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Il datore esagera nelle sanzioni? È punibile

Sanzioni illegittime o esagerate da parte del datore di lavoro, la Cassazione dà ragione al dipendente che dovrà essere risarcito. Il caso di un lavoratore, oggetto di numerose sanzioni e trasferimenti, è stato affrontato il 20 giugno dalla Suprema Corte. Anche se non c’è mobbing o intento persecutorio, il datore rischia la condanna.

Sanzioni ai dipendenti? Attenzione a non esagerare, perché –anche in assenza di mobbing o di chiaro intento persecutorio- se sono tante e tali da causare al lavoratore un danno alle relazioni, alla salute o all’immagine professionale, quest’ultimo ha diritto a un risarcimento.

Anche se non c’è mobbing, il datore rischia

Insomma: in caso di sanzioni illegittime, reiterate o comunque esagerate, il dipendente può avere diritto al risarcimento da parte del datore di lavoro. Lo ha sancito una recente, importante pronuncia della Cassazione (ordinanza 16256 del 20 giugno 2018) sul caso di un lavoratore oggetto di numerose sanzioni e trasferimenti. Il principio è questo, in sostanza: anche se non vi sono mobbing o precisi intenti persecutori, il datore può essere condannato.

Parola degli Ermellini…

A dirlo è la Cassazione, che con l’Ordinanza n. 16256 dello scorso 20 giugno 2018 si è pronunciata sul caso di un dipendente di un Consorzio vittima di ripetuti trasferimenti, demansionamenti, sanzioni conservative (ben 4) e vessazioni lavorative di varia natura.

In ballo c’è l’integrità del lavoratore (cc 2087)

Ora, a parere della Suprema Corte, che ha ribaltato la sentenza di primo grado (ove non erano comunque state riconosciuti né intenti persecutori, né mobbing) e parzialmente riformato la pronuncia dell’appello, il dipendente ha diritto al risarcimento anche in assenza di dimostrabile intento persecutorio: infatti le 4 sanzioni comminate, risultate illegittime, integrerebbero la fattispecie di inadempimento rispetto all’articolo 2087 del codice civile, che stabilisce che “l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”, norma la cui applicazione non è vincolata al determinarsi di una condotta vessatoria complessiva, ma è destinata ad operare anche rispetto a singoli comportamenti inadempienti o illegittimi che siano causa di pregiudizi alla salute e ad altre situazioni giuridiche del lavoratore. Pertanto, precisano i giudici, il datore è chiamato a risponderne.

di Giuseppe Fusto

Uno stralcio dall’Ordinanza

Infatti si legge fra l’altro nella sentenza: “Nella ipotesi in cui il lavoratore chieda il risarcimento del danno patito alla propria integrità psicofisica in conseguenza di una pluralità di comportamenti del datore di lavoro e dei colleghi di lavoro di natura asseritamente vessatoria, il giudice del merito, pur nella accertata insussistenza di un intento persecutorio idoneo ad unificare tutti gli episodi addotti dall’interessato e quindi della configurabilità di una condotta di “mobbing”, è tenuto a valutare se alcuni dei comportamenti denunciati - esaminati singolarmente, ma sempre in sequenza causale - pur non essendo accomunati dal medesimo fine persecutorio, possano essere considerati vessatori e mortificanti per il lavoratore e, come tali, siano ascrivibili a responsabilità del datore di lavoro, che possa essere chiamato a risponderne, nei limiti dei danni a lui imputabili”.

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LUGLIO 2018

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