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Sanità, ci risiamo coi tagli: ancora – 5% sui contratti in essere

di Umberto Marchi

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settembre 2014 La riduzione del 5% sui contratti in essere nella Pa prevista dal decreto Irpef, nel frattempo convertito in legge, si abbatterà anche sulla sanità. Ci risiamo?

Siamo alle solite con la spending review: il Dl “Irpef”, detto anche “Renzi” (66/2014), convertito in legge dalla Camera dei Deputati il 18 giugno e in vigore dal 24 dello stesso mese, starebbe già avendo importanti ripercussioni anche in sanità. Con le solite conseguenze che abbiamo già visto in passato. Si tratta di un testo ricco e molto articolato, come si evince già a partire dal titolo: Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale. Deleghe al Governo per il completamento della revisione della struttura del bilancio dello Stato, per il riordino della disciplina per la gestione del bilancio e il potenziamento della funzione del bilancio di cassa, nonché per l’adozione di un testo unico in materia di contabilità di Stato e di tesoreria. C’è dentro un po’ di tutto, ma quello che interessa noi è il fatto che vi viene sancita la possibilità, per le pubbliche amministrazioni, di ridurre del 5% gli importi dei contratti in essere di beni e servizi. Eh sì, avete sentito bene.

Nuova scure sulla sanità

Ancora tagli, insomma. Preoccupante, se si considera che a farne le spese saranno, fra gli altri, i contratti di pulizia e servizi, con gravi conseguenze per l’igiene di ambienti già di per sé a rischio. Franco Astorina, vicepresidente Fare – Federazione delle Associazioni Regionali degli Economi e Provveditori della Sanità, lancia l’allarme: “Dopo la riduzione forzata del 2012 e del 2013 (5+5%), vengono ancora una volta ritoccati dall’alto i contratti già in essere. Questo nonostante la Corte Europea si sia recentemente pronunciata sull’illegittimità di intervenire su accordi già stipulati. Ma allora, mi chiedo io, perché continuano a farlo? Tenga presente che, oltre ai servizi, parliamo in sanità di ambiti, se mi permette, ancora più essenziali come quello dei farmaci. Ma come posso rinegoziare, ad esempio, un contratto regionale su farmaci esclusivi? Quando si fanno le norme bisognerebbe conoscere a fondo le realtà, altrimenti si rischiano i pasticci”.

Cambia il governo, non la musica Governo cambiato, dunque, ma siamo sempre in clima di spending review, o comunque, come amano chiamarla, di razionalizzazione. Entriamo più nello specifico: la riduzione è prevista dall’articolo 8, comma 8, secondo cui le pubbliche amministrazioni potranno, per i contratti in essere, rinegoziare gli stessi con una riduzione del 5% dell’importo contrattuale. Resta la facoltà del prestatore del servizio di recedere entro 30 giorni dalla comunicazione della manifestazione di volontà dell’Amministrazione senza penalità. La riduzione non deve comunque avvenire a scapito del costo del lavoro e della sicurezza, salvaguardando cioè quanto previsto dagli art. 82, comma 3 bis, e 86, comma 3 bis del DLgs 163/2006. Il fine è una riduzione della spesa per acquisto di beni e servizi per complessivi 2,1 miliardi a decorrere dal 2014, di cui 700 milioni da parte delle regioni e province autonome, 340 milioni a carico delle province e città metropolitane, 360 milioni da parte dei comuni e 700 milioni da parte delle amministrazioni statali. Sempre l’articolo 8 specifica anche gli obblighi di pubblicazione dei dati relativi alla spesa delle pubbliche amministrazioni e alla tempestività dei pagamenti; un tema, quest’ultimo, recentemente giunto all’attenzione dell’Europa.

Un piccolo approfondimento merita l’iter della questione: in virtù di un emendamento approvato in Senato, si chiarisce che la facoltà della pubblica amministrazione di rinegoziare il costo del servizio vale solo per i contratti in corso (o per quelli che derivano da procedura di gara per cui, alla data di entrata in vigore del decreto, sia intervenuta aggiudicazione provvisoria), e non si applica, come in un primo tempo sembrava, sulle future gare. Va sottolineata anche la natura facoltativa del provvedimento: a tale proposito, l’art. 47 comma 12 attribuisce ai Comuni la possibilità di rimodulare le spese o adottare misure alternative per ottenere risparmi analoghi. Un importante strumento, se usato correttamente, contro i temuti tagli lineari.

Tagli… chirurgici

A proposito: se ci riferiamo più in particolare alla sanità, va da sé che molto sta alla sensibilità e alla capacità dei singoli economi e provveditori di misurare i tagli e fare sì che non diventino una mannaia trasversale. Quelli, cioè, che si occupano degli acquisti per le strutture sanitarie, e che sono, appunto, rappresentati dalla Federazione Fare, devono sapere dove è possibile limare e farlo nella maniera più intelligente. Ragiona Astorina: “Se parliamo di servizi di pulizia, essenziali, come ben si può comprendere, in ospedale, è ovvio che il risparmio deve essere ragionato: non puoi passare una volta di meno in un’area a rischio o ridurre il contenuto di servizi ormai al limite. Magari farai un passaggio in meno negli spazi comuni delle aree amministrative, taglierai qualcosa sulla logistica… Il punto, però, è che quella di stressare troppo i prezzi non è una politica che alla lunga paga, anche perché arriva un momento in cui il sistema non regge più e collassa”. E, aggiungiamo noi, ci sono aree, come quella dei servizi di pulizia in sanità, in cui si è raggiunto un limite oltre il quale non si può più andare.

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settembre 2014

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