilding, economista esperta di America settentrionale di Pimco. Il convitato di pietra La non neutralità economica della transizione energetica è comunque un fattore sottovalutato e messo in ombra dall’euforia 42

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del cambiamento. «Esiste una spiegazione poco considerata nell’evoluzione dei prezzi a livello globale e riguarda le strategie di decarbonizzazione», conferma Gian Marco Salcioli, analista di Assiom Forex. Che spiega: «Le aziende e il sistema finanziario stanno producendo impatti significativi sulla dismissione di alcune centrali alimentate a carbone, e la domanda di energia si deve riorientare verso quei combustibili fossili considerati chiave per la transizione energetica, come appunto il gas». «Ecco perché», aggiunge Salcioli, «il ‘convitato di pietra’ è esattamente questa evoluzione che potrebbe rompere le uova nel paniere e rendere molto più complessa la gestione della politica monetaria». In ogni caso per avere una visione più chiara dell’inflazione nel lungo termine dobbiamo attendere il raffreddamento nei prezzi delle materie prime e la risoluzione dei diversi colli di bottiglia ancora presenti nelle supply chain. Ma, come spiega Luca Pantaloni, head of Abs/Clo management di P&G Sgr, la forza prevalente sarà sempre quella dettata dalla ripresa economica e occupazionale, uniche vere fonti di spinte inflazionistiche durature. «Nel prossimo trimestre andranno costantemente monitorate le possibili minacce alla ripresa, seguendo con attenzione i dati di crescita e le turbolenze provenienti dal mercato cinese, caratterizzato da rallentamento economico e regolamentazione», afferma Pantaloni. Forze divergenti Ma quale sarà allora la forza prevalente tra ripresa economica, tapering, inflazione e penuria di materie prime? Le Banche centrali hanno dato un riferimento preciso che dovrebbe portare a un ridimensionamento degli squilibri attuali: la prima metà del 2022. Alla base di questa view ci sarebbe una certezza: quella attuale è una crisi ‘buona’ che deriva da un eccesso di domanda, ricostituitasi con più compattezza rispetto all’offerta. Si ritiene che le supply chain possano ritrovare linearità e ridurre le pressioni


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sui prezzi. «Inoltre c’è una sorta di ‘benevolenza’ nei confronti di una crescita di prezzi che cancella la paura base di ogni central banker: la deflazione», dice Salcioli. Come spiega Carlo De Luca, responsabile asset management di Gamma Capital Markets, al fine di controllare, o quanto meno attenuare, gli effetti inflattivi, la ripresa economica deve però essere accompagnata da una crescita occupazionale e da una consistente crescita dei salari.

Il ciclo continua In ogni caso, secondo Marco Vailati, responsabile ricerca e investimenti di Cassa Lombarda, sarà la ripresa economica a prevalere, «perché l’inflazione oggi è alta per un concorso di cause, alcune delle quali hanno però natura transitoria, come da subito hanno sostenuto le Banche centrali». Secondo lo strategist, anche se questa transitorietà non sarà brevissima, il fenomeno non dovrebbe essere tale da causare il deragliamento del recupero ciclico in atto. «Anche la penuria di materie prime è un fenomeno temporaneo legato alla fase di ripartenza dopo il lockdown che ha comportato riduzione di investimenti e decumulo di scorte», spiega Vailati. «La progressiva normalizzazione delle attività dovrebbe contribuire a ridurre l’attuale penuria di materie prime e i suoi impatti negativi su crescita e spinta dei prezzi». «La ripresa dovrebbe continuare il prossimo anno a un ritmo più lento ma anche meno altalenante rispetto al 2021, e l’inflazione dovrebbe cominciare una graduale discesa dopo l’inverno», concorda Silvia Dall’Angelo, senior economist di Federated Hermes. Che però aggiunge: «Naturalmente ci sono dei rischi rispetto allo scenario di base: è possibile che le dinamiche inflazionistiche intacchino aspettative e mercato del lavoro, diventando persistenti e richiedendo una stretta della politica monetaria. Continue tensioni sul lato dell’offerta e inflazione elevata trainata dai costi hanno il potenziale di far deragliare la ripresa, aprendo scenari di stagflazione». Mamma mia, la stagflazione Quello della stagflazione, cioè inflazione senza crescita, è proprio lo scenario di base di diversi strategist. «Stiamo attraversando una fase congiunturale complessivamente stagflattiva, una situazione che non spe-

Da sinistra Carlo De Luca di Gamma Capital Markets, Marco Vailati di Cassa Lombarda, Antonio Cesarano di Intermonte. In basso Silvia Dall’Angelo di Federated Hermes

rimentavamo dagli anni ’70, ancora una volta causata da uno shock dal lato dell’offerta di commodity, in questa circostanza quelle utili alla produzione di energia elettrica, ovvero gas in Europa e carbone in Cina», dice Antonio Cesarano, chief global strategist di Intermonte. «Ora», aggiunge Cesarano, «molta attenzione è sulla “flation” visti i livelli crescenti delle materie prime e di conseguenza di inflazione. Successivamente, da novembre in poi, il focus potrebbe passare sull’impatto della crescita - la “stag” - derivante dai colli di bottiglia soprattutto della catena di fornitura asiatica». E il primo campanello di allarme sul tema “stag” potrebbe arrivare non solo dai dati macro prospettici ma anche, e forse prima ancora, dalle trimestrali Usa della seconda metà di ottobre, mentre la Banca mondiale ha già tagliato le stime di crescita 2021 dal 4,2% al 4 per cento. Si preannuncia pertanto un quarto trimestre all’insegna di un possibile taglio delle guidance sul fatturato e i margini delle aziende, dovute all’impossibilità di reperire forniture di componentistica e materie prime e a costi crescenti. Gli analisti di Factset prevedono comunque per il quarto trimestre una crescita degli utili del 21,6% e dei ricavi del 11,3%, mentre per il 2022 la crescita sarà rispettivamente del 9,3% e del 6,5%. «È bene precisare, però, che i dati possono dare una erratica rappresentazione della realtà, provenendo da anni pandemici che hanno devastato non solo l’economia, ma anche i bilanci delle aziende. Solo nei prossimi anni i dati verranno depurati dagli outliers e saranno in grado di essere più rappresentativi della realtà», conclude De Luca. ottobre 2021

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CONSULENTI FINANZIARI

Salgono i prezzi? Motivo in più per non lasciare i soldi sul conto di Rosaria Barrile

Come convincere i risparmiatori a puntare su asset redditizi le risorse accumulate prima e durante il lockdown e che giacciono inerti sui conti correnti? Back to basics: le reti di consulenza finanziaria devono tornare a fare bene il loro mestiere

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opo aver accumulato risparmio, soprattutto nel corso dell’ultimo biennio per effetto del calo dei consumi e per l’incertezza causata alla pandemia, gli italiani stanno tornando a investire. Gli ultimi dati dell’Abi segnalano che i depositi nelle banche italiane ad agosto erano pari a 1.799 miliardi di euro, 128 miliardi in più rispetto a un anno prima, ma per la prima volta dopo mesi si tratta di un importo in calo rispetto al massimo storico di 1.805 miliardi segnato a luglio. Nel contempo, secondo i dati di Assogestioni, ad agosto l’industria del risparmio gestito avrebbe messo a segno l’ottavo mese consecutivo di raccolta positiva con 9,3 miliardi di euro di sottoscrizioni nette. Per trovare un dato migliore registrato nello stesso mese bisogna risalire al 2014. Nonostante questi numeri non è possibile, almeno per ora, parlare di inversione di tendenza. La propensione degli italiani a restare liquidi è ancora elevata, emergenza Covid-19 a parte. Gestire l’emotività La sfida per le reti è quella di convogliare tale liquidità verso forme di investimento: l’opinione più diffusa è che, per raggiungere questo obiettivo, occorra tornare agli elementi basilari del rapporto di consulenza, “back to basics”, a partire dalla gestione dell’emotività. «Gestire l’emotività del cliente è da sempre il compito più importante per il consulente ed essere presente, ancor di più nei momenti come quelli che abbiamo vissuto durante la pandemia», afferma Luca Romano, deputy head Bnl-Bnp Paribas Life Banker. «L’erosione del potere d’acquisto delle disponibilità liquide per effetto dell’inflazione è tra i concetti più complessi da far percepire, soprattutto in un momento di forte incertezza, quando la liquidità viene vista come una “riserva” per esigenze impreviste o come la soluzione più sicura di fronte ai timori di possibili turbolenze sui mercati finanziari. D’altronde sappiamo come anche il fenomeno della sottoassicurazione dei risparmiatori italiani implichi una non ottimale gestione degli asset. Non esiste una soluzione universale perché ogni cliente ha una sua storia, dei bisogni, così come degli obiettivi e una determinata propensione al rischio. È fondamentale non 44

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Nella foto Luca Romano, deputy head di Bnl-Bnp Paribas Life Banker. Nella pagina accanto, in alto da sinistra Fabio Cubelli, condirettore generale di FideuramIsb e Stefano Volpato, direttore commerciale di B. Mediolanum. In basso Marco Bernardi, vice dg di Banca Generali

tanto “convincere”, quanto comprendere quali siano le migliori soluzioni da condividere. Il perdurare di un contesto di tassi bassi o addirittura negativi ha portato consulenti e risparmiatori a dover rivedere le proprie scelte di investimento. Per questo abbiamo di recente lanciato un prodotto di investimento assicurativo con protezione personalizzata che permette al cliente di proteggere il capitale investito e consolidare le performance positive, consentendo al contempo di beneficiare delle opportunità di mercato. In un’asset allocation ben definita possono trovare spazio anche i certificati di investimento. Sta prendendo piede anche la tematica dell’impact investing e dei prodotti finanziari responsabili: è importante far percepire ai nostri clienti di poter offrire un contributo concreto alla crescita sostenibile». Più education per favorire il cambiamento A confermare come il tema debba essere affrontato in un’ottica di lungo termine è Fabio Cubelli, condirettore generale di Fideuram – Ispb. «Bisogna guardare i singoli casi, non esiste una ricetta unica. Più che “forzare” i clienti a uscire dalla liquidità, bisogna ascoltarne le esigenze specifiche e verificare che vi sia coerenza tra obiettivi finanziari e personali e l’asset allocation in cui è investito», afferma Cubelli. «Questo esercizio di continua revisione costituisce una delle attività più importanti di un consulente finanziario. La soluzione semplice non sempre è la migliore: sistemi incentivanti e stimolo commerciale rappre-


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sentano una strada semplice ma non solida. Dovremo invece investire molto sulla cultura e sulla educazione finanziaria. Dobbiamo aiutare prima di tutto i clienti a comprendere il loro orizzonte temporale e il profilo di rischio. La cultura e l’educazione finanziaria favoriscono il cambiamento di lungo periodo molto più rispetto a un prodotto o a una campagna incentivante. Di solito si ha paura e si è più prudenti del dovuto quando ci si trova di fronte all’ignoto. Bisogna lavorare poi molto sulla pianificazione finanziaria, orizzonte temporale e gestione dei flussi. In questo senso strumenti come piani di accumulo e piani previdenziali sono efficaci per orientare i flussi di risparmio dei clienti e trasformarli in opportunità di investimento. Per quanto riguarda il mercato obbligazionario, una delle soluzioni può essere quella di entrare su mercati più efficienti con meccanismi di step-in guidati dal proprio consulente». Presentare le opportunità di mercato L’incertezza dei clienti e quindi la preferenza per la liquidità di fronte allo scenario attuale potrebbero però avere le ore contate, secondo Marco Bernardi, vice direttore generale di Banca Generali. «Ultimamente stiamo assistendo a un progressivo aumento della consapevolezza che la ripresa inflazionistica può avere impatti negativi sui patrimoni immobilizzati, ma in generale si tratta di un argomento ancora poco percepito», spiega l’esponente del leone alato. «In una fetta importante di clientela permane un forte senso di incertezza dovuto alla situazione pandemica. Crediamo sia comunque una situazione destinata a mutare velocemente, anche grazie al lavoro che le reti di consulenza stanno facendo per spiegare i potenziali rischi. Oggi più che mai occorre far percepire ai clienti che un eccessivo accumulo di liquidità su conto corrente porta con sé due problemi: da un lato c’è il rischio che la ripresa economica in atto spinga ulteriormente il ritorno dell’inflazione, portando quindi quest’ultima a erodere velocemente il potere d’acquisto di quella quota di risparmio che resta immobilizzata sui conti. Dall’altro c’è invece una questione di mancata opportunità. Il periodo positivo dei mercati sembra infatti destinato a rima-

nere tale ancora per lungo tempo: è compito dei consulenti finanziari far capire ai clienti che il momento va sfruttato al meglio in modo da massimizzarlo in ottica futura». «Proprio da qualche settimana», continua Bernardi, «abbiamo alzato il sipario su una serie di nuovi comparti che integrano la gamma d’offerta della nostra sicav Lux Im. Dei 23 nuovi comparti, la maggioranza si concentra sull’azionario, ricercando nuovi spazi di rendimento all’interno dei macrotrend principali che caratterizzeranno i prossimi mesi tra cui gli investimenti sostenibili, il tema delle smartcity, delle nuove forme di energia e della transizione verde. Considerando la tradizionale propensione degli italiani verso il comparto obbligazionario, abbiamo inoltre lavorato a strumenti che guardano non tanto al mondo dei governativi, quanto piuttosto al corporate e ad aree geografiche come la Cina dove c’è ancora margine per ottenere rendimento. Per venire incontro alle esigenze della clientela che preferisce attendere ad entrare sui mercati, abbiamo sviluppato interessanti soluzioni di cash parking per il parcheggio della liquidità a breve termine».

Aiutare a progettare il futuro Gli italiani sono da sempre degli ottimi risparmiatori, molto bravi nella parte più difficile del risparmio ovvero l’accantonamento, ma investitori inefficienti, come ci conferma Stefano Volpato, direttore commerciale di Banca Mediolanum: «Questo comportamento deriva dall’abitudine, protratta per 70 anni, di investire in strumenti di semplice comprensione, facilmente liquidabili, con rendimenti a doppia cifra, come i titoli di Stato. La liquidità in conto ha iniziato ad accumularsi ancor prima del dilagarsi del Covid. Si tratta di un fenomeno preoccupante perché la “scelta di non scegliere” dove destinare i propri risparmi sta erodendo la capacità progettuale. I risparmi dovrebbero servire per soddisfare i bisogni di una famiglia. Si tratta di progetti proiettati nel lungo termine che possono essere soddisfatti solo ricorrendo a soluzioni che esprimono le loro potenzialità nel lungo termine e che sono agganciati all’economia reale. I Piani individuali di risparmio sono lo strumento che ci fa cogliere questa grande opportunità. Sono l’unica soluzione normativamente strutturata per indurre nei risparmiatori dei comportamenti virtuosi per diversi motivi. Investono nell’economia reale in modo diversificato e consentono di frazionare il momento di entrata nei mercati. Il ruolo dei consulenti finanziari è quello di guida, di consigliere, per una famiglia spesso concentrata sul presente, sul rapporto costo-rendimenti e poco abituata a rapportarsi ai risparmi in ottica progettuale. Spesso ci soffermiamo su dettagli del quadro e perdiamo la visione d’insieme. Il compito di noi consulenti è quello di rifocalizzare l’attenzione della famiglia sui progetti reali, semplificando al massimo la finanza». ottobre 2021

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I MERCATI

E chi sa scegliere su cosa investire ha ragione per essere ancora ottimista di Ugo Bertone

Dalla medicina al digitale, passando per l’intelligenza artificiale e i nuovi materiali i possibili temi vincenti non mancano di sicuro. Ma ci vuole un po’ di applicazione per scelte a ragion veduta. Ottobre, si sa, è il mese degli esami...

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ttobre, è l’ora di tornare in classe anche per le tante formiche, ovvero il popolo dei risparmiatori italiani che tanto si è dato da fare nella lunga stagione della pandemia, ennesima conferma della robusta propensione al risparmio delle famiglie: nel 2020/21 il livello si è collocato infatti sui livelli massimi degli ultimi vent’anni, ad un livello pressoché doppio rispetto alla media del 2019. Certo, si rivede la voglia di spendere, a mano a mano che i vaccini favoriscono la ripresa della fiducia delle famiglie. Ma le formiche, si sa, sono tanto prudenti quanto diffidenti: solo un euro su tre messo da parte nel 2020 verrà destinato ai consumi una volta svanita l’emergenza, secondo quanto emerge anche dalle indagini della Banca d’Italia: il livello dei consumi, specie quelli legati al turismo e al tempo libero, è ancora sotto media con un peso sul totale del reddito sceso l’anno passato da oltre il 21 a meno del 17 per cento. In Italia, secondo i conti nazionali, la spesa complessiva per servizi era a metà anno ancora del 14 per cento più bassa nel secondo trimestre di quest’anno rispetto al livello precedente lo scoppio della pandemia. All’inizio dell’autunno, insomma, il risparmio delle famiglie italiane, la principale fonte di finanziamento per gli investimenti, sembra godere di buona salute. Anche se ci sarebbe molto da ridire sull’allocazione dei risparmi: nel corso dell’ultimo anno i conti correntisi sono ingrossati come un fiume in piena, nonostante interessi minimi o in alcuni casi addirittura negativi, sprecando l’occasione offerta dai tassi in calo. Un pizzico di coraggio in più avrebbe premiato i portafogli. E lo stesso vale per le scelte del risparmio gestito che, pur forte di risultati eccellenti (il patrimonio ha superato di slancio il livello dei 2.500 miliardi), continua a presentare ai clienti performances al net46

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La sede della Banca d’Italia, in via Nazionale, a Roma. Secondo l’ufficio studi dell’istituto, solo un euro su tre messo da parte nel 2020 verrà destinato ai consumi una volta svanita l’emergenza

to di commissioni varie inferiori alle case internazionali. A complicare il quadro, infine, c’è una situazione dei mercati inedita, anzi antica. Dopo anni di inflazione in ribasso, cioè la situazione più favorevole per il risparmio, i prezzi sono tornati a salire. E il mondo in uscita dalla pandemia ricorda quello degli anni Settanta, dopo lo shock petrolifero e l’impennata dei prezzi del petrolio. Oggi come allora si torna a parlare di inflazione, accompagnata dal calo dell’offerta di energia. Si ripete, stavolta su scala globale, l’effetto che l’aumento del carburante provocò non solo sui prezzi ma anche sulla disponibilità dell’oro nero. Non è più questione di (solo) petrolio, perché l’impennata dei prezzi investe ancor di più il gas naturale, così come il vecchio carbone, ancor oggi l’energia fossile più consumata in India ed in Cina. Intanto, a complicare le cose, si sono messi i famigerati colli di bottiglia: la divisione mondiale del lavoro che per anni ha funzionato come un orologio svizzero assegnando a ciascun Paese, in base all’efficienza, compiti e tempi (il fa-


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moso just in time) ben definiti, è andata in crisi a causa della pandemia ma, ancor prima, per la scelta Usa di limitare il ricorso alla Cina, la fabbrica del mondo ai tempi della globalizzazione. Il risultato? Il mondo è diverso da quello che ci aspettavamo. Non dobbiamo combattere con gli effetti dell’inflazione da domanda, scatenata dall’aumento dell’occupazione e dei salari, bensì con i problemi che vengono dal lato dell’offerta, cioè la scarsità di materie prime e componenti essenziali (come i chips) per giunta esasperati da un nuovo contesto geopolitico e dal nuovo aggressivo dirigismo dei governi. Ma c’è da chiedersi se il quadro è destinato a durare oppure. Per le banche centrali, a partire dalla Fed, è il fenomeno è temporaneo e destinato a rientrare a mano a mano che si ristabiliranno le basi della normalità per i settori più colpiti: l’energia e gli alimentari che dipendono dal costo dei fertilizzanti e del trasporto. Di qui un intervento morbido sull’offerta di moneta (il tapering) limitato nel tempo prima di tornare nei binari della normalità. In numeri, un ribasso di modeste dimensioni (non più del 5-10%) prima di ripartire. Una correzione ancora di là da venire nonostante i cali delle Borse di settembre. Scrive Marco Gabbrielli di Algebris: “La volatilità delle azioni e dei tassi ha registrato un bel balzo in avanti, ma si trova ancora nella parte bassa della fascia degli ultimi 5 anni. Nel complesso, l’aggiustamento dei tassi è stato rapido ma contenuto, il che non è stato sufficiente a rendere interessanti certi livelli in mercati con un alto costo del rischio”. Insomma, non è il momento per entrare sui mercati. Anche se chi può vantare posizioni solide non ha ragione di uscire, confidando nella ripresa dopo il contagio. Si tratta di capire, però, che cosa vuol dire “periodo transitorio”. Il mondo è al centro di cambiamenti che hanno carattere epocale, a partire dal climate exchange e dagli investimenti verdi che promettono di mobilitare risorse ingenti. Il pianeta è in mezzo al guado di una transizione energetica oltre che di un effetto di deglobalizzazione causato dalla pandemia, con la minore reperibilità di manodopera e la prospettiva di una guerra economica tra le due superpotenze che avrà effetti regressivi per entrambi. Insomma, un quadro più complesso che probabilmente inciderà sui profitti delle società

Alessandro Fugnoli, strategist del gruppo Kairos. A suo avviso la domanda di combustibili fossili è destinata a crescere ancora

quotate. Pensiamo, ad esempio, alla transizione energetica. La lunga marcia verso le rinnovabili per ora ha portato però a uno smantellamento accelerato del nucleare e al taglio degli investimenti nel fossile (a cominciare da shale oil e nel carbone) che prenderà velocità nei prossimi anni grazie al coinvolgimento delle banche e della finanza. Così come per l’auto elettrica, la scelta è stata di tagliarsi i ponti alle spalle, eliminando la concorrenza di alternative tradizionali meno costose e con risultati immediati altrettanto “puliti”. “L’impresa - sottolinea Alessandro Fugnoli, strategist di Kairos - alla fine avrà successo. Il percorso sarà tuttavia accidentato e il mondo sarà nel frattempo vulnerabile. Un inverno freddo o qualche settimana senza vento o senza sole porteranno a interruzioni di servizio e razionamenti. Per limitarli ci si dovrà dotare di grandi riserve di gas naturale, aumentando la domanda di una materia prima su cui dall’altra parte si vogliono tagliare gli investimenti”. Non è, in sintesi, la fine dell’era del Toro. Ma sarà necessario, per un po’ limitare gli appetiti. Nel frattempo, peraltro, le obbligazioni sembrano avviate ad una lunga fase di rialzo dei rendimenti a tutto danno dei cassettisti. Anche se le istituzioni dovranno studiare meccanismi per attrarre gli acquisti sulla pioggia di emissioni “verdi” che si annunciano per ilo prossimo futuro. Non è il momento dell’euforia, semmai quello dei rimpianti per chi ha scelto di stare liquido senza partecipare alla stagione dei rialzi. Ma non è nemmeno il caso di disperare: i banchieri centrali non hanno studiato solo gli effetti della crisi del ’29, ma anche i problemi della stagflation (stagnazione più inflazione) degli anni Settanta. E hanno imparato che non si risponde ai problemi dell’offerta alzando i tassi, che sono adatti piuttosto a governare la domanda. Difficile che il tapering segni l’avvio di una stretta. Così come un’improbabile resurrezione dei falchi della Bundesbank. Le banche centrali saranno molto caute e continueranno a privilegiare le esigenze della crescita rispetto all’inflazione. Anche perché il ricambio al vertice della Fed , dopo il licenziamento di due falchi, Kaplan e Rosengren (sorpresi a comprare azioni, cosa proibita ai membri della banca centrale) spingerà il board a mantenere una politica ancora espansiva. In questa cornice sarà più necessario che mai individuare i temi giusti, senza inseguire i guadagni a breve. Dalla medicina al digitale, passando per l’intelligenza artificiale ed i nuovi materiali i possibili temi vincenti non mancano di sicuro. Ma ci vuole un po’ di applicazione per scelte a ragion veduta. Ottobre, si sa, è il mese degli esami. Studiate, o quantomeno leggete, prima di agire. ottobre 2021

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IL SOTTOSTANTE

MA IL RISCHIO DELLA STAGFLAZIONE RIMANE PER FORTUNA REMOTO

L Matteo Ramenghi Chief Investment Officer di UBS WM Italy

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e ultime settimane sono state difficili per i mercati: sia l’azionario che l’obbligazionario hanno subito una correzione per via dell’aumento dell’inflazione che ha spinto la Federal Reserve ad annunciare una riduzione delle immissioni di liquidità a partire da quest’anno. Allo stesso tempo, la difficoltà di reperire materie prime sta facendo temere per la sostenibilità della crescita economica. La paura che aleggia sui mercati prende il nome di stagflazione, ossia la combinazione di inflazione elevata e bassa crescita economica. Si tratta di un fenomeno raro, che in passato si è manifestato in presenza di uno “shock di offerta”, come negli anni ’70 per via dell’impennata del prezzo del petrolio, oppure per via di un aumento troppo consistente della liquidità in circolazione. A nostro avviso il rischio di stagflazione rimane remoto. Sia negli Stati Uniti sia in Cina la crescita economica rimane vigorosa anche se a tassi via via decrescenti, un andamento normale in considerazione della fase più avanzata della ripresa. Le principali economie sono ancora in fase di riapertura e molti Paesi che, come il Giappone, erano rimasti indietro sulle vaccinazioni stanno recuperando rapidamente. Nonostante i tassi di crescita del Pil siano destinati gradualmente a normalizzarsi, gran parte degli indicatori confermano una ripresa robusta che dovrebbe proseguire nel prossimo anno. Inoltre, i piani varati per ridurre le emissioni di CO2 e riammodernare le infrastrutture nelle principali economie dovrebbero sostenere la crescita a medio termine. Escludendo l’impatto dell’energia, ad agosto l’inflazione negli Stati Uniti si è aggirata al 3,6% , un livello elevato. Nella zona euro, a luglio i prezzi alla produzione del comparto industriale nella zona euro sono saliti di oltre dieci punti percentuali rispetto a un anno prima e molte imprese hanno segnalato tempi di consegna più lunghi. Ma l’attuale incremento dell’inflazione è causato soprattutto ad alcuni squilibri, poiché la rimozione delle restrizioni legate al Covid-19 ha fatto sì che la domanda da parte dei consumatori finali sia ripartita più rapidamente rispetto alla produzione. Inoltre, molte aziende si sono trovate ad aver ridotto il magazzino e quindi a dover far fronte ad acquisti più consistenti di materie prime: tutto ciò ha amplificato le tensioni sui relativi mercati e contribuito in modo decisivo al rapido aumento dell’inflazione. Le pressioni sui prezzi alla produzione dovreb-

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LA SEDE DELLA FEDERAL RESERVE

bero, pertanto, rivelarsi temporanee. A riprova di questa linea di pensiero, l’andamento delle retribuzioni sembra escludere una crescita generalizzata. Per esempio, nella zona euro le retribuzioni crescono molto meno dell’inflazione e prima di vedere rialzi consistenti dovrebbe riassorbirsi la disoccupazione, che rimane a livelli elevati. Insomma ci sembra che lo scenario attuale sia più compatibile con una reflazione – vale a dire un periodo di inflazione accompagnata a una ripresa economica dopo una crisi – piuttosto che una stagflazione.In ogni caso, un’inflazione più alta, anche di poco, è un dato rilevante per gli investitori e deve far riflettere sulla gestione della liquidità: se eccessiva, può portare a un’erosione del valore reale dei patrimoni e, probabilmente, in misura più consistente nel ciclo economico nascente rispetto a quello passato. Le principali banche centrali hanno come obiettivo un’inflazione intorno al 2%. Se in alcuni casi tali obiettivi si sono dimostrati irraggiungibili da tempo (come per l’eurozona o il Giappone) ora potrebbero rivelarsi a portata di mano, se non addirittura superati nel breve termine. La storia suggerisce che solo un’inflazione stabilmente superiore al 3% ha avuto un impatto sulle valutazioni del mercato azionario. Nel contesto attuale le azioni continuano a offrire potenziale, in particolar modo i settori più ciclici come energia e finanziari. Le dinamiche di mercato dovrebbero inoltre favorire gli asset reali e le infrastrutture. Questo quadro si accompagna a rendimenti obbligazionari che restano compressi. Nonostante la reazione all’annuncio della Federal Reserve, il Treasury decennale rimane attorno all’1,5% e gran parte del mercato obbligazionario presenta rendimenti inferiori all’inflazione. Il recente aumento dell’inflazione rende ancora più difficile la ricerca di rendimenti reali positivi.


