SIAMO PRESENTI A
Tecnologie Riabilitative n. 2 settembre 2014
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EDITORIALE
Un autunno ricco di sfide, tutte da vincere Maria Giulia Mazzoni
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ATTUALITÀ
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L’OPINIONE DI
Progresso tecnologico, quante opportunità in ambito riabilitativo Vincenzo Maria Saraceni
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IL PUNTO DI
Il nomenclatore, la revisione non può (più) attendere Michele Clementi
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IL PROTAGONISTA
Strumenti di valutazione, garanzia di efficacia del progetto riabilitativo Giuseppe Buonanno
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RICERCA E INNOVAZIONE
Ricerca e innovazione in protesi, ausili e ortesi ISPO presenta alcuni progetti di ricerca Maria Grazia Benedetti
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Addio alle carrozzine “a postura unica” Modificare l’assetto per migliorare la qualità della vita Gianluca Cauteruccio
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L’ORTOPEDIA DEL MESE
Orthomedica-Variolo: l’unione fa la forza Le due aziende si uniscono in una stretta sinergia Massimo Pulin
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BUSINESS SOLUTION
Il guanto GLOREHA dà una mano alla riabilitazione post-ictus E il trattamento può continuare a casa Franco Molteni
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8 Tecnologie Riabilitative n. 2 settembre 2014
indice 36 46
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ASSISTENZA E AUSILI
Il terapista occupazionale, promotore di benessere Il profilo e le potenzialità del professionista Francesco Della Gatta
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Ausili e disabilità plurima alla ricerca di soluzioni L’esperienza dell’Istituto Serafico di Assisi Marina Menna
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L’assistenza riabilitativa ospedaliera ed extraospedaliera in Italia Antonino Salvia, Angelo Rossini
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Il Nomenclatore tariffario di protesi e ausili Che la tanto attesa revisione non si trasformi in crudele beffa Maria Teresa Agati
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Il ritorno al lavoro dopo un infortunio SIMFER e INAIL insieme in cerca di risposte Giacomo Bazzini
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Elettricità e Cervello: dalla torpedine alla tDCS Presente e futuro di “correnti antiche” in riabilitazione Giovanni Panariello
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L’ANGOLO DEL LEGALE
L’Europa parla ma la crisi resta Gli imprenditori (in affanno) chiedono risposte Luigi Moschetti
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NOTIZIARIO ASSORTOPEDIA
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VETRINA Tecnologie Riabilitative n. 2 settembre 2014
EDITORIALE Maria Giulia Mazzoni
Direttore Responsabile
Un autunno ricco di sfide, tutte da vincere
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uello che stiamo attraversando è indiscutibilmente uno dei periodi più difficili che il nostro Paese abbia dovuto affrontare, in cui la drammatica congiuntura economica rischia di congelare (o peggio ancora, vanificare) ogni iniziativa volta a migliorare il sistema. Ma questo non può e non deve soffocare la nostra voglia di fare, anzi. La storia ci insegna che è proprio quando poco o nulla funziona come dovrebbe che la società può cogliere l’imperdibile opportunità di liberarsi del vecchio per fare posto al nuovo e (possibilmente) migliore. Ed è questa la sfida cui siamo chiamati tutti noi come italiani, e che noi di Tecnologie Riabilitative ci proponiamo di raccogliere a modo nostro, lanciando proprio ora alcune nuove importanti iniziative: una versione arricchita del REHA Conference, che nel 2015 farà seguito all’altro importante upgrade che caratterizzerà il prossimo evento di Edisef, la eHealth Conference di novembre, dedicata alle mille opportunità offerte dall’innovazione tecnologica applicata in ambito ospedaliero. Ma non solo, ci proponiamo anche una più capillare presenza della rivista sul territorio grazie alla distribuzione di Tecnologie Riabilitative in occasione dei principali eventi di settore (di cui potrete seguire gli appuntamenti nella nuova rubrica “siamo presenti a” che a partire da oggi troverete in capo ad ogni numero della rivista). E infine la sfida più grande di tutte: creare un ponte tra l’Italia e il settore riabilitativo operante sui mercati esteri. Con la nuova iniziativa ‘Made in Italy’ ci proponiamo infatti l’ambizioso traguardo di gettare un ponte con altri Paesi, distribuendo numeri speciali della rivista nelle principali fiere internazionali di settore e pro-
muovendo così la conoscenza delle nostre eccellenze al di là dei nostri confini. Sfide, dicevamo, senza dubbio molto ambiziose, che tuttavia ci apprestiamo ad affrontare con la certezza di essere sulla strada giusta per vincerle, tutti insieme. Ma quelli targati Edisef non sono sicuramente gli unici appuntamenti che attendono un settore, quello riabilitativo, che deve necessariamente voltare pagina affrontando i nodi legati alla riforma del Nomenclatore tariffario, attesa da oltre 14 anni e che non può più attendere, e quelli legati all’adeguatezza delle prestazioni che - stando ad una ricerca del prof. Federico Spandonaro, dell’ Università degli Studi di Roma Tor Vergata lascia molto a desiderare. Esiste, spiega il professore, una forte discrepanza nei modelli assistenziali tra Nord e Sud. Una variabilità che, come sottolinea il prof. Vincenzo Maria Saraceni, Presidente SIMFER, è con molta probabilità legata all’appropriatezza dei ricoveri. L’obiettivo da perseguire, sottolinea quindi Saraceni, è quello di proporre un modello non più per codici ma per intensità di cura, attraverso l’attuazione in tutte le regioni del Piano di Indirizzo della Riabilitazione approvato dal governo nel 2011. Un argomento importante di cui certamente si discuterà nel corso del 42° Congresso Nazionale della SIMFER ”Medicina Fisica e Riabilitativa: Innovazione, Efficacia e Sostenibilità”, altro appuntamento da non mancare in questo caldo autunno. La situazione italiana del resto impone una seria riflessione, legata soprattutto all’opportunità di presentare in termini di efficacia, innovazione e sostenibilità le migliori pratiche cliniche e organizzative per un approccio globale della persona con disabilità, al fine di superare la frammentazione delle diverse aree di competenza. Un obiettivo che Tecnologie Riabilitative si è posto fin dal principio, e sul quale proseguirà con sempre maggiore convinzione. Buona lettura. ❑ Tecnologie Riabilitative n. 2 settembre 2014
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6 ATTUALITÀ
ESKO, L'ESOSCHELETRO ROBOTIZZATO CHE PERMETTE IL MOVIMENTO Ekso è l'esoscheletro robotizzato che permette a chi lo indossa, indipendentemente dal grado di difficoltà motoria, di stare in piedi e muoversi correttamente con tutto il proprio peso corporeo. Il movimento si ottiene attraverso quattro motori e quindici sensori che controllano 500 volte al secondo il corretto movimento e rilevano il peso spostato facendo scattare i singoli passi. Motori a batteria governano le gambe in sostituzione delle funzioni neuromuscolari e permettono a persone con paralisi, anche totale, di reggersi in piedi e deambulare fino a quattro ore. Il ‘robot’ è utilizzato oggi in Puglia e Molise, messo a disposizione per le persone assistite della Fondazione Centri di riabilitazione Padre Pio Onlus.
I GOOGLE GLASS ENTRANO NEL PROCESSO RIABILITATIVO All’Ospedale Villa Beretta di Costa Masnaga, in provincia di Lecco (un centro di robotica avanzata per la neuroriabilitazione) si sta
tentando in questi mesi un nuovo modo di fornire ai pazienti una maggiore autonomia. In un esperimento condotto nella struttura si stanno testando i risultati dell’utilizzo combinato di un esoscheletro e dei celebri Google Glass. Tramite l’interfaccia vocale, gli smartglasses si rivelano così un prezioso aiuto per le persone che durante la terapia riabilitativa con l’esoscheletro vogliono essere facilitate nelle dinamiche relazionali. A sperimentarlo è Antonio Cavalli, un paziente tetraplegico che grazie a questo sistema risulta oggi in grado di condividere e registrare la sua esperienza attraverso gli occhiali di Google.
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IL ROBOT ERIGO PER LA RIABILITAZIONE DI MICHAEL SCHUMACHER Michael Schumacher è stato ricoverato in una clinica universitaria di Losanna che è tra quelle più quotate al mondo per la rieducazione dopo lesioni cerebrali come quelle subite dal campione di F1. Qui, assistito da una straordinaria equipe di medici, Schumacher verrà poi aiutato nella riabilitazione da uno speciale robot, studiato appositamente per la ripresa dei movimenti nei pazienti non ancora coscienti dopo la fase di coma. Il robot prende il nome di Erigo e altro non è che una speciale macchina che serve a rimettere in piedi il paziente e a simulare alcuni momenti, così da riprogrammare il cervello nelle prime fasi della riabilitazione.
ATTUALITÀ IL 42° CONGRESSO NAZIONALE DELLA SIMFER Si svolgerà a Torino, nella prestigiosa sede del Centro Congressi del Lingotto, dal 28 settembre al 1° di ottobre, il 42° Congresso Nazionale della SIMFER, con il titolo” Medicina Fisica e Riabilitativa: Innovazione, Efficacia e Sostenibilità”. Come sottolineato dal prof. Giancarlo Rovere, Direttore Dipartimento di Riabilitazione ASL di Alessandria nonché Presidente del Congresso, l’obiettivo è quello di presentare in termini di efficacia, innovazione e sostenibilità le migliori pratiche cliniche e organizzative per un approccio globale della persona con disabilità, al fine di superare la frammentazione delle diverse aree di competenza. APPROPRIATEZZA ED EFFICIENZA DELLA RIABILITAZIONE IN ITALIA. A CHE PUNTO SIAMO? Insufficiente nel nostro Paese la riabilitazione: ancora oggi, dopo l’evento acuto, la maggior parte delle regioni, è sotto il limite “posti-letto” con evidenti discrepanze Nord-Sud dei modelli assistenziali. È questo uno degli aspetti emersi dall’indagine promossa dalla Società Italiana di Medicina Fisica e Riabilitativa (SIMFER) effettuata da CREA (Consorzio per Ricerca Economica Applicata in Sanità) - Università degli Studi di Roma ”Tor Vergata”. Se gli standard di programmazione sanitaria previsti dalla legge 135/2012 indicano - sulla base delle degenze medie effettuate - un tasso di ospedalizzazione ottimale per la riabilitazione e lungodegenza di 7 ricoveri (ordinari) per 1.000 abitanti, regioni come la P.A di Trento e di Bolzano, la Lombardia, l’Emilia Romagna e il Piemonte ospedalizzano più del 7 per mille. Molto inferiore il limite auspicato è la collocazione della Sardegna e della Toscana, rispettivamente con il 3,29 e 4,03 ricoveri per 1.000 abitanti, eccetto il Lazio che si avvicina al tasso ottimale con il 6,4 per mille abitanti. “Ancora una volta – osserva il prof. Federico Spandonaro, Università degli Studi di Roma Tor Vergata, Presidente di CREA – si evidenzia la forte discrepanza tra i modelli assistenziali Nord-Sud. La difformità strutturale e di offerta – dice ancora il prof.
REHABIKE 2014, SI PARTE DA TREVISO La SIMFER, Società Italiana di Medicina Fisica e Riabilitativa, ha deciso di dedicare l’anno 2014 alla Persona con Lesione Midollare, promuovendo delle iniziative in collaborazione con FAIP (Federazione Associazioni Italiane Paratetraplegici). Una di queste è il REHABIKE 2014, un’iniziativa di sensibilizzazione sul tema dei Traumatismi del sistema nervoso (traumi del midollo spinale e traumi cerebrali), dovuti in particolare ad incidenti della strada, sul lavoro o domestici. La manifestazione consiste in un viaggio a tappe, in bicicletta/handbike a cui parteciperanno persone con disabilità. Sono previste 6 tappe, con partenza da Treviso il 23/9 ed arrivo a Torino il 28/9, in occasione dell’apertura del Congresso Nazionale SIMFER. Spandonaro – si ripercuote anche sui costi: 250,06 euro per una giornata di degenza in riabilitazione contro i 493,70 euro in acuto per un complessivo di 8.260.307 giornate in riabilitazione, contro 49.672.639 giornate in acuto per anno. La differenza dei costi è anche contrassegnata dalle differenze regionali, basti pensare ai 9.592,3 euro in Campania e ai 4.248,1 euro in Puglia. “La grande variabilità dei modelli assistenziali – dice il prof. Vincenzo Maria Saraceni, Presidente SIMFER – è con molta probabilità legata all’appropriatezza dei ricoveri, come emerge dalla fotografia scattata dall’indagine dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata e, come ha più volte rimarcato il Ministero della Salute. L’obiettivo della SIMFER è di proporre un modello non più per codici ma per intensità di cura attraverso l’attuazione in tutte le regioni del Piano di Indirizzo della Riabilitazione approvato dal governo nel 2011. Il fatto – dice ancora il prof. Saraceni – che anche le regioni “virtuose” si trovino sotto la soglia prevista potrebbe dipendere da una “scelta” di politica sanitaria di domiciliarizzazione della riabilitazione o di una classificazione non omogenea delle strutture post-acuti. A questo proposito si tenga presente che l’attenzione della riabilitazione è ancora concentrata sulla rete delle acuzie, cosa per altro giustificata dalla dimensione del fenomeno, mentre sarebbe auspicabile una rivisitazione della rete post-acuzie, soprattutto della riabilitazione, con una ripartizione tra riabilitazione e lungodegenza in grado di dare maggiore peso alla voce riabilitativa”.
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L’OPINIONE DI
Progresso tecnologico, quante opportunitĂ in ambito riabilitativo
RUBRICA SIMFER
Vincenzo Maria Saraceni
Presidente Simfer
Prosegue l’approfondimento delle opportunità offerte dal progresso tecnologico in ambito riabilitativo. In questo numero ci occupiamo particolarmente della tDCS che ci pone oggi davanti uno scenario non immaginabile anche solo fino a pochi anni fa. Naturalmente serve prudenza, ma il cammino è tracciato e sembra promettente, soprattutto se saprà integrarsi con quel lavoro riabilitativo che avviene quotidianamente nelle palestre. on questo secondo numero Tecnologie Riabilitative prosegue il progetto di approfondimento delle opportunità offerte dal progresso tecnologico in ambito riabilitativo. Ci troviamo così, con l’articolo sulla Transcranial Direct Current Stimulation (tDCS) del dott. Giovanni Panariello, davanti a uno scenario non immaginabile sino a pochi anni fa, che sembra prospettare un recupero funzionale delle capacità motorie dell’emiplegico, ottenuto tramite la stimolazione elettrica di aree cerebrali, capace di indurre riorganizzazione plastica del cervello, quasi senza il lavoro, spesso di lunga durata, del fisiatra e del fisioterapista. Naturalmente serve prudenza e ci vorrà molto tempo prima di considerare queste tecniche utili, sicure e soprattutto facilmente trasferibili nella pratica clinica, ma il cammino è tracciato e sembra promettente soprattutto se saprà integrarsi con quel lavoro riabilitativo che avviene quotidianamente nelle palestre e che sa tener conto, oggi più che in passato, proprio delle ricerche portate avanti dalle neuroscienze. Peraltro, si diceva in occasione dell’uscita del primo numero, l’obiettivo della riabilitazione è la presa in carico
del bisogno complessivo di salute posto dai pazienti in relazione alla autonomia motoria ma anche alle relazioni sociali e alla qualità della vita. In questo deve consistere il vero progresso e ogni innovazione tecnologica deve essere sottoposta alla valutazione critica della qualità del progresso conseguito. Si affronta, in altro articolo del dott. Giuseppe Buonanno, il tema fondamentale della misura in riabilitazione. E qui, con tutte le difficoltà, la ricerca di una via originale commisurata alla specificità della nostra disciplina. Certo, misurare è essenziale, nei termini voluti dalla medicina basata sulla evidenza, per dimostrare il rigore metodologico della riabilitazione, per poter,ad esempio, documentare i risultati conseguiti, per comunicare con chi prende in carico il paziente nelle fasi successive, ma anche misurare la qualità del lavoro, della qualità della vita, del benessere psicologico. Temi questi ultimi, ciascuno e tutti, che stanno dentro quella dimensione bio-psico-sociale che la riabilitazione ha abbracciato In questo quadro, in successivo articolo del dott. Giacomo Bazzini si torna sul grande tema del reinserimento al lavoro in condizioni di disabilità ( fruttuosa in questo campo la sinergia INAIL- SIMFER) e qui la tecnologie mette a disposizione strumenti sofisticati di valutazione delle potenzialità motorie e anche ausili, di natura informatica, che riproducono gestualità lavorativa con funzione vicariante rispetto alle capacità perse. Per il ritorno al lavoro dopo un infortunio si può ben dire che il progresso e il futuro sono già tra noi. ❑ Tecnologie Riabilitative n. 2 settembre 2014
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IL PUNTO DI
Il nomenclatore, la revisione non può (più) attendere ecentemente Assortopedia ha sottoscritto un appello rivolto alle principali Istituzioni del Governo e della Sanità per lamentare il mancato aggiornamento del regolamento per le prestazioni di assistenza protesica. Il documento è stato sottoscritto da tutte le rappresentanze delle aziende ortopediche, delle sanitarie, dei produttori, dei prescrittori e del mondo della disabilità. A memoria, non ricordo un’ adesione così estesa. Il Nomenclatore sarebbe dovuto essere aggiornato nel 2000. Sono dunque 14 gli anni di ritardo. Nel frattempo si sono evolute le tecnologie, le esigenze degli assistiti, i percorsi riabilitativi, le modalità di fabbricazione. La mancata riforma del Nomenclatore sta generando inappropriatezza prescrittiva, erogazione di dispositivi medici spesso non efficaci né efficienti, sprechi. Dall’altro lato la fase di tensione economica genera continui stravolgimenti della normativa vigente, alla ricerca costante del risparmio. Inoltre, le modalità di acquisto imposte in maniera verticale da chi poco sa di Assistenza Protesica, stanno portando all’affermazione dello strumento della gara anche per quei dispositivi che, per loro natura, sono del tutto incompatibili con un acquisto di questo tipo. È per questo motivo che Assortopedia ha partecipato al tavolo di lavoro che ha prodotto linee guida ad uso e consumo delle Aziende Sanitarie, nelle quali si suggeriscono le modalità per una corretta imTecnologie Riabilitative n. 2 settembre 2014
RUBRICA ASSORTOPEDIA
Michele Clementi
Segretario nazionale Assortopedia
Un aggiornamento del regolamento per le prestazioni di assistenza protesica è atteso da 14 anni. Nel frattempo però si sono evolute le tecnologie, le esigenze degli assistiti, i percorsi riabilitativi e le modalità di fabbricazione. Tutto questo sta generando inappropriatezza prescrittiva, erogazione di dispositivi medici spesso non efficaci né efficienti e sprechi.
