ENERGEO MAGAZINE Anno VI Luglio - Agosto 2013

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Edipress Communications - Orbassano (To) - Periodico bimestrale - Poste Italiane Spa - Spedizione postale DI 353/2003 (conv. in L. 27.02.2004 n. 46) art 1, comma 1,CB/Torino - (luglio/agosto 2013) - N. 4 - Abbonamento 6 numeri 30 euro.

Anno VI - luglio/agosto 2013 - Prezzo di copertina 5,50 euro

Periodico per la promozione dell’attività dell’Istituto Internazionale Conoscenze Tradizionali-ITKI UNESCO. Banca Mondiale sulle Conoscenze Tradizionali-TKWB; Premio Eco and the City Giovanni Spadolini; Osservatorio Europeo del paesaggio; Organo ufficiale della Community Network Guglielmo Marconi e del Centro Internazionale Studi per la Dieta Mediterranea “Angelo Vassallo” di Pollica, riconosciuto patrimonio UNESCO.

UNESCO

I Paesaggi della bellezza un messaggio di speranza

Il Ministero più povero per il patrimonio più ricco compie quarant’anni Nasce la Community Network Guglielmo Marconi Autobrennero, arteria dell’arte e della cultura



Anno VI - luglio/agosto 2013

Il difficile compito di andare avanti insieme

EDITORIALE

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n anno fa, un poderoso gruppo di lavoro, costituito da organismi internazionali intergovernativi, associazioni nazionali e non governative, università e amministratori locali, è stato chiamato, nel 40° anniversario del World Heritage Conventon, ad una riflessione generale sulla valorizzazione e la tutela di un patrimonio culturale e naturale che sta cambiando, parallelamente al tessuto sociale e le nuove emergenze gestionali, avviandosi verso i lavori per una nuova convenzione UNESCO. Un patrimonio da promuovere e valorizzare, riportando il valore sulla gente e sulle comunità locali, in sinergia con una rete di sindaci, attraverso un percorso delicato e complesso, finalizzato a definire una “costituente per la bellezza e il paesaggio”. Sindaci che vogliono avere un ruolo di primo piano nella difesa del territorio e del paesaggio e nelle scelte future indicate nella recente Dichiarazione UNESCO di Firenze. Molti segnali sono arrivati in questo periodo da più parti d’Italia, anche attraverso il nostro giornale, e dal mondo. Altri ne arriveranno con l’iniziativa “Alla ricerca del Paesaggio perduto”, inserita nel programma delle azioni promosse dalla Fondazione Spadolini Nuova Antologia, a quarant’anni dall’Istituzione del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, che riparte con una nuova azione capillare per tracciare “una mappa dei bisogni” del patrimonio storico e culturale e dei beni ambientali, sotto il segno di Giovanni Spadolini. Un progetto che si ispira alla Dichiarazione UNESCO sul paesaggio, lo strumento solenne e formale enunciato a Firenze, il 21 settembre 2012, in occasione del “The International Protection of Landscapes”, che va alla ricerca di un modello di una nuova economia partecipata e solidaristica, rispettosa dei territori e dell’ambiente, radicata nel sentire comune e nelle popolazioni. L’obiettivo di promuovere iniziative di valorizzazione delle aree e dei patrimoni immateriali (conoscenze, tradizioni, storia, ecc.) che fanno parte della proprietà collettiva, recuperando una nozione di patrimonio che, in questi ultimi anni, si è offuscata, ma che può ancora rappresentare un’idea di economia a misura d’uomo. Cosa è accaduto in quest’anno? Ci chiarisce le idee Pietro Laureano che, organizzando l’evento di Firenze, lo scorso settembre, ha fornito un’autentica dimostrazione di capacità di tessere relazioni. A fine novembre questi temi saranno approfonditi nel corso di un convegno che sarà organizzato a Matera, dal 21 al 24 novembre 2013, dal titolo “il paesaggio delle caverne“. Si tratta della prima riunione mondiale delle tradizioni e conoscenze delle città

scavate nella pietra. Un’esperienza millennaria che indica soluzioni alternative a quelle percorse della modernità ed è oggi fondamentale per l’elaborazione di nuovi modelli basati su risparmio delle risorse e la sostenibilità. Spiega Pietro Laureano: “Un trattato internazionale richiede investimenti notevoli, in termini di tempi e di costi. La costituzione di una convenzione sotto l’egida delle Nazioni Unite, infatti, comporta: una decisione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite; un negoziato internazionale per la preparazione di un testo preliminare del trattato, condotta da un comitato internazionale preposto; l’adozione del testo del trattato da parte del comitato; la ratificazione del trattato da parte di un numero minimo di Paesi, per la sua entrata in vigore; la costituzione di una struttura (segretariato) per organizzare i lavori propedeutici alla riunione degli organi direttivi; e di strutture e servizi, incluso un adeguato bilancio, necessari a garantirne la funzionalità”. Non è finita. Una volta entrata in vigore, la convenzione richiede: la convocazione periodica degli organi direttivi, al fine di verificarne la corretta attuazione; la costituzione di strumenti operativi, sia a livello nazionale (programmi nazionali per la difesa del patrimonio pae-

Francesco Bandarin, vice direttore generale dell’UNESCO per la Cultura; Pietro Laureano, architetto e urbanista, è consulente UNESCO per le zone aride, la civiltà islamica e gli ecosistemi in pericolo; Massimo Candelori, coordinatore Convenzione della Nazioni Unite per la Lotta alla desertificazione UNCCD, interverranno a Matera, il prossimo novembre, in occasione del 20 anniversario dell’iscrizione della “Città dei Sassi” nella World Heritage List, un convegno dal titolo “Il paesaggio delle caverne”, organizzato dall’UNESCO. In alto a sinistra: Irina Bokova, direttore generale UNESCO.

saggistico) sia a livello internazionale (protocolli di attuazione); la disponibilità di risorse e strumenti finanziari per garantire l’esecuzione delle misure e degli interventi a livello nazionale, regionale e globale (fondi fiduciari a livello globale, regionale e nazionale); la predisposizione di strumenti di monitoraggio e controllo. Come bilanciare la necessità di agire a livello locale, concertando su temi globali, con i costi e i tempi necessari a costituire gli strumenti e mettere in pratica adeguate strategie globali? L’attuale crisi finanziaria delle maggiori economie mondiali potrà mettere a tacere la lecita richiesta di attenzione e di azione delle comunità locali che maggiormente sentono il bisogno di strumenti di tutela sovranazionali? La scarsa disponibilità di capitali potrà far passare in secondo piano la conservazione, la tutela e la gestione sostenibile di beni comuni quali il paesaggio? Ricordiamo che l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, nel settembre 2000 ha approvato gli otto Obiettivi del Millennio, probabilmente il più grande impegno collettivo mai sottoscritto dalla comunità internazionale, a perseguire una serie ben definita e verificabile di scopi in un tempo preciso. Tra questi figura in modo preminente la sostenibilità ambientale, che comprende a sua volta l’integrazione dei principi dello sviluppo sostenibile nelle politiche e nei programmi di governo dei vari Paesi e l’inversione del trend attuale di depauperamento delle risorse. Tutte mirano, attraverso i protocolli attuativi che comprendono principi, norme, azioni, alla conservazione degli ecosistemi, ed allo sviluppo sostenibile nel suo complesso. Riferendosi a questi obiettivi, Irina Bokova, direttore generale UNESCO, ha ricordato nella recente assemblea ONU che questi non tengono sufficientemente conto della cultura. Il segretario generale Ban Ki-moon ha quindi deciso che la cultura sarà al centro dell’agenda di sviluppo globale post 2015, dando un ruolo particolare all’ informazione, le tradizioni orali, arte e l’educazione, fattori chiave dell’industria creativa. Solo tramite la cultura sarà possibile un cambio di paradigma conoscitivo e tecnologico. Ci saranno tra gli obiettivi anche i contenuti della Dichiarazione di Firenze? Per uno strumento internazionale di tutela del paesaggio, una reale opportunità risiede nel capitalizzare gli investimenti fatti in trattati ambientali con similari finalità, ed innestarsi in meccanismi già creati e rodati quale protocollo di attuazione di specifiche misure. Ciò permetterebbe di snellire i tempi ed aumentare l’efficacia rispetto ai costi. “Occorrono soluzioni a lungo termine, - ha avvertito Massimo Candelori dell’UNCCD - integrate nei piani di sviluppo nazionali politiche efficaci per mitigare gli effetti della siccità, della desertificazione e il degrado dei suoli. Per prevenire i problemi, i governi dovrebbero avere delle politiche di lotta contro i cambiamenti climatici che per essere efficaci dovrebbero essere coordinate. Oggi la gestione della crisi volta per volta non è più attuale. Fa bene l’UNESCO a riunire in un’unica Dichiarazione la difesa del territorio e del paesaggio”. Una finestra di dialogo è stata aperta anche con il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP - United Nations Development Programme), la più importante fonte multilaterale di sussidi per lo sviluppo umano sostenibile, che coordina la maggior parte dell’assistenza tecnica del sistema delle Nazioni Unite, ha il compito di approvare programmi nazionali di sviluppo presentati da singoli stati, di stanziare i relativi fondi e di sovrintendere all’esecuzione dei progetti. Iniziative che compongono i programmi, esecuzioni che di solito sono affidate alle agenzie specializzate, progetti realizzati in collaborazione con organizzazioni non governative, con l’obiettivo di favorire lo sviluppo economico e sociale e soddisfare le necessità dei settori più poveri della popolazione. L’UNDP è l’organismo che ha ideato l’approccio più sistematico nel definire lo sviluppo umano, dopo che nel 1988 l’Onu aveva proposto l’avvio di un approccio globale e totale allo sviluppo, che desse la priorità all’individuo. Dal 1990 produce una serie di documenti sul tema dello sviluppo umano, scegliendo ogni anno di focalizzare il rapporto su un argomento specifico. Si tratta di un alleato prezioso che potrà contribuire a porre le premesse per la creazione di un percorso condiviso da tanti partners messi insieme una sola volta. Vedremo cosa accadrà in futuro.

EDITORIALE

Anno VI - luglio/agosto 2013

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I Sassi di Matera sono stati iscritti nella lista dei patrimoni dell’umanità dell’UNESCO nel 1993. L’iscrizione è stata motivata dal fatto che essi rappresentano un ecosistema urbano straordinario, capace di perpetuare dal più lontano passato preistorico i modi di abitare delle caverne fino alla modernità. I Sassi di Matera costituiscono un esempio eccezionale di accurata utilizzazione nel tempo delle risorse della natura: acqua, suolo, energia.

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ISTANTANEE THE LANDSCAPE OF THE CAVES L’impegno dell’UNESCO per tutelare il Paesaggio delle Caverne

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PRIMO PIANO Il Ministero più povero per il patrimonio più ricco

INIZIATIVE 10 Il Ministero delle Utopie Una mostra per ricordare i trent’anni Cinque Anni dopo L’impegno di RES tipica ANCI per i primi 40 anni Insieme, al fianco dell’UNESCO, verso un unico obiettivo Una tappa sui sentieri della spiritualità 16 Largo ai giovani, una nuova sfida 18

SPAZI INNOVATIVI Nasce la Community Network Guglielmo Marconi, una storia che parte da lontano Un progetto senza fili, né barriere Telecom un possibile partner Fare da sé, insieme agli altri Nuova Antologia rende onore a Marconi, Premio Nobel per la fisica nel 1909

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EDUCAZIONE SOSTENIBILE La settimana DESS UNESCO guarda al futuro con l’ottimismo della volontà Settimana UNESCO di Educazione allo Sviluppo Sostenibile Paesaggi di bellezza, ancora un messaggio di speranza

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INTERVISTA Tutela del paesaggio: occorrono nuovi stimoli Intervista al presidente della CNI UNESCO prof. Giovanni Puglisi Ecomuseo della Judicaria e delle Alpi Ledrensi, presentatala candidatura come Riserva della Biosfera

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PAESAGGI DIMENTICATI La meraviglia del mandorlo in fiore Una croccante occasione di rilancio Un progetto per far convivere paesaggio, gusto e qualità

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BENI COLLETTIVI Gli esclusivi luoghi delle Regole per imparare a “possedere” L’aggressione al paesaggio deve finire Tante possibilità di condividere un altro modo di possedere Gli assetti fondiari collettivi una grande risorsa per il territorio

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RICOSTRUZIONE SOLIDALE Quando il rudere diventa una risorsa All’improvviso soffiò una strana bora Il terremoto non è finito, si deve solo non dimenticare Il Parco a ruderi di Auletta Un territorio che rinasce Tutto comincia in una grotta

MODELLI DI TERRITORIO 44 Faenza e la ceramica il respiro urbanistico della città 46

RES TIPICA & DINTORNI La terra che si trasforma in opere d’arte Un marchio di qualità tutela l’antica arte della ceramica Il settore guarda al mercato cinese Una legge tutela la ceramica artistica in Italia Le 34 città aderenti all’AICC

COVENANT OF MAYORS 52 Il Molise mette le ALI SINERGIE 56 Co.Svi.G., un alleato affidabile 58 62

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SCHEGGE DI FUTURO Autobrennero, l’arteria dell’Arte e della Cultura Ma perché tanta inventiva? Occorre un gesto coraggioso e proiettato nel futuro Cultura in movimento, autostrada che diventa comunicazione ed alleanza Bolzano, il fascino del passato I grandi numeri del MUSE Museo delle Scienze di Trento Il Mart di Rovereto, autentico polo culturale di rilevanza internazionale A Modena il Museo Casa natale Enzo Ferrari racconta la storia di un mito

Direttore responsabile: Taty Rosa energeodirettore@hotmail.com Redazione: Pierpaolo Bo edipress@hotmail.com Marketing: Luigi Letteriello 334.120.71.85 Progetti speciali e Pubblicità: Promedia Srl marketing@energeomagazine.com Segreteria di Redazione: Lucrezia Locatelli Realizzazione grafica: Stefania De Cristofaro

Comitato Scientifico: • Augusto Marinelli, già Magnifico Rettore dell’Università degli Studi di Firenze, Presidente della Giuria Premio Eco and the City Giovanni Spadolini. • Prof. Giovanni Puglisi Presidente CNI UNESCO e Magnifico Rettore della Libera Università di Lingue e Comunicazione IULM. • Giuseppe Falciasecca, professore di ruolo di elettromagnetismo presso ALMA MATER Studiorum Università di Bologna. Presidente Fondazione Guglielmo Marconi • Giuseppe Blasi, già responsabile delle sede Rai della Campania, coordinatore dei corsi della Scuola di Giornalismo dell’Università di Salerno. • Dario Carella, MdA Mérit Europeenne, Fondation du Mérite Europeenne, Lussemburgo. • Andrea Chiaves, progettista emerito di impianti innovativi di cogenerazione e teleriscaldamento. • Alberto Chini, Presidente Associazione Culturale Padre Eusebio F. Chini. Precursore della Sostenibilità. • Marco De Vecchi, Professore associato Dipartimento di Agronomia, Selvicoltura e Gestione del Territorio alla Facoltà di Agraria dell’Università di Torino. • Stefano Masini, responsabile Ambiente e Consumi Coldiretti. • Fabrizio Montepara, Presidente Res Tipica ANCI. • Pietro Nervi, Professore di Economia e Politica montana e forestale. Presidente del Centro studi e documentazione sui demani civici e le proprietà collettive dell’Università di Trento. • Domenico Nicoletti, Docente Università degli Studi Scienze Ambientali di Salerno. • Angelo Paladino, Presidente dell’Osservatorio Europeo per il Paesaggio di Arco Latino.

• Dipak Pant, Professore di Antropologia e Economia, fondatore e direttore dell’Unità di Studi Interdisciplinari per l’Economia Sostenibile presso l’Università di Castellanza. • Carlin Petrini, fondatore e Presidente di Slow Food. • Luigi Spagnolli, Presidente Commissione Ambiente ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani). • Piero Sardo, Presidente della Fondazione Slow Food per la Biodiversità. Consulente tematiche e sviluppo azioni: • Dichiarazione UNESCO sul Paesaggio • Sistemi di Scienze locali, Tecniche e Conoscenze Tradizionali • Banca Mondiale Conoscenze Tradizionali (Banca del sapere) - TKWB • Pietro Laureano, Presidente dell’Itki International Traditional Knowledge Institute UNESCO Consulente tematiche e sviluppo azioni: • ripristino centri storici • restauro conservativo • edilizia sostenibile • ricerca di materiali idonei • recupero dei centri abitati • utilizzo dei materiali Marcello Nebl - Tassullo Materiali Spa Collaboratori: Andrea Accorigi, Maja Argenziano, Michaela Barilari, Serena Ciabò, Claudio Chiaves, Alberto Chini, Leone Chistè, Angela Comenale, Puccio Corona, Maria D’Angelo, Filippo Delogu, Marco De Vecchi, Pier Fedrizzi, Lello Gaudiosi, Luciano La Letta, Viviana Martini, Luca Melchionne, Alessandro Mortarino, Ennio Nonni,Isidoro Parodi, Francesca Patton, Adriano Pessina, Marco Pontoni, Angelo Porta, Loredana Renaudo, Paolo Rognini, Bernardino Romano, Maurilio Ronci, Alessandro Sbrana, Marzia Spera, Enzo Siviero, Simone Taddei, Francesca Vassallo, Chiara Veronesi, Valeria Zangrandi. Le fotografie di questo numero Copertina • COPERTINA: Carlo Stanga • EDITORIALE: CNI UNESCO, ITKI UNESCO- Ipogea, Convenzione Nazioni Unite per la lotta alla desertificazione UNCCD. • ISTANTANEE • PRIMO PIANO: Archivio Biblioteca Fondazione Spadolini Nuova Antologia. • INIZIATIVE: Biblioteca Fondazione Spadolini Nuova Antologia, RES TIPICA ANCI, Fondazione Casa natale Enzo Ferrari (Ufficio stampa), FICLU UNESCO, Associazione “Pas de Tor”, Ipogea ITKI UNESCO, Consulta nazionale della proprietà collettiva, Facoltà Agraria Università di Torino, Osservatorio Europeo del Paesaggio, Co.Svi.G., Lepida SPA.

• SPAZI INNOVATIVI: Archivio Biblioteca Fondazione Spadolini Nuova Antologia, Archivio Fondazione Guglielmo Marconi, Trentino Network. • EDUCAZIONE SOSTENIBILE: UNESCO DESS. Studio Stanga. • INTERVISTA: Edipress Communications (Archivio) • PAESAGGI DIMENTICATI: Serena Ciabò: • BENI COLLETTIVI: Consulta nazionale della proprietà collettiva. • RICOSTRUZIONE SOLIDALE: : Fondazione MIdA. Salvatore Biazzo, Osservatorio sul Doposisma. • MODELLI DI TERRITORIO: Città di Faenza. • RES TIPICA & DINTORNI: Associazione nazionale Città della Ceramica, Ente Provinciale per il Turismo di Salerno. • COVENANT OF MAYORS: Relazioni esterne Ali Comuni Molisani. • INIZIATIVE SPECIALI: Comunità del Cibo ad Energie Rinnovabili. • SCHEGGE DI FUTURO: Relazione Esterne Autobrennero, Relazioni Esterne Museo Casa Enzo Ferrari, Museo Archeologico dell’Alto Adige (Ufficio Stampa), MUSE – Museo delle Scienze (Fotografo Vuance), Museo d’Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto (Fernando Guerra). Gli articoli e le note firmate esprimono solo l’opinione dell’autore e non impegnano la direzione e la redazione di Energeo Magazine. Tutela della Privacy: Energeo Magazine viene inviato in abbonamento postale. Il fruitore del servizio può chiedere la cancellazione o la rettifica dei dati ai sensi della Legge 675/96. Prezzo di copertina: Euro 5,50 Abbonamento a 6 numeri Euro 30,00 Diffusione on line: www.alicomunimolisani.it www.regione.molise.it www.comunitrentini.it www.distrettoenergierinnovabili.it www.ecoandthecity.it www.energeomagazine.com www.edipress.net www.ipogea.org/ www.osservatoriopaesaggio.eu (in costruzione) www.restipica.net Direzione, Redazione, Abbonamenti: Sede legale: Edipress Communications S.a.s. Strada Torino 43, 10143 Orbassano (To) 334.120.71.85 - 335 60.60.490 www.energeomagazine.com abbonamenti@energeomagazine.com

SOMMARIO

SOMMARIO

Copertina: Carlo Stanga

Anno VI - luglio/agosto 2013

Uffici di Corrispondenza: • Distretto Energie Rinnovabili Via Bellini, 58 - Firenze Tel. (+39)055.36.81.23 - Fax (+39)055.321.70.26 • Trento - Consorzio dei Comuni Trentini Via Torre Verde, 23 - Tel. 0461 987139 • ITKI UNESCO-Ipogea (Centro ONU) Via Roma 595 - 50012 Bagno a Ripoli (Firenze) • Osservatorio Europeo del Paesaggio - Certosa di San Lorenzo 84034 Padula (Patrimonio UNESCO) (+39)366.980.14.55 - Fax 0974.95.38.14 Stampa: Società Tipografica Ianni Srl Strada Circonvallazione, 180 - Santena Tel. (+39)011.949.25.80 Registrazione Tribunale di Torino N° 4282 del 18-12-1990 Copyright Energeo Magazine Edipress Communications S.a.s. Periodico bimestrale Poste Italiane Spa Spedizione Postale Dl 353/2003 (conv. in L.27.02.2004 n.46) art.1, comma 1, CB/ Torino Anno VI - N° 4 - Luglio/Agosto 2013 Il periodico Energeo Magazine è iscritto nel Registro degli Operatori della Comunicazione (ROC) - N° iscrizione 17843

Questo periodico è associato all’Unione Stampa Periodica Italiana.

Nella foto: Il MART di Rovereto è stato realizzato su progetto dell’architetto ticinese Mario Botta, in collaborazione con l’ingegnere roveretano Giulio Andreolli. E’ un museo aperto che promuove nuove idee, incoraggia il dibattito, gli scambi e le collaborazioni.

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THE LANDSCAPE OF THE CAVES L’impegno dell’UNESCO per tutelare il Paesaggio delle Caverne

Le Grotte di Pertosa-Auletta sono un complesso di cavità carsiche di rilevanza turistica,. Il complesso carsico, il cui ingresso è situato nel comune di Pertosa, si sviluppa nel sottosuolo dei vicini comuni di Auletta e Polla, a 263 m s.l.m., lungo la riva sinistra del fiume Tanagro. Il fiume, chiamato Negro, dà a queste grotte una caratteristica particolare: esse sono infatti le uniche grotte non marine attraversate da un corso d’acqua.

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a foto accanto rappresenta l’ingresso delle Grotte di Pertosa-Auletta, dove, grazie al lavorio incessante della natura da 35 milioni di anni, è stata creata quella che oggi è una magica attrazione per migliaia di visitatori. Diversi aspetti suscitano l’interesse per questo sito: naturalistico, speleologico e archeologico. Il tratto iniziale delle Grotte è invaso dalle acque del fiume Negro, un fiume proveniente dalle più recondite profondità che offre un affascinante ed inconsueto viaggio in barca, fino a raggiungere un piccolo approdo dal quale ci si inoltra nelle viscere della terra immersi in un silenzio magico, laddove luci ed ombre si incontrano, grazie ad un sistema completamente integrato e innovativo - il primo di questo genere a livello mondiale che tiene conto della tutela ambientale, il risparmio energetico e la ricerca scientifica - che alimenta l’impianto di illuminazione a tecnologia Led. L’ambiente è surreale, cunicoli, gallerie e caverne si aprono dinanzi all’occhio del visitatore che indugia sulle superfici circostanti scoprendo come gruppi di stalattiti e stalagmiti si modellano di volta in volta in forme misteriose, cui spesso la fantasia ha assegnato un nome. Questa è una delle tante grotte che ha consentito ad un territorio di rinascere, grazie ad un insieme di attività turistiche diversificate e di promozione dello sviluppo territoriale, promosse dalla Fondazione MIdA (approfondimento a pag. 36), viste dall’UNESCO con la lente di ingrandimento. Rientrano, infatti, tra gli esempi eccellenti che fanno considerare il “Paesaggio delle caverne” un tema di approfondimento sulle cavità facilmente accessibile dall’esterno che offrirono riparo ai nostri progenitori, utile per integrare e rinforzare azioni condivise per il paesaggio. Se ne parlerà a Matera, nel corso del Convegno “THE LANDSCAPE OF THE CAVES - The Cut Rock Cities Traditional Knowledge For The Proper Management of Ecosystems”, organizzato in occasione del 20 anniversario dell’iscrizione della “Città dei Sassi” nella World Heritage List UNESCO e per la nomination del capoluogo lucano come Capitale Europea della Cultura 2019. L’appuntamento è previsto il 21-22-23 novembre 2013. L’incontro servirà come approfondimento ad un ciclo di iniziative, inserite nel programma “The International Protection of Landscapes”, organizzate dall’UNESCO e dall’ITKI, l’organizzazione di Bagno a Ripoli in attesa del riconoscimento ufficiale UNESCO (dovrebbe essere comunicato a novembre) su cui il governo italiano e la nuova ambasciatrice UNESCO a Parigi stanno lavorando per individuarla come Istituto UNESCO. ITKI avrà il compito unico al mondo di inventariare e promuovere le conoscenze tradizionali e il loro uso innovativo raccogliendole on line in una banca mondiale delle conoscenze (la Traditional Knowledge World Bank (www.tkwb.org) con un metodo “wiki” e di Istituto UNESCO sulle conoscenze tradizionali. Continua l’impegno del nostro giornale, che sarà, anche in questa occasione, media-partner. Alla prima riunione mondiale delle tradizioni e conoscenze delle città scavate nella pietra ci saranno oltre trenta esperti provenienti da tutti i continenti, convocati da Francesco Bandarin, assistente del direttore generale Cultura dell’UNESCO, perché la sfida per difendere il paesaggio (anche quelle delle grotte) è grande. Sarà coinvolta anche l’Associazione Nazionale Città delle Grotte, aderente a Res Tipica ANCI, che rappresenta la rete dei comuni nel cui territorio sono presenti cavità naturali sotterranee, marine o nei fianchi di un monte, tutte da difendere e da promuovere tramite iniziative e servizi nel campo della tutela, della promozione e dell’informazione ambientale e turistica.