COSMOPOLITICA

L’

L’EUROPA ALLA GUERRA ENERGETICA TRA CARO-KILOWATT E SOGNO-IDROGENO

aumento del prezzo del gas e dell’elettricità in Europa costituisce un elemento di preoccupazione, che potrebbe frenare la ripresa economica e aumentare la pressione inflazionistica, contribuendo così ad aumentare la fragilità delle famiglie più deboli e dei più poveri. La commissaria Ue all’energia, Kadri Simson, si è espressa al riguardo sottolineando come sia essenziale rafforzare la resilienza dell’Europa alla volatilità dei prezzi e dell’approvvigionamento del gas, annunciando la presentazione entro fine anno di una proposta di riforma del mercato del gas. Al di là della contingenza del momento, questa crisi energetica offre lo spunto per elaborare una riflessione che colga in una prospettiva di medio-lungo termine il significato in termini geoeconomici di tale aumento. I fattori dietro l’aumento del prezzo del gas e dell’elettricità sono molteplici. Da una parte, il lento ritorno alla normalità e la progressiva ripresa economica hanno contribuito ad aumentare la domanda di elettricità e gas, soprattutto alla luce del netto contrasto con i mesi più rigidi dei lockdown. D’altra parte, vi sono delle ragioni strettamente connesse all’aumento dei prezzi di emissioni di CO2. Il sistema di emissioni europeo prevede infatti che le aziende paghino per l’anidride carbonica emessa, attraverso l’acquisto delle cosiddette “quote di emissione”. La ripresa economica e la crisi sul mercato del gas hanno determinato un rapido aumento del prezzo di queste quote, che è passato da circa 34 euro di gennaio 2021 a 60 euro di settembre 2021, impattando così sul prezzo finale di erogazione. Le politiche restrittive adottate dall’Unione europea in fatto di decarbonizzazione possono quindi in parte spiegare l’aumento dei prezzi che si sta osservando.Tuttavia, sarebbe inaccurato spiegare il recente aumento attribuendo ogni responsabilità al processo di transizione energetica. I prezzi dell’Europa in parte riflettono anche dinamiche di più ampio genere che interessano il mercato globale del gas. Infatti, vi sono state delle significative ondate di freddo nel primo quadrimestre nel 2021 in Asia e in Nord America. Questi sviluppi, repentini e altalenanti, si aggiungono ad un altro elemento, quello dell’aumento della domanda di gas. In Asia, ad esempio, la domanda di gas è aumentata significativamente nei primi due semestri del 2021, in particolar modo in Cina, Giappone e Corea. D’altronde, sul lato dell’offerta, la produzione di gas naturale liquido (Lng) si è ridotta rispetto a quanto pianificato a causa di una serie di interruzioni e di ritardi nella rete globale di produzione e mantenimento. In termini geoecono-

mici di lungo periodo, l’insegnamento che bisogna trarre da questa crisi non può essere quello di rimettere in discussione la transizione energetica che è stata intrapresa così difficilmente. Come ha dichiarato Frans Timmermans, Vicepresidente della Commissione e responsabile del “Green Deal” europeo, l’ironia di questa crisi è che se il “Grean Deal” fosse stato intrapreso 5 anni fa, l’Europa ora non si ritroverebbe in questa situazione. L’insegnamento deve essere quindi il contrario: la transizione energetica non può essere ritardata ulteriormente, sia perché è fondamentale per ridurre la dipendenza economica e geopolitica dai combustibili fossili; sia perché, analizzando le cause dell’aumento dei prezzi che stiamo osservando, è difficile poter imputare tutta la responsabilità alle scelte di neutralità climatica. In questo contesto la vera sfida consiste nel muoversi in modo veloce e deciso verso l’adozione di un’ampia gamma di misure per tenere fede agli obiettivi di neutralità climatica e al contempo supportare la sicurezza energetica. In questo senso, investire sull’idrogeno verde potrebbe essere un intervento importante, soprattutto al fine di incrementarne l’utilizzo in alcuni settori, come quello industriale o dei trasporti, dove il suo uso risulta essere ancora limitato, nonostante le promettenti prospettive. L’ostacolo principale consiste nell’abbattere il costo di produzione. Infatti, a differenza dell’idrogeno che si ottiene dal reforming degli idrocarburi – il cosiddetto idrogeno grigio o blu-, l’idrogeno verde, ottenendosi per elettrolisi, risulta molto più costoso da produrre. Molti Paesi hanno annunciato delle strategie mirate ad aumentare la produzione di idrogeno verde, puntando sull’incremento del numero di elettrolizzatori. Un esempio di questa tendenza è costituito dall’ambiziosa strategia dell’Unione Europea lanciata nel 2020 che prevede almeno 40 gigawatt di elettrolizzatori per produrre idrogeno entro il 2030 per poi passare ad una sua applicazione su larga scala in tutti i settori difficili da decarbonizzare entro il 2050. Inoltre, quasi tutti gli Stati membri hanno incluso nei Piani Nazionali per l’Energia e il Clima degli elementi specifici per investire sull’idrogeno verde. Il percorso è accidentato, lungo e tortuoso, ma le scelte di politica economica ed energetica non possono non avere una prospettiva di medio-lungo periodo, ed in questa prospettiva la transizione energetica ha necessariamente un ruolo centrale.

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Andrea Margelletti Presidente del Centro Studi Internazionali, docente presso la Facoltà di Scienze delle Investigazioni e della Sicurezza dell’Università di Perugia e Narni. Unico membro onorario delle Forze Speciali Italiane

Nella foto Kadri Simson, commissaria Ue all’Energia

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SCENARI

E la Fed apre (ma con prudenza) la stagione del tapering di Gloria Valdonio

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Nel 2021 ogni Banca centrale ha adottato una strategia diversa. Ma a partire dal 2022 gli istituti si muoveranno in modo più sincronizzato, riducendo i propri acquisti e preparando i mercati finanziari a un ciclo di inasprimento dei tassi. Il cambio di paradigma dovrebbe quindi favorire la rotazione dei fattori dal growth al value

rumor di mercato erano sempre più assordanti e alla fine la conferma è arrivata: il tapering avrà inizio a novembre e partirà da Washington D.C. La riduzione degli acquisti di asset mensili da parte della Federal Reserve sarà pari a 10 miliardi per i Treasury, e a 5 miliardi per i mortgage backed security e proseguirà fino a giugno 2022, portando il bilancio della Fed appena sotto i 9mila miliardi di dollari. Pertanto anche con il tapering, la Fed continuerà ad aumentare in modo robusto il suo bilancio fino a metà 2022. L’attuale programma di acquisto degli asset della Fed è stato concepito come risposta d’emergenza alla pandemia scoppiata nel marzo 2020. E da allora la Fed ha acquistato titoli del Tesoro Usa per ben 80 miliardi di dollari (a inizio ottobre), insieme a titoli garantiti da ipoteche (i mortgage backed security) delle agenzie Fnma, Fhlmc e Gnma per 40 miliardi. Per dare un’idea delle dimensioni dell’operazione, basti dire che prima della crisi del 2008 il bilancio della Fed era di circa 800 miliardi di dollari, e che da inizio pandemia la Fed ha già acquistato più di mille miliardi solo di mortgage backed security.

Cambio di marcia Il cambio di marcia, atteso e inevitabile, fa comunque paura ai mercati che si chiedono quale saranno le ripercussioni su tassi e inflazione. «È importante che la Fed abbia chiarito che il tapering non deve essere inteso come un segnale del rialzo dei tassi di interesse», commenta Tad Rivelle, chief investment ofA sinistra Tad Rivelle, chief investment officer fixed income di Tcw. Nella pagina seguente, da sinistra Patrice Gautry, chief economist di Union Bancaire Privée; Pasquale Diana, senior macro economist di AcomeA Sgr; Tiffany Wilding, economista di Pimco

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ficer fixed income di Tcw. «L’attuale pricing del mercato riflette le aspettative di un possibile aumento dei tassi americani dello 0,25% a fine 2022, seguito da un aumento di altri 90 punti base entro la fine del 2023: se ciò si realizzasse, avremmo comunque tassi a breve termine dell’1,15% circa a fine 2023, un livello molto accomodante». Quanto all’inflazione su base annua, è cresciuta considerevolmente dall’1% di gennaio 2021 a oltre il 5% di agosto, il livello più alto degli ultimi 13 anni. Ma La Fed ritiene che l’inflazione sia transitoria, e per questo aspetta ad alzare i tassi. Ma, come sottolinea Rivelle, il settore privato è meno ottimista, dal momento che la politica fiscale americana continua a gestire deficit di bilancio da record, mentre le difficoltà nelle catene di approvvigionamento e la mancanza di lavoro e di materie prime prospettano un maggiore tasso di inflazione. «Perciò, la scelta della Fed di rimanere accomodante suggerisce che essa non interverrà per prevenire un aumento dell’inflazione», dice lo strategist. Movimento sincrono In questo gioco di equilibri e di tempismo, è naturale chiedersi come si muoveranno le altre Banche centrali e come proteggere i portafogli da un eventuale tapering generalizzato. «Quest’anno ogni Banca centrale ha adottato una strategia diversa: l’aumento dei tassi di riferimento in America Latina, il soft tapering nel Regno Unito, Bce e Fed, o nessun cambiamento in Asia», spiega Patrice Gautry, chief economist di Union Bancaire Privée (UBP). «Nel 2022 invec, tutte si muoveranno in modo più sincronizzato, riducendo i propri acquisti, soprattutto la BoE, la Bce e la Fed: Inoltre le principali banche dei Paesi sviluppati, tranne la BoJ, prepareranno i mercati a un ciclo di inasprimento dei tassi a partire dal 2022”. Secondo Pasquale Diana, senior macro economist di AcomeA Sgr, a parte alcune eccezioni come


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Bank of England e Norges Bank, le altre Banche centrali delle economie avanzate sono molto indietro rispetto alla Fed, «e questo non deve sorprendere dato che gli Usa sono in una fase più avanzata del ciclo economico». «Questa divergenza nella politica monetaria dovrebbe continuare a sostenere il dollaro contro le altre valute G10», aggiunge Diana. Il solito timore L’inflazione rappresenta un rischio al rialzo per la politica delle Banche centrali, in quanto potrebbe rimanere ben al di sopra del loro obiettivo e obbligarle a rivedere più rapidamente i tassi di interesse giungendo anche a un ciclo di inasprimento. Secondo l’indice Common inflation expectations (Cie) della Fed, le aspettative di inflazione sembrano aggirarsi intorno all’obiettivo di lungo periodo del 2%. Tuttavia, come spiega Tiffany Wilding, economista esperta di America Settentrionale di Pimco, se una serie di fattori transitori (come il recente uragano) produce un’inflazione più marcata e persistente, le aspettative di inflazione rischiano di accelerare ulteriormente, rendendo necessaria una reazione più aggressiva da parte della Banca centrale. «Per quanto le aspettative di inflazione di lungo periodo non abbiano ancora mostrato questo tipo di tendenza, si tratta di un rischio che la Fed vuole probabilmente mitigare», spiega Wilding. È poi possibile, secondo Diana, che la minore liquidità in circolo possa avere un impatto sugli asset di rischio più che sull’inflazione. Per quanto riguarda quest’ultima, un fattore molto più rilevante sarà l’evoluzione dei problemi nelle catene di approvvigionamento, o supply chain. «Un miglioramento dell’offerta potrebbe infatti ridurre in maniera significativa i prezzi di alcuni beni di consumo che sono aumentati negli ultimi mesi», dice Diana. Che aggiunge: «Nella direzione opposta, sarà importante osservare il possibile trend in salita degli affitti, che costituiscono circa 1/3 del paniere d’inflazione Usa». Portafoglio anti-tapering Ma come proteggere gli investimenti dalle nuove politiche delle Banche centrali? Come spiega Gautry, con le Banche centrali che stanno progressivamente togliendo il proprio sostegno, il ciclo economico è entrato in una fase di normalizzazione post ripresa. «Tutto ciò potrebbe portare volatilità e a un calo dei rendimenti

sugli asset di rischio rispetto alla fase della ripresa», spiega lo strategist. Che aggiunge: «Monitoriamo i rischi nei portafogli, abbiamo rivisto le preferenze favorendo titoli di qualità e adottato posizioni asimmetriche sui titoli europei. Siamo infine più selettivi sul credito, ma continuiamo a preferire le strategie carry rispetto ai titoli di Stato». In generale, il cambio di paradigma della Fed dovrebbe favorire la rotazione dei fattori dal growth al value che già avevamo brevemente visto nella prima parte dell’anno, ma che si era interrotta in concomitanza con la diffusione della variante Delta. A causa del pressoché costante calo dei tassi d’interesse degli ultimi anni infatti le azioni growth hanno beneficiato di valutazioni sempre più generose, anche a fronte di flussi di cassa bassi. «In pratica, in un contesto di tassi d’interesse a zero, il mercato si è dimostrato disposto ad attendere diversi anni nella speranza di recuperare in futuro un adeguato livello di profittabilità. E a fronte di un cambio di politica monetaria e di tassi più alti, il mercato potrebbe diventare più impaziente e premiare così le aziende con flussi di cassa disponibili già subito e a prezzi ragionevoli», dice Diana.

I bond Quanto agli investimenti obbligazionari, come spiega Rivelle, i rischi maggiori probabilmente non arrivano dal tapering, anche se esso potrebbe ampliare alcuni premi di rischio nel mercato, a partire ovviamente dalle mortgage backed security. I rischi principali deriverebbero dall’osservazione che i premi di rischio delle obbligazioni sono già limitati (cioè il rischio è già molto prezzato) e sembrano esserci pochi catalizzatori che lo riducano ulteriormente. «Nel frattempo, il mercato deve fare i conti con altri rischi, come la possibilità che l’inflazione sia più alta e meno transitoria di quanto supponga la Fed, che la Cina possa vedere un parziale sgonfiamento della bolla immobiliare, e che gli ingenti stimoli fiscali negli Usa non possano durare all’infinito», spiega Rivelle. Che conclude: «Di conseguenza, una strategia obbligazionaria che cerchi di minimizzare il rischio dei tassi d’interesse attraverso strategie di duration più brevi, e di sottopesare le aree più rischiose del mercato obbligazionario, come i bond high yield, è – dato il contesto attuale – una via per l’investitore per giocare in difesa». ottobre 2021

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MERCATI IN FERMENTO

È partito il China Reset I capitali si spostano in India di Gloria Valdonio

La stretta regolamentare applicata dal governo cinese in molti settori dell’economia ha spaventato gli investitori. I più penalizzati sono i colossi tech, ovvero i titoli in assoluto più interessanti. Ecco le mosse dei money manager

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utto è cominciato lo scorso novembre, quando l’amministrazione cinese ha bloccato l’Ipo di AntGroup, braccio finanziario di Alibaba, e ha introdotto una serie di regole anti-monopolio e di protezione dei dati che hanno interessato prevalentemente i giganti della tecnologia, dell’e-commerce e del food delivery. In seguito l’attenzione delle autorità di Pechino si è spostata sulle piattaforme educative, sulle assicurazioni online (mettendo sotto la lente le pratiche di marketing), sul settore immobiliare (con l’obiettivo di calmierare i prezzi delle abitazioni) e sulle criptovalute nell’ottica del lancio dello yuan digitale. Il fatto è che in Cina è in corso un grande reset volto a un progressivo controllo statale di molte società – soprattutto tecnologiche - che preoccupa parecchio i grandi investitori, parte dei quali si sta spostando in altri Paesi, India in testa. «Si tratta di un cambiamento strutturale, che non è ciclico e che non è solo un rumore», conferma Robin Parbrook, co-head of Asian Equity Alternative Investments di Schroders. Che aggiunge: «Per ciò è necessario ripensare la quantità di capitale che si intende investire in Cina: quando un Paese trasforma la parte più vivace della sua economia – i titoli internet e alcuni nomi dell’healthcare – in società quasi controllate dallo Stato, queste ultime diventano meno interessanti». «La stretta regolamentare applicata dal governo cinese in molti settori dell’economia ha spaventato gli investitori, con i colossi tech che risultano particolarmente penalizzati», conferma Mario Amabile, investment specialist di Pictet Asset Management. La nuova Cina Ma che cosa sta succedendo esattamente a Pechino? A livello di proclama generale, la Cina sta ricalibrando le sue priorità cercando di migliorare il tenore di vita delle persone, e di conseguenza non punta più alla crescita nel breve periodo, bensì a una crescita a lungo termine. Gli obiettivi dichiarati dalle autorità - e che rivelano come i mali che affliggono il socialismo reale non siano poi molto dissimili da quelli dei Paesi capitalisti - è ridurre le disuguaglianze e migliorare la previdenza sociale tramite un’ampia revi52

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A destra Robin Parbrook di Schroders. Nella pagina accanto, in alto da sinistra Mario Amabile di Pictet AM, Giacomo Calef di NS Partner. In basso da sinistra Jian Shi Cortesi di Gam e Jimmy Chen di Comgest

sione delle normative vigenti, favorendo i consumatori attraverso la riduzione dei costi dell’istruzione, degli immobili (lotta alla speculazione sui prezzi del real estate e freno alle plusvalenze sul ciclo delle costruzioni) e della sanità (con il rafforzamento della previdenza sociale). «Tali misure mirano a rafforzare la fiducia dei consumatori, in modo che riducano i risparmi (al momento pari al 40% delle entrate, ndr) e che facciano più figli grazie anche al sostegno di normative più favorevoli, come la politica dei tre figli entrata in vigore il 31 maggio scorso», spiega Amabile. I prossimi passaggi a livello regolamentare riguarderanno il segmento internet e saranno presentate nel corso del congresso quinquennale del Partito Comunista in programma nel 2022. Tutto ciò, secondo Amabile, apre la strada alla riduzione delle disuguaglianze tramite un incremento delle imposte sul reddito delle persone fisiche e giuridiche, nonché un aumento delle tasse sugli immobili e di successione e la promozione delle donazioni di beneficenza. «Tuttavia, nel breve termine una tassa patrimoniale appare improbabile poiché le conseguenze sono poco prevedibili e vi sono difficoltà di implementazione», è il commento dello strategist. Settore tech Mentre il Partito comunista cinese è intento a ridisegnare la Cina del Terzo Millennio non solo sotto il profilo dell’equità, crescono le preoccupazioni della comunità finanziaria soprattutto riguardo al settore tech dove sono concentrate le più grandi opportunità di investimento. Come spiega Giacomo Calef, country manager di NS Partner, il crackdown cinese nel settore tech punta a due


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obiettivi: la nazionalizzazione dei dati digitali e limitare lo strapotere delle big. «Ci sono», dice lo strategist, «diversi casi che possiamo osservare. Uno di questi riguarda appunto AntGroup: di recente alcune aziende controllate dal Governo hanno espresso la volontà di acquisire il business che si occupa del credit-scoring, ottenendo l’accesso ai dati di più di un miliardo di utenti. Un altro caso è Alibaba: l’antitrust cinese lo scorso aprile ha multato il colosso per la cifra di ben 2,8 miliardi di dollari, a causa di pratiche concorrenziali giudicate scorrette». Al netto della privacy, il settore per molti investitori non sarebbe però da archiviare: secondo Amabile, i giganti cinesi della rete sono ben posizionati per sviluppare business model innovativi addirittura più avanzati di quelli occidentali. Inoltre, anche se la redditività si ridurrà (per effetto della diminuzione del fatturato e dell’aumento dei costi), i titoli di aziende come Tencent, Baidu e Alibaba hanno già perso oltre il 50% rispetto ai recenti massimi, con Tencent che oggi scambia a livelli inferiori rispetto alla valutazione di fine 2018. Segno quindi che gran parte del potenziale di ribasso è oggi già scontata. «Con il core business di Alibaba, che presenta un rapporto price earning pari a circa 9 volte gli utili attesi per il 2022, e di Baidu, che ha un Ev (Enterprise value, ndr) di 40 miliardi di dollari, riteniamo che il profilo di rischio/rendimento sia interessante, nonostante le nuove regole possano portare a una riduzione degli utili nel breve termine», afferma Amabile. Che aggiunge: «Pur non escludendo qualche strascico di ulteriore debolezza, vale la pena approfittare degli attuali prezzi stracciati, poiché le azioni dell’area internet hanno già lasciato sul terreno più di mille miliardi di dollari e restano un’ottima opportunità di investimento».

del Paese e che difficilmente si presenterà all’appuntamento con l’economia in sofferenza, è probabile che nel 2022 assisteremo a un’accelerazione del ciclo», spiegano gli analisti. «Si tratta», aggiunge il team di Frame, «di uno scenario che fa ben sperare per il futuro in quanto il mercato azionario potrebbe riservare gradite sorprese». Secondo Jian Shi Cortesi, investment director azionario Cina e Asia di Gam, le aziende “Rising Star” possono anche beneficiare di un campo di gioco più livellato in vari settori. «Nei consumi e nella tecnologia le valutazioni sono interessanti dopo la correzione, e nel lungo termine vediamo opportunità nelle energie rinnovabili, nella tecnologia, nei semiconduttori e nella produzione di fascia alta», dice Shi. Meno ottimista Jimmy Chen, gestore di Comgest (del fondo Comgest Growth China), che sottolinea come i nuovi provvedimenti hanno colpito alcune delle large cap in crescita e dei settori controllati da investitori esteri. «Rispetto ad altri Paesi dove il varo di nuove leggi e norme può essere molto pubblico, il processo cinese può sembrare opaco. Inoltre, le regolamentazioni cinesi tendono ad arrivare a ondate, riflettendo i cambiamenti nelle priorità del governo», spiega Chen. Che aggiunge: «Crediamo che il modo migliore per mitigare l’impatto di un’improvvisa ondata di regolamentazione su un portafoglio sia utilizzare un approccio di investimento che preveda l’integrazione dei fattori Esg, guardando oltre il settore internet verso altri settori, come i mobili su misura o le aziende sanitarie».

Se non Cina allora che sia Asean In ogni caso, come sottolinea Parbook, la prima reazione alle nuove politiche è stato uno spostamento di capitali verso altri mercati della regione, come l’India. «Ma non so se gli investitori si chiederanno se hanno davvero bisogno di investire una mole così ampia di capitali in Asia o nei Mercati Emergenti, di cui la Cina è di gran lunga il mercato più grande», dice Parbook. Che conclude: «Non abbiamo ancora assistito a una dinamica del genere, ma di certo si assisterà a una diversificazione degli investimenti al di fuori dalla Cina. E credo che alcuni potrebbero indirizzarsi verso i mercati più piccoli dell’Asean, come Corea del Sud o Taiwan, che sono i più liquidi di tutta la regione».