postazione della gara. Se gara deve essere, almeno la si istruisca con un minimo di criterio. È sempre per questo motivo che Assortopedia ha sottoscritto il primo tariffario della Regione Lazio, e nelle scorse settimane la sua proroga, per evitare lo strumento della gara, lasciare la libera scelta e consentire a tutti gli operatori di continuare a lavorare. In questi 14 anni di ritardo, oltre a non aver rinnovato il Nomenclatore (eliminazione di codici desueti, inserimento di nuove tecnologie, maggiore trasparenza nelle regole della fornitura), non è stato realizzato quel Repertorio degli ausili tecnici, che avrebbe consentito una chiara identificazione di quell’ausilio, con quelle caratteristiche tecniche, eliminando in un colpo solo inappropriatezza, sprechi, abusi, truffe. In questa fase in cui pare nuovamente nata una forte sensibilità al problema, Assortopedia si augura che i lavori di revisione del D.M. 332 partano essenzialmente da principi di buon senso, quali: 1. Tutela dell’elenco del “su misura”, revisione tariffaria per quelle lavorazioni divenute ormai antieconomiche e inserimento di nuove tecnologie. Le risorse ci sono: ogni dispositivo medico di qualità si paga da solo, evitando enormi costi accessori alla comunità. 2. Un riconoscimento scientifico, aggiornato e definitivo di tutti quegli ausili complessi che, pur essendo co-
struiti in serie, necessitano dell’atto professionale del Tecnico Ortopedico. Non è un caso che oggi rientrino nell’Elenco 1 del Nomenclatore. Questi dispositivi non possono in alcun modo essere acquistati a gara e l’ipotesi di separazione dell’oggetto (l’ausilio) dall’atto professionale del Tecnico abilitato è follia: crollo della qualità e raddoppio della spesa (incontrollabile) in capo alla ASL. 3. Individuazione di tutti gli ausili di serie che, non necessitando dell’apporto del tecnico, possono essere acquistati a gara. Sarebbero auspicabili gare istruite con attenzione al risparmio ma anche alla qualità. Un cuscino antidecubito di scarsa qualità può generare costi ospedalieri pari a 100 volte il suo valore, forse è il caso di acquistarli con criterio, privilegiando la qualità. Inoltre, visto che le Regioni sono ormai divenute attori importanti ai tavoli che si occupano di Assistenza Protesica, sarebbe anche auspicabile che in Conferenza Stato Regioni, prima o poi, venisse presentato un documento unitario che introducesse requisiti minimi ambientali e professionali uniformi a livello nazionale per tutti i fornitori del SSN in ambito di Assistenza Protesica. E’ inutile interrogarsi sull’appropriatezza prescrittiva e sull’innovazione tecnologica del nomenclabile se il tutto viene erogato da aziende senza qualità negli ambienti di lavoro e dai professionisti che vi operano. ❑ Tecnologie Riabilitative n. 2 settembre 2014
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IL PROTAGONISTA Giuseppe Buonanno Medico fisiatra U.O di Medicina Riabilitativa Azienda USL di Piacenza Coordinatore sezione n. 24 “Prodotti e Tecnologie per l’Attività e la Partecipazione” della Società Italiana di Medicina Fisica e Riabilitazione (SIMFER)
Strumenti di valutazione, garanzia di efficacia del progetto riabilitativo Qualcuno temeva e teme tuttora che l’uso di strumenti di valutazione possa costituire una “griglia” di accesso alle cure, anche riabilitative, mentre è noto che un uso consapevole ed attento ne migliora piuttosto il setting, donando maggiori opportunità di recupero
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a concezione radicata in molti professioni sanitarie, che il livello di qualità in sanità debba fondarsi prevalentemente su una buona relazione terapeutica tra professionista ed assistito, ha sempre visto con sospetto, in anni passati, lo stabilirsi di veri indicatori di risultato (outco-
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me) quali misuratori del recupero e della qualità di vita della persona. D’altro canto il timore in parte fondato che ogni strumento di misurazione in campo sanitario potesse tradursi in occasione di taglio di risorse economiche ed umane da parte delle amministrazioni o di controllo della produttività degli operatori ha tradizionalmente ostacolato una vera assimilazione di dati oggettivanti le attività di cura ed assistenziali. Qualcuno temeva e teme tuttora che l’uso di strumenti di valutazione possa costituire “griglia” di accesso alle cure, anche riabilitative, mentre è parere di molti Autori e anche nostro che l’uso consapevole ed attento ne migliora piuttosto il setting, donando maggiori opportunità di recupero. La forte valorizzazione della capacità di indagine e di ascolto delle singole storie di malattia (oggi si parla sempre più di “Medicina narrativa”) vuole far comprendere le per-
IL PROTAGONISTA
sone nel proprio specifico contesto di vita e rilevarne il grado di soddisfazione derivante dall’atto terapeutico, sempre attraverso la narrazione del proprio vissuto. Queste prassi sono ovviamente largamente condivisibili ed è superfluo sottolinearne l’importanza. In realtà negli ultimi decenni, la sempre maggior diffusione delle specializzazioni mediche verticali ha settorializzato l’indagine medica, relativamente agli specifici ambiti di interesse, allontanandosi così dalla concezione olistica dell’individuo. La Medicina Narrativa è in parte anche ll recupero di tale concezione, in un’ottica di empowerment, secondo i principi dell’ICF. L’approccio bio-psico-sociale richiede necessariamente una messe di informazioni a delineamento del bisogno e degli interventi per risolverlo. La raccolta di esperienze e narrazioni di pazienti, familiari ed operatori, parte da ambiti precisi e circoscritti o da altri fattori (istruzione, reddito, ecc.) che condizionano l’esperienza di vita e quindi il vissuto di malattia della persona, arricchendosi in modo del tutto personale dell’esperienza che la malattia comporta, anche in termini di disfunzione e disabilità prodotte. Del resto, come sostenuto dall’OMS (1978) «le persone hanno il diritto e il dovere di partecipare individualmente e collettivamente alla progettazione e alla realizzazione dell’assistenza sanitaria di cui hanno bisogno». Tutto ciò però non deve tuttavia pregiudicare la possibilità di oggettivare sia le informazioni che giungono dall’ascolto primario, sia il guadagno prodotto con l’intervento terapeutico, ed ancor più riabilitativo. Del resto il concetto di misurazione incrocia strettamente con il concetto di qualità, anche in Sanità. Qua-
Trasparenza, equità di accesso, gestione del rischio, appropriatezza di intervento e formazione continua con i suoi momenti di audit diventano indubitabilmente i momenti qualificanti anche del prendersi cura della persona, in ultima analisi della sua presa in carico lità è l’insieme delle proprietà e delle caratteristiche di un qualsivoglia servizio, che gli conferiscono la capacità di soddisfare i bisogni espliciti ed impliciti del “utente”, definendo il livello da lui richiesto e percepito e traducendolo in termini aziendali. Anche in sanità possono essere accolti tali presupposti basilari. Del resto, sono ampiamente noti i sistemi di valutazione della qualità presenti in quest’ambito, fondamentalmente: a. l’accreditamento istituzionale a carico del SSN; b. i sistemi di valutazione esterna della qualità (il sistema di certificazione secondo le norme ISO 9000:2000, l’accreditamento tra pari e il sistema della Joint Comission International, per citare quelli maggiormente utilizzati). Anche gli obiettivi della qualità in riabilitazione appaiono largamente condivisibili, pur essendo prevalentemente obiettivi di percorso: • perseguire la soddisfazione dell’utente; • garantire i diritti e la soddisfazione degli utenti;
• garantire l’uniformità di accesso alle prestazioni di riabilitazione; • garantire la qualità tecnica delle prestazioni; • garantire la qualità organizzativa del sistema di erogazione delle prestazioni; • garantire l’integrazione tra servizi sanitari e sociali, al fine di attivare il “percorso assistenziale/riabilitativo”; • tutelare la sicurezza degli operatori e degli utenti; • valorizzare la professionalità degli operatori. Ecco dunque che il richiamo ai principi della clinical governance appare nella sua estrinsecazione più chiara e più pratica. Trasparenza, equità di accesso, gestione del rischio, appropriatezza di intervento e formazione continua con i suoi momenti di audit, diventano indubitabilmente i momenti qualificanti anche del prendersi cura della persona, in ultima analisi della sua presa in carico. La esperienze condotte negli anni ’80 da Rubenstein sull’approccio multidimensionale all’anziano fragile e/o portatore di disabilità, ave-
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14 IL PROTAGONISTA
BIOGRAFIA DI GIUSEPPE BUONANNO Laureato in Medicina e Chirurgia, presso l'Università degli Studi di Parma, si è poi specializzato prima in Geriatria e Gerontologia, e poi in Fsioterapia. Ad oggi responsabile dell’incarico di Natura Professionale “Autorizzatore Ausili e Protesi dipartimentale, referente internistico e dell’Ictus e della Riabilitazione Intensiva”, nonché dirigente medico di medicina fisica e riabilitativa. È stato inoltre responsabile di U. O. B-1 dipartimentale di “Integrazione Territorio/Ospedale per la Riabilitazione e il Reinserimento”nell’ambito del Dipartimento della Non Autosufficienza e Riabilitazione dell’Azienda USL di Piacenza. Autore di circa 70 pubblicazioni su riviste nazionali ed internazionali, Buonanno è stato professore a contratto presso la Scuola di Specializzazione In Idrologia Medica dell'Università di Parma, per l'insegnamento "La riabilitazione respiratoria in ambito termale" e ha tenuto presso la Scuola per Fisioterapisti della medesima università anche il corso "La rieducazione del paziente disfagico". Docente del Master universitario “Tecnologie per la qualità della vita”, sul tema “L’ambiente protesico”, presso Didacta Onlus Bologna, Buonanno è anche consulente fisiatra per il CeAD (Centro assistenza domiciliare) presso l’ASL di Cremona, presso i corrispettivi Uffici di Assistenza Protesica dei Distretti di Cremona e Casalmaggiore (ASL Cremona), e presta servizio in qualità di medico specialista fisiatra nell'ambito dell’area ASSI (Dipartimento PAC, Servizio assistenza e controllo), per i controlli di appropriatezza e qualità dei ricoveri negli Istituti di Riabilitazione convenzionati e nell’ambito del Nucleo Operativo di Controllo (Sistema Vouchers-Credit, RSA-SOSIA).
vano dimostrato alcuni fondamentali effetti favorevoli: 1. riduzione della mortalità 2. riduzione dell’ospedalizzazione e dell’istituzionalizzazione 3. minore compromissione dello stato cognitivo e funzionale, (unitamente a…) 4. riduzione dei costi assistenziali (progetto Obiettivo Salute dell’Anziano, 1992; linee guida nazionali per la VMD dell’anziano, 2001). In ultima analisi, la VMD ha consentito in specifici ambiti, durante questi anni, una migliore distribuzione delle risorse sino a veri e propri risparmi.
Tale approccio è divenuto proprio anche della Riabilitazione come approccio bio-psico-sociale ed attuazione del modello operativo dell’“interprofessionalità”, in luogo di quello sicuramente più dispendioso e rigido della “multiprofessionalità”, attraverso la “presa in carico” della persona, ovvero la piena conoscenza dei bisogni e degli interventi in corso durante le diverse fasi di programma da parte di tutti gli attori del progetto, anche quando non direttamente chiamati in causa. L’articolazione delle fasi di progetto/programma riabilitativo consente pertanto di produrre l’intervento giusto,
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con le sole professionalità richieste, al momento giusto, accompagnando la persona attraverso il percorso del recupero, sino agli obiettivi di Attività e Partecipazione. La salute/recupero funzionale diventa così il prodotto di un intervento quanto più efficace ed efficiente possibile. Esiste, infatti, la necessità di razionalizzare le risorse e di mettere sotto controllo la spesa sanitaria e la qualità delle prestazioni erogate, con misure di: • efficacia: capacità concreta di produrre benefici in termini di salute; • efficienza: capacità di produrre benefici per il paziente con la giusta quantità di risorse impiegate, senza sprechi o eccedenze; • appropriatezza: erogazione di interventi di dimostrata efficacia, con la giusta indicazione, al momento giusto e nella giusta quantità; • accettabilità: coerenza con i principi morali e con i valori condivisi dalla società civile; • accessibilità: disposizione dei servizi idonea a favorirne l’utilizzazione da parte degli utenti che ne hanno reale necessità; • soddisfazione degli utenti: soddisfazione in termini di efficacia ma anche come percezione individuale. Uno degli aspetti di maggiore e nostro specifico interesse (per venire anche al tema dominante di questa rivista) circa il corretto impiego di risorse importanti per l’attuazione del progetto riabilitativo individuale è costituito dalle Tecnologie d’ausilio. Secondo il Piano d’indirizzo per la Riabilitazione (2010) “Un capitolo importante per migliorare l’outcome funzionale della persona con disabilità è costituito dalla prescrizione, all’interno del progetto riabilitativo individuale, degli ausili, delle prote-
IL PROTAGONISTA
si ed ortesi, individuati nell’ambito del Nomenclatore tariffario (DM 332/99), con relativo collaudo degli stessi, e dalla verifica dell’efficacia/efficienza del servizio di fornitura…,”. Altrettanta enfasi viene data all’”offerta di consulenza tecnica per la costruzione e la sperimentazione di ausili, protesi e ortesi…” Quindi, ne deriva che Innovazione, Efficacia e Sostenibilità sono le parole chiave che devono accompagnare questo percorso rivolto alla sempre maggior appropriatezza prescrittiva anche delle tecnologie d’ausilio. Innovazione ed Efficacia ci appaiono come concetti già più scontati, per ragioni di nostra naturale propensione alla ricerca scientifica/tecnologica ed alle buone prassi derivanti dall’Evidence Based Medicine. Meno scontata invece la Sostenibilità, in un sistema sanitario abituato per suo sistema ai rimborsi “a piè di lista” sino agli anni ’90. Già l’Organizzazione Mondiale della Sanità richiamava nel 2008: “Agli Stati viene richiesto di promuovere l’accesso agli ausili ed alle Tecnologie d’ausilio, a costi sostenibili…”. La sostenibiità del sistema viene anche richiamata dal decreto sui Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) del 28 aprile 2008. Ma per misurare e valutare l’impatto dei LEA servono anche indicatori di risultato (outcome); indicatori capaci cioè di dimostrare quanto la salute dei cittadini sia influenzata dall’organizzazione sanitaria e quindi quanto sia necessario rendere più appropriate le prestazioni. Anche lo stesso percorso riabilitativo deve essere intrapreso nel modo più efficace secondo setting appropriati (intensivo, estensivo, in regime di ricovero, ambulatoriale, domiciliare, ecc.). Esistono e sono in fase di
studio a tale proposito indicatori di appropriatezza che consentono di indirizzare la persona disabile al servizio più confacente al problema presentato in quella particolare fase riabilitativa. Ad esempio, la coesistenza di un danno cognitivo importante e di un’elevata comorbilità si gioveranno meglio di una fase di ricovero in regime lungodegenziale, rispetto ad una condizione di miglior compenso clinico e di maggior capacità cognitiva e collaborativa da parte della persona con disabilità, che indirizzeranno piuttosto verso un setting intensivo. Anche l’impiego delle risorse, tra cui le tecnologie d’ausilio, contribuisce al conseguimento degli obiettivi fissati dal progetto riabilitativo. Perché un intervento riabilitativo possa dirsi efficiente, dovrà aver prodotto risultati efficaci con un giusto impiego di risorse, senza sprechi. Ecco come anche in questo caso, l’outcome e le
risorse messe in campo potranno essere misurati mediante scale dell’autonomia, ma soprattutto attraverso una valutazione attenta della qualità di vita prodotta dall’ausilio, dalla protesi o dall’ortesi introdotta. Al Barthel Index ed alla FIM si affiancheranno scale come l’EuroQoL per la qualità di vita oggettiva e soggettiva, ma anche strumenti specifici del mondo degli ausili, quali ad esempio il QUEST o l’IPPA. Ogni persona ha la sua storia con il suo particolare vissuto, le proprie esigenze e quindi il proprio concetto di Attività e Partecipazione raggiungibili, all’interno delle quali ritorna forte il recupero della Medicina Narrativa, di cui si accennava all’inizio. Ma ciò non nega che tutto ciò possa essere “misurabile” con l’uso attento e consapevole degli strumenti di cui disponiamo, a testimonianza e comprova della qualità prodotta dal nos❑ tro lavoro (fig.1).
Figura 1: esempio di diagramma radiale rappresentante l’integrale di “salute” dell’individuo ed i suoi cambiamenti misurabili nel tempo
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Maria Grazia Benedetti SC Medicina Fisica e Riabilitazione, Istituto ortopedico Rizzoli, Bologna
Ricerca e innovazione in protesi, ausili e ortesi ISPO presenta alcuni progetti di ricerca Quando le esigenze ambientali superano le risorse di mobilità di un individuo la partecipazione può essere limitata ed in questo senso la tecnologia può essere utile migliorando la qualità della vita. Alla luce di questa convinzione Ispo Italia ha promosso un seminario volto a presentare alcuni progetti di ricerca
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nche se ci sono diversi modi per concettualizzare la disabilità [1], lo standard rimane quello proposto dalla Classificazione Internazionale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità del Funzionamento, della Disabilità e della Salute (ICF). Anche l’ICF, come altri sistemi proposti, riconosce che la “disabilità” risulta dalla interazione dinamica dell’utente, della tecnologia, e dell’ambiente. Quando le esigenze am-
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bientali superano le risorse di mobilità di un individuo, la partecipazione può essere limitata. La tecnologia può facilitare la partecipazione indirettamente (durante la fase di trattamento) o direttamente (tramite assistenza fisica) migliorando la mobilità dell’individuo in modo tale che la sua capacità di mobilità soddisfi o superi le richieste dell’ambiente. Le tecnologie indirette o terapeutiche, migliorano la mobilità riducendo i danni a livello di struttura del corpo/funzione, aiutando l’organismo a riparare o correggere il deterioramento struttura del corpo, o sostenendo la riabilitazione della funzione del corpo compromessa (tecnologie robotiche, devices riabilitativi, impianti di pompe miorilassanti…). Le tecnologie terapeutiche tipicamente richiedono una gestione clinica nell’ambito di un progetto riabilitativo e non sono generalmente
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indicate per lo svolgimento delle attività della vita quotidiana fuori dall’ambiente riabilitativo. Le tecnologie dirette, o assistive, invece hanno lo scopo di migliorare la mobilità senza agire sulla struttura del corpo/funzione. Ausilii, ortesi e protesi sono i principali esempi, che migliorano la mobilità ma non alterano la menomazione alla base della perdita di mobilità. Diversamente dalle tecnologie terapeutiche queste tecnologie vengono utilizzate direttamente dall’utente e non dal clinico e sono progettati per essere utilizzati per eseguire attività funzionali in casa e in comunità. Questa distinzione può tuttavia in alcuni casi essere superata quando si prendano in considerazione gli effetti degli esoscheletri robotici o di terapie come la stimolazione elettrica funzionale [1]. La promozione della ricerca e l’agevolazione dello sviluppo di tecnologie innovative e appropriate per migliorare la qualità della vita delle persone con disabilità fisiche che necessitano di incrementare la propria mobilità e indipendenza è proprio il
principale scopo dell’International Society of Prosthetics and Orthotics (ISPO, www.ispoint.org) attiva in tutto il mondo dal 1970 come organizzazione non governativa. ISPO rappresenta una realtà fortemente operativa non solo nella ricerca di soluzioni tecnologiche innovative ma anche nel condurre programmi di formazione continua di alta qualità, nel fornire le linee guida di sviluppo internazionali per la formazione dei tecnici ortopedici, pubblicare informazioni attraverso riviste, testi a stampa ed in formato elettronico e promuovere la cooperazione e lo scambio di idee in tutto il mondo attraverso eventi dedicati come il Congresso Mondiale che si svolgerà nel 2015 a Lione. ISPO è inoltre una società riconosciuta dalle principali organizzazioni mondiali, è infatti in stato consultivo speciale presso il Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite, in statuto speciale in collaborazione con United States Agency for International Development, in rapporti ufficiali con l’OMS, in statuto speciale di collaborazione con mol-
te ONG internazionali, tra cui il Comitato Internazionale della Croce Rossa. La struttura di ISPO è fondata sull’integrazione di società su base nazionale, è presente in 53 paesi nel mondo e dal 2011 è presente anche in Italia per dare alle persone che lavorano nell’ambito della disabilità nel nostro paese come fisiatri, ortopedici, tecnici ortopedici, fisioterapisti e altre professionalità dell’area riabilitativa, l’opportunità di avere un luogo di incontro e di crescita professionale. Ogni società membro è indipendente e realizza all’interno del proprio paese le attività di promozione degli obiettivi della Società Internazionale e può eleggere i propri rappresentanti nel Comitato internazionale. Tra le iniziative promosse da ISPO Italia alla recente manifestazione Exposanità, tenutasi a Bologna, ISPO Italia ha promosso un seminario volto a presentare alcuni progetti di ricerca sulle tecnologie innovative sul tema delle protesi, ausilii e ortesi.
Figura 1. Escursione articolare dell’anca sul piano frontale con invasatura MAS.
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lar). Questi test sono stati effettuati al momento del reclutamento con la protesi in dotazione, poi avendo sostituito l’ invasatura a contenimento ischiatico con la MAS, a 30 e 60 giorni di utilizzo continuo di questa invasatura. Per valutare la percezione della mobilità avuta dai soggetti studiati è stata utilizzato il Prosthesis Evaluation Questionnaire Mobility Section (PEQ-MS) formato da 13 items di cui 8 Figura 2. Modello dinamico di cammino fisiologico (a sinistra) e di cammino di amputato transfemorale con ginocchio policentrico (a destra) valutano la deambulazione e 5 valutano i trasferimenNell’ambito delle tecnologie per la invasatura a contenimento ischiati- ti [4-6]. Dall’analisi dei dati ottenuti protesica di arto inferiore sono sta- co, capaci di deambulare senza au- risulta che il costo energetico del ti presentati alcuni sviluppi di inte- sili (K level 3 o 4) [3], che utilizzava- cammino è ridotto con l’invasatura resse dal gruppo del Prof. Marco Tra- no la protesi per 5 – 9 ore al di. Sono MAS, inoltre la PEQ-MS ha messo in ballesi dell’IRCSS Fondazione San- state effettuate le misure delle ca- evidenza un aumento della mobilita Lucia di Roma. Da alcuni anni è pacità motorie utilizzando il Six mi- tà e del comfort sia durante la destata ideata una nuova invasatura per nute walking test (6MWT) su super- ambulazione sia nella posizione segli amputati di coscia, che prende il ficie piana, percorso lineare di lun- duta, rispetto all’invasatura a connome dal suo ideatore Marlo Ortiz ghezza nota, alla propria velocità tenimento ischiatico. Le persone Vazquez Del Mercado, e che viene confortevole, e misurando il costo amputate hanno inoltre riferito che chiamata Marlo Anatomical Socket energetico del cammino con un la protesi si indossa più facilmente, (MAS). L’innovazione di questa in- metabolimetro portatile (K4b2, Co- non si avverte alcuna limitazione vasatura sta nella forma, infatti per la smed) e cardiofrequenzimetro (Po- dei movimenti dell’anca, si riscontra prima volta l’ischio ed il grande gluteo non vengono inclusi nell’invaso e ciò determina la possibilità di ottenere una maggiore escursione articolare dell’anca, come si può rilevare dalla Figura 1. È stato studiato se questa variazione morfologica dell’invasatura poteva influire sia sul confort della protesi sia sul costo energetico del Figura 3. Analisi dell’energia assorbita e restituita dal piede protesico in presenza di cover cammino [2]. Sono stati cosmetico. A sinistra disposizione di marcatori catarifrangenti per la cattura del movimento con arruolati 7 amputati di sistemi stereofotogrammetrici (telecamere a infrarossi); a destra schema di principio del calcolo del coscia già utilizzatori di flusso di energia. Tecnologie Riabilitative n. 2 settembre 2014
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un miglior controllo della protesi, una maggiore stabilità, un miglioramento della propriocezione e dell’aspetto estetico. Nella relazione il tecnico protesista Roberto Pellegrini delle officine ITOP Palestrina (RM) ha illustrato le caratteristiche strutturali e funzionali e la tecnica di costruzione dell’invasatura MAS. Il Prof. Carlo Frigo, del Politecnico di Milano, ha trattato delle interessanti prospettive di utilizzo di nuovi strumenti software per la progettazione di protesi d’arto. In particolare sono stati presentati due approcci complementari che consistono rispettivamente nella simulazione dinamica del movimento e nell’analisi strutturale delle componenti protesiche. Secondo il primo approccio è stato mostrato come la complessa interazione tra segmenti anatomici in movimento possa essere riprodotta fedelmente attraverso una modellizzazione del corpo umano e l’animazione dello stesso mediante input sia cinematici sia dinamici. Nel modello è possibile inserire tipologie diverse di protesi e ottenere informazioni relative alla loro funzionalità in termini di cine-
Figura 4. Studio di un piede a restituzione di energia mediante Modelli ad Elementi Finiti (FEM). Le zone a maggiore sollecitazione possono essere evidenziate e gli opportuni accorgimenti per migliorare la resistenza possono essere opportunamente implementati.
matica, forze di interazione piedeterreno e moncone-invasatura, nonché i carichi che vanno a sollecitare le varie componenti strutturali, come piede ed elementi di collegamento. Riguardo all’analisi strutturale delle componenti protesiche, con riferimento al piede protesico a restituzione di energia è stato mostrato come sia possibile, attraverso l’analisi strumentale del movimento, quantificare il flusso di energia meccanica assorbita e restituita dalle diverse parti del piede protesico. Il particolare algoritmo implementato prescinde dalla rilevazione della deformazione della struttura e può quindi essere utilizzato anche quando la struttura non è visibile alle telecamere, quindi con la ricopertura del materiale cosmetico e della calzatura. Come ultimo aspetto è stato mostrato l’approccio allo studio delle sollecitazioni interne mediante Modelli ad Elementi Finiti (FEM). Gli strumenti software di modellazione sono attualmente in grado di simulare il comportamento di materiali compositi a comportamento isteretico non lineare e di fornire indicazioni sulle aree di maggiore sollecitazione e a maggiore rischio di cedimento. Con questa metodologia è possibile analizzare l’effetto del numero e dell’orientamento dei fogli di fibra di carbonio o di altro materiale, e progettare in modo virtuale una struttura complessa come il piede a restituzione di energia. Applicazioni più complesse prevedibili in un prossimo futuro riguardano lo studio delle sollecitazioni nelle varie parti dell’invasatura, che tenga conto non solo della sua complessa geometria ma soprattutto dei diversi principi ideati per il trasferimento al paziente dei carichi di appoggio. La Prof.ssa Maria Grazia Benedetti
della SC di Medicina Riabilitativa dell’Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna ha presentato un nuovo dispositivo pneumatico per la deambulazione precoce in pazienti amputati di arto inferiore, realizzato nell’ambito di un progetto di ricerca grazie alla collaborazione della RTM Ortopedia Personalizzata di Budrio (Bo). Il tentativo di protesizzare molto precocemente il paziente amputato di arto inferiore è da tempo in atto nel mondo anglosassone e nel panorama mondiale più in generale [711]. Questo approccio è nato con lo scopo di ridurre l’edema del moncone, favorire la verticalizzazione e la deambulazione del paziente in tempi brevi, con il fine di conservare lo schema corporeo riducendo così anche il dolore d’arto fantasma. Inoltre ciò ha reso possibile una migliore preparazione del paziente all’utilizzo della protesi definitiva, rendendolo autonomo in tempi brevi sia in termini di confidenza con il dispositivo protesico sia in termini di migliore performance deambulatoria. Nel mondo anglosassone tali dispositivi chiamati Early Walking Aids (EWA’s) e presenti in diversi modelli commerciali, sono comunemente impiegati come parte del programma riabilitativo del paziente amputato, generalmente per patologia vascolare. L’Istituto Ortopedico Rizzoli ha da sempre rivolto un’attenzione particolare ai pazienti operati per neoplasie dell’apparato muscolo-scheletrico che nel 5% dei casi sono ancora purtroppo soggetti ad amputazione di arto inferiore. Essendo questi pazienti per lo più giovani, con elevate richieste funzionali e con problematiche specifiche del moncone, è stato introdotto un percorso riabilitativo che pre-
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vede l’uso di un dispositivo pneumatico di nuova generazione che può essere utilizzato già nei primi giorni dopo l’intervento chirurgico al fine di facilitare la verticalizzazione e la deambulazione nei tempi che precedono la fornitura della protesi definitiva. Il dispositivo è caratterizzato, rispetto ai modelli disponibili in commercio, di adattamenti in base alle specifiche dimensioni del moncone del paziente, alla lunghezza e all’allineamento del suo arto inferiore, in modo da rendere la deambulazione il più fisiologica possibile come illustrato durante la presentazione dall’Ing. Tommaso Nervegna della RTM. Con la protesi pneumatica è possibile seguire un percorso di rieducazione alla deambulazione e di esercizi per la propriocettività e l’equilibrio in preparazione della consegna della protesi definitiva (Figura 5). Tutti i pazienti che hanno partecipato allo studio sono stati estremamente soddisfatti dell’esperienza fatta, non ci sono state complicanze né sulla ferita chirurgica né a carico del moncone e l’uso della protesi definitiva è stata in tutti i casi facilitata dall’esercizio terapeutico con il dispositivo pneumatico. Il gruppo della Dott.ssa Neviani del Laboratorio Analisi del Movimento Bambino DisAbile dell’Ospedale Santa Maria Nuova di Reggio Emilia, ha presentato il protocollo di uno studio di ricerca sull’ efficacia della ortesi Carbon Ankle Seven (Otto Bock, Germania) rispetto alla più diffusa AFO articolata (HAFO) nel migliorare la funzionalità del cammino dei bambini affetti da diplegia spastica. Le ortesi di arto inferiore sono frequentemente utilizzate per migliorare le abilità locomotorie dei bambini con paralisi cerebrale infantile
Figura 5. Training per la deambulazione e l’equilibrio con protesi pneumatica temporane innovativa.