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Fino a che punto è possibile difendersi non dagli abusi tecnicamente intesi, compiuti cioè in violazione di norme o di principi generali condivisi, ma da quelli di origine squisitamente “culturale”? Da quelli cioè che, nel formale rispetto delle regole e del consenso, derivano dal ferale abbraccio, nel nome del cattivo gusto, di un’avventata committenza, di un’infausta progettazione e di un’ottusa amministrazione? Eppure quarant’anni fa ci fu un provvedimento urgente: la creazione lampo del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali

Il Ministero più povero per il patrimonio più ricco

PRIMO PIANO

Nel 1974 Giovanni Spadolini fondò il Ministero per i Beni culturali e ambientali, oggi il Premio dedicato allo statista fiorentino propone una serie di iniziative speciali da avviare sull’intero territorio nazionale. All’epoca si segnò una nuova fase, nella quale i Soprintendenti, finalmente esaltati nella fondamentale importanza del loro lavoro, si sentivano interpreti e testimoni della grande svolta in atto. Una svolta che nelle intenzioni di Spadolini avrebbe dovuto coinvolgere anche gli enti locali, lasciando - secondo il dettato costituzionale - allo Stato la funzione di guida e di orientamento nella difesa unitaria del patrimonio e conferendo alle regioni le competenze sui musei e le biblioteche locali.

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el governo bicolore Moro - La Malfa, in carica dal dicembre 1974 al gennaio 1976, a Giovanni Spadolini fu affidato un compito tanto originale quanto necessario: quello di tenere a battesimo un nuovo ministero, nato addirittura per decreto, tale la condizione di “necessità e urgenza” prevista dalla Costituzione per il ricorso a questo strumento legislativo: il Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, un’amministrazione autonoma, responsabile unica di fronte al Parlamento, unica interlocutrice per un nuovo indirizzo globale di protezione per l’area dei beni culturali e per la necessaria rifondazione delle leggi di

tutela. Ugo La Malfa, in ottemperanza ai poteri previsti per il Presidente del Consiglio, aveva lasciato ad Aldo Moro la libertà di scelta fra i suoi uomini nella fase di composizione del governo: e Moro aveva scelto l’uomo giusto al posto giusto, quasi a scandire quell’unità di intenti fra mondo della cultura e pubblica amministrazione che altre volte non era stato possibile realizzare. Quel “per”, anziché “dei” beni culturali e ambientali fu fortemente voluto da Spadolini, contro ogni tentazione dirigista, nel rifiuto dei ministeri della cultura evocanti solo regimi autoritari, nella volontà di sottolineare la pubblica fruizione, il servizio reso al godimento

della collettività nazionale. La novità era anche nell’ associazione della difesa del patrimonio artistico a quello ambientale e naturale, autentica anticipazione delle future battaglie in difesa del paesaggio. “Non è possibile - così si espresse il 16 gennaio 1975 durante il dibattito per la conversione in legge del decreto istitutivo - oggi pensare ad un Ministero dei beni culturali come solo guardiano, vorrei dire antiquariale del patrimonio artistico, allorché accanto al bene culturale vero e proprio, il monumento, il museo, lo scavo, ci sono continue aggressioni a quella cornice che non è più soltanto paesistica, ma è naturale e ambientale insieme ed esige una globale difesa da parte dello Stato”. Un’idea, quella della tutela unitaria delle opere d’arte e del loro contesto storico-ambientale, già presente nel suo intervento a favore di opportune misure per la salvaguardia di Venezia, l’11 ottobre 1972. “La difesa di Venezia è un tutt’unico - aveva detto - la città lagunare ha diritto di essere preservata dal deperimento

Prima di assumere le funzioni di responsabile del nuovo dicastero del Governo Italiano preposto alla tutela della cultura e alla conservazione del patrimonio artistico e culturale e dei beni ambientali, Giovanni Spadolini ha dovuto prestare giuramento, nel Salone delle Feste al palazzo del Quirinale, davanti al Presidente della Repubblica Giovanni Leone, secondo la formula rituale. Nella foto: Il sorridente professore fiorentino conversa con Ugo la Malfa e Aldo Moro.

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naturale e dalla mano dell’uomo, di essere salvata come ambiente ecologico, come insieme di grandi e piccole opere, come straordinaria e insostituibile intelaiatura umana nel complesso unitario della laguna, che non può essere colpito in un punto senza essere vulnerato nella sua superstite totalità”. Dunque un Ministero “costituente”, il più possibile sburocratizzato, il più possibile agile, quasi un’Agenzia in senso anglosassone, ma impegnato nello stesso tempo in interventi di emergenza, in provvedimenti che non potevano più attendere; tanto da trovarsi ad affrontare con mezzi assolutamente inadeguati e sproporzionati i problemi di ordinaria e spesso straordinaria amministrazione, con un terzo dei musei chiusi per mancanza di personale di custodia e con gli altri organici sguarniti e insufficienti, problemi emblematicamente acuiti da fatti drammatici come il furto del 6 febbraio 1975

nella Galleria Nazionale delle Marche di Urbino. Tuttavia i risultati concreti non mancarono: si pensi all’approvazione in tempi brevissimi di numerosi disegni di legge, contro ogni ritmo abituale e disperante del lavoro parlamentare, o al miracolo che portò in soli quarantuno giorni, fatto senza precedenti, alla conversione in legge del decreto istitutivo del nuovo Ministero. Fra i provvedimenti fondamentali per il recupero del patrimonio ed il rilancio di una politica adeguata ai beni culturali si possono ricordare la legge che conferiva alla Biblioteca Nazionale di Roma autonomia contabile e amministrativa e che stanziava 850 milioni di lire per il suo funzionamento; la legge volta ad ampliare l’organico dei custodi e delle guardie notturne nei musei e negli scavi archeologici, con la delineazione di un programma da portare a termine in tre anni per l’installazione di moderni impianti antifurto e antincendio nei

musei e nelle gallerie. E poi lo snellimento delle procedure e dei regolamenti, con la facoltà data ai Soprintendenti di provvedere direttamente alle esigenze dei singoli complessi eliminando i passaggi e le formalità burocratiche che fino ad allora avevano fortemente ritardato le iniziative di tutela, ed ancora il passaggio degli Archivi di Stato dalle competenze del Ministero dell’Interno - nella cui amministrazione occupavano un ruolo del tutto marginale e riduttivo alle loro grandi potenzialità - a quelle del nuovo dicastero, in linea con la concentrazione delle risorse culturali in senso ampio in un unico organismo. Tutte scelte che corrispondevano ad una precisa filosofia di integrazione fra i vari settori e le risorse del nostro paese, con la piena consapevolezza delle grandi potenzialità economiche che da una tutela attenta e da una promozione efficace si potevano trarre. “I beni culturali - così il 23 gennaio 1975 - devono creare le premesse perché il turismo funzioni…Questo è il ministero più povero della Repubblica per il patrimonio più ricco”. Pochi i fondi a disposizione, all’inizio addirittura i ritagli di bilancio della Pubblica Istruzione che seguivano il distacco delle competenti direzioni generali, ma un grande entusiasmo e un grande spirito di sacrificio. Una nuova fase, nella quale i Soprintendenti si sentivano interpreti e testimoni della grande svolta in atto. Una svolta che nelle intenzioni di Spadolini avrebbe dovuto coinvolgere anche gli enti locali, lasciando - secondo il dettato costituzionale - allo Stato la funzione di guida e di orientamento nella difesa unitaria del patrimonio e conferendo alle regioni le competenze sui musei e le biblioteche locali.

PRIMO PIANO

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Cosimo Ceccuti Aosta settembre 1986: Giovanni Spadolini Ministro della Difesa con Papa Giovanni Paolo II in visita alla scuola militare, nell’atto di donare al Papa il suo libro “La Firenze di Gino Capponi”. Numerosi sono stati i punti d’incontro fra il Papa e Spadolini, che come Presidente del Consiglio dei Ministri ebbe modo di incontrarlo più volte dopo l’attentato. In particolare la comune passione per la storia del Risorgimento polacco ed italiano.

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Anno VI - luglio/agosto 2013

Il “bene pubblico” diventa nel 1909 una fattispecie giuridica. Nel 1974 Giovanni Spadolini fonda il Ministero per i Beni culturali e ambientali. Oggi il Premio a lui dedicato propone una serie di iniziative finalizzate a diffondere una cultura per la valorizzazione del patrimonio artistico e dei beni ambientali

Il Ministero delle Utopie

INIZIATIVE

A quarant’anni dall’Istituzione del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, riparte una nuova azione capillare per tracciare “una mappa dei bisogni” del patrimonio storico e culturale e dei beni ambientali, sotto il segno di Giovanni Spadolini. Per la circostanza è stato allertato, con la collaborazione di Res Tipica e altre organizzazioni locali, un autentico esercito di tutte le forze vive della cultura e della società per riscoprire, monitorare e promuovere azioni di tutela e di salvaguardia del patrimonio ambientale, culturale, archeologico, storico, urbanistico, architettonico del nostro Paese.

S

crive Giovanna Mencarelli su Treccani.it, individuando le Nuove strategie di tutela del patrimonio culturale e ambientale: “I beni culturali hanno costituito in Italia un settore a lungo emarginato e sottovalutato nella politica e nelle scelte della pubblica amministrazione, nonostante l’istituzione (con d.l. 14 dic. 1974 nr. 657, convertito in l. 29 genn. 1975 nr. 5) del Ministero per i Beni culturali e ambientali, riorganizzato come Ministero per i Beni e le Attività culturali, a norma dell’art. 11 della l. 59 del 15 marzo 1997, con d. legisl. 20 ott. 1998

nr. 368. Oggetto di esperienze per l’occupazione giovanile (l. 285 del 1° giugno 1977), che non hanno però presentato l’effetto dinamico atteso, soltanto a partire dagli anni Novanta i beni culturali hanno registrato un sempre crescente interesse, che si è formalizzato in iniziative con intenti di rinnovamento e di imprenditorialità”. I beni culturali sono stati al centro dei dibattiti e delle proposte politiche a livello nazionale e internazionale, anche attraverso le grandi mostre, il più delle volte veri motori di interesse e di consenso, offerte al pubblico, per renderlo

Una mostra per ricordare i trent’anni Dieci anni fa Firenze e la Fondazione Spadolini Nuova Antologia organizzarono la mostra “Giovanni Spadolini e la nascita del ministero dei Beni culturali e ambientali” presso la biblioteca della Fondazione in via Pian de’ Giullari 36/a, dai contenuti esclusivi: vicende testimoniate da immagini, documenti e ritagli di stampa, tratti dall’ archivio inedito dello statista repubblicano. “Fu ricostruito il clima di quegli anni - ricorda il presidente della Fondazione Spadolini Nuova Antologia, Cosimo Ceccuti - caratterizzati da un allarmante degrado del patrimonio artistico e culturale. Il governo Moro-La Malfa, un bicolore Dc-Pri nato nel novembre 1974, fu un estremo tentativo di rivitalizzare il centrosinistra. E anche per questo il premier democristiano volle al suo fianco Spadolini, che da direttore del Corriere lo aveva sostenuto in momenti difficili. Prima divenne ministro senza portafoglio, poi, istituito il dicastero, assunse la pienezza delle funzioni”. Fu allora che Moro gli inviò una lettera, rimasta finora inedita, nella quale auspicava che la creazione del ministero

potesse “valere, almeno in prospettiva, a realizzare un accostamento e una compenetrazione tra mondo politico e mondo della cultura, che non possono, l’uno e l’altro, essere veri e attuali senza una profonda interazione”. Parole nelle quali senza dubbio Spadolini si riconosceva appieno, rilevò sul Corriere il saggista Antonio Carioti, già collaboratore della Voce Repubblicana. “Come diceva Mario Pannunzio - ricorda Ceccuti - Spadolini era un intellettuale intero, cioè conduceva le stesse battaglie da storico, da giornalista, da parlamentare e da uomo di governo. Direttore a via Solferino, nel 1969 aveva inviato Indro Montanelli a Venezia, affinché svolgesse un’ inchiesta sulla situazione drammatica della città lagunare, tanto che si beccarono entrambi una querela dal sindaco”. E proprio a Venezia fu dedicato il suo primo discorso in Senato come ricordiamo a pag. 8. “Più tardi, - continua a raccontare il Presidente della Fondazione Spadolini Nuova Antologia - da ministro, Spadolini si recò a Caprera, per evidenziare lo stato di abbandono in cui si trovava la tomba di Garibaldi. Nella sua visione, le attività di denuncia

consapevole del patrimonio storico nazionale e competente nella fruizione. I beni culturali sono stati quindi riscoperti come settore attivo dell’economia nazionale, per l’accertata potenzialità di produrre utili e nuove professionalità, attraverso l’organizzazione, la promozione e la gestione mirate. Dopo anni di politica centralizzata e autofinanziata, lo Stato italiano - riporta Treccani.it - ha dovuto riflettere sulle difficoltà di gestione - con appena lo 0,45% dell’intero bilancio nazionale del cospicuo patrimonio, composto di circa 3500 musei, 2099 siti archeologici,

Firenze, primavera 1974, Giovanni Spadolini con Giorgio La Pira all’inaugurazione di un evento culturale cittadino.

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20.000 centri storici, 95.000 chiese, 40.000 rocche, 30.000 dimore storiche, 4000 giardini, 30.000 archivi, 3100 biblioteche; un complesso di beni, tra cui alcuni settori in crescita, è, a fine secolo, al centro di un rinnovato interesse scientifico: vanno ricordati i beni demo antropologici, i beni demo-etnoantropologici, i beni archeoindustriali e i beni Ambientali e il Paesaggio. Questi ultimi, gestiti da un settore del Ministero, che fa capo all’Ufficio centrale per i Beni ambientali e paesaggistici, costituiscono un patrimonio di notevole interesse pubblico, già tutelato ai sensi della l. 1497 del 29 giugno 1939 e 431 dell’8 agosto 1985. Si tratta, nel complesso, di beni culturali che avevano già ottenuto un riconoscimento formale “come testimonianze materiali aventi valore di civiltà”. Tutto questo fa riflettere alla vigilia del quarantennale della fondazione degli attuali dicasteri del Governo Italiano preposti alla cultura e alla conservazione del patrimonio artistico e per i beni ambientali, e della ricorrenza del ventennale della morte dello statista fiorentino. Da allora ci sono state numerose tappe.

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Anno VI - luglio/agosto 2013

Milano 1970, Giovanni Spadolini, allora Direttore del “Corriere della Sera” con Indro Montanelli, la firma più prestigiosa del suo Corriere. (Spadolini e Montanelli escono dal Tribunale di Milano dove Spadolini aveva difeso una serie di pungenti articoli denuncia di Montanelli sul degrado di Venezia causato dall’insediamento industriale, per i quali il Direttore e l’inviato speciale avevano ricevuto una querela per diffamazione, caduta nel nulla). Firenze, Sala d’Arme di Palazzo Vecchio, dicembre 1975, Giovanni Spadolini accompagnato da alte cariche cittadine si intrattiene con Renato Guttuso in occasione della mostra delle sue opere.

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e di governo erano indissolubilmente congiunte”.

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Cinque anni dopo

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Altra tappa, cinque anni dopo, per affrontare queste tematiche. I 35 anni del Dicastero vennero ricordati da Cristina Manetti su il Giornale, la quale rilevò come la protezione dei beni culturali fosse una parabola che ha radici lontane. Era stato Ruggero Bonghi, ministro della Pubblica istruzione nel pieno autunno della Destra storica a volere una direzione generale che avviasse la prima embrionale azione di tutela dei beni artistici e archeologici dell’Italia unita. Ma il momento di svolta che portò al passaggio dal grande recipiente della Pubblica istruzione alla formazione autonoma di un Dicastero dei Beni culturali fu con Giovanni Spadolini primo Ministro dei Beni culturali e ambientali della storia d’Italia. Quello il momento, quella la fase di fondazione e articolazione di un nuovo Ministero. E fu proprio Spadolini il protagonista dell’esperienza costituente nell’ambito del bicolore Moro-La Malfa. Un momento importante della storia politica e sociale italiana. La situazione era ai limiti dell’emergenza. La svolta rischiava di diventare un sogno non realizzato. Il quotidiano di via Negri sottolineò come la prima intuizione del bene artistico inteso come “bene pubblico”, da tutelare secondo le leggi dello Stato e non secondo gli arbitri dei privati, rimonta all’età giolittiana. Avvenne infatti negli anni fra il 1902 e il 1909 la vera rivoluzione che portò agli strumenti legislativi di tutela che ancora mancavano. Il “bene pubblico” diventò, un secolo fa (1909), una fattispecie giuridica. L’immenso e sconosciuto patrimonio

di beni d’arte disseminati nel territorio dello Stato venne quindi automaticamente inglobato in questo concetto nascente, in una specie che trovava così una disciplina legislativa di controlli, di denunce, di schedature, di vigilanza, di alienazioni. La creazione del ministero aveva l’aspirazione di “realizzare una compenetrazione tra mondo politico e mondo della cultura, che non possono, l’uno e l’altro, essere veri senza una profonda interazione”. Parole nelle quali Spadolini, che si definiva Ministro dell’utopia, si riconosceva, tanto che uno dei suoi meriti fu certo quello di aver coinvolto l’opinione pubblica facendo dei Beni culturali un grande tema di discussione.

L’impegno di RES tipica ANCI per i primi 40 Anni La discussione continua ancora oggi, in un momento difficile per il Paese. Ancora una volta si coinvolge l’opinione pubblica per cercare il patrimonio nascosto, dimenticato o semplicemente mal utilizzato: la leva con cui risollevare il Paese. Occorrono interventi concreti e scelte precise, trovare inequivocabili risposte a spe-

cifiche domande. La Fondazione Spadolini Nuova Antologia, la Fondazione Casa di Enzo Ferrari-Museo (diretta da Adriana Zini), e la Fondazione Guglielmo Marconi, attraverso il Premio Eco and the City e con la collaborazione di Energeo Magazine, intendono avviare un pacchetto di iniziative speciali (www.ecoandthecity.it), allertando un autentico esercito di tutte le forze vive della cultura e della società, quelle indicate, a suo tempo, dallo statista fiorentino. Res Tipica ANCI farà da apripista al progetto per riscoprire, monitorare e promuovere azioni di tutela e di salvaguardia del patrimonio ambientale,

Roma, il 9 ottobre prossimo, nella sede prestigiosa dell’ANCI (Associazione Nazionale Comuni d’Italia), in via dei Prefetti, ospiti dell’Associazione di Identità Res Tipica, creata dall’ANCI nel 2003 per promuovere in Italia e nel mondo le identità territoriali. “Ci è sembrata doverosa questa collaborazione, che si inserisce a pieno titolo nel programma del nostro Manifesto dei valori spiega Fabrizio Montepara, presidente di RES Tipica ANCI - Per raggiungere questi nuovi obiettivi dobbiamo garantire una possibilità di comunicazione unitaria al progetto da parte di tutte le Associazioni ade-

culturale, archeologico, storico, urbanistico, architettonico del nostro Paese, con l’obiettivo di diffondere una cultura per il mantenimento del decoro urbano e la valorizzazione dei Beni Culturali ed ambientali, intesi come patrimonio comune. E’ prevista un’azione di aggregazione partendo dal basso verso l’alto, come indica l’UNESCO, per incoraggiare programmi di partecipazione insieme ad interventi basati sulla conoscenza locale. Il progetto sarà presentato a

renti a RES tipica”. L’Associazione oggi riunisce 27 Associazioni di Identità, 1.885 Comuni, 8 Unioni di Comuni, 38 Province, 2 Regioni, 37 Comunità Montane, 8 Enti Parco, 9 Strade del Vino, 14 Camere di Commercio, per un totale di oltre 2000 Enti locali. Il network, rivolto principalmente ai Comuni di piccole e medie dimensioni, intende preservare e favorire l’immenso patrimonio che incorpora i saperi delle comunità, le caratteristiche dell’am-

biente e le produzioni tipiche, trasformando questo grande capitale culturale e sociale in qualità della vita per chi in quei luoghi risiede, anche solo temporaneamente, e in occasioni di sviluppo sociale ed economico rispettoso dei valori e della cultura locale.

Insieme, al fianco dell’ UNESCO, verso un unico obiettivo

L’azione continuerà anche nei prossimi mesi, per salvaguardare la diversità e il patrimonio materiale e immateriale, coinvolgendo la Federazione Italiana Club e Centri UNESCO, completamente rinnovata nei vertici e nei programmi avviati, comunque, in sinergia con la Commissione Nazionale UNESCO, come il progetto per il Decennio dell’Educazione allo Sviluppo Sostenibile (DESS) 2013. “Tra gli obiettivi - spiega il presidente della FICLU Adriano Ritacco - la valorizzazione e l’adozione di quei luoghi intesi come patrimonio comune, ma anche della tutela dei borghi arroccati, affascinanti, inseriti in paesaggi di aspra bellezza, pieni di mistero e di storia, oggi completamente abbandonati, un tempo antichi custodi di un bene storico-culturale, testimonianza del tempo e memoria storica degli stessi borghi, poi diventati paesi fantasma”. L’iniziativa è rivolta a quanti hanno a cuore i valori della salvaguardia e della tutela del patrimonio culturale, soprattutto quello considerato “minore”, la cui funzione oscilla in continuo tra quella di deposito passivo della memoria storica e dell’identità culturale e quella, opposta, di potente stimolo per la creatività del presente e la costruzione del futuro. Le porte sono aperte a tutte le realtà che esprimono la loro profonda preoccupazione per l’abbandono del patrimonio locale e il degrado del paesaggio a causa della rapida urbanizzazione, l’industrializzazione e altri rischi e minacce causati da motivi incomprensibili che hanno raccolto la possibile sfida di monitorare l’Italia che scompare. Il modello da replicare potrebbe essere quello adottato dall’Associazione “Pas de Tor” che ha progettato, organizzato, gestito e promosso, con la partecipazione ed il sostegno delle Amministrazioni Pubbliche e del Privato, diversi progetti ed iniziative a valorizzare la

INIZIATIVE

Il Ministero delle Utopie

Anno VI - luglio/agosto 2013

Sulla scia dell’impegno del Ministro per i Beni Culturali e Ambientali Giovanni Spadolini

Fabrizio Montepara

Cosimo Ceccuti

Adriana Zini

Adriano Ritacco

Lorella Maria Teresa de Marco

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INIZIATIVE

Il Ministero delle Utopie

regione Friuli, la Provincia di Udine ed in particolar modo la bassa Friulana puntando anche all’Internazionalità. Le attività partono da una ricerca archeologica, storica, culturale e produttiva del territorio studiandone le varie possibilità di valorizzazione e promozione. “Il percorso - spiega Lorella Maria Teresa de Marco, presidente dell’Associazione - è iniziato con l’archeologia, che rappresenta il tempo di ieri, per arrivare ad oggi utilizzando quello strumento indispensabile che è la storia”. “Tutti i progetti - precisa - vengono sviluppati in collaborazione con Atenei, Musei, Scuole, Enti Territoriali, Associazioni e Privati. L’intento è conoscere per conservare e valorizzare la storia e promuovere nuove forme di economia capaci di auto sostenersi”. Un’alleanza per quanto riguarda la sezione speciale “Alla ricerca del Paesaggio perduto” che si ispira alla Dichiarazione UNESCO sul paesaggio - lo strumento solenne e formale enunciato a Firenze, il 21 settembre 2012, in occasione del “The International Protection of Landscapes”, organizzato da Pietro Laureano - è stata fatta con la Consulta nazionale della proprietà collettiva, presieduta da Michele Filippini, per far conoscere il variegato mondo di questa antica concezione della appartenenza: il fenomeno dei beni collettivi, inteso come modello di una nuova economia partecipata e solidaristica, rispettosa dei territori e dell’ambiente, radicata nel sentire comune e nelle popolazioni. La Consulta si propone di riscoprire questi luoghi per fare un tuffo nella natura con l’obiettivo di promuovere iniziative di valorizzazione delle aree e dei patrimoni immateriali

Anno VI - luglio/agosto 2013

(conoscenze, tradizioni, storia, ecc.) che fanno parte della proprietà collettiva, recuperando una nozione di patrimonio che, in questi ultimi anni, si è offuscata, ma che può ancora rappresentare un’idea di economia a misura d’uomo. Oggi che si manifesta un rinnovato interesse sul programma MAB UNESCO “Man and Biosphere Programme” (MAB, 1974), perfettamente allineato con le politiche unescane (tantissime realtà locali desiderano avviare la complessa istruttoria relativa alla candidatura), si vogliono coinvolgere, le comunità e le parti interessate ad una visione comune per lo sviluppo sostenibile

saggio Europei (in Italia sono una ventina) i quali recentemente hanno espresso il pieno convincimento sull’importanza degli Osservatori del Paesaggio per una piena applicazione della Convenzione Europea del Paesaggio. “Il progetto - spiega il coordinatore Marco Devecchi - prevede l’elaborazione di un testo riepilogativo che tiene conto degli auspici espressi dal Consiglio d’Europa per una diffusa attivazione di Osservatori del Paesaggio e dei Centri di ricerca sul paesaggio in tutto il contesto europeo”.

attraverso l’utilizzo della riserva della biosfera come una piattaforma per il dialogo e la partecipazione. In altre parole si tratta di dare armonia ad una serie di iniziative individuate sul territorio, alla vigilia di una ricorrenza così significativa, con progettualità e concretezza, passione ed impegno costante. A tale scopo dovranno essere utilizzati corsi collettivi di lezioni, sull’esempio del Piemonte e del Veneto, su come “Osservare il Paesaggio”, organizzati dal Coordinamento degli Osservatori del Pae-

“Sulla stessa direzione potranno essere organizzate gite sui sentieri della spiritualità dedicati dal CAI a Pier Giorgio Frassati, figlio di Alfredo, fondatore della Stampa, il beato piemontese amante della montagna, scomparso nel 1925 a soli 24 anni” - suggerisce l’Avv. Angelo Paladino, Presidente dell’Osservatorio Europeo del Paesaggio, con sede a Padula, partner dell’intero progetto. L’iniziativa partirà da Sala Consilina, località del salernitano che lanciò il progetto di intitolare in ogni regione d’Italia

“Il progetto, senza scopi di lucro,spiega Sergio Chiacchella, direttore generale del Co.Svi.G. - è finalizzato alla promozione e valorizzazione di queste terre, ricollegando esperienze, culture e risorse, stimolando azioni per la salvaguardia e la qualificazione: una sfida che non può prescindere dal coinvolgimento e dalla sensibilizzazione delle popolazioni locali”. L’iniziativa sarà utilizzata per riconoscere le tappe evolutive della storia del nostro pianeta “scritte nelle sue profondità e sulla sua superficie, nelle rocce e nel paesaggio” (Dichiarazione Internazionale della Memoria della Terra, 1991), avviando

allo sviluppo di questa iniziativa spiega il professor Gianluca Mazzini, direttore di Lepida Spa che ha contribuito alla realizzazione dell’innovativo progetto - in particolare vogliamo considerare il “Living lab”, definito il laboratorio vivente, un modello utile a sostenere la domanda di mobilità sociale da parte dei settori più deboli della popolazione, soprattutto anziani e disabili che per motivi di salute debbono spostarsi sul territorio e favorire una mobilità che migliori la vita sociale”. In effetti, il concetto di “Living Lab” è un nuovo approccio nelle attività di ricerca che consente agli utilizzatori - rappresentati dagli

temente impegnato nella costruzione di una rete di relazioni (anche internazionali), tramite la creazione di nuovi percorsi, ricchi di contenuti e di valori, legati al territorio. La ricerca punta sul fatto che queste terre dalla natura vulcanica anche quando oggi è irriconoscibile, apprezzati fin dai tempi dei romani e degli etruschi, rappresentano una preziosa peculiarità naturalistica della penisola in virtù dei paesaggi magnifici e surreali: campi di lava, fumarole, soffioni di vapore, mofete, sinkhole.

una ricerca sulla fenomenologia del territorio come campo d’indagine e conoscenza. Non poteva mancare nel fitto programma una quarta iniziativa speciale per vivere il presente immaginando futuro. Il Premio, attraverso il progetto Community Network Guglielmo Marconi, intende perseguire la teoria che occorre tenere conto del nostro glorioso passato guardando al futuro per rafforzare il ruolo delle città come motori dell’innovazione. “Guardiamo con estremo interesse

stessi abitanti di un’intera cittadina o di una zona - di collaborare con i progettisti nello sviluppo e nella sperimentazione dei nuovi prodotti ad essi destinati. I Living Lab, come è stato sperimentato in alcune realtà, stimolano l’innovazione in quanto trasferiscono la ricerca dai laboratori verso contesti di vita reale dove i cittadini e gli utenti diventano essi stessi “co-sviluppatori”. Insomma, un progetto destinato a crescere per costruire una rete di Comunità senza fili né barriere, destinata a seminare il concetto di innovazione applicata al territorio. Comunità che sono autentici giacimenti di identità culturale in cui possiamo leggere le tracce di quei racconti e di quelle memorie che costituiscono il fondamento dell’appartenenza ad un luogo. Ecco perché, a quarant’anni dall’Istituzione del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, riparte una nuova azione capillare per tracciare “una mappa dei bisogni” del patrimonio storico e culturale e dei beni ambientali, sotto il segno di Giovanni Spadolini. E’ questa la sfida possibile.