Oltre il tech n definitiva, i timori degli investitori sembrano al momento eccessivi, almeno in ambito tech. Il Partito, che rincorre il primato economico mondiale, sa bene anche che per arrivare in vetta occorre dominare in ambito tecnologico, e quindi non affosserà mai le sue migliori società. Ma come muoversi fuori dal recinto tech? Secondo Frame Am, la Cina resta un ottimo investimento: «Considerando che nel 2023 l’attuale presidente avrà la possibilità di essere rieletto per la terza volta alla guida

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INTERVISTA CON GIORDANO LOMBARDO

La sfida di Plenisfer ai conformismi gestione attiva con metodi rivoluzionari di Marco Muffato

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biettivi svincolati dal benchmark. In questa frase è condensata la filosofia di gestione di un team affiatato di asset manager di grande esperienza, capitanati da Giordano Lombardo - già ceo di Pioneer ed ex presidente di Assogestioni - che vuole sperimentare sul campo un nuovo modo di fare gestione attiva (“New active”) sotto le insegne di Plenisfer Investment Sgr. Ne parliamo proprio con Lombardo che di Plenisfer è fondatore e ceo. Dottor Lombardo, la vostra società, che è composta da fondatori che hanno lavorato insieme per oltre 20 anni in realtà come Pioneer (oggi Amundi), parte da un presupposto che quel che ha funzionato per 30 anni nella gestione potrebbe non funzionare più e che quindi l’industria debba prepararsi a una “rivoluzione” identificando un nuovo paradigma di gestione. Possiamo spiegare in cosa consiste questa rivoluzione? Quando si cambia, dopo un’esperienza bellissima come quella vissuta in Pioneer, c’è l’opportunità di riflettere su quanto realizzato in passato. Abbiamo vissuto tre decenni di mercati complessivamente positivi, anche al netto di crisi come quelle del 2000 o del 2008, sostenuti da un calo ininterrotto dell’inflazione e dei tassi d’interesse dal 1981 (anno in cui il presidente della Fed Paul Volcker varò misure drastiche per combattere l’inflazione, ndr). Una combinazione che si è rivelata molto positiva per tutte le asset class e per le azioni in particolare, valutate con un tasso di sconto in discesa. In questo contesto le asset class si comportavano in modo decorrelato e prevedibile: se per esempio l’azionario soffriva compensava l’obbligazionario. In questo contesto, un buon portafoglio bilanciato generava 54

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Giordano Lombardo, già ceo di Pioneer ed ex presidente di Assogestioni, ha fondato e lanciato Plenisfer

La società guidata dall’ex presidente di Assogestioni punta su gestioni svincolate dai benchmark, scelte basate non su asset class ma su strategie e prodotti non standardizzati performance positive. Abbiamo dato vita a Plenisfer nella convinzione che questo contesto favorevole sia destinato a cambiare. Ci siamo chiesti: se i prossimi anni dovessero essere diversi, se i venti a favore dovessero venir meno, su che tipo di struttura di investimenti dovremmo puntare? Crediamo oggi serva una filosofia d’investimento e di prodotto diversa. Un nuovo approccio che in Plenisfer si fonda su tre principi: abbandonare il concetto di “battere il benchmark”, obiettivo che l’industria ha preso a riferimento per anni, partendo invece dai bisogni concreti dalle persone e adottando quindi una gestione per chiari obiettivi di performance. Poi, gestire con la libertà di andare a investire solo dove pensiamo ci siano le migliori opportunità, non allocando per asset class, ma per strategie, scelta impossibile se si investe seguendo i vincoli che il benchmark impone. Il terzo cardine del nostro approccio deriva dal modello che avevamo in testa: creare una boutique per poter puntare a un prodotto fondato sulla qualità e non sulla standardizzazione. Come garantire questa quali-


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tà? Mettendo intorno allo stesso tavolo otto professionisti senior dalle diverse specializzazioni che analizzano insieme ogni idea d’investimento. In una società di grandi dimensioni è un approccio difficile da realizzare, in quanto ogni specialista guarda al suo “silos”. Guidati da questi tre principi abbiamo creato una società con un posizionamento fortemente distintivo sul mercato. Come volete caratterizzarvi nel mercato italiano? E negli altri mercati esteri? Dal punto di vista del business siamo partiti dallo sviluppo dell’attività in Italia, ma l’obiettivo è di espanderci progressivamente a livello internazionale, partendo dai Paesi vicini: abbiamo registrato il primo fondo in gestione, Destination Value Total Return, anche in Francia, Germania, Spagna e Svizzera. E abbiamo già aperto l’ufficio di Londra (guidato da Mauro Ratto, ndr) e Dublino (coordinato da Robert Richardson, ndr). A chi è diretto il vostro fondo e più in generale, in cosa consiste attualmente la vostra gamma di offerta? Vi aprirete ai prodotti di economia reale? Abbiamo fondato Plenisfer nel 2019 e avviato il 4 maggio 2020 la gestione di Destination Value su cui Generali ha puntato un miliardo: nonostante fossimo in piena pandemia, con tutto il team in smart working, tutto ha funzionato al meglio e 18 mesi dopo l’avvio del fondo, aperto sia a clienti istituzionali che private, abbiamo superato gli obiettivi e contiamo masse in gestione per 1,3 miliardi di euro. Lo scorso luglio abbiamo avviato un fondo di diritto italiano, Destinazione Rendimento, che ha l’obiettivo di dare un rendimento positivo alla liquidità in un mondo di tassi negativi. Per il futuro abbiamo diversi progetti e puntiamo in particolare a fare innovazione anche di prodotto. Pensiamo per esempio al mondo dei real asset che da tempo attira l’interesse di investitori istituzionali per i rendimenti attesi in un orizzonte temporale di lungo periodo. Per investire in questi asset servono specifiche competenze e non bisogna avere fretta, essendo in genere investimenti chiusi di lunga durata, anche 15 anni. L’idea è di rendere accessibile questo mondo anche ai clienti private e a investitori istituzionali di minor dimensione, costruendo soluzioni inedite che combinino asset privati e quotati con l’obiettivo di offrire rendimenti interessanti in un orizzonte temporale adeguato alle loro esigenze, per esempio 5 anni. Quali sono le vostre strategie nel collocamento? Con quali realtà state lavorando attualmente e con quali vorreste lavorare? Plenisfer in Italia ha già un accordo di distribuzione con Banca Generali per la clientela retail e private. Inoltre, il fondo Destination Value è disponibile sulla piattaforma Allfunds. Ma siamo solo all’inizio, stiamo lavorando anche su questo fronte e annunceremo a breve altri accordi. Per l’asset management si annuncia un futuro dominato dagli algoritmi? Che spazio può avere ancora la gestione attiva? Certamente la tecnologia, centrale nella gestione passiva, contribuirà sempre più all’efficacia dell’analisi, ma non potrà sostituire i gestori attivi, per almeno due ragioni. In primo luogo, non esiste un algoritmo che funzioni in ogni fase di mercato. E, soprattutto, non ne esistono in grado di leggere e anticipare i punti di svolta, i

cambi di regime come quello che stiamo per affrontare. Qui serve la competenza e l’esperienza del gestore. La seconda ragione è che l’interazione con il cliente non si fonda solo sui numeri, è più complessa, e resto convinto che il rapporto personale sia insostituibile. C’è futuro, dunque, per la gestione attiva, ma solo per chi si vorrà mettersi veramente in gioco, preparandosi ad affrontare quella che ci aspettiamo sarà una nuova era per gli investimenti. Servirà un nuovo approccio attivo, molto più di quello messo in campo fino a oggi. A suo giudizio nell’asset management c’è da aspettarsi un accorpamento tra operatori allo stesso modo di quanto è avvenuto e sta avvenendo nel mondo delle banche? In parte è già avvenuto e mi aspetto che il processo continui e che porti ad una polarizzazione. Da un lato si affermeranno sempre più player giganti che fanno della raccolta, attraverso una pletora di prodotti, il principale obiettivo è che, attraverso significative economie di scala, ridurranno i costi propri e quelli della clientela. Accanto ai big si muoveranno le boutique, piccole navi corsare come la nostra, che faranno della qualità della gestione e dei risultati conseguenti la loro ragion d’essere. Mi aspetto invece vadano in difficoltà i player di medie dimensioni che si troveranno in mezzo ai due modelli e saranno quindi destinati a scomparire o a essere assorbiti. Da ex presidente di Assogestioni, come vede il futuro del settore e che ruolo può giocare l’associazione negli interessi degli associati e del mercato? L’industria del risparmio gestito italiano è una grande risorse del Paese. Da tempo cerca di canalizzare una parte di questo risparmio verso l’economia reale, destinandolo al supporto e allo sviluppo delle pmi, scheletro portante della nostra economia. Credo che l’industria, e Assogestioni che la rappresenta, possano accompagnare questo processo in tre modi: canalizzando una parte del risparmio degli italiani verso questi obiettivi, supportando le pmi e partecipando agli investimenti nei piani infrastrutturali collegati al Pnrr. Per farlo in modo efficace, l’industria deve dimostrare capacità di innovazione creando prodotti che mettano insieme la capacità di investire in asset privati con asset liquidi. Per farlo, serve però anche il supporto del regolatore, che dovrebbe facilitare l’accesso del risparmio italiano ad asset privati. Un’altra grande responsabilità dell’associazione è la focalizzazione sugli aspetti di governance delle società in cui si va ad investire, fattore centrale di una buona gestione che deve per esempio puntare su società che hanno a cuore anche gli azionisti di minoranza e contano consiglieri indipendenti. Assogestioni, ci tengo a sottolinearlo, ha lavorato su questo fronte ben prima che l’Esg diventasse di moda. L’Italia è stata la prima, dopo l’Inghilterra, a introdurre in Europa i principi di stewardship nel codice di autodisciplina (iniziativa promossa dallo stesso Lombardo, ndr). Terza importante responsabilità è collegata al fatto che siamo di fronte a una trasformazione della finanza internazionale che vedrà le banche diventare meno rilevanti e solo una delle possibili fonti di credito. Il risparmio gestito dovrà diventare fonte alternativa di finanziamento alle imprese e l’Associazione avrà un ruolo cruciale nel supportare le istanze dell’industria e accompagnare questa evoluzione.

«Il nostro modello è stato creare una boutique per puntare a un prodotto fondato sulla qualità e non sulla standardizzazione»

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INTERVISTA CON LUCA FASAN

Il business dell’istruzione nel mirino dei gestori di Mario Romano

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Il fund manager di Sycomore Am sottolinea come le società che operano nell’education siano sottorappresentate nei portafogli degli investitori. Eppure rappresentano un giro d’affari globale valutato nell’ordine dei 6mila miliardi di dollari

l settore dell’istruzione ha oggi un valore, a livello globale, di 6.000 miliardi di dollari e le stime indicano una crescita di circa il 6% anno sino al 2025, un incremento superiore a quello del Pil. Eppure le aziende del settore sono ancora fortemente sottorappresentate nei portafogli degli investitori. Con Luca Fasan, fund manager di Sycomore Am, parte della piattaforma multi-boutique di Generali Investments, approfondiamo il potenziale del settore e le opportunità ad esso collegate.

Dottor Fasan, quali sono i driver che sosterranno l’affermarsi di questo settore? Lo sviluppo del settore è sostenuto da tre fattori principali: la crescita della classe media nei Paesi emergenti, che vedrà un miliardo di nuovi studenti affacciarsi all’istruzione entro il 2030 e due miliardi entro il 2050, con la maggior parte di questi studenti concentrati nei Paesi emergenti, e un ruolo crescente di Paesi come India, sud-est asiatico e, alla fine della decade, in Africa. Vi è poi la formazione degli adulti, con la sempre maggiore attenzione ad un’istruzione “costante” lungo tutto il ciclo di vita. Infine il fattore Ed-tech, ovvero la tecnologia applicata a prodotti e servizi educativi, aumentandone accessibilità e convenienza. La pandemia ha supportato questo segmento, con enormi investimenti in hardware, software, contenuti e formazione per l’intero ciclo di vita. Come stanno cambiando le aziende protagoniste dell’istruzione? Il mercato è in forte fermento, anche con l’ingresso di nuove realtà che si stanno affermando proprio per rispondere alle esigenze crescenti che abbiamo sopra indicato. Come Coursera, società statunitense che si è quotata nel mese di marzo 2021, leader nei corsi gratuiti per adulti ma che ha stipulato accordi con grandi società tech per creare corsi specifici sulle competenze innovative che a oggi sono scarse nel mondo del lavoro. Vi è poi la recente Ipo di Duolingo, leader nei corsi di lingua: la società offre corsi che sono basati sull’intelligenza artificiale, una tecnologia che aiuta a definire in LUCA FASAN modo efficiente quale sia il miglior per56

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corso per rispondere alle esigenze di ogni singolo studente.

L’innovazione sembra ricoprire un ruolo chiave nello sviluppo dell’istruzione… Si, innovazione ed educazione sono tra di loro fortemente connesse, in modo virtuoso. La crisi Covid ha fatto emergere nitidamente come l’utilizzo dell’innovazione renda l’educazione più accessibile per tutti, supportando una crescita sostenibile. Dall’altro lato, l’utilizzo della tecnologia nell’educazione rende possibile definire percorsi e moduli personalizzati, grazie alla possibilità per gli insegnanti di seguire gli studenti anche al di fuori delle strutture scolastiche tradizionali, monitorandoli e seguendone in modo più continuativo il percorso di apprendimento.

Come vi orientate in questo settore nel vostro approccio di investimento? Ci concentriamo su tre gruppi: il primo è quello degli “education providers”, che include aziende come editori di contenuti, scuole private e università, oltre a servizi di tutoring nel doposcuola, o prodotti e servizi Ed-tech. In secondo luogo, gli “education enablers”, aziende che supportano l’istruzione attraverso i loro prodotti e servizi, come le aziende specializzate in alloggi per studenti o servizi per studiare all’estero. Infine gli “sponsor” per la formazione lungo tutto il ciclo di vita, un gruppo unico sul mercato che ci consente di diversificare la nostra strategia. Si concentra su aziende che fanno leva sull’istruzione per creare valore condiviso con tutti i loro stakeholder, investendo in formazione per la loro forza lavoro attuale e potenziale, per i fornitori e consumatori. Questo terzo gruppo ci consente di guardare a tutti i settori, anche a quelli non direttamente collegati all’istruzione.


salone

SRI

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2021

THE IMPORTANCE OF BEING ESG FINANCE LOOKING FOR ESG IDENTITY

SALONE SRI partner istituzionali

16 novembre 2021 ore 9.30 - 17.30 Milano, Palazzo delle Stelline, & online reloaded su piattaforma streaming www.salonesri.it partecipano:

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IL CREDITO CHE CAMBIA

Banca Valsabbina, un occhio alla tradizione e l’altro al fintech di Angelo Curiosi

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ogliamo continuare a crescere supportando un numero sempre maggiore di territori, con un approccio misto di banca tradizionale, che affonda le sue radici nella storia, ma anche di banca orientata al futuro, alla continua ricerca di nuove soluzioni ed opportunità, per offrire alla clientela servizi sempre più efficienti e su misura», dice Hermes Bianchetti, responsabile Divisione Business di Banca Valsabbina: «Siamo sicuramente una banca tradizionale e vogliamo mantenere questa caratterizzazione soprattutto nei rapporti con clienti e soci», prosegue: «Abbiamo un modello di business che punta sulle persone, sull’offerta di un rapporto e di una relazione di qualità. Oltre a questo, però, non perdiamo d’occhio le evoluzioni della tecnologia, continuando ad innovare per offrire prodotti e servizi che siano qualitativamente sempre più elevati: per velocizzare i processi, ottimizzando le tempistiche di elaborazione e gli adempimenti burocratici. Con questo spirito, siamo molto vigili sulle novità del mercato fintech e sui servizi all’avanguardia che si possono offrire al territorio». Banca Valsabbina è ormai un caso di scuole. È un istituto che da oltre 120 anni opera per servire al meglio le attività imprenditoriali e le famiglie delle aree presidiate dalle sue 70 filiali. Anche oggi, per aiutare il territorio a superare la crisi economica determinata dalla diffusione della pandemia, la banca bresciana continua ad ampliare la propria offerta, innovandola sia in termini di prodotti che di servizi ed esplorando nuove opportunità e segmenti di business. E insomma: pur restando fedele alla parte qualitativa di una lunghissima tradizione, innova. 58

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Tra i primi investitori di Satispay, l’istituto bresciano ha ampliato le sinergie con aziende che operano nel fintech e nella finanza complementare. Forte l’impegno sulla sostenibilità Nella foto, in piedi, Marco Bonetti, condirettore generale di Banca Valsabbina. Nella foto, seduto, Tonino Fornari, direttore generale di Banca Valsabbina

Vanno proprio in questa direzione le numerose operazioni concluse dall’Istituto bresciano con realtà fintech, finalizzate all’acquisizione di quote di capitale o all’avvio di collaborazioni in un ambito che negli ultimi anni sta guidando i principali cambiamenti dell’intero settore bancario. L’interesse per il fintech, però, ha origini risalenti a qualche anno fa. Vale infatti la pena ricordare come Banca Valsabbina sia stata tra i primi investitori di Satispay, per una partnership che da allora non si è mai interrotta. In tempi più recenti poi hanno preso forma una serie di sinergie con aziende che operano nei settori del fintech e della finanza complementare, perfezionando importanti operazioni di investimento diretto nel capitale di queste realtà tecnologiche per rafforzare e favorire ogni possibile sinergia. Tra queste troviamo le operazioni di cartolarizzazione per sostenere le Pmi del territorio realizzate insieme a Borsadelcredito.it (che ora ha mutato


INVESTIRE SPECIALIST

nome in Opyn), di cui a luglio Banca Valsabbina ha acquisito una partecipazione pari a circa l’8,3%. Nell’ambito della digitalizzazione dei processi di monitoraggio e reporting di operazioni di cartolarizzazione, a maggio è stato invece acquisito poco meno del 10% del capitale di Cardo AI; mentre a luglio, nell’ambito dell’invoice trading e del credito commerciale, la banca ha rilevato il 17,5% della veneta Mycredit Service. È solida anche la partnership con la bresciana Neosperience, che consente di supportare le Pmi del territorio che vogliono crescere e intendono investire nel proprio business attraverso soluzioni digitali studiate per cogliere al meglio le opportunità offerte dal mercato. Risale infine a poche settimane fa l’avvio della collaborazione con Modefinance, società fintech specializzata in rating per le imprese, con cui la Banca punta ad efficientare e innovare il proprio processo di valutazione del merito creditizio. Questo per quanto riguarda il connubio tra finanza e tecnologia. Ma un altro asset sempre più rilevante anche in ambito finanziario è quello della sostenibilità, che sta influenzando le scelte strategiche di numerosissime realtà. Ovviamente, quando si parla di sostenibilità è quasi scontata l’associazione con tematiche quali l’ambiente, il green o l’economia circolare. Benché questo ambito non presenti criticità particolari per Banca Valsabbina, anche per la natura del settore in cui opera, l’Istituto ha comunque adottato negli anni politiche per la riduzione dei consumi energetici ed è impegnato in particolare in un progetto di digitalizzazione paperless, che a regime prevede l’adozione di strumenti di firma elettronica avanzata nell’ambito delle operazioni di sportello, favorendo la riduzione degli acquisti e dei consumi di carta. Particolare riguardo è poi posto sullo smaltimento dei rifiuti e sulla raccolta differenziata: ogni anno, nella rete di filiali dislocate tra Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Piemonte e Trentino Alto Adige, vengono riciclati decine di migliaia di chilogrammi di carta e cartone. Ma oltre all’ambiente, una banca deve guardare in particolare alla sostenibilità sociale e finanziaria della propria attività. E alcuni strumenti messi a disposizione di imprese e fami-

NUMERI DA GRANDE BANCA DEL TERRITORIO Banca Valsabbina è una società cooperativa per azioni, fondata nel 1898. È la principale Banca popolare di Brescia e da centoventitre anni sostiene la crescita e lo sviluppo economico del territorio, ponendosi come interlocutore sia per le famiglie che per gli artigiani, le piccole attività economiche e le Pmi. Opera attraverso una rete territoriale che conta 70

filiali: 45 in provincia di Brescia, 8 in provincia di Verona, 2 a Milano e 15 tra quelle di Bergamo, Bologna, Mantova, Milano, Modena, Monza-Brianza, Padova, Reggio Emilia, Torino, Trento, Treviso, Vicenza, Cesena e Parma. Impiega oltre 730 dipendenti, gestisce masse superiori ai 10 miliardi di euro e vanta un solido patrimonio, con il Cet 1 Ratio pari a circa il 16%.

Hermes Bianchetti, responsabile Divisione Business Banca Valsabbina

glie clienti nel corso degli anni provano come l’istituto bresciano sia pienamente virtuoso anche da questo punto di vista. Nell’ambito dell’Ecobonus 110%, in merito ai lavori di riqualificazione energetica e di riduzione del rischio sismico, anche Banca Valsabbina ha definito un’offerta rivolta sia ai privati che alle imprese per la cessione del credito. A cui vanno aggiunti gli strumenti e le iniziative messe in campo nei mesi scorsi per sostenere famiglie e imprese del territorio a superare la crisi seguita alla diffusione del Covid-19. Nell’ultimo biennio, infine, insieme al Fondo europeo per gli investimenti (Fei, parte del gruppo Bei - Banca europea per gli investimenti), la banca ha siglato un accordo del valore di 10 milioni di euro per sostenere l’imprenditoria sociale in Italia, nell’ambito del Programma per l’occupazione e l’innovazione sociale dell’Unione Europea (EaSI). L’accordo, che prevede la garanzia del Fei fino all’80% su ogni prestito, ha consentito a Banca Valsabbina di poter richiedere minori garanzie alle imprese sociali al momento della richiesta del prestito, potendo applicare un tasso d’interesse più basso sulle somme erogate. Tutte iniziative che confermano come da tempo la sostenibilità sia un elemento centrale della strategia che guida l’attività dell’Istituto. ottobre 2021

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L’IMPEGNO DEL GRUPPO TRIESTINO

Pmi a scuola di sostenibilità con l’aiuto di Generali e Sda Bocconi di Oriana Ravelli

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romuovere la sostenibilità anche nelle piccole e medie imprese è la grande sfida dell’Europa. Le Pmi costituiscono infatti la quasi totalità delle aziende presenti nell’Unione europea e in Svizzera, generano oltre la metà del valore aggiunto complessivo e offrono oltre 100 milioni di posti di lavoro, i due terzi del totale. A questi dati si accompagna un valore aggiunto complessivo di 4,3 miliardi di euro, vale a dire il 56,4% del totale nell’Ue e in Svizzera. I progetti strutturati di sostenibilità permettono a questi soggetti economici di accedere a filiere certificate e ai mercati globali, nonché a fondi e risorse dedicate, ed è a questa platea che si rivolge il Libro Bianco “Fostering Sustainability in Small and Medium-sized Enterprises” (Promuovere la sostenibilità nelle piccole e medie imprese) promosso dal gruppo assicurativo Generali e realizzato da Sda Bocconi – School of Management Sustainability Lab. Il libro - che ha appunto l’obiettivo di incentivare le aziende ad adottare modelli di business sostenibili e di dare visibilità, anche attraverso una piattaforma digitale, a quelle che già lo hanno fatto stimolando il dibattito pubblico sul tema - è stato presentato da Generali ai primi di ottobre a Bruxelles, in occasione della prima edizione di Sme EnterPrize per le pmi europee, una delle numerose iniziative del gruppo triestino dedicate alla sostenibilità. «Le piccole e medie imprese costituiscono un pilastro fondamentale dell’economia europea e uno dei driver principali per attuare la transizione sostenibile», ha detto il group ceo di Generali, Philippe Donnet, alla presentazione del libro, «Oltre a valorizzare le esperienze più significative e supportare le Pmi nell’adozione di modelli di business e pratiche più sostenibili, Generali intende promuovere un confronto continuo con le istituzioni nazionali ed europee, con il mondo accademico e con altre realtà del settore privato per analizzare le barriere e le opportunità di sviluppo in un settore chiave per PHILIPPE DONNET la crescita soste60

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Il gruppo assicurativo intende supportare le piccole e medie imprese nell’adozione di modelli di business e di pratiche più sostenibili nibile dell’economia del nostro continente», ha aggiunto Donnet. Obiettivo della prima edizione di Sme EnterPrize, che ha visto il coinvolgimento di rappresentanti della Commissione e del Parlamento europeo, è anche quello di promuovere la conoscenza delle istituzioni e dei programmi dell’Unione dedicati alla ripresa economica e al sostegno per le piccole e medie imprese, dal Next Generation Ee alle iniziative parte dell’“European Framework in Support of Smes”. Nel corso dell’evento sono stati presentati anche i “Sustainability Heroes”, ovvero le Pmi selezionate provenienti dai sette Paesi europei che hanno aderito al progetto (Italia, Germania, Francia, Spagna, Austria, Ungheria e Repubblica Ceca) che hanno implementato iniziative di sostenibilità di particolare rilievo nelle loro attività di business nelle aree ambiente, welfare e senso della comunità. Il Comitato Scientifico di Sme EnterPrize - composto da dieci rappresentanti delle principali istituzioni europee, di Ong, della stampa e del mondo accademico – ha indicato per l’Italia Natura Iblea-PaniereBio, azienda agricola con i più alti volumi produttivi biologici del Sud Italia, premiandola per le sue iniziative di welfare rivolte ai propri dipendenti, in particolare durante la crisi pandemica. Il gruppo Generali, che ha recentemente ha superato l’obiettivo di ridurre del 20% le emissioni di gas a effetto serra legate alle attività dirette nel periodo 2013-2020, ha anche aggiornato la propria strategia a tutela del clima impegnandosi a realizzare tra il 2021 e il 2025 ulteriori investimenti in obbligazioni verdi e sostenibili per un valore compreso tra 8,5 e 9,5 miliardi di euro e assumendo criteri sempre più stringenti per l’esclusione del settore carbonifero orientati a un progressivo disinvestimento totale da queste attività. La nuova strategia include l’obiettivo di una completa interruzione degli investimenti nel settore del carbone termico entro il 2030 per i Paesi Ocse ed entro il 2040 nel resto del mondo, e di una progressiva decarbonizzazione del portafoglio investimenti diretti per renderlo neutrale per il clima entro il 2050, in linea con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi e dalla Net-Zero Asset Owner Alliance, nata su iniziativa delle Nazioni Unite, alla quale la compagnia assicurativa ha aderito nel 2020.