(PCI,) sebbene il livello di evidenza scientifica a sostegno del loro impiego sia a tutt’oggi ancora modesto [12]. Nei bambini con forme diplegiche di PCI, le ortesi più comunemente utilizzate sono le Solid Ankle Foot Orthosis (SAFO) e le ortesi articolate alla tibio- tarsica (HAFO). Tuttavia, recentemente, è stata proposta una ortesi di nuova concezione che contiene un componente in fibra di carbonio (Carbon Ankle Seven) il cui scopo è quello di accumulare energia in fase di appoggio e restituirla al momento del distacco del piede, incrementando la fase di spinta. Lo studio sperimentale prospettico e con disegno in cross-over prevede una iniziale fase pilota che prevede il reclutamento di 5 bambini che soddisfino i seguenti criteri di eleggibilità: età compresa tra i 6 e i 18 anni, affetti da PCI a localizzazione diple-
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gica e appartenenti alla 2° classe di diplegia, secondo la classificazione di Ferrari e coll [13]; indicazione clinica all’utilizzo di ortesi per il miglioramento della marcia; pazienti già in possesso dell’ortesi AFO o Ankle Seven in fase di rinnovo; pazienti con nuova indicazione clinica all’utilizzo di ortesi ma non ancora in possesso della stessa; consenso informato da parte dei genitori/tutori del minore. I pazienti diplegici non possono essere arruolati nello studio se presentano altre patologie associate che potrebbero pregiudicare la partecipazione del bambino alle attività connesse a questo studio (ad es. epilessia farmacoresistente). Inoltre i pazienti non devono aver subito trattamenti con farmaci antispastici e/o chirurgia funzionale agli arti inferiori nei 6 mesi precedenti l’inizio delle studio e non ci deve essere indicazione al trattamento chi-
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rurgico da praticare entro i 6 mesi successivi rispetto alla data di inclusione nello studio. Ogni soggetto utilizzerà, in una sequenza random, entrambi i tutori per un tempo di 4-6 settimane, al termine delle quali effettuerà una serie di valutazioni per valutare l’efficacia delle ortesi. L’outcome principale è rappresentato dalla potenza espressa dall’articolazione tibio-tarsica destra e sinistra in fase di spinta, rilevata tramite analisi strumentale del cammino [3D gait analysis con protocollo Total3DGait [14] con un sistema Vicon MX+ a 8 telecamere (Vicon Motion System, UK) corredato di due piattaforme di forza]. Gli outcome secondari sono misurati tramite analisi strumentale del cammino e riguardano la cinematica e i parametri spazio- temporali. A tutti i candidati viene effettuata an-
che una analisi osservazionale del cammino in cieco rispetto all’ utilizzo delle due ortesi tramite la Visual Gait Assessment Scale (OGS) [15]; viene registrato l’utilizzo dell’ortesi nelle attività delle vita quotidiana tramite la compilazione di un apposito diario e la preferenza di utilizzo di HAFO o di Ankle Seven nei tre mesi successivi alla fine della sperimentazione alternata dell’uno e dell’altro tutore. I risultati dello studio relativo al campione dei primi 5 soggetti arruolati sono attualmente in fase di elaborazione. Il giudizio di insieme sembra confermare la validità del costrutto, ma ha fatto emergere anche ulteriori possibilità di indagine sulla funzionalità delle ortesi. Infine per quanto riguarda l’uso di tecnologie innovative l’Ing. Marco Cavallaro, Responsabile MADEin-
Lab - Laboratory for Manufacturing & Design Innovations, ha evidenziato le più recenti attività di ricerca applicata alla progettazione e produzione di plantari e calzature. Per le ortesi plantari, la ricerca tecnologica si è per lo più concentrata sui plantari funzionali e biomeccanici, dove le specifiche di prodotto e il materiale utilizzato rappresentano da anni importanti vincoli nell’utilizzo efficace ed efficiente delle tecniche digitali come i sistemi CAD/CAM, più diffusi invece nella produzione di ortesi accomodative. A tal proposito le correzioni legate alla stilizzazione e alla procedura di fabbricazione non tengono conto, in modo quantitativo, delle diagnosi effettuate e delle correzioni necessarie. La procedura manuale implementata per la costruzione è difatti fortemente legata all’espe-
Figura 6. Principio della tecnica additiva, orientamenti e strategie di configurazione in base alla tipologia di prodotto e dati biometrici. Infine analisi individuale e prodotto realizzato.
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Figura 7. Test di accuratezza geometrica e dimensionale misurando 5 punti soggetti a stress durante l’uso dell’ortesi. Il grafico mostra infine i risultati rispetto alla tecnica CNC.
rienza individuale dell’operatore, che riesce a sfruttare solo qualitativamente i dati forniti dalle tecnologie diagnostiche (es. sistemi baropodometrici). Negli ultimi 5 anni, collaborazioni di ricerca con Ortopedia Michelotti e DigitalAid, hanno consentito a Cavallaro di sviluppare una piattaforma totalmente digitale di acquisizione dati, progettazione e produzione diretta di ortesi personalizzate [16-18], utilizzando esclusivamente tecnologie additive industriali, sistemi che nelle varianti low cost sono anche note come stampanti 3D (Figura 6). Sono state sperimentate diverse strategie di fabbricazione, parametri e materiali al fine di sviluppare ortesi altamente performanti, in grado di tenere conto quantitati-
vamente dei dati biometrici dell’utente. Dopo aver verificato le potenzialità di performance e funzionalità di tali protocolli produttivi (o settaggi), i risultati progettuali sono stati testati e validati in accordo con gli standard ISO 22651; e infine comparati con ortesi realizzate mediante tecniche convenzionali di fresatura a controllo numerico (CNC). Eccetto il settaggio C, gli altri scenari hanno restituito errori geometrici e dimensionali minori rispetto alle tecniche CNC (Figura 7). La resistenza meccanica, statica e dinamica di tali prodotti è risultata migliore rispetto ai plantari standard solo in alcuni settaggi, da ciò si evince che per la fabbricazione di tali dispositivi è necessaria la giusta combinazione di stra-
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tegia produttiva e settaggio macchina [17]. Infine, per quanto riguarda le calzature ortopediche, sono stati presentati gli aspetti più rilevanti della progettazione e realizzazione mediante un impianto di produzione industriale totalmente automatizzato, l’IPP (Integrated Pilot Plant) di Vigevano. In tal caso l’estetica, come anche la finitura del prodotto tiene conto delle tecniche di progettazione e modellazione più avanzate, potendo altresì garantire alti livelli di personalizzazione grazie all’utilizzo dell’approccio best-fit e/o fresatura della forma per l’utente. La funzionalità e il comfort possono invece essere gestiti con la scelta e la produzione di componenti e materiali appositamente progettati e realizzati al
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momento [19, 20].
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Gianluca Cauteruccio Ingegnere meccanico, consulente del Centro Ortopedico Marchigiano, proprietario del progetto MONO
Addio alle carrozzine “a postura unica” Modificare l’assetto per migliorare la qualità della vita Sino ad ora l’unico modo di svolgere diverse attività è stato quello di possedere più carrozzine oppure giungere a soluzioni di compromesso. Oggi invece parliamo di un ausilio che permette di modificare il proprio assetto, nella maggior parte dei casi, rimanendo seduti sopra e senza l’aiuto di utensili
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e attuali carrozzine in commercio presentano alcune criticità essenzialmente dovute al fatto che sino a qualche tempo fa questi ausili sono stati visti solo come uno strumento per la deambulazione, pensando quindi che la maggior parte dei disabili debba assumere un’unica postu-
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ra durante l’arco dell’intera giornata. Questa concezione risulta essere assai sbagliata in quanto sempre più gli utenti di questi ausili svolgono le stesse attività che svolgevano prima del trauma o dell’avvento della malattia. Sino ad ora a parte qualche rara eccezione l’unico modo di svolgere diverse attività è stato quello di possedere più carrozzine oppure giungere a soluzioni di compromesso. In questo lavoro sarà illustrata una carrozzina che al contrario di quelle attuali permette di modificare l’assetto della stessa nella maggior parte dei casi stando seduti sopra e in ogni caso senza l’ausilio di utensili, inoltre grazie all’utilizzo di accessori da la possibilità di praticare una vasta gamma di sport. Tutto questo senza tralasciare l’aspetto del peso dell’ausilio e l’estetica in quanto essere disabili non vuol dire per forza considerare sola la funzionalità e abbandonare l’estetica. In questo lavoro verranno illustrate le fasi che hanno portato alla realizza-
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zione di una serie di carrozzine innovative per disabili. In prima battuta verrà fatta un’analisi dello stato dell’arte, in seguito saranno illustrate le metodologie utilizzate per risolvere le criticità riscontrate nel precedente studio ed infine saranno mostrate le soluzioni trovate. Come già accennato nell’abstract le attuali carrozzine sono pensate per un’unica postura, come se il disabile durante l’intera giornata dovesse mantenere la stessa postura, ma durante una giornata tipo l’utente può trovarsi di fronte a diverse situazioni come ad esempio: • Muoversi in un ambiente domestico • Muoversi in un ambiente urbano • Stazionare davanti ad una scrivania per qualche ora • Praticare sport o fare una passeggiata su un prato. Come è facile intuire ognuna di queste azioni necessita di una postura diversa, ma le alternative attualmente presenti sono: • Avere diversi ausili sempre a disposizione • Scegliere una soluzione di compromesso Nel primo caso il disabile avrebbe sempre la postura corretta a fronte di svantaggi enormi, quale avere sempre a disposizione 3-4 carrozzine, affrontando una spesa non indifferente. Quanto detto rende di fatto la soluzione impraticabile. La seconda alternativa ha lo svantaggio di non far adottare mai al disabile la postura ideale. Anche se a prima vista non sembra un aspetto fondamentale, la corretta postura fa si che nel disabile non insorgano patologie quali piaghe da decubito e fa sì che lo stesso abbia un certo confort durante l’utilizzo. Il confort della carrozzina è importante perché un disabile deve permanere
sull’ausilio per diverse ore al giorno e se questo non è confortevole, in un tempo che va da qualche minuto a qualche ora, insorgono tutta una serie di problemi che vanno da piccole disturbi, fino a dolori che in alcuni casi risultano essere insopportabili. Un’altra problematica è stata individuata in fase di ordine e scelta della postura, infatti attualmente l’operazione di settaggio richiede qualche ora e in alcuni casi una volta effettuato l’ordine non è possibile variare i parametri. Questo fa si che siano necessarie diverse prove prima di effettuare l’ordine e in alcuni casi nonostante le prove effettuate si commettono degli errori. Per cercare di diminuire le criticità degli attuali ausili si è cercato di rivedere il concetto di carrozzina. Per fare ciò è stato costituito un team di persone provenienti da ambiti diversi, tra cui utenti, medici, ingegneri, fisioterapisti, ognuna delle quali ha offerto diverse competenze, in particolare sono stati valutati tre aspetti. Il primo è stato quello dell’utilizzatore (infatti, l’idea madre è nata da un utilizzatore), in secondo luogo è stato valutato l’aspetto della facilità di variazione delle
posture e la possibilità di individuare velocemente la più corretta. Infine è stato valutato l’aspetto meccanico dell’ausilio ponendosi come funzione obiettivo la realizzazione di un ausilio con tutte le movimentazioni richieste dall’utilizzatore, ma con caratteristiche di rigidezza resistenza e leggerezza almeno pari a quelle attualmente in commercio.
Materiali e metodi Per realizzare quanto sopra detto la prima fase è stata quella di definire le specifiche che la carrozzina doveva avere. Per quanto riguarda le movimentazioni abbiamo: • Variare la posizione del baricentro • Variare l’altezza posteriore • Variare l’angolo di apertura delle gambe • Variare l’angolo e l’altezza dello schienale • Variare la posizione delle pedane • Avere la possibilità di montare degli accessori per lo sport. Per i parametri quali resistenza, rigidezza e peso la definizione è stata molto complessa in quanto in letteratura non erano presenti dei dati, allora la scelta è stata quella di strumentare del-
Figura 1: Modello virtuale del semitelaio
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Figura 2: Asseto per movimentazione urbana
Figura 3: Assetto per relax
le carrozzine i cui valori di rigidezza e resistenza erano ritenuti sufficienti. Una volta strumentate sono state eseguite delle simulazioni di azioni di vita quotidiane come ad esempio la discesa da un gradino, l’impatto di lieve entità ed infine impatto violento (tale da causare una deformazione permanete dell’ausilio), da questa campagna di prove sono scaturiti dati rilevanti come ad esempio che la discesa di un gradino ha un fattore moltiplicativo del carico applicato in condizione statica di circa 2,7 volte[1]. Altre prove strumentali sono state effettuate per stabilire le forze necessarie per effettuare le regolazioni in quanto la posizione dell’attuatore influisce molto sulla forza esprimibile. I dati così ottenuti sono stati utilizzati per realizzare e validare una serie di modelli virtuali di carrozzine o di parti di esse. Questa scelta ha reso possibile l’effettuazione di prove totalmente virtuali che hanno abbassato sia i tempi che i costi del progetto stesso. La realizzazione dei suddetti modelli, oltre a fornire un valido aiuto dal punto di vista meccanico hanno fornito importanti informazioni per quanto riguarda le posture. Ad esem-
pio nelle figure 2 e 3 è possibile vedere i due estremi delle regolazioni. In seguito allo studio delle posture sono stati progettati tutti i sistemi di regolazione con i relativi attuatori, in base ai dati ottenuti dalle precedenti prove. Conclusa questa fase si è passati alla scelta dei materiali da utilizzare per realizzare l’ausilio. In prima battuta si era pensato di utilizzare interamente materiali compositi, ma data la vastità di giunti sarebbe stato necessario utilizzare svariati inserti metallici che avrebbero reso nulli i vantaggi in termini di peso, inoltre
Figura 4: Modello virtuale della carrozzina
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l’utilizzo di materiale composito avrebbe innalzato in maniera spropositata i costi per l’utente finale. Si è scelto quindi di utilizzare dove possibile una lega di alluminio chiamata commercialmente ergal mentre dove questo non forniva una resistenza adeguata è stata utilizzata la fibra di carbonio. Una volta che tutti i componenti sono stati progettati e tutte le verifiche sono andate a buon fine è stato realizzato il primo modello virtuale della carrozzina. Come si evince dalla figura 4 la telaistica è realizzata in alluminio, men-
Figura 5: Prototipo fisico
tre la seduta e lo schienale sono in fibra di carbonio, questo fa si che tali componenti siano estremamente rigidi. La rigidezza di questi due componenti, in particolare quella della seduta, fa sì che, al contrario della tela di cui normalmente sono equipaggiate le altre carrozzine, sia più efficace l’azione correttiva degli appositi cuscini e imbottiture. Successivamente sono state eseguite una serie di simulazioni multiobbiettivo per andare a ottimizzare i pesi e la resistenza. Terminata anche questa fase è stato realizzato il prototipo fisico.
RICERCA E INNOVAZIONE
tezza ed è possibile variarne l’angolo. Le pedane sono regolabili in altezza e in lunghezza anche singolarmente ed infine sono richiudibili per permettere all’utente di posizionarsi sotto tavoli e scrivanie più basse. Infine la possibilità di chiudere il braccio frontale e di abbattere lo schienale la rendono trasportabile in un trolley di medie dimensioni. Tutto questo con un peso di circa 9 kg senza ruote posteriori. Per verificare se le variazioni di assetto avessero l’effetto desiderato sono state fatte delle prove mediante un cuscino strumentato. In figura 8 è visibile l’andamento delle pressioni in due assetti differenti della carrozzina. In conclusione è stata realizzata una carrozzina nella quale è possibile variare l’assetto in maniera rapida stando seduti sopra l’ausilio, di rigidezza paragonabile alle carrozzine non regolabili e con una resistenza di qualche punto percentuale superiore a quelle attualmente in commercio. Queste caratteristiche offrono diversi vantaggi sia all’utente finale che all’eventuale accompagnatore e infine anche al rivenditore di ausili. ❑
Figura 6:Variazione altezza posteriore
Figura 7: Variazione dell’angolo anteriore
Risultati In figura 5 è possibile vedere il prototipo fisico, in questa carrozzina è possibile variare il baricentro facendo scorrere la seduta avanti e in dietro, infatti la seduta è dotata di guide a bassissimo attrito che permettono la movimentazione restando comodamente seduti sopra. Grazie ad un sistema di leve ed ad un ammortizzatore è possibile regolare sia l’altezza posteriore della seduta sia la risposta dell’ammortizzatore come visibile in figura 6. In figura 7 è possibile vedere la possibilità di scelta tra un angolo di apertura gambe di 90° o 75° senza compromettere la scorrevolezza. Inoltre grazie ad uno sgancio rapido è possibile sostituire le due rotelline
anteriori con una rotellina centrale nel caso in cui si voglia giocare a tennis oppure con una ruota tassellata da 8” nel caso in cui si voglia andare off-road. Lo schienale, come si evince dalle immagini precedenti, è regolabile in al-
References [1] G.Cauteruccio, S.Papalini“ Progetto di una carrozzina innovativa per soggetti diversamente abili” Atti del XXXIX Convegno nazionale AIAS, Maratea 2010
Figura 8: Variazione della pressione di contatto variando l’altezza posteriore
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L’ORTOPEDIA DEL MESE
Massimo Pulin Tecnico Ortopedico e presidente Orthomedica Srl
Orthomedica-Variolo: l’unione fa la forza Le due aziende si uniscono in una stretta sinergia Questa fusione scaturisce da una scelta condivisa dalle due proprietà per dare risposte sempre migliori alla classe medica e garantire l’attività di 45 collaboratori (tra cui 13 Tecnici Ortopedici) che operano tra le due sedi principali, quella sociale che resterà a Padova e quella produttiva che è rimasta a Treviso
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l 3 luglio 2013 si è potuto assistere alla nascita di una nuova realtà costituita dall’unione tra due aziende storiche, leader dell’ortopedia protesica della Regione Veneto: Orthomedica srl di Padova e Ortopedia Variolo di Treviso. Questo importante evento è avve-
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nuto grazie all’intervento decisivo del Dott. Sergio Durello, consulente di Orthomedica e profondo conoscitore del settore, nonché attore rilevante nel processo di crescita che Orthomedica ha avuto nell’ultimo decennio. Le difficoltà che le aziende devono affrontare insieme con la crisi economica, che purtroppo colpisce la maggior parte della popolazione, hanno dato origine all’impulso decisivo, che ha condotto alla riorganizzazione di queste due importanti realtà regionali del settore, portandole alla fusione in Orthomedica-Variolo, e alla nascita di un nuovo Consiglio di Amministrazione composto da Massimo Pulin, Luigi Variolo, Roberto Agnoletto, Roberto Postiglione e Mattia Milan. L’unione di queste due società garantisce l’attività di 45 collaboratori, tra cui 13 Tecnici Ortopedici, che operano tra le due sedi principali, quella sociale che resterà a Pado-
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va e quella produttiva che è rimasta a Treviso, e le Filiali di Verona, Trento, Vicenza, Santorso (VI) e Gorizia, già presenti in precedenza nella realtà di Orthomedica. Questa fusione, che scaturisce da una scelta non obbligata ma condivisa dalle due proprietà, per dare risposte sempre migliori e puntuali alla clientela e alla classe medica, rappresenta un’opportunità unica e singolare che porterà a continuità e a nuove prospettive aziendali. Tra i progetti principali di questa nuova realtà troviamo il potenziamento dei reparti che producono ortesi per patologie vertebrali, sia giovanili sia in età adulta, protesi, calzature su misura, ortesi plantari e ortesi e tutori per patologie dell’arto inferiore; gli ausili per disabilità motorie, inoltre, hanno personale dedicato per soddisfare le nuove esigenze portando a conoscenza del cliente utente le tecnologie più innovative. La formazione, alla quale Massimo Pulin presta particolare attenzione, viene garantita dall’accordo con l’associazione ICORA che, grazie al suo staff, ha il compito di organizzare corsi e congressi, con l’inten-
to di migliorare, nella classe medica, la conoscenza di nuove soluzioni tecniche e, negli operatori ortopedici, la capacità manuale di realizzazione di dispositivi richiesti dai medici, per portare a compimento il processo riabilitativo. E’ inoltre importante per l’associazione far comprendere agli operatori in formazione le interconnessioni tra la conoscenza teorica e l’applicazione pratica nel campo delle ortesi. Questa neonata e importante organizzazione sarà terreno fertile per lo sviluppo di sinergie che porteranno anche alla creazione di sistemi per la cura e prevenzione delle patologie degenerative del ginocchio, oltre al consolidamento della produzione di ortesi per il trattamento delle fratture vertebrali nell’età senile. Orthomedica-Variolo sarà anche protagonista nel trattamento di patologie in ambito sportivo, sia a livello dilettantistico sia assistendo squadre professionistiche, che si affideranno per la gestione delle problematiche, legate specialmente alle patologie podaliche.