Sulla scia dell’impegno del Ministro per i Beni Culturali e Ambientali Giovanni Spadolini

Gianluca Mazzini

T.R.

Pietro Laureano

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Una tappa sui sentieri della spiritualità

un sentiero di particolare interesse naturalistico, storico e religioso al beato Frassati, il giovane torinese che “amava la montagna e la sentiva come una cosa grande, un mezzo di elevazione dello spirito, una palestra dove si tempra l’anima e il corpo”, promosso dalla Sezione di Salerno del CAI, con il motto “ Per incontrare Dio nel creato”. In quest’anno speciale i territori di natura vulcanica si stanno organizzando in un’Associazione di Identità Res Tipica “Terre dal cuore caldo”, che dovrà aderire a Res Tipica ANCI. L’iniziativa rappresenta uno dei progetti esclusivi avviati dal Premio Eco and the City, costan-

INIZIATIVE

Anno VI - luglio/agosto 2013

Michele Filippini

Marco De Vecchi

Angelo Paladino

Sergio Chiacchella

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Occorre che l’Italia diventi un’officina all’avanguardia in fatto di green economy, innovazione e ricerca

Largo ai giovani, una nuova sfida

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l Professor Giovanni Spadolini credeva fortemente nei giovani, convinto che il futuro di ogni Paese fosse necessariamente affidato alla cultura, la formazione, la creatività innovativa delle nuove generazioni. Il Premio a lui dedicato sente il dovere di andare alla scoperta dei tanti giovani di talento, ricercatori sovente non valorizzati, al contrario sottoccupati, spesso costretti a trovare miglior fortuna all’estero. Le loro intuizioni, la loro genialità sono il vero motore della rinascita del nostro Paese, ricerca e innovazione sono l’unico futuro possibile. L’alternativa inesorabile è il declino. Il Premio vuole denunciare il dramma nazionale della fuga dei nostri cervelli migliori, vera e propria nuova ondata di emigrazione intellettuale, dando a questi giovani visibilità, riconoscimento e dignità. Occorre che l’Italia diventi un’officina all’avanguardia in fatto di green eco La frenetica attesa delle nuove generazioni.

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nomy, innovazione e ricerca. La centralità del capitale umano appare evidente. Il Premio andrà alla scoperta di casi paradigmatici in tema di creatività nel campo dell’economia sostenibile, unica possibile leva strategica per affrontare la recessione e aumentare la propria competitività sul mercato globale. La crisi ha evidenziato la fragilità di modelli di sviluppo lontani dalle dinamiche e dalle vocazioni dei territori. Non dimentichiamo che i dati relativi all’imprenditoria giovanile risultano essere il tallone d’Achille del Paese. L’eccessiva mole di carico burocratico, insieme alle difficoltà di accesso al credito pesano come zavorre sulla possibilità di intraprendere delle nuove generazioni. Coniugando qualità, innovazione e territorio con la sostenibilità, si possono trovare le energie e i talenti per affrontare le sfide che abbiamo di fronte e guardare con più fiducia al

futuro. A partire dalle esperienze che racconteremo in questo viaggio straordinario. La nostra ricerca dimostrerà, con esempi concreti, che esistono reali spazi di sviluppo se si punta sulle nuove generazioni di ricercatori, sulla genialità italiana, sulla voglia di mettersi in gioco dei nuovi imprenditori, sulle caratteristiche locali e sulla sostenibilità ambientale. Si tratta di credere fortemente nel valore, anche strategico, di un approccio sostenibile. Il Premio intende promuovere una politica di sensibilizzazione al problema della mancata valorizzazione dei giovani ricercatori italiani nel campo dell’economia sostenibile, figli del proprio territorio e portatori del diritto di creare ricchezza e sviluppo nel loro paese. Infondere fiducia e visione di futuro convinti che innovazione, produttività e cultura siano intrinsecamente correlati. Pierpaolo Bo

ANNIVERSARI

INIZIATIVE

Alla scoperta di giovani talenti nel mondo della ricerca e dell’impresa nel campo della green economy. La crisi ha evidenziato la fragilità di modelli di sviluppo lontani dalle dinamiche e dalle vocazioni dei territori.


Anno VI - luglio/agosto 2013

Anno VI - luglio/agosto 2013

Nasce la Community Network Guglielmo Marconi, una storia che parte da lontano

SPAZI INNOVATIVI

La Fondazione Spadolini Nuova Antologia, avendo stretto una preziosa alleanza con Fondazione Guglielmo Marconi, vuole in questo modo ricordare il Premio Nobel. Guglielmo Marconi, che faceva parte del Comitato di direzione della Nuova Antologia, volle che il giorno stesso nel quale egli, innanzi agli Augusti Sovrani ed agli altri Alti Ufficiali dello Stato, parlò all’Augusteo della sua meravigliosa scoperta, il testo della sua conferenza venisse pubblicato dalla Nuova Antologia, rivista di Lettere, Scienze ed Arti, che si onora di annoverarlo fra i collaboratori più illustri.

Nobel affidò alla rivista di scienze, lettere ed arti Nuova Antologia, nel novembre del 1926, le fondamentali riflessioni su “le radiocomunicazioni a fascio”, e nel gennaio del 1933 quelle egualmente fondamentali su “Radiocomunicazione ad onde cortissime”. Partiamo da Nuova Antologia, la rivista più antica d’Italia, fondata a Firenze nel 1866 e a lungo guidata da Spadolini. Nel corso degli anni sulle pagine della Nuova Antologia sono comparsi i nomi più importanti della letteratura, della scienza e della poesia italiana, come ricorda il professor Cosimo Ceccuti, attuale direttore della rivista.

L

’ iniziativa che stiamo per raccontare muove da lontano, quasi per sottolineare il nesso inscindibile esistente fra il risveglio culturale e civile promosso da Nuova Antologia, aperta all’emancipazione e al pro-

gresso, e il Premio Eco and the City Giovanni Spadolini che rappresenta una macchina in continuo movimento abituata a sbirciare nell’attualità e nelle trasformazioni sostenibili dei territori. Senza dimenticare l’epopea leggenda-

ria che rivive nelle pagine ingiallite dell’Antologia di Capponi e di Vieusseux, come di recente ha ricordato Giovanni Puglisi, presidente della Commissione nazionale italiana per l’UNESCO, inaugurando nel novembre del

Nuova Antologia, la rivista più antica d’Italia, fondata a Firenze nel 1866 e a lungo guidata da Spadolini (foto piccola), ebbe fra gli autorevoli collaboratori Guglielmo Marconi. Il Premio Nobel affidò alla rivista di scienze, lettere ed arti, nel novembre del 1926, le fondamentali riflessioni su “le radiocomunicazioni a fascio”, e nel gennaio del 1933 quelle egualmente fondamentali su “Radio-comunicazione ad onde cortissime”.

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2010, la mostra documentaria su ‘’L’Italia fra politica e cultura nelle pagine di Nuova Antologia’’, che si è tenuta a Firenze, nella sede della Biblioteca della Fondazione Spadolini (via Pian dei Giullari 36/a), per i 145 anni di pubblicazioni ininterrotte della prestigiosa testata: il professor Puglisi, ripercorrendo la vicenda culturale, politica e civile della nazione in un secolo e mezzo di storia, attraverso gli autori più prestigiosi nelle lettere, nelle scienze e nelle arti e il dibattito che nelle varie epoche ha caratterizzato la crescita della società italiana ha voluto ricordare, in quella occasione, il rilievo avuto dal periodico nel panorama nazionale ed europeo. In particolare, il Presidente della Commissione Nazionale italiana per l’UNESCO, ha sottolineato come fra gli autorevoli collaboratori di riferimento di “Nuova Antologia” in questi centocinquant’anni figura con i suoi scritti Guglielmo Marconi. Il Premio

Un progetto senza fili, né barriere A Villa Griffone, a Pontecchio sulle colline bolognesi, è nata un’importante intesa che vede protagonisti la storica rivista fiorentina e Trentino Network.

Si tratta di promuovere una nuova iniziativa, la “Community Network Guglielmo Marconi”, una comunità senza fili né barriere. Un progetto ambizioso fortemente voluto da Alessandro Zorer, amministratore delegato di Trentino Network, manager trentino moderno e innovativo. Se ne parlerà ufficialmente il 26 settembre prossimo, nella Sala della Provincia Autonoma di Trento, affrescata dal pittore futurista Fortunato Depero, a Trento, in occasione della tappa del check-up digitale, promosso da Telecom Italia , un report in grado di fotografare l’attuale situazione del paese di fronte ad alcune delle principali sfide che la pubblica

parallele. Il report è denominato “Italia connessa - Agende Digitali Regionali” ed è stato pensato espressamente per fungere da stimolo e da guida per coloro i quali hanno la responsabilità dell’amministrazione della cosa pubblica. Per molti versi si tratta di una sorta di federalismo applicato all’Agenda Digitale, un modo per identificare responsabilità e necessità locali nella convinzione per cui sia possibile agire anzitutto dal basso per arrivare ad obiettivi di ispirazione nazionale. Il potere in mano alle regioni è del resto sempre più ampio e un’azione di questo tipo può dunque trovare motivi validi per essere portata avanti attraverso un

amministrazione si trova di fronte al cospetto dell’innovazione. Un report che, spera il gruppo, sappia smuovere la pulsione ad agire per dar vita ad

dialogo diretto con i singoli governatori, come conferma Oscar Cicchetti, Direttore Strategy di Telecom Italia. “Telecom Italia - dice - vuole contribuire in modo concreto ad accelerare il processo di digitalizzazione del Paese, coerentemente con gli obiettivi indicati dall’Agenda Digitale. Siamo convinti che ciascuna Regione debba costruire la propria Agenda Digitale, partendo dalla piena consapevolezza delle proprie eccellenze e dei propri ritardi.

SPAZI INNOVATIVI

Il progetto è stato promosso dalla Fondazione Spadolini Nuova Antologia, la Fondazione Guglielmo Marconi, Trentino Network, Lepida Spa e Co.Svi.G.

agende digitali su base regionale, basate sulle singole necessità e pensate per coprire le falle di un sistema che misura un costante ritardo rispetto all’Europa.

Telecom un possibile partner Le due iniziative viaggiano su strade

Lo scienziato Berners-Lee, l’inventore di internet insieme ad Alessandro Zorer, amministratore delegato di Trentino Network.

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Anno VI - luglio/agosto 2013

Anno VI - luglio/agosto 2013

“Italia Connessa” fornisce un quadro di riferimento e Telecom Italia intende proporsi alle Regioni come un partner credibile per lo sviluppo delle infrastrutture e dei servizi”. Alessandro Zorer ci mostra il progetto, tracciato a grandi linee, nella nuova sede di Trentino Network, in via Giovanni Pedrotti, sulle rive dell’Adige, al cospetto delle montagne che sovrastano il capoluogo della Provincia Autonoma. La struttura sarà inaugurata, ufficialmente nella stessa occasione. Zorer gongola per questa proposta innovativa, avviata in contemporanea alla partnership con il Premio Eco and the City e che decollerà definitivamente il 9 ottobre prossimo a Roma, in occasione della presentazione del programma della Fondazione Spadolini Nuova Antologia, dedicato al quarantennale della fondazione degli attuali dicasteri del Governo Italiano preposti

alla cultura e alla conservazione del patrimonio artistico e i beni ambientali. Nella stessa data si commemorerà il ventennale della morte dello statista fiorentino. Ci saranno diverse iniziative abbinate al Premio, avviate in sinergia con importanti istituzioni come Res Tipica ANCI e ITKI UNESCO e altri partners. “Il nostro progetto prende spunto dal significato di “cos’è l’autonomia“ che così viene sintetizzato: fare da sé, insieme agli altri. - dice Zorer - Insieme alla Fondazione Spadolini Nuova Antologia abbiamo coinvolto Lepida Spa (sviluppo di servizi innovativi in Emilia e la relativa integrazione nella rete Lepida), la Fondazione Guglielmo Marconi e la struttura del Co.Svi.G. (Consorzio per lo Sviluppo per le Aree Geotermiche), che dovrà occuparsi della ricerca e delle tecnologie emergenti legate allo sviluppo della geotermia.”

Fare da sé, insieme agli altri La futura Community Network Guglielmo Marconi ha, infatti, l’obiettivo di estendere il proprio raggio d’azione anche in altre regioni su cui fondare i futuri progetti in materia di infrastrutture e piattaforme, puntando sullo sviluppo di servizi innovativi e di scambio con altre strutture nel sistema pubblico e privato. Si sta lavorando in una logica di coordinamento e sussidiarietà al fine di promuovere la banda larga e nuove tecnologie laddove queste non siano presenti. La strategia prevede di realizzare il maggior numero possibile di sinergie con gli operatori che agiscono sul territorio, anche mettendo a disposizione infrastrutture tecnologiche per facilitare gli operatori stessi. In tal modo si vogliono mettere insieme partners promotori (si darà spazio anche ai partners sostenitori) che ricoprono un ruolo

Guglielmo Marconi inventò un efficace sistema di comunicazione con telegrafia senza fili via onde radio che ottenne notevole diffusione: la sua evoluzione portò allo sviluppo dei moderni metodi di telecomunicazioni come la radio, la televisione e in generale tutti i sistemi che utilizzano le comunicazioni senza fili.

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sul territorio, pronti a sviluppare collaborazioni. Iniziative che coniugano gli aspetti ambientali e di sostenibilità, elementi cruciali di identificazione e di valorizzazione dei territori. “Quest’iniziativa doveva per forza partire dalla zona collinare dell’Appennino bolognese, compresa tra la bassa valle del fiume Reno, - spiega Zorer - nel cui territorio, compreso tra la bassa valle del fiume Reno, venne sviluppato per primo dal premio Nobel Guglielmo Marconi (a cui è dedicata la Community Network), un efficace sistema di comunicazione con telegrafia senza fili via onde radio che ottenne notevole diffusione: la sua evoluzione portò allo sviluppo dei moderni metodi di telecomunicazioni come la radio, la televisione e in generale tutti i sistemi che utilizzano le comunicazioni senza fili”. In questi luoghi, a Pontecchio, si trova la casa paterna di Marconi, Villa Griffone, meta di grande interesse per un vasto pubblico, destinata a diventare baricentro delle attività di progetti locali e delle iniziative avviate per promuovere la futura Community Network Guglielmo Marconi, che ha l’obiettivo ambizioso di diventare un polmone di “cultura dell’innovazione”, stabilendo un legame ideale e scientifico, tramite le onde millimetriche, che costituirono gli ultimi argomenti su cui Marconi pose la sua attenzione. All’interno dello storico edificio, luogo di origine delle radiocomunicazioni, dove si respira l’atmosfera della leggenda (nel Mausoleo riposano Guglielmo Marconi e la moglie Marchesa Maria Cristina), è presente anche un Centro di ricerca dove operano specialisti della Fondazione Ugo Bordoni, dell’Università di Bologna e della stessa Fondazione Marconi, le cui attività comprendono tre differenti aree: storia, ricerca, formazione.

SPAZI INNOVATIVI

SPAZI INNOVATIVI

Nasce la Community Network Guglielmo Marconi, una storia che parte da lontano

Una vista dell’alto di Villa Griffone, la casa paterna di Marconi, meta di grande interesse per un vasto pubblico. All’interno del parco, luogo di origine delle radiocomunicazioni, è stato costruito il Mausoleo dove riposano Guglielmo Marconi e la moglie Marchesa Maria Cristina.

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Nasce la Community Network Guglielmo Marconi, una storia che parte da lontano

SPAZI INNOVATIVI

Nuova Antologia rende onore a Marconi, Premio Nobel per la fisica nel 1909 Il Presidente della Fondazione Guglielmo Marconi, Professor, racconta come alla morte di Marconi un anonimo scrisse su “Nuova Antologia”: “Marconi ha dato agli uomini un nuovo modo di conoscersi, di aiutarsi, di amarsi, quale nessun poeta o scienziato aveva mai immaginato. Il dominio spirituale di ciascuno non si restringe, ma può diventare più grande. Gli uomini hanno possibilità enormemente maggiori di prima nella loro vita individuale e in quella collettiva. E non occorre essere poeti o scienziati per sentire, comprendere ciò”. Poi conclude: ”Gli umili hanno pianto Marconi, si sono anch’essi esaltati al pensiero del suo genio. E per tutti, e anche per loro, in Italia e in tutti i continenti, la luce di questo grande spirito italiano continuerà ad

illuminare la via maestra della civiltà e a consolare coloro che hanno fede nel destino degli uomini”. Guglielmo Marconi, che faceva parte del Comitato di direzione della Nuova Antologia, volle che il giorno stesso nel quale egli, innanzi agli Augusti Sovrani ed agli altri Alti Ufficiali dello Stato, parlò all’Augusteo della sua meravigliosa scoperta, il testo della sua conferenza venisse pubblicato dalla Nuova Antologia, rivista di Lettere-Scienze ed Arti, che si onora di averlo avuto collaboratore illustre e nel Fascicolo 1312 del 16 novembre 1926 venne offerta ai lettori della storica pubblicazione l’interessante primizia. Dodici pagine di fittissimo testo del fascicolo che il Premio Nobel completava in questo modo:”In conclusione, la parola d’Italia potrà essere udita nei più lontani Paesi nel modo più indipendente e più vario possibile. Desidero esprimere pubblicamente la mia viva riconoscenza agli

ingegneri e agli esperti che mi hanno tanto validamente assistito. Desidero ringraziare sinceramente per l’alto onore accordatomi la Federazione Nazionale dei Cavalieri del Lavoro, Federazione degli esponenti della vera ricchezza d’Italia: Il lavoro. Quando ho avuto modo di esporre, sarà ben presto sorpassato da chi studierà di carpire nuovi segreti alla Natura la quale, spesso, sconvolge tutte le leggi e tutte le teorie che le nostre imperfette cognizioni ci suggeriscono. Per parte mia ho coscienza di non aver mai fatto teorie, ma anzi ho la soddisfazione di aver potuto provare nei fatti l’inesattezza di tante formule e di tante teorie. Io incoraggio i giovani a proseguire nel campo sperimentale ed auguro loro di poter ottenere così dei risultati superiori a quelli da me ora esposti nell’applicazione di una scienza che è pur tutt’ora alla sua infanzia”.

A destra: Il Presidente della Fondazione Guglielmo Marconi, Professor Gabriele Falciasecca. A sinistra: l’imponente statua dello scienziato che mise in luce il grande spirito italiano nel mondo.

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Luigi Letteriello


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EDUCAZIONE SOSTENIBILE

La settimana DESS UNESCO guarda al futuro con l’ottimismo della volontà La Commissione italiana UNESCO arriva a spostare l’attenzione sulla creatività, l’innovazione, l’immaginazione: la questione non è come sostenere il dovere e il costo necessario per la tutela del nostro patrimonio culturale e naturale, bensì far fruttare il nostro immenso capitale, investirlo e raccoglierne i dividendi in termini di creazione di sviluppo sostenibile, tradizioni e saperi delle popolazioni, distribuzione globale delle materie prime e degli alimenti.

I paesaggi della bellezza: dalla valorizzazione alla creatività” è il focus della Settimana UNESCO di Educazione allo Sviluppo Sostenibile 2013 che si terrà come ogni anno a novembre. Numerosi i temi affrontati dal 2005 in poi, ma l’argomento scelto quest’anno dal Comitato scientifico per il DESS è singolare. Potrebbe sembrare retorico e provocatorio allo stesso tempo: può il nostro paese ripartire dai suoi patrimoni? Con la nostra bellezza, la nostra cultura, la nostra natura, il nostro ambiente? “Si, se lo vogliamo veramente” - afferma il Comitato Nazionale per il DESS, nato per celebrare il Decennio ONU di Educazione allo Sviluppo Sostenibile 2005-2014. La Settimana DESS UNESCO è divenuta, negli anni, il più importante appunta-

mento annuale nel campo dell’educazione allo sviluppo sostenibile in Italia, grazie soprattutto alla tenacia del Presidente della Commissione UNESCO italiana, il Prof. Giovanni Puglisi (intervista a pag. 26) che ha fortemente voluto l’impegno della Commissione sui temi dell’ambiente, caratterizzando questo impegno con un approccio innovativo, inclusivo e partecipativo, garantendo il successo dell’iniziativa. Un tema che vuole scuoterci dai nostri atteggiamenti consolidati, come quando passiamo davanti ai nostri monumenti più famosi, e, assuefatti da tanta bellezza, quasi non lì notiamo più, abituati a vederli funzionare da spartitraffico, da rotatorie per il disordinato flusso di mezzi obsoleti di spostamento di merci e persone, come se fosse la cosa più normale e logica del mondo. Ecco che dalla valorizzazione la Commissione UNESCO arriva a spostare l’attenzione sulla creatività, l’innovazione, l’immaginazione: la questione non è come sostenere il dovere e il costo necessario per la tutela del

nostro patrimonio culturale e naturale, bensì far fruttare il nostro immenso capitale, investirlo e raccoglierne i dividendi in termini di creazione di sviluppo sostenibile, tradizioni e saperi delle popolazioni, distribuzione globale delle materie prime e degli alimenti. E’ un messaggio della Commissione UNESCO italiana che vuole essere ancora più incisivo, con la sua Settimana 2013, come a volerci risvegliare dalla pigrizia, dal nostro adagiarsi sugli allori del nostro meraviglioso patrimonio acquisito, immobile, scontato, a volte abbandonato. Quale contributo può provenire dalle politiche pubbliche e dall’iniziativa privata, dal nostro impegno quotidiano come cittadini, dalle nostre forme di produzione e consumo, dalla ricerca e dall’innovazione? Come possiamo immaginare insieme nuovi modelli di sviluppo che tengano presente le esigenze di sostenibilità del nostro territorio? Che ruolo può avere la società civile nell’affrontare la complessità delle questioni legate allo sviluppo sostenibile? A queste e ad altre

Carlo Stanga ha illustrato con opere minuziose, divertenti e popolatissime, autentici vortici di stile interamente realizzati a mano con il vecchio metodo del rapidograph, la Settimana DESS UNESCO in questi ultimi anni.