INVESTIRE SPECIALIST

PARLA TRABATTONI (KAIROS)

Investiamo sull’Italia, è il momento giusto di Chiara Merico

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I 200 miliardi di euro in arrivo per ricostruire il nostro Paese e rilanciare la sua economia col piano europeo Next Generation Eu offrono agli investitori scommesse vincenti sul Made in Italy

er chi desidera investire sull’Italia il momento giusto è adesso. Ammonta infatti a circa 200 miliardi di euro la cifra che il nostro Paese riceverà da Next Generation Eu, il piano europeo da 750 miliardi per stimolare la ripresa dalla crisi determinata dalla pandemia: questi fondi rappresentano un’opportunità concreta per ricostruire l’Italia e rilanciare la sua economia, offrendo agli investitori nuove possibilità di scommettere sulle eccellenze del nostro Paese. Proprio a loro è dedicato KIS Italia, comparto di Kairos International Sicav che rappresenta una soluzione efficace per investire nel mercato azionario italiano con un approccio flessibile. «In questo periodo stiamo assistendo a una serie di cambiamenti storici, sia nella politica fiscale europea sia nel settore industriale», osserva Massimo Trabattoni (nella foto), head of Italian Equity di Kairos. «Quest’ultimo sta vedendo un’inversione di tendenza nel processo di delocalizzazione perché la pandemia ha evidenziato l’esigenza di reperire materiali e componenti in tempi più rapidi. Per un Paese come l’Italia, che non possiede risorse minerarie, ma ha una solida industria manifatturiera, questo nuovo trend è molto importante. Prima siamo stati penalizzati dalla delocalizzazione, ora invece il vento gioca a nostro favore». A questo si unisce «il cambiamento di segno nella politica europea, ora meno improntata all’austerità: le autorità sono più disponibili a chiudere un occhio sul debito, che non è più un problema solo italiano, ma è un problema di tutti». Per Trabattoni poi «in questo momento storico c’è una carenza di leadership a livello europeo, mentre Mario Draghi è un leader riconosciuto in tutto il mondo: il suo status fa da garante all’intero sistema Italia». A trainare il processo di ripartenza in Italia «c’è un governo guidato da Draghi e di cui fanno parte anche personalità tecniche con una loro credibilità. La diffidenza che c’era un tempo verso il nostro Paese è svanita: i mercati ora ci rispettano». Tutto ciò porta «a una situazione estremamente favorevole perché ci sono soldi da spendere e ci sono tutte le condizioni per poter gestire al meglio la ripresa». In questo quadro, quali sono i settori su cui puntare? «In primis tutte le aziende coinvolte nell’investimento chiave per l’Italia, cioè la digitalizzazione, in particolare tutte le tecnologie

che serviranno a sburocratizzare il Paese: questo secondo noi è un trend di lungo periodo», osserva Trabattoni. «C’è poi il settore manifatturiero, in cui sono presenti aziende leader in mercati di nicchia, che in un contesto favorevole per gli investimenti possono ritrovare slancio». Senza dimenticare l’altro grande tema del momento, la sostenibilità: «Su questo fronte però il mercato azionario italiano non presenta molte opportunità, più presenti invece nel comparto dei cosiddetti illiquidi. Per cogliere tutte le opportunità del mercato italiano, abbiamo quindi deciso di ampliare l’offerta commerciale con prodotti che investono anche nel segmento del pre-Ipo, cioè quelle aziende che si stanno preparando alla quotazione. Si tratta di un fondo Eltif, KAIS Renaissance Eltif, il nostro primo Pir alternativo che abbiamo chiuso lo scorso maggio». Per chi vuole puntare sulle aziende italiane già quotate KIS Italia è «il nostro fondo flessibile sul mercato azionario italiano che punta ad ottenere nell’arco di un ciclo economico risultati in linea o migliori dell’indice Ftse Mib, con una volatilità dimezzata», sottolinea Trabattoni. «Lo stile di gestione di tipo long-short, svincolato da logiche di benchmark, modula la partecipazione alle opportunità di investimento sulla base dell’interpretazione del momento di mercato data dal team di gestione, alla quale si aggiunge un’attiva selezione dei titoli al fine di generare un risultato più efficiente del mercato stesso, con una volatilità decisamente inferiore». Per Kairos si tratta di una strategia di investimento storica: «Abbiamo iniziato prima della crisi di Lehman Brothers, in un periodo con valutazioni di mercato superiori anche del 30% rispetto a quelle attuali e chi ha puntato su questa strategia, anche con prodotti diversi, ha potuto beneficiare di risultati interessanti. Il nostro obiettivo è appunto offrire nel medio termine un ritorno interessante, bilanciato per la volatilità». ottobre 2021

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IM PORT FOL I O

CUP

IL GAME DI INVESTIRE

La gara è finita, vittoria collettiva nel segno dell’education di Giacomo Damian

Un anno intero di mercato, con imprevisti, volatilità e un’estate di rialzi anomali, il risultato del game sono rendimenti complessivi brillanti con un draw down contenuto, un ottimo biglietto da visita per i cf partecipanti

stato ben organizzato, consentendo a ogni partecipante di farsi conoscere dal punto di vista tecnico e personale. Ringrazio per la bella esperienza di questi 12 mesi!”. (Silvia Luchi) *** tudiare giocare crescere. Sono gli step che ho vissuto in questa favola a cui mai avrei pensato di partecipare. Ho conosciuto Pandemia una strega cattiva ma potevo contare su un Angelo Custode per preziosi consigli. A presto più carichi che mai”. (Marco Magli) *** ducazione finanziaria, gara tra consulenti, strategia, opportunità per farci conoscere e far comprendere ancora di più qual’è il nostro ruolo per il cliente. Questo è quello che è stata per me la Natixis IM Cup e spero che vi siate divertiti a seguirci puntata dopo puntata!”. (Valeria Tedaldi) *** na nuova avventura, una bella avventura, carica di stimoli. La preziosa condivisione quantitativa e qualitativa delle scelte di investimento, insieme agli altri colleghi, permette di comprendere meglio i propri limiti, le proprie forze e debolezze”. (Pietro Calì) *** a parte mia un ringraziamento ad Investire ed a Giacomo per la bella opportunità. È stata un’avventura veramente appassionante e la suspense per il risultato finale è durata fino all’ultimo giorno dell’ultima tappa. Bravi a tutti i colleghi”. (Gabriele Zeloni) *** artecipare è una buona scusa per mettersi in discussione, per conoscere colleghi di altre realtà e capire come sviluppano la loro attività. C’è sempre molto da imparare, e questo confronto è stato fondamentale per cambiare “punto di vista”! Grazie a chi l’ha reso possibile”. (Thomas Christian Cordaro) *** sperienza divertente e formativa. Confrontarsi con altri professionisti dà sempre spunti di crescita e riflessioni sul metodo di lavoro. I quattro cambi del portafoglio durante l’anno hanno permesso aggiustature in linea con le novità del mercato”. (Fabrizio Valdrighi) *** stata una gara stimolante e divertente. Prudenza ed equilibrio nel costruire la gestione: questa la mia peculiarità. È stata un’esperienza importante per la mia crescita professionale. Un grazie ai colleghi per il confronto e gli spunti professionali”. (Laura Parbuono)

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iamo giunti all’ultima puntata della Natixis IM Portfolio Cup, un’iniziativa seria costruita come un gioco affinché potesse insegnare divertendo e non educare annoiando. Nessuno più dei protagonisti di questa gara lo può esprimere al meglio, per questo ho voluto raccogliere i loro pensieri in un collage di tweet, che è poi un modo per ricordare chi ha partecipato con il coraggio di mettersi in discussione e rendergli il giusto merito. *** fida divertente e formativa ho conosciuto altri professionisti con i quali ci si è confrontati. Interessanti le interviste ai colleghi, non si inseguono più facili rendimenti ma il rapporto rischio rendimento e la pianificazione finanziaria”. (Paolo Maiolati) *** l confronto ci permettere di misurare chi siamo davvero, di scontrarci con la realtà e soprattutto di scoprire nuovi punti di vista e perché no, imparare qualcosa di nuovo. La Natixis Cup oltre ad un confronto tra validi colleghi è stato un punto di incontro e sviluppo di nuove idee”. (Marco Mattei) *** artecipare alla Natixis Cup è stata un’occasione di confronto con altri colleghi e una sfida professionale avvincente. Il torneo è

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INVESTIRE SPECIALIST

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atixis cup è stata un percorso pieno di sfide e ricco di spunti professionali. Confrontarmi con colleghi preparati e disponibili ha reso questa gara coinvolgente e piacevole. Al di là del risultato finale è stato un modo per dare visibilità a una parte del lavoro che svolgiamo quotidianamente”. (Filippo Vannucci) *** na bella iniziativa: la competizione sana aiuta sempre a migliorarsi, soprattutto in momenti di mercato e di vita complessi come quelli che stiamo attraversando. Complimenti ragazzi e grazie per avermi invitato!”. (Dario Notarangelo) *** ositiva l’idea del “Campionato dei Consulenti” e del confronto che ne deriva con altri professionisti. Eliminerei i titoli singoli dal portafoglio in gara, lasciando spazio ai soli strumenti gestiti: 50% fondi azionari e 50% fondi obbligazionari”. (Francesco Bellocchi) *** a Natixis IM Portfolio Cup è stato un bel gioco e la consapevolezza della tanta strada da fare verso un’adeguata cultura della consulenza finanziaria. Per valutare un buon investimento c’è sicuramente il tempo che in un portafoglio 60/40 è 12 anni e non 12 mesi. Ho notato inoltre una certa ‘fiducia’ nelle proprie capacità predittive, e questo è un tipico bias cognitivo che chi fa educazione finanziaria deve conoscere.”. (Claudio Carella) *** ellissima esperienza, ho imparato molto da tutti i partecipanti. Mi auguro che possa diventare un appuntamento fisso e un riferimento per tutti i consulenti finanziari italiani!”. (Lorenzo Gazzaniga) *** Per ultimo il vincitore Lorenzo Gazzaniga che dopo una partenza silenziosa, è stato capace di calibrare il portafoglio nelle due finestre di mercato che ha avuto a disposizione e con una rimonta in pieno stile “Juventus di Allegri” ha prima raggiunto il podio e poi agguantato lo scettro della prima posizione. Onore al merito a Valeria Tedaldi, prima in classifica ininterrottamente dall’inizio della competizione fino all’ultima curva dove è scivolata a un comunque prestigioso secondo posto. Ci riproverà il prossimo anno? Abbiamo vissuto un anno intero di mercato, con im-

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previsti, volatilità e un’estate di rialzi anomali, il risultato sono rendimenti complessivi brillanti con un draw down contenuto, un ottimo biglietto da visita. In tutto questo abbiamo vissuto il doloroso addio ad Alessandro Gambelli, una delle colonne del gruppo. Perché le perdite umane sono le uniche che non si possono mai recuperare.

GAZZANIGA BATTE DI UN SOFFIO LA TEDALDI. ZELONI SUL PODIO CONCORRENTE

RENDIMENTO

DRAW DOWN MASSIMO INDICATORE COMPOSTO

Lorenzo Gazzaniga

32,96%

10,16%

100,000

Valeria Tedaldi

32,35%

15,79%

91,375

Gabriele Zeloni

25,42%

7,47%

83,819

Francesco Bellocchi

19,17%

3,75%

72,286

Fabrizio Valdrighi

22,95%

12,48%

71,158

Marco Magli

17,20%

9,79%

60,877

Pietro Calì

15,73%

6,40%

60,043

Filippo Vannucci

14,33%

5,36%

57,729

Thomas Cordaro

13,04%

4,29%

55,714

Dario Notarangelo

14,25%

10,72%

50,832

Marco Mattei

8,67%

5,68%

42,661

Paolo Maiolati

14,91%

21,98%

38,486

Alessandro Gambelli

10,43%

18,33%

31,423

Laura Parbuono

3,74%

8,25%

26,678

Silvia Luchi

0,83%

8,96%

18,256

Claudio Carella

-2,18%

17,33%

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PERIODO DI RILEVAZIONE: 15/09/2020-15/09/2021. FONTE: FIDA

CLASSIFICA DECIMA TAPPA: MAGLI SUPERA MAIOLATI GRAZIE AL DRAW DOWN CONCORRENTE

RENDIMENTO

DRAW DOWN MASSIMO INDICATORE COMPOSTO

Marco Magli

2,26%

1,50%

100,000

Paolo Maiolati

3,12%

3,32%

97,313

Alessandro Gambelli

2,37%

2,68%

91,408

Pietro Calì

1,41%

1,56%

86,527

Francesco Bellocchi

0,52%

1,32%

74,961

Thomas Cordaro

0,19%

1,32%

69,919

Marco Mattei

0,05%

1,10%

69,704

Dario Notarangelo

-0,74%

2,17%

48,324

Silvia Luchi

-1,15%

1,57%

47,146

Claudio Carella

-1,06%

2,47%

40,837

Fabrizio Valdrighi

-1,23%

2,19%

40,636

Laura Parbuono

-1,13%

2,53%

39,153

Lorenzo Gazzaniga

-1,19%

2,98%

34,381

Valeria Tedaldi

-2,28%

2,87%

18,696

Filippo Vannucci

-2,76%

3,18%

8,639

Gabriele Zeloni

-2,98%

3,79%

0,000

PERIODO DI RILEVAZIONE DATI: 13/08/21 - 15/09/21. FONTE: FIDA

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IM PORT FOL I O

CUP

IL CF VINCITORE DEL GAME DI INVESTIRE

Gazzaniga: «Primo perché non ho rincorso la performance” di Giacomo Damian

«No ai risultati istantanei: l’investimento sta alla speculazione come la maratona sta ai 100 metri. Se c’è crisi comprare titoli ribassati»

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utti pronti a celebrare il nostro funerale, invece semplicemente abbiamo scritto la storia!” sono le sprezzanti parole usate dal presidente Andrea Agnelli per festeggiare lo scudetto della Juventus della stagione 2015/2016. Parole forti, ma comprensibili, perché quella fu un’impresa storica: dalla dodicesima posizione alla prima, 24 vittorie su 25 partite. Tanto che l’hashtag utilizzato fu #HISTORY. Noi qui non vogliamo usare paragoni impropri, ma quello che ha realizzato il consulente finanziario Lorenzo Gazzaniga (nella foto), vincitore della prima edizione della “Natixis Im Portfolio Cup” è qualcosa di straordinario come l’impresa bianconera: una cavalcata memorabile, cadenzata e regolare che l’ha portato nelle ultime due giornate a superare Valeria Tedaldi che fino a quel momento era stata la leader indiscussa: +32,96% per Gazzaniga, contro +32,25% per la Tedaldi. Lorenzo, esagero a paragonarti a quella Juventus? E soprattutto, hai realizzato che hai vinto il torneo? Sono contentissimo di aver vinto la 1a Natixis Im Portfolio Cup! Soprattutto per la qualità dei partecipanti, uno stimolo in più per primeggiare. Il paragone con la Juventus è lusinghiero, ma fermiamoci solo all’analogia del metodo: la costanza dell’allenamento dei giocatori corrisponde alla continuità delle scelte iniziali prese insieme al cliente sugli strumenti migliori per raggiungere i suoi obiettivi e sui tempi necessari per ognuno di essi, senza cadere nell’errore di rincorrere la performance cavalcando il settore del momento. Lorenzo, nonostante il super rendimento, la differenza l’ha fatta il “drawdown”, in parole più semplici, la tua squadra (il portafoglio) oltre ad avere dei buoni attaccanti, ha 64

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anche una difesa solida, come hai fatto? Il controllo della profondità delle oscillazioni negative, il drawdown, è da sempre un mio punto cardine nell’ideazione di un progetto: oggi esistono diversi strumenti, tradizionali e derivati, che permettono la protezione in caso di turbolenze sui mercati. Per la Natixis Cup ho inserito due fondi decorrelanti e sono riuscito a limitare le oscillazioni negative.

Nella tua descrizione di un anno fa hai scritto che oggi il consulente deve essere un “patrimonialista”, cosa intendevi dire? Il mio lavoro si è evoluto dalla semplice gestione di capitali alla pianificazione della protezione del patrimonio nella sua globalità: le mie competenze quindi devono spaziare dall’ambito fiscale a quello successorio, da quello immobiliare a quello imprenditoriale. Individuo insieme al mio cliente le esigenze e le priorità, le persone da tutelare oggi e dopo di lui, gli obiettivi concreti e i tempi corretti per ognuno di questi, verificando periodicamente l’efficacia delle scelte.

Rischio e rendimento, nella vulgata di oggi se manca uno manca l’altro, tu che ne pensi del concetto di “rischio”? Nella mente del risparmiatore, il rischio è l’incubo di perdere denaro nei mercati finanziari: nei momenti di turbolenza l’emotività lo porta a vendere in perdita pur di eliminare lo stress. Ma nessuno gli ha detto che il tempo annulla tale rischio: al netto dell’inflazione, il rendimento medio dell’indice Usa S&P500 è del 7% circa annuo, a patto di non cedere al panico e perseverare nel progetto iniziale. Oggi però tutti vogliono rendimenti immediati, mentre la performance si costruisce nel tempo: cosa rispondi a chi ti chiede risultati istantanei? Gli rammento due massime che amo ripetere a ogni incontro: l’investimento sta alla speculazione come la maratona ai 100 metri. L’altra: i mercati in crescita ti fanno guadagnare, ma i crolli degli stessi ti faranno ricco! Che tradotto significa: nei momenti di crisi, sangue freddo e comprare i titoli e le posizioni che si sono ribassate.



IM PORT FOL I O

CUP

FOCUS CONCORRENTI

Seguire il “piano di volo” evita turbolenze pure in finanza

“V

di Giacomo Damian

ola solo chi osa farzia, con chiaro già il mio obiettivo: navilo” diceva lo scritgare sul mercato. tore cileno Luis Questo mese hai ottenuto il draw Sepùlveda. Parole down più contenuto, immagino tu scritte forse pensia contento. sando a Icaro, che si era costruito le ali La mia filosofia di consulenza è capidi cera, e osando riuscì a volare. L’errore re innanzitutto i “limiti strutturali” del di Icaro non fu l’azzardo, o il coraggio, ma cliente. La gestione del rischio è primaria l’eccesso di narcisismo, perché oltre a voperché permette una duratura relazione lare, cercò di andare più in alto di tutti, di fiducia con il cliente. Il valore aggiunto avvicinandosi al sole, e così si bruciò le ali della consulenza la ritroviamo proprio e cadde. Sono gli inconvenienti che capinelle situazioni di negatività del mercato. tano anche negli investimenti, specie nei Quando il mercato sale non ho mai sentiperiodi positivi, dove diciamo così, per to un cliente lamentarsi…il mio obiettivo eccesso di confidenza, non ci si accontenè che non si lamentino nemmeno quanta di un buon rendimento, ma si osa per IL CONSULENTE FINANZIARIO MARCO MATTEI do scende! Se il portafoglio è efficiente, il ottenere di più, e alla prima turbolenza, rendimento verrà da solo, a seconda proil portafoglio come l’aereo, perde il controllo e il rendimento prio delle oscillazioni che si è disposti a subire. precipita. Parliamo di volo perché Marco Mattei, consulente Ultimamente però va molto di moda il rischio, si dice ancora molto giovane, ma con la saggezza infusa, ha già capito che senza non c’è rendimento. È così? che proteggersi dal rischio è una componente fondamenta- È la prima e sacra legge del mercato. A oggi, senza rischio, non le, perché il suo coraggio non è orientato all’ottenimento del solo non c’è rendimento ma addirittura una perdita sicura! A miglior rendimento ma alla costruzione di un valore solido. A me la parola rischio non piace. Ha una accezione negativa. È differenza di Icaro, Marco Mattei antepone la sicurezza per il grazie a questa parola se nel medio lungo periodo il nostro cliente al narcisismo personale per il grande risultato. patrimonio cresce. Io preferisco utilizzare il concetto di “oscillazione”. Esiste volo senza turbolenze? No. L’importante è per In pratica, l’importante non è volare più in alto di tutti, il pilota – il consulente - non esporre l’aereo - il portafoglio - e ma salire in quota e mettersi al riparo dalle turbolenze. i passeggeri - i clienti - a inutili turbolenze che generano solo Marco ho sintetizzato bene la tua filosofia di investi- rischi per la sicurezza e paura! mento? Noto però tra i tuoi coetanei, specie quelli che investoHai colto nel segno. Volare alto non è difficile, basta spinge- no in cripto, che l’obiettivo non è solo quello del massire i motori al massimo e alzare il muso. Ma dove si arriva? In mo rendimento, ma di ottenerlo il prima possibile. Cosa alto di sicuro, anche se è più facile perdere l’orientamento e ne pensi? incontrare forti venti che ci scombinano il “piano di volo”. Il Penso che più ripida è la salita, più ripida è la discesa. E più in volo ideale è un viaggio in sicurezza, come un po’ lo è anche alto si sale, più ci si fa male quando si cade. Nessuno ti regala l’investimento. Questo non significa che chi va piano va sano e nulla, tantomeno il mercato che è il peggior professore al monva lontano, semplicemente si può andare veloci evitando inu- do: prima ti interroga e ti bastona, poi ti spiega la lezione. tili rischi. L’ultima domanda è sulle previsioni, si vedono nubi Come nasce la tua passione verso la finanza? all’orizzonte, ci saranno turbolenze? E su cosa pensi di Nasce per caso. Mio padre era direttore di banca e spesso ve- investire per un volo tranquillo? devo sul tavolo del salotto “Milano Finanza” o “Il Sole 24 Ore”. Turbolenze ce ne sono sempre. Ce ne saranno di più forti? Può Sfogliavo le pagine affascinato da quei grafici. La crisi del 2008 essere. Possiamo controllare di essere attrezzati per affrontarmise in crisi anche le linee aeree e le assunzioni, rinunciai così li. La migliore strategia per superarli è la strategia d’investia proseguire nell’immediato gli studi aeronautici. Nel contem- mento stessa! Tralasciando le frasi fatte, io penso che un portapo volevo capire cosa stava succedendo sul mercato e cosa si foglio ben diversificato ed efficiente sia la migliore scelta. Sono potesse fare per “recuperare”. E così iniziai l’università a Vene- sempre stato scettico sulla Cina. Da sempre. 66

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SEDIE & POLTRONE di Marco Muffato Casacche che si scambiano, volti noti che passano da un ruolo all’altro: il valzer delle poltrone è intenso nella finanza, dove vige ancora il merito e dove chi rende bene viene promosso o ricoperto di offerte allettanti. Agli HR il compito di attrarre i talenti, a noi quello di raccontare il risiko, oltre a notizie e indiscrezioni su un mondo ricco di costanti novità.

B. LOMBARD ODIER, BRIVIO SFORZA MANAGING DIRECTOR DEL PRIVATE BANKING

B

anca Lombard Odier & Co SA ha nominato Alberica Brivio Sforza (nella foto) managing director per le attività di private banking del gruppo in Italia. La Brivio Sforza è basata a Milano e riporterà a Henry Fischel-Bock, ceo di Lombard Odier (Europe) SA (Loesa) e a Stephen Kamp, head of Southern Europe & Latin America nell’unità private clients. La Brivio Sforza, che raccoglie il testimone da Giorgio Riccucci che ha intrapreso una nuova sfida professionale, lavora nel settore bancario da oltre 20 anni. Ha

iniziato la sua carriera tra Milano e Londra, in particolare al New York Stock Exchange, prima di riorganizzare e sviluppare le attività internazionali di Longview Partners AM. Nel 2010 è entrata in Julius Baer Italia SpA come responsabile della strategia e del business development. È stata poi per head of wealth management, responsabile delle relazioni UNHWI e HNWI in BNP Paribas. Nel 2016 la nomina a managing director del wealth management di JP Morgan International Ltd a Milano, gestendo un team di senior banker.

HSBC, TAVANO CRESCE IN EUROPA

H

SBC ha annunciato la nomina di Anna Tavano (nella foto) come co-head of global banking Continental Europe di HSBC a partire da questo 1 ottobre. In aggiunta alle sue attuali responsabilità come head of global banking Italia, nel suo nuovo ruolo la Tavano guiderà tutte le attività di global banking in Francia, Grecia, Irlanda, Lussemburgo, Paesi Bassi, paesi nordici e Spagna. Tavano vanta un’esperienza professionale di più di 25 anni - di cui 20 trascorsi nel settore bancario a Londra e Milano e quattro nel settore pubblico. È entrata in HSBC nel dicembre 2018 come head of global banking Italy. Tavano inoltre diventerà membro degli executive committes di HSBC Continental Europe e di HSBC Banking Europe.

VONTOBEL, A FIASCHINI I CERTIFICATI

V

ontobel annuncia l’ingresso di Jacopo Fiaschini (nella foto) e di Gino Ercole Zincone: entrambi saranno interamente dedicati al presidio e allo sviluppo del mercato italiano dei certificati, dove la società è presente dal 2016. Fiaschini, che assumerà il ruolo di responsabile per il mercato italiano/ flow Products Distribution Italia, arriva in Vontobel dopo oltre tre anni di esperienza come analista in Certificati&Derivati. Al suo fianco lavorerà Gino Ercole Zincone, anche lui in Certificati&Derivati prima dell’esperienza in Martingale Risk. Entrambi si interessano di certificati sin dalla laurea magistrale, conseguita alla Luiss Guido Carli a Roma.

ISIDORO APPRODA IN CREDEM

P

aolo Isidoro (nella foto) entra a far parte della direzione commerciale della consulenza finanziaria Credem a fianco del direttore commerciale Moris Franzoni. L’ingresso di Isidoro nello staff della direzione commerciale consulenti finanziari ha l’obiettivo di rafforzare la struttura della rete, a dimostrazio-

ne della centralità della consulenza finanziaria all’interno delle strategie di sviluppo del gruppo Credem. Isidoro, 58 anni, pescarese, ha maturato oltre 35 anni di esperienze manageriali in direzione di reti di cf ricoprendo da ultimo il ruolo di responsabile sviluppo rete di IWBank (gruppo Intesa Sanpaolo).

FINECO, AMADEI RAFFORZA IL TEAM

C

resce la rete dei consulenti di Fineco in Lombardia. L’area manager Stefano Amadei (nella foto) accoglie un consulente finanziario di esperienza nella sua struttura: si tratta di Claudio Vanzan, che si unirà alla squadra del group manager Danilo De Laurentiis a Milano. Dopo aver iniziato la

68

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sua carriera in Banca Sella, Vanzan ha ricoperto negli anni diversi ruoli di rilievo in diverse realtà italiane ed estere, fino ad entrare nel 2016 in Banca Intermobiliare in qualità di relationship manager e di responsabile della filiale di Milano, dove si occupava della gestione dei grandi patrimoni.


PROFESSIONE CONSULENTE

LE BORSE VANNO BENE, DEVO PREOCCUPARMI? NOI CF MEGLIO DEI ROBOADVISOR

Risponde Francesco Priore all’indirizzo priore.studio@virgilio.it Startupper e decano della consulenza finanziaria, Priore ha fondato l’Anasf e contribuito alla fondazione dell’Albo. Docente Universitario, autore e consulente di comunicazione e marketing finanziario

Gentile professor Priore,

Caro Francesco,

ho avuto il timore che la pandemia potesse

ci siamo rivisti con piacere a #SdR 21.

portare ad un netto calo dei corsi azionari

Ne ho ricavato alcune impressioni e vorrei

timore smentito dai fatti. Un’altra situazione

sapere se le condividi. I professionisti,

che si direbbe positiva invece continua a

mai tanti consulenti finanziari a un

preoccuparmi, le borse stanno crescendo

Salone, un’atmosfera rilassata, la voglia

ovunque, in alcuni casi continuano a battere

di partecipare, il piacere di socializzare,

primati. Sino a quando continuerà questo

tante consulenti, un marketing più sobrio.

ritmo sostenuto, è in arrivo una bolla,

Ma circolava il timore latente che il fintech

si possono fare previsioni? E mi converrebbe

possa sottrarci una porzione di mercato.

disinvestire finché sono in tempo?

Che ne pensi?

C

Giancarlo D.

aro dottor Giancarlo, mi auguro che lei sia seguito da un buon consulente finanziario e questa lettera corrisponda all’esigenza di avere un secondo parere. Non conosco nei dettagli la sua situazione, ma prima di prendere una decisione così drastica deve verificare che ogni porzione degli investimenti destinata ai suoi diversi obiettivi abbia un orizzonte temporale coerente con il raggiungimento degli stessi. Non si possono fare investimenti analoghi per obbiettivi temporalmente diversi. Se tutti i suoi obiettivi fossero a medio e lungo termine da 10 o 15 anni in su, se si fosse affidato a dei buoni gestori, potrei dirle: lasci le cose come stanno e lasci fare ai suoi gestori. Qualora dovesse verificarsi una bolla, se può investa ancora quando i valori scendono nettamente, medierà i prezzi e avrà dei risultati migliori nel tempo. Basta guardare la maggior parte degli indici di borsa per periodi analoghi, per capire che sul lungo termine è una tattica vincente, anche se qualche indice come il Nikkei dopo un periodo più lungo non è tornato ancora sui massimi. Uscire e mantenere la liquidità, con le attuali remunerazioni negative e la rapida crescita dell’inflazione non sembrerebbe una scelta opportuna. Spostarsi sui bond con il rischio che i tassi salgano e i corsi crollino forse ancora meno. Scelga col suo consulente le soluzioni più adatte anche per il suo profilo di rischio, oltre che di orizzonte temporale. Nessuno è in grado di indovinare il momento giusto, diversificare, affidarsi a un buon consulente, affidarsi a gestori di comprovata competenza è la soluzione più efficace, entrare e uscire, lasciarsi tentare dall’avidità o dal terrore di perdere tutto è la peggiore. Quelli che indovinano il momento giusto al 99% sono stati fortunati, perché c’è una sola certezza nel mercato: oscillerà sempre. Auguri

Donatella C.