Un po’ di storia Orthomedica srl nasce nel febbraio del 2000 ad opera di Massimo e Giancarlo Pulin; nel 2002 entra nella compagine sociale Roberto Postiglione con il Ruolo di Direttore Tecnico. L’obiettivo principale per
l’azienda era di mettere a frutto l’esperienza nel campo dell’ortopedia, che ha contraddistinto tre generazioni della famiglia Pulin. L’esperienza pluridecennale di Giancarlo ha dato lo spunto per impostare una metodologia di lavoro innovativa, nella quale la realizzazione dei presidi ortopedici si contraddistingue per la capacità dei realizzatori e per lo stretto rapporto di collaborazione che si instaura con il medico prescrittore. Orthomedica si contraddistingue, sin dalle sue origini, per la professionalità delle sue figure tecniche che ne hanno fatto, in breve tempo, un’azienda leader nel mercato dell’ortopedia su misura nel nordest italiano. “L’arte al servizio della natura”: un motto che è stato il simbolo guida e lo stimolo per Luigi Variolo, valente Tecnico Ortopedico delle Officine Ortopediche Rizzoli di Bologna, che nel 1918 fondò a Udine la sua azienda, l’Ortopedia Variolo. Sotto la sua guida, nel 1927 il figlio Aldo si trovò ben presto a condurre la filiale di Treviso, della quale in seguito rimase unico rappresentante. Persona dotata di una non comune sensibilità nei confronti delle persone con disabilità, non disgiunta da una grande passione per la tecnica ortopedica, Aldo Variolo seppe dare un notevole impulso all’azienda trevigiana, tale da ampliarne la notorietà sino a farla annoverare tra le più importanti in Italia e maggiormente conosciute all’estero. Giunta alla terza generazione con il dott. Luigi, L’Ortopedia Variolo fa ancora di quel motto il proprio cavallo di battaglia, continuando una tradizione che si confronta quotidianamente con esigenze sempre diverse e con tecnologie innovative. Ancora oggi, in-
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fatti, l’azienda provvede alla realizzazione dell’intera gamma dei prodotti ortopedici, con l’introduzione di tecniche e materiali all’avanguardia, mantenendo un’impronta legata alla tradizione.
Ricerca e innovazione Orthomedica-Variolo si pone l’obiettivo di migliorare, progettare, innovare, promuovendo la crescita delle aspettative della classe medica e dei clienti. L’innovazione del prodotto è il punto di forza di questa azienda che, grazie ad investimenti nella ricerca e nella formazione, vanta personale altamente specializzato e attrezzature all’avanguardia per la costruzione di presidi ortopedici su misura. Tali investimenti, insieme con gli ottimi risultati ottenuti nella produzione, hanno permesso ad Orthomedica –Variolo di ottenere tre importanti brevetti nel campo dei busti ortopedici: il busto BSO (2003), il busto I-BRACE (2012) e il busto BASIC (2014). Il primo è stato progettato per il
trattamento delle scoliosi neuromuscolari con possibile evoluzione, nelle quali il paziente presenta un aggravamento in posizione verticale sia della scoliosi sia della cifosi, obliquità pelviche molto importanti e un coinvolgimento respiratorio frequente a causa del danneggiamento dei muscoli intercostali e addominali. In questi casi si ha un’incidenza elevata delle paralisi degli arti e una necessità di trattamento ortesico prolungato nel tempo, che può comportare una scarsa compliance da parte del paziente e della famiglia. È un corsetto modulare costituito da una valva posteriore sacrale e dorsale regolabile in altezza, da due emivalve iliaco-addominali unite alla parte sacrale della valva posteriore e tra di loro, anteriormente, tramite viti e cerniere. Esso presenta, inoltre, una placca sternale fissata al corsetto da viti, la quale può essere prolungata con due appoggi sottoclaveari e, nel caso in cui fosse necessario, può essere dotato di minerva fissata direttamente allo stesso.
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Il busto viene costruito a partire da un calco in gesso effettuato su di un lettino di trazione con sistema di recupero della lordosi fisiologica, con bande di derotazione e trazione cervicale, alla presenza di un medico. Il positivo del calco viene quindi modificato aumentando il volume della regione glutea, precedentemente schiacciata dalle bande di derotazione, della parte addominale e di quella toracica, accentuando dei fianchi e le creste iliache, senza apportare alcuna variazione alla parte posteriore. Il busto è anche indicato per il trattamento della spina bifida, nelle scoliosi non idiopatiche e nel trattamento post-operatorio. Il BSO, dunque, è un corsetto modulare che presenta un’adeguata apertura anteriore che ne facilita l’utilizzo, “cresce” con il paziente, spesso di giovane età, grazie a sistemi di viti e cerniere, rispetta l’espansione toracica, corregge la scoliosi in maniera ottimale rallentandone l’evoluzione e non ha limiti di età.
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Il corsetto I-BRACE è stato concepito per sostenere il recupero di fratture o cedimenti vertebrali, singoli o multipli, e per l’ipercifosi. Una delle più frequenti cause di frattura del corpo vertebrale è l’osteoporosi. Come è noto, l’osteoporosi è una condizione clinica caratterizzata dalla riduzione della massa ossea che comporta l’aumento della fragilità dell’osso e conseguente incremento del rischio di fratture. Tra tutte le fratture su base osteoporotica, quelle vertebrali sono le più “precoci” e le più comuni. La tipica frattura vertebrale osteoporotica è quella da compressione e interessa più frequentemente le vertebre del tratto dorsale intermedio e quelle del tratto dorso lombare; quando la frattura si produce spontaneamente, cioè in assenza di traumatismi rilevanti, viene anche chiamata cedimento vertebrale. La diagnosi e il trattamento delle fratture vertebrali sono associati ad un alto rischio di invalidità a lun-
go termine, conseguente alla progressiva deformità vertebrale causata dalla frattura stessa. Il graduale incurvamento in avanti della colonna comporta un sovraccarico di lavoro della sua muscolatura, con conseguente mal di schiena cronico; caratteristico anche l’accorciamento del tronco e l’abbassamento della statura. Il corsetto rappresenta il trattamento conservativo che, grazie alle sue caratteristiche tecniche, mantiene in iperestensione la colonna vertebrale scaricando il peso dalla vertebra fratturata, e permettendo all’osso di cicatrizzarsi. L’I-BRACE è costituito posteriormente da una valva in polietilene da 3 mm, che nella parte inferiore sporge in avanti avvolgendo le creste iliache (questa tecnica chiamata presa di bacino serve per dare al corsetto un punto di ancoraggio), anteriormente, alla quale è fissata una banda in elastico armato con velcro di ritenzione che serve per chiudere il corsetto. All’altezza delle spalle vengono fissate sulla valva posteriore due spallacci rivestiti ed imbottiti; queste ultime passano anteriormente afferrando le spalle, scorrono sotto il cavo ascel-
lare e si incrociano posteriormente al centro del punto vita, dove intersecano un passante che le fissa evitandone lo scivolamento, e terminano al lato della presa di bacino, dove vengono bloccate grazie a due bottoni che consentono di personalizzare il tiraggio degli spallacci. La valva posteriore viene rinforzata con due lastre di carbonio da 34 mm, fissate a livello paravertebrale, per dare un maggior sostegno al corsetto e una migliore elasticità in senso antero-posteriore. Infine il corsetto viene rivestito internamente con del plastazote da 5 mm per garantire un maggiore comfort al paziente. Il busto è realizzato su misura tramite calco gessato: il soggetto viene fatto salire su un apposito attrezzo per la rilevazione dei calchi, che gli consente di mantenere e autocorreggere le curve sagittali. Una volta pronto il positivo ricavato dal calco, si passa alla termo modellatura dei materiali; si scalda una lastra di plastazote in un apposito forno, a 160° per circa due minuti poi viene adagiata sulla forma del positivo per modellarla e sagomarla.
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In seguito si scaldano due aste di carbonio, ad una temperatura di 180° e per circa un minuto e mezzo, le quali sono posizionate in zona paravertebrale sul retro della forma e, infine, una lastra di polietilene a 160° per circa sette minuti, adagiando poi anch’essa sulla forma. Successivamente, a completo raffreddamento, vengono applicati gli spallacci, la fascia in elastico armato e i bottoni. Lo scopo di questo corsetto è di sostituire l’iperestensore a tre punti che non riesce a soddisfare completamente il medico ed il paziente in quanto ingombrante, pesante, troppo rigido ed esteticamente poco accettato. Il Busto Antigravitario per Soggetti Ipercifotici (BASIC), invece, è applicato nel trattamento di particolari dismorfismi o deformità sagittali del rachide, in altre parole patologiche deviazioni posteriori (cifosi) o anteriori (lordosi), conseguenti ad alterazioni strutturali disco-legamentose ed ossee vertebrali; esse, talvolta, possono risultare molto accentuate (ipercifosi to-
racica e/o iperlordosi lombare) o diminuite (lordosi toracica e/o cifosi lombare). Secondo la casistica prevale di gran lunga su tutte le altre, per frequenza, la cifosi toracica (dorso curvo) adolescenziale (giovanile) di Scheuermann, essenzialmente dovuta a un minore accrescimento in altezza nella parte anteriore dei corpi vertebrali. Nella maggior parte dei casi la sola ginnastica medica non è sufficiente e a questa va associata un’ortesi antigravitaria. Il corsetto tipo BASIC ha il vantaggio che, pur rispettando tutte le norme biomeccaniche correttive, risulta ben tollerato, è poco impattante da un punto di vista estetico e presenta un’ottima adattabilità. Il busto mono-valva in polietilene ha il compito di iperestendere la colonna vertebrale dall’osso sacro fino all’apice della curva cifotica. Il corsetto funziona agendo su tre punti di spinta: posteriormente sull’apice della curva cifotica, anteriormente sui monconi delle spalle e, sempre anteriormente, sul bacino.
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La valva nella parte posteriore presenta un foro che percorre tutta la colonna vertebrale per lasciare libere le apofisi spinose, al suo interno sono posizionati in corrispondenza del foro e quindi paravertebralmente due pressori che spingono sull’apice della cifosi; nella parte anteriore, alta, la valva viene serrata attraverso una chiusura a velcro, mantenendo così la pressione esercitata dalle spinte acromiali, sui monconi delle spalle. Nella parte anteriore bassa, il corsetto aderisce perfettamente al bacino grazie alla fascia elastica che viene applicata. Infine il corsetto è completato con degli spallacci che partono dalle spinte acromiali, si incrociano posteriormente passando attraverso un passante fissato in alto sul posteriore del corsetto e finiscono a lato, dove vengono agganciati a dei bottoni, adesi anch’essi al corsetto, che offrono la possibilità di regolarne la tensione.
Orthomedica-Variolo, grazie alla collaborazione con il Prof. Giancarlo Pellis, ha potuto portare avanti il progetto della ginocchiera KTJ-ORTHO a centro di rotazione variabile (CRV), un sistema solidale con i movimenti dell’articolazione che non crea conflitti tra la traiettoria fisiologica e quella meccanica tali da scatenare tensioni nocive, sia nella ripresa della deambulazione post–trauma e post-operatoria, sia per le persone anziane con patologie degenerative. Grazie a questo prodotto molto innovativo, Orthomedica –Variolo si propone di far fronte alle esigenze di un più ampio bacino di utenza, unendo, in un solo dispositivo, versatilità e praticità.
Associazioni e impegno internazionale La nuova realtà Orthomedica-Variolo è stata presentata il 20 settembre 2013, alla presenza di Massimiliano Barison, assessore al lavoro della Provincia di Padova e padrone di casa alla conferenza stampa, e del consigliere del Comune di Padova Alberto Salmaso. In questa sede, i due rappresentanti illustri si sono dichiarati più che orgogliosi di poter assistere alla nascita di questa unione che, in un momento così difficile per le imprese, ha tutte le carte giuste per crescere. Tali parole sono state sottoscritte anche da Tito Alleva, presidente di Confapi Padova, cui Orthomedica-Variolo è associata, il quale è fiero di poter appoggiare un’azienda che continua ad investire e vuole puntare su un know-how innovativo, segnale per lui importante per tutta l’economia padovana e non solo. L’impegno di Orthomedica-Variolo non si limita al mercato italiano; infatti, grazie al lavoro di Litaco Srl, azienda diretta da Pietro Di Falco che opera per creare una rete di imprese del settore sanitario-riabilitativo in Libia e negli stati limitrofi, negli ultimi tempi sono stati stretti importanti rapporti con quel paese, intensificatisi con la partecipazione all’Expo sanità che si è tenuta a Tripoli dal 10 al 12 settembre 2013. Per concludere, l’associazione ICORA, di cui Pulin è presidente, segue tutta la parte formativa in campo medico sanitario, per fornire sempre maggiori competenze sia al personale interno sia a tutti coloro che sono interessati ad avere una formazione nel settore. L’associazione, inoltre, ha promosso in Libia un percorso formativo per Tecnici Ortopedici e anche in Moldavia partirà un analogo progetto legato alla formazione. ❑
business solution 34 BUSINESS SOLUTION
Franco Molteni Direttore Centro di Riabilitazione Villa Beretta (LC)
Il guanto GLOREHA dà una mano alla riabilitazione post-ictus
E il trattamento può continuare a casa Il guanto riabilitativo made in Italy è inserito nel protocollo di trattamento di pazienti sub-acuti e cronici. Con la mobilizzazione delle dita, unita alla simulazione 3d dei movimenti, si punta alla stimolazione propriocettiva e dei processi di pianificazione del controllo motorio
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l guanto riabilitativo made in Italy è inserito nel protocollo di trattamento di pazienti sub-acuti e cronici. Con la mobilizzazione delle dita, unita alla simulazione 3d dei movimenti, si punta alla stimolazione propriocettiva e dei processi di pianificazione del controllo motorio.
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Gloreha (Hand Rehabilitation Glove), sviluppato e prodotto interamente in Italia, è l’ultima innovazione disponibile sul mercato per supportare la riabilitazione neuromotoria della mano. Si tratta di un guanto in grado di offrire un trattamento intenso, stimolante, precoce e flessibile. Alla mobilizzazione delle articolazioni metacarpofalangee e interfalangee, secondo sequenze ed esercizi vari (es. flessoestensione delle singole dita, pinze, chiusura a pugno, conteggio…) sono associati effetti video e audio atti a rendere la terapia più motivante ed amplificare il concetto di immaginazione e pianificazione del movimento, in modo da contribuire a mantenere nel paziente neurologico un’afferenza del movimento funzionale e la rappresentazione corporea. Il guanto è leggero, confortevole ed elastico, così che il paziente può anche accompagnare attivamente i movimenti, stimolato
BUSINESS SOLUTION
dalla simulazione 3D simultanea. Il dispositivo lascia il braccio e il palmo del paziente completamente liberi, consentendo perciò esercizi di reaching e grasping.
Dall’Italia al resto del mondo Dopo l’introduzione nei centri pilota Ospedale Valduce Villa Beretta di Costamasnaga (Lc) e Habilita di Sarnico (Bg), oggi Gloreha fa parte della routine riabilitativa in molti ospedali e case di cura: da Villa Rosa di Pergine Valsugana (Tn) all’Ospedale La Colletta di Arenzano (Ge), dal San Gerardo di Monza al San Giorgio di Ferrara, dal National Spinal Cord Injury Unit di Glasgow al Centre Hospitalier Princesse Grace di Monaco (l’elenco completo delle strutture dotate di Gloreha è disponibile all’indirizzo www.gloreha.com). Un approccio integrato Presso Ospedale Valduce Villa Beretta ci si è concentrati sull’utilizzo sia su pazienti in fase post-acuta con condizioni di flaccidità dei muscoli flessori delle dita, che nel post trattamento focale della spasticità con
tossina botulinica. In ambedue le situazioni il trattamento con Gloreha è stato inserito in un processo terapeutico che prevedeva procedure integrate temporalmente, in quanto insieme alla mobilizzazione coordinata sono stati sequenzialmente effettuati trattamenti di elettrostimolazione degli estensori delle dita. Inoltre si è iniziato a far precedere o ad effettuare contestualmente alla mobilizzazione con Gloreha la tDCS secondo protocolli in fase di studio. Un ulteriore elemento introdotto nell’ambito di progetti di ricerca in fase di avvio è stata l’analisi EEG durante la terapia effettuata con Gloreha al fine di misurare gli effetti centrali della mobilizzazione, pensata e controllata con induzione di attività a complessità variabile. Il contesto scientifico per un razionale di utilizzo di Gloreha è dunque nell’ambito di un approccio integrato multisensoriale, con gradi di complessità da individualizzare rispetto alle condizioni di ogni singolo paziente ed associato ad interventi di neuromodulazione sia centrale che periferica. La condizione di attività della mano
indotta dalla mobilizzazione con Gloreha consente un concreto intervento terapeutico che si avvalga di possibilità di stimolazione propriocettiva e di induzione dei processi di pianificazione del controllo motorio altrimenti difficilmente realizzabili in modo preciso, programmabile ed individualizzabile.
Continuità riabilitativa I risultati sono positivi anche in termini di interesse/motivazione del paziente, e proprio per questo ha trovato spazio la proposta di Gloreha Lite, la versione domiciliare del dispositivo, più piccola ed economica, che ha permesso di garantire continuità di cura specifica e controllata. La persistenza di trattamento in contesti non ospedalieri vedrà certamente ulteriori sviluppi nel futuro prossimo poiché si allinea sia con il progresso delle conoscenze scientifiche dei meccanismi di induzione della plasticità sinaptica che con le necessità di modificazione dell’organizzazione sanitaria in termini di qualità, continuità e sostenibilità dei processi di riabilitazione. ❑
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assistenza e ausili 36 ASSISTENZA E AUSILI
Francesco Della Gatta
Presidente AITO
Il terapista occupazionale, promotore di benessere Il profilo e le potenzialità del professionista La Terapia Occupazionale lavora su tre aree fondamentali “persona occupazioni e ambiente”. Una professione sanitaria il cui obiettivo primario è quello di consentire alle persone di partecipare alle attività della vita quotidiana
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n Italia quella del Terapista Occupazionale (T.O.) è una professione sanitaria regolamentata dal DM 17 gennaio n.136, dove leggiamo per l’appunto: “E’ individuata la figura professionale del terapista occupazionale, con il seguente profilo: il terapista occupazionale è l’operatore
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sanitario che, in possesso del diploma universitario abilitante, opera nell’ambito della prevenzione, cura e riabilitazione dei soggetti affetti da malattie e disordini fisici, psichici sia con disabilità temporanee che permanenti, utilizzando attività espressive, manuali-rappresentative, ludiche, della vita quotidiana.” Per diventare T.O. è necessario superare un concorso, con relativo test d’ingresso, iscriversi ad uno dei corsi di laurea triennali presenti sul territorio italiano e laurearsi con conseguente abilitazione all’esercizio della professione, come recita il DM sopracitato: “Il diploma universitario di terapista occupazionale, conseguito ai sensi dell’articolo 6, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, abilita all’esercizio della professione.” Sempre in Italia il terapista occupazionale fa parte di quelle professioni sanitarie regolamentate ma non
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ordinate e quindi è rappresentata da un’associazione nazionale AITO (Associazione Nazionale Terapisti Occupazionali) presente in ogni regione dal 1977 e riconosciuta dal Ministero della Salute ai sensi del DM 26 aprile 2012 e successivo decreto direttoriale del 30 luglio 2013 (ed è soggetta a controlli nel tempo per mantenere questo status). I Terapisti Occupazionali sono rappresentati in ogni stato da enti molto vicini a quelli che noi definiamo ordini, in Europa confluiscono tutti in un ente chiamato COTEC (Council Occupational Therapists European Countries) nel mondo, invece, nella WFOT (World Federation Occupational Therapy). Lo sviluppo di questa professione all’estero ha portato i terapisti occupazionali a diventare un elemento imprescindibile nei processi di riabilitazione, non solo, ma addirittura elementi fondamentali anche nelle scelte politiche, in molti servizi di natura non sanitaria (Sono presenti per esempio nelle assicurazioni, nelle scuole etc. etc.). La federazione mondiale, si legge nel sito web, definisce la Terapia Occupazionale “… è una professione sanitaria centrata sulla persona, interessata a promuovere la salute e il benessere attraverso l’occupazione. L’obiettivo primario della terapia occupazionale è quello di consentire alle persone di partecipare alle attività della vita quotidiana. I terapisti occupazionali raggiungono questo risultato lavorando con persone e comunità per migliorare la loro capacità di impegnarsi in occupazioni che vogliono, hanno bisogno di, dovrebbero fare, oppure modificando l’occupazione o l’ambiente per meglio sostenere il loro impegno professionale. (WFOT 2012)”. È una professione che utilizza, quin-
di, come mezzo principale di trattamento le “occupazioni”, queste, si riferiscono alle attività quotidiane che le persone fanno come individui, nelle famiglie o nella società per occupare il tempo e portare significato o uno scopo alla loro vita. Col termine occupazione si intende ciò che le persone vogliono fare, devono fare, gli altri si aspettano che facciano. In perfetta armonia con il modello biopsicosociale ICF, la terapia occupazionale lavora su tre aree fondamentali “persona occupazioni e ambiente”. Questo è necessario affinché il Terapista Occupazionale comprenda appieno i bisogni della persona e insieme a quest’ultima costruisca un programma di riabilitazione. Per questo motivo in terapia occupazionale le persone non vengono definite “pazienti” ma veri e propri “clienti”, loro si presentano dal T.O. e insieme decidono come risolvere
il loro problema. Il tutto inizia con un’intervista evidenziando capacità, interessi, profilo emotivo della persona. Successivamente il terapista utilizza i propri strumenti di valutazione (Ad esempio il Canadian Occupational Performance Measure (COPM) o l’Assesment of Motor and Process Skills (AMPS)) per analizzare in tutti i suoi aspetti la “PERFORMANCE OCCUPAZIONALE” (Il come fa qualcosa, per intenderci), sia in termini di qualità che di soddisfazione. Tutti gli strumenti di valutazione del terapista occupazionale sono validati a livello internazionale con numerose evidenze a riguardo. Questo è il momento più delicato di tutto il lavoro perché si decidono gli obiettivi a breve, medio e lungo termine e si instaura la vera e propria alleanza terapeutica tra cliente e terapista. Per far sì che il terapista occupazionale possa guidare questo processo
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lo si è dotato di “MODELLI DI PRATICA” che aiutano a comprendere ed evidenziare i reali bisogni del cliente. Spesso a seguito di patologie complesse, può risultare difficile far emergere le proprie necessità o desideri, altre volte, si è totalmente impossibilitati nel poterle comunicare. Proprio da queste difficoltà e partendo dai modelli si è sviluppata l’Evidence Based Occupazional Therapy (EBOT) che dimostra sempre di più l’efficacia della terapia occupazionale non solo in termini clinici ma anche di risparmio economico. Con il supporto di questi modelli, quindi, il terapista occupazionale può evidenziare e successivamente selezionare insieme al cliente le necessità di cui sopra e individuare gli obiettivi del trattamento. Il ruolo del T.O., una volta individuata l’occupazione, è quello di riattivare un processo di “PROBLEM SOLVING” nella persona, cosi da far acquisire capacità trasversali che non utilizzerà solo per quello che lo interessa ma anche nelle altre attività aumentando sensibilmente la “PARTECIPAZIONE” alla vita. L’occupazione per come è intesa dai T.O. genera “MOTIVAZIONE” che sprona la persona al miglioramento generale della propria esistenza (parallelamente aumentando le abilità
di problem solving). Considerando il funzionamento dell’apprendimento umano immaginate quanto sia più complesso riattivare un processo di problem solving in una persona affetta da patologia x che negli anni ha acquisito un discreto bagaglio di esperienze e somatizzato un proprio schema corporeo, rispetto a chi nasce con patologie congenite: nel primo caso il T.O. dovrà resettare tutto per guidare la persona alla scoperta del nuovo schema corporeo, nel secondo, tutto questo non sarà necessario in quanto dal primo giorno ci si scontra con i limiti imposti dalla patologia. In questo modo si ha una visione più ampia che permette di donare al cliente la possibilità di continuare a vivere in totale o parziale autonomia (considerando sempre i limiti imposti dalla patologia). Tra gli obiettivi potremmo trovare ad esempio la costruzione di strategie alternative per portare a termine un compito all’interno di un’occupazione: • una persona affetta da patologia x si presenta dal terapista occupazionale che dopo un’attenta valutazione evidenzia il suo desiderio di tornare a fare il lavoro che ha sempre amato e fatto prima dell’evento che lo ha reso “disabile”.
