Il "mio" Tecnomasio

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Carletto Calcia

IL “MIO” TECNOMASIO

editrice alkes



Carletto Calcia

IL “MIO” TECNOMASIO

editrice alkes


Esprimo doverosamente i miei più vivi ringraziamenti a Matteo Marini, Fabio Tagliaretti, Mario Corsi ed Eliana Baruffi di ABB, che per primi mi hanno incoraggiato a scrivere il libro e sostenuto in questo lungo percorso. Grazie anche a Stefania Mascheroni, che con capacità e dedizione ha contribuito a dar forma al mio racconto. Sono inoltre grato a tutti i colleghi ed amici che in questi mesi mi hanno fornito il loro supporto prezioso, con suggerimenti e dettagli su alcune vicende del Tecnomasio. Tra questi Leonardo Vannotti, Guido Traversa, Roberto Borsaro, Filippo De Ferrari, Pietro Fossa, Giuseppe Mombelli, Giovanni Battista Mazzola, Natale Pacchioni, Marcello Corrada, Luigi Cattaneo, Cesare Scaccabarozzi, Francesco Cattari, Antonio Venturini, Erminio Astori, Ettore Broveglio, Mario Nocco, Marialuisa Manganaro Lentati, Sauro Ripamonti, Gerhard Neidhöfer, Kurt Baltisberger, Renato Noser, Lino Bergonzi, Leonardo Di Corato, Giorgio Gallo, Paolo Garbagnati, Paolo Marchesani, Maria Griffini Beneggi, Celestina Meazza, Loredana Negroni, Giuseppe Corbetta, Giuseppe Oldani, Piero Dallera, Giuseppe Carabillò, Bruno Framba, Paolo Benatti, Alessandro Cogliati, Franco Sezenna, Piero Barbante, Francesco Morin, Domenico Scovenna, Valerio Gianoli e Michele Pintus. Sono inoltre grato al presidente di Assolombarda, Gianfelice Rocca, per il suo gentile contributo e a Giacomo Cordioli, presidente della Commissione Tecnica di ANIE Energia, per il suo apprezzato supporto. Un vivo ringraziamento va anche a Marco Nocivelli per alcune sue gentili precisazioni al testo. Mi sento obbligato a ricordare con emozione i molti colleghi del TIBB (non più tra noi) ma ancora vivi nella nostra riconoscente memoria. Da ultimo, chiedo scusa per mie possibili dimenticanze e imprecisioni relative a persone, fatti e date e ringrazio in anticipo chi volesse gentilmente segnalarmele. Carletto Calcia IL MIO TECNOMASIO Revisione editoriale Federico Cavalieri Progetto grafico e copertina Fabio Lancini Editing e impaginazione Editrice Alkes, Milano Foto Archivio dell’Autore, Tecnomasio, ABB Uno speciale ringraziamento ad ABB – www.abb.it Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta, archiviata, memorizzata o trasmessa in qualsiasi forma o mezzo, se non nei termini previsti dalla legge che tutela i diritti d’autore. L’autore è a disposizione degli aventi diritto per eventuali fonti iconografiche non individuate.

Finito di stampare nel mese di aprile 2016 presso AGF Arti Grafiche Fiorin Spa Via del Tecchione 36 - 20098 Sesto Ulteriano, San Giuliano Milanese (MI) Prima edizione Printed in Italy ISBN: 978-88-907527-9-7


Sommario

Prefazione

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Prologo

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1. Gli anni del Liceo e del Politecnico

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2. L’assunzione al Tecnomasio

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3. La sala prove “Macchine Rotanti”

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4. L’ufficio tecnico

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5. La direzione della scuola serale

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6. Baden

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7. Il rientro in Italia

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8. L’ufficio tecnico W

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9. Le linee di business

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10. Le divisioni

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11. Gli sviluppi del Tecnomasio

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12. Nasce ABB

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13. L’ABC della saggezza

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APPENDICE I I primordi del Tecnomasio

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APPENDICE II Altre vicende del Tecnomasio (1950-1980)

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APPENDICE III Il nucleare e i ruoli di TIBB e BBC

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APPENDICE IV Nascita e sviluppi del GIE

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Note

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Prefazione Credo sia importante la pubblicazione di un libro come questo che, attraverso le parole di Carletto Calcia, protagonista di molti decenni della vita di questa grande impresa e punto di riferimento per varie generazioni di colleghi e collaboratori, ci permette di capire le nostre origini e come siamo diventati ciò che siamo. Grazie all’eredità di questa azienda di successo, tuttora ben viva sotto il marchio ABB, cui nel tempo si sono affiancate molte altre rilevanti tradizioni industriali, oggi ABB Italia può vantare di essere una componente essenziale della multinazionale ABB, Gruppo leader nelle tecnologie per l’energia e l’automazione. La vicenda narrata da Il “mio” Tecnomasio è efficacemente sintetizzata già dal titolo: la vita di lavoro di un ingegnere al Tecnomasio Italiano Brown Boveri, una delle più prestigiose realtà dell’industria elettromeccanica italiana del Novecento, dal 1951, momento dell’assunzione subito dopo la laurea, fino al 1988, quando la società confluì in ABB. Con un’accattivante prosa in prima persona, Carletto ci racconta come negli anni il Tecnomasio gli abbia offerto l’opportunità di avere una lunga e fortunata carriera, scandita dall’assunzione di crescenti responsabilità, dapprima tecniche e poi sempre più commerciali e gestionali. L’aggettivo “mio” non deve ingannare, perché questa è anche una storia corale, arricchita dalle voci e dalle dirette testimonianze dei moltissimi colleghi e amici dell’autore, che con lui hanno condiviso impegni, sfide, momenti di svago, successi e anche, talvolta, delusioni. Attraverso le pagine si sente pulsare la vita della grande industria, un’azienda con una storia secolare, protagonista del boom economico italiano cui contribuì potenziando a tutti i livelli le infrastrutture elettriche del Paese per modernizzarlo e renderlo migliore. Anni di primati applicativi e tecnologici del “saper fare” italiano, raggiunti spesso in collaborazione con la Brown Boveri, la casa madre svizzera, e di importanti risultati commerciali sui mercati di tutto il mondo, ma anche di accanita competizione e di continui e profondi cambiamenti. Personalmente, ho conosciuto l’ingegner Calcia molti anni fa: fin da subito avevo notato l’apparente contraddizione tra il suo rappresentare la memoria storica del Tecnomasio e la sua continua ricerca del “nuovo”, di innovazione in senso lato, specie se legata a business model, mercati o tecniche di management, sempre caratterizzata da un inguaribile ottimismo e da un’incrollabile fiducia nel futuro e nella capacità dell’uomo di poterlo gestire, addomesticandolo alle proprie esigenze.

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Nel tempo, ne ho apprezzato, al di là delle meravigliose doti umane e morali, la saggezza manageriale, la costante ricerca nei fatti, negli errori come nei successi, di una morale, di un’interpretazione comprensibile e soprattutto di una lezione da poter ben imparare e diffondere a beneficio di colleghi, giovani e non. Tutto ciò, condito da un pragmatismo sano, che trascende mode accademiche o manageriali, e che probabilmente affonda le proprie radici nelle sue origini piemontesi o magari anche nella dura gavetta che Carletto Calcia ha fatto agli inizi della sua lunga e brillante carriera. In questo libro ci sono le vicende personali di Carletto Calcia, sempre contraddistinte da un approccio umano caldo e partecipe, e c’è l’evoluzione delle strategie aziendali, con cambi di organizzazione o di specializzazioni produttive e acquisizioni di altre aziende, in special modo nei settori della trazione ferroviaria e dei trasformatori. C’è poi l’evoluzione della cultura aziendale che vede il primato dei tecnici affiancato - ma non messo in discussione - e arricchito dall’emergere di nuove aree di sempre maggiore attenzione, che vanno dalla focalizzazione sul cliente alla più precisa ripartizione interna di costi e ricavi, dai nuovi modelli di gestione delle Risorse Umane alla forte sensibilità per la sicurezza sul lavoro e la salute di tutti i dipendenti. E c’è anche, sentita come una missione, la volontà di far crescere i propri collaboratori alimentandone la passione per la competenza e l’affidabilità, incoraggiando l’autonomia e le esperienze internazionali e portandoli a conoscenza degli studi più aggiornati, sia sugli sviluppi tecnologici, sia sulla cultura di management. Una visione a tutto tondo, dunque, incentrata sulla storia come “maestra di vita” che insegna a cogliere il buono di ogni innovazione e, al tempo stesso, ad apprezzare la perdurante validità di scelte e prassi sperimentate magari già decenni or sono. Tutto ciò si intreccia, pagina dopo pagina, alla storia concreta di un’infinità di macchine costruite e di progetti realizzati, perché è pur sempre di industria che si tratta ed è un ingegnere che ne parla. Nel capitolo finale Carletto ha voluto riassumere in una sorta di vademecum di pronta consultazione ciò che ha imparato e che ritiene di poter offrire alle giovani generazioni come spunto di riflessione su un’ampia serie di temi e concetti fondamentali nella vita del manager di oggi e di domani. Le appendici che completano l’opera sono dedicate a temi specifici quali l’affascinante storia del Tecnomasio prima del 1950, la breve stagione del nucleare italiano, le complesse vicende nei tormentati anni ‘70 di varie altre grandi aziende del settore, in parte confluite in ABB. In effetti, la realtà attuale di ABB Italia, con il suo vasto patrimonio di competenze tecnologiche e applicative e la sua capacità unica di continuare a innovare, nasce da una pluralità di storie ed esperienze: del Tecnomasio

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così come di alcuni dei più noti marchi dell’elettromeccanica nazionale – Ercole Marelli, SACE, Officine Adda, Elettrocondutture, IEL, Ansaldo Trasformatori, Elsag Bailey e altri ancora – che hanno contribuito a scrivere la storia industriale del nostro Paese per poi entrare a far parte del Gruppo. Da questa storia di una vita abbiamo molto da imparare. Come ci insegna in modo mirabile Carletto Calcia: uno sguardo al passato per affrontare con grinta e determinazione tutte le sfide che avremo davanti a noi e per questo a Carletto vanno i miei più sinceri ringraziamenti, anche a nome di tutti i colleghi di ieri e di oggi.