G

entile Donatella, anche a me ha fatto molto piacere incontrarti, la pandemia ha limitato gli incontri. La pandemia, questo cigno nero per l’umanità e in un primo momento anche per la nostra professione, si è rivelato invece una leva di crescita per il settore. Abbiamo imparato a lavorare a distanza, ad assistere molto di più risparmiando i tempi dei trasferimenti, a pianificare gli appuntamenti, infine il mercato e l’accumulo di risorse dei nostri clienti ha fatto crescere il portafoglio del risparmio gestito e ovviamente il nostro. L’atmosfera rilassata dipende anche da questa situazione: clienti soddisfatti e di remunerazioni coerenti. L’aumento delle consulenti e delle conferenze dedicate alla formazione delle stesse e alla maniera di approcciare le clienti prospect dà la misura di come stia sviluppandosi questa parte del mercato. Si attrae di più con testimonial che non con delle più che fascinose hostess. Non è più il Salone dedicato ai cf ma anche alle cf. Gli stand sono più fantasiosi, ecologisti e sostenibili come i gadget distribuiti. Meno studenti e meno pubblico mi sembra, il terzo giorno: non è più una Fiera ma un evento per i professionisti. Rispetto a eventi analoghi in Usa e in Inghilterra c’è tuttora una grossa differenza, lì i Ceo, i numeri uno di ogni azienda, sono presenti di persona al proprio stand dall’apertura alla chiusura e colloquiano con ogni singolo financial advisor. I nostri snobbano questo rapporto. Gli unici a non snobbare i cf sono pochi, sempre meno, i country head di importanti società anglosassoni. Il fintech e l’AI sono un ulteriore spinta alla crescita professionale, dobbiamo essere più bravi e competenti di questi strumenti, acculturiamoci per palesare tutto il nostro potenziale professionale, il rapporto con un cf deve essere sotto ogni punto di vista migliore di quello con un roboadvisor. Ne convieni? ottobre 2021

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L’EVENTO DI INVESTIRE AL SALONE DEL RISPARMIO

Dai conti inerti alle imprese il denaro si sposta se capisce perchè di Riccardo Venturi

L

a crescita del private equity e le difficoltà nel convincere i risparmiatori italiani a investire la liquidità depositata nei conti corrente; l’ottimo livello del risparmio e la mancanza di cultura finanziaria nelle famiglie e nelle imprese; il tessuto di Pmi italiane che chiedono finanziamenti e le dimensioni troppo ridotte dell’offerta finanziaria; l’interesse di fondazioni e casse di previdenza per i real asset e i vincoli legislativi che ne limitano gli spazi di manovra. Aspetti positivi e criticità sono emersi con chiarezza nel corso della conferenza “Previdenza e risparmio alla prova dei real asset”, organizzata da Investire al Salone del Risparmio, il grande evento di Assogestioni tornato in presenza. Dopo l’introduzione del caporedattore di Investire Marco Muffato, la parola è passata a Federico Visconti, rettore della Liuc - Università Cattaneo, che ha condotto il dibattito (complimenti per la verve). A Simone Cremonini, managing partner di Synergo, Visconti ha chiesto cosa sta succedendo nel rapporto tra fondi di private equity e risparmio. «Noi di Synergo inventiamo progetti e poi gestiamo fondi di private equity e venture capital» ha spiegato Cremonini. «Raccogliamo capitali dagli investitori e li investiamo direttamente in economia reale. Nel caso del private equity si tratta di aziende già avviate di media dimensione, in quello del venture capital di startup. Siamo in contatto direttamente con il mondo degli investitori e anche con quello delle aziende. Dal punto di vista della raccolta, i fondi hanno sempre raccolto da fondi istituzionali o professionali che hanno una durata medio lunga, 7/10 anni, illiquidi e con un profilo di rischio più elevato. I fattori macroeconomici attuali con i tassi negativi hanno fatto sì che si sia creata domanda da parte delle aziende per questo tipo di fondi e del risparmiatore per allocare diversamente i propri capitali. Abbiamo adottato anche una raccolta innovativa direttamente dal risparmiatore. Vediamo segnali di ripresa, anche se il venture capital è molto più indietro in Italia rispetto ad altri Paesi». Federico Ghizzoni, presidente di Rothschild Italia, ha risposto a una domanda di Visconti su cosa sta succedendo al risparmiatore italiano che affronta sfide come quelle descritte da Cremonini. «I risparmi depositati sono aumentati, siamo a oltre 1600 miliardi, soldi a tasso zero che con un rendimento dell’1,5% sarebbero 20 miliardi di ricchezza in più» ha scandito Ghizzoni. «C’è ancora un atteggiamento cauto, di scarsa confidenza verso il futuro; ben vengano dunque aperture come quelle verso il private equity. Inoltre c’è una percezione di arretramento del welfare, l’italiano si sente meno protetto. Siamo un paese che vive di obbligazionario storicamente, e poi ci spo70

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FRANCESCO VISCONTI IN PIEDI. DA SIN. NICO GRONCHI E SIMONE CREMONINI

stiamo sull’azionario; nel mondo anglosassone è il contrario, il paradigma è opposto. La cosa positiva è che il risparmio c’è. Per quanto riguarda il private equity, è dominante in Italia quello estero. Perché non lo facciamo con il risparmio italiano che investe in aziende italiane? Occorre cultura finanziaria, anche sul fronte degli intermediari finanziari, il coraggio di proporre soluzioni nuove, di spiegare al cliente di cosa sta parlando, di investire sulla cultura finanziaria. Il momento è molto favorevole, se non lo facciamo adesso non lo facciamo più». A Nico Gronchi, vicepresidente nazionale di Confesercenti, il rettore della Liuc ha chiesto dal punto di vista delle imprese qual è il rapporto con il capitale. «È un rapporto che sta maturando un passo alla volta ma con grande difficoltà, in questo Paese che si basa su 3 pilastri storici: il risparmio che fa gola a molti, come diceva Ghizzoni; un sistema fortemente bancocentrico, si trattava il direttore di banca come una specie di socio occulto salvo accorgersi negli ultimi 20 anni che non era così; e le imprese che si confrontano con un con sistema che si sta terziarizzando» ha detto Gronchi. «Non siamo adeguatamente pronti sul fronte del credito diretto alle imprese: i numeri come sempre sono impietosi. Non lo siamo sul sistema delle garanzie, anche se nel 2020 l’avvento del ruolo del fondo centrale è intervenuto con numeri importanti. Dal 20 marzo 2020 198 miliardi, il 10% del Pil è stato garantito dallo Stato verso... SCANSIONA IL QR-CODE PER CONTINUARE A LEGGERE


a cura di Martina Zanetti

il meglio del salone del risparmio

«I

ANTONIO BOTTILLO, Country head di Natixis Im

nvestimenti tematici? È il momento del wellness», afferma Antonio Bottillo, country head di Natixis Im rispondendo alla domanda sulle linee di tendenza degli investimenti tematici. «I Mega trend hanno contribuito alla costruzione del portafoglio, alla capacità di deliberare rendimenti e secondo me si sono comportati bene anche nelle situazioni di maggiore difficoltà, quindi hanno manifestato resilienza. Sicuramen-

I

te un tema che continuerà ad essere di interesse per il mondo degli investitori». «Sull’investimento tematico le linee di

tendenza, che possono dare buoni risultati, sono sicuramente la digitalizzazione, con strategie che trattano la sicurezza ad esempio, che avranno un’opportunità di offrire un contributo a livello di portafoglio, ma fra tutte che rientra negli obiettivi delle agenzie a livello internazionale, il wellness, che ha un universo investibile intorno 1,5 trilioni di dollari».

LORENZO ALFIERI, Country head Italy di JP Morgan Am

ntervento dedicato all’economia cinese quello di Lorenzo Alfieri, country head Italy di JP Morgan Am. «Oggi il mercato

azionario cinese è il secondo per dimensioni al mondo, e quello obbligazionario è diventato il secondo più rilevante nel settore». «La Cina», continua Alfieri, «occupa un posto di primaria importanza, con una crescita prevista per i prossimi tre anni superiore al 6%. Questo grazie alle recenti misure adottate dal governo con una pianificazione di forti investimenti. Questa trasformazione permetterà a circa 470 milioni di cinesi di entrare a far parte della middle class, quindi potenziali consumatori

per i mercati internazionali e di conseguenza un’interessante opportunità per tutte le aziende anche italiane. I settori forti in Cina sono infrastrutture, digitale, nuove energie come il solare, di cui è il primo produttore, sia nella creazione di pannelli solari, ma anche nella produzione di energia, così come nell’healthcare, e a questi noi guardiamo con maggiore interesse».

SIMONE ROSTI, country head Italy di Vanguard

«A

quasi tre anni dall’ingresso sul mercato italiano, abbiamo raccolto la fiducia degli investitori con diversi miliardi investiti nei nostri prodotti», dichiara Simone Rossi country head Italy di Vanguard. «Inizia dunque ad essere capita la nostra filosofia, c’è ancora strada da fare, ma la percezione di un prodotto a basso costo, indicizzato e passivo come l’Etf è sempre

più presente nelle menti degli investitori italiani. All’interno del mercato degli Etf negli ultimi anni ci sono state nuove opportunità, la possibilità di investire in Esg, di utilizzare strumenti più diversificati, l’accesso a nuovi mercati, di recente anche a strumenti ancora più innovativi seppur molto semplici come i prodotti che abbiamo lanciato alla fine del 2020, i Vanguard lifestrategy Etf, Etf multi asset che permettono di prendere esposizione a 20mila titoli sottostanti tramite un investimento in un solo codice Isin

a un costo di 0.25%, un portafoglio che può rappresentare la parte core degli investimenti dei risparmiatori».

NICOLÒ RABITTI, responsabile distribuzione Italia di Morgan Stanley Im

«G

estione attiva, il fattore umano è ancora vincente», risponde così Niccolò Rabitti, responsabile distribuzione Italia di Morgan Stanley Im alla domanda se gli algoritmi applicati all’asset management saranno centrali anche nella gestione attiva. «È innegabile che la tecnologia sta avendo e avrà delle notevoli ripercussioni per gli investitori, secondo noi il fattore umano è ancora centrale per quanto riguarda la gestione attiva, è

ancora molto importante avere le persone giuste, il team di gestione, ma soprattutto il processo di investimento, in questo rite-

niamo che ci sia il valore aggiunto per gli investitori. Nel futuro sicuramente ci saranno le strategie attive che manterranno il loro dna, con le persone al centro e poi ci saranno altre tipologie di gestioni in cui la tecnologia consentirà determinate scelte di investimento, probabilmente marceranno su territori paralleli per i prossimi anni».

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ECONOMIA REALE

Impresa familiare e private equity un matrimonio che si può fare di Sergio Luciano

C

Il Next Generation Eu rappresenta lo stimolo ideale per le imprese di famiglia e per le pmi in generale, al fine di sostenere la loro crescita e favorire il riposizionamento competitivo

on 50 operazioni al mese contro 1 quotazione in Borsa, il private capital si è chiaramente affermato come la “via italiana” verso l’apertura delle imprese al mercato. Com’è nato questa tendenza? Quali “apostoli” ha trovato l’imprenditoria italiana per capire che grande opportunità poteva derivarle dai fondi di private equity e più recentemente private debt? Economy lo ha chiesto a Fabio Pompei, amministratore delegato di Deloitte, un’azienda da sempre attiva al private capital e storico partner di Aifi, di cui Investire ed Economy sono media-partner. “Già prima della crisi era possibile vedere un timido cambio di mentalità – risponde Pompei - ma quanto abbiamo vissuto negli ultimi diciotto mesi ha accelerato il trend. La crisi attuale non va più vissuta come una situazione patologica, quanto come una chance da cogliere per crescere e innovare i business in ogni settore dell’imprenditoria italiana. Si tratterà di un percorso lungo e diverso dai quelli tradizionali, ma le aziende dovranno essere in grado di fare una pianificazione strategica a lungo termine, a cinque-dieci anni, con gli investitori che dovranno essere in grado di sostenere le iniziative lungo questo percorso temporale. Come sottolineato anche dalla Banca d’Italia ‘sostenere nel tempo gli effetti sulla crescita degli interventi previsti nell’ambito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza richiede attenzione alla loro efficacia nell’aumentare non solo la domanda aggregata, ma anche la capacità produttiva del Paese e che le riforme previste abbiano concreta attuazione’. Tutto il Sistema Paese è parte di questo cambiamento che ci guiderà verso una dimensione nuova. L’impresa di famiglia che apre al private capital deve comunque compiere un salto culturale e logico. Quale movente può spingerla a tanto? Per tutelare e far crescere il nostro tessuto economico è venuto il momento delle scelte, perché ‘piccolo non è più bello’ e le imprese italiane a livello globale competono con realtà spesso molto grandi e ben strutturate. Diventa strategico puntare sulla dimensione delle società in modo da far emergere operatori industriali e finanziari, anche domestici, che fungano da aggregatori nei vari comparti. In più va ricordato che ci sono molti fondi d’investimento con ingenti somme di liquidità, che monitorano costantemente il mercato alla ricerca di aziende pronte a mettersi in gioco e a cambiare pelle al fine 72

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Fabio Pompei, amministratore delegato di Deloitte

di rispondere ai nuovi bisogni che sono nati dalla pandemia. A questo proposito Deloitte, essendo un network globale e quindi un osservatorio privilegiato, assiste le aziende italiane con una visione più ampia e un approccio di respiro internazionale su operazioni di M&A, coprendo tutti gli ambiti non solo quelli amministrativo-finanziari, ma anche quelli fiscali, legali, IT e Cyber, ambientali e organizzativi. Come spiega il miglior semestre di sempre per i fondi private debt in base ai dati presentati da Deloitte e Aifi in occasione della quarta edizione del Private Debt Award?


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Negli ultimi mesi caratterizzati dall’impatto pandemico, il mercato del private debt ha svolto un ruolo fondamentale, aiutando in modo concreto le piccole e medie imprese nel fronteggiare la crisi. Il capitale di debito ancora una volta ha confermato la sua importanza, supportando e rilanciando l’economia reale verso il ritorno a un orizzonte di investimenti e sviluppo per tutto il sistema imprenditoriale italiano. Questa rappresenta una delle vie privilegiate per sostenere la competitività e innovare nel nuovo contesto. Non a caso i fondi in questione hanno realizzato investimenti ingenti, verso 356 aziende per 769 milioni di euro, e hanno raccolto la cifra record di 642 milioni nei primi sei mesi del 2021. Non c’è dubbio che, come già ricordato dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ‘il ruolo del mercato sia centrale nel processo di ripresa’ e bisogna favorire il rafforzamento patrimoniale delle imprese, la loro crescita dimensionale e la competitività sulla strada verso la ripresa. La finalizzabilità di un’operazione di private equity verso lo sviluppo è ovvia ed è il presupposto di ogni deal. Ma cosa poi prevale, all’atto pratico, nel vissuto di un’impresa che si apra al private capital: la manageralizzazione spersonalizzante, la digitalizzazione, l’internazionalizzazione o la crescita per linee esterne che ne cambia il dna? Digitalizzazione e internazionalizzazione sono le sfide chiave da vincere per compiere un vero e proprio salto di qualità. Le imprese da sole non possono farcela e prima di arrivare a trend consolidati, serve un disegno organico di riforma volto a costruire un Paese all’avanguardia, dotato di infrastrutture digitali abilitanti e altamente innovative. Le lacune sulla connettività a banda larga, sull’integrazione delle tecnologie digitali, sulle reti ad alta capacità e sui servizi pubblici digitali vanno colmate per raggiungere punteggi adeguati con la media europea e permettere al Paese di esprimere a pieno le sue potenzialità. L’altro aspetto da potenziare riguarda, come detto, l’internazionalizzazione perché da sempre le piccole e medie imprese italiane sono rinomate in tutto il mondo per la qualità dei loro prodotti, ma spesso tale qualità rimane solo percepita e non fruita a livello globale. L’in-

ternazionalizzazione è un elemento strategico di successo nel facilitare la ripresa della nostra economia quindi ben vengano iniziative che vadano in questa precisa direzione. Può conservare un’identità familiare un’impresa che venga investita da un fondo, e se sì a quali condizioni? Sì, a patto di saper cogliere le opportunità legate al nuovo contesto. Mi riferisco a nuovi modelli di business, a un piano strategico di ampio respiro che sia in grado di contemplare le direttrici di sviluppo delineate dal piano di rilancio Next Generation EU. Quest’ultimo rappresenta lo stimolo ideale per le imprese familiari, e per le PMI in generale, al fine di sostenere la loro crescita e favorire il posizionamento competitivo anche sui mercati internazionali. Potenziare queste realtà significa tutelare le eccellenze del nostro Paese, a partire dal Made in Italy, dove spesso la frammentazione e le ridotte dimensioni dei player hanno avuto riflessi non ottimali sulla competitività e sulle reali capacità di investimento. Next Generation Eu proietta l’Europa e l’Italia verso un futuro più digitale, sostenibile e votato all’innovazione, che rappresenta il riferimento prioritario soprattutto per le aziende del nostro Paese. Deloitte è in prima linea, al fianco delle imprese, per combattere il cambiamento climatico. In cosa consiste il lancio dell’iniziativa Goal 13 Impact Platform? Abbiamo realizzato una piattaforma online per raccogliere le azioni chiave e le migliori pratiche che le imprese mettono in campo per combattere il cambiamento climatico: si tratta di uno strumento unico in grado di amplificare i progressi contro l’emergenza climatica, di facilitare l’apprendimento e la collaborazione tra le aziende per un’azione collettiva verso sfide condivise. Dalla ricerca legata alla piattaforma è emerso che nel nostro Paese le imprese mostrano una prospettiva positiva nei confronti del climate change, con quasi il 50% delle realtà che considera le opportunità di business legate al clima come driver chiave per l’azione, rispetto al 23% delle aziende che considera il cambiamento climatico puramente come un rischio. Le imprese italiane, a testimonianza dello sforza tangibile da parte della comunità imprenditoriale, sono già in campo per ridurre il proprio impatto ambientale, puntando soprattutto su rinnovabili ed efficienza energetica. Deloitte è intenzionata ad accompagnarle lungo questo nuovo cammino: un impegno che intendiamo realizzare con “Impact for Italy”, il progetto e la filosofia che abbiamo lanciato in Italia nel 2020 con l’obiettivo di contribuire a una crescita più sostenibile e alla competitività del Sistema Paese. L’ultima Deloitte Global 2021 Millennial and GenZ Survey ha ribadito che la disoccupazione è uno dei patemi principali dei nostri giovani. Il vostro network come risponde? Siamo consapevoli dell’epoca che stiamo vivendo e, nonostante un contesto complesso e in mutamento, continueremo a investire sui giovani. Abbiamo già annunciato 1.200 nuovi ingressi entro la fine del 2021 e circa 3.000 entro la fine dell’anno fiscale con chiusura a maggio 2022. In più, nell’anno fiscale archiviato a maggio 2021 Deloitte in Italia ha assunto oltre 2.400 persone ed erogato oltre 320 mila ore di formazione. Punteremo soprattutto sulle competenze Stem, divenute ormai componente strategica per lo sviluppo economico e sociale del Paese, nonché conoscenze imprescindibili in ogni settore. ottobre 2021

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GLI EVENTI DI INVESTIRE

Il private capital, asso nella manica del quarto capitalismo italiano di Luigi Orescano

«B

anche e borsa continueranno a svolgere un ruolo importantissimo per il sistema imprese ma accanto a loro emergerà il ruolo del capitale privato necessario per le aziende che vogliono crescere»: con questa sintesi Innocenzo Cipolletta, presidente di Aifi e capitano di lungo corso della finanza aziendale italiana, ha indicato la strada di una virtuosa compatibilità tra il mercato azionario e il settore del private capital per il bene delle piccolee medie imprese italiane, il cosiddetto “quarto capitalismo”. E il governo – presente all’evento “phygital” organizzato a Milano sul tema con il “fior fiore” degli operatori non solo nazionali – ha subito risposto all’appello con Laura Castelli, viceministro all’Economia, che si è collegata all’evento dal ministero per annunciare probabili novità legislative: «Spero che il ddl Concorrenza si riescano a inserire norme su questo settore, per esempio su fusioni e acquisizioni, governance. Per quanto riguarda la leva fiscale può entrare in gioco ma in combinazione con la politica economica. Qualunque azione va filtrata da un ragionamento su quale Paese vogliamo essere tra dieci anni». E qualcosa deve cambiare anche sul fronte degli investitori istituzionali: «Il settore delle assicurazioni in Italia non fa quello che deve fare, diversamente dalla Francia che ha deciso che gli operatori assicurativi destinassero una parte di denaro verso questi tipi di investimento. Anche noi dobbiamo

indurre le assicurazioni a prevedere una quota degli investimenti verso questi investimenti alternativi». Investire ha organizzato l’evento per inaugurare una nuova fase della propria attività editoriale che moltiplicherà l’attenzione verso questo settore, ormai diventato un vero e proprio driver dello sviluppo delle imprese italiane. E, d’intesa con Francesco Priore – fondatore di Financial Agorà e senatore della consulenza finanziaria in Italia – sta studiando il mercato per lanciare nel 2022 nuove iniziative di confronto e dibattito tra gli operatori e appunto il mondo delle imprese. E di operatori ve n’erano di qualificatissimi: da Green Arrow a Fondo Italiano d’Investimento, da Value Italia a Carlyle, da NB Aurora Neuberger Berman, da Fsi a Vertis a Digital Magics, Eureka, Claris, Guber Banca, Anthilia, Antares, Nsa, Riello Investment Partners. Molto apprezzato un key-note speech di Rodolfo Errore, presidente della Sace, che ha sottolineato il valore evolutivo che la relazione con un fondo di private equity può avere per un’imprea media, accrescendone la cultura gestionale e in particolare finanziaria. Applaudita la conclusione macroeconomica dell’economista americano Jean Ergas. «Siamo un Paese di risparmiatori con 4000 miliardi di fondi che unito all’azione degli investitori istituzionali può diventare risparmio produttivo accompagnandoilmondodelleimpreseaunapiena ripresa: sì il private capital in questo quadro è una soluzione importante».

Il “gotha” nazionale (e non solo) di private equity, venture capital e private debt a confronto con il governo

DA SINISTRA: AMEDEO GIURAZZA, INNOCENZO CIPOLLETTA, JEAN ERGAS, LAURA CASTELLI, LUISA TODINI, MARCO CANALE, MARCO GAY, RODOLFO ERRORE

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ADVICE&REAL ESTATE

La consulenza «private» accelera col mattone di Mario Romano

O

Non solo investimenti, oggi le reti di private banking guardano anche alla consulenza sugli immobili. Maria Ameli (Banca Generali): «Il mercato immobiliare è complesso, occorre analizzare ogni proprietà per capirne i rischi e i benefici»

ttimismo. È questa la parola chiave che meglio descrive ora il mercato immobiliare italiano. È quanto certifica Nomisma che, per l’anno in corso, prevede oltre 650mila operazioni di compravendita residenziale in Italia. Un dato importante che riporta i volumi addirittura sui livelli del 2007 e spinge anche i prezzi che cercano la risalita nonostante le pressioni inflattive. E a ritagliarsi un ruolo di primo piano in questo mercato così tanto amato dagli italiani non ci sono solo gli operatori di settore, ma anche le reti di consulenza finanziaria che si stanno trasformando in un vero e proprio punto di riferimento a 360 gradi per i patrimoni della clientela private. «La pandemia ha evidenziato una volta di più quanto sia fondamentale approcciare in maniera integrata il proprio patrimonio familiare, non considerando solo la componente finanziaria ma anche le proprietà immobiliari, la fiscalità, le MARIA AMELI partecipazioni aziendali e i delicati aspetti successori», conferma a Investire Maria Ameli, responsabile dei servizi non finanziari di Banca Generali, che aggiunge: «In Banca Generali ci siamo mossi già da diversi anni con un approccio integrato che consente ai nostri private banker e wealth advisor di essere un vero e proprio punto di riferimento per qualunque tipo di richiesta patrimoniale dei clienti». Un approccio che si sta rivelando premiante per la banca guidata dall’amministratore delegato Gian Maria Mossa. Da inizio anno, le masse in gestione hanno superato gli 80 miliardi di euro, grazie ad una raccolta in costante crescita che, in soli 8 mesi, ha già raggiunto quota 5,1 miliardi di euro. E tra i nuovi clienti è in aumento il numero di quelli che si avvicinano a Banca Generali anche grazie ai servizi di consulenza sulla componente patrimoniale storicamente preferita dagli italiani, ovvero proprio il mattone. Nel corso degli anni, Banca Generali ha infatti dato vita ad un vero e proprio ecosistema di partnership per consentire ai propri banker di erogare qualunque tipologia di servizio di cui il cliente abbia bisogno. Sono nati così gli accordi con società leader di mercato che aprono alla clientela private una serie di possibilità: dalla semplice valutazione all’analisi strategica del patrimonio immobiliare; dai servizi tecnici a quelli di dismissione e acquisto;

dalle certificazioni alle richieste di affitto breve. Non manca poi ovviamente l’assistenza su quello che è il provvedimento principe che ha rilanciato il mercato immobiliare italiano, ovvero il Superbonus 110% che durerà almeno fino alla fine dell’anno in corso. «Da inizio anno abbiamo già gestito oltre 1000 segnalazioni, un vero e proprio boom di richieste che dà una visione ben chiara di quale sia lo stato di salute del settore. Si tratta non solo di domande relative all’accesso al Superbonus, ma anche di iniziative su immobili commerciali o strutture ricettive. Quello che la clientela sta capendo è che oggi gli immobili possono essere trattati alla stregua di un asset finanziario per ottenere rendimento e ampliare la diversificazione del patrimonio», aggiunge ancora Ameli. Oggi infatti i confini della consulenza patrimoniale si sono allargati parecchio sfruttando la tecnologia, tanto che nel settore si parla apertamente di digital real estate. Un segmento in cui anche Banca Generali si è tuffata, selezionando due delle società italiane più interessanti nel settore – Homepal e CleanBnB – e integrando la loro offerta all’interno di BG Personal Advisory. In questo modo i private banker della Banca del Leone possono aiutare i propri clienti a individuare tutte le potenzialità del mercato immobiliare, partendo dagli affitti brevi fino ad arrivare all’analisi del proprio patrimonio immobiliare attraverso i big data. «Oggi il mercato immobiliare presenta complessità tali per cui il vero potenziale di un immobile può essere compreso solo attraverso una accurata analisi di contesto. Per questo sfruttiamo l’analisi dei dati elaborata dalla nostra piattaforma che ci consente di generare un report utile a valutare il rendimento effettivo di un immobile, comprendendone i rischi e i costi. In questo modo, per il cliente è semplice farsi un’idea chiara dell’opportunità o meno di mantenere il bene all’interno del proprio patrimonio», conclude Ameli. ottobre 2021

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MERCATO

Roma tornerà capitale anche nel real estate di Franco Oppedisano

P

Dopo i cali significativi dei prezzi degli appartamenti nell’ultimo trimestre e i volumi degli investimenti non residenziali crollati del 50% nel 2020, per la città capitolina in arrivo la riscossa

rezzi degli appartamenti in calo nell’ultimo trimestre, unico dato negativo tra le grandi città italiane, e volumi degli investimenti non residenziali crollati nel 2020 del 50% rispetto all’anno precedente. Il quadro disegnato dall’Istat e da Bnp Paribas Real Estate del settore immobiliare a Roma non potrebbe essere più fosco, ma proprio per questo motivo i margini di miglioramento sono enormi e nei prossimi cinque anni potrebbero moltiplicarsi gli investimenti, anche stranieri, e i prezzi degli immobili potrebbero salire di oltre il 15%. Almeno questo emerge dalla ricerca realizzata da Scenari Immobiliari, in collaborazione con Fabrica Immobiliare Sgr, dal titolo “Roma 2030 - La capitale nel nuovo scenario internazionale”, che ha analizzato lo stato di salute della metropoli e, sulla base di dati e pareri autorevoli, ha voluto evidenziare le opportunità di rinascita che la città sta mostrando in questo momento, a dispetto dei dati e, soprattutto, della percezione non positiva che aleggia tra gli investitori e nell’opinione pubblica. Secondo Scenari Immobiliari, infatti, dopo un periodo caratterizzato da stabilità dei prezzi medi degli immobili in centro città, con un calo della periferia, Roma è lanciata verso grandi opportunità di recupero, potenzialmente tra le più alte in Europa. Le previsioni di crescita per i prossimi cinque anni la pongono, infatti, al secondo posto tra le capitali europee, con un incremen-