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domande cercheranno di rispondere quest’anno centinaia di realtà - La Settimana infatti raduna ogni anno centinaia di iniziative in tutte le regioni italiane organizzate da una fitta rete di realtà impegnate durante tutto l’anno nel difficile eppur strategico compito di diffondere informazione, consapevolezza, spirito critico sui temi dell’ambiente: istituzioni nazionali e locali, sistema Infea, associazioni, scuole, biblioteche, centri per l’educazione ambientale, università, musei, parchi, imprese, etc. Numerose le tematiche trattate e approfondite negli anni energia (2006), cambiamenti climatici (2007), riduzione, riciclo e riuso dei rifiuti (2008), acqua (2011), città e cittadinanza (2009), mobilità sostenibile

(2010), alimentazione (2012), - tantissimi gli eventi e diversissime tra loro le modalità: incontri, convegni, tavole rotonde, visite guidate, spettacoli e laboratori sperimentali ed interattivi...: un programma di iniziative completamente aperte, totalmente gratuite, caratterizzate dalla volontà di aggregare e stimolare la partecipazione attiva delle persone. Un approccio innovativo che ha visto un’ottima risposta di pubblico, a dimostrazione che la creatività, la predisposizione a pensare a soluzioni nuove e fuori dagli schemi, pagano e possono essere la leva per affrontare la crisi che attraversa il nostro paese. La Settimana è uno di quei casi di buona pratica portata avanti con la sola forza della volontà e in un contesto generale

ed economico assolutamente sfavorevole, che forte del suo successo non si accontenta e rilancia ancora la sfida proponendo un articolato, coraggioso, controverso tema: “I paesaggi della bellezza: dalla valorizzazione alla creatività”. Occorre pensare al nuovo, con spirito critico ma con immaginazione, creatività e slancio, con l’ottimismo della volontà, come apprenderemo dalle tante iniziative che animeranno la Settimana, come è accaduto negli anni passati (è possibile aderire fino al 5 novembre con iniziative gratuite, aperte e senza fini di lucro: modalità e termini sul sito www.unesco.it e www. unescodess.it). Pierpaolo Bo

Settimana UNESCO di Educazione allo Sviluppo Sostenibile

Paesaggi della bellezza, ancora un messaggio di speranza

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a Commissione Nazionale Italiana per l’UNESCO sa bene di avere avuto, in questi anni, nell’organizzazione della Settimana di Educazione allo Sviluppo Sostenibile un alleato prezioso e un testimonial di chiara fama: è Carlo Stanga (nella foto), l’autore di queste opere minuziose, divertenti e popolatissime, autentici vortici di stile interamente realizzati a mano con il vecchio metodo del rapidograph (il computer è stato utilizzato per gli ultimi ritocchi di assemblaggio) che hanno accompagnato la Settimana DESS, rappresentando il manifesto ufficiale della manifestazione in queste campagne di successo sui temi della sostenibilità, utilizzato anche per la copertina di Energeo Magazine (il periodico che affianca la Commissione Nazionale Italiana UNESCO in queste importanti iniziative). Una famosa illustrazione ci fa conoscere la sua “variopinta” bottega, anzi, immaginiamo che l’artista ne ha una seconda bottega, nella sua casa di Berlino dove vive e lavora, come a Milano, città che adora e predilige. L’illustratore ed architetto milanese ha comunque una passione (non nascosta) per New York e l’architettura di fine ‘800. Insomma, i disegni e le illustrazioni di Carlo Stanga, artista e uomo operoso che ha affinato il proprio tratto e la propria esperienza partecipando ai “Laboratori Creatività” di Bruno Munari e frequentando la Scuola del Fumetto e la Domus Academy di Milano, creano una continua miscellanea di giochi con la matita che rasentano la continua sperimentazione. L’anno successivo ha frequentato uno stage di illustrazione giornalistica con Sergio Staino e Vincino, amplia le proprie collaborazioni con il settimanale satirico ‘CUORE’ e partecipa alla collettiva “98 bandiere di artisti contemporanei”, accanto a Emilio Tadini, Mimmo Rotella e Gillo Dorfles. A tutti ha dimostrato di avere un innegabile talento e una forte passione con vere e proprie capacità di innovare e trovare un nuovo modo di illustrare che possa coinvolgere non soltanto i lettori, ma il grande pubblico. Guardando bene l’illustrazione utilizzata nella campagna di quest’anno, dedicata ai “paesaggi della bellezza: dalla valorizzazione alla creatività”, troviamo nel tratto sicuro di Carlo Stanga un messaggio di speranza, come quella che cercano i bambini, istintivamente creativi, ed in grado di divertirsi con poco. Un messaggio che deve essere accolto e sostenuto con attività mirate e specifici mezzi di espressione e di sperimentazione sul territorio. Forse qualcuno non lo sa, o non lo immagina, ma in questo manifesto dobbiamo, invece, provare ad individuarne ed avvalorarne le profonde radici culturali e capirne il significato del disegno. È questa la nostra speranza. Grazie per aver voluto, ancora una volta, emozionare i lettori di Energeo.

EDUCAZIONE SOSTENIBILE

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Tutela del paesaggio, la bellezza salverà il mondo

Uno degli ambiti più dinamici del nostro tessuto produttivo è rappresentato dai cosiddetti settori creativi. Occorre tendere la mano a tutte quelle realtà che hanno qualcosa da dire in merito, invitandole a condividere le proprie idee e i propri sforzi anche sui temi legati alla sostenibilità. In questo senso la Commissione UNESCO italiana vuole rovesciare la prospettiva dalla quale troppo spesso si osservano le questioni ambientali e soprattutto le soluzioni proposte per porvi rimedio, spesso percepite come un freno o un intralcio.

INTERVISTA

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residente, la Settimana UNESCO per l’Educazione allo Sviluppo Sostenibile, promossa dalla Commissione UNESCO Italiana, dopo otto edizioni, ha ripreso il suo cammino. Il tema scelto per il 2013, “I Paesaggi della bellezza: dalla valorizzazione alla creatività”, pone un forte accento sulla bellezza e il paesaggio, ma anche sulla creatività e l’innovazione. Perchè questa scelta? L’idea è quella di diffondere la consapevolezza che lo sviluppo sostenibile è una meravigliosa opportunità e non un vincolo od un costo. Il cambiamento implica sempre uno

sforzo per chi se ne fa carico, ma è anche la condicio sine qua non per adattarsi e vivere meglio. In questo senso la Commissione UNESCO italiana vuole rovesciare la prospettiva dalla quale troppo spesso si osservano le questioni ambientali e soprattutto le soluzioni proposte per porvi rimedio. Queste sono in genere percepite come un freno al proprio agire, un intralcio alla propria quotidianità, alle proprie consolidate abitudini. Mentre il cambiamento è certamente impegnativo, è straordinariamente entusiasmante ed implica uno slancio di creatività nella visione di ciò che sarà e nell’immaginare il proprio futuro e quello della propria comunità. Il messaggio è quindi questo: ribaltiamo il ragionamento tradizionale creativitàvalorizzazione in valorizzazione-creatività. La risorsa più importante del nostro paese - la bellezza - deve stimolare la nostra creatività, la nostra innovazione, la produzione di idee nuove, in tutti i campi. Il tema punta sul futuro della nostra bellezza, è anche un invito al mondo produttivo italiano e ai settori creativi a unire le forze?

E’ un invito aperto a tutti, soprattutto a coloro che sono stati un po’ meno presenti negli scorsi anni. Se il mondo della scuola e dell’associazionismo è rappresentato in modo massiccio, meno lo sono le imprese, che però rivestono un importanza fondamentale per il nostro paese sia dal punto di vista economico che dal punto di vista ambientale. Uno degli ambiti più dinamici del nostro tessuto produttivo è rappresentato proprio dai cosiddetti settori creativi. Parlando anche di creatività e innovazione, tendiamo la mano a tutte quelle realtà che hanno qualcosa da dire in merito, invitandole a condividere le proprie idee e i propri sforzi anche sui temi legati alla sostenibilità. Il Decennio ONU che la Commissione ha celebrato volge al termine (20052014). Qual’è il Suo bilancio delle attività svolte in Italia e quali sono i progetti futuri della Commissione UNESCO per lo Sviluppo Sostenibile? Come Commissione UNESCO, dobbiamo constatare con piacere che la risposta di tutte quelle realtà impegnate a vario titolo nell’educazione alla sostenibilità è stata entusiasmante. Pur tra mille difficoltà, sono centinaia ogni

Ecomuseo della Judicaria e delle Alpi Ledrensi, presentata la candidatura come Riserva della Biosfera

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ei giorni scorsi, il 23 agosto, è stata presentata la candidatura del territorio dell’Ecomuseo della Judicaria ‘Dalle Dolomiti al Garda’ a Riserva della Biosfera dell’UNESCO. Il percorso è stato condiviso dai Comuni delle Giudicarie che ricadono nel territorio dell’Ecomuseo e da quelli che hanno aderito alla rete di riserve della Alpi Ledrensi, dalle Comunità di Valle, dalle Apt e dal Consorzio turistico di Ledro, dai Bim e dal Parco, e dalla Provincia autonoma di Trento. In totale sono 20 soggetti che a breve approveranno un protocollo d’intesa, col coordinamento del Comune di Comano Terme e della Provincia autonoma di Trento. L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura, ha introdotto in seguito alle raccomandazioni della Conferenza dell’UNESCO sull’uso razionale e la conservazione delle risorse della biosfera e sullo sviluppo di relazioni tra uomo e ambiente a livello globale (1968), la Riserva della Biosfera che viene riconosciuta dall’UNESCO come componente chiave del “Man and Biosphere Programme” (MAB, 1974), programma interdisciplinare di ricerca e formazione nel campo delle scienze naturali e sociali. La Riserva della Biosfera è una qualifica internazionale assegnata dall’UNESCO per aree, marine o terrestri, che le amministrazioni s’impegnano a gestire nell’ottica della conservazione delle risorse e dello sviluppo sostenibile, coinvolgendo le comunità locali. Per il territorio in questione si tratta di 47.000 ettari, 14.600 abitanti, 1,8% di suolo urbano, 8,6% agricolo e 89,6% di boschi, prati e pascoli, il 34% di aree protette e quote che vanno dai 63 metri del lago di Garda ai 3173 di Cima Tosa. Il dossier per la candidatura sarà esaminato nei prossimi mesi e il pronunciamento è atteso a maggio del 2014, nel quartiere generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura, in Place di Fontenoy, a Parigi. anno le iniziative organizzate durante la nostra Settimana e migliaia le persone raggiunte dal nostro messaggio, grazie all’impegno delle reti regionali per l’educazione ambientale, grazie alle Istituzioni, alle scuole, alle università, alle associazioni ma soprattutto ai cittadini. La Commissione si adopererà anche dopo il Decennio, che termina nel 2014, perché gli sforzi fatti e la rete consolidatasi sotto l’egida di questa Commissione non si disperda e continui il proprio percorso, ben consapevoli che è da queste spinte della società civile che arrivano i cambiamenti necessari alle nostre società. Il tema di quest’anno è anche il riflesso dell’entusiasmo raccolto negli anni dalle persone impegnate generosamente nella promozione del Decennio in tutta Italia, e vuole essere anche un ringraziamento a tutti coloro che con il loro impegno rappresentano la bellezza e la forza dell’Italia migliore.

Per fortuna che c’è l’UNESCO che considera il paesaggio un patrimonio da tutelare. A giugno l’Etna, per i siciliani “a’ muntagna”, è entrato a far parte dei patrimoni tutelati dall’UNESCO. Si tratta del quarto tesoro ambientale entrato nel prestigioso scrigno del World Heritage List dell’UNESCO, dopo isole Eolie, monte San Giorgio e Dolomiti. Il Monviso è diventato Riserva della Biosfera. L’Italia si conferma terra di risorse naturali di valore inestimabile, spesso purtroppo trascurate o non adeguatamente tutelate, è un argomento su cui riflettere? Il tema di quest’anno si articola in tre aspetti chiave: paesaggio, bellezza, creatività. Tre dimensioni autonome ma che si sovrappongono, specialmente in un territorio ricco come il nostro. Le Riserve della Biosfera, come i Siti riconosciuti patrimonio immateriale dell’umanità, sono proprio un

riconoscimento dell’interazione virtuosa tra l’Uomo e l’Ambiente in un dato territorio, e in questo senso il tema della Settimana non può che essere da stimolo per tutte quelle realtà che insistono su aree potenzialmente candidate a tale riconoscimento. Il capolavoro di interazione tra attività umane e ambiente che il nostro paesaggio rappresenta deve essere celebrato non solo in una dimensione contemplativa e di tutela, ma in un’ottica propositiva e creativa, pensando soprattutto al nostro futuro. La Settimana sarà un’occasione per pensare e ripensare i nostri modi di vivere, di spostarci, di produrre, di creare, traendo ispirazione dalla grande bellezza che ci circonda e che in qualche modo fissa un benchmark di primissimo livello.

INTERVISTA

Il Presidente Puglisi: “La risorsa più importante del nostro paese - la bellezza deve stimolare la nostra creatività, la nostra innovazione, la produzione di idee nuove, in tutti i campi”

T.R.

Il Professor Giovanni Puglisi, Presidente della Commissione Italiana per l’UNESCO.

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PAESAGGI DIMENTICATI

C’è il rischio di perdere la memoria di una coltura che caratterizza il paesaggio montano abruzzese. Le prime fonti che riportano la presenza del mandorlo negli altipiani dell’aquilano risalgono al periodo romano, quando Plinio il vecchio descriveva una varietà di mandorlo coltivata alle pendici del monte Velino

La meraviglia dei mandorli in fiore Le tracce dell’importanza del mandorlo per la comunità locale sono state impresse nella cultura a vari livelli, a partire dalla letteratura (“Ai piedi di un mandorlo” di Ignazio Silone),alla tradizione dolciaria dove le mandorle rivestono un ruolo primario, basti pensare alla centenaria produzione di confetti della città di Sulmona (AQ). Dalla seconda metà degli anni ‘60 però, a causa dei bassi livelli di produzione, delle rese altalenanti e dell’abbandono generalizzato dell’agricoltura montana, la mandorlicoltura nelle conche appenniniche risulta in forte declino ed oggi questo particolare paesaggio, con i suoi valori identitari, estetici ed ecologici rischia di scomparire.

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n primavera, il paesaggio delle conche intermontane dell’Appennino abruzzese è caratterizzato dalla fioritura di mandorli vetusti, che contorti, coperti di vischio, ostinatamente continuano a germogliare. Lo sa bene chi percorrendo in questo periodo strade come l’A25, a margine della piana del Fucino, o la SS17 tra L’Aquila e Navelli, rallenta istintivamente, stupito di vedere tra le montagne gli alberi coperti di fiori rosati che punteggiano il panorama. Nonostante le quote elevate che vanno dai 900 ai 1400 m ed

il clima rigido, caratterizzato non di rado da gelate tardive, i mandorli sono una coltura tipica locale e fino alla metà del XX secolo, hanno costituito una importante fonte di carboidrati e grassi vegetali, nonchè di legna per le popolazioni montane che si spostavano in questi luoghi in estate per coltivare piccoli appezzamenti e pascolare il bestiame (Manzi 2012). Erano, inoltre, una delle poche fonti di denaro liquido per la famiglia contadina e spesso ad essa era affidata la disponibilità di contante per la costituzione della “dote” matri-

moniale delle figlie femmine o per pagare le spese mediche. Le prime fonti che riportano la presenza del mandorlo negli altipiani dell’aquilano risalgono al periodo romano, quando Plinio il vecchio descriveva una varietà di mandorlo coltivata alle pendici del monte Velino. Nel 500 si registra un incremento di questa coltura nel contado aquilano (Sabatini,1995), mentre un altro aumento si registra nell’Ottocento, nel pieno della crisi della transumanza (Console e Frattaroli, 1996). Successivamente, scritti del 1789 del

I dolci tipici abruzzesi, spesso legati alle feste e alle tradizioni locali. Hanno ingredienti semplici e genuini come le mandorle.

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nobile svizzero Carlo Ulisse De Salis Marschlins testimoniano come gli abitanti di Avezzano (AQ) si occupassero “in maggior parte di agricoltura, coltivando a preferenza i mandorli e la vigna”. Circa un secolo dopo l’inchiesta agraria e sulle condizioni della classe agricola in Italia del 1884, nota come “Inchiesta Jacini”, ci dice che nelle regioni dell’adriatico centro meridionale, “tolte le province di Bari e Lecce (Puglia) dove i mandorleti avevano grandi estensioni ed erano ben coltivati, nelle altre erano abbastanza scarsi tranne nelle regioni basse e nei terreni soleggiati dei circondari di Aquila e di Avezzano (Abruzzo), dove quelle coltivazioni erano fino alla fine del 1800 addirittura in via di incremento... La provincia dell’Aquila, attesa la elevatezza delle sue terre, aveva infatti ben poche coltivazioni di olivi ed unicamente nelle parti basse dei suoi circondari, dove spesso erano associati al mandorlo, come nelle zone di Capestrano e di Sulmona e nei pressi del bacino del Fucino”. Le tracce dell’importanza del mandorlo

per la comunità locale sono state impresse nella cultura a vari livelli, a partire dalla letteratura per cui citiamo il romanzo del 1972 dell’autore abruzzese Ignazio Silone “Ai piedi di un mandorlo”, alla tradizione dolciaria dove le mandorle rivestono un ruolo primario, basti pensare alla centenaria produzione di confetti della città di Sulmona (AQ). Dalla seconda metà degli anni ‘60 però, a causa dei bassi livelli di produzione, delle rese altalenanti e dell’abbandono generalizzato dell’agricoltura montana, la mandorlicoltura nelle conche appenniniche risulta in forte declino ed oggi, questo particolare paesaggio, con i suoi valori identitari, estetici ed ecologici rischia di scomparire. I segni dell’abbandono e del deterioramento che tali colture stanno subendo, diventano di anno in anno più evidenti: tronchi schiantati, rami secchi, attacchi di parassiti e di funghi a mensola, inaridimento dei terreni, mancata raccolta delle mandorle, avanzata dell’urbanizzazione e conseguenti trasformazioni nell’uso del suolo.

Una croccante occasione di rilancio A fronte di questa situazione si assiste ad una volontà di recuperare antiche cultivar e tradizioni del passato che si esprime sia attraverso iniziative nate dal basso (eventi culturali egastronomici volti a valorizzare i prodotti agricoli locali), sia attraverso progetti istituzionali. Tra gli eventi del primo tipo va citata la Sagra della Croccante (dolce a base di mandorle) a Forme (AQ) che, giunta alla settima edizione, si è guadagnata anche la presenza presso la BIT (Borsa Internazionale del Turismo) del 2007. Tra le iniziative istituzionali si segnala il progetto europeo SAFENUT “Safeguard of hazelnutand almond genetic resources: from traditional uses to novel agro industrial opportunities” che, coordinato dall’ENEA, punta alla valorizzazione delle caratteristiche nutrizionali e nutraceutiche delle mandorle, e all’analisi degli aspetti economici e socioculturali correlati ad una produzione sostenibile e al recupero della memoria storica. Tra le realtà locali, come partner del progetto c’è anche il CRAB (Consorzio di Ricerche Applicate alla Biotecnologia) di Avezzano, che dopo la conclusione di SAFENUT sta continuando a portare avanti l’obiettivo di recuperare la coltura (e la cultura) del mandorlo in Abruzzo attraverso nuove iniziative che puntano sul coinvolgimento degli enti di ricerca (oltre al CRAB l’Università degli Studi dell’Aquila), delle comunità locali (associazioni culturali, agricoltori), degli imprenditori impegnati nella produzione dolciaria con particolare riferimento ai confetti, e delle istituzioni (Regioni e Comuni). Come ci spiega la Dott.ssa Daniela M. Spera, Direttore del CRAB, “l’idea è quella di ricostituire una filiera locale puntando non sulla quantità, ma sulla qualità del prodotto incentivando

PAESAGGI DIMENTICATI

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Una tappa al Santuario Santa Lucia sui sentieri della spiritualità dell’Abruzzo, tra mandorleti in fiore, una coltura tipica locale che rischia di scomparire e fino alla metà del XX secolo, hanno costituito una importante fonte di carboidrati e grassi vegetali, nonchè di legna per le popolazioni montane che si spostavano in questi luoghi in estate per coltivare piccoli appezzamenti e pascolare il bestiame.

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La meraviglia dei mandorli in fiore

RISERVA BIOSFERA

l’utilizzo di tecniche colturali tradizionali ed eco-compatibili, con particolare riferimento al biologico”. All’interno di questa linea strategica è attualmente al vaglio della Regione Abruzzo il progetto “INNOMANDO INNOvazione nella filiera della MANDOrlicoltura abruzzese” che coinvolge anche diversi imprenditori locali: l’obiettivo è la realizzazione di un prodotto di nicchia ad elevata qualità e profondamente legato al territorio. Tutti insieme dunque per non perdere la memoria di una coltura che non rappresenta solo un prodotto alimentare, ma un carattere distintivo del paesaggio montano abruzzese.

Un progetto per far convivere paesaggio, gusto e qualità Chi non ricorda “nell’Oro di Napoli” di Vittorio De Sica, (anno 1954), nelle scenografiche esequie, sul lungomare

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partenopeo, l’immagine di una madre chiusa in una silenziosa disperazione per la morte di suo figlio che lancia confetti sull’asfalto dietro una carrozza bianca con due soli cavalli che tirano il feretro del bambino? La mandorla sgusciata viene utilizzata nella lavorazione dei confetti, da sempre tradizione che ricorda da secoli anche le occasioni felici. I confetti hanno origini antichissime: presso i Romani era in uso festeggiare con essi unioni e nascite. Tracce storiche le possiamo ritrovare in scritti riguardanti la famiglia dei Fabi (447 a.C.) e negli scritti di Apicio, amico dell’imperatore Tiberio (37 d.C.). Chi non ha mai sentito parlare dei famosissimi confetti di Sulmona, vere leccornie, superiori per qualità a qualsiasi altro tipo di confetto? Non tutti conoscono però la storia di questi confetti e del perché siano diventati così popolari e amati. Non c’è crisi nella diffusione di questo prodotto. Le prime testimonianze relative alla produzione di confetti a Sul-

mona risalgono addirittura al XV secolo: i documenti più antichi giunti a noi che parlano di questa attività - e che sono tutt’ora conservati negli archivi comunali della città - recano infatti la data del 1492-1493. Sappiamo, inoltre, che nel XV secolo nel Monastero di Santa Chiara di Sulmona si usavano confetti legati con fili di seta per realizzare vari oggetti decorativi, come fiori e grappoli. Il legame tra la città di Sulmona e la produzione di confetti è dunque molto antico, e se la produzione di confetti per matrimonio e per altre ricorrenze è riuscita a passare indenne attraverso i secoli giungendo fino a noi, lo si deve soprattutto alla famiglie di artigiani che nei secoli si sono tramandati, di generazione in generazione, la ricetta autentica. Una delle caratteristiche fondamentali di questi dolcetti, descrizione che li contraddistingue tutt’ora, è proprio il tipo di lavorazione, che si attiene alle antiche tecniche tramandate nei secoli. Un confetto di Sulmona sarà inoltre sempre caratterizzato da ingredienti precisi e di elevata qualità, quali le mandorle: i confettieri della città usano esclusivamente mandole intere d’Avola, che vengono poi ricoperte di vari strati di zucchero sovrapposti per bagnature successive. È grazie a questi e ad altri segreti che i confetti di Sulmona risultano così buoni - e così belli - ed è seguendo quest’ antica ricetta che i produttori continuano a realizzare un prodotto di qualità esportabile anche all’estero. Perché non provare a lavorare le mandorle d’Abruzzo, tanto per stare nel tema della “filiera corta”, ora che si vuole recuperare la coltura con metodi biologici, invitando i confettieri di Sulmona a stare al passo con i tempi e far convivere paesaggio, gusto e qualità? Serena Ciabò

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Le prime fonti che riportano la presenza del mandorlo negli altipiani dell’aquilano risalgono al periodo romano, quando Plinio il vecchio descriveva una varietà di mandorlo coltivata alle pendici del monte Velino. Nel 500 si registra un incremento di questa coltura nel contado aquilano, mentre un altro aumento si registra nell’Ottocento, nel pieno della crisi della transumanza. Nella foto, tante ciambelline golose da gustare in ogni momento o da regalare preparate con mandorle, zucchero e farina.

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Il sistema associativo della Consulta nazionale della proprietà Collettiva, che conta circa 500 soci e 4000 enti rappresentativi della proprietà collettiva, è molto diffuso in 14 regioni: Trentino, Piemonte, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Toscana, Lazio, Umbria, Marche, Basilicata, Campania, Calabria, Puglia ed Abruzzo

BENI COLLETTIVI

Gli esclusivi luoghi delle Regole dove si può imparare a possedere

alla utilizzabilità del proprio patrimonio (le quattro “i” ovvero inalienabilità, inusucapibilità, inespropriabilità e immutabilità della destinazione agrosilvo-pastorale e connessa) il cui riconoscimento da parte del Legislatore è stato storicamente preceduto da una lungimirante limitazione sorta nella maggior parte dei casi dalla libera scelta, autoimposta, dei titolari aventi diritto al godimento di tali beni, come attestano Antichi laudi e statuti in cui sono state codificate tradizioni secolari. Oggi più che mai le proprietà collettive si pongono come strumenti primari per assicurare la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale nazionale perché tutelando tutte le esternalità presenti sul proprio territorio salvaguardano anche i beni comuni ed, in sostanza, l’intera collettività. Le Comunità sono storicamente con-

traddistinte da alcuni nomi e si definiscono, a seconda dei luoghi, e delle forme giuridiche storicamente consolidatesi, Frazioni, Comunalie, Consorzi di Utenti, Università agrarie, Vicinie, Regole, Comunelle, Consorterie, Partecipanze agrarie, Comunioni familiari montane, Jus, Ademprivi, ASUC, ASBUC, ecc. L’organizzazione più conosciuta è quella di Cortina, la perla delle Dolomiti: Le Regole d’Ampezzo fanno parte da secoli del tessuto sociale e coinvolgono quasi tutta la popolazione della località alpina che, in questo modo, tutela da speculazioni la proprietà e l’uso delle risorse forestali e pascolive. Il Bosco delle Sorti della Partecipanza di Trino Vercellese, è il più antico. Risale al 1202, sopravvissuto fino nostri giorni grazie ad un sistema di amministrazione collettiva e di utilizzo già in auge in epoca medioevale. E’ un

territorio pressoché unico, un raro relitto di foresta planiziale, che ha potuto arrivare fino ai giorni nostri grazie a rigide regole di gestione dei tagli che probabilmente risalgono al Medio Evo: secondo alcune fonti, infatti, le regole furono fissate in quegli anni, quando Bonifacio I marchese del Monferrato fece una donazione ai “partecipanti” cioè alle famiglie che partecipavano alla gestione e al reddito del bosco. E’costituito prevalentemente da querce e pioppi con una consociazione di altre specie estremamente varia, tanto che all’inizio del ‘900 si contavano 428 differenti specie. La Consulta nazionale della proprietà collettiva, associazione senza scopo di lucro, fondata nel 2006, si propone di conservare, sviluppare ed approfondire le peculiarità storiche, culturali, istituzionali, giuridiche ed economiche dei Dominii Collettivi, comun-

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Le proprietà collettive sono una tipica realtà della storia d’Italia e costituiscono un modello originale di produzione e distribuzione sociale di ricchezza, oltre che un mezzo efficacissimo di tutela ambientale. Una realtà complessa e delicata consolidatasi nei secoli ed oggi rappresentata dalla Consulta nazionale della proprietà collettiva. Questa associazione, partendo da una ricerca archivistica, storica, culturale, di tutela e produttiva del territorio, sta operando con l’intento di “conoscere, conservare e valorizzare la storia e le tradizioni” dei domini civici e delle popolazioni e territori in cui queste realtà insistono, nell’ottica della promozione della proprietà collettiva come modello di una nuova economia partecipata e solidaristica, rispettosa dei territori e dell’ambiente, radicata nel sentire comune e nelle popolazioni.