Tutte le sue attività complementari costringono il Terapista Occupazionale ad un aggiornamento continuo proprio per la presenza delle numerose tecnologie con cui si entra in contatto Tecnologie Riabilitative n. 2 settembre 2014
Se questa persona volesse tornare a fare il cuoco quest’ultima risulterebbe essere l’occupazione tanto ricercata. All’interno di ogni occupazione ovviamente ci sono attività e compiti che il terapista occupazionale utilizza come mezzo per raggiungere il gol prefissato. • La persona che vuole tornare ad essere cuoco seleziona la sua ricetta preferita che si trasforma nell’attività all’interno dell’occupazione. Una volta selezionata l’attività la si scompone in più compiti e questo facilita non solo il lavoro di individuazione delle difficoltà del cliente nel portare a termine l’attività (che possono essere cognitive o motorie ad esempio) ma allo stesso tempo semplifica il processo di apprendimento dell’eventuale nuova strategia suggerita dal T.O. Il T.O. tiene in considerazione i “RUOLI SOCIALI” che caratterizzano ognuno di noi (essere genitore, figlio, professore, medico etc. etc. etc.) perché sono strettamente correlati alle occupazioni che potrebbero essere individuate o addirittura essere delle occupazioni. È ovvio che in taluni casi non sempre è possibile tornare a “fare” l’occupazione tanto desiderata come prima, però questo non deve precludere il raggiungimento di livelli di performance soddisfacenti per persone che di fronte alla loro patologia credevano di aver chiuso definitivamente con la vita. Se in tutto ciò si riscontrano delle difficoltà il terapista occupazionale può ricorrere: all’inserimento nel trattamento di specifici ausili o ortesi oppure alle modifiche ambientali. Può consigliare l’uso di determinati ausili o ortesi (partecipando anche all’ideazione) e successivamente addestrare la persona all’uso.
L’ausilio o l’ortesi possono anche essere degli strumenti temporanei, per arrivare a superare la difficoltà del momento e non devono per forza essere presidi che accompagneranno la persona per tutta la vita (questo può dipendere anche dagli esiti della patologia). Qualora tutto ciò non dovesse sortire alcun effetto il T.O., può ricorrere alla modifica ambientale. Parliamo dell’ambiente fisico contenitore fisiologico di tutte le attività dell’uomo, che spesso limita la partecipazione alla vita non solo di persone con problemi ma anche di quelle che non ne hanno! Insieme ad architetti e geometri il T.O. può contribuire a modifiche ad hoc per esempio nei casi in cui lo prevede il cliente o anche in collaborazione con enti pubblici. È chiaro che non c’è un ordine gerarchico nell’intervento del T.O., quindi, può risultare necessaria una modifica ambientale o l’inserimento di un ausilio nel progetto riabilitativo anche subito dopo la valutazione iniziale. Queste due attività complementari costringono ad un aggiornamento continuo proprio per le numerose tecnologie con cui si entra in contatto. Basti pensare all’evoluzione degli ausili, alle protesi di ultima generazione, alle tecnologie domotiche. Il terapista occupazionale lavora in equipe multidisciplinare con ogni tipo di patologia e con qualsiasi fascia di età, ma soprattutto, è una professione che può lavorare molto nella prevenzione, nel reinserimento domiciliare, lavorativo e nell’avviare o tornare alla prativa sportiva. E’ per questo che in numerosi stati esteri lo possiamo trovare, ad esempio, nelle scuole di infanzia, lo troviamo nello staff di ricerca per lo studio nella prevenzione di patologie dovute a posture errate, lo troviamo perfino nelle carceri (numerose evidenze scientifiche sono presenti nei più comuni motori di ricerca per pubblicazioni). Sicuramente c’è da dire che la difficoltà che il T.O. ha in Italia nel trovare il suo spazio è dovuta alle stesse difficoltà che oggigiorno un sistema sanitario nazionale ha nel superare la crisi che sta vivendo. Il terapista occupazionale con il suo contributo può partecipare al risparmio nei processi di riabilitazione evitando, proprio per sua natura, sprechi di qualsiasi genere. Per qualsiasi altra informazione si può visitare il sito internet dell’AITO ww.aito.it. Ricordate: c’è sempre un modo per fare quello che si ❑ desidera!!!
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Marina Menna Direttore Unità Operativa Complessa di Riabilitazione
Ausili e disabilità plurima alla ricerca di soluzioni L’esperienza dell’Istituto Serafico di Assisi Fondato nel 1871 dal francescano Beato Frate Ludovico da Casoria come Istituto pedagogico, oggi è un Centro riabilitativo a prevalente valenza sanitaria e accreditato con il Sistema Sanitario Nazionale. In particolare il Serafico è orientato alla ricerca di proposte innovative supportate da personale qualificato e moderna tecnologia
E ssere al servizio di bambini e ragazzi con gravissime disabilità plurime e delle loro famiglie affinché si sentano aiutati in un percorso riabilitativo che superi anche il limite dei pregiudizi, delle barriere psicosociali, degli stereotipi culturali sulla disabilità: questa la missione dell’Istitu-
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to Serafico di Assisi. Fondato nel 1871 dal francescano Beato Frate Ludovico da Casoria come Istituto pedagogico affinché ragazzi ciechi e sordi potessero essere avviati ad un mestiere e sperare così in un futuro, oggi è un Centro riabilitativo, a prevalente valenza sanitaria, accreditato con il Sistema Sanitario Nazionale. È articolato in servizi residenziali, semiresidenziali ed ambulatoriali per la riabilitazione di bambini e ragazzi con pluriminorazioni fisiche, psichiche e sensoriali. Da sempre sensibile al richiamo dei bisogni dei più deboli, l’Istituto oggi opera coniugando alta competenza scientifica e forte spirito umanitario. In particolare è orientato alla ricerca di proposte innovative, supportate da personale qualificato e moderna tecnologia, allo scopo di favorire lo sviluppo delle potenzialità presenti nei ragazzi pluridisabili e permetterne l’esplicitazione nel-
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l’ambiente di vita familiare e di partecipazione sociale. Ambulatori medico-specialistici e riabilitativi, laboratori educativo-occupazionali di pedagogia speciale e residenze vita sono quotidianamente operativi e dedicati a tale scopo. La Diagnostica clinico-funzionale è realizzata da un’equipe multidisciplinare con specialistiche di tipo medico, psicologico, pedagogico e sociale. Vengono valutati bambini provenienti da tutto il territorio nazionale per la formulazione e la stesura di Progetti Riabilitativi Individualizzati (PRI), comprensivi della proposta di presidi ed ausili. Strumentazione diagnostica innovativa correda gli ambulatori specialistici e riabilitativi. La presa in carico riabilitativa si connota come riabilitazione globale. Ogni bambino ha la possibilità di sperimentare percorsi individualizzati relativi alle diverse aree di sviluppo, potendo essere inserito in attività consone al suo livello funzionale, alle sue attitudini e motivazioni ed è monitorato da un’equipe integrata di operatori di area sanitaria, riabilitativa, educativa, assistenziale in stretto collegamento con la famiglia. I percorsi riabilitativi sono relativi a molteplici aree: motorio-prassica, cognitivo-comunicativa, sensoriale, psico-relazionale e comportamentale, creativo-espressiva, attività di vita quotidiana, autonomie personali e sociali, cure sanitarie ed assistenziali, alimentazione, tempo liberobenessere e qualità di vita, educazione spirituale, parent training e counseling. Nell’ambito del percorso riabilitativo s’inserisce anche la cura rivolta a tutta la famiglia del bambino accolto, secondo il modello Family Centered Care. L’interesse si posa sia sui genitori che su fratelli e sorelle (si-
blings) di bambini e ragazzi con disabilità. È presente un Servizio Psicologico alle famiglie di tipo sistemico-relazionale. È altresì attivo un Servizio di Segretariato Sociale in merito ad informazioni sulle patologie trattate, sui servizi offerti, sulle tematiche inerenti la disabilità (consulenza legislativa, previdenziale, tutelare).
Gli ausili come risorsa nel percorso/progetto Particolare attenzione viene riservata allo studio, alla proposta ed all’utilizzo di ausili, in considerazione delle peculiarità insite nella condizione complessa di disabilità plurima. Già nella considerazione del termine puntiamo sull’accezione semantica di ausilio quale “soluzione operativa interattiva”, inserita nel sistema dinamico del percorso riabilitativo, caratterizzato da interventi complementari ed integrati su persona, ambiente, contesto. Ci riferiamo quindi a tutte quelle soluzioni anche tecnologiche, ma non necessariamente tali, che aiutano a muoversi, comunicare, apprendere, agire nel quotidiano, partecipare, in una parola a vivere. Tali soluzioni costituiscono senza dubbio una “risorsa” in una pro-
gettualità operativa studiata nella cornice del “prendersi cura”, approccio trasversale e globale, unico e utile a soddisfare i numerosi e complessi bisogni presenti. Parlare di ausili, quindi, se riferito alla disabilità plurima non può ridursi solo a conoscere ed elencare una serie di apparecchiature, dispositivi, strumenti ed a proporli, ma deve significare saper rispondere agli obiettivi riabilitativi dettati dalle necessità dei diversi ambiti, fornendo opportunità, idee, strategie, insieme allo strumento che diventa “uno” e non “il solo” dei facilitatori. Disabilità plurima è infatti sinonimo di estremo svantaggio, in presenza di quadri clinici complessi ed eterogenei di diversa etiologia e tempo di insorgenza. Si definisce plurima perché si evidenziano deficit in più aree funzionali: motoria, cognitiva, comunicativa, comportamentale, emotiva. Se si associano anche deficit sensoriali di vista e/o udito aumentano le conseguenti gravi limitazioni delle autonomie personali ed in generale della possibilità di interagire con l’ambiente circostante. Gli operatori che si trovano a lavorare con questo tipo di pazienti affrontano delle ardue sfide dal mo-
Particolare attenzione viene riservata allo studio, alla proposta ed all’utilizzo di ausili che tengano piena considerazione delle peculiarità insite nella condizione complessa di disabilità plurima Tecnologie Riabilitative n. 2 settembre 2014
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mento che la maggior parte delle attività riabilitative è resa difficoltosa dai gravi deficit presenti e dal generale atteggiamento di scarsa iniziativa e motivazione. La complessità di tali situazioni ci induce ad avere un’ottica osservativa diversa anche nell’analisi dei bisogni perché: • essi non sono mai univocamente identificabili solo sulla base delle caratteristiche della persona, delle sue abilità o dei suoi deficit, ma si definiscono all’interno di una situazione contestuale, relazionale ed ambientale, di cui occorre conoscere le dinamiche e le valenze; • ai bisogni va risposto proponendo soluzioni ad ampio spettro, fra le quali è molto importante considerare la “risorsa” ausili; • l’introduzione di ausili va sempre considerata, soprattutto per i bambini, come una soluzione in un quadro in divenire, compresa all’interno di una progettualità multidimensionale.
Gli ausili tecnologici Se gli ausili rappresentano “soluzioni funzionali” a favorire e sostenere l’autonomia della persona nel suo ambiente, ben si comprende quanto possa diventare incisivo l’impatto della tecnologia su condizioni di estrema gravità funzionale. Le diverse proposte innovative hanno imposto la necessità di fare chiarezza ai fini di scelte funzionali e non dettate da facili investimenti emotivi. Il fascino innegabile del binomio disabilità-tecnologia si è ben presto scontrato anche con l’altrettanto innegabile difficoltà di orientamento nella gamma delle innumerevoli proposte. La versatilità delle strumentazioni disponibili, pur aumentando la prospettiva di miglioramento nella vita quotidiana, può indurre il rischio di farle considerare risposte esaustive al problema e quindi risolutive. Per questo motivo si giustifica e si impone forte la necessità di scelte oculate in un’ottica multidimensionale all’interno di un percorso-pro-
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getto. È necessario prevedere figure specialistiche e tecniche che possano dare il giusto apporto per una scelta attenta. Oltre al medico fisiatra, nella valutazione prevediamo l’inserimento di altri specialisti medici in base ai bisogni, dei terapisti di settore, di tecnici ortopedici o di area informatica. Operiamo inoltre, essendo un Centro riabilitativo accreditato, in stretta collaborazione con l’equipe riabilitativa del Servizio ASL territoriale e con il Centro Regionale Ausili. In questo team multiprofessionale, che rivolge la sua attenzione ai bisogni dell’utente, inseriamo sempre la famiglia perché vengano espressi anche i bisogni legati all’ambiente vita ed anche a garanzia di un uso continuativo ed efficace dell’ausilio. A tale scopo consideriamo impostazione corretta definire con chiarezza il ruolo effettivo dell’ausilio all’interno del percorso riabilitativo, in cui non va mai dimenticato l’aspetto educativo, cioè lo sviluppo di adatte modalità per l’insegnamento all’utilizzo dell’ausilio stesso verso operatori e familiari. Tutto ciò è indispensabile perché, soprattutto nella proposta di ausili tecnologici, si sta dimostrando molto utile l’ ampia possibilità di “personalizzazione”, elemento indispensabile in presenza di disabilità complesse. Non esiste pertanto un’unica soluzione, ma tante soluzioni in base ai diversi bisogni, pertanto c’è necessità di conoscere bene le potenzialità che ogni ausilio è in grado di offrire. Gli ausili tecnologici ed informatici, possono fornire ad operatori e familiari non solo la possibilità di proporre attività strutturate e di difficoltà crescente e diversificata, ma il loro utilizzo permette il perseguimento di obiettivi utili in tutti i settori di intervento: favorire scelte, facilitare la discrimi-
nazione delle informazioni, far emergere forme di autonomia, promuovere comunicazione e partecipazione attiva, aiutare lo sviluppo dei processi cognitivi, diminuire il manifestarsi di comportamenti disadattivi in quanto l’attenzione viene catturata da target motivanti. In generale possiamo dire che le nuove tecnologie possono coadiuvare ad individuare soluzioni in grado di permettere facilitazioni in tutte le aree funzionali su cui si concentra l’intervento riabilitativo-educativo, favorendo nuovi apprendimenti e fruizioni dell’ambiente quotidiano di vita. Nel caso in cui ad esempio non è possibile utilizzare il linguaggio per comunicare si cerca di individuare, secondo le abilità presenti e quelle potenziali, quali sistemi comunicativi alternativi possono essere utilizzati. La possibilità di apprendere un codice comunicativo piuttosto che un altro, dipende dai sensi residui della persona, dalle caratteristiche motorie, dal livello cognitivo, emozionale, ecc. Allo scopo possono essere proposti switch, comunicatori, computer collegati a sistemi interfaccia adattati, capaci non solo di fornire l’opportunità di attivare sistemi comunicativi, ma anche di far compiere scelte con maggior coinvolgimento. Sistemi di comunicazione così configurati possono consentire una vasta gamma di prestazioni, da quella più semplice ed immediata di richiamo di attenzione o richiamo in situazione di bisogno/emergenza, a quella di comunicazione interpersonale in tempo reale o differita. Innegabili i traguardi raggiunti dalla tecnologia elettronica nell’area dei deficit sensoriali. Essa ha consentito non solo di perfezionare l’elaborazione dei segnali scritti tramite sintesi vocale per i non vedenti, ma di proporre soluzioni modernissime realizzate tramite Dispositivi di Sostituzione Sensoriale visuo-uditiva e visuo-tattile che offrono la possibilità di trarre informazioni visive attraverso altri sensi. Anche il mondo dei suoni per i sordi ha avuto la possibilità di essere sperimentato brillantemente non solo con modalità di amplificazione mediate da sistemi protesici auricolari, ma anche la possibilità di essere percepito con qualità sempre più attendibile tramite gli impianti cocleari di ultima generazione. Nel campo della sensorialità sono operative soluzioni personalizzate e di tipo ambientale. La stanza plurisensoriale, presente nel nostro Istituto, è fornita di una vasta gamma di ausili d’ambiente capaci di stimolare ed attivare i sensi residui, anche nei casi gravissimi, modulando i tempi ed i modi delle stimolazioni stesse.
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Il fascino della tecnologia ci può catturare e portare lontano, ma se ne sappiamo fare buon uso, possiamo constatare come soluzioni collegate al settore dell’intelligenza artificiale, o alle proposte robot-mediate in ambito motorio, a quelle attivate tramite controllo oculare, a quelle relative alla domotica per il controllo ambientale o che permettono primi collegamenti in ambito di teleriabilitazione, incoraggiano a tentare anche con gli utenti funzionalmente più compromessi, perché i sistemi di programmazione sono versatili e consentono adattabilità e personalizzazione. Si tratta di soluzioni innovative soggette ad evoluzione enormemente rapida e per essere utilizzate al meglio esigono studio, formazione per essere applicate e personale dedicato. Vista la loro enorme potenzialità sta crescendo la necessità di favorire costanti sperimentazioni. Nella nostra esperienza non mancano esempi che ci dimostrano come anche bambini e ragazzi con deficit plurimi e sensoriali possano beneficiare dell’ utilizzo di ausili tecnologici utili nelle diverse aree funzionali di sviluppo, compresa anche quella affettiva ed emotivorelazionale per favorire forme di partecipazione. Un esempio ne è costituito da giochi con attivazione wireless in caso di gravi deficit motori, esperienza attivata al nostro interno e fruibile in spazi ludici in cui è possibile trascorrere momenti di integrazione con altri coetanei. Importante riflettere sugli aspetti positivi derivanti dall’uso degli ausili tecnologici in riabilitazione: • possibilità di interazione in tempo reale con costante feedback sensoriale • stimolo della motivazione al pari
di un’esperienza ludica • regolazione programmabile dell’ intensità del training nei contenuti e nei tempi • induzione facilitata di movimenti di avvio dei sistemi e di ricerca dei target • registrazione obiettivabile di traguardi raggiunti • riproducibilità degli esercizi Da questi aspetti è possibile evincere quanto il loro uso sia da prendere nella dovuta considerazione sia per l’influenza ormai appurata nell’attivazione della plasticità neurale sia per la rappresentatività di un approccio riabilitativo basato sull’evidenza. A questo proposito un cenno particolare deve essere fatto all’incentivazione della ricerca in ambito riabilitativo, essenziale per lo sviluppo di nuovi tipi di intervento atti a migliorare la qualità della vita delle persone con disabilità. Proprio le scoperte di neuroscienze sulla plasticità neurale e sulla sua attivazione tramite l’effettuazione di esperienze, induce a pensare ed allo stesso tempo incoraggia a propor-
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re attività diversificate nei gravissimi, grazie anche all’apporto facilitante degli ausili. Se il loro utilizzo contribuisce all’acquisizione di forme pur elementari di autonomia identificabili quali indicatori di modificabilità del livello di gravità, il loro effetto diventa chiaramente misurabile e può diventare significativo anche per le ricadute positive sulla qualità di vita. Per l’impostazione di progetti di ricerca e la stesura di protocolli di studio e di intervento relativi alla disabilità grave plurima il nostro Centro è in collegamento con Cliniche Universitarie e IRCCS nazionali ed è presente un Comitato Etico Scientifico garante della correttezza nell’applicazione operativa dei progetti. Seguire i progressi tecnologici e scientifici è essenziale per offrire soluzioni riabilitative adeguate e l’Istituto Serafico se ne fa portavoce includendoli nel proprio modo di operare che è quello della presa in carico della persona in difesa della ❑ vita.
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Antonino Salvia
Angelo Rossini
Direttore Sanitario IRCCS Fondazione Santa Lucia
Vicedirettore Sanitario IRCCS Fondazione Santa Lucia
L’assistenza riabilitativa ospedaliera ed extraospedaliera in Italia Il Rapporto ISTAT realizzato nel 2012, ha rilevato oltre 2.800.000 persone con disabilità grave presenti sul territorio nazionale. Si è tentato di effettuare una stima il più possibile precisa per organizzare i servizi sanitari e meglio rispondere al conseguente bisogno di salute
D emografia e disabilità Negli ultimi 2 lustri si è tentato di effettuare una stima il più possibile precisa delle persone con disabilità, per organizzare i servizi sanitari e meglio rispondere al conseguente bisogno di salute. Il recente Censimento della popolazione del 9 ottobre 2011 poteva rappresentare una possibilità per
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ottenere un dato reale, ma l’ISTAT non ha ritenuto opportuno effettuare il censimento delle persone con disabilità per una serie di motivi, legati fondamentalmente a: • impossibilità attraverso un’intervista, per quanto strutturata, di rilevare tutte le disabilità soprattutto di tipo mentale; • prevedibile reticenza degli intervistati a fornire queste informazioni “sensibili”; • impossibilità di istruire adeguatamente tutti i rilevatori coinvolti nel Censimento; • inappropriata presenza di domande sulla disabilità in un Censimento della popolazione. Ciò nonostante, dai dati dell’ultimo censimento, nonché da altre fonti, è possibile effettuare una stima che può avvicinarsi alla realtà. Secondo il Rapporto ISTAT 2012(1) “in questi anni l’incidenza della disabilità complessiva, eliminando l’effetto struttura per età, nella popo-
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Pertanto a parità di popolazione residente un numero inferiore di italiani produrrà reddito e dovrà sostenere i costi per garantire assistenza al resto dei cittadini in fasce di età non produttiva: è quindi prevedibile che all’aumento della domanda di assistenza andrà correlata la diminuzione della capacità di cura ed assistenza delle reti familiari e sociali per la diminuzione della popolazione attiva.
Figura 1: piramidi delle età della popolazione italiana nel 2011 e nel 2041 (fonte Rapporto ISTAT, 2014 (2))
lazione dai 6 anni in su, risulta in declino dal 1994 al 2010, con una prevalenza che passa dal 5,7 per cento al 4,4 per cento”; applicando tale prevalenza alla popolazione censita nell’ottobre 2011, pari a 59.433.744 abitanti, si possono stimare 2.615.085 persone con disabilità grave, a cui sommare oltre 200.000 bambini under 6. Si ottiene pertanto una stima di oltre 2.800.000 persone con disabilità grave presenti sul territorio nazionale, ovvero circa il 5% dell’intera popolazione italiana. Per una più compiuta valutazione dei bisogni di salute della popolazione, il dato sulla disabilità va coniugato con l’andamento demografico della popolazione; nel recente Rapporto ISTAT 2014 (2) viene illustrato come la classica piramide delle età (che mostra la distribuzione della popolazione per sesso ed età) nei prossimi 30 anni assumerà un aspetto rovesciato (Figura 1), segno inevitabile di una denatalità e di un contemporaneo allungamento della vita media con un aumento degli
ultra sessantacinquenni. Ciò comporterà un pericoloso innalzamento del cosiddetto indice di dipendenza (rapporto percentuale tra la popolazione in età non attiva - inferiore a 14 anni e superiore a 65 anni - e la popolazione in età attiva compresa tra 15 e 64 anni), che passerà dal 53,5 nel 2011 ad 82 nel 2041 (3).
La revisione della spesa In questo critico scenario demografico futuro, si inseriscono gli interventi di contenimento della spesa pubblica degli ultimi anni, caratterizzati più di recente dal Documento di Economia e Finanza 2014 (4), che prevede un risparmio di spesa complessiva nei triennio 20142016 di 32 miliardi di euro. Numerose sono state le rassicurazioni che non ci sarebbero stati tagli al Fondo Sanitario Nazionale (previsti invece dalla legge 135/2012 (5) per 0,9 miliardi per il 2012, 1,8 miliardi per il 2013, 2 miliardi per il 2014 e 2,1 miliardi per il 2015).