Matteo Marini

Presidente ABB in Italia

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Prologo Nella mia vita non ho mai tenuto diari, in quanto non ho mai pensato di scrivere, come afferma Oliver Sacks, “in tempo reale”, come i diari permettono di fare. Questo libro è pertanto un prodotto “a posteriori”, frutto della memoria mia e di altri colleghi, che hanno già contribuito a celebrare la storia del Tecnomasio. A tutti va il mio riconoscente ringraziamento. Nello scrivere ho cercato di evitare il più possibile “trasformazioni dettate dall’immaginazione”, le quali, sempre citando Sacks, possono avvenire in un’autobiografia. Tuttavia non posso escludere qualche imprecisione relativa a date, eventi e alle stesse persone. Di questo mi scuso in anticipo, pronto ad accettare eventuali rettifiche e precisazioni. Lo scopo di questo libro non è tanto quello di narrare le vicissitudini di una normale vita di lavoro e di vicende che sono in qualche modo, mutatis mutandis, tipiche di molti manager, ma soprattutto di illuminare, integrandolo con le mie vicende, il contesto, il clima e il significato di appartenenza ad un grande Gruppo internazionale e in particolare al Tecnomasio e alla sua lunga e interessante storia. I nostri sono tempi nei quali assistiamo, e partecipiamo, a una crescita esponenziale della conoscenza umana, cioè a una continua accelerazione causata dallo sviluppo dell’Intelligenza Artificiale (IA), con conseguenze che alcuni scienziati, tra i quali spicca Ray Kurzweil, il guru della Singolarità, prevedono portare, verso la metà di questo secolo, alla parità fra la IA e la conoscenza umana. In altri termini, il progresso umano tenderà a crescere moltiplicato per una costante, mentre fino a pochi anni fa esso cresceva principalmente per somma di una costante, cioè linearmente. Ebbene, questo libro si innesta per buona parte in questo passato, partendo dalla metà circa del secolo scorso, ma registrando nella parte finale una certa tendenza alla crescita esponenziale. In altri termini, i tempi del libro sono quelli del regolo calcolatore, del tecnigrafo, del telefono fisso, del telex, del fax, della posta interna, delle presentazioni preparate con il pennarello sui fogli trasparenti e proiettate con le lavagne luminose. Ma registrarono anche l’installazione dei primi centri meccanografici, dei CAD, delle macchine da scrivere elettriche, delle nuove tecniche gestionali e delle organizzazioni divisionali, dei budget, dei project manager, delle macchine utensili a controllo numerico, delle metodologie per il miglioramento aziendale e infine dei computer. 9


IL “MIO” TECNOMASIO Prologo Immagino che la lettura di questo libro possa far sorridere molte persone che sono abituate ad armeggiare con il cellulare anche attraversando le strisce pedonali: tuttavia esso potrebbe essere considerato come la testimonianza di un’interessante epoca, nella quale si verificarono, con il contributo di molte persone, le prime avvisaglie del passaggio della conoscenza da una crescita lineare ad una esponenziale (verso la Singolarità?).

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1. Gli anni del Liceo e del Politecnico Il mese di giugno del 1951 era piuttosto caldo, e una notte ero stato svegliato da alcune scosse di terremoto. Ogni giorno spiavo con ansia il passaggio del postino, in quanto attendevo la lettera di assunzione al Tecnomasio Italiano Brown Boveri (TIBB).

Il postino sapeva della mia attesa e, vedendomi sulla porta, scuoteva il capo da lontano: la lettera non era ancora arrivata. Pazienza. Mi ero laureato a novembre del 1950 in Ingegneria Industriale, sottosezione Elettrotecnica, e, nonostante i buoni voti non avevo ancora trovato lavoro: abitavo in un paese del Monferrato di 5 o 6 mila anime, lontano dalle grandi città e dalle loro importanti aziende. Molti miei colleghi di Torino si erano già sistemati presso la FIAT, la Lancia, la Michelin e la Olivetti di Ivrea. Varie lettere inviate a importanti aziende erano rimaste prive di concreti risultati: avevo anche partecipato ad un test presso la Pirelli alla Bicocca di Milano, senza esito positivo, in quanto si trattava di partire da uno stage di disegnatore presso l’ufficio tecnico, e la cosa non mi sembrava affatto promettente. I mesi intercorsi dalla laurea erano passati a prepararmi a quella che avevo previsto come una possibile brillante carriera, che tuttavia tardava a realizzarsi, lasciandomi un po’ di amaro in bocca. Anche perché i miei studi di cinque anni di ginnasio e tre di liceo classico, nonché quelli di laurea, mi erano costati non pochi sacrifici a causa della Seconda Guerra Mondiale. Infatti, finito a maggio del 1943 il primo anno di liceo, ero stato per mia fortuna consigliato da alcuni docenti di cercare di superare da privatista il secondo anno nei mesi della stessa estate; cosa che mi era riuscita non senza fatica e nonostante la turbolenza politica del settembre. Conseguita la maturità a maggio del 1944, fui però costretto a iniziare gli studi di laurea al Politecnico di Torino soltanto a guerra finita, in occasione di un corso accelerato di recupero, nell’ottobre del 1945. Con un paio di altri studenti all’Università di Torino trovammo alloggio in una pensione in una traversa di Corso Vittorio Emanuele, non distante dal Po e abbastanza vicina allo stesso Politecnico, che – a valle di un bombardamento alleato della vecchia sede in città – era ospitato dalla Facoltà di Architettura nel prestigioso Castello del Valentino. A quel tempo la vita era ancora molto critica, sia per la sopravvivenza delle tessere 11


IL “MIO” TECNOMASIO 1. Gli anni del Liceo e del Politecnico cosiddette annonarie per il pane e gli altri generi alimentari sia soprattutto per i viaggi. Gli orari del “Poli” erano molto fitti e comprendevano i laboratori al pomeriggio. Partivo pertanto la domenica dal mio paese per Alessandria, o con la corriera o in bicicletta, coprendo gli 11 chilometri di distanza e prendendo un treno della sera. La linea Alessandria-Torino, elettrificata in corrente continua a 3.000 V, era ancora molto disagiata in quel primo dopoguerra: le vetture erano molto scarse e spesso eravamo costretti a salire sui carri bestiame, restando al freddo e al buio per oltre 100 chilometri. La pensione a Torino era molto modesta, priva di riscaldamento in quell’inverno freddo e nevoso e frequentata non solo da studenti e impiegati, ma anche da borsari neri, poveri diavoli che pendolavano in treno tra

Il corpo accademico del Politecnico di Torino era di prim’ordine e vantava come Rettore il famoso professore di fisica Eligio Perucca e come ex direttore il professore Gustavo Colonnetti, prestigioso ingegnere, matematico, scienziato e politico.

Sud e Nord per barattare anche solo un sacchetto di sale con uno di farina. Durante il viaggio finivamo spesso per fare amicizia con qualcuno di loro, arrivando addirittura in caso di necessità a condividere la stanza nella stessa pensione per una notte. La tradizionale serietà e disciplina che regnava al Politecnico di Torino, ereditata dalla sua fondazione nel 1859 quale Scuola di Applicazione degli Ingegneri, comportava una frequenza

giornaliera di lezioni e laboratori quale parametro decisivo per essere ammessi agli esami. Il corso accelerato di fine 1945 e inizio 1946 era frequentato, quale prima opportunità di studio dalla fine della guerra, da una moltitudine che rasentava il migliaio di studenti. Il clima, nonostante la disciplina, era quello goliardico delle matricole che dovevano superare l’iniziazione alla scuola con il “papiro” e l’offerta di una bevuta agli anziani. Il pasto di mezzogiorno era più virtuale che concreto, e quello serale in una trattoria nelle vicinanze della stazione di Porta Nuova prevedeva, all’entrata e con il taglio di un bollino dalla tessera del pane, l’estrazione da una cesta di un solo panino giallastro per il contenuto di paglia e stranamente pesante a causa della presenza, accanto a un po’ di farina, di altre misteriose e mai chiaramente individuate sostanze. Un po’ di brodaglia e qualche pezzettino di carne, presentato su un vassoio da un vecchio cameriere con un roboante entrecôte grillée, non riuscivano che parzialmente a rallegrare la banda degli affamati studenti. Alle lezioni, noi provenienti dal liceo classico eravamo costretti a subire le ironiche battute degli assistenti che sottolineavano la nostra supposta arretratezza rispetto ai colleghi del liceo scientifico, da poco introdotto, che forniva in anticipo alcune conoscenze di derivate e integrali. Ciò mi spronò immediatamente ad annullare que12


sto gap prima dell’inizio degli esami, facendo affidamento sulla mia convinzione che gli studi classici offrissero, con la loro larghezza di conoscenze, di analisi e di giudizio, ampie capacità di ulteriore apprendimento. L’inverno freddo e nevoso di quell’anno rendeva difficile studiare la sera in pensione, con il ghiaccio alla finestra: così venni ospitato, insieme a un paio di altri studenti, dal carissimo amico Franco Favero che abitava con la famiglia in un appartamento riscaldato in una Barriera lontana dalla mia pensione. Dopo la cena prendevo il tram per un viaggio di circa mezz’ora e la serata passava rivedendo e discutendo con i colleghi i temi delle lezioni della giornata, fino a circa le 23. A quel momento il padre di Franco, ingegnere civile occupato in lavori di ricostruzione e anche lui attivo la sera, usciva dal suo studio, si sedeva con noi per un breve colloquio e poi preparava caffè e the per tutti. Il lungo viaggio di ritorno in tram chiudeva la mia giornata ben dopo mezzanotte. Con l’avvio del nuovo anno iniziai i primi esami (chimica, analisi matematica e geometria analitica) con ottimi voti. Questi successi mi convinsero che la scelta di ingegneria al posto delle materie letterarie nelle quali ero più versato al liceo non era poi sbagliata e mi sentii rincuorato. Il corpo accademico del Politecnico di Torino era di prim’ordine e vantava come Rettore il famoso professore di fisica Eligio Perucca e come ex direttore il professore Gustavo Colonnetti, prestigioso ingegnere, matematico, scienziato e politico. Salvo qualche eccezione, gli insegnanti di analisi, geometria, fisica, meccanica razionale, meccanica applicata, scienza delle costruzioni, fisica tecnica, macchine termiche, idraulica, eccetera erano quasi tutti anziani e bravissimi. Ognuno di essi era praticamente in grado di sostituire con successo un collega assente nelle sue lezioni. Molti erano apprezzati collaboratori di grandi aziende torinesi: in particolare il “Poli” aveva istituito la cattedra di ingegneria aeronautica e disponeva di una galleria del vento, apprezzata dalla FIAT, costruttrice anche di aerei con la pionieristica progettazione dell’ingegner Giuseppe Gabrielli. Anche la Lancia collaudava nella galleria del vento del “Poli” i suoi ultimi modelli (Aprilia e Ardea). In quei primi mesi del dopoguerra, quasi tutti al “Poli” erano coinvolti in una discussione che riguardava la nuova sede. Gli americani, per farsi perdonare la distruzione della vecchia sede durante i bombardamenti, si erano dichiarati disponibili a finanziare la costruzione della nuova, tuttavia ponendo la condizione che essa sorgesse sul vecchio sito. Tale condizione veniva contestata sia dal corpo accademico sia dagli stessi studenti, che preferivano una collocazione periferica, meno soggetta ai disturbi che la rete cittadina avrebbe sicuramente provocato agli esperimenti di laboratorio. Queste discussioni e proteste cessarono nel 1959 con la realizzazione dell’attuale sede in Corso Duca degli Abruzzi. Nonostante la vita in pensione sempre più dura, a causa dell’affollamento, della presenza di persone di discutibile reputazione e di vicende giudiziarie che colpivano 13