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e si mettono insieme tre elementi, la comunità rappresentata da una pluralità di persone fisiche individuata nella collettività locale, la terra intesa come collettivo godimento, comprendente tutte le componenti naturali ed antropiche, quali suolo, sottosuolo, acque superficiali e sotterranee, aria, clima e micro-

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clima, formazioni vegetali, fauna e microfauna, paesaggio, ed infine l’elemento teleologico da individuarsi nello scopo istituzionale, diverso rispetto agli interessi individuali delle singole persone fisiche che compongono la comunità si spiega perché in Italia si sono consolidate le proprietà collettive il fenomeno, che affonda le radici nella

notte dei tempi, è presente in tutte le regioni italiane. Come si evince in numerose pubblicazioni scientifiche e nell’esperienza comune, la proprietà collettiva tutela da secoli i propri beni in modo efficace e duraturo, attraverso strumenti giuridici che si caratterizzano nell’ordinamento italiano per una serie di vincoli

Gli assetti fondiari collettivi a Cortina sono le Regole d’Ampezzo. Qui boschi e pascoli sono da secoli proprietà collettiva della comunità originaria. La proprietà e l’uso collettivo delle risorse forestali e pascolive rappresentò per lunghi secoli la fonte essenziale dei mezzi di sopravvivenza per la popolazione ampezzana, regolamentò, inoltre, il rapporto fra l’uomo e l’ambiente, permise un uso sostenibile del territorio naturale della valle. In alto: Michele Filippini.

La Ciasa de ra Regoles è uno degli edifici “civili” più importanti di Cortina d’Ampezzo, accanto al Comùn Vècio. La costruzione denota la tipologia dell’edilizia urbana austriaca dell’Ottocento nel tetto a padiglione, nel cornicione sagomato e nella mancanza di poggioli.

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que denominati, nell’ottica della propria vocazione europea, attraverso ricerche, iniziative e manifestazioni idonee ad una maggiore conoscenza dell’argomento ed alla difesa e valorizzazione dei dominii e dei diritti collettivi. Il sistema associativo conta circa 500 soci e 4000 enti rappresentativi della proprietà collettiva. La Consulta opera su tutto il territorio nazionale ma ha struttura federativa, perché le comunità sono storicamente distinte e perché le legislazioni e gli interlocutori istituzionali sono diversi da Regione a Regione. Il Direttivo e l’Assemblea nazionali si occupano di iniziative di prospettiva statale, mentre i Coordinamenti regionali operano quotidianamente nelle realtà di provenienza. La realtà delle proprietà collettive rappresenta una forma di proprietà e di utilizzo dei beni che si caratterizza come diversa e distinta rispetto sia alla proprietà privata che pubblica.

L’aggressione al paesaggio deve finire

nali”. Ed aggiunge:”I beni soggetti ad usi civici che sono e continuano ed essere inalienabili, inusucapibili, imprescrittibili e immutabili nella loro destinazione agro-silvo-pastorale, non si possono vendere. Le eventuali cessioni dal punto di vista giuridico si configurano come reati. L’istituto delle Proprietà collettive rimane vivo, attuale ed utilizzabile anche di fronte alle nuove esigenze che la nostra società sta esprimendo.” In questa logica la Consulta nazionale delle proprietà collettiva sta promuovendo diversi progetti, tra cui quello che affianca la Fondazione Spadolini Nuova Antologia, la quale attraverso il Premio Eco and The City, vuole ricordare il quarantesimo anniversario della fondazione del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, un nuovo dicastero creato dal governo bicolore Moro La Malfa ed affidato allo statista Giovanni Spadolini per dare un nuovo indirizzo globale di protezione per l’area dei beni culturali e ambientali e per la

necessaria rifondazione delle leggi di tutela. Ma c’è di più. La Consulta si è orientata verso attività (non soltanto tra gli associati) partendo da una ricerca archivistica, storica, culturale, di tutela e produttiva del territorio, con l’intento di “conoscere per conservare e valorizzare la storia e le tradizioni”, nell’ottica della promozione della proprietà collettiva come modello di una nuova economia partecipata e solidaristica, rispettosa dei territori e dell’ambiente, radicata nel sentire comune e nelle popolazioni. “In questo senso - ribadisce il presidente della Consulta Michele Filippini - intendiamo promuovere iniziative di valorizzazione delle aree e dei patrimoni immateriali (conoscenze, tradizioni, storia, ecc.) che fanno parte della proprietà collettiva recuperando una nozione di patrimonio che in questi ultimi anni si è offuscata ma che può ancora rappresentare un’idea di economia a misura d’uomo”. “Uno degli strumenti che stiamo pro-

Il territorio appartenente alle proprietà collettive viene, specie in alcune regioni, continuamente violentato da interessi locali con una frenetica e continua aggressione al paesaggio, determinando un nuovo oblio delle identità e del patrimonio territoriale. “Il fenomeno si allarga a macchia d’olio - dice il presidente della Consulta Michelle Filippini - Spesso i privati dimostrano interessi speculativi nei confronti dei terreni gestiti dalla proprietà collettiva, trasformando la destinazione d’uso a totale vantaggio dell’urbanizzazione selvaggia sia per scopi abitativi, sia per insediamenti industriali, trovando sponda troppo spesso nelle Amministrazioni comu Gli usi civici del patrimonio terriero sono presenti anche in Val di Non. Sono esclusi soltanto i terreni coltivati a meleti. Sullo sfondo della vallata la frazione di Segno (oggi comune di Taio), luogo natale di Padre Eusebio Chini, il religioso trentino considerato il precursore della sostenibilità.

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muovendo - aggiunge Filippini - è la redazione e la pubblicazione di uno studio che, partendo dai dati offerti dal Censimento Istat, ricomprenda ed illustri, regione per regione, la realtà della Proprietà collettiva in Italia, indicando anche alcuni esempi particolarmente virtuosi che servano da buona pratica. In tale maniera si darebbe conoscenza di un fenomeno tanto importante quanto misconosciuto nell’opinione pubblica e nell’economia italiana offrendo al contempo agli operatori un utile strumento di approfondimento e di apprendimento per espandere ancora di più l’incisività e la presenza della proprietà collettiva, in senso lato, sui territori di influenza”. Questi effetti non sono frutto di aspettative dettate da un’astratta teoria, ma sono il concreto svolgersi delle attività che da sempre le proprietà collettive esercitano sul territorio in cui sono strutturate e di cui può essere fornito un preciso riscontro documentale.

Tante possibilità di condividere un altro modo di possedere

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el tempo il legislatore ha utilizzato diverse forme e terminologie giuridiche per disciplinare la realtà delle proprietà collettive in Italia, tanto che solo di recente la miglior dottrina del diritto e dell’economica ha offerto una sintesi terminologica in questo ambito: USO CIVICO IN GENERE: il termine Uso Civico viene abitualmente usato per definire una serie di istituzioni molto diverse tra loro. Ciò deriva anche dal fatto che la legge del 1927 ha usato il termine in forma generica. BENI (DOMINI) COLLETTIVI: Oggi la miglior dottrina utilizza questo termine per offrire una generica denominazione dei soggetti gestori di un patrimonio di collettivo godimento. USO CIVICO: In senso stretto con questo termine deve invece intendersi la titolarità di una comunità ad esercitare alcuni diritti reali (pascolatico, legnatico, fungatico, cipollatico, ecc.) su di un terreno altrui. PROPRIETÀ COLLETTIVE: Con questa dizione si considerano in genere i terreni vincolati al beneficio di una determinata cerchia di originarii, e di proprietà di un ente esponenziale come ad esempio le Partecipanze Emiliane, le Regole cadorine, la Magnifica Comunità di Fiemme, le università agrarie del Lazio, ecc.. DOMINII CIVICI: Con questa definizione si individuano invece i terreni vincolati al beneficio della generalità dei residenti di un Comune o di una frazione e di proprietà di una amministrazione comunale o di un’associazione di gestione (ASUC). Si tratta della realtà più diffusa dalle Comunalie Parmensi alle Vicinie friulane, dalle comunanze marchigiane agli adempiviri sardi. QUANTI SONO I DOMINI COLLETTIVI IN ITALIA? Ed è quasi impossibile oggi stimare con certezza l’entità del fenomeno dei Domini collettivi in Italia. Una ricerca del Ministero dell’Agricoltura del 1957 li quantificava in più di due milioni di ettari di terreno agro-silvo-pastorale, per quanto da allora di acqua ne è passata sotto i ponti. La Consulta, comparando diverse fonti, ha fatto una prima ricognizione degli enti rintracciato almeno 1567 gestori dei beni collettivi, senza contare gran parte delle regioni meridionali, dove i beni sono per lo più confusi con il patrimonio dei Comuni. Per la prima volta nella storia d’Italia l’Istat ha ufficialmente inserito nel Censimento dell’agricoltura realizzato nel 2011 la rilevazione dei dati relativi alle proprietà collettive. I primi risultati, riferiti ai dati di alcune delle regioni censite, ha già rammostrato una realtà molto diffusa e variegata delle realtà collettive sul territorio nazionale estesa per più di 1.103.000 ettari di terreno.

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Gli esclusivi luoghi delle Regole dove si può imparare a possedere

I bambini di San Marco (Mereto di Tomba, Udine) seminano un piccolo appezzamento di terra collettiva. Contemporaneamente, per la prima volta dalla ricostituzione del Comitato frazionale, altri due ettari di Beni civici sono stati seminati meccanicamente a frumento biologico,primo passo per la costituzione di una “Filiera corta della farina”.

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Beni e servizi tutelati dalla Consulta nazionale delle proprietà collettive e da trasmettere alle generazioni future, rischiano di essere rivendicati senza giustificato motivo da parte delle comunità locali e destinati ad espropriazioni, pratiche di abusivismo e vendita

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Gli assetti fondiari collettivi, una grande risorsa per il territorio La conservazione dell’ecosistema può essere salvaguardata soltanto se si sostengono le attività delle iniziative locali, le quali, attraverso la regolazione delle funzioni, procurano un gran numero di servizi che danno diretti o indiretti benefici alla società (quali la purezza dell’aria, dell’acqua e del suolo, e servizi di controllo biologici). Gli ecosistemi naturali costituiscono rifugio e consentono habitat riproduttivo alle piante ed agli animali selvatici e perciò contribuiscono alla conservazione in situ della diversità biologica e genetica ed ai processi evolutivi. Le risorse materiali (minerali, biologiche, di flusso), danno, invece, origine a flussi di beni finiti o intermedi e di energie. Esse alimentano il processo delle produzioni territoriali, tra le quali le attività dell’agricoltura, della selvicoltura, dell’allevamento, delle industrie collettrici (caccia, pesca, raccolta funghi, di piante medicinali ed ornamentali, ecc.), dell’industria estrattiva, delle industrie delle energie rinnovabili (idroelettrica, eolica, solare). Gli ecosistemi naturali, anch’essi compresi, procurano opportunità pressoché illimitate per un arricchimento spirituale e sviluppo culturale.

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gni territorio è caratterizzato da un determinato regime fondiario; con tale espressione intendiamo indicare quel complesso di caratteri e condizioni che ne determinano la varia attitudine a servire come mezzo di produzione e come sede di vita. Taluni caratteri riguardano l’ambiente fisico (clima, terreno, acque) e le opere immobilizzate dall’uomo nel suolo e determinano la struttura tecnico-economica del regime fondiario; la terra migliorata diventa allora un prodotto dell’attività umana. Altri caratteri riguardano i modi di appropriazione della terra da parte degli uomini, e cioè, specificatamente, i modi di insediamento della popolazione, la divisione della terra in distinti possessi; questi caratteri determinano, invece, la struttura giuridico-economica del regime fondiario. Prendendo in esame l’am-

biente fisico, possiamo individuare in esso la sede del patrimonio naturale. Questo consiste nell’insieme degli elementi naturali e dei sistemi che essi formano e che sono suscettibili di essere trasmessi alla generazione futura oppure di trasformarsi. Tra le numerose classificazioni degli elementi naturali (che nel sistema economico e sociale diventano risorse) può essere utile far riferimento a quella che suddivide le risorse in due gruppi: risorse materiali (risorse minerali, risorse biologiche, risorse di flusso) le quali danno origine a flussi di beni finiti o intermedi e di energie, e risorse ambientali (individuabili nel suolo, nell’aria, nell’acqua, nelle specie biologiche, specialmente se uniche, ma anche nelle biocenosi, ecc.) le quali, combinandosi, danno origine ai cosiddetti servizi naturali finali. Volendo tentare una classifica-

zione dei sistemi che possono derivare dalla combinazione degli elementi naturali, è possibile riscontrare nella diversità di situazioni spaziali e temporali specifici ecosistemi: (a) suoli artificializzati (aree a parco peri-urbane, cave a cielo aperto, aree industriali, aree attrezzate, aree sportive); (b) suoli agricoli (terre lavorabili, prati, pascoli, aree a parco); (c) suoli forestali (fustaia, ceduo, castagneto, sughereta, formazioni rupestri, formazioni riparie); (d) suoli poco artificializzati (pascoli alpini, altri spazi con vegetazione, spazi senza vegetazione); (e) corpi idrici (corsi d’acqua, laghi, serbatoi artificiali, nevai e ghiacciai perenni). Negli eco-sistemi è possibile individuare una struttura (componenti e fattori), un funzionamento (i processi ecologici), una vicenda temporale (successione ecologica). Gli ecosistemi devono essere singo-

La sede dell’Università Agraria di Tarquinia, Ente pubblico con personalità giuridica riconosciuta sin dal 1894, come tutte quelle comunanze e associazioni istituite precedentemente a profitto della comunità per la coltivazione ed il godimento collettivo dei fondi, in seguito all’emanazione della legge sull’ordinamento dei domini collettivi ubicati nelle province degli ex Stati Pontifici. A lato: il professor Pietro Nervi.

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larmente valutati come “l’unità di base” del funzionamento della natura e il livello di organizzazione della natura stessa più conveniente per l’analisi ecologica. Se passiamo a considerare la struttura giuridico-economica del territorio, accanto alla proprietà privata e pubblica, troviamo una diffusa presenza dei possessi di proprietà collettiva. Secondo l’indagine compiuta dall’INEA nel 1947, era censita nel nostro Paese una superficie dei terreni di uso civico in 3.085.028 ettari, di cui 2.596.236 (84,2%) in possesso dei comuni e 488.792 (15,8) in possesso delle associazioni agrarie. Giova far presente come la rilevazione non tenne conto di alcune superfici di collettivo godimento presenti in alcune aree del Nord-Est del nostro Paese e che nel corso del tempo i dati su riportati hanno subito variazioni in aumento per successivi accertamenti e rivendicazioni da parte delle comunità locali e in diminuzione per espropriazioni, abusivismo, vendita. Il recente Censimento dell’Agricoltura condotto dall’ISTAT nel 2010 mette in evidenza una realtà complessivamente differente, essendo stata rilevata (presumendo su sola dichiarazione degli enti di gestione) una superficie di 1.103.000 ettari gestita dagli enti di gestione delle terre di uso civico. L’entità della superficie sopra riportata precisa la dimensione economica ed ambientale degli assetti fondiari collettivi del nostro Paese e stabilisce i limiti del problema politico delle terre di collettivo godimento (il c.d. demanio civico), alla cui comprensione è particolarmente utile la conoscenza della loro distribuzione geografica, della natura agronomica delle terre, delle funzioni degli ecosistemi e, quindi, delle utilità che dagli ecosistemi degli assetti fondiari collettivi si ottengono.

Il termine generico di utilità rese dagli ecosistemi comprende i beni e i servizi che risultano dalle funzioni specifiche di ciascun ecosistema, vale a dire dai prodotti tratti dagli ecosistemi, dalla valorizzazione dei cicli di regolazione naturale, dalla utilizzazione degli ecosistemi come supporto di attività sociali e culturali. Quattro sembrano a noi le categorie dei “servizi resi dagli ecosistemi” attraverso le funzioni: a.) di regolazione. Questo gruppo di funzioni si riferisce alla capacità degli ecosistemi naturali e seminaturali di regolare e mantenere a punto essenziali processi ecologici e supporti vitali dei sistemi attraverso cicli geo-chimici e altri processi della biosfera. In aggiunta alla conservazione della naturalità dell’ecosistema, questa regolazione delle funzioni procura un gran numero di servizi che hanno diretti o indiretti benefici alla società (quali sono la purezza dell’aria, dell’acqua e del suolo, e servizi di controllo biologici). b.) di habitat (spazio vitale). Gli ecosistemi naturali costituiscono rifugio e consentono habitat riproduttivo alle piante ed agli animali selvatici e perciò contribuiscono alla conservazione in situ della diversità biologica e genetica ed ai processi evolutivi. c.) di produzione di beni. Le risorse materiali (risorse minerali, risorse biologiche, risorse di flusso), come abbiamo visto, danno origine a flussi di beni finiti o intermedi e di energie. Esse alimentano pertanto il processo delle produzioni territoriali; processo che si differenzia in rami tra i quali distinguiamo: (a) le attività dell’agricoltura, (b) della selvicoltura, (c) dell’allevamento, (d) delle industrie collettrici (della caccia, pesca, raccolta funghi, di piante medicinali ed ornamentali, ecc.), (e) dell’industria estrattiva, (f) delle industrie delle energie rinnovabili (idroelettrica, eolica, solare). d.) di richiamo. Gli ecosistemi naturali procurano opportunità pressoché illimitate per un arricchimento spirituale, sviluppo culturale e per attività di tempo libero. Negli ecosistemi sono presenti, infatti, situazioni, condizioni, atti, segnali, beni culturali naturali o dell’attività umana che - senza alterare la sostanza materiale dei beni, ma modificandone, invece, le condizioni estrinseche e di relazione attirano l’attenzione dei consumatori. Si tratta di aspetti estetico-paesaggistici, di quadro piacevole di vita, di percorsi nella natura, di aree per attività ricreative a carattere rigenerativo e/o attivo/sportivo, di informazioni scientifiche ed educazionali, di fonti di ispirazione culturale o artistica. In conclusione, come è facile constatare, i servizi sono molto diversificati ed entrano come argomento della funzione di utilità degli individui. Peraltro, occorre tener presente che certi equilibri naturali non sono evidenti se non in presenza della loro rottura; altri sono addirittura vitali (mantenimento della composizione chimica dell’aria, filtro dei raggi ultravioletti, captazione delle sostanze inquinanti, protezione idro-geologica, ecc.). Vale, quindi, la pena di rimarcare come, pur in un quadro di approccio esplorativo, sia necessaria l’elaborazione di idonei strumenti di analisi e di misura delle interazioni tra gli ecosistemi degli assetti fondiari collettivi e le attività umane, un censimento dei servizi resi dagli ecosistemi ed una loro metodologia di quantificazione.

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Pietro Nervi Professore di Economia e Politica montana e forestale. Presidente del Centro studi e documentazione sui demani civici e le proprietà collettive dell’Università di Trento.

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Territori che rinascono dopo le calamità naturali grazie ad un’attenta ed efficace gestione delle risorse

Quando il rudere diventa una risorsa

vivace, attiva, rinata. Ma tant’è.

Apriamo a partire da questo numero una pagina di cronaca sui luoghi della ricostruzione “virtuosa” che ci riporta al terremoto dell’Irpinia, fatti che ci vengono ricordati da un giornalista attento, testimone di quei tragici momenti, vissuti da vicino, riportati poi nel libro: “Ultime voci dall’epicentro”. La testimonianza di Salvatore Biazzo, giornalista della Rai, uno dei volti di “90° Minuto”, intellettuale sensibile e raffinato, Assessore alla Cultura

di sventura molti si accorsero di esistere. Il paesaggio mutò dalla piana di Goleto ai costoni del Terminio. Errori di altri uomini umiliarono la gente disperata e ingigantirono il bilancio della tragedia.” Così descrissi in un libro scritto con Mimmo Carratelli e Aldo De Francesco quella sera in cui “d’un trattò soffiò la bora...in quel momento soffiò una strana bora...e tutti dissero che quello era l’alito del diavolo...” Trent’anni dopo i paesi ridotti a macerie sono rinati, ma la ricostruzione non fu soltanto mattone su mattone, ma edificazione e politica dello sviluppo, si pensò a creare bacini industriali

del gusto e dell’accoglienza. Tutto quello che l’Abruzzo merita di ritrovare. Nei secoli passati, invece, si faceva ricorso alle preghiere invocate dalla popolazione tutta, come ricorda una scritta che campeggia nella Chiesa di Santa Chiara a Rimini sopra l’altar maggiore “A flagello terraemotus libera nos, Domine”. Dal 1600 ad oggi, Rimini è stata colpita 4 volte, una per secolo, con frequenza sempre ravvicinata fino al 1916. Distruzioni su distruzioni. Non sappiamo se sono bastate le preghiere a trasformare Rimini in una città

della sua città, Avellino che, con iniziative nuove, ha fatto della cultura e dell’arte uno dei momenti fondamentali della vita degli avellinesi, specialmente i giovani, ci aiuta a capire cosa è accaduto dopo il terremoto dell’Irpinia. “...cambiò ancora una volta, in una mite sera di novembre,la vita degli uomini in Irpinia. La terra scosse duramente le vecchie gole dei malandrini, abbattè i campanili, ferì le colline, distrusse i paesi degli eremiti e degli emigranti, sconvolse le pacate e laboriose comunità contadine. In quei giorni

mentre si ricostruivano per prime le “case sparse”, le case dei contadini, oltre duecentomila, e questo fu l’aspetto più rilevante. Qualcuno sottolineò che si era di fronte al più grande intervento edificatorio dal dopoguerra in poi, ma le cose positive e lo spirito indomito della gente d’Irpinia fu mortificato da campagne di stampa denigratorie che lasciarono immaginare che la sola Irpinia avessero fagocitato quasi 56 mila miliardi di lire. Ancora oggi, viene impropriamente definito dell’Irpinia un terremoto che devastò

RICOSTRUZIONE SOLIDALE

All’improvviso soffiò una strana bora

RICOSTRUZIONE SOLIDALE

Molti ricordano, come un monito, le parole in apertura del documentario girato nell’80 da Lina Wertmuller, in occasione del terremoto dell’Irpinia, e trasmesso l’anno dopo: “Il terremoto non è finito, si deve solo non dimenticare…”. La testimonianza di chi ce l’ha fatta a superare la tragedia del terremoto servirà a stabilire un legame con i sindaci dell’Emilia e dell’Oltre Po mantovano, i quali hanno ricevuto, lo scorso novembre, un riconoscimento speciale - la Medaglia Spadolini - per l’alto senso civico in virtù del quale si sono adoperati a vantaggio delle popolazioni colpite. Cosa è accaduto in altri luoghi d’Italia in occasione di altre calamità? Cominciamo il nostro viaggio da Auletta, nel salernitano, dove i segni dell’uomo e della cultura contadina sradicata dal terremoto costituiscono oggi un Parco a ruderi, un luogo dove ricordare come il sisma del 1980 cambiò le vicende di questo paese.

del terremoto. In minima parte è avvenuto anche in Irpinia: tra sprechi di miliardi e miliardi di lire, il settore che alla fine ne è uscito meglio è stato proprio l’enogastronomia. Nel dopo terremoto, si è affermata una produzione vinicola di altissimo livello, che ha fatto da guida per tutto l’agroalimentare di qualità della Campania. Anche in Abruzzo, dove i rari palazzi agibili restano vuoti per sicurezza, gli aquilani non hanno perso la speranza di far rivivere, un giorno, il centro storico, perché il segreto è nel mix di contenitore e contenuto, di centri storici belli e vivaci che ospitano artigiani

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oi ce l’abbiamo fatta. Lo possono dire in tanti, anche se il terremoto in epoche diverse ha colpito duramente i luoghi dove tutt’ora vivono con le loro famiglie. Tutto ciò è potuto accadere grazie ad un’attenta ed efficace gestione delle risorse. Luoghi dove ancora oggi il modo in cui venne gestito il dramma post-sisma, viene ricordato come un alto esempio di efficienza e serietà. Il motore della ricostruzione fu assicurato in gestione alle amministrazioni locali, che effettuarono controlli rigorosi

sugli standard di ricostruzione. Come è accaduto a Onna, il borgo abruzzese quasi completamente distrutto dal terremoto, dove è stato necessario l’intervento della Protezione Civile del Trentino impegnata con decisione nell’attività di ricostruzione per offrire a quanti sono rimasti senza abitazione un alloggio idoneo per le esigenze più immediate, ma anche mettendo a disposizione risorse e mezzi per la ricostruzione della località duramente colpita.In tempi più lontani in Friuli, dove prevalse subito la voglia di ripar-

tire. La tragedia (oltre mille morti, 500 aziende distrutte, la perdita di quasi 20 mila posti di lavoro), si è rivelata una grande opportunità di sviluppo. Già due anni dopo, il 90% delle industrie aveva ripreso l’attività e l’occupazione era addirittura aumentata rispetto al 1975. Un risultato eccezionale, ma nel settore agricolo la trasformazione fu a dir poco miracolosa! I prosciutti friulani, il formaggio Montasio Dop e i grandi vini della regione esistevano già prima, ma hanno avuto una grande occasione di rilancio proprio dal disastro

Trent’anni dopo il terremoto dell’Irpinia, i paesi ridotti a macerie sono rinati, si pensò a creare bacini industriali mentre si ricostruivano per prime le “case sparse”, le case dei contadini, oltre duecentomila.