Figura 2: andamento del Fondo Sanitario Nazionale dal 1994 al 2014 (da Conferenza Stato Regioni, 2013 (6))
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Tali rassicurazioni trovano conferma nella Figura 2, che mostra il trend del Fondo Sanitario Nazionale (FSN) degli ultimi 20 anni, previsto a livello centrale, che è passato da € 45,179 miliardi del 1994 ai previsti 109,901 del 2014. Il FSN rappresenta la quasi totalità delle risorse complessive del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) , costituite da (7): a) entrate proprie degli enti del SSN (ticket) in un importo definito e cristallizzato in seguito ad un’intesa fra lo Stato e le Regioni; b) imposta regionale sulle attività
produttive - IRAP (nella componente di gettito destinata al finanziamento della sanità), nonché
dall’addizionale regionale all’imposta sul reddito delle persone fisiche - IRPEF, entrambe quan-
Tabella 1: distribuzione della spesa sanitaria dell’anno 2012 per funzioni di spesa (MEF 2014 (8))
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zionate ed accreditate è stata pari al 3,3% dell’intero ammontare annuale del 2012.
Figura 3: Andamento dei posti letto, per mille abitanti, così come definiti dalle norme nazionali (il valore della riabilitazione con *, è comprensivo della lungodegenza post acuzie).
tificate dall’applicazione delle rispettive aliquote base nazionali; c) compartecipazione delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano, che compartecipano al finanziamento sanitario fino a concorrenza del fabbisogno non soddisfatto dalle fonti di cui ai precedenti punti a) e b); la Regione Sicilia compartecipa con un’aliquota fissata dal 2009 nella misura del 49,11 per cento del suo fabbisogno sanitario; d) bilancio dello Stato, che finanzia il fabbisogno sanitario non coperto dalle precedenti fonti di finanziamento attraverso la compartecipazione all’imposta sul valore aggiunto - IVA (destinata alle Regioni a statuto ordinario) ed attraverso appunto il FSN. Nonostante negli ultimi 20 anni il FSN sia stato incrementato del 242%, la spesa sanitaria è ancora fuori controllo, con le uscite che continuano ad essere maggiori dell’impegno di spesa, come confermato dalla Relazione
Generale sulla situazione economica del Paese 2012 (8). Dalla Relazione emerge che a fronte di un finanziamento del SSN per il 2012 (ultimo dato disponibile) di € 112,641 miliardi si è registrata una spesa complessiva di € 114,464 miliardi, con un disavanzo di € 1,823 miliardi. La distribuzione della spesa sanitaria del 2012 per le diverse voci, riportata nella tabella 1, evidenzia che l’1,7% della spesa è relativo all’acquisto di prestazioni di assistenza riabilitativa da strutture private accreditate (con un decremento, rispetto al 2011, del 2,9% e di ben l’8,5% rispetto al 2001). Se si aggiunge anche la funzione “integrativa e protesica” (che ricomprende i prodotti destinati ad un’alimentazione particolare dei Pazienti, nonché la spesa per la fornitura di protesi, ortesi ed ausili, funzione che ha registrato un decremento rispetto al 2011 del 4,9%, mentre ha registrato un aumento del 76,3% rispetto al 2001), la spesa sostenuta dal SSN per l’acquisto di prestazioni riabilitative dalle strutture conven-
Standard di posti letto per l’attività riabilitativa in Italia Negli ultimi anni si è assistito ad una progressiva diminuzione dei posti letto ospedalieri, compresi quelli dedicati alla riabilitazione. La normativa nazionale, infatti, ha definito nel 1985 lo standard di posti letto di 6,5 posti letto per mille abitanti, di cui 1 per mille destinato alla riabilitazione (dato non specificato nel 2005), riducendolo progressivamente fino a giungere nel 2012 a 3,7 posti letto per mille abitanti, di cui 0,7 per mille destinato alla riabilitazione ma comprensivo dei posti di lungodegenza post acuzie (Figura 3). In particolare nel 2012 (ultimo dato disponibile) i posti letto per la riabilitazione censiti dal Ministero della Salute (9) sono 35.012; considerando che i posti letto rilevati nel 2010 erano 36.897, in un triennio sono stati chiusi ben 1.885 posti letto di riabilitazione e lungodegenza. Riabilitazione o lungodegenza? L’unificazione dello standard della riabilitazione con quello della lungodegenza mal caratterizza l’attività svolta nelle prime strutture. Dalla probabile parziale lettura dell’art. 10 della legge 595/1985 (10) deriva la confusione terminologica che ha portato da anni ad associare la riabilitazione alla lungodegenza per la definizione dello standard di dotazione media dei posti letto: la norma prevedeva la necessità di strutturare “specifiche sezioni di degenza per la riabilitazione di malati lungodegenti ad alto rischio invalidante”.
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Tale confusione terminologica viene però chiarita dal decreto ministeriale del 13 settembre 1988 (11) che, oltre a precisare gli standard di personale per tutte le attività assistenziali (comprese la riabilitazione e la lungodegenza), afferma inequivo-
cabilmente che “l’assegnazione dei degenti alla funzione di lungodegenza riveste carattere di transitorietà in attesa che siano realizzate le residenze sanitarie assistenziali extraospedaliere o vengano attivate forme adeguate di ospedalizzazione
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domiciliare integrata o di assistenza domiciliare integrata”.
I livelli riabilitativi in Italia Con il Piano di indirizzo per la riabilitazione del 2011 (12), sono state integrate le Linee-guida del Ministro
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della Sanità del 1998 (13). Il nuovo Piano per la riabilitazione 2011, enfatizza in riabilitazione l’adozione del modello bio-psico-sociale, derivante dall’International Classification of Functioning Disability and Health introdotta nel
2001 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, in base al quale la persona con disabilità è al centro di un sistema nel quale lo stesso individuo e la sua famiglia interagiscono con l’ambiente sociale e le istituzioni, orientando tutti gli interventi: si definisce pertanto un percorso assistenziale integrato, basato sulla valutazione multidimensionale sanitaria e sociale. Scopo dell’intervento riabilitativo è pertanto quello di lavorare sulle abilità presenti nella persona con disabilità e non soltanto valutarne la menomazione, al fine di guadagnare salute, attarverso precise modalità caratterizzate dalla necessità di individuare: a) il Progetto Riabilitativo di Struttura (PRS): la struttura definisce caratteristiche, tipologia di offerta, potenzialità, organico, procedure di ammissione/dimissione (carta dei servizi), garantendo un approccio globale ai bisogni dell’individuo applicando i principi del Governo Clinico. b) il Progetto Riabilitativo Individuale (PRI): sin dalla fase di ricovero in acuzie, per la persona con disabilità deve essere definito un percorso riabilitativo unico integrato nei vari setting terapeutici della rete riabilitativa. Viene pertanto effettuata una “presa in carico dell’utente”, con l’erogazione di interventi secondo definiti programmi riabilitativi all’interno di uno specifico PRI, applicando il concetto dell’appropriatezza prescrittiva ed erogativa. c) il team riabilitativo multidisciplinare: è costituito da professionisti della salute, coordinati da un medico, e rappresentati da fisioterapista, logopedista, terapista occupazionale, infermiere, assistente sociale, psicologo, di-
etista/nutrizionista, tecnico ortopedico, che sulla base dei bisogni della persona con disabilità intervengono per le specifiche competenze. Il team elabora e condivide il PRI sia con il Paziente sia con il caregiver, rappresentato sia dal familiare sia dalla persona di riferimento in grado di gestire tutte le problematiche del Paziente. Nel percorso riabilitativo sono coinvolte strutture individuate da specifici codici ribaditi nel DM 5 dicembre 2006 (14), sulla base dei requisiti organizzativi e strutturali posseduti; dette strutture, anche in base a quanto indicato dal Piano per la riabilitazione 2011, erogano: 1) Riabilitazione intensiva (ospedaliera) a) Attività di alta specialità neuroriabilitativa (come compiutamente individuata dal DM Ministero della Sanità 29/1/1992 (15)): appartengono a questa tipologia assistenziale le prestazioni di riabilitazione ad elevata complessità rivolte a: - cerebrolesioni acquisite (ictus) – codice 75; - mielolesioni – codice 28; - post coma – codice 75; - disabilità gravi età evolutiva – codice 75; - unità turbe neuropsicologiche – codice 75; b) Attività di recupero e rieducazione funzionale: appartengono a questa tipologia assistenziale le prestazioni di riabilitazione erogate da: - unità di riabilitazione per patologie ortopediche – codice 56; - unità per gravi patologie respiratorie – codice 56; - unità per gravi patologie cardiache – codice 56.
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2) Riabilitazione estensiva (extraospedaliera) Questa attività di riabilitazione viene svolta in regime residenziale a ciclo continuo o diurno ed è caratterizzata da interventi sanitari rivolti a Pazienti non autosufficienti, con potenzialità di recupero ma che non necessitano di un intervento riabilitativo intensivo. 3) Riabilitazione di mantenimento Viene svolta in setting assistenziali diversi dalle strutture sanitarie vere e proprie, comunque in grado di garantire una presa in carico in grado di rispondere ai bisogni di salute del Paziente; si distinguono: a) Ambulatorio: a seguito di una
visita di uno specialista in riabilitazione o discipline affini, viene redatto se necessario un PRI con la successiva presa in carico del Paziente. b) Domicilio: i trattamenti riabilitativi domiciliari rappresentano il fisiologico proseguimento di quanto realizzato nelle fasi precedenti della riabilitazione; il domicilio del Paziente rappresenta inoltre il luogo in cui il terapista occupazionale interviene per gli eventuali adattamenti ambientali o l’addestramento all’uso di ausili e tecnologie riabilitative. Indispensabile, in questo contesto, è poi l’addestramento dei caregiver. c) Residenza Sanitaria Assistenziale
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(RSA): rammentando quanto precedentemente citato del DM 13/9/1988, le RSA sono le strutture socio-sanitarie in grado di rappresentare l’efficace fase conclusiva, ma assolutamente qualificante, del percorso riabilitativo. Le RSA, infatti, garantendo l’erogazione di interventi rivolti alla valorizzazione del contesto sociale, unitamente alla possibilità di fruire di attività assistenziale anche di tipo riabilitativo, garantiscono la indispensabile integrazione all’interno della rete riabilitativa, liberando quindi posti letto nelle strutture ospedaliere di riabilitazione al fine di poter accogliere Pazienti dalle strutture per acuti. d) Attività Fisica Adattata (AFA): il ruolo dell’attività fisica per promuovere il benessere dell’individuo sano, ma anche per contrastare la cronicità e la disabilità, rappresenta la fisiologica prosecuzione della riabilitazione. Infatti l’AFA, che non è un’attività riabilitativa bensì di mantenimento delle abilità acquisite nonchè un’importante attività di prevenzione, si pone i seguenti obiettivi: - ricondizionare il corpo al termine della riabilitazione; - combattere l’ipomobilità, sempre più frequente nella società moderna anche nei soggetti giovani, aumentando le resistenze allo sforzo e comportando minori difficoltà a compiere le attività della vita quotidiana; - favorire la socializzazione, migliorando il tono dell’umore, la motivazione nonché le re-
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lazioni sociali e familiari; - promuovere ed acquisire stili di vita più corretti per mantenere la miglior autonomia e qualità di vita possibile. L’AFA, quale attività motoria di gruppo, va principalmente promossa in ambienti non sanitari qual palestre, strutture protette, associazioni nonché spazi all’aperto.
menti delle liste di attesa o, ancor peggio, all’uso improprio delle strutture sanitarie; d) investire sull’innovazione tecnologica in sanità per produrre finalmente salute. Le risorse dedicate alla sanità, infatti, devono essere viste come un investimento, mentre oggi ciò viene sempre considerato solo un costo! ❑
Conclusioni Le modifiche demografiche e lo sviluppo di procedure diagnosticoterapeutiche in grado di aumentare la sopravvivenza dell’individuo, anche se colpito da patologie un tempo devastanti, comportano la crescente necessità di garantire la miglior qualità di vita possibile ad ogni cittadino italiano; ciò attraverso un SSN che l’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2000 (16) definì il secondo miglior sistema sanitario al mondo. Per confermare di essere ancora uno dei migliori servizi sanitari del pianeta, è necessario tra l’altro: a) porre al centro del sistema assistenziale il Paziente che in realtà molto spesso è vittima del sistema stesso, delle sue inefficienze e dei suoi errori; b) realizzare reti di assistenza integrata sanitaria e sociale e percorsi diagnostico-terapeutici, capaci di rispondere, in termini qualitativi adeguati, ai bisogni assistenziali individuati. Le strutture extraospedaliere hanno troppo spesso vicariato i servizi sociali snaturando quindi le finalità per le quali sono state realizzate; c) potenziare/realizzare i Centri di Assistenza Domiciliare in regioni quali il Lazio; la cronica carenza porta spesso a difficoltà nella dimissione dei Pazienti dagli ospedali, con inevitabili allunga-
Bibliografia 1) ISTAT Rapporto Annuale 2012 -La situazione del Paese. Roma, 22 maggio 2012: pag. 75 2) ISTAT Rapporto Annuale 2014 -La situazione del Paese. Roma, 28 maggio 2014: pag. 142 3) ISTAT Italia in cifre 2013: pag. 5 4) Documento di Economia e Finanza 2014, Sezione III Programma Nazionale di Riforma – Parte I. La strategia nazionale e le principali iniziative. Presidenza del Consiglio dei Ministri 8 aprile 2014: pag. 4. 5) Legge 7 agosto 2012, n. 135. Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, recante disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini. S.O. n. 173/L alla Gazzetta Ufficiale n. 189 del 14 agosto 2012 6) Conferenza Stato-Regioni. Dossier la sanità nelle manovre finanziarie, marzo 2013 7) http://leg16.camera.it/561?appro= 485&La+composizione+dei+finanziamenti+del+fab (accesso del 31/05/2014) 8) Ministero Economia e Finanza. Relazione Generale sulla situazione economica del Paese 2012, 14 febbraio 2014, pag 181 e segg. 9) http://www.salute.gov.it/portale/documentazione/p6_2_8_3_1.js
p?lingua=italiano&id=7 (accesso del 31/05/2014) 10) Legge 23 ottobre 1985, n. 595 Norme per la programmazione sanitaria e per il piano sanitario triennale 1986-88. Gazzetta Ufficiale n. 260 del 5 novembre 1985. 11) Decreto Ministro della Sanità 13 settembre 1988. Determinazione degli standards del personale ospedaliero. Gazzetta Ufficiale n. 225 del 24 settembre 1988. 12) Accordo, ai sensi dell’articolo 4 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n . 281, tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, sul documento concernente “Piano d’indirizzo per la riabilitazione”. Rep. Atti n. 30/CSR del 10 febbraio 2011. 13) Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato le Regioni e le Province Autonome di Trento e Bolzano. Provvedimento 7 maggio 1998. Linee-guida del Ministro della Sanità per le attività di riabilitazione. Gazzetta Ufficiale n. 124 del 30 maggio 1998. 14) Decreto Ministro della Salute 5 dicembre 2006. Variazione dei modelli di rilevazione dei dati delle attività gestionali delle strutture sanitarie. S.O. n. 20 alla Gazzetta Ufficiale n. 22 del 27 gennaio 2007. 15) Decreto Ministro della Sanità 29 gennaio 1992. Elenco delle alte specialità e fissazione dei requisiti necessari alle strutture sanitarie per l’esercizio delle attività di alta specialità. Gazzetta Ufficiale n. 26 del 1 febbraio 1992. 16) World Health Organization. The World health report 2000. Health systems: improving performance. Geneva, 2000.
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Maria Teresa Agati
Presidente CSR
Il Nomenclatore tariffario di protesi e ausili Che la tanto attesa revisione non si trasformi in crudele beffa Il punto nodale delle criticità legate all’attuale sistema di erogazione di protesi ed ausili alle persone con disabilità sta tutto nel non sapere con chiarezza a quali dispositivi gli assistiti hanno diritto. Infatti la norma che regola l’assistenza in questo settore consiste essenzialmente in un elenco che risale alla fine degli anni 90
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eri, ad un incontro sul volontariato, ho incontrato il papà di una ragazza da 15 anni in coma che continua a vivere la sua vita in famiglia, nella sua casa. Tra le tante cose che mi ha raccontato, un tema era ricorrente: la fatica per ottenere ciò a cui si ha diritto. “ …Ho fatto una trafila terri-
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bile per sapere a cosa avevo diritto… Ho dovuto combattere all’infinito per avere tutto quello che mi serve… Mi hanno dato un letto, un sollevatore, una carrozzina, ma quante lotte per sapere se potevo avere una carrozzina diversa da quella che mi hanno dato, e che non andava bene per mia figlia… Per fortuna io sono uno che non molla, e sono riuscito ad avere le cose che mi spettano…”. Il punto nodale delle criticità dell’attuale sistema di erogazione di protesi ed ausili alle persone con disabilità sta tutto in questo non sapere con chiarezza a quali dispositivi gli assistiti hanno diritto e alla lotta che chi è tenace compie per ottenere ciò che serve, mentre chi non ha la forza e gli strumenti culturali per lottare in molti casi non ottiene. Il perché è facile da capire: la norma che regola l’assistenza in questo settore consiste essenzialmente in un elenco di categorie di dispositivi, il
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famoso “Nomenclatore tariffario”, che risale alla fine degli anni 90 (pubblicato nel ’99 ma completato nel ’95) che proprio per il fatto di non essere mai stato aggiornato descrive le caratteristiche di ausili presenti in quegli anni mentre non può, ovviamente, tener conto di tutto quanto è cambiato nel frattempo, nonché di tutti i nuovi dispositivi che sono stati via via introdotti sul mercato tanto in sostituzione dei vecchi quanto per rispondere in modo diverso, innovativo, più efficace alle molteplici necessità delle persone disabili. A questo si aggiunge il fatto che all’elenco delle categorie di disposi-
tivi erogabili non si accompagna, come avviene i tutti i paesi civili, la registrazione dei diversi modelli di prodotto che possono essere forniti per cui da noi si sa, ad esempio, che la persona può ricevere una carrozzina ma non è dato sapere con chiarezza quale modello di carrozzina può essere fornito con la tariffa indicata. In un mondo in cui le informazioni viaggiano sulla rete offrendo tutto il ventaglio delle possibilità disponibili ad un prezzo evidente e dichiarato, nel settore dell’assistenza in materia di ausili a carico dello stato i disabili, i medici prescrittori, le ASL non
hanno alcuno strumento efficace per avere certezza né dei diversi modelli entro i quali si può scegliere il dispositivo né, tantomeno, che il valore del prodotto erogato corrisponda a quella tariffa indicata, che è stata stabilita quindici anni fa per prodotti presenti sul mercato, appunto, 15 anni fa. Facile capire come, in un sistema che obbliga alla discrezionalità per trovare una qualche corrispondenza tra descrizioni e tariffe del tutto superate e mercato attuale, si creino percorsi virtuosi per fornire, nonostante tutto, l’ausilio adatto ad una tariffa più o meno equivalente al suo
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CSR e SIMFER, assieme ad alcune ASL virtuose ed a Consip, hanno lavorato per oltre due anni alla redazione di linee guida per la realizzazione di pubbliche procedure di acquisto in modo che queste fossero almeno rispettose di quel tanto di appropriatezza che l’uso di uno strumento improprio per il settore, come l’appalto, può consentire valore così come al contrario situazioni incontrollate ed incontrollabili in cui bene fornito e prezzo pagato sono del tutto scollegati tra loro. Siccome già in fase di promulgazione del decreto ci si era resi conto dell’impossibilità di mantenere appropriatezza in un sistema che non prevedesse la precisa identificazione del bene da fornire correlandolo al prezzo da pagare, il decreto conteneva la data di scadenza: “…resta in vigore sino al 31.12.2000, data entro la quale il Ministero della sanità provvede a ridefinire la disciplina…” (D.M.332/99, art. 1 comma 1) e, contestualmente, indicava che per la determinazione dei prezzi di alcuni dispositivi standard si sarebbe dovuto ricorrere a gare di appalto. A parte ogni considerazione sull’utilizzo dello strumento della gara come generatore di trasparenza ed appropriatezza quando si tratta di fornire beni sensibili al domicilio di persone con disabilità dislocate nel vasto territorio delle ASL appaltanti ed i contratti si prolungano nel tempo (tre, quattro anni: chi e come
può davvero controllare che vengano veramente forniti gli ausili giusti e che il servizio sia appropriato?), resta da capire se questo sia veramente lo strumento idoneo o se, invece, altre modalità di fornitura quali quelle adottate dai nostri vicini di casa, Francia e Germania, per esempio, non siano più adatti. Ed in effetti, se è vero quanto ha affermato il Ministro della salute in risposta all’interrogazione della Commissione per i diritti umani del Senato presieduta dal senatore Luigi Manconi lo scorso luglio, tanto adatto il nostro sistema non è se oggi un terzo delle forniture è inappropriata o errata e quindi lo stato spreca un terzo delle risorse utilizzate dal settore. La nostra esperienza ci fa dire che, nel momento in cui un’ASL (o un’associazione di ASL) per eliminare il problema della complessità di questo tipo di assistenza appalta l’intera fornitura di dispositivi, compresa la fornitura a domicilio, ad un unico soggetto vincitore perde di fatto il controllo di quanto avviene sul territorio perché è estremante difficile
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ed oneroso controllare ogni singola fornitura, ogni prodotto che viene consegnato e verificare se il prezzo pagato corrisponde davvero al valore reale di prodotto e servizio. Ecco quindi che valori complessivi, che possono risultare bassi al momento dell’aggiudicazione, ad un’analisi appena un po’ più dettagliata si rivelano assai remunerativi quando non viene consegnato un dispositivo adeguato, quando il servizio viene svolto da un padroncino che lascia il “collo” in portineria, quando vengono ritirati dispositivi non più utilizzati dall’utente per i quali si dichiara la “rottamazione” e che invece vengono rimessi in circolo più e più volte come nuovi. Facile capire come un sistema come questo, praticamente impossibile da controllare, susciti gli interessi di quella parte di soggetti che anziché il bene dell’assistito hanno a cuore il loro portafoglio… Per questo motivo CSR e SIMFER, assieme ad alcune ASL virtuose ed a Consip, hanno lavorato per oltre due anni alla redazione di linee guida per la realizzazione di pubbliche procedure di acquisto (la pubblicazione on line è sul sito: www.csrausilidisabili.org) almeno rispettose di quel tanto di appropriatezza che l’uso di uno strumento improprio per il settore come l’appalto può consentire, ma chi il settore lo conosce bene perché ci lavora da medico che deve prescrivere, da operatore dell’ASL che tutti i giorni si confronta con i bisogni del territorio, da assistito che vuole sapere quali sono gli oggetti concreti, cioè marca e modello, a cui ha diritto chiede a gran voce che si attui un sistema più snello, più efficiente, più trasparente: la registrazione dei dispositivi in un repertorio con marca, modello e prezzo A quel punto, tutto è chiaro: cosa può
essere fornito (in modo che non capiti più che si forniscano, ad esempio, poltrone d’arredo pagate come carrozzine), qual è il valore del bene fornito, quanto lo stato vuole pagare di quel valore e quanto, eventualmente, dovrà essere a carico dell’assistito che, anziché accontentarsi del prodotto standard fornito dall’ASL, vuole qualcosa di più bello, più moderno, più esclusivo. Facile? Probabilmente troppo facile perché in questo modo i diritti sarebbero conosciuti con trasparenza e sarebbe più difficile eluderli. Inquieta oggi la segretezza con cui un gruppo “tecnico” sta lavorando ad una revisione del sistema e la tristezza con cui alcuni rappresentanti regionali che partecipano ai lavori di quel tavolo ci riferiscono: “…purtroppo il Ministero ci propone di mandare tutto a gara ed esclude a priori la realizzazione del Repertorio degli ausili…”, indiscrezioni che confermano quanto già dichiarato dal Ministro nella risposta alla Commissione diritti umani del senato sopra citata: “…tra i fattori che contribuiranno alla compensazione dei maggiori oneri si evidenziano: ... il passaggio dal regime tariffario all’acquisto con procedure di gara a costi più bassi…”, nonostante la soluzione del repertorio sia stata pubblicizzata, negli anni, anche dallo stesso ministero, in numerosi interventi pubblici ed inserita nella Finanziaria del 2006 (art. 292, b). Capisco, per realizzare il Repertorio non c’è tempo: in fondo sono passati solo 13 anni dalla data di scadenza del decreto; resta però il dubbio che l’estrema semplificazione con cui si tenta di affrontare una riorganizzazione di un sistema non complesso ma di grande significato per indicare il livello di civiltà di un paese celi interessi molto meno nobili del cercare di fare il meglio possibile, con le risorse attualmente disponibili. E pensare che una buona revisione del sistema si potrebbe davvero fare in pochi mesi (addirittura poche settimane) a costo zero! Per questo, consapevoli della fattibilità di una buona revisione, la totalità dei soggetti che operano in questo settore: medici, federazioni dei disabili, professionisti, imprenditori ed operatori commerciali, ha predisposto un appello che non solo chiede interventi appropriati ma fornisce indicazioni e mette a disposizione le com❑ petenze necessarie. Per firmare l’appello: http://www.csrausilidisabili.org/index.php/pubblicazioni e http://www.csrausilidisabili.org/index.php/news