IL “MIO” TECNOMASIO 1. Gli anni del Liceo e del Politecnico i gerenti della pensione stessa, superai con buoni voti gli esami del biennio, uguali per tutti gli studenti, e decisi di proseguire gli studi scegliendo Ingegneria industriale invece di Ingegneria civile. In quel momento, insieme con il collega Carlo Carosio, anche lui abitante in un paese del territorio alessandrino, decidemmo di rinunciare alla pensione torinese e di frequentare con cadenza possibilmente giornaliera, risiedendo ognuno presso la propria famiglia. Iniziò così un periodo che, se presentava il vantaggio di dormire in famiglia, costringeva al disagio di viaggi in treno quasi giornalieri. Mi alzavo alle cinque e, per mancanza di mezzi di trasporto pubblico, coprivo in bicicletta gli undici chilometri che mi separavano da Alessandria, lasciavo con Carosio la bicicletta al deposito della stazione per prendere il treno delle sette, che ci portava a Torino poco dopo le otto. Dopo una colazione a base di focaccia consumata in cammino, arrivavamo in tempo per la lezione delle nove, perdendo ovviamente quella precedente. Ciò comportava il rischio di non essere ammessi all’esame, rischio che cercavamo di eliminare durante l’anno convincendo il professore che, nonostante la cattiva frequenza, ci eravamo preparati sulla materia con libri e dispense. Al pranzo di mezzogiorno provvedevamo con qualche panino e raramente in trattoria, a causa delle ristrettezze familiari. Quando chiedevo 500 lire a mio padre, modesto negoziante di paese, mi portava al cassetto e mi mostrava abbastanza spesso che tale cifra non era stata incassata nella intera giornata. (Durante la mia vita di manager mi sono trovato molto presto a gestire il fondamentale parametro del cash flow aziendale: il ricordo del cassetto di mio padre è stato sempre presente e significativo). Il pomeriggio della giornata torinese era occupato da vari esercizi e dai laboratori, seguiti dal rientro in treno, con arrivo ad Alessandria verso le 19: la pedalata in bicicletta, al buio nei mesi invernali, chiudeva la giornata. Restava la cena e lo studio in cucina, in compagnia del gatto, fino allo spegnimento della stufa. Talvolta succedeva che al rientro ad Alessandria la bicicletta non fosse più agibile per qualche guasto. Allora mi recavo a piedi sul piazzale vicino al ponte sul Tanaro, notoriamente parcheggio temporaneo di camionisti in transito, e qui riuscivo ben presto a negoziare un passaggio fino al paese con un gentile autista. Delle pedalate notturne di rientro al paese, al buio completo per guasto al fanalino, ne ricordo in particolare una molto strana: la bicicletta si comportava in modo anormale e tendeva a sbandare lateralmente, mettendo a rischio l’equilibrio. Non riuscivo a capire il mistero, fino al momento in cui i fari di una rara auto di passaggio illuminarono la strada. Era completamente occupata da rane che si spostavano da un fosso all’altro attraversando la strada, in una migrazione causata da motivi che mi sono rimasti sempre sconosciuti. Passarono così il terzo e il quarto anno e arrivò il momento di scegliere la specializzazione: la meccanica era molto votata, forse troppo, e mi decisi per elettrotecnica, 14


passando alla sede separata dell’IENGF (Istituto Elettrotecnico Nazionale Galileo Ferraris), allora presieduto dal professor Giancarlo Vallauri, eminente ingegnere e scienziato, nonché ammiraglio della Marina ed ex Rettore del Politecnico di Torino. Vallauri guidava uno staff di eccellenti colleghi, tra i quali Mario Boella, specialista di Comunicazioni, anch’egli ingegnere e ufficiale di Marina. Il mio corso presso l’IENGF era frequentato da circa 100 studenti, tra i quali spiccavano una decina di gentili ragazze. Il nostro corso si distinse in seguito per una peculiare caratteristica: quella di promuovere ogni anno, alla fine di novembre, un incontro di ex allievi per un pranzo a Torino. Questa tradizione si è praticamente mantenuta dalla laurea fino ad oggi, con una partecipazione purtroppo in calo per motivi di lontananza e di età. Il 22 novembre 2014 eravamo solo 15, ma in buona armonia e fratellanza. Nel 1950, a 24 anni, mi misi finalmente dietro le spalle 39 esami e mi preparai per la tesi di laurea; ancora oggi mi dispiace ammettere che non misi sufficiente ambizione nello scegliere con i docenti una tesi prestigiosa e mi accontentai della “illuminazione della città di Alessandria”. Il 20 novembre 1950, con grande sollievo mio e dei miei (soprattutto di mio padre), mi laureai con buoni voti, ma senza il contributo di punti che una tesi più ambiziosa mi avrebbe sicuramente procurato. Alla legittima soddisfazione per la fine del faticoso cammino di laurea, seguì un lungo periodo di attesa, passato giocando a biliardo e a tennis da tavolo; talvolta anche a scacchi con un simpatico artigiano affermato costruttore di botti

Arrivai così alla primavera del 1951 e a un incontro con il collega del “Poli” Giovanni Ribaldone, più anziano di me di qualche anno, che aveva già trovato impiego a Milano presso il Tecnomasio. Egli mi consigliò di inviare una domanda di impiego al TIBB.

per il vino. Arrivai così alla primavera del 1951 e a un incontro con il collega del “Poli” Giovanni Ribaldone, più anziano di me di qualche anno, che aveva già trovato impiego a Milano presso il Tecnomasio. Egli mi consigliò di inviare una domanda di impiego al TIBB con la disponibilità ad un colloquio, citando il suo nome come referenza. Inviai la lettera il 20 maggio e il 26 giugno ricevetti una risposta che mi invitava a riempire e trasmettere un questionario d’impiego: mi suonò come una possibile assunzione in seno alla parte commerciale dell’azienda, e risposi immediatamente. Nei giorni seguenti fui chiamato per un amichevole colloquio con il direttore generale, anch’egli originario di un paese del Monferrato poco distante dal mio, e con il direttore commerciale; ciò mi sembrò molto promettente.

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IL “MIO” TECNOMASIO


2. L’assunzione al Tecnomasio All’inizio di luglio il postino, che da lontano mi vedeva sulla porta, mi fece finalmente un cenno del capo: c’era la lettera! Datata 4 luglio 1951, mi comunicava l’assunzione al TIBB e le relative condizioni.

- Data di entrata: 16 luglio 1951. - Mansioni: ingegnere presso le sale prove, restando aggregato all’ufficio progetti (denominazione che connotava allora l’ufficio tecnico-commerciale, come ho saputo in seguito). - Assegnato alla seconda categoria, con retribuzione mensile lorda di 27.050 lire, oltre l’indennità di contingenza. - Assunzione in prova per un periodo di tre mesi, durante il quale sarebbe stata possibile la disdetta senza alcun obbligo di preavviso o indennità. Restituii subito la lettera controfirmata e nei pochi giorni che restavano cercai di immaginarmi quale sarebbe stata la mia avventura di lavoro. Il nome Tecnomasio (TIBB), spesso declinato come Brown Boveri, godeva già allora di un grande prestigio, non solo a Milano, ma praticamente ovunque. La sua lunga vita, prima di costruttore di strumenti scientifici e industriali e poi dei primi importanti macchinari elettrici per l’energia e la trazione, ne esaltavano lo spirito inventivo e pionieristico. Coetaneo del Politecnico di Milano, il Tecnomasio sempre condivise con questa alta Scuola gli obiettivi di elettrificazione del sistema elettrico italiano. A valle della fusione con la Brown Boveri svizzera, all’inizio del 1900, aveva ricevuto forti impulsi tecnici, economici e finanziari, che la collocavano ai primi posti nel panorama elettromeccanico italiano. Un piccolo esempio: nella nostra cucina era molto apprezzato un fornello elettrico a due piastre del TIBB, robusto e indistruttibile. Mio padre, uomo di media cultura ma intelligente e severo, giudicava molto positivamente la mia assunzione e, con la lungimiranza dell’esperienza, prevedeva nel mio futuro al TIBB un periodo formativo presso la Brown Boveri svizzera. Per il mio soggiorno a Milano venne subito scelta la permanenza presso la famiglia di una zia, sorella minore di mia madre, che, vedova con una figlia di tre anni maggiore di me, gestiva una salumeria poco distante dal Velodromo Vigorelli e dalla Fiera. Domenica 15 luglio 1951 mi trasferii a Milano e passai la serata con mia cugina e altre due sue amiche in una balera all’aperto, a chiusura della mia prima parte di esistenza 17


IL “MIO” TECNOMASIO 2. L’assunzione al Tecnomasio scolastica. La mattina dopo, alle 8, ero già davanti al portone del TIBB, in anticipo rispetto all’ora di apertura: per l’occasione avevo indossato il miglior vestito estivo, di gabardine, piuttosto pesante rispetto al caldo e all’afa. Improvvisamente scoppiò un violento temporale, con raffiche di pioggia: cercai invano

Il nome Tecnomasio godeva già allora di un grande prestigio, non solo a Milano ma praticamente ovunque. La sua lunga vita, prima di costruttore di strumenti scientifici e industriali e poi dei primi macchinari elettrici per l’energia e la trazione, ne esaltavano lo spirito inventivo e pionieristico.

un riparo sotto qualche grondaia, ma mi inzuppai di pioggia e bagnai il vestito al punto che quando asciugò rimase un vistoso e purtroppo permanente segno lasciato dall’acqua. Il mio passaggio attraverso l’ufficio del personale, allora guidato da Poretti, fu molto breve e, dopo la presentazione del mio libretto di lavoro, fui rapidamente accompagnato in infermeria per la visita di controllo del dottor Pasetti, con il quale avrei condiviso una lunga e fortunata vicenda di lavoro. Superata la visita, fui accompagnato in sala

prove per il mio periodo iniziale: mi resi allora conto della scelta del TIBB, da me considerata giusta, che preferiva assoggettare i nuovi ingegneri assunti ad un periodo in cui “vivevano i prodotti”, con i loro aspetti positivi e negativi, alla fine delle fasi di progettazione e costruzione, prima di essere consegnati ai clienti. Era, insomma, una specie di conoscenza dalla coda, anziché dalla testa: i risultati evidenziati dalle prove avrebbero costituito un utile feedback per tutti quelli coinvolti a monte nella catena, soprattutto per progettisti e costruttori.