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Il Cancelliere tedesco, Angela Merkel, nel primo giorno del vertice G8 che si svolse in Abruzzo, durante la visita ad Onna, il borgo quasi completamente distrutto dal terremoto, dove è stato necessario l’intervento della Protezione Civile del Trentino. I volontari sono stati impegnati nell’attività di ricostruzione per offrire a quanti erano rimasti senza abitazione un alloggio idoneo per le esigenze più immediate, ma anche mettendo a disposizione risorse e mezzi per la ricostruzione della località duramente colpita.

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Quando il rudere diventa una risorsa

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una area grande quanto il Belgio: tutta l’Irpinia, la Campania, la Basilicata e 16 comuni della Puglia. La sola Napoli, con i morti dell’unico edificio crollato in via Stadera, assorbì oltre 16 mila miliardi, spendendone l’ottanta per cento per inutili e incompiute infrastrutture e non per le case. Ma all’Irpinia, al “suo” terremoto furono addebitati tutte le migliaia di miliardi spesi, le parole di fuoco e di scandalo seppellirono così, indecentemente, i tremila morti di quella sera “dolce e mite” in cui all’improvviso soffiò una strana bora.

Il terremoto non è finito, si deve solo non dimenticare Cominciamo da qui per raccontare “chi ce l’ha fatta”. Molti ricordano, come un monito, le parole in apertura del documentario girato nell’80 da Lina Wertmuller e trasmesso l’anno dopo: “Il terremoto non è finito, si deve solo non dimenticare…”. La loro testimonianza servirà attraverso il Premio Eco and the City, a stabilire uno stretto legame con i sindaci dell’Emilia e dell’Oltre Po mantovano che hanno

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ricevuto, lo scorso novembre, un riconoscimento speciale (la Medaglia Spadolini) per l’alto senso civico in virtù del quale si sono adoperati a vantaggio delle popolazioni colpite, motivando il successo della seconda edizione Premio Eco and the City, svoltasi a Trento. La Fondazione Spadolini Nuova Antologia ha voluto guardare in previsione della prossima edizione del Premio alle aree del cratere sismico dell’ultimo terremoto, per consentire ai Comuni colpiti di confrontarsi con altre realtà della penisola sul futuro del nostro Paese, sempre a rischio di gravi calamità. Con il conferimento della Medaglia Spadolini a tutte le municipalità colpite dal sisma in Emilia, ha voluto esaltare il valore della solidarietà, organizzando la prossima edizione del Premio a Modena, per affiancare i primi cittadini che, con la loro condotta esemplare, hanno saputo trasformare l’emergenza in una grande occasione per ripensare il rapporto con il territorio ferito: l’uso e la tutela del paesaggio, l’attenzione al consumo di suolo, la necessità di investimenti per la messa in sicurezza e la prevenzione dei rischi, la ricostruzione in chiave di sostenibilità. E poi vogliamo parlare di quell’esercito

Così descrisse Salvatore Biazzo, giornalista della Rai, uno dei volti di “90° Minuto”, nel libro: “Ultime voci dall’epicentro” quella sera in cui “d’un trattò soffiò la bora...in quel momento soffiò una strana bora...e tutti dissero che quello era l’alito del diavolo...”

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silenzioso che si mette in moto dopo ogni calamità naturale. Uomini, donne, giovani: i volti del’Italia solidale. I volontari mobilitati oggi anche dalla rete che scendono sul campo dell’impegno civile.

Il Parco a ruderi di Auletta Cosa è accaduto in occasione delle altre calamità? Cominciamo con la storia di Auletta, un piccolo comune del salernitano, di origini mitiche perse nel tempo, pronto ad ospitare il Parco a ruderi (non ancora completato) per ricordare il sisma che colpi nel 1980 la Campania e la Basilicata, modificandone il corso della storia. Si tratta del vecchio centro storico abbandonato a seguito del sisma del 23 novembre 1980. Con un intervento già realizzato si è provveduto a metterne buona parte in sicurezza, senza interventi invasivi di cementificazione. Sul fronte del turismo scolastico, con l’istituzione del museo MIdA, si è provveduto a trasformare l’offerta di gita scolastica in prodotto didattico, con laboratori su tematiche carsiche, botaniche, scientifiche ed ecologiche. L’iniziativa è stata avviata da quelli che erano i giovani di allora, letteralmente “scossi” dalla

calamità che ha colpito il territorio. In prima fila Francescantonio D’Orilia, all’epoca del sisma appena diciannovenne, che ha avuto la voglia di capire, come i suoi amici, quali sarebbero stati effettivamente i danni provocati dal sisma che aveva spezzato vite e scaraventato la coscienza contadina verso il nulla alla ricerca di un’identità. Dalla riflessione è stato avviato un serrato confronto sulle ferite sociali del sisma. Ne è nato un progetto esemplare che proviamo a raccontare. La località si trasforma in un’autentica “officina del fare“, dimostrando di saper pensare al futuro guardando al passato, trasformando il territorio in una fabbrica di idee. Vediamole. “Occorreva vedere il dopo terremoto da un’angolatura diversa - spiega Francescoantonio D’Orilia, che oggi, cinquantaquattrenne, con un’esperienza di sindaco nel vicino comune di Pertosa alle spalle, è a capo di una struttura no-profit che ha letteralmente cambiato il modo di “pensare” il territorio - bisognava studiare, capire, intravedere i cambiamenti che un sisma può determinare su tutti i livelli, urbanistici, economici, sociologici, sanitari”. Queste ragioni hanno mosso l’idea MIdA, una fondazione che si prendesse carico della volontà di sperimentare un modello di sistema locale basato su elementi indigeni, dall’architettura, all’agricoltura, dal turismo alle emergenze naturalistiche, fortificati tuttavia dalla ricerca, dall’innovazione e dalla qualità. Nasce così un progetto che interessa i territori a cerniera fra i territori del Vallo di Diano, della Valle del Sele-Tanagro e dei Monti Alburni, diventato un modello di gestione che, a partire dalle Grotte di Pertosa-Auletta, ha valorizzato e messo in rete in maniera armonica e coerente diverse emergenze culturali, ambientali e natu-

ralistiche ampliando l’offerta del territorio in maniera sostenibile e di qualità. Il sito delle Grotte di Pertosa-Auletta, ottenuto grazie al lavoro incessante della natura da 35 milioni di anni, attrae ogni anno migliaia di visitatori che scelgono questo luogo per diversi aspetti che vanno dall’interesse naturalistico, speleologico a quello archeologico che ne fanno uno dei siti più importanti della penisola. Oggi è possibile seguire ed ammirare i tragitti che si snodano per circa 3000 metri. Il tratto iniziale delle Grotte è invaso dalle acque del fiume Negro, che offre un affascinante ed inconsueto viaggio in barca fino a raggiungere un piccolo approdo dal quale ci si inoltra nelle viscere della terra immersi in un silenzio magico, laddove luci ed ombre si incontrano e si confondono in un gioco sempre nuovo, rimanendo incantati dallo scrosciare della grande cascata naturale.

RICOSTRUZIONE SOLIDALE

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Un territorio che rinasce Il sistema MIdA rappresenta una realtà unitaria e solida di gestione di un insieme di attività turistiche diversificate e di promozione dello sviluppo territoriale. Ricorda Francescoantonio D’Orilia: “I primi passi vennero fatti nel gennaio 2004 grazie all’intervento della Regione Campania, Provincia di Salerno, Comune di Auletta e Comune di Pertosa. La Fondazione, ente senza fini di lucro, nasce con lo scopo di realizzare un modello di sviluppo locale fondato sulla valorizzazione di beni ambientali e storici definiti minori e svolge lavoro di ricerca, sviluppo e valorizzazione in maniera partecipata con gli attori locali”. I fondatori hanno contribuito

Auletta, piccolo comune del salernitano, di origini mitiche perse nel tempo, è pronto ad ospitare il Parco a ruderi (non ancora completato) per ricordare il sisma che colpì nel 1980 la Campania e la Basilicata, modificandone il corso della storia. Si tratta di una parte del vecchio centro storico abbandonato a seguito del sisma rimasta com’era. Il resto del paese rappresenta un bell’esempio di ricostruzione.

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Quando il rudere diventa una risorsa

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a tale processo attraverso investimenti di natura diversa, con interessanti ricadute occupazionali dirette ed indotte. Il sistema necessita di un’ulteriore valorizzazione, di un’ottimizzazione dei servizi e di adeguata promozione. Le previsioni dei risultati si basano sulla stabilità della gestione, sulla consolidata esperienza della Fondazione e sulle prospettive di sviluppo. Il sistema di gestione, ben oliato, rischia ora di segnare il passo. La Regione Campania, dopo aver promosso un bando ( http://

occupato del ritardo il Presidente D’Orilia. Anzi! Forte delle tantissime proposte e progetti che in questi ultimi anni la fondazione MIdA a partire dalla Direzione scientifica della Prof.ssa Mariana Amato, ha messo in campo, tutte innovative, utili per generare nella comunità locale la consapevolezza sul valore dei beni naturalistici, archeologici ed agro-ambientali del territorio e la messa in luce delle loro caratteristiche di qualità, eco-compatibilità, integrazione con i cicli ambientali e con la memoria dei luoghi. Come le collezioni di germoplasma vivente del frutteto

che devono essere documentate per le loro valenze storico-culturali ed inserite in cicli produttivi sostenibili ed integrati con la fruizione culturale e turistica dell’area. “Al fine di aiutare le produzioni locali nella ricerca di nuovi canali distributivi ed al contempo contribuire alla loro creazione di valore, la fondazione - spiega Francescoantonio D’Orilia - ha creato i marchi “Terre di grotte” e “Ma-musei integrati dell’ambiente”. Con il primo (terre di grotte) s’intende esplicitare uno storytelling particolare: il territorio carsico, da sempre associato ad aree povere e

geoparco Cilento, il sito delle Grotte di Pertosa - Auletta è geosito focale e la Direzione Scientifica della Fondazione MIdA è inserita nel consiglio scientifico del Geoparco “Cilento e Vallo di Diano”.

www.progetto-rena.it/coauletta/) per stimolare la generazione di idee di impatto sostanziale e sostenibile per la rinascita della città di Auletta, ha congelato un finanziamento di euro 2.500.000,00 destinato a rilanciare l’iniziativa ed uno di euro 1.750.000 che completerebbe il sistema dei servizi e dell’accoglienza intorno alle Grotte. Tali risorse finanziarie oggi, se liberate, sarebbero ben finalizzate grazie al valore aggiunto che il concorso di idee ha messo in campo con le varie proposte progettuali arrivate da varie parti d’Italia ed oltre. Non appare pre-

storico ed in exiccata negli erbari storici e moderni rispondono invece alla funzione di conservare e rendere disponibile per lo studio e la diffusione, la biodiversità dell’intera area del Cilento e Vallo di Diano, dichiarata dal 1997 Riserva della biosfera e dal 1998 Patrimonio dell’umanità dell’UNESCO. Le attività del museo prevedono poi azioni di studio e documentazione sui sistemi agro ambientali della collina interna, che presentano materiale genetico unico (carciofo bianco, pomodorino, colture arboree), ma anche sull’insieme delle tecniche agronomiche tradizionali

spesso irraggiungibili, pertanto non contaminate dal processo d’industrializzazione foriero d’inquinamento ambientale. Con il secondo la fondazione patrimonializza i termini onomastici di museo ed ambiente, entrambi portatori di valori, anche sotto l’aspetto tipicamente economico di mercato. I musei ed il sito delle Grotte sono stati inseriti nel 2009 nel sito UNESCO Geoparco “Cilento e Vallo di Diano”. La rete UNESCO Geoparks è stata istituita con lo scopo di incentivare la responsabilità nella gestione sostenibile del patrimonio di un territorio. Nel

Il risultato conseguito è un’opportuna destagionalizzazione dei flussi dei visitatori di Pertosa-Auletta, perché le gite scolastiche si effettuano nei soli mesi di aprile e maggio, mentre la didattica impegna il periodo da settembre a giugno. La realizzazione dello spettacolo de “L’Inferno di Dante nelle grotte

denominata “Tre Grotte tre fiumi ”. MIdA aderisce all’Associazione Grotte Turistiche Italiane (AGTI) sin dalla sua nascita(1994), avendone anche la Presidenza, in più ha sostenuto la nascita dell’Associazione di Comuni “Città delle Grotte”, nell’ambito di Res Tipica dell’ANCI e promuove costantemente lo sviluppo di alleanze strategiche territoriali con i Comuni limitrofi. Infine, MIdA è socia costituente della Fondazione della Comunità Salernitana. Oltre al coinvolgimento delle associazioni locali interessate alle problematiche speleologiche ed archeologiche, con

riflettere ed avviare un serrato confronto sulle ferite sociali del sisma del 1980, le modifiche avvenute nelle dinamiche demografiche, comunitarie, antropologiche, economiche e politiche a causa dell’evento e delle attività di ricostruzione. A tal proposito sono stati realizzati dei rapporti: uno di comparazione tra gli eventi che hanno interessato, in tempi diversi, la Campania-Basilicata, il Molise, l’Umbria e L’Aquila; uno studio sulla comunità di Caposele, in collaborazione con la cattedra di Antropologia Culturale dell’Università di Bergamo;

a Pertosa” ha intercettato una domanda di turismo stanziale, incrementando per tutto l’anno i soggiorni nell’intero Vallo di Diano ed ha dato vita ad un vero e proprio modello: lo speleo teatro, replicato a Castelcivita ed a Castellana. Per valorizzare turisticamente il territorio, la Fondazione ha promosso la costituzione di Cilento Incoming Soc. a r.l., un tour operator a cui aderiscono oltre 150 portatori d’interesse della ricettività a sud di Salerno. Inoltre ha promosso un’offerta integrata delle Grotte della Provincia di Salerno (Castelcivita, Morigerati, Pertosa-Auletta)

le quali la Fondazione ha relazioni consolidate, essa ha in atto l’iniziativa “Club MIdA Junior”, con gli allievi delle scuole primarie e secondarie di primo grado del territorio che vengono coinvolte nella condivisione delle iniziative museali con le scuole del territorio e parteciperanno agli allestimenti museali ed alla ricerca sul territorio e redazione di guide “junior” al territorio per ragazzi. Partecipano al consiglio gli insegnanti e i dirigenti scolastici che aderiscono al progetto . Infine, la Fondazione MIdA ha istituito “l’Osservatorio sul Doposisma” perché sembrava opportuno

un altro sul processo d’industrializzazione della ricostruzione (l. 219) a cura dell’Ufficio Studi del Monte dei Paschi di Siena. Inoltre la Fondazione promuove la realizzazione di attività sportive legate alle caratteristiche del territorio, quali rafting, speleoraft, equiturismo, torrentismo, tree climbing con le quali ha integrato la già efficace offerta turistica di avventura.”Non ci fermeremo qui - conclude Francescoantonio D’Orilia - “il cammino è ancora lungo e la strada si fa andando”.

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RICOSTRUZIONE SOLIDALE

RICOSTRUZIONE SOLIDALE

Tutto comincia in una grotta

Il tratto iniziale delle Grotte di Pretosa-Auletta (attrazione per un notevole numero di speleologi), è invaso dalle acque del fiume Negro, che offre un affascinante ed inconsueto viaggio in barca fino a raggiungere un piccolo approdo dal quale ci si inoltra nelle viscere della terra, immersi in un silenzio magico, laddove luci ed ombre si incontrano e si confondono in un gioco sempre nuovo, rimanendo incantati dallo scrosciare della grande cascata naturale. A sinistra: La realizzazione dello spettacolo de “L’Inferno di Dante nelle grotte di Pertosa Auletta” ha dato vita ad un vero e proprio modello: lo speleo teatro.

Loredana Renaudo

Dopo il terremoto, i giovani hanno messo in campo azioni utili per generare nella comunità locale la consapevolezza sul valore dei beni naturalistici, archeologici ed agro-ambientali del territorio e la messa in luce delle loro caratteristiche di qualità, eco-compatibilità, integrazione con i cicli ambientali e con la memoria dei luoghi. Nella foto il Presidente della Fondazione MIdA Francescoantonio D’Orilia.

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Nella cittadina romagnola la ceramica esce sempre più spesso dalla bottega e incontra l’industria, l’arte urbana, la ricerca, il design

Faenza e la ceramica

il respiro urbanistico della città

MODELLI DI TERRITORIO

L’urbanistica faentina guarda alla ceramica, intesa nel senso nobile del termine, guarda al momento della ideazione, della innovazione, della sua capacità di arricchire lo spazio urbano e di elevarne il livello di riconoscibilità in un mondo globalizzato; in pratica, l’urbanistica vuole conservare il tratto distintivo più noto di una comunità radicato nella storia della città. L’urbanistica vuole promuovere l’arte e la ricerca. La ceramica, quella inventiva e non di imitazione, ha bisogno dell’urbanistica, delle sue strategie, di una visione di lungo periodo per affrontare realisticamente nuove sfide, nuove occasioni di lavoro, nuove direzioni, impensabili fino a qualche decennio fa.

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robabilmente quando oltre mille anni fa l’abbondante terreno argilloso presente nell’area cominciò a prendere forme e colori di vasi ed oggetti, impregnati di culture diverse e commercializzate oltre i confini, non ci si poteva aspettare che quelle tecniche, prima timide e poi via via sempre più trasgressive diventassero l’essenza della città; la ragione per cui Faenza (faience) è nota e famosa nel mondo. Dal primo ‘400 è stato un susseguirsi di temi sempre nuovi che innestandosi sui precedenti hanno confermato ed innovato la vocazione artistica della città. I “Bianchi di Faenza” della metà del ‘500 rappresentano un momento insuperabile dell’arte ceramica e ora il Museo internazionale delle ceramiche sorto nel 1908 è una eccellenza mondiale. Se la storia della ceramica è raccolta prevalentemente nel museo o comunque in ambienti dedicati, si può affermare che dal ‘900 questo “materiale”, al quale la città ha dato il nome, si affaccia sempre più all’esterno presentandosi in molteplici vesti. Senza dubbio lo spazio esterno, visibile da tutti, ma implacabile giudice per gli interventi

con insufficienti tecnica e creatività, è diventato il vero e unico museo all’aperto per eccellenza. Museo inteso in un’accezione diversa e innovativa, in senso territoriale, dinamico e fluido, quale luogo in cui sperimentare la ceramica, lasciandola lì al giudizio della gente e del tempo. Questo spazio, senza muri, qualificato

qua e là da installazioni artistiche che contemplino anche l’uso di ceramica, è il biglietto da visita della città. La scelta di Faenza, e qui risiede la grande novità e lungimiranza, da un secolo a questa parte, è stata quella di puntare alla qualità del messaggio “ceramico”, centellinando le sperimentazioni urbane per poterne esaltare

Casa Matteucci in Corso Mazzini, Faenza, risalente al 1909 con ampie decorazioni in maiolica riccamente dipinta: una perfetta sintesi dell’arte del ferro e della ceramica. In alto: targa stradale in ceramica - esempio di targa in maiolica dipinta per l’indicazione stradale realizzata nel 1910. In alto: una decoratrice di Faenza nel suo studio.

l’innovazione; un processo che consente di scandire e comprendere la cronologia artistica della città. Altre “città ceramiche”, invece, hanno cercato di diffondere (in alcuni casi appiccicare) in modo quantitativo e con ogni mezzo la ceramica, a volte riuscendoci e a volte no, seguendo il principio del non perdere alcuna occasione, ma esponendosi al rischio, certo, di banalizzare il messaggio promozionale. Dopo decenni di amletici dubbi e altrettante dispute sulla migliore strada da seguire, è stato il tempo a fornire la soluzione: che è, e non potrebbe essere altrimenti, quella della qualità innovativa rispetto alla quantità invasiva. Le direzioni, che attestano il percorso sono molteplici e qui si citano solo le azioni più significative. Nel campo dell’architettura gli straordinari ricami di Palazzo Valenti (1887) e i raffinati cromatismi di Casa Zucchini (1908), Casa Albonetti (1909), Casa Matteucci (1910), Casa Vignoli (1910) sono la premessa ad un gesto artistico straordinario quale la Tomba Melandri di Lucio Fontana (fine anni ’50) e ad una contemporanea architettura di Ettore Sottsass (2009). Anche l’urbanistica si è aperta alle collaborazioni con artisti che hanno usato la ceramica in modo innovativo e anticipativo alla scala del quartiere: le sei installazioni nel quartiere S. Lucia e quella del nuovo

il mero aspetto espositivo ad un ruolo secondario. Se va privilegiato un settore in cui mantenere alto il livello innovativo e creativo delle proposte, è certamente quello delle opere d’arte urbane permanenti; dal monumento alla resistenza di Domenico Matteucci (1976), nel Viale della Stazione, fino alla “Spirale” di Germano Sartelli (2010) nella rotonda dell’ex Omsa, sono esemplificabili stili, tecniche, autori che raccontano nel modo più esplicito l’arte ceramica: un libro all’aperto di storia dell’arte degli ultimi 50 anni. Ma soprattutto è necessario evidenziare il sobrio arredo urbano ceramico faentino, discreto e perciò qualificante; nei casi migliori, quando si è spogliato di improprie velleità artistiche, ha raggiunto livelli di grande gusto che lo rendono attuale a distanza di oltre 100 anni; numeri civici disegnati da mano anonima nel 1904 e targhe stradali ne sono un esempio. Faenza deve solo continuare a scegliere le opere ceramiche altamente innovative da esporre al pubblico senza farsi influenzare da mode o protagonisti momentanei. Se è acclarata dalla storia la sovrapposizione di Faenza a faience è innegabile la difficoltà e l’impegno da profondere per comunicare oggi in modo innovativo e futuribile la ceramica. Nella competizione fra le città sono vincenti solo quelle che attrag-

solo ambiente in cui si formano e crescono le innovazioni; e quindi dove germogliano l’arte e la ceramica. L’urbanistica faentina guarda alla ceramica, intesa nel senso nobile del termine, guarda al momento della ideazione, della innovazione, della sua capacità di arricchire lo spazio urbano e di elevarne il livello di riconoscibilità in un mondo globalizzato; in pratica, l’urbanistica vuole conservare il tratto distintivo più noto di una comunità radicato nella storia della città. L’urbanistica vuole promuovere l’arte e la ricerca. La ceramica, quella inventiva e non di imitazione, ha bisogno dell’urbanistica, delle sue strategie, di una visione di lungo periodo per affrontare realisticamente nuove sfide, nuove occasioni di lavoro, nuove direzioni, impensabili fino a qualche decennio fa. La ceramica esce sempre più spesso dalla bottega e incontra l’industria, l’arte urbana, la ricerca, il design. E’ qui che, probabilmente, ci sono i maggiori segnali di futuro ed è questa l’attualità del sodalizio fra innovazione ceramica e sviluppo del territorio. Nell’articolo di apertura della rivista DOMUS del febbraio 1933 Giò Ponti, autore del celebre grattacielo Pirelli di Milano, con lucida intuizione affermava: …”Per chi lavora, per chi produce - e non solo nelle industrie d’arte - non è sufficiente la tecnica, l’economia, l’o-

quartiere San Rocco riportano a pieno diritto l’artista nella sfera propria della progettualità urbana.Il restauro dei grandi edifici può offrire occasioni artistiche di grande suggestione come è documentato dagli allestimenti in ceramica nella chiesa medievale di S. Lazzaro, in quella moderna del Paradiso e dalle installazioni sui soffitti voltati del Palazzo comunale di Via Zanelli. Si tratta di opere permanenti che vivono con gli edifici e solo con quelli, relegando

gono i creativi, i talenti, i giovani in quanto costituiscono linfa per la Faenza del futuro; ed è da questi che bisogna partire, dalle loro idee prima che dalla affannosa ricerca di vendere i prodotti ceramici della tradizione. Il successo artistico della città sarà una naturale conseguenza. E’ la buona urbanistica che con le strategie, la sua visione dall’alto dei problemi proiettati nel lungo periodo deve favorire l’attrazione e la vivibilità urbana che rappresentano il

stinato sforzo, se a queste virtù non s’accompagna l’intuito dell’avvenire, cioè dei costumi della vita di domani, vale a dire dei consumi di domani… L’industriale, il produttore che non vede, nelle arti, la figura dell’avvenire, non vede l’avvenire della propria industria, del proprio lavoro: egli è un cieco, egli è un cattivo industriale.”… Considerazioni quanto mai attuali in questo momento storico.

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Ennio Nonni

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Un marchio tutela il lavoro delle “botteghe” ceramiche nelle quali sopravvivono e si reinventano continuamente lo spirito, la creatività e l’abilità degli artigiani, custodi di un’arte antichissima e moderna, in un’atmosfera tipica che si ritrova, immutata nel tempo

La terra che si trasforma in opere d’arte

RES TIPICA & DINTORNI

L’Associazione Italiana Città della Ceramica (AiCC) promuove la ceramica italiana nel mondo, un settore di antico radicamento nel nostro territorio, tanto da risultare diffuso in tutto l’ambito nazionale, tuttavia le regioni differiscono fra loro in termini di densità di produttori insediati e delle relative caratteristiche strutturali: per trasformare tale diversità in un fattore di successo. L’Associazione che sviluppa azioni di tutela e promozione della ceramica artigianale ed artistica della nostra tradizione, ha recentemente avviato una rete a livello europeo nella forma di un Gruppo Europeo di Cooperazione Territoriale (GECT) “Agrupacion (Gruppo) Europea delle Città della Ceramica”, per promuovere una serie di relazioni internazionali che hanno permesso scambi operativi di estremo interesse.

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a prima azione l’ha fatta la natura che ha disseminato su tutto il pianeta sedimenti clastici sciolti, provenienti dal dilavamento di rocce contenenti minerali argillosi, i quali con la concentrazione del sedimento fine, a seguito di un lungo trasporto prevalentemente in acqua, in ambienti lacustri, marini, lagunari diventavano particolarmente malleabili quando idratata e può quindi essere facilmente lavorata a mano, la seconda è dovuta all’uomo che ha saputo utilizzare questo materiale ottenuto scavando tra creste d’argilla, colline brulle e dolcemente ondulate, inasprite qua e là, incise dai calanchi e da altre tipiche conformazioni denominate balze e biancane. E’ un tutt’uno che forma uno dei paesaggi più straordinari e unici, come le Crete senesi che danno al territorio il caratteristico colore grigio-azzurro e un’apparenza spesso descritta come lunare o il territorio di Civita di Bagnoregio, nel viterbese, famosa per essere denominata “la città che muore”che appare arroccata su uno sperone di roccia sovrastando l’ampia conca increspata dai calanchi. Il territorio è sottoposto

Un marchio di qualità tutela l’antica “arte” della ceramica

ad una irrefrenabile erosione che vede lo sperone tufaceo progressivamente assottigliarsi su un sottostante strato argilloso anch’esso instabile poiché per la sua natura geologica é destinato a subire l’azione erosiva degli agenti atmosferici che lo modellano nelle tipiche forme dei calanchi dall’azione dilavante della pioggia sull’argilla.