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Giacomo Bazzini Responsabile Servizio di Fisiatria occupazionale ed Ergonomia Fondazione Salvatore Maugeri Pavia
Il ritorno al lavoro dopo un infortunio SIMFER e INAIL insieme in cerca di risposte Le attuali strutture riabilitative neuromotorie ospedaliere, sia pubbliche che private, presentano notevoli difficoltà a rispondere ad una domanda che pur con oscillazioni annuali resta molto elevata. È quindi auspicabile un modello di intervento polidisciplinare
G li infortuni sul lavoro e le malattie professionali sono una piaga che le moderne società occidentali, seppur tecnologicamente avanzate, hanno evidenti difficoltà a prevenire, a trattare ed a riabilitare con tempestività ed efficacia. Le attuali strutture riabilitative neuromotorie ospedaliere, sia pubbliche, sia private accreditate, presentano notevoli difficoltà a ri-
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spondere ad una domanda che, pur con oscillazioni annuali e con necessità magari diverse fra loro, resta però sostanzialmente elevata. La SIMFER e l’INAIL stanno lavorando congiuntamente per proporre soluzioni efficaci, efficienti e sostenibili rivolte a fornire risposte alle problematiche poste in questo settore riabilitativo; è quindi auspicabile un modello di intervento polidisciplinare (fisiatra, medico del lavoro, neurofisiologo, radiologo, ecc.) e multiprofessionale (terapista occupazionale, fisioterapista, ergonomo) per la riabilitazione ed il reinserimento dell’infortunato sul lavoro in stretta collaborazione fra tutti gli attori istituzionali coinvolti nel processo ed un’attenzione anche del mondo accademico e scientifico per lo studio di soluzioni, sia clinicoriabilitative, sia organizzative, ottimali. Le tecnologie riabilitative risultano particolarmente importanti in questo
MEDICINA FISICA E RIABILITATIVA
Figura 1. Misurazione della forza di presa palmare
settore e possono essere di fondamentale supporto per quanto riguarda: • la valutazione motoria e funzionale: - iniziale, per la stesura di un PRI (programma riabilitativo individuale) personalizzato e mirato; - finale, per la quantificazione delle capacità motorie e lavorative residue; • l’esecuzione del programma riabilitativo. Mediante la valutazione funzionale il fisiatra analizza e documenta, fra l’altro, i molteplici aspetti della motricità del soggetto e come gli eventuali deficit si ripercuotono sull’esecuzione delle attività tipiche, sia della quotidianità, sia in particolare della gestualità lavorativa. E’ a questo punto che le tecnologie riabilitative possono intervenire in modo essenziale per consentire sia la quantificazione del livello di tali eventuali deficit, sia la riproduzione delle sopraddette gestualità specifiche della mansione. Sul mercato sono disponibili, anche se la scelta non è molto ampia, diverse strumentazioni utili agli scopi citati: si va dai di-
namometri portatili (per la quantificazione della presa sia palmare [fig.1], sia digitale) fino a strumentazioni collegate a PC e con specifico software per l’analisi delle attività dell’arto superiore e della mano [fig.2], nelle sue componenti di forza e coordinazione, o per l’analisi dell’equilibrio, del cammino e di altre funzionalità, quali l’oscillazione, il superamento di gradini, e così via. La disponibilità di queste tecnologie rende la valutazione molto più precisa e ripetibile e consente altresì un costante monitoraggio degli auspicati miglioramenti perseguiti con il programma riabilitativo. Il percorso per il reinserimento lavorativo si sviluppa su diverse fasi e comprende il potenziamento della forza e della resistenza, attività specifiche di terapia occupazionale per la ripresa della funzionalità e della
gestualità lavorativa, l’allenamento aerobico, l’eventuale prescrizione ed assegnazione di ausili, il sopralluogo al domicilio ed al posto di lavoro. Per l’applicazione del programma riabilitativo in questo particolare settore risultano particolarmente indicate, anche se ancora piuttosto costose, strumentazioni che consentono la riproduzione di numerose gestualità lavorative. Si tratta di attuatori di derivazione robotica, gestiti da PC, ai quali possono essere applicati svariati accessori con i quali “simulare” l’attività mansionaria che il soggetto dovrà riprendere [fig.3], potendola graduare in termini di articolarità consentita, di forza richiesta, ecc. Un ultimo componente fondamentale del percorso riabilitativo è costituito dalla valutazione funzionale
Figura 2. Valutazione della manualità
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cazione delle capacità residue (1-3), sulla base di un approccio basato sull’International Classification of Functioning, Disability and Health (ICF)(4). Con quest’ottica infatti vengono analizzate non solo, e non tanto, le capacità analitico-segmentarie, bensì le numerose componenti elementari delle attività, che, nel nostro caso, sono costitui-
Figura 3. Riproduzione di gesto lavorativo
finale, i cui scopi sono: studiare le cosiddette “capacità residue” e le “capacità sostenibili” del soggetto per l’attività lavorativa, fornire elementi utili al medico del lavoro per la verifica di idoneità, contribuire ad un reinserimento “mirato”, fornire parametri utili per la prevenzione e la progettazione ergonomica. I principali aspetti indagati nel soggetto che deve rientrare al lavoro sono: li-
vello della disabilità, abilità motorie (articolarità, forza, resistenza), funzioni cognitivo–verbali, sensibilità e funzioni sensoriali, componenti psicologiche ed emotive, necessità di ausili, aspetti di tipo educativo-professionale, possibilità di trasporto autonomo, motivazione. In questo contesto segnaliamo infine l’intervento estremamente utile delle tecnologie riabilitative per la quantifi-
Figura 5. Misurazione della forza di sollevamento
te dalla prensione, dalla spinta/trazione [fig.4] dal sollevamento/abbassamento [fig.5], ecc. A questo scopo le strumentazioni prima citate, soprattutto di tipo dinamometrico, risultano essenziali per precisare e completare il quadro clinicofunzionale e contribuire così al miglior reinserimento lavorativo possibile del soggetto. ❑ Figura 4. Misurazione della forza di spinta
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Bibliografia 1. G.Bazzini et Al. A mini core-set of
MEDICINA FISICA E RIABILITATIVA
functional assessment for return to work. Proceedings of the 41st National Congress of the Italian Society of Physical and Rehabilitative Medicine (SIMFER, Rome, Italy, October 13-16, 2013). Book by Edizioni Minerva Medica. 2. G. Bazzini et Al. La valutazione della capacità funzionale. In: Ergonomia, ergoterapia e lavoro (Bazzini G.); Aracne Edit. Roma (in stampa 2014). 3. G.Bazzini et Al. La valutazione in terapia occupazionale della capacità funzionale del lavoratore con esiti di infortunio. In: Trattato di Medicina del Lavoro, Ed. Piccin Padova (in stampa, 2014). 4. OMS. ICF - Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute. Erickson Ed.-Trento, 2002.
Particolarmente indicate, anche se ancora piuttosto costose, le strumentazioni che consentono la riproduzione di numerose gestualità lavorative. Si tratta di attuatori di derivazione robotica, gestiti da PC, ai quali possono essere applicati svariati accessori con i quali “simulare” l’attività mansionaria
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medicina fisica e riabilitativa 62 MEDICINA FISICA E RIABILITATIVA
Giovanni Panariello Medico Fisiatra, U.O. Riabilitazione Santa Maria del Pozzo Somma Ves. (Na), Segretario SIMFER Campania
Elettricità e Cervello: dalla torpedine alla tDCS Presente e futuro di “correnti antiche” in riabilitazione
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Nel corso dei secoli gli studi scientifici in ambito neurofisiologico (legati anche a nomi importanti come Galvani, Volta, Aldini) hanno dedicato molta attenzione all’applicazione in ambito medico della corrente elettrica sia come mezzo terapeutico che diagnostico. Ecco dove ci ha portato la ricerca
e prime testimonianze dell’impiego della corrente elettrica in medicina risalgono all’antichita’, quando i concetti fisici alla base delle moderne conoscenze dell’elettricità non erano noti. L’unica possibilità di utilizzo della corrente elettrica era sfruttare ciò che la
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natura rendeva disponibile, ovvero la capacità di alcune specie animali di generare elettricità. Infatti, animali come le torpedini (torpedo fish) dotate di “un organo elettrico” furono utilizzate da Galeno ed altri medici dell’epoca, circa 2000 anni fa, come cura per le cefalee. Alcune testimonianze confermano l’impiego della corrente elettrica anche per la cura delle epilessie. Nel corso dei secoli i lavori scientifici in ambito neurofisiologico, legati anche a nomi di importanti italiani come Galvani, Volta, Aldini ed altri, dedicarono molta attenzione all’applicazione in ambito medico della corrente elettrica sia come mezzo terapeutico che diagnostico. Il principale campo di impiego era la cura delle patologie del sistema nervoso centrale e negli anni l’elettricità trovava sempre maggiore impiego in ambito psichiatrico. La cura della depressione, della schizofrenia e dei disturbi del comportamento
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erano i principali campi di applicazione. In quest’ambito l’impiego di corrente elettrica trovava la sua più nota applicazione con l’introduzione della terapia elettroconvulsivante; metodica in grado di indurre crisi epilettiche a scopo curativo. L’avvento della moderna farmacologia e l’approccio meno invasivo alla patologia psichiatrica determinò nel tempo un progressivo abbandono di tali metodiche ed una diminuzione dell’utilizzo della corrente elettrica come opzione terapeutica. L’elettricità fu utilizzata soprattutto a fini diagnostici. La capacità di stimolare tronchi nervosi periferici e di registrarne le risposte apriva la strada al perfezionamento di tecniche diagnostiche per lo studio dei nervi, del midollo spinale, dell’encefalo, della giunzione neuro-muscolare e del muscolo stesso con la messa a punto di metodiche neurofisiologiche ancora oggi impiegate, in grado di dare informazioni in tempi rapidi, fisiologici e funzionali. Nella seconda metà del secolo scorso, le metodiche di stimolazione elettrica delle strutture cerebrali riscuotevano di nuovo interesse. Le maggiori conoscenze in ambito di plasticità sinaptica e il miglior controllo dello stimolo elettrico e dei suoi parametri di applicazione hanno consentito la possibilità non solo di attivare o meno le strutture cerebrali, ma di modularne le risposte. L’applicazione di una corrente elettrica a strutture cerebrali è in grado di modulare l’eccitabilità dei neuroni con risultati in grado di perpetuarsi anche dopo la sospensione dello stimolo. Ciò ha contribuito negli anni alla nascita di numerose metodiche in grado di “modulare” l’attività cerebrale
in diverse condizioni patologiche. L’impiego di corrente elettrica a finalità terapeutica è stato introdotto nella cura di malattie prevalentemente neurologiche, abbandonando l’utilizzo in psichiatria.. Infatti, le metodiche di stimolazione elettrica trovano impiego nella terapia multimodale di traumi cranici, lesioni midollari, stroke, dolore cronico, abuso di sostanze e fibromialgia. L’ampio ventaglio di applicazione ed utilizzo della corrente elettrica in medicina ha avuto un notevole consenso e quindi applicazione in medicina fisica e riabilitativa. Dal punto di vista pratico ciò ha contribuito al proliferare di metodiche “nuove” in ambito medico, tra le quali ricordiamo la stimolazione magnetica transcranica, la stimolazione elettrica funzionale, la stimolazione di nervi periferici e la nascita di una metodica, minimamente invasiva, dai risultati clinici in crescente espan-
sione: la tDCS (Transcranial Direct Current Stimulation). Essa prevede l’applicazione di una corrente continua, con flusso di direzione e intensità costante, a strutture cerebrali per via transcranica. L’apparecchiatura necessaria è relativamente semplice e poco impegnativa. Lo stimolatore elettrico ha piccole dimensioni e la corrente viene applicata grazie ad elettrodi posti sullo scalpo. Gli elettrodi sono di solito due: l’anodo (polo + nei dispositivi elettronici) e il catodo (polo – nei dispositivi elettronici). L’obiettivo è la modulazione dell’attività cerebrale, piuttosto che l’attivazione/inibizione dell’attività delle cellule nervose. È noto, infatti, che una corrente elettrica è difficilmente in grado di stimolare una cellula silente ma può, senza indurre convulsioni, regolare l’attività funzionale cerebrale modulando il firing spontaneo delle cellule. (Terzuolo and Bullock, 1956).
L’idea di applicare una stimolazione con corrente continua ad aree cerebrali responsabili delle funzioni motorie ha rappresentato un punto cruciale nello sviluppo di tale metodica. Le risposte diventavano “misurabili” prima con outcome funzionali (come svolgere un compito, alzarsi a comando, premere un tasto), poi grazie all’impiego di metodiche neurofisiologiche Tecnologie Riabilitative n. 2 settembre 2014
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Sicuramente i primi risultati legati all’impiego di corrente continua con tDCS in ambito psichiatrico hanno fornito risultati contrastanti. Ciò era in parte dovuto alla difficoltà di impiego di rigidi criteri diagnostici, ai differenti protocolli di applicazione ed alla scarsa metodologia clinica utilizzata nel progettare gli studi stessi. L’idea di applicare una stimolazione con corrente continua ad aree cerebrali responsabili delle funzioni motorie ha rappresentato un punto cruciale nello sviluppo di tale metodica. Le risposte diventavano “misurabili” prima con outcome funzionali come svolgere un compito, alzarsi a comando, premere un tasto, poi grazie all’impiego di metodiche neurofisiologiche. La registrazione di potenziali evocati
motori, prima e dopo l’applicazione di corrente continua, ha dimostrato l’effettiva capacità di stimolare strutture cerebrali per via transcranica e di modulare in senso positivo o negativo tali risposte. I primi studi hanno dimostrato che l’applicazione di corrente elettrica alle strutture cerebrali è effettivamente in grado di modularne l’attività. La via transcranica è capace di garantire il raggiungimento delle strutture cerebrali. Inoltre, hanno chiarito due principi fondamentali di tale metodica: la stimolazione anodica non ha effetti uguali alla stimolazione catodica ed i risultati ottenuti si perpetuano per alcuni minuti anche dopo la sospensione della stimolazione. Diventa sempre più evidente il ruolo cruciale del posizionamento stes-
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so degli elettrodi, i primi studi utilizzavano un elettrodo cefalico e uno extracefalico (di solito al ginocchio), successivamente entrambi gli elettrodi sono stati posizionati a livello cefalico. Nonostante i primi risultati contrastanti, è opinione oggi consolidata che la stimolazione anodica sia in grado di modulare le strutture cerebrali in senso eccitatorio e la catodica in senso inibitorio. Le ragioni neurofisiologiche di tali manifestazioni sono tutt’ora non del tutto chiarite. L’impiego di farmaci in grado di modulare l’attività dei recettori glutammergici di tipo NMDA e dei canali del Na, ha dimostrato il possibile ruolo di tali strutture nel determinare la modulazione dell’attività indotta dalla corrente elettrica e recenti evidenze dimostrano la capacità di stimolare la produzione di neurotrofine. Studi di plasticità sinaptica sottolineano la capacità della corrente elettrica di interferire in senso positivo o negativo con i meccanismi di long-term potentiation e long-term depression. Gli studi hanno evidenziato la sicurezza per il paziente e per il tessuto cerebrale all’applicazione di tale metodica. L’impiego di intensità molto ridotte (nell’ordine di 1 mA) e l’utilizzo di elettrodi con area di stimolazione abbastanza ampia, preservano da danni le strutture cerebrali e l’insorgenza di eventi avversi come le crisi epilettiche. Anche il dosaggio di marker specifici di danno tissutale neuronale, come la enolasi neurono-specifica (NSE) dimostrano la sicurezza della tDCS. Tra le varie patologie che nel corso degli anni sono diventate possibili ambiti di applicazione della tDCS particolare interesse è stato rivolto alla riabilitazione dello stroke. Le crescenti conoscenze fisiopato-
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logiche nel campo della patologia cerebrovascolare hanno dedicato sempre maggiore attenzione alla modulazione dell’attività corticale. Il perfezionamento di una metodica semplice, poco invasiva, non dannosa e in grado di modulare l’attività corticale cerebrale collocando la tDCS nell’ambito delle possibili strategie di intervento per il paziente con stroke al fine di ottimizzare l’outcome riabilitativo. È dimostrato che la zona corticale ischemica va incontro a fenomeni di necrosi ed apoptosi. Le strutture corticali adiacenti subiscono nei giorni successivi, a causa di alterazioni legate a modifiche dell’attività delle cellule gliali, alla presenza di edema, al rilascio di fattori locali, agli squilibri di membrana, una modifica della loro eccitabilità con conseguente riduzione di attività cerebrale dell’emisfero ipsilesionale e un successivo instaurarsi di ipereccitabilità dell’emisfero controlesionale. L’ipereccitabilità dell’emisfero controlesionale è stata dimostrata in grado di interferire con il recupero delle funzioni motorie da parte dell’emisfero ipsilesionale. La finalità di queste alterazioni della eccitabilità è, senza dubbio, un tentativo da parte del cervello di vicariare le funzioni lese. I processi di plasticità che si instaurano in questa fase hanno finalità positive ma esiste anche la possibilità di una neuroplasticità maladattativa. L’impiego di metodiche quali la tDCS rappresenta una delle poche opzioni terapeutiche in grado di interferire positivamente in vivo con i processi di neuroplasticità. La stimolazione anodica di aree cerebrali ipsilaterali e la stimolazione catodica di aree controlaterali può avere un ruolo fondamentale nella gestione delle modifiche dinami-
che dell’attività corticale dell’emisfero leso e del controlaterale. I tre maggiori meccanismi di effetti neurofisiologici indotti dalla tDCS sono: il miglioramento del flusso ematico cerebrale, la facilitazione della plasticità sinaptica e l’espressione di fattori neurotrofici. L’impiego della corrente continua nello stroke è stato inoltre ampliato alla stimolazione delle aree del linguaggio nel paziente afasico con risultati incoraggianti soprattutto nella denominazione degli oggetti. Alcuni punti critici nell’applicazione della tDCS restano tuttavia poco condivisi e dibattuti:il momento in cui introdurre il trattamento nell’ambito della storia naturale di un paziente con stroke, la posizione e la dimensione degli elettrodi, il numero di sedute del trattamento, la durata del trattamento, la correlazione col tipo di stroke, la correlazione con la sede/estensione della lesione e l’intensità dello stimolo elettrico. Tutto ciò fa della tDCS una metodica molto affascinante e promettente. Ad oggi comunque e’ utilizzata da poche strutture riabilitative al-
l’avanguardia, in grado di fare ricerca scientifica e di guardare al progresso della riabilitazione in campo neurologico. I risultati sono poco condivisi, di solito il campione di studio è limitato e selezionato con una scarsa riproducibilità dei risultati su popolazioni più ampie e meno selezionate. Anche la ricerca di base fatica a dare certezze. La diversa architettura cerebrale e corticale delle specie animali utilizzate in laboratorio rende difficile la traslazione dei risultati al cervello umano. In ogni caso, considerata la semplicità della metodica, la facile disponibilità e accessibilità logistica ed economica, il minimo impegno per il paziente, l’assoluta sicurezza e la provata efficacia nel modulare l’attività cerebrale, bisogna essere fiduciosi e pronti a recepire/trarre nuove evidenze in grado di fornire protocolli condivisi di utilizzo della tDCS. La capacità di interferire e modulare i meccanismi di recupero a livello neuronale potrebbe rappresentare un arma del fisiatra in grado incidere ulteriormente sull’outcome riabilitativo del soggetto affetto da stroke. ❑
Tutto ciò fa della tDCS una metodica molto affascinante e promettente. Ad oggi comunque è utilizzata da poche strutture riabilitative all’avanguardia in grado di fare ricerca scientifica e di guardare al progresso della riabilitazione in campo neurologico
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L’ANGOLO LEGALE L’ANGOLO DEL LEGALE
Luigi Moschetti
Studio Legale Associato Ferraro- Mirra
L’Europa parla, ma la crisi resta Gli imprenditori (in affanno) chiedono risposte Mentre la clessidra che segna il tempo della crisi continua a scorrere, la croce che i nostri imprenditori stanno stancamente trascinando sulle loro spalle si fa sempre più pesante. Di contromisure e soluzioni parliamo oggi con l’Avvocato Luigi Moschetti
I
l recente giudizio dell’agenzia Standard & Poor’s sul rating del Belpaese ha confermato il livello BBB con un outlook, ovvero la previsione nel medio-lungo termine, che resta negativo, a causa dei «rischi che permangono sui conti pubblici italiani, a causa delle deboli prospettive di
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crescita», come ha spiegato la società finanziaria americana, che ha auspicato progressi in tema di riforme strutturali e fiscali. Intanto gli osservatori aspettano di capire quali potrebbero essere, in Italia, gli effetti delle novità introdotte dalla Banca Centrale Europea (Bce) e fortemente volute da Mario Draghi. La decisione, definita storica, è stata quella di tagliare i tassi riconosciuti alle banche per la loro liquidità, in eccesso, depositata presso la Bce (tassi overnight), con il dichiarato scopo di attenuare il fenomeno del credit crunch (razionamento del credito), praticato dalle banche a danno di imprese e privati. In pratica, la Bce ha posto i tassi overnight, per la prima volta, al livello di -0,1% e, dunque, il denaro depositato presso la Banca Centrale non frutterà alcun rendimento agli istituti di credito. A questo punto, le banche dovrebbero essere indotte ad utilizzare quelle stesse liquidità per dare maggiori prestiti alle aziende, anziché
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lasciarle infruttuose. Tutto ciò almeno in teoria. Per vedere quali saranno i reali effetti sul fronte del credito si dovrà attendere, anche perché in Italia lo scenario è reso più intricato dal braccio di ferro in corso tra il Governo Renzi e l’Associazione Bancaria Italiana (ABI), la quale non ha affatto gradito l’ulteriore prelievo fiscale di circa due miliardi, deciso con il D.L. cosiddetto «bonus», lo stesso che ha previsto gli 80 euro in più in busta paga e che, con ogni probabilità, è valso a Matteo Renzi il memorabile 40,81% alle scorse Europee. Ciò per dire che il Governo non sarà intenzionato a muovere di una virgola il D.L. «bonus», mentre il mal di pancia delle banche è tale da indurre l’associazione di categoria a minacciare, a più riprese, un inasprimento del credit crunch, con la conseguenza che a farne le spese sarebbe ancora una volta il nostro sistema imprenditoriale, già in forte sofferenza. E non brilla per ottimismo neppure la previsione della Corte dei conti, che ha definito «a rischio» la ripresa economica nel prossimo biennio a causa della drastica e perdurante contrazione delle erogazioni di credito. Le misure adottate dalla Bce richiederanno tempo, ma è proprio questo il punto: mentre la clessidra, che segna il tempo della crisi, continua a scorrere, la croce, che i nostri imprenditori stanno stancamente trascinando sulle loro spalle, si fa sempre più pesante. Tutti invocano iniezioni serie e durature di liquidità nel mercato delle imprese, tuttavia al momento si registrano solo tentennamenti: le banche non fanno più le banche e non concedono credito o, se decidono di farlo, lo concedono a tassi molto onerosi, le Pubbliche Amministrazioni continuano a pagare poco e male le imprese che vantano crediti nei loro confronti.