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3. La sala prove “Macchine Rotanti” Appena entrato a far parte del Tecnomasio, ero molto interessato a conoscere la storia di questa azienda, tanto apprezzata e rinomata, motivo di orgoglio per Milano e per l’Italia intera, anche per via della sua appartenenza al Gruppo Brown Boveri.

Al momento della mia assunzione questa grande realtà imprenditoriale aveva già alle spalle ben 88 anni di storia; dai suoi primordi come piccola società per la produzione di strumenti scientifici e di laboratorio alla progressiva trasformazione in un protagonista dell’elettromeccanica italiana, attivo nei settori dell’energia e della trazione elettrica ferroviaria – con stabilimenti a Milano e a Vado Ligure – componente significativa di un gruppo multinazionale a guida svizzera. Sentivo spesso nominare l’ingegner Giacomo Merizzi, che nella parte novecentesca di queste vicende aveva avuto un ruolo cruciale. La curiosità mi spinse pertanto a porre domande a tutti, grazie alle quali tuttavia raccolsi solo sporadiche e limitate informazioni. Poi, nel tempo, ho potuto approfondire. È, in effetti, una storia di grande interesse, fatta di successi ma anche di momenti difficili e non credo giusto trascurarla, anche se io per ovvi motivi non vi ho avuto alcuna parte. Per non interrompere la narrazione del mio Tecnomasio ho pensato quindi di riportarne in Appendice una sintesi, così da soddisfare le eventuali curiosità del lettore al riguardo. Il Tecnomasio, sede e stabilimento, occupava un grande isolato in quella che era allora la periferia sud-orientale di Milano, che si affacciava su Piazzale Lodi, Via Sannio, Viale Umbria e Via Colletta. Sul retro l’azienda era confinante, con un binario di accesso, con la stazione ferroviaria di Porta Romana. Su Piazzale Lodi e su Viale Umbria si affacciavano gli uffici, con l’ingresso principale dal piazzale, mentre l’accesso degli operai e delle auto avveniva da un portone sulla Via Sannio, che mostra ancora oggi sulla sua sommità la scritta Ingresso Operai. Verso la Via Colletta esisteva il muro confinante del cortile interno e, in fondo, erano situati un altro portone per il carico e lo scarico delle merci e una palazzina che, anni dopo, avrebbe ospitato prima la fabbrica elettronica e poi gli uffici della stessa Divisione Elettronica. Il palazzo è ancora lì: ha fatto in tempo a dare il nome a una fermata della metropolitana – Lodi T.I.B.B. – e fino a qualche anno fa era coronato dalla scritta TECNOMASIO ITALIA19


IL “MIO” TECNOMASIO 3. La sala prove “Macchine Rotanti” NO BROWN BOVERI in lettere metalliche, andate purtroppo perdute durante lavori di ristrutturazione eseguiti dopo la sua cessione ad altra proprietà. E così, un giovane d’oggi in viaggio sulla Linea Gialla magari si domanderà che cosa mai significano quelle quattro curiose iniziali. Le sale prove del TIBB erano diverse, ognuna pertinente alle produzioni nei vari stabilimenti allora attivi, la cui conoscenza era per me molto approssimata. Lo stabilimento principale di Piazzale Lodi produceva es-

Io fui destinato, con mia grande soddisfazione, alla sala prove Macchine. Nonostante le mie comprensibili attese, nessun compito specifico mi era stato assegnato; ero stato lasciato libero di vivere le varie esperienze quotidiane e di dimostrare eventuali tendenze e preferenze.

senzialmente grosso macchinario elettrico rotante, trasformatori e apparecchiature elettriche soprattutto in alta tensione. Il capo di tutte le sale prove, Leonida Faggioli, era un romagnolo di ottima preparazione tecnica e gestionale, con la tendenza a mostrare un certo cipiglio burbero con i dipendenti, ma in fondo con un riconosciuto e apprezzato cuor d’oro. Alle sue dirette dipendenze operavano i responsabili di sala prove. Il mio amico Ribaldone era attivo in sala prove

Trasformatori, il cui responsabile era Filippo Coppadoro, già allora ben noto e riconosciuto specialista di ogni tipo di trasformatori, nonostante la giovane età. Io fui destinato, con mia grande soddisfazione, alla sala prove Macchine, gestita dall’ingegner Giulio Piazzi, di qualche anno più anziano di me, ma allora temporaneamente assente per malattia e sostituito, ad interim, dallo stesso Coppadoro. Dopo i convenevoli di benvenuto da parte di Faggioli e Coppadoro, mi fu raccomandato di assistere e partecipare alle varie attività svolte in sala prove Macchine e di redigere settimanalmente un rapporto sul mio operato. Registrai subito questo fatto singolare: nonostante le mie comprensibili attese, nessun compito specifico mi era stato assegnato ed ero stato lasciato libero di vivere le varie esperienze quotidiane di prove e di dimostrare, con il rapporto settimanale, eventuali specifiche tendenze e preferenze. Feci subito conoscenza del personale della sala prove Macchine: erano tutti tecnici di lunga esperienza e alta preparazione. Un buon numero di essi proveniva da rinomati istituti tecnici industriali, scuole molto apprezzate dalle imprese, dalle quali il Tecnomasio per tradizione attingeva forze lavoro. Qualche tecnico si era formato nelle scuole di disegno tecnico e di avviamento professionale e mirava, maturando esperienza, ai montaggi esterni e agli stessi uffici tecnici. Parenti, il più anziano ed esperto, era dotato oltre che di grandi capacità tecniche di un apprezzato e bonario senso di humor e di autoironia: convinto donatore di sangue, aveva purtroppo una mano quasi distrutta dal ventilatore di una macchina in prova. Egli testimoniava soprattutto a noi giovani 20


l’importanza decisiva della sicurezza sul lavoro e dei rischi da riconoscere e da evitare; una lezione che mi colpì e che da allora non mi ha mai più abbandonato. Gaggini era il secondo per importanza, dotato di una calma eccezionale e di ampia specializzazione, mentre il più giovane, Bozzano, era molto apprezzato per capacità, intelligenza e velocità di apprendimento e di reazione. La squadra comprendeva altri validi tecnici, quali Sala, Caslini, Cantù per i forni elettrici, e si avvaleva della assistenza di due operai di sala prove, Bussi e Bielli, capaci di intervento e di soluzione di qualsiasi tipo di piccoli e medi problemi giornalieri. Segretaria di Faggioli era Gusmaroli, poi affiancata da Facchini. La sala prove Macchine era situata in testa alla Campata 17 (C17), destinata alla lavorazione e al montaggio di grosso macchinario elettrico rotante, e comprendeva, oltre agli uffici, il macchinario elettrico di alimentazione delle prove, situato nel seminterrato, e il pulpito, una struttura trasversale sopraelevata in ferro-legno, con tutti i comandi per le prove. Nella parte inferiore del pulpito, attraverso portine, si accedeva ai trasduttori di misura, amperometrici e voltmetrici, per le misure in corrente alternata. Per le misure in corrente continua a quei tempi non esistevano trasduttori di misura e quindi tensioni e correnti erano portate direttamente agli strumenti di misura sul pulpito. Sulla parte piana del banco erano appoggiati gli strumenti di misura e un distributore con morsetti di collegamento ai trasduttori e ad altri punti della sala prove. Le prove più pericolose erano quelle sulle macchine a corrente continua, a causa delle tensioni elevate sugli strumenti del banco: per leggere gli strumenti si doveva avvicinare il viso e occorreva fare molta attenzione a mantenere una minima distanza di sicurezza e ad evitare qualunque contatto accidentale. Le macchine in prova erano montate su una larga parte del pavimento della Campata 17 in vista del pulpito che le sovrastava. Le macchine della sala prove erano costituite da due convertitori rotanti, formati ognuno da un motore/generatore sincrono e da due motori/generatori a corrente continua. Era possibile collegare un motore sincrono alla rete a 6,4 kV e utilizzare le dinamo per tensioni fino a circa 4 kV in corrente continua. Inversamente, si potevano alimentare i motori in corrente continua e utilizzare i generatori in corrente alternata. Altri gruppi di minore potenza servivano generalmente per i circuiti di eccitazione dei motori/generatori. Un grande quadro di manovra consentiva di realizzare tutte le configurazioni necessarie per l’esecuzione delle prove. Nella parte superiore della Campata 17, sui quattro lati della stessa, era situata la Fabbrica Apparecchi, che produceva interruttori ad alta tensione, sezionatori e altre apparecchiature destinate sia alle centrali elettriche sia a singoli clienti. Come seppi all’inizio della mia attività, la Campata 17 era una delle ultime costruite in stabilimento, a ridosso delle precedenti che si erano aggregate attraverso successive aggiunte, in palese assenza di un criterio di ottimizzazione dei flussi produttivi. Questo fatto mi apparve subito giustificato dall’evoluzione storica dello stabilimento, nato in epoche lonta21