Quale segmento immobiliare sarà privilegiato nei prossimi anni nella città di Roma? [Risposte multiple] Residenziale

80,0%

Hotel

76,7%

Student Housing

46,7%

High street

30,0%

Uffici

30,0%

Sanità Senior Housing Logistica GDO/Centri commerciali

16,7% 13,3% 10,0% 6,7%

FONTE: SCENARI IMMOBILIARI E FABRICA IMMOBILIARE SGR

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to potenziale del 15,4% in cinque anni, secondo solo a Parigi (+19,3%), molto di più di Londra (+11,4%), Madrid (12,7%) e Berlino (+14,7%). «Dalla nostra analisi sulla città di Roma» ha spiegato Mario Breglia, presidente di Scenari Immobiliari - emerge una prospettiva differente rispetto alla percezione dominata da luoghi comuni e stereotipi che in questo ultimo decennio è andata per la maggiore. Anche se in questo periodo Roma ha sofferto di una mancanza di visione e pianificazione strategica in grado di farla evolvere a una velocità adeguata al momento storico, la capitale ha mostrato la sua resilienza e la sua capacità di recepire i principali cambiamenti in atto. Possiede, inoltre, un mercato immobiliare attrattivo per gli investitori. A Roma, infatti, sono sufficienti vent’anni per ripagare un investimento immobiliare standard con il reddito da locazione, a fronte di periodi ben più lunghi in città come Berlino, Parigi, Madrid o Londra, dove si possono superare anche i trent’anni. Un fattore che la candida, a ragione, fra le prime tre città europee da cui sono attese nei prossimi anni le migliori performance immobiliari. A questo si aggiungono le prospettive di ripresa del Paese connesse alla realizzazione dei prossimi cinque anni del Piano nazionale di ripresa e resilienza. La candidatura a Expo 2030, annunciata dal premier Mario Draghi è sicuramente un ulteriore tassello a rendere Roma la città delle opportunità». Il rapporto su Roma di Scenari Immo-


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biliari è diviso tre parti. La prima fa una fotografia della posizione attuale della capitale nella competizione internazionale analizzando i dati statistici sul patrimonio culturale, le presenze e l’offerta turistica, le aree verdi, la mobilità, le strutture ospedaliere e quelle universitarie. Tutti questi fattori, secondo la società di ricerca, spingono Roma al quarto posto in Europa per livello di attrattività complessivo della città, e a essere uno dei cinque poli urbani più importanti nel continente. Nella seconda parte, invece, sono sintetizzate con tabelle e grafici una serie di interviste a importanti attori e conoscitori delle vicende della città, mentre nella terza parte vengono analizzate le opportunità̀ di valorizzazione e rigenerazione che la città potrebbe cogliere nei prossimi anni a partire dal Giubileo del 2025, passando per diversi eventi sportivi internazionali, fino a quelle che possono derivare dal Piano nazionale di ripresa e resilienza e che toccheranno, direttamente o indirettamente, la città di Roma. «La ricerca» ha sostenuto Alessandro Caltagirone, vicepresidente di Immobiliare Caltagirone «evidenzia una completa scollatura tra la situazione oggettiva di una città con tutti i requisiti giusti per accogliere nuove aziende, per accogliere i turisti e per chi vuole semplicemente viverci e un’immagine opaca basata su luoghi comuni. È necessario che ognuno faccia la propria parte per far conoscere Roma per come è e non per come si dice che sia». L’analisi delle prospettive del mercato immobiliare romano realizzata da Scenari Immobiliari e Fabrica Immobiliare Sgr ha coinvolto oltre cento investitori, due terzi dei quali con un profilo internazionale. Gli intervistati, chiamati a scegliere quale segmento immobiliare privilegiare nei prossimi anni a Roma, si sono orientati soprattutto su due comparti: il residenziale (80%) e quello dell’ospitalità (70,76%). In pochi, invece, hanno preferito puntare sulla logistica o sulla grande distribuzione presi in considerazione rispettivamente solo dal 10% e dal 6,7% degli investitori. Se il settore alberghiero è sempre stato considerato centrale nella capitale, il mercato residenziale sta riprendendo interesse di recente, in forma diversa rispetto al passato. Perché secondo gli investitori «Non si tratta solo di costruire abitazioni tradizionali da mettere sul mercato» spiega il rapporto

Previsioni 2026 - Classifica per variazione percentuale a cinque anni dei prezzi medi di vendita delle zone centrali, settore residenziale PREZZI MEDI GIUGNO 2021 EURO/MQ

VARIAZIONE (PREVISIONE) 2026/2021 %

1 Parigi

13.700

19,3

2 Roma

9.150

15,4

3 Berlino

7.800

14,1

4 Madrid

5.500

12,7

5 Londra

13.200

11,4

6 Vienna

7.800

10,3

7 Stoccolma

9.800

9,7

8 Bruxelles

3.800

9,2

9 Lisbona

4.500

8,9

10 Dublino

6.700

8,2

11 Atene

1.900

5,3

CITTÀ

FONTE: SCENARI IMMOBILIARI E FABRICA IMMOBILIARE SGR

«ma anche di pensare a nuovi format che vadano incontro alle richieste del mercato, anche internazionale. La tendenza verso le residenze in affitto, il private rented sector, è presente anche a Roma, città che attrae giovani lavoratori e studenti dal centro e sud Italia, oltre che dall’estero». Le zone su cui gli investitori hanno scelto di puntare sono il Centro Storico (60%), il nuovo Centro direzionale orientale (53,3%) e l’ambito Ostiense-Eur (50%). Non vengono prese in considerazione, se non da una esigua minoranza, invece, le aree verdi attorno al Grande raccordo anulare (16,7%), l’Asse sud est (13,3%) o alle zone scarsamente o per niente edificate anche se servite da mezzi pubblici (10%). Dovendo, poi, identificate gli ambiti urbani che possono rappresentare le principali opportunità di investimento in città, sia dal punto di vista privato che dal punto di vista dell’interesse pubblico, in quanto occasioni di rigenerazione urbana, gli investitori indicano i grandi progetti di trasformazione come quelli della Tiburtina, degli ex Mercati Generali o dell’ex Fiera (83,3%), la riqualificazione del patrimonio pubblico (50%) e la creazione di campus universitari (40%). Ma, per favorire una ripresa vera del mercato immobiliare, secondo gli investitori intervistati, Roma deve investire in infrastrutture per la mobilità e il trasporto pubblico (80,5%), attuare una riforma amministrativa (76,7%) e darsi una visione e un ruolo nella competizione internazionale (56,7%). «Abbiamo voluto promuovere questa ricerca», ha commentato Giovanni Maria Benucci, amministratore delegato di Fabrica Immobiliare Sgr, «perché crediamo che i privati – anche in un contesto in cui la governance si è spesso dimostrata non all’altezza – possano e debbano fare la propria parte. Lo spazio esiste nella struttura di una città da sempre capace di trascendere il contingente e che si candida a cogliere gli obiettivi di sostenibilità della città del futuro, perché i suoi fondamentali storici – ben testimoniati dai dati raccolti nella ricerca – sono quelli di una città accessibile, resiliente ed eccezionalmente verde. I privati possono e debbono cogliere quest’opportunità, fungendo così da stimolo anche al governo cittadino». ottobre 2021

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INTERVISTA CON GIANLUCA SAVOLDI

«Per essere sostenibile, la crescita ha bisogno di capitali pazienti» di Annalisa Caccavale

Il contributo richiesto alle banche, che come UniCredit hanno una dimensione internazionale, va oltre il lending e include il supporto per l’accesso a fonti alternative di finanziamento

Gianluca Savoldi, in Unicredit, riveste un ruolo interessante e del tutto particolare: è “head of patient capital”, dunque sovraintende agli investimenti a medio e lungo termine. Investire lo ha incontrato per approfondire il suo punto di vista su un tema cruciale per il futuro dell’economia non solo italiana. Dottor Savoldi, la banca può essere adatta a svolgere il ruolo di investitore paziente? Come si inserisce il patient capital in questo momento storico? Il momento storico attuale ha reso ancora più evidente la necessità di rafforzare patrimonialmente e dimensionalmente le imprese per renderle più competitive e permettere loro di crescere a livello globale. Il contributo richiesto alle banche, che come UniCredit hanno una dimensione internazionale, va oltre quello del lending e include sempre più il supporto per l’accesso a fonti alternative di finanziamento. UniCredit ha lanciato a questo scopo nel 2019 l’iniziativa Patient Capital, che rappresenta la più ampia piattaforma di capitali pazienti finalizzati alla crescita finora resa disponibile in Italia. Forte delle proprie relazioni ultra decennali con i principali investitori istituzionali, UniCredit ha selezionato tra questi una decina di partner specializzati in minoranze, fornendo ai clienti un accesso privilegiato a questo panel di investitori. In qualità di sponsor e cornerstone investor, anche UniCredit investe nelle imprese al fianco del partner scelto dall’azienda, mettendo capitale, competenze e il proprio network a supporto dell’economia reale italiana.

La pandemia ha modificato il tradizionale modo di lavorare, trasformando spesso i modelli di business delle aziende, introducendo l’innovazione tecnologica e implementando i principi Esg. L’operatore di private equity è un partner ideale per affrontare tutto questo, le aziende, secondo lei, sono pronte? La pandemia ha portato una accelerazione di cambiamenti di lungo termine già in atto quali la digitalizzazione, la transizione energetica e il passaggio verso modelli di business più sostenibili. I private equity si sono dotati negli ultimi anni di competenze interne specifiche su questi temi e hanno un network di relazioni che consente loro un facile accesso a figure professionali cui la singola azienda difficilmente riuscirebbe ad arrivare. La presenza di un investitore istituzionale in azienda, inoltre, fa si che la stessa si doti di chiari obiettivi, piani di carriera e 78

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Gianluca Savoldi, head of patient capital in Unicredit

incentivi economici che favoriscano l’attrazione di talenti e manager preparati. Questo rappresenta un elemento su cui riscontriamo grande interesse da parte degli imprenditori, poiché permette all’azienda di superare alcune limitazioni poste dalla dimensione e dalla natura famigliare. L’operatore di private equity, attraverso l’iniezione di capitale, pur rimanendo in minoranza può stimolare e affiancare l’imprenditore in


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L’iniziativa Patient Capital di UniCredit è dedicata a società manifatturiere d’eccellenza e si focalizza su imprese alla ricerca di capitali per accelerare i loro piani di espansione a medio-lungo termine processi di internazionalizzazione, di acquisizioni e di innovazione altrimenti impensabili. Quali sono i piani e gli obiettivi dell’iniziativa Patient Capital di UniCredit? Quali le aziende target? L’iniziativa è dedicata a società dei settori manifatturieri italiani d’eccellenza e si focalizza su imprese alla ricerca di capitali per accelerare i loro piani di espansione a medio-lungo termine. L’obiettivo è mettere a disposizione di queste aziende fino a due miliardi di capitali pazienti a supporto della crescita, ma anche e soprattutto la professionalità e le capacità tecniche dei nostri partner, che possono aiutare gli imprenditori e il management a disegnare le migliori scelte strategiche, minimizzando le difficoltà che un piano strategico trasformazionale può comportare. Con l’intervento dei partner di Patient Capital, le redini dell’azienda rimangono

nelle mani dell’imprenditore, che però oltre a irrobustire la struttura del capitale aziendale si porta in casa competenze e supporto manageriale su tematiche importanti, quali internazionalizzazione, digitalizzazione, sostenibilità e M&A.

I dati Aifi mostrano un calo delle operazioni di expansion, cioè di ingresso in minoranza con aumento di capitale da parte dei private equity; quali sono, secondo lei, le cause? Come si può rilanciare questo segmento fondamentale per la crescita delle pmi? Gli ultimi 15 mesi hanno visto inevitabilmente molti imprenditori mettere in stand-by le proprie ambizioni di sviluppo e focalizzarsi sulla messa in sicurezza e sulla liquidità delle aziende, anche grazie al supporto di strumenti pubblici quali i prestiti con garanzia Sace. Il ritorno alla crescita e la maggiore visibilità sul futuro all’uscita dalla pandemia faciliteranno le operazioni di minoranza, che richiedono la condivisione di una visione strategica tra imprenditore e investitore difficile da raggiungere in momenti di incertezza come quelli che abbiamo passato. Gli investimenti di minoranza saranno fondamentali per consentire a molte aziende di sostenere la propria crescita nei prossimi anni e con la nostra iniziativa Patient Capital stiamo riscontrando un sempre maggiore interesse da parte degli imprenditori per questo strumento. L’ultimo anno ha visto poi un aumento delle operazioni di secondario su quote di minoranza da parte degli operatori di private equity, che consentono di prolungare la permanenza del capitale in azienda e testimoniano una crescente maturità di questo mercato destinata a favorire l’apertura del capitale da parte di nuove aziende.

QUESTO «PRIVATE DEBT» MERITA UN PREMIO

S

i è conclusa la quarta edizione del Private Debt Award 2021 promosso da Aifi e Deloitte, con la collaborazione di Economy e de Il Sole 24ore. Molte sono state in questa occasione le candidature finaliste, 18, un record per questo evento che vuole premiare l’attività del private debt. Le vincitrici sono state: Riello Investimenti Partners Sgr Spa con Cmc Spa, gruppo di progettazione e realizzazione di macchinari per il packaging e per il mailing; Equita Capital Sgr Spa con Crippa Spa, azienda di macchine full electric per la piegatura e la sagomatura di tubi in acciaio e alluminio per il settore

automobilistico, nautico, aerospaziale e del mobile; Tikehau Capital con Dedalus Holding Spa, azienda di sviluppo e implementazione di soluzioni software per il settore healthcare e Clessidra Capital Credit Sgr Spa con Sisma Spa, società di produzione e distribuzione di prodotti di personal care, home care e food care. Quest’anno è stato inoltre consegnato anche il premio Saccomanni ad Anthilia & Finint per l’operazione Friulair srl. «Quest’anno abbiamo istituito un premio Saccomanni in suo ricordo perché il suo impegno governativo ha permesso e favorito la crescita del private

debt nel nostro Paese e oggi, se possiamo finalmente vedere il ruolo importante che sta svolgendo per l’economia reale, lo dobbiamo anche al suo grande lavoro», afferma Innocenzo Cipolletta, presidente Aifi (nella foto), «Il ruolo pubblico però non può dirsi finito: serve ancora una spinta che permetta il moltiplicarsi di fondi che svolgano questa tipologia di operazioni supportando così la ripresa e il consolidamento della nostra economia». «Negli ultimi mesi caratterizzati dall’impatto pandemico, il mercato del private debt ha svolto un ruolo fondamentale, aiutando in modo concreto

le piccole e medie imprese nel fronteggiare la crisi», afferma Antonio Solinas Ad di Deloitte Financial Advisory. «Il capitale di debito ancora una volta ha confermato la sua importanza, supportando l’economia reale verso il ritorno ad un orizzonte di investimenti e sviluppo per tutto il sistema. Questo rappresenta una delle vie privilegiate per sostenere la competitività e innovare nel nuovo contesto».

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LE STRATEGIE DI ION DOPO CEDACRI (E CERVED)

Non solo giganti le banche del futuro Il digitale darà spazio alle specializzate di Sergio Luciano

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Lo scenario competitivo è cambiato. Rispetto al modello “più sei grande, meglio è” stanno emergendo banche regionali e banche “verticali”: in Italia aziende territorio valide come Sella, Credem, Desio. Oppure istituti a forte vocazione, come Banca Ifis, Banca Sistema, Illimity o Aidexa

lastica, ragazzo mio! Plastica!”: è la festa di laurea di Dustin Hoffman nel “Laureato”, il cult-movie del ’69; e un invitato, un robusto imprenditore amico di famiglia, indica quasi sillabando al giovane dottore la strada professionale da seguire, appunto “la plastica”. Se Andrea Pignataro fosse più incline all’esibizione – e proprio non lo è: parla con i fatti – oggi sillaberebbe al mondo un’altra parola: “Banche!”, anzi due: “Nuove banche!”. Già: perché per capire la visione che ha ispirato l’acquisizione di Cedacri il fondatore e leader di Ion - l’ex trader italiano trasferitosi a Londra giovanissimo che “vale” oggi quasi 40 miliardi di dollari - bisogna togliersi dalla testa un mucchio di preconcetti, sulle banche. Infatti, anche un profano capisce che non ha senso considerare polvere quel che appena vent’anni fa era oro puro, appunto le aziende bancarie. Che non ha senso neanche ai fini dell’investimento borsistico. Le banche potranno avere un grande avvenire, a saperlo cercare e costruire: e con l’acquisizione di Cedacri, Ion – che già prima forniva soluzioni digitali a tutte le principali istituzioni finanziarie al mondo oltreché a una settantina di banche centrali – si è collocato al centrocampo di questo futuro possibile, si è posto nelle condizioni di essere un interlocutore chiave sul fronte determinante delle nuove tecnologie per tutta l’industria creditizia mondiale. La quale – diciamolo subito – non è affatto destinata a ridursi a una ventina di colossi mondiali che fagociteranno o annulleranno tutta la concorrenza, come preconizzato quindici anni da dall’ex a.d. del Banco Santander, Suarez. “Non è detto – osservano un analista di settore – che l’economia di scala sia l’unica risposta giusta per le banche al crollo dei ricavi. Altre possono essercene, a cominciare dall’estrema specializzazione, per mestieri verticali o – perché no! – per territori di competenza”. Fermi tutti: ma allora si possono aprire nuovi spazi per le 80

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La sede centrale, a Londra, di Ion Group

banche locali? Ma allora il mantra del “piccolo è brutto” va riconsiderato? Non banalizziamo. Per capire la strategia di Ion – che si è sviluppata ovviamente anche con la successiva acquisizione di Cerved, di cui riparleremo in dettaglio nei prossimi numeri - è utile riflettere sui cambiamenti in corso che stanno modificando l’intera industria bancaria. I fattori di successo delle banche del futuro sono: riconcepire tutti i rapporti come interazioni digitali, per ottimizzare sia i processi commerciali che i processi interni, diventando molto più efficienti, e usare i dati per trasformarsi da banca tradizionale a data-driven


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bank, offrendo ai clienti prodotti sempre piu’ profilati sulle loro esigenze, anticipandone le esigenze e migliorando l’esperienza utente. In futuro non bastera’ infatti la sola offerta di prodotti, ma la capacità di offrire un’esperienza unica. L’analisi di Ion sul futuro delle banche parte – come si può ricostruire dai documenti e dalle rare esternazioni – dall’inquadramento dei quattro driver principali dell’evoluzione del mondo del credito: la digitalizzazione delle interazioni, l’importanza dei dati e dei processi di automazione; le aspettative dei clienti, sempre più sfidanti perché’ abituate ai nuovi modelli di interazione digitale; la crescente pressione competitiva, non solo da parte delle tante startup dei pagamenti ma anche da parte delle big tech come Amazon e Apple; il contesto regolatorio sempre più pervasivo e costoso da interfacciare, che impone riflessioni organizzative strutturali addirittura di business model; e come risultato, la sempre maggior pressione sulla profittabilità, sul Roe, anche a causa della contrazione di tante voci di profitto. E dunque? Dunque con le competenze di una fintech globale, e con le strutture trovate in Cedacri, Ion può diventare un punto di riferimento per risolvere i problemi di qualunque banca voglia cambiare sul serio. Ecco il business. La tecnologia digitale predicata da Ion, e applicata ai clienti, può permettere una completa disruption dei modelli di business attuali, del modo in cui servono e si ingaggiano i clienti. Delle stesse capabilities delle banche. Sfide cruciali per le banche di domani sono l’interazione con i clienti, l’uso dei dati, la focalizzazione sulle competenze più richieste dallo specifico mercato e meno coperte dai concorrenti. La banca di domani forse deve fare meno attività e farle meglio. Dal modello della banca universale, predicato per decenni, si passa a quello delle banche specializzate. Ma anche queste ultime devono risolvere il problema del loro backbone, cioè della loro interconnessione con il mondo. Hanno bisogno di un’infrastruttura che colleghi tutti con affidabilità ed efficienza, che riduca le complessità inutili, favorisca l’integrazione virtuosa dei player, e la fruizio-

Andrea Pignataro è il capo di Ion Group. Competente, determinato, deciso, e riservatissimo. Di lui si hanno pochissime immagini (questa è ripresa dal sito www. iwnsvg.com, che la collocava in una galleria di un evento di settore negli Stati Uniti). E per ora nessuna “vera” intervista, neanche dopo l’acquisizione di Cedacri e Cerved

ne dei servizi in una logica di eco-sistema aperto. A tutto questo si candida il gruppo Ion, con una credibilità rara, sul mercato. Nelle strategie del gruppo le tre direttrici di sviluppo che il mondo bancario dovrà seguire sono l’offerta di un’esperienza digitale completamente rinnovata ai clienti, con digital brand, user experience di servizi in cloud, interconnessioni con terze parti; la conoscenza delle esigenze dei clienti stessi, attraverso l’uso dei dati e analytics, che riveleranno un’infinità di punti di contatto tra la banca e i clienti, ad oggi del tutto inutilizzati. Oggi un ventenne apre un conto in dieci minuti e dà tutti i suoi dati, ieri allo sportello ci voleva un’ora e si diceva poco e niente. E poi, naturalmente: migliorare la produttività, la capacità decisionale e la velocità de processi, Intanto, lo scenario competitivo del settore è cambiato rispetto agli Anni Ottanta. Rispetto al modello di universal bank - “più sei grande, meglio è” – stanno resistendo ed anzi emergendo banche regionali e banche specializzate: in Italia aziende valide come Sella, Credem, la stessa Desio. O le banche specializzate di solida storia, da Banca Ifis a Banca Sistema, e quelle più giovani e digitali, da Illimity ad Aidexa. Nelle banche del futuro i costi della “compliance” (ovvero: quanto costa rispettare le regole) non diminuiranno, ma dovranno diminuire almeno un po’ quelli del personale. Le grandi banche cresciute nel mondo stanno diventando core-providers che rischiano di appiattire sempre di più la capacità di resistenza e il market share delle banche piccole che non siano specializzate. O che non cambino pelle, con digitalizzazione aggressiva, un ripensamento del rapporto con i clienti e una forte specializzazione. Ripensare il rapporto con i clienti in chiave digitale e in funzione della valorizzazione dei dati significa ottimizzare i processi commerciali e gestionali, diventando molto più efficienti, dalla gestione dei crediti (meno Npl, e semmai qualche Utp in più) ai servizi di tesoreria. Alcuni casi di scuola sono straordinari: per esempio il caso Revolut, che fa benissimo i pagamenti e poco più. Ma chi si ostina a fare tutto – dal retail al wealth management, ai pagamenti, alla bancassurance al medio termine – è sicura di doverlo fare, e soprattutto di saperlo fare? Qualcosa di analogo, Ion l’ha vissuto nel settore del capital market, dov’è nata e diventata grande. Vent’anni fa il trading era ancor molto fisico, verbale, telefonico. Oggi è iper-digitale, tutto si svolge in millisecondi, automaticamente, la Silicon Valley già implementa computer quantici, e dunque l’intera industria del capital market si è profondamente trasformata. Certo, non aveva le zavorre dell’enorme capitale investito e degli sterminati organici che oggi affardellano le banche: ma questa è una ragione di più che dovrebbe semmai spingere le banche stesse a cambiare presto. L’illusione ottica, diffusa anche in ambienti insospettabili, è che alla diffusissima digitalizzazione dei front-end bancari (chi non usa ormai l’home banking?) corrisponda la digitalizzazione del back-end, dei processi e dei modelli di business. Non è così. E’ come se dietro molti efficienti home banking ci fossero degli omini febbrilmente impegnati a fare tutto a mano come una volta, per dare un’idea di innovazione che ancora non è sostanza, ma dovrà diventarlo. E Ion ci sarà. ottobre 2021

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POLE POSITION

a cura di Buddy Fox

LA CRESCITA È IL VACCINO CONTRO IL DEBITO

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bbiamo la conferma che solo con la crescita possiamo ridurre il debito», più o meno sono queste le parole di Super Mario Draghi. Le cifre di oggi gli danno ragione: +6% le stime sul Pil Italia (mai così forte da anni) e il rapporto Debito/Pil che cala dal 155,6% al 153,5%, con una proiezione al 2030 di poter calare sotto il 150%. Nel Def di aprile il debito era previsto al 159,8%, per una volta viviamo una sorpresa in positivo, ma per i tempi incerti che stiamo vivendo la situazione può capovolgersi

velocemente e da qui al 2030 in economia è una vita intera. La crescita come medicina contro la malattia del debito, una cura che in Italia funziona, però se guardi al resto del mondo tutto cambia, e sorgono dei dubbi, diventa lecito chiedersi come mai in un mondo che da 10 anni cresce ininterrottamente, in Paesi come gli Usa dove la crescita è più forte, il rapporto Debito/Pil sia in costante crescita arrivando a sfondare quota 100%? Forse perché la ricetta non è magica come ci viene raccontato, o forse più realisticamente perché alla crescita corale non tutti fanno la loro parte. È difficile ripagare il debito se le aziende più profittevoli non pagano un adeguata tassazione. I nomi sono noti a tutti: Amazon, Apple, Google, Facebook, aziende che sono diventate grandi come Stati, ma che sulla montagna di profitti subiscono un’aliquota risibile. La storia ci dice che l’Italia solo in un caso è riuscita a riportare il Debito/Pil vicino a 100%, quando con Romano Prodi e Carlo Azeglio Ciampi, insieme alla crescita si mise in atto un’ampia opera di privatizzazione del sistema. Alla guida dei Ciampi Boys c’era il giovane Draghi. Autostrade, pezzi di Enel, di Eni, di Poste Italiane, di Snam, di Terna e di Telecom, a cui si aggiunge Leonardo (ex Finmeccanica), Fincantieri e le partecipazioni in aeroporti … Siamo scesi da un rapporto oltre al 120% fino a 100%, dopo 20 anni siamo saliti a 150%. Qualcuno maliziosamente la chiamò una “svendita dell’Italia”. Ed è quello che si teme possa accadere anche oggi, ma nella cassaforte di Stato non sono rimasti più tanti gioielli.