Questi sono alcuni dei giacimenti inesauribili di argilla, un terreno ricco di sedimenti, denominato dal greco antico Kéramos che significa creta o “terra da vasaio”, utilizzato fin dall’antichità nella creazione di manufatti risalenti al periodo neolitico, quando i primi oggetti di argilla (ciotole, vasi, brocche, ecc.) venivano cotti direttamente sul fuoco.

Il presidente dell’Associazione Italiana Città della Ceramica Stefano Collina, eletto di recente al senato, riconfermato per acclamazione all’ultima assemblea di AICC.

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Vari popoli, tra i quali si annoverano gli antichi Egizi, i Persiani e i Cinesi, hanno utilizzato l’argilla per la produzione di porcellane. Già nell’antichità gli uomini avevano imparato ad aggiungere una polvere sottile silicea al prodotto argilloso prima di effettuare la cottura, per dare oltre al colore tipico, una resistenza meccanica del manufatto, contribuendo alla vetrificazione e quindi riducendo la porosità della ceramica cotta. L’argilla sotto il profilo mineralogico è una roccia composta, da uno o più minerali, classificati chimicamente come silicati idrati di alluminio con quantità subordinate di altri elementi quali: magnesio, sodio, potassio, calcio e ferro. Il resto è storia recente: la lavorazione dell’argilla avviene sempre nello stesso modo, tenendo conto che deve essere ben impastata prima della modellazione in modo da eliminare tutti gli eventuali vuoti d’aria e renderla compatta. Il binomio è sempre lo stesso: occorre mescolare terra e creatività, come nei tempi antichi. In Italia, diverse località, nel Medioevo, hanno avuto il toponimo Figline che indicava un luogo di lavorazione dell’argilla.

RES TIPICA & DINTORNI

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Oggi le località dove quest’antichissima arte si è tramandata con continuità fino ad oggi, mettono in mostra con un certo orgoglio, l’appartenenza alla rete di appartenenza AiCC inserita nel circuito RES TIPICA ANCI che le rappresenta e le contraddistingue e che fa scoprire anche attraverso il marchio “Ceramica Artistica e Tradizionale”, istituito per Decreto del Ministero dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato, l’antico lavoro delle “botteghe” ceramiche nelle quali sopravvivono e si reinventano continuamente lo spirito, la creatività e l’abilità degli artiIl vecchio forno della Bottega Gatti, costruito a mano negli anni 20, utilizzato per la cottura dei manufatti. Una recente edizione di Argillà a Faenza, una delle capitali mondiali della maiolica (dal suo nome deriva la parola “faiences”), alla scoperta del mondo della ceramica e dei ceramisti, attraverso eventi, mostre ed animazioni culturali e spettacolari. Sopra: una vasta gamma di prodotti in una bottega-laboratorio di Vietri sul Mare, splendido borgo della costiera amalfitana, considerata la capitale della ceramica artistica.

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RES TIPICA & DINTORNI

La terra che si trasforma in opere d’arte

giani, custodi di un’arte antichissima e moderna, in un’atmosfera tipica di un “lavoro antico” che si ritrova, immutato nel tempo. Un brand che viene percepito favorevolmente da esperti e dal mondo della cultura e delle istituzioni, ma anche degli appassionati cultori di queste autentiche opere d’arte, tant’é che lo ritroviamo utilizzato come biglietto da visita, insieme al logo dell’AiCC di un’iniziativa che coinvolgerà le città europee che hanno una tradizione ceramica più consolidata. Vale a dire l’arte della fabbricazione dei prodotti formati di terra, foggiati a mano o meccanicamente, e cotti. Si tratta di un’autentica novità, maturata dopo il lavoro durato alcuni anni, all’interno dell’AiCC che promuove la ceramica italiana nel mondo, un settore di antico radicamento nel nostro territorio, tanto da risultare diffuso in tutto l’ambito nazionale, tuttavia le regioni differiscono fra loro in termini di densità di produttori insediati e delle relative caratteristiche strutturali: per trasformare tale diversità in un fattore di successo, fin dal 1999 le principali città d’arte del nostro paese si sono riunite in questa Associazione, con la mission di sviluppare azioni di tutela e promozione della ceramica artigianale ed artistica della nostra tradizione. Oggi l’Associazione annovera 34 Comuni distribuiti in 15 Regioni. L’AiCC nei suoi quasi quindici anni di attività ha saputo perseguire con efficacia i propri scopi sociali: dalla tutela alla promozione, dalla valorizzazione delle produzioni all’affermazione dell’originalità della cultura della ceramica italiana. L’Associazione è stata infatti fin dalla sua fondazione ferrea sostenitrice ed attuatrice operativa della legge 188/90, che ha tracciato e definito un sistema

di tutela e promozione della Ceramica artigianale ed artistica in Italia, concentrandosi successivamente, dall’inizio del 2000, sulla realizzazione di azioni di marketing a supporto, diffusione e promozione del marchio della ceramica artistica tradizionale (CAT) e avviando in un ulteriore momento, dal 2005 fino ad oggi, una terza linea di azione strategica, per la costruzione di una rete di rapporti a livello europeo. Nel corso di un recente seminario, organizzato dal Dipartimento degli Affari regionali della Presidenza del Consiglio, si sono messe, infatti, le basi per quest’azione ad ampio raggio che vede impegnata AiCC, assieme alle corrispondenti associazioni francesi (AFCC),

spagnola (AECC) e rumena (ARCC), in una serie di relazioni internazionali che hanno permesso scambi operativi di estremo interesse. In questo stesso periodo l’assemblea di Città della Ceramica, svoltasi a Faenza che ha visto la presenza di Sindaci e rappresentanti delle città di antica tradizione ceramica, aderenti all’associazione, ha proceduto al rinnovo delle cariche sociali, chiedendo, per acclamazione, al presidente uscente Stefano Collina, eletto di recente al Senato, di proseguire, anche per il biennio 2013-2015, nel lavoro già portato avanti negli ultimi anni, nel segno della continuità. Toccherà ancora all’ingegnere faentino, 46 anni, sposato, un figlio, già assessore alle attività

produttive della cittadina sinonimo nel mondo di “ceramica”, anche se oberato dai nuovi incarichi istituzionali, traghettare l’associazione AiCC verso ambiti traguardi, in parte già tracciati. “In questo periodo siamo prioritariamente impegnati in azioni volte ad aiutare le imprese ad uscire dalla crisi economica, soprattutto attraverso una spinta verso l’internazionalizzazione”- afferma Stefano Collina, presidente da oltre dieci anni di AiCC- “Ci preoccupiamo naturalmente della salvaguardia di questo mestiere e del grande “saper fare” che lo connota: infatti in quasi tutti i comuni aderenti, dal nord al sud, c’è un museo dedicato alla ceramica e in molti una scuola preposta all’insegnamento dell’arte e della tradizione, ma anche delle più moderne tecniche artistiche e produttive in grado di rendere il prodotto ceramico al passo con l’evoluzione della moda e del design e quindi competitivo anche sui mercati internazionali”.

Il settore guarda anche al mercato cinese L’obiettivo più importante di AiCC è, infatti, oggi il consolidamento di una rete a livello europeo che ha preso il via fin dal 2000, dalla nascita progressiva e successiva, per effetto di imitazione e spin-off, di associazioni analoghe in Francia, Spagna e Romania, ed altre sono attualmente in discussione in Ungheria, Germania e Polonia. Dal 2010 ha preso avvio la formazione, ad opera delle quattro associazioni “gemelle”, di una nuova figura giuridica europea, nella forma di un

Gruppo Europeo di Cooperazione Territoriale (GECT) “Agrupacion (Gruppo) Europea delle Città della Ceramica”, con sede in Spagna, presidenza in Francia e direzione in Italia. Da fine 2013 sarà operativo perciò un organismo di coordinamento internazionale, in grado di raccogliere le rappresentanze di tutte le varie associazioni nazionali attualmente aderenti al progetto ed eventualmente quelle che in futuro vorranno aderire, nella forma giuridica più avanzata prevista e promossa oggi nell’ambito dell’UE - sono costituiti in forma di GECT tutte le Regioni Transfrontaliere sempre più diffuse in Europa - in grado di rappresentare la tradizione artigianale ed artistica di almeno 100 città in Europa che faranno parte dell’AEuCC, ma in fondo di tutta la produzione ceramica europea, attuando progetti di respiro continentale e dando voce alle esigenze di tutti i propri stakeholder. “Stiamo dunque cercando di operare su più fronti verso un’unica direzione - conferma Stefano Collina - occorre fare massa critica presso vari soggetti per poter aumentare il peso, la considerazione del settore ceramico. In questi anni abbiamo riscontrato che il lavoro di rivitalizzazione del settore nel quale ci siamo impegnati, ha portato a un proficuo scambio di esperienza e questo ha dato l’opportunità a tanti artigiani di affrontare nuove strade e ha consentito loro di poter oggi affrontare la crisi economica che attraversa ogni settore”. Altre iniziative sono in programma sempre promosse da AiCC. “Abbiamo ideato - dice il Presidente Collina - nuove forme di commercializzazione e promozione, come per esempio le mostre mercato della ceramica che hanno sempre molto successo. Pensiamo per esempio all’evento biennale Argilla di Faenza,

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Tanti esempi di opere d’arte realizzate con l’argilla in alcune località della penisola. Da sinistra: Albisola Superiore; la lavorazione al tornio della ceramica, col solo uso delle mani del torniante. In alto, da sinistra opere esposte nel Museo della ceramica di Ascoli Piceno, a fianco autentici capolavori di Grottaglie e di Montelupo Fiorentino. A destra: uno spazio espositivo del Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza. In alto: un fregio in ceramica.

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La terra che si trasforma in opere d’arte

RES TIPICA & DINTORNI

che vedrà nel 2014 la quarta edizione e che costituisce, con i suoi 200 espositori ed un pubblico di oltre 40.000 persone nell’arco di due giornate, un momento importante per tutto il settore. Questi momenti di incontro permettono anche di allargare gli orizzonti verso mercati fino a ieri impensabili. Per esempio abbiamo di recente stretto una partnership con Jingdezhen, la capitale mondiale della porcellana e riteniamo che questo interscambio ci permetterà di portare il Made in Italy della ceramica artistica anche sul mercato cinese”.

Una legge tutela la ceramica artistica in Italia La legge 188/1990 rappresenta un punto di partenza per sostenere le imprese e i ceramisti che oggi sono il

patrimonio di molte città. Grazie a questa legge la tutela della denominazione di origine delle produzioni di ceramica artistica e tradizionale viene attuata con I’apposizione del marchio CAT (ceramica artistica e tradizionale), in conformità ai disciplinari definiti dai Comitati locali ed approvati dal Consiglio Nazionale Ceramico operante all’interno del Ministero allo Sviluppo Economico. I decori, le forme e la qualità della ceramica sono tutelati attraverso il Consiglio Nazionale Ceramico, i Comitati di disciplinare, le Regioni e gli Enti locali nell’ambito delle rispettive competenze, nonché i Consorzi volontari fra produttori di ceramica artistica e tradizionale delle zone di affermata tradizione. Con la legge 188/90 sono stati anche istituiti il “registro dei produttori di ceramica artistica

e tradizionale” e il “registro dei produttori di ceramica di qualità” destinati alle iscrizioni dei produttori ceramici di Paesi membri dell’unione europea.

Le 34 città italiane aderenti all’AiCC Albisola Superiore, Albissola Marina, Ariano Irpino, Ascoli Piceno, Assemini, Bassano del Grappa, Burgio, Caltagirone, Castellamonte, Castelli, Cava dei Tirreni, Cerreto Sannita, Civita Castellana, Deruta, Este, Faenza, Grottaglie, Gualdo Tadino, Gubbio, Impruneta, Laterza, Lodi, Mondovì, Montelupo Fiorentino, Nove, Oristano, Orvieto, San Lorenzello, Santo Stefano di Camastra, Sciacca, Sesto Fiorentino, Squillace, Urbania, Vietri sul Mare. www.ceramics-online.it

Al centro del vecchio borgo di Vietri sul Mare, in posizione dominante l’intero territorio della Costiera Amalfitana, si colloca il Duomo, con la cinquecentesca cupola maiolicata ed il maestoso campanile.

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L.Rn.


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La scommessa di una piccola Regione

Il Molise ha messo le ALI

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A

ggrega 127 su 136 Comuni della Regione Molise e le due Province, una popolazione di circa 300.000 abitanti; eroga servizi ed assistenza agli enti in ambito ICT, amministrativo, consulenziale, formativo e tecnico; fornisce loro supporto e coordinamento per la partecipazione a bandi e progetti complessi; contribuisce e semplifica il processo di innovazione tecnologica e normativa che interessa

la pubblica amministrazione: è ALI ComuniMolisani, il Centro Servizi Territoriale (CST) della piccola regione adriatica che nello scenario nazionale rappresenta un reale caso di best practice dell’associazionismo comunale. In un contesto generale di riduzione delle risorse economiche e precarietà di risorse umane, il Centro Servizi ha intrapreso azioni concrete volte a favorire il contenimento della spesa soste-

Il castello d’Evoli di Castropignano è un monumento simbolo della cultura e della civiltà della transumanza. Nel riquadro: il complesso sacro del Teatro-Tempio Sannitico di Pietrabbondante costituisce importante testimonianza archeologica dell’antico Sannio. In primo piano: il Presidente della Regione Molise Paolo di Laura Frattura.

nuta dai Comuni attraverso una più efficace gestione delle risorse, prevedendo processi di razionalizzazione ed esercizio di funzioni e servizi in forma associata. “Con i nostri piccoli numeri, solo uniti siamo tutti più forti e efficienti – afferma Paolo di Laura Frattura, che come Presidente della Regione Molise è anche il Presidente di ALI. “Le Alleanze Locali per l’Innovazione - prosegue il governatore Frattura -

rappresentano l’evoluzione dei Centri di Servizio Territoriali e realizzano una cooperazione interistituzionale volta al superamento del divario tecnologico e alla diffusione dei processi di modernizzazione della Pubblica Amministrazione negli Enti locali di piccole dimensioni”. Si tratta di organismi di cooperazione intercomunale, partecipati e controllati dai comuni, con particolare riferimento a quelli sotto i 5 mila abitanti, finalizzati alla gestione associata di sistemi informativi, di infrastrutture tecnologiche e di servizi legati all’ICT, necessari per supportare le attività di back office e l’erogazione dei servizi ai cittadini, alle imprese, al territorio; garantire economie di gestione nell’impiego delle ICT e conseguire un complessivo miglioramento dei processi e delle modalità di cooperazione con le pubbliche amministrazioni che interagiscono con i piccoli comuni. “ALI ComuniMolisani - spiegano inoltre i referenti tecnici - in questi anni si è dotata di ulteriori servizi a favore dei

propri associati per intraprendere un percorso virtuoso e in linea con la normativa nazionale. Un’iniziativa avviata che garantisce agli associati notevoli benefici in termini di risparmio economico, di partecipazione al processo di innovazione ed informatizzazione della PA, di qualificazione del personale operativo nei Comuni, di sostegno ed affiancamento nell’ambito di progetti complessi nonché di adempienza ai nuovi obblighi normativi”. In tal senso ALI non poteva rimanere indifferente al tema della sostenibilità energetica che vede, infatti, l’associazione in prima linea nella campagna europea per la riduzione delle emissioni di CO2 entro il 2020. L’opera di sensibilizzazione alla partecipazione al progetto “Covenant of Mayors” (Patto dei Sindaci), nonché l’attività di sostegno ai Comuni molisani per la presentazione delle candidature a Bruxelles per la concessione di finanziamenti destinati ad interventi in campo energeticoambientale, ha conferito ad ALI il rico-

noscimento europeo di Coordinatore ufficiale del Patto dei Sindaci. ALI fornisce, infatti, ai partecipanti assistenza tecnico-amministrativa, risorse finanziarie per affrontare i costi progettuali nonché la totale gestione dei rapporti e delle comunicazioni con gli uffici di Bruxelles e l’intermediazione con le istituzioni locali. “Questa valida intuizione - riconosce il Presidente Paolo Frattura - si innesta nelle politiche per l’efficienza energetica e le energie rinnovabili messe in campo dalla Regione Molise e dal POR FESR 20072013, strumento programmatico che ha permesso la progettazione e realizzazione dei PAES (Piani di azione per l’energia sostenibile) per ogni singolo ente molisano sottoscrittore del Patto dei Sindaci, ponendo al contempo le basi per qualificare l’intero territorio come “pratica eccellente”, in virtù della potenziale partecipazione all’iniziativa di tutti i Comuni del territorio e assumendo lo status di Regione certificata tra le prime in Europa”.

Due aspetti del territorio di Termoli. Tra scorci di mare, si intravede l’affascinante Borgo Antico. Arroccato su un promontorio delimitato da antiche mura a strapiombo sul mare Adriatico, risale al V secolo. A destra: Il trabucco, antichissimo strumento di pesca, sotto le mura di cinta. In alto: il Santuario della Madonna del Canneto nel Comune di Roccavivara.

COVENANT OF MAYORS

COVENANT OF MAYORS

Continua il viaggio di Energeo magazine tra le strutture di supporto e i coordinatori ufficiali del Patto dei sindaci per tastare il polso alle attività svolte localmente nell’ambito del progetto “Covenant of Mayors” (Patto dei Sindaci), nonché all’attività di sostegno per la presentazione delle candidature a Bruxelles per la concessione di finanziamenti destinati ad interventi in campo energetico-ambientale. L’associazione dei Comuni molisani, che si indentifica nell’acronimo Ali (Alleanze locali per l’innovazione), rappresenta un valido modello di aggregazione finalizzata alla gestione associata di sistemi informativi, infrastrutture tecnologiche e servizi legati all’Ict (Information Communication Technology), necessari per apportare miglioramenti alle attività di back office e all’erogazione dei servizi ai cittadini, alle imprese, al territorio e di suggerire economie di gestione nell’impiego delle ICT per un miglioramento complessivo dei processi e delle modalità di cooperazione con i piccoli comuni.

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Per facilitare le necessarie operazioni di raccolta dei dati relativi ai consumi energetici e di censimento degli edifici di proprietà comunale potenzialmente oggetto di interventi di riqualificazione energetica, la Regione ha, inoltre, destinato fondi FESR alla formazione di uno staff di consulenti a supporto dei Comuni che, direttamente in loco per il tramite di ALI e, per quanto di competenza, dall’Amministrazione Provinciale di Isernia, affiancano il personale degli enti partecipanti al progetto. Sempre su iniziativa regionale, 14,8 milioni di euro, fondi FESR - Asse II Energia, sono stati destinati all’efficientamento energetico degli edifici pubblici ed alla riduzione dei consumi attraverso un bando rivolto ai Comuni del territorio, mentre, ulteriori fondi FESR sono impiegati nell’ambito della progetta-

zione integrata territoriale per attività energetiche. Le opere ammesse al finanziamento partecipano al quadro degli interventi previsti nei PAES. Gli obiettivi strategici cui puntano i PAES realizzati da ALI riguardano, infatti, la promozione di investimenti nell’ambito delle fonti rinnovabili; l’efficienza energetica degli edifici pubblici e delle scuole; sistemi di cogenerazione, efficientamento energetico dell’illuminazione pubblica; mobilità sostenibile; la diffusione e l’educazione a comportamenti, singoli e collettivi, ecocompatibili ed ecosostenibili; la promozione e diffusione della raccolta differenziata. L’impegno di ALI e della Regione Molise in ambito ambientale ed energetico, inoltre, si è esteso all’ambizioso progetto di un “portale georeferenziale” che fotografa l’intero territorio in termini di immobili comunali, consumi energetici, cartografie catastali

ed impianti di pubblica illuminazione con l’intento di realizzare un database unico e dinamico a disposizione sia dell’ente regionale, come strumento di verifica e controllo dei consumi energetici del territorio e monitoraggio dei relativi investimenti, sia al servizio dei cittadini come strumento di trasparenza di dati tecnici, trend di consumi ed interventi in essere realizzati dalla pubblica amministrazione. ALI ha, dunque, adottato il modello virtuoso dell’associazionismo sperimentato in campo energetico-ambientale su tutti gli altri fronti di interesse comunale, basti citare la costituzione del Suap associato, che consente ai Comuni partecipanti l’adeguamento agli obblighi normativi in materia di sportello unico per le attività produttive; le gare di acquisti centralizzati, mediante le quali gli enti ottengono una riduzione dei prezzi di mercato dei beni di consumo

abituali, nonché la semplificazione delle stesse procedure di acquisto, la costituzione della centrale di committenza comunale; l’approvvigionamento e l’assistenza relativa agli strumenti tecnologici divenuti obbligatori nella pubblica ammnistrazione quali la firma digitale, la posta elettronica certificata, i siti web; l’assolvimento agli obblighi di trasparenza e pubblicazione online cui sono sottoposti gli enti, nonché gli incontri e le sessioni formative dedicate alle materie di competenza comunale. Il modello virtuoso che una piccola associazione come ALI ha saputo avanzare e realizzare sul territorio molisano appare oggi la sola risposta possibile ai processi di riduzione, revisione, taglio della spesa pubblica e “spending review” che inevitabilmente entrano e diventano imperativi anche nei piccoli e piccolissimi Comuni. R. En.

Dal 1866 sempre I CANTORI DEI LUOGHI

COVENANT OF MAYORS

Il Molise ha messo le ALI

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Il lago di Castel San Vincenzo, un invaso artificiale realizzato sul finire degli anni cinquanta per scopi idroelettrici. A destra: immagini di uno dei più importanti siti archeologici del centro sud d’Italia, zona archeologica di Altilia - Saepinum, Comune di Sepino.

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Il Consorzio per lo sviluppo delle aree Geotermiche avrà il delicato compito di organizzare una RETE nazionale dedicata alle “terre dal cuore caldo”, un progetto di grandissimo interesse ed alto valore scientifico, finalizzato alla promozione e valorizzazione di questi territori, importanti per riconoscere le tappe evolutive della storia del nostro pianeta

Co.Svi.G.,

un alleato affidabile

Il prossimo 9 ottobre, a Roma, nella sala conferenze dell’ANCI, in via dei Prefetti, avrà luogo la presentazione della bella iniziativa promossa dalla Fondazione Spadolini Nuova Antologia, in sinergia con la Fondazione Casa natale Enzo Ferrari e la Fondazione Guglielmo Marconi, in collaborazione con Res Tipica ANCI. Fra i protagonisti di primo piano il Co.SviG. La posta in gioco è alta: si tratta per riscoprire, monitorare e promuovere azioni di tutela e di salvaguardia del patrimonio ambientale, culturale, archeologico, storico, urbanistico, architettonico del nostro Paese.