IL “MIO” TECNOMASIO 3. La sala prove “Macchine Rotanti” ne senza un progetto complessivo, e sviluppatosi pertanto per successive aggiunte con il crescere del business. Lo stabilimento era strutturato in cinque fabbriche. FG – Fabbrica Generale, servizi di supporto (Cantalupi) FM – Fabbrica Macchine (Ambrogio Velati) FA – Fabbrica Apparecchi (Fassina) FD – Fabbrica Dielettrici (Bellini, Cerri) FT – Fabbrica Trasformatori (Del Furia) Ogni fabbrica era suddivisa in vari reparti, che potevano occupare una o più delle 19 Campate dello stabilimento: il presidio di ogni reparto era delegato a un capo (CR) che rappresentava un vero punto di forza dell’azienda dal punto di vista non solo della responsabilità del personale a lui affidato, ma anche del raggiungimento degli obiettivi stabiliti. In fondo alle Campate erano situati i magazzini degli attrezzi e dei materiali per le rispettive lavorazioni. Le parti di maggiori dimensioni entravano ovviamente come semilavorati da aziende esterne, fonderie, fucine e altri produttori. Sull’altro lato delle Campate, al piano rialzato, erano sistemati gli uffici. La parte disegni era gestita dalla cianografia, nella quale era possibile ottenere copie di disegni anche di grandi dimensioni. Gli originali erano prodotti dai progettisti/disegnatori del Palazzo Uffici, nel seminterrato del quale era ubicata la stessa cianografia. Al piano terra del palazzo erano situati l’ufficio Montaggi esterni e gli uffici amministrativi. I piani dal primo al quarto ospitavano la direzione, gli uffici vendite e tecnici, quelli dei materiali e del personale, e in generale tutti i principali uffici per la gestione dell’azienda. Nel cortile, di fronte al Palazzo Uffici, era situata l’infermeria, indispensabile per una realtà con migliaia di dipendenti. A ridosso della Campata 17, la Campata 18 era destinata a montaggi di interruttori ad alta tensione, ed era seguita dall’ultima nata, la Campata 19, un modello di modernità, appena finita dopo non poche difficoltà a causa dell’acqua di falda emersa dagli scavi. Realizzata su due livelli di pari estensione, la parte superiore conteneva due grandi autoclavi per il trattamento dei trasformatori, mentre quella inferiore era occupata dalla fossa cosiddetta di fuga per le prove di sovra velocità dei rotori e da due grandi macchine utensili. La fossa di fuga consentiva di provare i rotori, parti rotanti dei grandi generatori elettrici per centrali sia idrauliche sia termiche, al 20 per cento di velocità di rotazione superiore al valore della velocità nominale. Tale sovra velocità sarebbe stata generata dalla turbina di trascinamento qualora si fosse verificato un guasto alla sua apparecchiatura di controllo. La costruzione della fossa di fuga era un prezioso modello di ingegneria civile; era praticamente costituita da un tunnel di cemento armato completamente foderato da una spessa fasciatura in legno. 22


La bocca del tunnel era chiusa inizialmente da un portone di legno di notevole spessore, col tempo sostituito da una sorta di “tenda” di spessi tronchi di legno affiancati, fissati alla sommità ma oscillanti secondo l’asse del tunnel. Se durante la prova di sovra velocità la forza centrifuga avesse malauguratamente provocato qualche rottura, il pezzo distaccato sarebbe stato “sparato” radialmente, andando a conficcarsi nella fasciatura di legno, senza fuoriuscire dal tunnel. Nel caso piuttosto improbabile di un pezzo che tentasse di uscire dal tunnel in senso assiale, la tenda di tronchi avrebbe assorbito l’impatto assorbendo l’energia cinetica con innocue oscillazioni. L’importanza primaria della Campata 19, oltre che dalla fossa di fuga, era rappresentata dalla capacità di sollevamento di circa 450 tonnellate, garantita da due carriponte ciascuno di 250 tonnellate, scorrevoli su due livelli delle rispettive vie di corsa, che potevano essere accoppiati con una traversa di circa 50 tonnellate. Poco tempo dopo la mia entrata in sala prove, potei assistere alle operazioni di collaudo della Campata 19, svoltesi alla presenza dei progettisti, i rinomati professori del Politecnico di Milano Bertolini e Danusso. Come carico per il collaudo, che consisteva soprattutto nel rilievo delle deformazioni sotto carico della campata, venne impiegato il rotore di un alternatore per la centrale di Santa Massenza, peraltro imbottito di pani di rame dal magazzino materie prime per aumentarne il peso. Nel 1949 la Società Idroelettrica Sarca Molveno aveva ordinato 4 alternatori orizzontali da 70 MVA, 15 kV, 428 giri/minuto, 50 Hz: il rotore utilizzato per le prove della Campata era l’ultimo della serie. Superato con vero successo il collaudo, poco dopo venni invitato a presenziare, una domenica mattina, alla prova di sovra velocità del rotore stesso di Santa Massenza. La scelta della domenica per

Ogni fabbrica era suddivisa in vari reparti, che potevano occupare una o più delle 19 Campate dello stabilimento: il presidio di ogni reparto era delegato a un capo (CR) che rappresentava un vero punto di forza dell’azienda.

la prova era legata alla necessità di poter disporre della massima potenza, senza i consueti assorbimenti da parte dello stabilimento. La fossa di fuga era equipaggiata da due motori in serie a corrente continua, ciascuno della potenza di 1.500 kW, per un totale di 3.000 kW. Tale potenza era stimata piuttosto al limite per il trascinamento del rotore alla massima sovra velocità. Presenti alla prova eravamo in molti, compreso l’ingegner Spinoccia, allora direttore delle tre fabbriche di Piazzale Lodi, Via De Castillia e Vado Ligure. Cominciammo a salire di velocità, usando prudenza e gradualità: nonostante questo, diverse volte si verificò il distacco del carico dalla rete per eccesso di corrente assorbita, e dovemmo ricominciare a risalire di velocità. Mentre eravamo tutti tesi a seguire la lenta salita di velocità, arrivò, tra la sorpresa 23


IL “MIO” TECNOMASIO 3. La sala prove “Macchine Rotanti” generale, il capo delle guardie del TIBB accompagnato da un ragazzetto, che aveva chiesto di parlare con il più alto in grado. Il ragazzo disse: “Abitiamo in Via Sannio di fronte al TIBB e stavamo mettendoci a tavola per il pran-

Pozzi ricevette alcuni attestati e regali celebrativi della sua attività al TIBB di ben 50 anni. Io ero sbalordito: una anzianità di lavoro di 50 anni! Mi sembrava qualcosa di incredibile. In quel momento pensai che non mi sarei mai potuto guadagnare i festeggiamenti per una analoga permanenza. Mi sbagliavo.

zo domenicale quando abbiamo sentito vibrazioni che facevano camminare i bicchieri sul tavolo e mio padre mi ha detto di venire a vedere che cosa stava succedendo qui”. Spinoccia si complimentò con lui per la sua tranquilla determinazione e lo rassicurò che il tutto sarebbe presto finito. Noi tutti fummo chiaramente impressionati dal fenomeno delle vibrazioni: una rapida indagine con i progettisti della fossa di fuga stabilì che si trattava di vibrazioni che si propagavano trasversalmente all’asse della fossa, arrivando

all’esterno in Via Sannio e coinvolgendo le abitazioni con valori di andamento sinusoidale, cioè con ventri e nodi. Sicuramente l’abitazione del ragazzetto era capitata su un ventre, con un valore massimo di ampiezza. Che il fenomeno fosse sporadico e molto limitato è comprovato dal fatto che non si verificò più per il resto della mia permanenza al TIBB. Un altro avvenimento di rilievo, che mi colpì e lasciò il segno, fu la premiazione di Pozzi, avvenuta poche settimane dopo l’inizio del mio lavoro. Un giorno fui infatti invitato dai miei capi a presenziare a questa cerimonia. Le mie richieste di qualche chiarimento ricevettero solo risposte laconiche: Pozzi era un impiegato dell’ufficio commerciale, quello che trattava le vendite degli elettrodomestici. In sala consiglio erano presenti, con il direttore generale, vari direttori, altri capi delle vendite e numerosi colleghi; la mia presenza era probabilmente giustificata dal fatto che io sarei stato destinato, alla fine del mio periodo di prova, a far parte di quel settore. Dopo un discorso del direttore generale, Pozzi ricevette alcuni attestati e regali celebrativi della sua attività al TIBB di ben 50 anni. Io ero sbalordito: una anzianità di lavoro di 50 anni! Mi sembrava qualcosa di incredibile. Ma cominciai a rendermi conto che il prestigio di cui godeva il TIBB non era qualcosa di virtuale, in quanto esistevano persone non solo capaci di dare il loro prezioso contributo quotidiano all’azienda, ma di sentirsene parte integrante per molti decenni, con un solido spirito di corpo. In quel momento pensai che non mi sarei mai potuto guadagnare i festeggiamenti per una analoga permanenza. Mi sbagliavo: in varie posizioni di carriera, avrei largamente battuto il record di Pozzi. Il lavoro in sala prove Macchine comportava essere spesso soggetti al vento provocato dai ventilatori e dalla rotazione di grosse macchine in corrente continua durante le prove. Ricordo che all’inizio del mio lavoro erano in prova due enormi macchine, motore e dinamo, destinate all’azionamento di un laminatoio in Cecoslovacchia. Erano spesso mantenu24


te a lungo in rotazione per l’adattamento di vari tipi di spazzole sul commutatore, al fine di raggiungere, con molta fatica, una commutazione totalmente priva di scintillio alle spazzole. A causa del vento era raccomandabile, per evitare una pleurite, dotarsi di un giubbotto protettivo di cuoio, che ancora conservo a memoria di quei tempi. La pausa di mezzogiorno prevedeva un pasto nella mensa aziendale. Io fui destinato alla mensa impiegati, separata da quella operai, a un tavolo a quattro posti, insieme ad un ingegnere dell’ufficio tecnico Trazione, al capo del magazzino e ad un suo collaboratore, fanatico sostenitore del Milan. Il pasto era decente e io fui accolto con amicizia, non priva di una bonaria sufficienza verso la mia situazione di novellino, se pur ingegnere. A valle del pranzo, c’era tempo per un po’ di relax in sala prove Trasformatori, insieme a Coppadoro e a Ribaldone, con la presenza saltuaria di Lorenzo Lanzavecchia, un bravissimo ingegnere dell’ufficio Montaggi esterni, continuamente impegnato a mettere in servizio macchine e apparecchiature di ogni specie in Italia e all’estero. Presto imparai che l’ufficio Montaggi esterni, allora guidato dall’ingegner Ferrighi, era considerato un traguardo di eccellenza, in quanto richiedeva doti di superiore e riconosciuta competenza in un ramo o addirittura in più rami delle attività del TIBB, oltre a offrire vantaggi economici che le trasferte assicuravano. I più bravi tecnici di sala prove miravano tutti ad un miglioramento di carriera con un posto nei montaggi esterni. Ben presto mi resi conto che Coppadoro, Piazzi, ma soprattutto Lanzavecchia, tutti più anziani di me di soli 3 o 4 anni, erano già molto in vista per le loro elevate capacità tecniche e pertanto destinati sicuramente a una brillante carriera. Era infatti evidente che il TIBB già allora considerava prioritaria l’eccellenza tecnica per accedere alle responsabilità di comando, anche se la padronanza dei mercati da parte delle funzioni di vendita si collocava a livelli di pari competitività. Lanzavecchia era in grado di mettere in servizio macchine rotanti, trasformatori, apparecchiature di comando e controllo di laminatoi, cartiere e altri impianti industriali; insieme con Piazzi era anche uno specialista di automazioni e di regolazione di reti elettriche. La presenza saltuaria di Lanzavecchia nelle pause dai suoi impegni in Italia e all’estero costituiva motivo di una calorosa accoglienza da parte nostra nei locali della sala prove Trasformatori. A questa accoglienza talvolta apportavo l’apprezzato contributo di una bottiglia di grappa della distilleria del mio paese, gestita in gioventù da mio padre. Adiacente alla sala prove Trasformatori era situato un laboratorio piuttosto misterioso, in quanto accessibile soltanto al personale specializzato, guidato da Bühler, il cui cognome tedesco giustificava una perfetta padronanza di questa lingua. Era il laboratorio di prova dei Raddrizzatori a vapori di mercurio di potenza, che permettevano la conversione dalla corrente alternata alla continua sui locomotori di Vado Ligure destinati a importanti tratte ferroviarie a 3.000 V in corrente continua (per esempio la Torino-Genova a me ben nota per i miei viaggi al Politecnico di Torino). Prima di allora la mia conoscenza dei 25