L’AUTO HA FAME DI CHIP. MA PER ELON MUSK NON È UN PROBLEMA

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e in Italia è il mercato delle auto usate a beneficiare della crisi dei chip che ha colpito duramente quello delle auto nuove e ha spinto più di 2 milioni di utenti verso soluzioni di seconda mano già disponibili sul mercato facendone aumentare i prezzi mediamente del +12,6%, nel mondo le preoccupazioni aumentano un po’ dappertutto a eccezione che in casa Tesla dove invece regna l’ottimismo. Elon Musk infatti è convinto che la situazione si risolverà a breve. A suo avviso siamo di fronte a un problema di breve termine causato dalle case produttrici che per paura di esaurire le scorte fanno ordini in eccesso. In realtà i settori industriali che li utilizzano non contano certamente solo quello automobilistico, anzi, se solo pensiamo all’elettronica di largo consumo, dai pc agli smartphone, possiamo farci un’idea delle dimensioni del mercato che ha un fatturato annuo di 440 miliardi di dollari. Ed è un dato in crescita, già quest’anno del +7,7%. Le ragioni di questa che possiamo a ragione definire “guerra dei chip” sono diverse: la pandemia che ha interrotto la catena di fornitura quando la domanda per via del lavoro da casa esplodeva, i mancati investimenti in nuovi siti di produzione, i recentissimi disastri naturali che hanno coinvolto le regioni dove è concentrata la maggior parte degli impianti di produzione (soprattutto in Asia, ma anche in Nord America), la prolungata “guerra commerciale” tra Stati Uniti e Cina. 82

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La partita è complessa e di carattere geopolitico perché parliamo di una tecnologia fondamentale per il 5G, per l’intelligenza artificiale, per il settore militare, dunque per il futuro destino dell’economia mondiale, e al momento vede in campo Stati Uniti ed Europa affannati contro un’Asia in vantaggio con le proprie aziende leader: il 28% delle quote di mercato lo detiene la Taiwan Semiconductor Manifacturing Corporation, il 13% l’altra taiwanese Umc seguita, con l’11%, dalla cinese Smic e della coreana Samsung con il 10%.


INVESTIRE SPECIALIST

IL FMI ALLE PRESE CON LA GRANA GEORGIEVA

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uò il Fondo monetario internazionale permettersi di avere una direttrice che è stata accusata di aver contribuito a falsificare alcuni dati per migliorare la posizione della Cina in un’importante classifica economica quando era direttrice generale della Banca mondiale? Il quesito lo pone l’Economist chiedendo contemporaneamente le dimissioni di Kristalina Georgieva, l’economista bulgara che è stata anche commissaria europea per il Bilancio ed è oggi direttrice del Fmi. All’epoca dei fatti incriminati Georgieva era la seconda in comando alla Banca mondiale mentre il presidente era Jim Yong Kim, secondo il settimanale britannico fu lui a dare l’ordine di assecondare le lamentele del governo cinese circa la classifica Doing Business del 2018, in preparazione in quel periodo. Georgieva fece modificare diversi parametri per migliorare il posizionamento della Cina di sette posti falsando di conseguenza i parametri dell’intera ricerca. Il settimanale sostiene anche che le ragioni per cui Georgieva potrebbe aver modificato la classifica non fossero per un ritorno personale, ma perché effettivamente la Cina stava facendo importanti riforme per rendere il suo Paese più accogliente per gli imprenditori. L’intento di Georgieva sarebbe stato quello di rafforzare il “multilateralismo”, cioè l’integrazione della Cina nel sistema finanziario internazionale. Ciononostante la faccenda è piuttosto grave soprattutto in virtù del fatto che Georgieva è presidente del Fondo monetario internazionale. Secondo l’Economist, in primo luogo perché avendo un importante dipartimento di ricerca economica che gestisce alcune delle più importanti statistiche macroeconomiche su prospettive di crescita e

sviluppo di tutti i Paesi del mondo anche il Fmi, una direttrice accusata di aver falsificato dati, mina la credibilità del Fondo stesso. In secondo luogo, perché il Fmi è al centro di una grossa disputa tra Stati Uniti e Cina e dovrà prendere decisioni su varie questioni economiche e commerciali che dividono i due Paesi. Ma il Fmi non è l’unica istituzione in discussione, sembra che alcuni membri della Fed, durante questo anni di politica monetaria a “liquidità infinita” abbiano effettuato acquisti di azioni a Wall Street per conto proprio, un’accusa che se confermata porterebbe alla luce pesanti conflitti di interesse. Sembra che 13 anni dopo la grande crisi finanziaria mondiale il virus del “moral hazard” sia passato dai controllati ai controllori. Il rischio è la pandemia finanziaria.

EVERGRANDE, TROPPO GRANDE PER FALLIRE

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er capire in che situazione ci troviamo cominciamo dai numeri: 600 miliardi di passivo per Lehman Brothers, il più grande fallimento della storia Usa, “solo” 300 miliardi per Evergrande a cui si devono però aggiungere altre pendenze come passività fuori bilancio per 150 miliardi e una lista di creditori consistente in 120 tra banche e altrettante società finanziarie, i sottoscrittori di prodotti finanziari della società, o i bond che oggi, dopo la rovinosa caduta del titolo, valgono una frazione rispetto al prezzo di sottoscrizione iniziale; l’altro elemento di comparazione è nella capitalizzazione che per Lehman fu all’apice del successo 60 miliardi di dollari, per Evergrande il massimo è stato 51 miliardi raggiunto nel 2017. Se ci sono analogie che possono sembrare pericolose, ce ne sono altrettante che differenziano nettamente i due casi. La più importante e concreta è nella struttura che compone i due gruppi, Evergrande oltre alle passività sopra citate possiede anche proprietà, solide e reali, mentre Lehman Brothers possedeva solo attività immateriali, spesso fittizie, che nel periodo precedente alla crisi finanziaria del 2008 consistevano in artificiali prodotti di carta con i più svariati e complicati nomi che successivamente sono bruciati nella crisi in quello che è stato chiamato come un altro “falò delle vanità”. Questa premessa iniziale se volete fin troppo

tecnica, è utile per arrivare a una considerazione rassicurante: Evergrande non è la nuova Lehman, tirate un sospiro di sollievo. Questo però non vuol dire scampato pericolo. Il giorno successivo al fallimento della Lehman (15 settembre 2008) la gran parte dei commentatori utilizzò una frase specifica per giustificare l’accaduto: “punirne una per educarne cento”, un’espressione giusta ma nel contesto sbagliato, la frase è di Mao, e per sfortuna sua Evergrande è una società cinese. Può ripetersi l’errore del 2008 in cui per punire una banca si creò il più grande incendio finanziario della storia? Probabilmente i cinesi, più saggi e meno propensi al libero mercato, verranno a più miti consigli, come quello di punire l’incauta dirigenza, stemperando il potenziale fallimento finanziario. Questo apparente sollievo non deve però distogliere da quello che realmente è il generatore degli ultimi scandali, la politica monetaria ultra espansiva adottata dalle banche centrali che noi abbiamo soprannominato “Hotel California”, denaro gratis che stimola i vizi e non le virtù. Se fallisci, ci pensano le banche a restituire il denaro. Più che al paragone con il caso Lehman (o al fondo Ltcm) a me viene in mente il fallimento della Enron (130 miliardi bruciati), non per il caso in se, ma per quello che procurò sul sistema. Lo scandalo Enron scoperchiò una lunga serie di scandali contabili, sarà così anche con Evergrande? ottobre 2021

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FINANZA VERDE

LA MISSION

L’«Equity investing» di Doorway punta sulla sostenibilità di Mario Romano

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investimento in start up, oltre a dare slancio all’economia reale del Paese, può persino favorire il raggiungimento di obiettivi di sostenibilità. Purché la selezione delle società avvenga in modo coerente con i parametri Esg. A tradurre in un concreto modello operativo questa visione è Doorway, piattaforma fintech di Equity investing, fondata allo scopo di creare un matching virtuoso tra investitori e aziende innovative. La mission di Doorway è infatti quella di proporre agli investitori un numero ristretto e selezionato di start up e Pmi ad alta scalabilità e con business model sostenibili. A supportare tale selezione è un team di esperti interni e di advisor esterni che opera una due diligence che segue i criteri usati dai Venture Capital. Doorway, che rappresenta un hub di finanza alternativa unico in Italia, accompagna le aziende dalla fase di startup alla fase di scaleup, sino alla quotazione su Aim (grazie alla collaborazione con IRTop), che rappresenta una modalità di exit e secondario per gli investitori.

Dalla selezione alla governance «L’esperienza di questi oltre due anni dalla costituzione della nostra piattaforma di equity investing», spiega Antonella Grassigli, co-fondatore e ceo di Doorway, «ci conferma la validità della nostra scelta iniziale di puntare su alcuni fattori tra cui l’attenzione dedicata alla fase di selezione e di validazione del business model. L’approfondita due diligence ha l’obiettivo di ridurre al minimo i rischi per gli investitori e di definire una valutazione pre-money equilibrata. Siamo stati la prima piattaforma a integrare in modo sistematico l’analisi dei criteri Esg nel processo di selezione, sviluppando un 84

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La mission della piattaforma online è quella di selezionare e proporre un gruppo selezionato di start up e di piccole e medie imprese ad alta scalabilità con un impatto positivo in termini Esg metodo di analisi proprietario. Classifichiamo le aziende in quattro categorie, mutuate dal framework “La buona impresa” di PwC e Fondazione Buon Lavoro sulla base di criteri qualitativi. Vi sono quindi le aziende “Neutral focalizzate sulla profittabilità; le “Sustainable” che non compromettono il benessere delle persone e dell’ambiente, ma riducono gli impatti negativi; le “Value creation”, che hanno un potenziale di creazione di valore per le persone e per l’ambiente; le “Impact”, che nascono esplicitamente per rispondere a una sfida sociale o ambientale. Nella selezione vengono tendenzialmente privilegiate le aziende che creano un impatto positivo in termini Esg e generalmente solo il 2-3% di quelle valutate vengono portate in fundraising». Un altro fattore decisivo per Doorway per il successo delle operazioni presentate al mercato è la governance della startup: il modello prevede la costituzione di una società veicolo che raccoglie i capitali dai vari soggetti finanziatori che, in questo modo, possono fare massa critica e aver maggior


peso nel Cda dell’azienda finanziata. Questa caratteristica ha un riflesso concreto sulla tutela degli investitori in quanto viene negoziato un contratto di investimento che regola i rapporti tra il veicolo e la startup. La piattaforma costituisce solo il luogo in cui avvengono le transazioni, ma l’intervento di Doorway inizia prima e continua anche dopo l’investimento. «Il nostro obiettivo è quello di essere non un semplice intermediario ma, soprattutto, un elemento di equilibrio e di sintesi tra le esigenze degli investitori e quelle dei founder», puntualizza Grassigli. «Il

nostro modello operativo seleziona le startup in base alla strategia di exit e, attraverso il nostro Champion Investor, che è l’amministratore del veicolo, fornisce anche un supporto costante agli startupper per creare valore. Grazie a questo finora abbiamo chiuso con successo il 100% delle campagne di raccolta, nella quasi totalità in overfunding».

Eggtronic, Sonect e Winegrid tre proposte "in vetrina"

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hi desidera investire nell’economia reale può oggi percorrere strade diverse caratterizzate da livelli di rischio e potenzialità di rendimento altrettanto eterogenee. A fornire un canale di accesso all’investimento in start up e Pmi ad alta scalabilità, è Doorway, piattaforma fintech, autorizzata da Consob, specializzata nell’Equity Investing online per il mercato degli investitori professionali, qualificati e corporate. Nel momento in cui scriviamo, Doorway, attraverso una serie di incontri, è impegnata nella presentazione di tre aziende: Eggtronic, Sonect e Winegrid. La prima opera nel settore dei semiconduttori e dell’elettronica di potenza. Proprietaria di oltre 200 brevetti, ha sviluppato un chip che garantisce prestazioni superiori alla concorrenza. Partita da Modena, è già operativa anche in USA e Cina. Per il mercato consumer, Eggtronic produce accessori premium nel campo degli adattatori, caricatori wireless e power bank. Per i mercati B2B e ICs(circuiti integrati), Eggtronic fornisce soluzioni a clienti di grandi dimensioni tra cui Sky e Dyson. A fine 2022 è previsto un round di serie B per un importo di 30 milioni di dollari con pre-money di 150 milioni di dollari. Intanto sono state già avviate trattative con il fondo di venture capital Atlantic Bridge. La strategy exit prevede una quotazione in Borsa o l’Ipo. La campagna su Doorway è di 4 milioni di euro e rientra in un round da 10 milioni, di cui la metà sono già stati sottoscritti dagli attuali soci e dal software di navigazione stradale TomTom. La fase di raccolta si è già aperta in overfunding dopo il periodo di offerta riservata ai membri del Doorway Investor Club. Dal prelievo di contante nei negozi… La seconda azienda presentata agli investori nel corso di una serie di Investor Day, è Sonect, fondata nel 2016 a Zurigo. La società ha sviluppato un’applicazione che offre ai consumatori un servizio di prelievo di contante presso retailer convenzionati, ampliando le opportunità di accesso ben oltre la rete di Bancomat/ATM delle banche. Dopo il lancio in Svizzera nel 2017 come piattaforma indipendente, Sonect ha

La piattaforma fintech, autorizzata da Consob, specializzata nell’Equity investing online, presenta aziende dalle notevoli potenzialità siglato un accordo con la piattaforma Twint, a cui aderiscono pressoché tutte le banche svizzere. La società, che è entrata anche nel mercato inglese, intende crescere in Francia, Messico, Belgio, UK, Svezia, Germania. Nel 2020 Sonect ha siglato una partnership di 5 anni con una tra le prime 5 banche italiane: secondo le stime, entro fine 2021, oltre un milione e duecento mila italiani avranno la soluzione a disposizione all’interno della propria app bancaria e potranno utilizzare una rete di circa 35 mila esercenti convenzionati. La campagna si è conclusa in overfunding al 30 settembre. …al monitoraggio della qualità del vino Attraverso una tecnologia proprietaria basata sull’uso di sensori wireless da installare all’interno di botti o cisterne, l’italiana Winegrid semplifica il monitoraggio in tempo reale dei parametri critici del processo di fermentazione del vino, migliorando l’efficienza della produzione. La soluzione è attualmente installata in nove paesi e adottata da 3 dei 10 maggiori produttori di vino del mondo: Usa, Portogallo, Spagna, Italia, Francia, Israele, Cile, Nuova Zelanda e Australia. Per quanto riguarda la strategia di exit, si profilano due alternative: la prima vede una potenziale Ipo su Euronext entro il 2024 per un valore target superiore a 100 milioni di euro. La seconda, invece, prevede l’acquisizione di Winegrid da parte di un grosso produttore di vinoo da aziende operanti nell’ambito della sensoristica. La campagna su Doorway è cominciata il 12 luglio 2021 e terminerà il 31 ottobre. Il target massimo di raccolta è pari a 700 mila euro, mentre il minimo è di 150 mila. Anche questa campagna è già in overfunding. ottobre 2021

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QUI NEW YORK

IMMOBILI AMERICANI, LA NUOVA SUPERBOLLA CHE PERÒ NON SCOPPIA (E CONTINUA A GONFIARSI)

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era una volta in America la bolla del mattone. Era il 2006, e i prezzi immobiliari erano al loro massimo, pronti a sgonfiarsi nella crisi imminente del 2007-2008. Come definire, dunque, la situazione di oggi, visto che secondo l’indice S&P CoreLogic Case-Shiller delle case monofamiliari (la tipologia di gran lunga più diffusa in America), le quotazioni hanno toccato questa estate un livello medio del 43,7% più alto di quel picco? È vero che l’inflazione ha giocato un certo ruolo, ma i prezzi al consumo sono saliti nel periodo solo attorno al 20%, pesando quindi per la metà dell’incremento dei prezzi delle abitazioni. Nel corso del 2021 l’inflazione ha rialzato un pò la testa, avendo registrato in agosto un aumento del 5,3% rispetto a 12 mesi prima, ma i balzi dei prezzi degli appartamenti sono stati molto più alti, addirittura oltre tre volte tanto, sempre per lo stesso indice S&P CoreLogic Case-Shiller (ultimo dato disponibile). Il patrimonio residenziale negli Stati Uniti, insomma, è salito in termini reali. Craig J. Lazzara, direttore esecutivo e capo globale delle strategie di investimento presso S&P DJI, ha analizzato il fenomeno: nel suo rapporto, rilasciato a fine settembre, non c’è scritta la parola “bolla”, ma il contenuto la fa venire in mente. ”Luglio è il quarto mese consecutivo in cui il tasso di crescita dei prezzi delle case ha stabilito un record”, scrive Lazzara. “L’indice Composito Nazionale complessivo ha segnato il suo quattordicesimo mese consecutivo di accelerazione dei prezzi con un aumento del 19,7% a luglio rispetto ai livelli di un anno fa, che fa seguito al +18,6% di giugno, al 16,8% di maggio e al +14,8% di aprile. Questa accelerazione si riflette anche nei due indici parziali delle 10 e delle 20 aree maggiori metropolitane, rispettivamente in aumento a luglio del 19,1% annuo rispetto al 18,5% di giugno e del 19,9% rispetto al 19,1% di giugno. Gli ultimi mesi sono stati straordinari non solo per il livello di aumento dei prezzi, ma anche per la concomitanza degli incrementi in tutto il Paese”. A luglio, tutte le 20 città maggiori sono aumentate e tutte e 20 hanno guadagnato di più del mese prima. I prezzi delle case in 19 delle 20 città dell’indice (tutte tranne Chicago) ora sono ai massimi storici. L’analista di S&P ha spiegato che “l'aumento del 19,7% di luglio per il National Composite è il dato più alto in oltre 30 anni di rilevazioni per l’indice S&P CoreLogic Case-Shiller. Boston, Charlotte, Cleveland, Dallas, Denver e Seattle hanno marcato il loro record storico”. Bolla o non bolla, che cosa ha gonfiato le quotazioni nelle aree metropolitane? La spinta iniziale sarebbe

venuta dal Covid 19, con la sua coda del lavoro a distanza e della ricerca di soluzioni abitative in zone più vivibili. “La forza del mercato immobiliare statunitense è stata guidata, in parte, dalla reazione alla pandemia. I potenziali acquirenti si sono spostati dagli appartamenti urbani alle case dei sobborghi: i dati di giugno sono coerenti con questa ipotesi”, sostiene Lazzara, che avanza però anche altri motivi: “Questo aumento della domanda potrebbe semplicemente rappresentare un'accelerazione degli acquisti che si sarebbe comunque verificata nei prossimi anni. O, in alternativa, potrebbe esserci stato un cambiamento secolare nelle preferenze di localizzazione, portando a uno spostamento permanente della curva di domanda di abitazioni. Saranno necessari più tempo e dati per analizzare questo fenomeno”. Un addio da pandemia al cemento e al traffico delle città, per esempio, non regge al trend di New York, che sarebbe il caso emblematico. Per l’agenzia immobiliare di intermediazione Compass, il mercato cittadino (che è costituito nella grande maggioranza, soprattutto a Manhattan, da appartamenti in palazzi e grattacieli) è in buona forma. Dal rapporto diffuso a fine settembre si apprende che anzi, quest’anno, non c’è stato neppure il solito rallentamento di affari di fine estate. Secondo il sito UrbanDigs sono state messe sul mercato 723 case nella settimana di metà mese, il 30% in più della media degli ultimi 5 anni. Sono stati firmati 38 contratti di vendita di case da 4 milioni in su, per la stragrande maggioranza appartamenti “condo” (condominiali), 31, rispetto alle 3 coop (cooperative, formula proprietaria meno favorevole alle compravendite) e alle 4 townhouse (ville e palazzine urbane monofamiliari). Il prezzo medio per piede quadro (un metro quadro è pari a 10.76 piedi quadri) degli appartamenti “condo” è aumentato del 4,8% dal luglio 2021 (quando era pari a 1.589 dollari) all’agosto 2021 (1.665), e del 5,8% su un anno (in agosto 2020 era pari a 1.574 dollari). Il numero dei contratti firmati è passato dai 279 di agosto 2020 ai 627 di agosto 2021 (in aumento del 124,7%). Il numero di giorni necessari al venditore per chiudere la vendita sono crollati da 256 dell’agosto 2020 ai 128 dell’agosto 2021 (-124,7%). Lo sconto medio ottenuto dai compratori sui prezzi originari delle case messe sul mercato si è ridotto dal 12% dell’agosto 2020 al 5% dell’agosto 2021. Ciò riflette la contrazione del “magazzino” delle case sul mercato, che erano 4.450 in agosto 2020 e sono scese a 3.355 nell’agosto 2021 (Fonte Compass, dati relativi alle transazioni dei suoi agenti).

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Glauco Maggi

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IL GIRO DEL MONDO IN 30 GIORNI

GOOGLE METTE L’AFRICA NEL MIRINO

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n miliardo di dollari nei pros- ha scritto in una nota che il cospicuo insimi cinque anni. Google punta vestimento sosterrà la trasformazione forte sull’Africa, con un doppio digitale, garantendo una migliore conobiettivo: da un lato consentire un ac- nettività e accesso al web nel continencesso a internet più rapido e convenien- te. I fondi saranno destinati tra l’altro te, dall’altro sostenere l’imprenditoria- allo sviluppo di infrastrutture chiave lità nel continente. Lo ha annunciato come il cavo sottomarino Equiano, che l’amministratore delegato di Google, collegherà Sudafrica, Namibia, Nigeria Sundar Pichai, intervenendo nel corso e Sant’Elena con l’Europa. Già quattro del primo evento virtuale promosso anni fa Google aveva preso l’impegno di formare circa 10 midalla compagnia per IL COLOSSO TECH INVESTIRÀ lioni di giovani africani l’Africa. «Negli ultimi PER LA TRASFORMAZIONE e un gran numero di anni sono stati fatti piccole imprese nelle grandi passi avanti, ma DIGITALE DEL CONTINENTE è necessario lavorare PER AUMENTARE IL BUSINESS competenze digitali. In Africa meno di un di più per rendere internet accessibile, conveniente e utile terzo degli 1,3 miliardi di abitanti è conper ogni africano» ha affermato Pichai. nesso alla banda larga, secondo le stime «Sono fermamente convinto che nessu- della Banca mondiale; tuttavia il contino sia in una posizione migliore della nente è un mercato promettente e in ranostra per risolvere i maggiori proble- pida espansione, dal momento che quami dell’Africa dei giovani sviluppato- si la metà della popolazione ha meno di ri e fondatori di startup africane» ha 18 anni. L’accesso a Internet in Africa è aggiunto Nitin Gajria, amministratore ostacolato anche dalla scarsa accessibidelegato di Google per l’Africa. Google lità degli smartphone: per questo moti-

vo Google ha affermato che collaborerà con il colosso delle telecomunicazioni keniota Safaricom per lanciare modelli Android a prezzi accessibili per gli utenti. Il progetto sarà poi implementato in tutto il continente con altri operatori come Airtel, Mtn, Orange e Vodacom.

HONG KONG, UNA METROPOLI DI 300 KM PER ESPANDERSI ANCORA DI PIÙ Gli sviluppatori immobiliari Chinese Estates e Henderson Land hanno registrato una crescita rispettivamente di 31 e 6,4 punti percentuali sulla Borsa di Hong Kong in una sola giornata, dopo che il capo dell’amministrazione di Hong Kong, Carrie Lam, ha annunciato la costruzione di una metropoli di 300 chilometri quadrati vicina al confine con Shenzhen, il principale centro tecnologico della Cina sud-orientale. Il proposito dichiarato da Lam di realizzare 926 mila case nella parte settentrionale di Hong Kong

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ha provocato un rialzo del 2,41% dell’indice Hang Seng, principale indicatore della performance complessiva del mercato, e un generale incremento delle azioni di Hong Kong, che hanno realizzato il più alto guadagno percentuale da oltre sei settimane. Il futuro sviluppo di Hong Kong sarà incentrato sull’innovazione tecnologica e l’espansione economica, ha fatto sapere Lam, promettendo un investimento di cento miliardi di dollari di Hong Kong in opere pubbliche e agevolazioni fiscali alle imprese.


IL GIRO DEL MONDO IN 30 GIORNI

ARGENTINA, È IL MOMENTO DI SFRUTTARE LE MINIERE DI LITIO

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l litio riveste un’importanza crescente, specie per il suo ruolo nelle batterie dei veicoli elettrici. Ne è ricco l’Afghanistan, ma non si è mai sostanzialmente riusciti ad estrarlo in quantità significative. Ma ce n’è tanto anche nel nord dell’Argentina: le province di Catamarca, Salta e Jujuy hanno perciò annunciato la creazione del “comitato regionale del litio” con l’obiettivo di coordinare con il governo nazionale un quadro normativo che permetta lo sviluppo di investimenti mirati all’industrializzazione e la commercializzazione del minerale. Le tre province coprono attualmente il 100% della produzione locale di litio. La legislazione federale argentina concede alle province la giurisdizione autonoma sulle risorse minerarie. Il ministro della Scienza e

TUNISIA: RISERVE IN VALUTA ESTERA COL SEGNO MENO Le riserve in valuta estera della Tunisia sono diminuite del 9,5% in 9 mesi, raggiungendo i 20,9 miliardi di dinari (7,4 miliardi di dollari) lo scorso settembre. Lo ha reso noto la Banca centrale tunisina, spiegando che le riserve valutarie internazionali del Paese alla fine di settembre sono sufficienti per le importazioni per un periodo di 127 giorni, in calo rispetto alla copertura per 162 giorni registrata alla fine del 2020. La Banca tunisina ha espresso preoccupazione «per la grave carenza di risorse finanziarie esterne, in cambio di importanti esigenze per completare il finanziamento del bilancio dello Stato per l’anno 2021». Per la Banca centrale il calo delle riserve estere «riflette la paura di chi eroga prestiti internazionali alla luce del deterioramento del rating sovrano del Paese e l’assenza di un nuovo programma con il Fondo monetario internazionale, che prevede l’attivazione di una cooperazione finanziaria bilaterale durante il resto del l’anno per mobilitare quante più risorse esterne possibili».

della Tecnologia, Daniel Filmus, ha annunciato la nascita di un meccanismo di coordinamento. «Lo sviluppo del litio e la transizione energetica sono aspetti centrali del Piano nazionale per la scienza, la tecnologia e l’innovazione 2030. È nostro impegno che diventino due degli assi centrali della ricerca scientifico-tecnologica nel nostro Paese», ha affermato Filmus. Gli investimenti in settori strategici come quelli dell’energia e della mobilità sostenibile sono al centro del piano di riattivazione dell’economia per il 2021

IN TRE REGIONI DELLO STATO SUDAMERICANO È STATO CREATO “IL COMITATO REGIONALE DEL LITIO”, METALLO FONDAMENTALE PER IL PAESE

presentato lo scorso mese di marzo dal presidente Fernandez. In quell’occasione il presidente ha annunciato la creazione dell’istituto della Mobilità, e incentivi fiscali per le aziende che investono nello sviluppo di veicoli elettrici. «Implementeremo incentivi sia nell’incorporazione della mobilità sostenibile sia nella produzione nel paese di questo tipo di veicoli e della loro catena del valore, che inizia con il litio», ha affermato il capo di Stato, secondo il quale questo progetto è in grado di attirare investimenti privati fino a 5 miliardi di dollari. La stessa azienda petrolifera di Stato argentina Ypf ha annunciato a giugno la creazione di una succursale destinata allo sfruttamento del litio denominata Ypf Litio. ottobre 2021

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IL GIRO DEL MONDO IN 30 GIORNI

TRA ALGERIA E TURCHIA CRESCE LA COOPERAZIONE IN CAMPO ENERGETICO

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Algeria è intenzionata a rafforzare la cooperazione in campo energetico con la Turchia. È quanto affermato dal ministro dell’Energia e delle Risorse minerarie algerino, Mohamed Arkab, durante un incontro con l’ambasciatore di Turchia, Mahinur Ozdemir Goktas. Il ministro e l’ambasciatore «hanno passato in rassegna lo stato dei rapporti di cooperazione e partenariato tra i due Paesi, definiti ottimi, e le prospettive di sviluppo», si legge in una nota del ministero degli Esteri. Le due parti hanno insistito sulla «necessità di intensificare la cooperazione tra i due Paesi in campo energetico e minerario e di esplorare opportunità commerciali e prospettive di

investimento nella strutturazione di progetti in Algeria, in particolare nei settori energetico e minerario, ricerca ed esplorazione di idrocarburi, sviluppo dell’industria petrolchimica e della produzione

e trasmissione di energia elettrica». La discussione ha riguardato anche la preparazione dei prossimi lavori della commissione mista intergovernativa algerino-turca, che sarà presieduta dal ministro dell’Energia e delle Miniere. Il ministro ha espresso la sua soddisfazione per i buoni rapporti di cooperazione e partnership tra l’azienda petrolifera di Stato Sonatrach e le imprese turche, invitandole a sviluppare partnership reciprocamente vantaggiose focalizzate su progetti che integrano la capacità di produzione, il trasferimento di know-how, competenze e formazione. Il ministro Arkab ha anche auspicato che le aziende turche avviino partnership nel settore degli idrocarburi.

