scenari
Assemblea operatori riutilizzo
la lunga catena dell’usato* di Pietro Luppi*
Gli operatori del riutilizzo di tutta Italia per la quarta volta a confronto discutono del loro futuro. Come si posiziona il no profit nel riuso del futuro?
64 igiene urbana igiene urbana ottobre-dicembre 2014
Il tema del posizionamento del no profit nel futuro scenario di filiera è stato oggetto del dibattito organizzato da Rete ONU il pomeriggio del 14 giugno. C’erano cooperative da tutta Italia ed esponenti del mondo conto terzi. Il mercato potrebbe cambiare ràpidamente. L’idea di raggiungere il massimo riuso attraverso meccanismi di scala potrebbe esplodere all’improvviso, compiendo una repentina metamorfosi che la trasformi da opportunità remota in impellente necessità. Come si posizioneranno le cooperative in questo nuovo scenario? In regioni come le Fiandre belga la strutturazione della filiera è derivata dalla capacità negoziale e di costruzione di rete delle imprese sociali locali e da un contesto specifico caratterizzato da alti costi dello smaltimento in discarica e alti costi di protezione sociale; per le istituzioni locali fare riuso includendo soggetti svantaggiati è diventato quindi un’attività conveniente e possibile da finanziare. Grazie alla collaborazione tra imprese sociali e istituzioni nelle Fiandre belga l’obiettivo di 5 kg riusati per ogni abitante è stato appena raggiunto. In Francia il sistema Envie di raccolta, processamento e vendita dei Raee è esplo(La prima parte dell’articolo è stata pubblicata sul numero precedente)
so grazie alla capacità imprenditoriale, negoziale e di costruzione di rete delle imprese sociali, che hanno saputo raccogliere tempestivamente la sfida posta dalla direttiva europea sui Raee del 2012 (che include la preparazione al riutilizzo come pratica che contribuisce al raggiungimento degli obiettivi di recupero della frazione specifica). In Italia il driver potrebbe essere la rettifica della direttiva europea 98/2008 che includerà la preparazione al riutilizzo tra le pratiche che contribuiscono al raggiungimento degli obiettivi di recupero dei rifiuti urbani in generale, unita al progressivo aumentare dei costi di smaltimento. Se si arrivasse, in occasione di questa o di una prossima rettifica, a disaccoppiare gli obiettivi di preparazione al riutilizzo da quelli di riciclaggio e recupero, allora i comuni italiani, sommati tra di loro, potrebbero essere vincolati a mettere in circolazione l’incredibile quantità di 600.000 tonnellate di merci riutilizzabili. I più bravi e i più veloci, quelli capaci di sviluppare il meccanismo e l’interlocuzione più efficace, si assicureranno il posizionamento più redditivo nella filiera nascente. Le cooperative sono abili nel creare circuiti territoriali e nel dialogare con la politica locale, e per questa ragione hanno imparato a posizionarsi nel settore dei servizi ambientali alle istituzioni; nella nuova filiera del riuso questo vorrà dire posizionarsi nel primo anello, quello della raccolta e dell’approvviogionamento. È l’anello di filiera con minore fabbisogno di competenze e quello meno redditivo. A meno che non apprendano a fare rete, a sviluppare economie di scala, ad adottare tecniche gestionali avanzate e ad assortire le merci così come vuole il mercato, le cooperative non solo rimarranno sull’anello
inferiore della catena, ma lo faranno anche a partire da una posizione di debolezza, considerato che le gare pubbliche sono sempre meno vincolate alla territorialità e che i Comuni e le Aziende di igiene urbana, sia per alternanza politica che per strategia di diversificazione, tendono a generare una maggiore rotazione di fornitori di servizi che in passato. I volumi di riutilizzabile generabili da intercettazioni sistematiche sono molto maggiori rispetto alle possibilità di un’attività di vendita al dettaglio, e non tutte le frazioni sono adatte ai mercati locali; gli schemi sperimentati dalle poche cooperative storiche del riuso sono quindi poco riproducibili e anche nei territori dove queste cooperative storiche operano, non saranno più sufficienti a mantenere la leadership locale del riutilizzo. Se le cooperative non svilupperanno dinamismo e non sapranno reinventarsi sono quindi destinate ad assumere lo stesso ruolo di filiera che hanno oggi nel settore degli indumenti usati, dove la maggior parte dei margini è trattenuto dagli intermediari profit (con l’importante eccezione della cooperativa Humana, che controlla l’intera filiera fino ai mercati esteri). Uno dei problemi che non consente alle cooperative sociali di diventare competitive è la scarsissima produttività dei soggetti svantaggiati, che in tutta evidenza non è compensata dall’inferiore costo della loro manodopera; se le istituzioni hanno a cuore l’inserimento lavorativo dei soggetti svantaggiati dovranno trovare nuove formule di sostegno a questa pratica perchè le cooperative sociali che li integrano non siano espulse dai settori dove operano a causa dell’evolversi di contesti specifici che richiedono maggiore produttività. In realtà, in un futuro non lontano, la differenza tra operatori dell’usato profit, no