Le aziende ortopediche sono pagate poco e male. L’attuale nomenclatore tariffario varato nel 1999 con la dicitura di “provvisorio” è tutt’ora vigente e non è mai stato aggiornato, al contrario dei costi, in graduale crescita, a carico delle imprese E’ vero che i Decreti legge n°35 e n°102 del 2013, e da ultimo Decreto legge n°66 del 2014 (D.L. «bonus») hanno messo sul piatto una somma complessiva di 60 miliardi di euro per il pagamento dei debiti della P.A., ma tempi, modalità, iter procedurali restano impigliati nelle maglie della burocrazia italica, rendendo questi interventi normativi più simili ad uno spot. Se questi appaiono i tratti salienti dell’attuale scenario, le aziende che svolgono la loro attività nel settore dell’ortopedia devono fare i conti con ulteriori criticità, legate alla loro condizione di fornitori, per buona parte del loro business, del Servizio Sanitario Nazionale e, più in genere, delle Pubbliche Amministrazioni. Anzitutto, le aziende ortopediche sono pagate poco e male. L’attuale nomenclatore tariffario, varato nel 1999 con la dicitura di «provvisorio», è tutt’ora vigente e non è mai stato aggiornato, al contrario dei costi, in graduale crescita, a carico delle imprese che producono e/o assemblano protesi ed ausili ortopedici, che sono chiamate ad investire anche in termini di ricerca tecnologica. Si tratta, insomma, di rimborsi del tutto fuori mercato per le aziende del set-
tore: un tariffario anacronistico che determina un margine di guadagno talmente minimo che, sui numeri complessivi, può tradursi facilmente in perdite per l’impresa. Inoltre, i ritardi sui pagamenti delle fatture rappresentano un dato costante, una dura realtà con cui l’imprenditore si misura giorno dopo giorno. Le A.S.L. e le Aziende Ospedaliere sono fisiologicamente indebitate, spesso in disavanzo strutturale, tanto da essere a rischio di insolvenza, per cui le fatture certificate dall’Ente, che dovrebbero rappresentare crediti certi per l’azienda, in realtà non sono più considerati tanto sicuri dal sistema bancario, il quale vuole evitare di ritrovarsi in pancia crediti non monetizzabili, nel breve e medio termine. La crisi di liquidità delle aziende ortopediche (ma il dato si estende a tutti i creditori del settore sanitario) può essere tamponata ricorrendo alle società di factoring, che generalmente sono pronte ad intervenire nelle situazioni a maggior rischio, esattamente quelle che fanno storcere il naso agli istituti di credito. Le società di factoring acquistano o anticipano il credito che l’azienda vanta nei confronti delle A.S.L. e così gli imprenditori possono contare su
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una iniezione di liquidità nei propri conti sofferenti. Gli strumenti più comunemente utilizzati sono le cessioni pro soluto o pro solvendo, il mandato irrevocabile all’incasso, lo sconto, le anticipazioni di credito garantite. Tuttavia, a medio e lungo termine, può rivelarsi una scelta non esattamente vantaggiosa, poiché queste
nanziaria, così da prevedere, sovente, una clausola contrattuale con la quale si riservano il diritto di chiedere il rientro, in tempi brevissimi, degli importi anticipati alle imprese. In pratica, possono decidere di chiudere il rubinetto e richiedere indietro un parte dell’acqua già versata, lasciando l’imprenditore a secco.
operazioni impongono l’applicazione di tassi d’interesse piuttosto onerosi, che variano in base al tipo di strumento utilizzato, e che tengono conto anche del rating (livello di affidabilità) dell’impresa cliente, nonché dei tassi di mercato e, talvolta, della percentuale di sconto del credito anticipato o ceduto. Insomma, ricevere soldi subito, alla fine dei giochi, costa e nemmeno poco. Senza contare che anche le società di factoring, a seconda della loro solidità, possono decidere di non andare oltre un certo limite di esposizione fi-
Insomma, se la crisi di liquidità è troppo prolungata, cosa che sta accadendo in questi anni, ricorrere a questa forma di credito si rivela una non soluzione e può essere fonte di ulteriori criticità per l’azienda. L’alternativa può essere rappresentata dagli studi legali specializzati nel recupero dei crediti, attraverso l’attività giudiziale e/o stragiudiziale nei confronti degli Enti sanitari. Qui conta molto il ruolo del professionista, la sua capacità di gestire con elasticità e rapidità le diverse problematiche, perché in fondo ogni credito è una
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storia a sé e le strategie per riportare a casa il proprio denaro sono innumerevoli. Diverse le variabili in campo: le caratteristiche della società creditrice e del mercato in cui opera, il genere di soggetto debitore, il meccanismo contrattuale posto alla base del rapporto commerciale, l’entità dei crediti, la natura dei rapporti istituzionali. Spesso è il dettaglio a fare la differenza, ma il legale non deve mai perdere la visione d’insieme per svolgere un’azione efficace in favore del cliente. In genere, il contraddittorio con l’Amministrazione debitrice (senza escludere, ovviamente, il privato debitore) dapprima sorge attraverso note di sollecito e diffide, e prosegue, nel caso, con ricorsi per ingiunzione di pagamento ed eventuali procedure di esecuzione forzata per ottenere il soddisfacimento dei crediti. I costi sono variabili in relazione al professionista ed alle attività svolte, ma restano, generalmente, più contenuti e meno vincolanti di quelli richiesti dal sistema bancario. Istruzioni per l’uso: gli studi legali più accreditati in materia sono quelli in grado di instaurare con l’Ente sanitario un confronto serio e sereno, lontano da fini speculativi; chi gestisce la «cosa pubblica» deve sapere di avere di fronte un soggetto che agisce nell’interesse del proprio cliente, ma di cui ci si può fidare, perché riconosciuto come interlocutore affidabile. In altre parole, un bravo avvocato del settore deve conoscere gli strumenti per «fidelizzare» anche la propria controparte istituzionale: un’operazione che non si improvvisa, ma è frutto di esperienza e di una costante presenza in questo genere di rapporti. Alcuni imprenditori non amano troppo l’idea di azionare lo strumento legale contro chi, bene o male, fornisce loro la possibilità di lavorare. Un timore
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che nasce dallo stereotipo - purtroppo, in molti casi, non troppo lontano dalla realtà -, dell’avvocato rampante che segue una condotta aggressiva e che imposta la propria azione sullo scontro frontale, con la conseguenza di restare invisi all’Ente sanitario per «l’affronto» subito. La verità è che bisogna saper scegliere il proprio professionista: quello di cui fidarsi è colui il quale sa creare con l’Ente debitore un dialogo improntato sull’onestà intellettuale e soluzioni equilibrate, che mirano alla piena soddisfazione del diritto di credito dell’azienda cliente, senza alcuna paura di ripercussioni sui rapporti istituzionali, poiché gli Enti restano, tutto sommato, soggetti giuridici che agiscono secondo logiche complesse, in cui gli individualismi contano poco. Ecco, un avvocato affidabile conosce tempi e modalità per inserirsi in queste logiche. Per evitare passi falsi nella scelta del legale, il vecchio e collaudato sistema del passaparola si rivela molto utile, magari acquisendo informazioni dalla propria associazione di categoria o da altre aziende, che hanno già sperimentato il modus operandi del professionista. Perché, del resto, conta il risultato, ovvero che l’impresa possa ottenere i propri soldi in tempi rapidi. Già, il tempo: il fattore che fa la differenza. Altra falsa convinzione che si nutre, in tema di recupero giudiziale dei crediti, è connessa alle tempistiche in gioco; è un fatto che l’Italia sia uno dei Paesi dell’Unione Europea ad avere la giustizia più lenta, nondimeno va considerato che le procedure relative al recupero dei crediti ed all’eventuale fase esecutiva risentono in minima parte di questa lentezza, che coinvolge principalmente il contenzioso ordinario. E poi, va considerato che soltanto una parte dei crediti imboccano necessariamente la via
La crisi di liquidità delle aziende ortopediche può essere tamponata ricorrendo alle società di factoring. L’alternativa può essere rappresentata dagli studi legali specializzati nel recupero dei crediti giudiziale, mentre in molti casi il pagamento da parte dell’Ente (o anche del privato) debitore avviene in via stragiudiziale e bonaria. Un altro aspetto spesso trascurato, ma che può incidere in senso positivo sulle liquidità delle aziende ortopediche, è quello relativo agli interessi moratori, che maturano a favore del creditore, in ragione del ritardo nel pagamento delle fatture. L’imprenditore del settore ortopedico deve tenere ben presente che ottenere gli interessi moratori è un suo diritto, al pari delle somme fatturate e rimaste insolute. Per i crediti più risalenti nel tempo, quelli ormai dimenticati senza speranza in un cassetto nella pila delle cose andate male, si può ottenere il pagamento di interessi pari a somme che si avvicinano, addirittura, al capitale. In sostanza, si tratta di un valore aggiunto, di un quid pluris che, rapportato ai numeri di un’azienda di medie dimensioni, può costituire un tesoretto in termini di liquidità, senza il rischio di essere risucchiati nel vortice delle logiche bancarie e degli interessi passivi che esse applicano. Sia chiaro, si sta parlando di due strade molto differenti tra di loro: le società di factoring danno subito ossigeno con iniezioni di liquidità, ma ciò costa e può costare anche molto, non
solo in soldoni, se la crisi dell’azienda si prolunga; con gli studi legali specializzati il recupero della liquidità è più graduale, ma nel giro di qualche mese si ottiene denaro, senza averlo svalutato in precedenza con cessioni o anticipazioni di credito. Nel primo caso, il problema della mancanza di liquidità è solo tamponato, ma non risolto; nel secondo, si va ad intervenire sulla causa della criticità, ottenendo il rientro dei propri crediti in via definitiva con vantaggi di tipo strutturale per l’azienda. Un dato è certo: se lo Stato non è ancora in grado di dare risposte concrete alle esigenze del nostro sistema imprenditoriale con riforme serie e strutturali (quella del fisco, in primis), se le banche stringono le maglie del credito, rinnegando la loro naturale attitudine ed impedendo alle aziende di investire, di crescere e di creare occupazione, allora gli imprenditori del settore ortopedico non possono più aspettare e solo sperare nella svolta, perché intanto i conti non tornano. Occorre studiare mosse alternative e rimboccarsi le maniche. In fondo non c’è nessuna novità in questo: le imprese italiane hanno sempre contato solo sulle proprie forze e sulla loro capacità di sopravvivenza e di saper essere competitive sul mercato, nono❑ stante le condizioni avverse.
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n tiziario MILANO “Lo sci alpino e moderno – Novità in Ortopedia Traumatologia e Prevenzione” – Convegno patrocinato da Assortopedia che si svolgerà il 10/11 Ottobre 2014 presso il Palazzo Lombardia (Milano)
MILANO Milano 15-16-17 Novembre - 37° Congresso della Società Italiana di Chirurgia Vertebrale e Gruppo Italiano Scoliosi
ROMA Roma 29 Settembre – 4 Ottobre 2014 – 1° Clinical Movement Analysis World Conference (Ospedale Bambino Gesù)
VERONA Si è svolta il 21 giugno l’annuale Assemblea Ordinaria dei Soci. Oltre alle consuete tematiche relative al bilancio, Consiglieri ed Aziende Associate sono state aggiornate sull’appello rivolto al Ministero e sui lavori di riforma dell’attuale Nomenclatore.
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71 APPELLO PER LA REVISIONE DEL NOMENCLATORE TARIFFARIO
REGIONE LAZIO È stato pubblicato il DCA U00189 con cui la Regione Lazio ha prorogato il precedente tariffario (DCA 112), confermando tutte le tariffe ad eccezione di quelle di stomie e cateteri, che sono state leggermente modificate, alcune maggiorate altre ridotte. Tale tariffario resterà in vigore fino a quando la Regione Lazio non avrà definito “diverse modalità di approvvigionamento”.
Assortopedia, CSR, ADM AReha, ANAP, ANTOI, Ass. Luca Coscioni, Assortopedia, CIDOS, FederSan, FIOS, FIOTO, FISH, Forum Nazionale Ortoprotesico, ISORTECS, SIMFER, TOI nel mondo hanno sottoscritto un appello per una corretta revisione del Nomenclatore Tariffario che dovrà essere rispettoso sia dell’Assistito, che delle aziende della filiera distributiva, dei produttori, del medico prescrittore e dei professionisti sanitari impiegati.
FIERA CREXPO CHINA 2014 REGIONE LIGURIA Sono state pubblicate le nuove linee guida sull’Assistenza Protesica. Sono consultabili sul sito www.liguriainformasalute.it seguendo il percorso “la Regione per la Sanità” – Assistenza Protesica.
Dal 27 al 29 ottobre 2014 si svolgerà a Pechino la Fiera Crexpo China 2014. ICE (Istituto per il Commercio Estero) ha organizzato, in collaborazione con Confindustria Federvarie e con il consorzio IGIS una partecipazione collettiva alla fiera.
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72 VETRINA PANDASTATION VIAGGIA CON NOI!
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Nella progettazione dei lettini Fysra è stata posta una attenzione speciale alla funzionalità nell'Nella progettazione dei lettini Fysra è stata posta una attenzione speciale alla funzionalità nell'utilizzo. Una corretta ergonomia nel lavoro ed il confort del paziente sono stati fattori preponderanti. Anche l’aspetto ed il design sono stati curati con attenzione. La gamma dei prodotti è estremamente ampia, con lettini per visite, trattamenti e riabilitazione.
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Tutore studiato per la prima fase riabilitativa dopo traumi e lesioni del ginocchio. Infatti immediatamente dopo la lesione nella fase acuta viene normalmente seguito il principio PRICE ossia Protezione, Riposo, Ghiaccio (ICE), compressione ed elevazione. Tale principio ha come obiettivo quello di ridurre l'emorragia, la tumefazione, l'infiammazione e il dolore. Nasce cosi la necessità di un tutore che fornisca allo stesso tempo protezione, freddo e compressione.
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Questa linea è quanto di più tecnico l azienda abbiamo mai messo in produzione, essa raccoglie diverse tipologie di calzature, tutte studiate per altrettante patologie, in collaborazione con studi medici ed ortopedici. Tutte le calzature della linea sono dotate della speciale soletta estraibile per avere una calzatura sempre nuova e conforme al D. Lgs. 96/47 e seguenti (Calzatura atta ad accogliere plantare di serie o su misura D.M. di serie Classe I) marcatura CE.
INFO
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ISOMOVE L'ISOCINETICA ELASTICA
In natura sappiamo che il movimento isocinetico non esiste ma è stato “costruito” in laboratorio per ottimizzare il processo di recupero. Parallelamente ai dispositivi isocinetici negli ultimi 30 anni si sono sviluppate molte altre metodiche valutative o riabilitative con la consapevolezza che la struttura muscolare e tendinea del corpo umano si comporta anche, o soprattutto, come un sistema elastico.
Tecnologie Riabilitative n. 2 settembre 2014
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Comitato Consultivo LORENZO AGOSTINI - medico fisiatra, già direttore della zona territoriale 12 di San Benedetto del Tronto GIACOMO BAZZINI - Responsabile Servizio di Fisiatria occupazionale ed Ergonomia Fondazione Salvatore Maugeri Pavia GIUSEPPE BUONANNO - Dirigente medico fisiatra presso l'U.O. di Medicina Riabilitativa Ospedale di Borgonovo Val Tidone, Autorizzatore protesica Azienda USL di Piacenza HUMBERTO A. CERREL BAZO - Direttore U.O.Spinale e Medicina Riabilitativa Intensiva Borgonovo Val Tidone (PC) PAOLO BOLDRINI - Direttore Dipartimento di Medicina Riabilitativa ULSS9 TREVISO, Coordinatore Dipartimento Interaziendale di Riabilitazione, ULSS9 TREVISO Ospedale Riabilitativo Motta di Livenza ENRICO CASTELLI - Responsabile delle Divisioni di Neuroriabilitazione Pediatrica e U.D.G.E.E. Dipartimento di Neuroscienze e Neuroriabilitazione Ospedale Pediatrico Bambino Gesù Palidoro (Roma) GIOVANNI ANTONIO CHECCHIA - Direttore Struttura complessa Recupero e rieducazione funzionale Azienda Sanitaria Locale n° 2 Savonese FRANCESCO CIRILLO - Presidente PRM School, Primario Fisiatra Emerito e Direttore Scientifico della Fondazione Sant'Angela Merici di Siracusa MICHELE CLEMENTI - segretario nazionale Assortopedia GIOVANNI CORTESE - Dirigente Medico II Livello Sovrintendenza Medica Generale Settore IV ‐ Prestazioni Sanitarie Curative, Riabilitative e Protesiche SONIA CREMASCOLI - Medico Fisiatra Unità Spinale Fondazione Salvatore Maugeri Pavia, Scuola di Specializzazione in Medicina Fisica e Riabilitazione, Università degli Studi di Pavia GASPARE CRIMI - Direttore Dipartimento Riabilitativo Az. ULSS 20 Verona MASSIMO DE MARCHI - Segretario Nazionale S.I.M.M.Fi.R. ‐ Sindacato Nazionale Medici Medicina Fisica e Riabilitativa, Responsabile Riabilitazione Distretto 1 Terni presso ASL 4 Terni FABIO DE SANTIS - Responsabile Attività Sanitarie e Socio‐Educative Fondazione Don Carlo Gnocchi onlus Polo Lazio‐Campania Nord PAOLO DI BENEDETTO - Medico Fisiatra, Coordiantore della sezione SIMFER sulla riabilitazione Perineale, già Direttore
Indice Inserzionisti
del Dipartimento di Medicina Riabilitativa ASL del Medio Friuli GESSICA DELLA BELLA - Medico fisiatra presso Ospedale Pediatrico Bambino Gesù ADRIANO FERRARI - fisiatra Reggio Emilia DAVID ANTONIO FLETZER - Past President SIMFER ‐ Direttore UOC Centro Spinale Centro Paraplegici di Ostia Azienda USL Roma D FEDERICA GAMNA - Direttore SCDO Medicina Fisica e Riabilitazione, Direttore Dipartimento di Riabilitazione e Continuità delle Cure AOU... San Luigi Gonzaga Orbassano (To), Segretario SIMFER Piemonte, Segretario SIMFER Sezione "Complessità in Riabilitazione" ALESSANDRO GIUSTINI - Past President della Società Europea di Medicina Fisica e Riabilitazione, Direttore Scientifico Ospedale Riabilitativo San Pancrazio Arco di Trento BRUNA LOMBARDI - Direttore U.O. Recupero e Rieducazione Funzionale Azienda Usl4 Prato PIETRO MARANO - Direttore Unità Operativa di Riabilitazione Casa di cura Villa dei Gerani di Catania PROVVIDO MAZZA - Presidente ANTOI GIOVANNI PANARIELLO - Medico Fisiatra, U.O. Riabilitazione Santa Maria del Pozzo Somma Ves. (Na), Segretario SIMFER Campania GUERRINO ROSELLINI - bioingegnere Itop GIANCARLO ROVERE - Direttore Dipartimento di Riabilitazione ASL Alessandria, Direttore RRF Ospedali Novi Ligure, Ovada, Acqui Terme e Tortona, VicePresidente SIMFER MARSILIO SACCAVINI - Direttore Struttura Operativa Complessa Recupero e Rieducazione Funzionale Distretto Est ‐ Azienda per i Servizi Sanitari n. 5 ‐ "Bassa Friulana" VINCENZO MARIA SARACENI - Presidente SIMFER, Ordinario di MEDICINA FISICA E RIABILITATIVA alla Sapienza Università di Roma MARCO TRABALLESI - Direttore Unità Operativa D sezione amputati, Santa Lucia Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico Roma MASSIMO VALLASCIANI - Direttore Sanitario Residenza Stati Vegetativi Foligno, Comitato Scientifico Istituto di Riabilitazione Santo Stefano Potenza Picena (MC)
Per collaborare
II CP CHINESPORT OFFCARR ALFA WASSERMANN DJO GLOBAL EHEALTH CONFERENCE EXPODISABILITÀ REHABIKE SIMFER REHA MADE IN ITALY ABBONAMENTO TR
I COP. II COP. III COP. IV COP. PAG. 4 PAG. 33 PAG. 39 PAG. 43 PAG. 45 PAG. 57 PAG. 61
La collaborazione è sempre gradita ma deve rispettare alcune caratteristiche tecniche. Articoli – I testi devono essere originali, liberi da diritti d’autore verso terzi e non sottoposti ad altre pubblicazioni. La decisione sull’eventuale pubblicazione è ad esclusiva discrezione della Redazione. I testi devono pervenire in formato elettronico in qualsiasi forma di Word Processing e non devono superare le 15.000 battute (spazi inclusi). Grafici, loghi e immagini a corredo devono pervenire in redazione in f.to jpg, tigg o eps con risoluzione minima di 300 dpi. Testi e immagini devono essere inviati a: redazione@edisef.it oppure visti in originale a: EDISEF - Via Antonio Toscani, 26 - 00152 ROMA
Tecnologie Riabilitative - Anno I Periodico N. 2 - Lug./Ago./Sett. 2014 Direttore Responsabile Maria Giulia Mazzoni Collaboratori Alberto Blasi, Sarah Ferri Impaginazione Cecilia Lippi Francesconi Progetto grafico Giulia Pissagroia Redazione Oriana Mazzini Gestione e Servizi Ruggero Genna ROC – Registro Operatori di Comunicazione n. 17883 – Pubblicazione periodica trimestrale registrata presso il Tribunale di Roma il 10/3/2014 n. 37 Edisef Roma Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale Abbonamento annuale Euro 52,00 BONIFICO BANCARIO Banca Popolare del Lazio Ag. 45 Piazzale della Radio 41 00146 ROMA IBAN: IT80U05104032050360001434 Siti internet www.edisef.it www.ehealthnews.it www.informationsecuritynews.it Redazione e Abbonamenti Via Antonio Toscani, 26-00152 Roma Tel. 06/5373096-Fax 06/58200968 e-mail: redazione@edisef.it Finito di stampare nel mese di Settembre 2014 presso: C.S.R. SRL TIPOGRAFIA Via di Pietralata, 155 00158 Roma