ERDOGAN CONTRO IL CARO ENERGIA

«S VIETNAM, L’EFFETTO PANDEMIA SUI CONTI

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n occasione della chiusura della quarta sessione plenaria del Comitato centrale del Partito comunista del Vietnam, il segretario generale Nguyen Phu Trong ha riconosciuto il forte impatto della quarta ondata epidemica sul Paese: l’economia nazionale si è contratta del 6,17% nel terzo trimestre e dell’1,42% nei primi nove mesi dell’anno, il tasso più basso dal 2000. Per il 2021 si prevede una crescita del 3%, lontana dall’obiettivo indicato dall’Assemblea nazionale. Trong ha sottolineato che gli sviluppi della pandemia sono imprevedibili e rendono più che mai necessarie leadership e consapevolezza. A suo avviso la programmazione socio-economica e finanziaria dovrebbe concentrarsi sull’elaborazione di possibili scenari. Diversi settori devono essere ristrutturati: commercio, servizi, aviazione e turismo, alcune industrie chiave devono essere protette. Il primo ministro, Phạm Minh Chinh, ha presentato il rapporto del Politburo, che ha passato in rassegna una serie di questioni, dall’attuazione del piano di sviluppo socio-economico e del bilancio per il 2021 al piano di sviluppo e alla manovra finanziaria per il 2022; dalla riforma delle politiche salariali agli esiti della Risoluzione del 2016 sulla lotta alla corruzione. Il Partito comunista del Vietnam, fondato nel 1930, è al governo della Repubblica Socialista del Vietnam dal 1976, anno della riunificazione tra Nord e Sud. Di fatto si tratta di un sistema a partito unico, anche se esiste un Fronte della Patria vietnamita, una coalizione di forze allineate col Pcv. 92

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tiamo facendo ogni tipo di sacrificio per proteggere i nostri cittadini in un momento in cui i prezzi dell’energia sono aumentati da due a cinque volte in tutto il mondo, specialmente in Europa». Lo ha dichiarato il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, intervenendo ad un incontro con i presidenti delle circoscrizioni regionali del partito Giustizia e sviluppo (Akp) ad Ankara. Erdogan ha sottolineato che da quando è iniziata la pandemia di Covid-19, la Turchia ha mantenuto i prezzi dell’energia sotto il controllo statale al livello più basso possibile, sovvenzionandoli se necessario, e continuerà a farlo. Nel suo discorso Erdogan ha affermato che Ankara sta anche lavorando per concludere contratti internazionali che influiranno sui prezzi dell’energia in modo da avvantaggiare maggiormente il Paese. Durante l’incontro avvenuto la scorsa settimana a Sochi tra Erdogan e il presidente russo Vladimir Putin, quest’ultimo ha affermato che la Turchia è protetta dalla crisi del gas che ha attanagliato l’Europa, grazie al gasdotto TurkStream, che si estende dalla Russia alla Turchia attraverso il Mar Nero. Il produttore di gas russo Gazprom ha affermato che il gasdotto ha consegnato 20,3 miliardi di metri cubi di gas alla Turchia dal primo gennaio al 19 settembre 2021. Il gasdotto è costituito da due linee offshore di 930 chilometri e due linee onshore separate lunghe 142 e 70 chilometri. La prima linea è destinata alle forniture ai clienti domestici della Turchia, mentre la seconda trasporta il gas russo verso l’Europa attraverso la Bulgaria.


IL GIRO DEL MONDO IN 30 GIORNI

CINA: AMPLIARE I DIRITTI DEI MIGRANTI INTERNI

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ncrementare l’accesso ai servizi per i lavoratori migranti nelle aree urbane aumenterebbe la spesa interna della Cina del 30%, dando un contributo alla crescita della classe media. Lo ha dichiarato il funzionario della Banca centrale cinese Cai Fang, analizzando i limiti dell’”hukou”, l’attuale sistema di certificazione della residenza in vigore nella Repubblica Popolare. L’”hukou”, istituito nel 1985, vincola infatti i diritti dei possessori alla propria area di residenza, precludendo loro di accedere a beni e servizi in caso di trasferimento. Secondo Cai, a fronte di una popolazione migrante del 64% nelle aree urbane, l’accesso a scuole, ospedali e altri servizi è garantito a poco più del 45%, dati che influiscono negativamente sull’economia nazionale. Certificare la residenza ai migranti nelle città incrementerebbe i consumi del 27-30%, fattore che raddoppierebbe la popolazione cinese a reddito medio, afferma Cai. Adottato in passato con lo scopo di limitare gli spostamenti tra aree urbane e rurali, l’”hukou” è stato al centro di un dibattito ai vertici della politica lo scorso anno, quando il governo ne aveva annunciato l’abolizione nelle città con meno di tre milioni di residenti e l’attuazione limitata nelle città con una popolazione compresa fra tre e cinque milioni. Lo scorso agosto il presidente Xi Jinping si è nuovamente espresso sul sistema di certificazione della residenza, affermando l’esigenza di espandere la popolazione cinese a reddito medio come funzionale alla cosiddetta “prosperità comune”.

LA BANCA MONDIALE PROMUOVE IL BRASILE

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a Banca mondiale ha alzato le previsioni di crescita per il Brasile per il 2021, portandole dal 4,3% ipotizzato a giugno al 5,3%. La stima di crescita per l’anno in corso è sotto la media della regione America latina e Caraibi, fissata al 6,3%, e inferiore al 5,7% del Messico, principale competitor economico della regione. Per il 2022 la Banca mondiale prevede una crescita dell’1,7%, in netto calo rispetto al 3% del precedente pronostico. Per il 2023 si prevede un rimbalzo, al 2,5% su anno. Le prospettive economiche del Paese per l’anno in corso, pur descrivendo una generale ripresa rispetto al 2020, continuano ad essere in gran parte legate al successo della campagna vaccinale. Nella Relazione trimestrale sull’inflazione, pubblicata il 30 settembre, la Banca centrale del Brasile stima invece l’espansione del Pil al 4,7%, valore lievemente superiore rispetto al 4,6 ipotizzato nella precedente proiezione del 30 giugno. Secondo la Bc in campo economico restano presenti tre rischi “rilevanti”. Per primo «il possibile aggravamento della crisi idrica» generata dalla peggiore siccità registrata negli ultimi 91 anni, che sta già richiedendo misure straordinarie per evitare razionamenti o blackout tra ottobre e novembre. In secondo luogo «l’evoluzione della pandemia di Covid-19, che continua ad essere attentamente monitorata». Infine, «il peggioramento nelle aspettative sulla traiettoria del debito pubblico che possono mettere a dura prova la valutazione del rischio del paese e la fiducia degli investitori».

FUGA DA HONG KONG DELLE AZIENDE EUROPEE PER COLPA DELLE QUARANTENE DI 21 GIORNI

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e aziende europee stanno discutendo il trasferimento delle proprie attività da Hong Kong a causa delle rigide misure di quarantena attuate dal governo. Lo scrive il quotidiano “South China Morning Post”, secondo cui le quarantene obbligatorie di 21 giorni per gli arrivi internazionali starebbero causando “frustrazione” tra i dirigenti d’azienda. Frederik Gollob, presidente della Camera di commercio europea a Hong Kong, ha infatti affermato al quotidiano che molte imprese prevedono di trasferire parte delle loro operazioni in altri mercati asiatici, tra cui Singapore. Lo scorso agosto, Francia, Germania, Spagna e altri Paesi Ue hanno esortato il capo dell’amministrazione dell’ex colonia bri-

tannica, Carrie Lam, a operare un allentamento delle restrizioni, affermando che i rigidi «controlli pandemici minacciano la posizione di Hong Kong come centro finanziario globale».

Nonostante non sia stata registrata alcuna infezione locale da Covid-19 da oltre un mese, Carrie Lam ha difeso l’approccio del governo in materia di prevenzione e controllo pandemico, sottolineando che Hong Kong non vuole limitarsi a “convivere con il coronavirus” e che conformerà le proprie misure alle direttive della Repubblica popolare cinese. Il potenziale deflusso di aziende dalla Regione amministrativa entrerebbe in rotta di collisione con la traiettoria di futuro sviluppo di Hong Kong delineata da Lam durante il suo ultimo discorso in qualità di capo dell’amministrazione, che punta a fare della regione amministrativa speciale un centro globale della finanza e della tecnologia.

Il giro del mondo in 30 giorni è a cura di Riccardo Venturi ottobre 2021

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MODA & CINA IL FASHION E LE MISERIE DEL GREENWASHING

Com’è figo mettere al bando la pelle e poi continuare a inquinare di Fabiana Giacomotti

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Il caso Volvo, e non solo. Le griffe del lusso sono alle prese, a volte in modo incoerente, con la forte domanda di sostenibilità che c’è. Ma non è tutto “eco” quel che si dichiara tale

er una di quelle strane quadrature astrali, o forse semplicemente perché erano in corso la Fashion Week milanese con circa 35mila ospiti e il salone Lineapelle con i suoi 11mila visitatori e tutti volevano avere qualcosa da dire, qualche settimana fa sulla pelle naturale, e anche su quella italiana, conciata al vegetale, tracciabile, si sono concentrate le campagne di greenwashing di molte altre categorie, a partire dall’automotive. Volvo, apparentemente di punto in bianco, ha dichiarato per esempio che non avrebbe più usato pelle animale nell’accessoristica interna delle proprie auto, che è un po’ come se un rosticcere di polli dicesse che non userà più zucchero nella salsa al pomodoro delle polpette di carne di vitello che offre il martedì. E il puzzo dei polli arrosto tutti gli altri giorni? E la carne di polli di batteria, soprattutto? Cioè, il tema centrale riguardo alla produzione di automobili è davvero il materiale con cui sono realizzati i sedili? Non le emissioni, non le migliaia di tonnellate di acciaio prodotte con altri milioni di cubi di fumi nocivi, eccetera eccetera? La manovra era ovviamente un diversivo atta a creare goodwill nei riguardi del brand svedese controllato dai cinesi di Geely, che continua a registrare utili grazie ai Suv, e non aggiungiamo altro. Diciamo però che i Suv con i sedili realizzati in qualche derivato della plastica o i derivati vegani tenuti insieme con colle di vario genere (ah, davvero pensavate che la pelle derivata da funghi crescesse bella e pronta e liscia per essere tagliata e trasformata in sneaker?) non ci paiono una grande innovazione nell’ottica della sostenibilità, ma è anche vero che, sul tema, investitori e clienti vengono spessissimo tratti in inganno, al punto che l’associazione americana dei conciatori si è sentita in dovere di intervenire, e l’ha fatto nel giro di dodici ore scardinando tutte le ipocrisie dell’iniziativa di Volvo. Che ovviamente non ha ribattuto. L’Unic, l’unione delle concerie italiane, e l’Icec che ne certifica la qualità, a sua volta ha lasciato fare, un po’ perché aveva appena raggiunto un accordo con il Wwf mondiale per valorizzare le 94

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attività e la garanzia di sostenibilità dei propri membri e non voleva scendere sul terreno di scontro, un po’ perché veramente stanca di continui attacchi alla sua attività che, almeno fino a quando il mondo non smetterà di mangiare carne (e potrebbe anche farlo, si intende, ma al momento non pare), continua a essere la più sostenibile e circolare possibile, perché trasforma in beni di lusso scarti alimentari che, non venissero usati, si trasformerebbero invece in milioni di tonnellate di rifiuti biologici tossici da smaltire. L’unica cosa su cui varrebbe davvero la pena di battersi sono gli allevamenti intensivi di bovini e di ovini, che producono una quantità di Co2 superiore a ogni altra attività industriale umana, auto comprese, e di questo si potrebbe andare a chiedere conto agli allevatori del centro e sud America. Queste pelli, però, non arrivano in Italia, che si rifornisce soprattutto in Francia per gli ovini o in Spagna e in genere in


MODA & CINA

Europa presso allevamenti controllati, e quando la blockchain diventerà non solo un obbligo, ma anche un’abitudine, sapremo anche da quali. Prima di rituffarsi nel mare dell’inconsapevolezza generale, vale però la pena di partire da un punto fermo, ed è che la conceria è non solo la più antica attività umana (oh yes, ci siamo vestiti di pelle prima che di lini tessuti a mano), ma che nei millenni si è molto evoluta, perlomeno in Italia dove le regole su trattamento e smaltimento sono severissime nonostante qualche amministratore sulle rive dell’Arno ogni tanto chiuda un occhio e mi riferisco allo scandalo che la scorsa primavera ha travolto alcune concerie di Santa Croce, e relativi amministratori pubblici. La pelle è più sostenibile di qualunque altro “simil” creato, almeno fino a oggi. Certo, se prodotta come deve, costa molto di più del derivato in pvc (e no, non rilascia quelle puzze tremende che si sentono nei mercatini). Troverete ancora gente convinta che la pelle si lavori con il piombo: non è così, perlomeno non la “vera pelle italiana” o il Cuoio di Toscana messo a mollo per settimane in acqua e corteccia di castagno (un grave problema si verificò piuttosto qualche anno fa, quando la terribile “vespa cinese” importata abusivamente da qualche imprenditore del cuneese che voleva marroni più grossi, attaccò i castagni del nord Italia sterminandoli), ma è anche vero che certe narrazioni sono dure a morire e gli episodi alla Santa Croce non aiutano. A causa di uno stigma sociale derivato dal suo antico traffico con le deiezioni animali un tempo necessarie per la concia (sì, l’ammoniaca contenuta nell’urina), l’attività non gode tuttora della rilevanza sociale che meriterebbe, eppure ci sono imprese del nord Italia che, fra i bottali luccicanti, i quadri alle pareti, l’arredo di design, si potrebbero scambiare per showroom del pret-à-porter di prima fascia, e che infatti sono frequentate dai designer dei grandi brand, sempre a caccia della lavorazione più straordinaria e unica da mostrare in passerella. Per dire, mentre Volvo si dedicava attivamente al greenwashing, sulle passerelle delle collezioni estate 2022 di Milano e Parigi si moltiplicavano i più svariati capi in pelle, dagli ubiqui soprabiti e giacche tre quarti (Max Mara, Prada o Hermès,

Da sinistra, Vivienne Westwood, una stilista antesignana - e seria della moda sostenibile. Qui sopra, buste di Max Mara, una griffe che usa molto la pelle. Nella pagina accanto, l’interno di un’auto Volvo, che non sarà più rivestito in pelle

per esempio) agli abiti da sera. Dunque, diciamo che in genere la moda guarda con attenzione ai nuovi materiali, alcuni peraltro e davvero in costante evoluzione come appunto il Mylo, il derivato dei miceli, ma continua a basare il proprio business sulla pelle. Resta però un altro punto da chiarire, che è invece squisitamente morale, e che su altri fronti è già stato messo in luce dall’Economist di qualche settimana fa, ed è la presunta superiorità di cui si ammantano i paladini del politicamente corretto, a partire dai vegani. Io, per esempio e scusate per la nota personale, non mangio né carne né insaccati. Da sempre, non dall’altroieri. All’asilo, ero nota come “la bambina con le tasche sporche” perché infilavo in tasca le fettine di vitello che ci venivano servite in mensa: il solo odore della carne mi ha sempre fatta fuggire a gambe levate. Dopo lunghe lotte, in famiglia rinunciarono a servirmi cervella fritta, fettine di pollo e altri derivati degli stessi, e mio padre studiò una dieta speciale, correvano i ‘70 e la gente mangiava ignara carne imbottita di estrogeni, perché non fossi privata di proteine negli anni cruciali della crescita. Dunque, il seitan e il tofu sono alimenti che pratico da tempo immemorabile. Ma non per questo mi ritengo superiore a chi invece la domenica vuole mangiare l’arrosto con le patate. Il peggiore insulto che si possa rivolgere a chi indossa pelle è che la pelle non sia “etica” e che chi lavora in questa industria sia una “cattiva persona”, e questo non solo perché è giusto il contrario, ma perché prima di indossare l’armatura scintillante del paladino del pianeta, tutti noi dovremmo aprire i nostri armadi e calcolare quanti animali, microorganismi o pesci, siano stati soffocati dalla lavorazione dei nostri piumini sintetici o anche solo dagli scarti che presto diventeranno le nostre infinite t shirt di fast fashion. Per ammazzare il pianeta bastano questi. Iniziamo, piuttosto, a consumare meno. Dice dame Vivienne Westwood, incontrata in splendida forma a Parigi, che bisogna “scegliere bene, indossare a lungo, non buttare”. È il grande paradosso della moda: dover continuare a produrre, beni e possibilmente utili per gli azionisti, inducendo la gente a comprare di meno. In questo paradosso, dovremmo metterci noi, con la nostra intelligenza, e scegliere con attenzione. Informandoci. ottobre 2021

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BIBLIOTECA

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“SUPTECH”: QUELLA VIGILANZA BANCARIA CHE È GIÀ DA RIFONDARE

embra ieri - erano i mesi drammatici seguiti al collasso di Wall Street del 2008 - quando per la vigilanza finanziaria si annunciava una palingenesi. Grandi accusate di non aver previsto e impedito i crack delle banche too-big-too-fail sulle due sponde dell’Atlantico, le authority si ritrovarono tuttavia al centro di una tentativo di “riscossa”: spinte - anzitutto dalla politica - a riprendersi poteri sgretolati nel corso di un ventennio dall’avanzata inarrestabile della finanza globalizzata. Una vasta ri-regulation, in effetti, non è mancata all’appello, dopo il grande falò dei derivati. Negli suo contributo, Alessandra Perrazzelli, vicediretUsa è arrivato il Dodd-Frank Act, ennesimo ten- tore generale della Banca d’Italia. “Da un lato un tativo (datato 2010) di imbrigliare gli animal spi- quadro regolamentare eccessivamente rigido, in rits di Wall Street, dopo che il piano Tarp aveva un contesto in cui cadono le barriere tecnologiche dovuto impegnare 700 miliardi dei contribuenti all’offerta transfrontaliera, rischia di incentivare la per tenere a galla il maggior sistema bancario del delocalizzazione di nuove aziende, con il rischio mondo. In Europa è stata invece la Bce di Mario di perdere le competenze digitali necessarie e di Draghi, nel 2012, ad accelerare in modo decisivo spostare all’estero un’industria nascente, capace nella creazione dell’Unione bancaria, ineludibile peraltro di penetrare i confini nazionali attraverso 13 anni dopo la nascita dell’euro. Il riordino a due il passaporto europeo; dall’altro bisogna mantelivelli della supervisione fra Eba/Bce e “vecchi” nere alta la guardia e assicurare un presidio aderegolatori nazionali è stato l’esito (di successo) guato dei rischi per non compromettere la stabilidi quella riforma. All’inizio del terzo decennio del tà finanziaria e/o la protezione dei consumatori e secolo - e dopo l’uragano Covid che ha avuto fra investitori”. Insomma c’è un nuovo sistema “Supi suoi effetti principali una spinta alla digitalizza- Tech/RegTech/ResTech” tutto da costruire. Con zione in tutte le dimensioni socio-economiche - la poche certezze. Una di queste è che “l’idea di vigilanza finanziaria sembra ritrovarsi di nuovo in un’unica autorità di vigilanza per il sistema finanterra di nessuno. “Come regolare, cosa regolare, ziario sembra aver perso definitivamente vigochi deve regolare” è la multi-domanda per la qua- re, sottolinea Giorgio Gobbi, oggi Direttore della le - forse neppure all’improvviso - risultano datate Sede di Milano della Banca d’Italia , nell’introduzione a un volume cui hanno contribuito anche le risposte emerse a valle della Grande Crisi. Si è messo al lavoro sulla questione un pool di Piers Haben ed Elisabeth Noble, dell’Eba; Anesperti chiamati nel novembre 2020 - nono- drea Resti (Università Bocconi); Fausto Parente stante la pandemia - a una seminario promosso (Eiopa); Filippo Annunziata (Università Bocconi) e dall’Associazione europea per il diritto bancario Marco Lamandini (Università di Bologna). Il primo e finanziario. Ora quegli interventi vengono pub- rischio appare il proliferare di norme e regolatori: verso la quale Cesarini e Becblicati dal Mulino (“Il sistema calli hanno due suggerimenti. finanziario europeo / The EuroPrimo: “La definizione di un pean Financial System”) a cura nucleo essenziale di requisiti di di Francesco Cesarini - emerito entrata e di operatività nel contiall’Università Cattolica di Milanuo applicabili sia agli operatori no - e di Elena Beccalli, preside esistenti, sia a Fintech”. Secondella Facoltà di Scienze bando: “Sarebbe opportuna la fiscarie dell’ateneo ambrosiano e sazione di deadline brevi e taspresidente dell’Aedbf. “Ai rischi sative e per quanto concerne i tradizionali dell’attività bancaria tempi delle consultazioni e dei si affiancano oggi rischi nuovi e contatti previsti dalle diverse fra questi la variabile tecnologiautorità coinvolte nella definica. E trovare il giusto equilibrio zione e nell’attuazione di singoli nelle regole non è mai facile”, interventi”. riconosce senza esitazioni nel FRANCESCO CESARINI

In un volume-dibattito del Mulino Francesco Cesarini ed Elena Beccalli riflettono con un pool di esperti sul futuro della supervisione finanziaria ancora reduce dalla Grande Crisi

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Antonio Quaglio Laureato in Economia aziendale all’Università di Venezia, è stato inviato e caporedattore a Il Sole 24Ore. Collabora a www.ilsussidiario.net

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MALALINGUA

LETTA SI VACCINA CONTRO IL FUOCO AMICO SALVINI CONTRO LA LOGORREA MARITTIMA

L’ Vittorio Borelli Giornalista di lungo corso, condirettore de Il Mondo, fondatore e direttore di East, già direttore delle relazioni esterne di Unicredit nella gestione Rondelli-Profumo

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idea non è venuta a Rocco Casalino né a Luca Morisi, l’ex capo della famosa Bestia di Matteo Salvini, ma a Massimo Minimi, un aiuto elettricista in servizio presso Pfizer Italia: “Ero lì che controllavo delle prese a muro quando una vocina, da dentro, mi ha detto: visto il successo del vaccino anti Covid19, perché non suggerisci ai tuoi capi di studiare dei prodotti specializzati e personalizzati per ogni tipo di problema sanitario, estetico, salutistico, comportamentale eccetera?”. Così Massimo Minimi, che alle vocine ha sempre creduto, ha chiesto un appuntamento al suo amministratore delegato. Che gli ha raddoppiato seduta stante lo stipendio. Nel 2030, all’indomani della più devastante pandemia che l’umanità ricordi, i laboratori Pfizer hanno dunque cominciato a sfornare vaccini personalizzati. Enrico Letta ne ha ordinati due, uno contro il fuoco amico e l’altro contro la calvizie precoce. Matteo Salvini ha fatto scorta di anti logorrea marittima e, su consiglio di Roberto Maroni, di uno snellente specifico per le maniglie dell’amore. Giorgia Meloni si è fatta fare uno specializzato che corregge la dizione da borgata romana in un italiano asettico da annunciatrice televisiva. Matteo Renzi ha optato per una versione rinforzata del vaccino contro il tafazzismo. Luigi Bersani ha comprato dieci dosi di smacchia giaguari, buono anche per smacchiare le macchie solari della pelle. Renato Brunetta si è fatto avanti per lo specialista della crescita garantita. Silvio Berlusconi ha investito 1 miliardo di euro per Aeternum, l’anti age più sofisticato della Pfizer. Carlo Calenda avrebbe voluto acquistare dosi massicce del vaccino che rallenta l’egotismo, ma ha dovuto cedere il passo a un formidabile trio composto da Carlo De Benedetti, Vittorio Sgarbi e Oscar Farinetti. Beppe Grillo si è prenotato, obtorto collo, per il personalizzato che induce all’afasia temporanea. “Il Movimento me lo chiede in vista dell’elezione del Presidente della Repubblica” ha spiegato a un ossequioso Andrea Scanzi. Visto il successo raccolto fra i politici, i vaccini personalizzati hanno subito sfondato anche in altre categorie sociali. Il presidente della Confindustria, Carlo Bonomi, per esempio, ha fatto incetta del prodotto che stimola l’ascolto. Degli altri, s’intende. Mario Moretti Polegato ne ha scelto uno che traduce il dialetto veneto in inglese e viceversa. John Elkann ha prenotato

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Successo planetario per i vaccini personalizzati lanciati da Pfizer. A Berlusconi (e a Putin) il siero «Aeternum», ad Elkann l’antidoto per le faide familiari. E per Biden un vaccino contro la sonnolenza quello che previene contrasti e faide famigliari. Massimo Cacciari ha chiesto a un amico di Marghera, plurilaureato, se esistesse un vaccino contro la tendenza a sbraitare in televisione; l’amico gli avrebbe detto che un prodotto così sofisticato non era ancora stato inventato e che, comunque, ne aveva già chiesto l’esclusiva Maurizio Landini. Maurizio Belpietro si è informato in Ungheria e Polonia sui vaccini che garantiscano la verità. Non si sa come sia andata a finire. Marco Travaglio ha ordinato a Pfizer un mix di prodotti contro l’antipatia spontanea ma, saputo a quali sacrifici avrebbe dovuto sottoporsi (astinenza perpetua dai talk show, i fatti prima delle opinioni, rispetto delle altrui opinioni eccetera), ha deciso di soprassedere. Anche all’estero, i nuovi vaccini della Pfizer hanno riscosso un successo strepitoso. Xi Jnping si è vaccinato contro uiguri e tibetani. Joe Biden ha fatto scorta di un vaccino che consente di restare svegli fino a quattro ore consecutive. Boris Johnson ha richiesto un prodotto contro la sindrome dell’insularità. Vladimir Putin ha preteso una quantità di Aeternum identica a quella dell’amico Berlusconi. Soltanto Angela Merkel ha saputo resistere all’attrazione fatale dei nuovi vaccini. A Ursula Von Der Layen, che glieli raccomandava, ha risposto: preferisco un bello stinco al forno con crauti e patate.


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