IL “MIO” TECNOMASIO 3. La sala prove “Macchine Rotanti” raddrizzatori a vapori di mercurio si limitava a qualche apparecchio dimostrativo con ampolla di vetro trasparente, che permetteva di ammirare l’arco “danzante” tra catodo e anodo, partendo da una macchia mobile sulla superficie del mercurio. Un mutatore trifase di potenza era costituito da una grossa cassa metallica contenente sul fondo del mercurio e provvista di sei elettrodi di grafite montati sul coperchio: applicando una tensione trifase e attivando un innesco, si procurava la ionizzazione dei vapori di mercurio, con elettroni e ioni negativi emessi dal mercurio e attirati verso gli elettrodi solo durante il semiperiodo in cui il mercurio funzionava da catodo e gli elettrodi da anodo. Si otteneva pertanto una corrente unidirezionale abbastanza uniforme nel caso di un sistema trifase. Qualche sbirciatina occasionale attraverso la porta temporaneamente socchiusa del laboratorio mi mostrava questi imponenti apparecchi in cassa metallica, ognuno collegato con una sofisticata pompa al fine di creare e mantenere il grado molto spinto di vuoto necessario al mantenimento dell’arco. Oltre alle macchine, generatori e motori a corrente alternata e continua, vi erano anche macchine particolari, chiamate Schrage dal nome del loro realizzatore o PN dalla loro sigla aziendale: si trattava di motori asincroni trifasi alimentati sul rotore e muniti di un collettore sul quale appoggiavano spazzole che potevano essere spostate ad angoli diversi. Le spazzole erano poi collegate agli avvolgimenti di statore della macchina. I PN permettevano una regolazione continua della velocità richiesta dai comandi industriali di media potenza in tempi nei quali non esistevano ancora gli azionamenti a semiconduttore e i gruppi tipo Ward-Leonard erano piuttosto ingombranti e costosi. Un gruppo di questo tipo, per variare in modo graduale la velocità di un motore a corrente continua di comando di una macchina operatrice, era costituito da un motore e da un generatore montati sullo stesso albero. Il motore poteva essere a corrente alternata o continua, in moto a velocità costante, mentre il generatore era a corrente continua, alimentato separatamente nei suoi avvolgimenti di eccitazione e pertanto producente una tensione variabile. Alimentando con questa tensione il motore della macchina operatrice, se ne variava la velocità, notoriamente funzione della tensione. Come si vede, tutto piuttosto complicato... Il problema dei comandi a velocità variabile si imponeva con forza e spingeva i tecnici a cercare nuove soluzioni: degna di menzione quella del professor Giuseppe Massimo Pestarini con la sua metadinamo, una complicata macchina a corrente continua di media potenza che consentiva la variazione di velocità. Per avere una soluzione ottimale fu necessario attendere l’avvento dell’elettronica di potenza e dei tiristori. Un’altra interessante attività relativa alle sale prove di Milano era quella del laboratorio Strumenti, che aveva il compito della garanzia di precisione, della manutenzione, e dell’eventuale riparazione degli strumenti usati nelle prove. Il laboratorio era gestito da due validi tecnici, Lironi e Tomaselli, con l’apprezzata supervisione di Piazzi. 26


Un reparto interessante era quello della preparazione degli isolanti, destinati a fasciare le barre dell’avvolgimento statorico, isolandole dal pacco lamiere. L’isolamento doveva sopportare senza danni la temperatura del rame delle barre che si riscaldavano in servizio per il passaggio della corrente. Nel reparto, presidiato quasi al completo da operaie, venivano stesi vari strati di carta impregnati con una miscela di sostanze asfaltiche e bituminose; sopra questi, le operaie stendevano velocemente grosse scaglie di mica approvvigionate in India, che restavano parzialmente sovrapposte una sull’altra. Gli strati così preparati erano poi avvolti da una macchina a fasciare le barre in forte contatto. Questo sistema di isolamento era adatto per tensioni fino a circa 17 kV e temperature massime piuttosto limitate. Terminato dopo circa un mese il mio periodo di osservazione con relativo rapporto settimanale, Faggioli e Coppadoro mi assegnarono, come primo compito e come supporto al tecnico di sala prove Martinelli, la messa in servizio di una delle due grandi macchine utensili installate nella parte bassa della Campata 19. Si trattava di un’enorme fresatrice-piallatrice Morton, da poco acquistata con l’aiuto del Piano Marshall, chiamato anche Piano ERP (European Recovery Plan) che gli americani avevano lanciato nel 1947 come compenso per i danni causati dalla guerra. La principale caratteristica della macchina era costituita da una apparecchiatura Westinghouse di comando e controllo elettronico, d’avanguardia per

Adiacente alla sala prove Trasformatori era situato un laboratorio piuttosto misterioso, accessibile soltanto al personale specializzato. Era il laboratorio di prova dei Raddrizzatori a vapori di mercurio di potenza, che permettevano la conversione dalla corrente alternata alla continua sui locomotori di Vado Ligure.

quei tempi, anche se ancora basata su valvole termoioniche, in assenza di diodi e triodi di prossima introduzione. Tale circostanza richiedeva il contributo dell’ufficio Alta Frequenza, che aveva destinato l’ingegner Franco Uccelli a collaborare alla messa in servizio. Con Uccelli iniziò così un rapporto di lavoro che si estese proficuamente per decenni. Purtroppo durante questo periodo incappai in un incidente che – se pur di lieve entità – influì negativamente sul mio morale. Durante una manovra della macchina, un comando errato provocò un urto contro un bancale di ghisa, con la conseguente sua rottura. Terrorizzato corsi da Faggioli, il quale mi ascoltò con calma e mi tranquillizzò, assicurandomi che si sarebbe occupato lui stesso di informare dell’accaduto Bellini, allora rispettato e temuto capo della produzione, con il quale avrei poi intrattenuto un rapporto di stima e amicizia durato tutta la vita. L’episodio del bancale mi insegnò l’importanza del comportamento dei capi in casi difficili: constatato che il responsabile era sinceramente e profondamente colpito dall’acca27


IL “MIO” TECNOMASIO 3. La sala prove “Macchine Rotanti” duto, confermargli fiducia e assumersi il compito di giustificarlo verso l’esterno. Una lezione che non avrei mai più dimenticato. Completata la messa in servizio della Morton, che dal mio incidente non aveva subìto danni, mi appassionai alle metodologie per l’equilibratura dei rotori in fossa di fuga, operazione tesa all’eliminazione di possibili anche minimi squilibri e al raggiungimento di una tranquilla rotazione. Mentre per rotori di minori dimensioni era possibile procedere alla loro equilibratura con macchine Schenk, i grossi rotori di generatori idro e turbo dovevano essere bilanciati in fossa, con metodi semi empirici. Nelle Transactions AIEE (American Institute of Electrical Engineers), allora già apprezzate in Italia, grazie alle mie conoscenze da autodidatta dell’inglese trovai alcuni interessanti nuovi metodi di equilibratura che sperimentai sui rotori allora presenti in fossa di fuga: questi non riuscirono tuttavia a dimostrare chiari vantaggi rispetto ai metodi tradizionali allora usati. La vita in sala prove non era priva di momenti emozionanti. Le operazioni di collaudo delle macchine prima della loro consegna alle aziende elettriche del tempo, numerose e prevalentemente private, erano spesso eseguite, in qualità di consulenti, da eminenti professori del Politecnico di Milano. Per un novellino come me stare sul pulpito accanto a personalità illustri come Ercole Bottani, Francesco Correggiari, Angelo Barbagelata, Piero De Pol, Piero Regoliosi costituiva motivo di malcelato orgoglio, anche se dovevo ammettere di non essere stato loro allievo. Un altro momento molto delicato erano le prove dielettriche in alta tensione dei grandi trasformatori in C19. Dalla sala prove in C17 un lungo conduttore di rame nudo veniva appeso a isolatori pendenti da un carroponte della C17 e, sempre sospeso ad altri isolatori dei carriponte in C18 e 19, era finalmente collegato al trasformatore in prova. L’operazione era ovviamente effettuata per sicurezza al termine del lavoro, con tutta la zona transennata e da noi piantonata e con un segnale acustico di pericolo tramite sirena. Raramente si verificava qualche errore di manovra o qualche guasto al sistema. Se però c’era un colpevole, il poveretto veniva gratificato di una cerimonia celebrativa dell’accaduto: dal coperchio di una cassa veniva ritagliata una gigantesca medaglia in legno con un disegno che ricordava il fattaccio. Una variante minore era rappresentata dal dipingere con vernice rossa i tacchi del malcapitato. Purtroppo si verificava anche qualche incidente: ricordo una sfiammata da un apparecchio di misura sul pulpito che sfiorò la fronte del tecnico Sala: immediatamente portato in infermeria, il dottor Pasetti tranquillizzò tutti circa il rischio di danni alla vista. Sala se la cavò con qualche giorno di riposo e con la fronte da allora più spaziosa. Si verificò anche un principio di incendio del pulpito, in buona parte costituito di legno e in quel momento non occupato da personale, probabilmente causato dal guasto di qualche componente del sistema di controllo. Allo svilupparsi del fumo, i presenti 28