SINERGIE

C

i sarà anche il Co.Svi.G., alla presentazione ufficiale del programma dell’evento che impegnerà, per il 2014, un autentico esercito di tutte le forze vive della cultura e della società per riscoprire, monitorare e promuovere azioni di tutela e di salvaguardia del patrimonio ambientale, culturale, archeologico, storico, urbanistico, architettonico del nostro Paese. Il Consorzio è stato chiamato a rappresentare i territori della Regione Toscana, nella sala conferenze dell’ANCI, in via dei Prefetti, il prossimo 9 ottobre, a Roma. L’iniziativa è stata promossa dalla Fondazione Spadolini Nuova Antologia, in sinergia con la Fondazione Casa natale Enzo Ferrari e la Fondazione Guglielmo Marconi, in collaborazione con Res Tipica ANCI, all’inizio del count down della cerimonia di conferimento della Medaglia Spadolini che avverrà a Modena il 9 novembre prossimo. Siamo alla vigilia del quarantesimo anniversario dell’istituzione del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, creato da Giovanni Spadolini, nonchè del ventennale della morte dello statista fiorentino. Al Co.Svi.G. toccherà organizzare una

RETE nazionale dedicata alle “terre dal cuore caldo”, un progetto di grandissimo interesse ed alto valore scientifico, per la promozione e la valorizzazione di questi territori, da utilizzare per riconoscere le tappe evolutive della storia del nostro pianeta “scritte nelle sue profondità e sulla sua superficie, nelle rocce e nel paesaggio” (Dichiarazione Internazionale della Memoria della Terra, 1991). In questo contesto diventa importante chiedersi come in questi anni i territori di origine vulcanica (e

non solo) hanno comunicato l’aspetto “soltanto diverso”, quali sono le pratiche di comunicazione maggiormente diffuse nella comunità scientifica, quali i valori sociali e culturali di riferimento, quali i modelli di comunicazione. I territori di origine vulcanica, come il comprensorio geotermico della Toscana, vogliono esaltare tutte le aree con queste peculiarità, vulcani estinti la cui ultima eruzione risale a oltre 10 mila anni fa (Salina, Amiata, Vulsini, Cimini, Colli Euganei, Vico, Sabatini, Isole Pon-

tine, Roccamonfina e Vulture, ecc.), vulcani quescienti (Colli Albani, Campi Flegrei, Ischia, Vesuvio, Lipari, Vulcano, Panarea, Isola Ferdinandea e Pantelleria). Infine i vulcani attivi, Etna e Stromboli, che eruttano frequentemente e che, per le condizioni di attività a condotto aperto, presentano una pericolosità ridotta. L’iniziativa sarà estesa ai territori in cui si manifestano fenomeni di natura geotermica o di emissioni di altri gas allo stato secco, provenienti dal suolo, ed ai luoghi dove sono presenti sorgenti di acqua calda di origine profonda, che sgorga a temperatura che può anche raggiungere 100 °C , poste in relazione con i feno-

e ambientale da tutelare”. Il progetto, che rientra in un ciclo di iniziative speciali per ricordare Giovanni Spadolini, non è diretto ad esperti, ma alla gente comune ed alle scuole. Hanno dato la loro disponibilità ad aderire al progetto il Parco dell’Etna, l’area naturale protetta della Regione Siciliana che comprende il vulcano di recente riconosciuto patrimonio dell’UNESCO, e il Parco del Vesuvio, “pronti a collaborare”- come hanno indicato i due autorevoli rappresentanti, prof. Ugo Leone, presidente del Parco e Giuseppe Luongo, vulcanologo di chiara fama e professore emerito di geofisica della Terra solida, già presidente dell’Osservatorio Vesuviano. Grande interesse ha suscitato l’iniziativa del Co.SVI.G. tra i responsabili dei parchi dei Colli Euganei e dell’Ente Parco naturale Regionale Castelli Romani. Hanno, altresì, comunicato la loro adesione Alice Freschi, sindaco di Borgosesia, nel cui territorio è stato scoperto un “supervulcano fossile”, entrato nella rete europea dei geoparchi sotto l’egida dell’UNESCO. Tra gli altri hanno manifestato un grande interesse il vice sindaco di Rionero in Vulture Vito d’Angelo, località della Basilicata dov’è situato il vulcano spento del Vulture; il sindaco di Catania Enzo Bianco; i sindaci Italo Lullo di Oliveto Citra (Mofete), di Vinadio (Angelo Giverso) e di

meni postumi del vulcanismo. Questi luoghi, per la loro natura, riescono più di altre aree a coniugare la tutela dell’ambiente con la valorizzazione del paesaggio, investendo nello sviluppo sostenibile. “Il dialogo con gli altri territori rientra tra le prerogative dell’attività del Consorzio - spiega Sergio Chiacchella, direttore generale del Co.Svi.G.- contemporaneamente avvieremo un restyling completo del nostro portale web, proprio per favorire queste iniziative di dialogo”. “Ci affiancherà in questo lavoro - precisa Chiacchella - il periodico Energeo Magazine (www. energeomagazine.com), che ha già avviato un ricerca sui cosiddetti territori dal “cuore caldo”, fornendo una chiave di lettura del territorio, dagli aspetti geografici e paesistici, agli aspetti geologici e ambientali, e i cosiddetti effetti speciali creati dalla terra attraverso l’acqua, l’aria e il fuoco. Gli esperti delle Scienze della terra che collaborano con il periodico e i tecnici del distretto delle Energie Rinnovabili (www.disrettoenergierinnovabili.it), ci aiuteranno ad imparare a conoscere ciò che ci circonda, per avvicinarci alle esigenze del territorio, inteso come bene culturale

Valdieri (Emanuel Parracole), territori caldi con risorse utilizzate per cure termali sulle Alpi Marittime. Sono attese le indicazioni del Comune di Acqui Terme e di altri Comuni termali. Il progetto si aggiunge all’iniziativa della prima comunità del cibo ad energie rinnovabili a livello mondiale, voluta da Slow Food e battezzata dal presidente Carlo Petrini al salone del gusto di Torino come un esempio di eccellenza, frutto di un’intesa tra Slow Food Toscana, Fondazione Slow Food per la Biodiversità e Co.Svi.G. (Consorzio per lo sviluppo delle aree geotermiche), che ha raggiunto l’obiettivo di dare vita ad una iniziativa assolutamente nuova, individuando soluzioni appropriate per la produzione agro-alimentare con sistemi innovativi per il risparmio energetico e la tutela dell’ambiente, puntando sulle produzioni caratterizzate dalla tecnologia di processo. Nella zona si è realizzato un laboratorio a cielo aperto, che è diventato sede didattica dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo.

SINERGIE

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P. B.

All’interno dell’Università di Pollenzo, gli studenti hanno modo di partecipare a laboratori didattici, una nuova forma di didattica esperienziale che permette ai futuri “gastronomi” di imparare sul campo seguendo le filiere produttive, come quella dell’azienda agricola Podere Paterno di Monterotondo Marittimo e del panificio Martini di Pomarance.

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Autobrennero, l’arteria

SCHEGGE DI FUTURO

dell’arte e della cultura

Al confine con l’Austria, là dove una volta c’era la dogana, punto di’ingresso nel nostro Paese, ora c’è il Plessi Museum, impreziosito dalla mano di Fabrizio Plessi, artista veneziano, che ha già esposto nei più prestigiosi musei del mondo, dal Pompidou al Guggenheim. “Il Passo del Brennero - spiega Walter Pardatscher Amministratore Delegato dell’Autostrada del Brennero SpA - ha sempre rappresentato, dentro la storia dell’Europa, un luogo dal forte valore simbolico ed identitario. Per questo motivo, la riqualificazione dell’area dell’ex-dogana - smantellata dopo l’entrata in vigore degli Accordi di Schengen - doveva necessariamente essere anche l’occasione per dare nuovo valore a questi spazi”. E lungo l’arteria? C’è un autentico Distretto culturale che riguarda il Trentino e l’Alto Adige. Il MUSE, ad esempio, inaugurato di recente, realizzato dal neo senatore Renzo Piano, il MART (Museo di Arte Contemporanea di Trento e Rovereto), inaugurato nel 2002. A Bolzano, nel Museo Archeologico dell’Alto Adige, Ötzi, l’uomo venuto dal ghiaccio, ed il suo equipaggiamento, rappresentano il fulcro dell’esposizione.

N

ei racconti del parroco Hugo Senoner, il Brennero di una volta, prima che vi venisse tracciato il confine nel 1918, era conosciuto come luogo di cura nelle moderne Terme e di commercio. Qui, al confine tra Italia e Austria, siamo davvero al centro dell’Europa. Il luogo, il più basso e più attraversato passaggio alpino del continente, dove fiorivano il commercio e le entrate doganali, acquisisce il suo fascino tramite la presenza delle vecchie costruzioni architettoniche, il paesaggio di confine e l’irresistibile carattere di collegamento tra nord e sud, strada di transito in continuo mutamento, segnato dalle vicende di spalloni affaticati dopo l’ultima nottata di traffici e finanzieri troppo severi. Ora questo paese, luogo di importanza internazionale, spartiacque ma anche ponte di collegamento tra la cultura del Nord e quella del Sud, tra il mondo degli spaghetti e quello dei canederli, potrebbe diventare, con l’apertura del Plessi Museum il punto di

Schengen - doveva necessariamente essere anche l’occasione per dare nuovo valore a questi spazi. E la collocazione di un museo con le opere di Fabrizio Plessi - autore che ha mirabilmente interpretato il dialogo tra la ricerca tecnologica e le preesistenze naturali - ne è stata la reale concretizzazione. Abbiamo voluto trasformare una linea di separazione in un luogo d’incontro e di piacere: il piccolo contribuito che l’A22 ha voluto offrire per la riconfigurazione di uno spazio geografico denso di significati come quello del Passo del Brennero”. “ Il “museo”è stato disegnato - dall’ingegner Carlo Costa, direttore tecnico generale di A22 come uno scrigno di vetro, sormontato da una leggera copertura”.

Ma perché tanta inventiva? Mai vista tanta inventiva lungo un’arteria autostradale: una scelta che riesce a coniugare il viaggio con la cultura e l’arte, ma anche l’identità culturale e la memoria dei luoghi. Vediamo come. L’interno del Plessi Museum è impreziosito dalla mano di Fabrizio Plessi, artista veneziano, di origine emiliana, che ha già esposto nei più prestigiosi musei del mondo, dal Pompidou al Guggenheim. “L’idea era nata proprio da un’opera di Plessi, presentata nel 2000 all’Expo di Hannover - ricorda ingegner Carlo Costa, direttore tecnico generale di A22 -: una scultura dedicata all’Euregio che unisce tre composizioni rappresentanti le Province di Trento, Bolzano e Innsbruck. In quest’opera Plessi ha concepito un paesaggio montano artificiale, un ambiente alpestre da attraversare e da vivere tecnologicamente dall’interno. Attorno a quest’opera è stato disegnato lo scrigno, arredato dallo stesso Plessi secondo la stessa filosofia”. Il luogo si presenta come uno spazio armonico, fruibile con molti livelli di lettura: da quello ingenuo dei viaggiatori distratti, a quello più avveduto che caratterizza gli amanti dell’arte o dei dettagli esteticamente raffinati. Certo, per un’autostrada la proposta è assolutamente originale: l’ambiente diventa assolutamente unico, in grado di far riflettere sulla natura circostante ma anche sulla storia che quel luogo rappresenta. Oltre ad un punto ristoro, ci sarà anche una sala conferenze, con mobili e oggetti di arredo realizzati su disegno dell’artista Fabrizio Plessi, per accogliere meeting e incontri transfrontalieri. Un’autostrada che inizia con una proposta culturale innovativa, che rappresenta il primo esempio italiano di spazio museale in un’arteria di grande traffico e scambi internazionali, simbolo di connessione tra il mondo mediterraneo e quello mitteleuropeo, laddove, dalla fine della prima guerra mondiale all’entrata in vigore del trattato di Schengen (1 gennaio 1995), il confine aveva rivestito invece un ruolo di separazione tra il mondo latino e quello germanico, non può non avere un terminal più prestigioso che, per giunta, porta il nome del mitico Enzo Ferrari.

Occorre un gesto coraggioso e proiettato nel futuro partenza di un progetto internazionale: un “corridoio 1” molto speciale, di sicuro il primo in Europa dedicato all’arte e alla cultura.

L’iniziativa è decollata nei mesi scorsi, a pochi passi dal confine, alla Dogana del Brennero, dove l’Autobrennero tracciò il tratto iniziale della sua rotta

L’autobrennero, uno degli assi principali della rete autostradale italiana. L’arteria, lunga 314 chilometri, da Modena a Brennero, collega la pianura padana con l’Austria e la Germania e diventa oggi un luogo-simbolo di cultura e di dialogo fra popoli diversi.

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che va fino a Modena, dove si collega con l’Autostrada del Sole. Si tratta di uno degli assi principali della rete autostradale italiana: l’arteria, lunga 314 chilometri, da Modena a Brennero, collega la pianura padana con l’Austria e la Germania e diventa oggi un luogosimbolo del dialogo fra popoli diversi, nonché di cultura. Al di là della struttura in sé - comunque un gioiellino di architettura e ingegneria - il progetto ha molteplici significati. Il primo è quello della collocazione logistica: l’areale che un tempo era occupato dalla dogana. Luogo di scambio, di incontro, ma anche di divisione, di separazione, di frattura. “Il Passo del Brennero - spiega Walter Pardatscher Amministratore Delegato dell’Autostrada del Brennero SpA - ha sempre rappresentato, dentro la storia dell’Europa, un luogo dal forte

SCHEGGE DI FUTURO

L’idea è quella di far dialogare tutte le strutture museali collocate lungo l’arteria autostradale che collega la pianura padana con l’Austria e la Germania, dal Brennero a Modena, e metterle in RETE, come esempio di best practice nella valorizzazione del territorio attraverso l’arte e la cultura, utilizzando le strutture già affermate sulla scena internazionale

valore simbolico ed identitario. Per questo motivo, la riqualificazione dell’area dell’ex-dogana - smantellata dopo l’entrata in vigore degli Accordi di

Si scopre questo luogo magico subito dopo l’uscita al casello di Modena e ci si ritrova nell’avveniristico Museo Casa natale di Enzo Ferrari, l’imponente opera di architettura contemporanea, che porta la firma dello studio Future Systems di Londra, di cui era titolare il grande architetto Jan Kaplicky, recentemente scomparso. Spazio polivalente, elegante, unico e prestigioso; luogo magico, esclusivo, avvolgente, avveniristico, pieno di identità, e al tempo stesso innova-

A sinistra: Walter Pardatscher, Amministratore Delegato dell’arteria che presto potrebbe denominarsi il “corridoio 1” della cultura e dell’arte.

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SCHEGGE DI FUTURO

Autobrennero, l’arteria dell’arte e della cultura

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tivo, dalla forma di “contenitore”, di scocca dinamica e protettiva che avvolge “un’anima“ articolata e complessa, il motore. Uno spazio realizzato dopo il restauro della casa in cui Enzo Ferrari nacque a Modena nel 1898, che ha conservato intatti nel tempo sia il corpo abitativo che quello di officina, con la costruzione di un nuovo edificio dal design automobilistico, l’ormai famoso “cofano” in alluminio giallo, colore simbolo della città di Modena e colore scelto da Enzo Ferrari come sfondo del Cavallino, il marchio dell’azienda che porta il suo nome, noto in tutto il mondo. E’ una struttura in cui organizzare convegni ed eventi culturali, che appare come un sipario in cui si affaccia l’insolita ribalta dove si può parlare di futuro. Da questo luogo ripartirà il Premio Eco and the City Giovanni Spadolini, un’iniziativa di successo che, nelle passate edizioni, ha saputo rappresentare e valorizzare l’Italia

migliore, quella delle identità locali e dello sviluppo sostenibile. Il nostro giornale, dopo una disanima delle particolari peculiarità del territorio, già vocato al turismo e ricco di fermenti culturali, si fa portavoce di una proposta affascinante: far dialogare tutte le strutture museali collocate lungo l’arteria autostradale e metterle in RETE, come esempio di best practice nella valorizzazione del territorio attraverso l’arte e la cultura, utilizzando le strutture già affermate sulla scena internazionale, dando grande visibilità, così, sia al territorio trentino (in particolare all’asse Rovereto-Trento), sia all’Alto Adige, con il Museo Archeologico dove è esposto l’Uomo venuto dal ghiaccio. Il ruolo fondamentale dei musei (in particolare MUSE e MART) è quello di propagare energia ed innovazione in un contesto territoriale che moltiplica continuamente la propria offerta culturale e fa di essa un fattore di rinnovamento e di sviluppo del territorio, anche dal punto di vista turistico e di condivisione del paesaggio, svolgendo importanti funzioni di interesse generale, sul piano culturale, ecologico, ambientale e sociale, dando una spinta anche all’attività economica. L’iniziativa si potrebbe inserire, a pieno titolo, nel programma avviato dalla Fondazione Spadolini Nuova Antologia e da Energeo Magazine, alla vigilia del 40° Anniversario di fondazione del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali. Occorrerà ancora un gesto coraggioso e proiettato nel futuro da parte dell’Autostrada? Il direttore generale del Museo Casa natale Enzo Ferrari, Adriana Zini accoglie la proposta con un sorriso. Dice: “Parliamone”.

In alto: l’interno del Plessi MUSEUM, costruito là dove una volta c’era la dogana, è impreziosito dalla mano di Fabrizio Plessi, artista veneziano, di origine emiliana, che ha già esposto nei più prestigiosi musei del mondo, dal Pompidou al Guggenheim. In alto: ingegner Carlo Costa, direttore tecnico generale di A22. Il Museo Enzo Ferrari MEF, dove si racconta la straordinaria vita del Drake, potrebbe diventare il terminal di un progetto ambizioso, denominato “corridoio 1” dell’arte e della cultura. Attualmente è in corso l’irripetibile mostra “GRAND PRIX - Le monoposto del Campionato di Formula 1”, dedicata alle vetture da leggenda del Campionato Mondiale di Formula Uno dal 1950 al 1994.


Quattro realtà che potrebbero viaggiare insieme

Cultura in movimento,

un’autostrada che diventa comunicazione ed alleanza

SCHEGGE DI FUTURO

La Fondazione Spadolini Nuova Antologia, alla vigilia delle celebrazioni del quarantesimo Anniversario della fondazione del Ministero per i Beni Culturali e ambientali, apre il dibattito. Il progetto “Le strade della Cultura” che aprirà tanti itinerari culturali lungo la penisola, decollerà proprio dal Brennero, al confine dove è stato installato il Plessi MUSEUM, anticipando quello che potrebbe denominarsi il “corridoio 1” della cultura e dell’arte, che dovrà unire l’Europa al sud dell’Italia.

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Bolzano, il fascino del passato Il Museo Archeologico dell’Alto Adige è stato aperto al pubblico il 28 marzo 1998, da allora è stato visitato da oltre di due milioni di persone. La celebre mummia del Similaun, l’Uomo venuto dal ghiaccio, divenuta una mostra con un allestimento permanente, rimane ancora la principale meta di molti turisti in visita nella città di Bolzano. Il percorso espositivo all’interno del Museo, che sarà presto dotato di un nuovo allestimento a misura di visitatore, riguarda tutta l’archeologia della Provincia di Bolzano, ed illustra nel dettaglio ogni aspetto dell’Uomo venuto dal ghiaccio. Il profilo medico e antropologico, così come i caratteri e il significato del magnifico corredo di indumenti e di attrezzi che aveva con sé al momento della morte, sono resi comprensibili al pubblico mediante una ricca esposizione composta di reperti, testi didattici, postazioni video e multimediali. Le più sofisticate tecniche di indagine al servizio della scienza medica ci offrono un quadro antropologico più che soddisfacente. L’Uomo venuto dal ghiaccio era un Folla delle grande occasioni, in questi giorni in fila per apprezzare la nuova struttura architettonica realizzata dallo Studio Renzo Piano Building Workshop, nonché i risultati del lavoro di ricerca e divulgazione scientifica dei mediatori culturali del museo e del direttore Michele Lanzinger. Nella foto piccola in basso, il neo senatore a vita Renzo Piano si commuove di fronte al foltissimo pubblico, il giorno dell’inaugurazione della sua nuova creatura, incastonata tra i monti del Trentino. In alto: una veduta esterna del Mart di Rovereto. A destra: l’uomo venuto dal ghiaccio esposto al Museo Archeologico dell’Alto Adige.

Anno VI - luglio/agosto 2013

maschio adulto, alto circa 160 cm, che al momento della morte doveva avere all’incirca 46 anni. Un’età ragguardevole, in un’epoca (3300 - 3100 a.C.) in cui l’aspettativa di vita media non era superiore ai 30 - 35 anni. Dal 22 gennaio 2013 è in corso la rassegna “MysteriX. Reperti enigmatici dell’Alto Adige”. E’ la prima mostra per famiglie a livello provinciale, specificamente ideata per bambini accompagnati da adulti; resterà aperta fino al 19 gennaio 2014. Sette reperti archeologici unici, dalla preistoria all’epoca romana, pongono la ricerca di fronte a un enigma: come venivano utilizzati? Cosa significano? Nella nuova mostra temporanea del Museo Archeologico dell’Alto Adige, adulti e bambini vestono i panni degli scienziati sperimentando strumenti e metodi dell’archeologia.

I grandi numeri del MUSE, Museo delle Scienze di Trento È stata una partenza esplosiva quella del MUSE, il Museo delle Scienze di Trento che - a un mese esatto dall’inaugurazione - ha raggiunto i 56.765 visitatori. Numeri di un’affluenza che, sommata ai 28.000 presenti della no stop di inaugurazione tenutasi il 27 e 28 luglio, arriva a 84.765 persone, in questi giorni in fila per apprezzare la nuova struttura architettonica e i contenuti sviluppati dallo Studio Renzo Piano Building Workshop e dal lavoro di ricerca e divulgazione scientifica dei mediatori culturali del museo e del direttore Michele Lanzinger. Le cifre superano le aspettative più rosee, con una media di 2.365 persone al giorno e un picco raggiunto domenica 25 agosto con 3.087 accessi. Lungo l’asse dell’Autobrennero, la cultura continua a far gola. A una prima indagine, i visitatori risultano provenire per

l’80% da fuori provincia, principalmente da Veneto, Lombardia, Emilia Romagna e Lazio, anche se non mancano i trentini e stranieri. Tra le tipologie di biglietti emessi, spicca l’opzione famiglia che conferma il richiamo del museo su bambini e ragazzi che non mancano mai di appassionarsi alla sperimentazione, alla tecnologia e alla natura. Ora, a partire dal mese di settembre, sarà la volta delle scuole, per le quali il MUSE e le sedi territoriali hanno ideato contenuti e proposte ad hoc, più di 100 tra laboratori e pacchetti didattici in grado di soddisfare le esigenze delle fasce primarie, secondarie e dell’infanzia. A fianco del museo “reale”, il MUSE offre un ampio ventaglio di proposte “virtuali”, con una ricca attività social media dai numeri altrettanto “incoraggianti”: 15.000 gli amici che frequentano la pagina Facebook del MUSE, 4.000 le visualizzazioni dei video sulla pagina YouTube, una media di più di 4.000 visite giornaliere al sito www.muse.it, e una newsletter che raggiunge quasi 7mila contatti. Grande soddisfazione viene espressa dal direttore Michele Lanzinger: “questi numeri sono assolutamente incoraggianti. Tuttavia non si tratta solo di considerare il dato quantitativo. Abbiamo avviato una ricognizione sistematica della soddisfazione della visita che ci fa intravvedere quanto i nostri visitatori - sia chi è già in Trentino per le vacanze estive che chi si è messo appositamente in viaggio per visitarci - abbiano apprezzato lo stile espositivo del MUSE. Stiamo osservando come il nostro pubblico percepisca la visita al museo come una sorta di esplorazione, un viaggio di scoperta. Un’esperienza di interazione con gli apparati espositivi e di conversazione sui temi del museo con gli amici o i famigliari con i quali sta visitando la struttura. Per questo motivo, gli aspetti maggiormente apprezzati sono l’interattività dei nuovi exhibit scientifici, gli animali tassidermizzati posti fuori dalle vetrine e quasi a portata di mano e infine l’edificio e il design delle esposizioni disegnati da Renzo Piano”.

SCHEGGE DI FUTURO

Anno VI - luglio/agosto 2013

Il Mart è diventato un centro espositivo di rilievo europeo, un punto di ascolto e dialogo per il territorio circostante, un interlocutore dei maggiori musei internazionali e una macchina che produce stimoli continui rivolti al pubblico, agli artisti, ai collezionisti, alle imprese e alle comunità locali.

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Anno VI - luglio/agosto 2013

Cultura in movimento, un’autostrada che diventa comunicazione ed alleanza

SCHEGGE DI FUTURO

Il Mart di Rovereto, autentico polo culturale di rilevanza internazionale Oltre due milioni e duecentomila persone hanno visitato il Mart dal 2002 ad oggi. Il Mart, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto, è uno dei più importanti musei italiani. Nato nel 1987 come ente funzionale della Provincia autonoma di Trento, il Mart opera oggi in tre luoghi distinti: la sede principale del Museo e la Casa d’Arte Futurista Depero, situate entrambe a Rovereto, e la Galleria Civica di Trento. Quest’ultima sede, entrata a far parte del Mart dall’anno in corso, inaugurerà il prossimo 19 ottobre negli spazi storici della Galleria, nel centro della città. La sede principale del Mart è un ampio complesso architettonico inaugurato nel 2002 su progetto di Mario Botta e Giulio Andreolli. Concepito con l’idea di “polo culturale” più che museo tradizionale, il Mart nei suoi spazi pubblici dialoga con la Biblioteca Civica, con un grande auditorium e con una caffetteria. Oltre a produrre mostre, eventi e laboratori, ospita artisti, curatori, aziende, eventi internazionali, locali e cittadini proponendosi come meta accogliente e accessibile. Dopo dieci anni in cui il Museo ha sviluppato il proprio patrimonio e si è posizionato a livello internazionale costruendo un sistema di alleanze, la nuova direzione di Cristiana Collu, a partire dal 2012, ha collocato il Museo sui fronti strategici dell’innovazione, della sostenibilità e della partecipazione. Il Mart è diventato un centro espositivo di rilievo europeo, un punto di ascolto e dialogo per il territorio circostante, un interlocutore dei maggiori musei internazionali e una macchina che produce stimoli continui rivolti al pubblico, agli artisti, ai collezionisti, alle imprese e alle comunità locali. Il progetto che oggi incarna la visione del Mart e che ne prefigura i successivi sviluppi è “La magnifica ossessione”: un chilometro vertiginoso al secondo piano del Museo, scandito da quasi 3000 opere provenienti dalle collezioni museali e da interventi di artisti italiani e internazionali che si alternano a concerti, presentazioni di libri, video, documenti d’archivio, laboratori didattici.“La magnifica ossessione” (visitabile fino al 2 febbraio 2014), è uno spartiacque decisivo nella

vita del Mart: segna la decisione di rendere accessibile il proprio patrimonio secondo criteri inclusivi e innovativi.

A Modena il Museo Casa natale Enzo Ferrari racconta la storia di un mito La straordinaria vita di Enzo Ferrari, che nacque nel 1898, è raccontata ai visitatori attraverso un secolo di storia, all’interno della sua Casa natale, con filmati originali, suggestivi testi di Leo Turrini, preziosi oggetti e memorabilia, come i suoi famosi occhiali scuri. Una stanza racconta la storia e l’evoluzione del marchio del Cavallino ed una è dedicata al famoso inchiostro viola utilizzato dal Commendatore. L’allestimento comprende anche l’austero e rigoroso ufficio che il Drake aveva in fabbrica a Maranello. Il percorso consente ai visitatori di scoprire il carattere di un uomo che affermava: “il futuro è nelle mani di chi lo sa anticipare” e “la macchina più bella che ho costruito sarà la prossima”. Al MEF è in corso l’irripetibile mostra “GRAND PRIX - Le monoposto del Campionato di Formula 1”, dedicata alle vetture da leggenda del Campionato Mondiale di Formula Uno dal 1950 al 1994 e realizzata grazie al contributo delle più prestigiose case automobilistiche e alla collaborazione con Jonathan Giacobazzi, titolare della Collezione Donelli Vini. Nella struttura espositiva è possibile visitare anche la mostra collaterale “Cars & Comics - L’auto interpretata dai grandi autori del fumetto”, che coniuga il mondo delle quattro ruote con quello della “letteratura disegnata”, in grado di soddisfare sia le aspettative degli appassionati che dei bambini i quali ritroveranno le tavole originali dei loro personaggi preferiti. Inchiesta a cura della redazione di Energeo Magazine Hanno collaborato Chiara Veronesi, Luca Melchionna, Maja Argenziano

Uno spazio espositivo all’interno del Mart. Al Museo Enzo Ferrari è possibile visitare anche la mostra collaterale “Cars & Comics”, l’auto interpretata dai grandi autori del fumetto, che coniuga il mondo delle quattro ruote con quello della “letteratura disegnata”. Un particolare della struttura architettonica.

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