accorsero con estintori a schiuma e domarono rapidamente le fiamme. Quando era già praticamente tutto sotto controllo, arrivò Caslini con un estintore a sabbia, in luogo di quello a schiuma, e, prima di essere fermato, riempì di sabbia buona parte del pulpito. Faggioli, subito accorso dal suo ufficio, lo obbligò a lunghe ore di ripulitura del pulpito dalla sabbia (che avrebbe ovviamente impedito un corretto uso dell’impianto). Qualche mese dopo i miei inizi in sala prove, arrivò un nuovo collega, l’ingegner Filippo De Ferrari, preceduto, oltre che dal prestigio genovese del suo cognome, anche dalla fama della supposta parentela – che tuttavia non gli procurò vantaggi di carriera – con l’amministratore delegato di allora, l’ingegner Mario Giuseppe Soldini. In realtà De Ferrari era solo un cugino per parte di madre di Soldini. Il periodo di prova al quale fu sottoposto era stato nel frattempo allungato da tre a sei mesi. Destinato alla sala prove Trasformatori e sottoposto alle stesse procedure alle quali ero stato sottoposto io stesso, essendosi lamentato con Soldini di non ricevere un particolare compito in sala prove, ebbe come risultato l’incarico di procedere all’estenuante e poco formativa prova dei reattori per le lampade fluorescenti che sostituivano le vecchie lampade a incandescenza in tutto lo stabilimento. Particolare interesse rappresentava allora il laboratorio Prove dei Materiali, presidiato prima da Rizzoni e poi da Ciari, con il compito di prove meccaniche ed elettriche su materiali tradizionali e nuovi, a supporto dell’ingegneria e della produzione. Saltuariamente compariva in sala prove una figura leggendaria, l’ingegner Lado, ex capo della sala prove prima di Faggioli. Già molto anziano, la nostalgia del suo passato lo spingeva a queste visite, durante le quali, oltre a intrattenersi con Faggioli – che mostrava una vera deferenza nei suoi confronti – passava qualche tempo anche con noi principianti per brevi contatti. Un po’ timorosi di fronte a una tale personalità, ci spingevamo a porgli qualche quesito di lavoro, al quale solitamente rispondeva subito. Quando non era in grado di farlo, prometteva di darci risposta alla sua successiva visita, cosa che ci insegnava ad assumere comportamenti sempre professionalmente responsabili. Coppadoro aveva anche un’altra importante caratteristica. Quella di sapere ammansire Faggioli quando in sala prove succedeva qualche guaio. Se per caso una falsa manovra procurava un danno all’avvolgimento del sincrono della sala prova Trasformatori, Coppadoro, senza troppo redarguire il malcapitato responsabile del guasto, si incaricava di informarne Faggioli. Dopo avere discusso di qualche altro innocente argomento, sulla porta per uscire, Coppadoro buttava lì, quasi con disinteresse, la fatale notizia, regolandone in modo crescente la negativa importanza. Alla fine il burbero capo esclamava: “Ma allora è bruciato!”. E concludeva: “Prenda Bussi e Bielli (i due operai di sala prove) e lo faccia riparare”. Il ritorno vittorioso di Coppadoro veniva accolto con grande apprezzamento da tutti e in particolare ovviamente dal colpevole. Alla pausa di relax in sala prove Trasformatori col tempo sostituii una visita a un caffè adiacente, frequentato da colleghi accaniti giocatori di bridge: io, che indossavo 29


IL “MIO” TECNOMASIO 3. La sala prove “Macchine Rotanti” ancora la tuta blu di sala prove, preferivo una partita al biliardo con Casolo dell’ufficio Alta Frequenza, anche se saltuariamente venivo richiesto di sostituire un collega assente al tavolo del bridge. Il Tecnomasio era rinomato anche per la sua Scuola di Fabbrica, allora guidata dall’ottimo ingegner Gerbec, un anziano tecnico che aveva il dono della chiarezza organizzativa e dello sviluppo dei giovani provenienti da scuole quali l’avviamento professionale, che necessitavano di un particolare pe-

Come sempre, il clima era creato dai capi: alcuni, pochi, propendevano per un comportamento improntato a rigidezza; altri, i più, accanto alla disciplina lasciavano spazio alla creatività e alla gestione intelligente del personale.

riodo di apprendimento prima dell’inserimento nella realtà aziendale. Gerbec curava la disciplina, le procedure e le norme interne, una preziosa documentazione che regolava l’uso intelligente e prioritario dei materiali a magazzino da parte di tutti e soprattutto dei progettisti. Mai decidere l’impiego di un nuovo componente, sia pure di una semplice vite, senza aver prima consultato le norme interne e l’elenco delle viti disponibili.

Una efficace presentazione della Scuola di Fabbrica e della sua importanza formativa è contenuta nel libro Il posto fisso di Francesco Cattari, che ne fece parte in un’epoca successiva. Il libro, pubblicato dall’autore nel 2014 e il cui titolo celebra i vantaggi tuttora offerti da una vita di lavoro nella stessa azienda, racconta la rara vicenda della carriera di un manager partito da modesti inizi di esperienze scolastiche e cresciuto a livelli elevati grazie a capacità e determinazione esercitate in un favorevole contesto aziendale (1). Raramente ricevevamo in sala prove la visita dell’amministratore delegato Soldini e del direttore generale De Martini, spesso accompagnati da qualche altro capo degli uffici tecnici. Ricevuti dall’ingegner Faggioli, ci rivolgevano qualche domanda alla quale noi cercavamo di rispondere al meglio, nonostante il senso di imbarazzo e di soggezione. Un concetto di cui si è sempre parlato e si parla tuttora è quello della prevalenza a quei tempi del cosiddetto “comando e controllo” al quale il personale sarebbe stato sottoposto. La mia personale esperienza mi suggerisce che al Tecnomasio esisteva uno spiccato senso della disciplina, che talvolta sfociava addirittura nella richiesta al personale femminile di indossare un grembiule nero, ma che ai capi era permesso di gestire i propri collaboratori in una clima adatto all’ottenimento delle loro migliori prestazioni. Certo erano tempi di caselle e procedure alle quali attenersi, e di una gestione centralizzata, ma non si trattava certamente di un clima militaresco, come si potrebbe credere. Come sempre, il clima era creato dai capi: alcuni, pochi, propendevano per un comportamento improntato a rigidezza; altri, i più, accanto alla disciplina lasciavano spazio alla creatività e alla gestione intelligente del personale. In altri termini, lavorare al TIBB era, secondo me, molto formativo. 30


4. L’ufficio tecnico Al rientro dell’ingegner Piazzi dalla malattia, iniziò un periodo di reciproca conoscenza, che presto si tramutò in un sincero rapporto di stima e amicizia.

Di tre anni più anziano di me, godeva di un riconosciuto prestigio come persona e come tecnico. Bolognese, di famiglia benestante, si era laureato a Bologna ed era stato assistente del famoso professore di Scienza delle costruzioni Odone Belluzzi, sul cui libro io avevo studiato al Politecnico di Torino. Di carattere molto aperto, era sempre pronto alla battuta spiritosa e intelligente, ma molto esigente sul lavoro. Il suo comportamento al tempo serio e cordiale si intonava con il mio e presto la nostra amicizia si consolidò aldilà del rapporto tra capo e collaboratore. Con il suo ritorno, il trio Coppadoro, Lanzavecchia, Piazzi conobbe un prestigio di eccellenza, ottimo modello di crescita per noi ultimi arrivati. Il mio lavoro in sala prove procedeva senza intoppi e si approfondiva ogni giorno la mia conoscenza di vari tipi di macchine, grandi generatori per centrali idro, grandi e medi motori sincroni e asincroni per applicazioni industriali, macchine speciali Schrage, grandi e medi trasformatori: non avevano ancora fatto la loro comparsa i turboalternatori, macchine allora solo di media potenza e solitamente costruiti dai turbinisti, quali per esempio Ansaldo. A proposito di turbine, circolava allora la voce che il Tecnomasio fosse stato richiesto dalla casa madre di Baden di costruire a Milano anche le turbine a vapore – oltre alle macchine elettriche – per il mercato italiano. La voce aggiungeva che il Tecnomasio non avesse accettato l’invito per motivi che non erano mai stati pienamente chiariti e che si riferivano probabilmente alla forte concorrenza esercitata dalla Franco Tosi di Legnano, che si giovava della licenza americana Westinghouse, e dall’Ansaldo di Genova, operante con licenza General Electric. Per quanto riguarda il mio progredire, la conoscenza approfondita dei prodotti “dalla coda” mi piaceva e convinceva per la sua utilità: ben presto imparai anch’io a esprimere con gli altri colleghi battute contro “quelli là”, intendendo i progettisti e la fabbrica, quando scoprivamo qualcosa che non andava. La mia fiducia che i nostri risultati di prova, positivi o negativi, arrivassero prontamente sulla scrivania dei responsabili per essere doverosamente considerati a favore delle future costruzioni, si 31


IL “MIO” TECNOMASIO 4. L’ufficio tecnico rivelò ben presto mal riposta. La redazione dei rapporti di prova avveniva solitamente in ritardo e spesso purtroppo si innescavano palleggiamenti di responsabilità tra tecnici e fabbrica. Talvolta sentivo i tecnici formulare l’accusa alla fabbrica di avere modificato qualche disegno senza il loro benestare. Per converso, i capi della fabbrica sostenevano che erano loro i veri depositari delle tecniche di

In autunno avvenne improvvisamente la svolta. Faggioli mi chiamò e mi informò che l’ingegner Roberto Vannotti, direttore tecnico, aveva chiesto un colloquio con me. Vannotti mi espresse il suo apprezzamento per il lavoro in sala prove e mi propose di passare all’ufficio tecnico Macchine.

fabbricazione e che era loro dovere provvedere alle carenze tecniche. Molto presto imparai il dramma della carenza di informazione, contro il quale avrei cercato di combattere, con alterne vicende, nel prosieguo della mia carriera. Passato un anno e arrivata l’estate del 1952, con le prime ferie cominciai a pensare al mio passaggio all’ufficio tecnico Commerciale previsto nella mia lettera di assunzione. Qualche accenno in tal senso a Faggioli ottenne solo la risposta di pazientare. In autunno avvenne im-

provvisamente la svolta. Faggioli mi chiamò e, dopo qualche parola di circostanza, mi informò che l’ingegner Roberto Vannotti, direttore tecnico, aveva chiesto un colloquio con me. Io gli ricordai la mia prevista destinazione alla parte commerciale, ma mi dichiarai disponibile al colloquio. Vannotti mi espresse il suo apprezzamento per il lavoro in sala prove e mi propose di passare all’ufficio tecnico Macchine. Alle mie precisazioni circa la destinazione inizialmente prevista, Vannotti mi assicurò che il cambiamento era già stato discusso ed accettato dalla parte commerciale. Mi presentò poi all’ingegner Giuseppe Jesurun, capo dell’ufficio tecnico Macchine, che mi disse di essere stato informato della mia preparazione in sala prove e mi offrì di entrare a far parte della sezione Calcolo Elettrico del suo ufficio. Piuttosto sorpreso da questa inattesa svolta, promisi di pensarci un paio di giorni: in fondo si trattava di cambiare la mia carriera, passando da un’attività tecnico-commerciale a una puramente tecnica. Andai prontamente a parlarne con Faggioli, insistendo sul fatto che mi trovavo bene in sala prove e che sarei stato disposto a continuare questo rapporto. Faggioli si dimostrò all’occasione il galantuomo che era: sorridendo mi ringraziò per la mia attestazione di fedeltà, ma giustamente osservò che la presenza in sala prove di Coppadoro e Piazzi, solo di pochi anni maggiori di me, mi avrebbe certamente reso difficile, se non precluso, un avanzamento di carriera. Mi invitò ad accettare di far parte dell’ufficio tecnico per entrare nel nuovo interes32


sante e promettente mondo degli sviluppi tecnici e tecnologici del futuro. Avevo conosciuto per oltre un anno il prodotto “dalla coda”. Era tempo che lo vedessi “dalla testa”. La saggezza di questo invito, anche se accolta al momento con qualche nostalgia del mondo che avrei lasciato, mi apparve in tutta la sua portata già qualche mese dopo. In realtà la considerai ben presto una fortuna, che mi ricordava le due precedenti della mia vita: quella del salto della seconda liceo nel 1943 e l’altra, precedente, alla fine delle elementari. La modesta situazione economica della mia famiglia aveva convinto mio padre a farmi proseguire gli studi alle magistrali, come era stato per mio fratello, maggiore di me di sette anni. Informato di questa intenzione, il mio maestro di quinta, Cesare Merlo, era venuto una sera a casa mia e aveva convinto i miei genitori a farmi superare l’esame di ammissione alla prima ginnasio presso il Liceo Giovanni Plana di Alessandria, per prepararmi l’accesso a una istruzione universitaria. Ancora oggi conservo una riconoscente memoria per il maestro Merlo, che purtroppo alla fine della guerra fu trattato piuttosto rudemente in paese per essere stato un convinto fascista. Il colloquio con Faggioli mi spinse ad accettare il passaggio all’ufficio tecnico, che avvenne nel settembre del 1952. La direzione Tecnica, sotto la guida di Roberto Vannotti, comprendeva vari uffici, ognuno dei quali strutturato in due sezioni, Calcolo e Costruzione. Giuseppe Jesurun era responsabile degli uffici tecnici Macchine sincrone e a corrente continua, comprese le macchine di trazione. De Francesco era responsabile dell’ufficio tecnico Trasformatori, Melone dell’ufficio tecnico Macchine asincrone, Gastone Jolles di Apparecchiature elettriche, impianti e comandi industriali, centrali e sottostazioni, mutatori e raddrizzatori, e Cella, infine, dell’ufficio tecnico Forni elettrici. Faggioli, come già detto, era responsabile di tutte le sale prove. Appena giunto nel mio nuovo ufficio, Jesurun mi diede il benvenuto e mi presentò ai nuovi colleghi della sezione Calcolo: Silvio Barigozzi e Carlo Pavesi. Feci inoltre conoscenza anche di Giancarlo Marzocchi e di Bianchi, del Calcolo corrente continua, sistemati nello stesso ufficio, al terzo piano del palazzo di Piazzale Lodi. L’ufficio del capo era sistemato tra il nostro e quello dell’ingegner Tirinanzi de Medici, responsabile della Costruzione. Seguiva poi un lungo spazio aperto costellato di tecnigrafi per i disegni costruttivi delle macchine a corrente alternata e continua. I primi giorni passarono a farmi un’idea della nuova realtà. Jesurun era un ebreo triestino che all’età di 17 anni aveva partecipato da soldato austriaco agli ultimi sussulti della guerra ‘15-’18. Essendo di madre italiana, mi sembra ferrarese, divenne presto un convinto italiano, si laureò in Italia e iniziò la sua carriera di ingegnere ai Cantieri Navali di Monfalcone. Dotato di grande rettitudine personale e professionale, esprimeva cordialità e humor verso tutti, in particolare verso i suoi giovani colla33


IL “MIO” TECNOMASIO 4. L’ufficio tecnico boratori. Venni così presto a conoscenza delle sue prime vicende di lavoro presso i Cantieri. A bordo delle grandi navi di allora, per esempio transatlantici destinati alla rotta Trieste-New York, tutto l’equipaggiamento elettrico era in corrente continua, con i ben noti problemi relativi alla commutazione e agli avvolgimenti. Durante il viaggio inaugurale dall’Italia all’America, un ingegnere dei Cantieri restava a bordo per controllare il comportamento di tutti gli impianti elettrici e per intervenire in caso di problemi. Alla prima sosta a Napoli, l’ingegnere faceva il suo rapporto: se tutto era a posto e le probabilità di guasti erano stimate basse, rientrava in sede. In caso contrario, i Cantieri gli comandavano di proseguire il viaggio a bordo, fino a New York. Così Jesurun aveva al suo attivo diverse traversate, con brevi soggiorni a New York. I suoi divertenti racconti erano da noi molto apprezzati, soprattutto quando li impreziosiva con aneddoti in dialetto triestino. Divennero famosi quelli relativi a un suo anziano, bravissimo tecnico, il quale, interrogato circa l’esito di una impegnativa trasferta, così rispondeva: “Fatalità, sior ingegner, xe andà tuto ben”. Oppure quando, avendo il capo accennato ad un dispositivo idraulico chiamato stramazzo di Bazin, il tecnico commentava: “Al mio paese si chiama materasso”. Come inizio del mio nuovo lavoro non mi aspettavo certo qualche importante incarico, in quanto avrei dovuto prima imparare le tecniche della progettazione elettrica. Edotto dalle esperienze di sala prove, non fui troppo sorpreso quando mi venne affidato il modesto compito di aggiornare il listino prezzi delle parti di ricambio. La mia nuova scrivania era speciale: era un “maggiolino”, un pezzo intarsiato e assolutamente privo di cassetti che sarebbe stato degno di figurare in un negozio di antiquariato. Barigozzi e Marzocchi, oltre alle loro notevoli capacità tecniche, possedevano entrambi una grande cultura e una passione musicale: il primo, milanese, apprezzava la storia della città, i suoi musei, la Scala e i letterati in dialetto milanese, primo fra tutti il Porta. Affetto da un disturbo agli occhi, usava il regolo calcolatore tenendolo verticalmente per distinguerne i sottili tratti e, per lunga, quotidiana esperienza, riusciva a fare benissimo il suo lavoro canticchiando intonatissimo qualche brano di Mozart o di Donizetti. Marzocchi invece, ferrarese purosangue e cultore del dialetto e della storia della sua città, aveva una libera docenza ed era appassionato di opere liriche, delle quali spesso ci proponeva alcuni brani, tra i quali spiccavano, volta a volta, il Nessun dorma dalla Turandot, La calunnia è un venticello di Rossini e Dormirò sol nel manto mio regale di Verdi. Come variante ci raccontava detti ferraresi, tra i quali: Al fa c’mè l’oca d’Fargnan, ca l’era in Po e l’andava a cà a bevar. Traduzione dal mio improprio ferrarese: Si comporta come l’oca di Fargnano, che era in Po e andava a casa a bere. Oppure: Al 34


fa gl’interesi d’Cazet, ca l’ha bruzà la cà per vend la zender (Fa i suoi interessi come Cazet, che bruciava la casa per vendere la cenere). Di una brillante intelligenza contrastante con una visione negativa e dissacrante della vita, Marzocchi era terrorizzato dalla possibilità di contrarre tutte le principali malattie allora diffuse e giungeva al punto di iniziare cure preventive in assenza di qualsiasi sintomo: vero malato immaginario, scaricava su tutti la sua ipocondria e descriveva il Tecnomasio a qualche ragazzo di fresca assunzione con tinte così forti da spingerlo ad andarsene subito. Marzocchi era d’altra parte un ingegnere bravissimo, e la sua collaborazione con il capo costruttore della corrente continua, Geigerle, un veneto mite e tecnico di assoluto valore, era ottima. Insomma, l’ufficio Calcolo era un ambiente di genio e bonaria, intelligente sregolatezza. Il perito industriale Carlo Pavesi aveva un fratello maggiore al TIBB, inserito nell’ufficio regionale di Milano, potente avanguardia commerciale sul territorio, mentre il terzo fratello Pavesi, il maggiore, lavorava in un’azienda concorrente di trasformatori medio-piccoli, la Scotti Brioschi. In tutte le principali città italiane esisteva un ufficio regionale, che curava da vicino i principali clienti, grandi e piccoli. Entrare e restare in quell’ambiente era visto alla stregua di un’importante conquista, per il potere detenuto grazie alla vicinanza al cliente: correvano addirittura voci che qualche capo di ufficio regionale possedesse una piccola impresa esterna e si permettesse qualche concorrenza al TIBB stesso senza incappare nei fulmini aziendali. Dal mio maggiolino, e mentre apprendevo da Barigozzi i primi rudimenti della progettazione elettrica dei generatori, avevo il tempo di continuare la conoscenza delle altre persone dell’ufficio tecnico. L’ingegner Tirinanzi de Medici aveva un co-

Giuseppe Jesurun era responsabile degli uffici tecnici Macchine sincrone. Dotato di grande rettitudine personale e professionale, esprimeva cordialità e humor verso tutti, in particolare verso i suoi giovani collaboratori. I suoi racconti erano da noi molto apprezzati, soprattutto quando li impreziosiva con aneddoti in dialetto triestino.

gnome che risuonava di nobiltà, non era più giovanissimo e trattava tutti con una certa riservatezza, che confinava con la distanza, anche se nei contatti era poi pronto alla battuta e al riso. La consapevolezza delle sue precipue capacità professionali e il suo carattere lo spingevano ad un continuo esercizio di forte indipendenza dai capi, in particolare da Jesurun. La cosa era nota a tutti, e la tolleranza di Jesurun, persona aliena dalle maniere forti, era messa a dura prova. Qualche volta, insofferente per qualche richiesta del capo, Tirinanzi piantava tutto e se ne andava, anche per qualche giorno. Un altro particolare carattere era personificato dall’ingegner Luppi, capo costruttore alle dipendenze di Tirinanzi, bravo 35


IL “MIO” TECNOMASIO 4. L’ufficio tecnico tecnico nel campo dei sincroni di taglia medio-piccola, resosi anch’egli piuttosto indipendente. La sua principale caratteristica era di dissentire da tutti su qualsiasi tema in discussione: questa sua tendenza negativa veniva da noi talvolta messa a dura prova quando cercavamo volutamente di dargli ragione. Sorpreso dal fatto che nessuno lo contraddicesse, rapidamente arrivava a negare la tesi che

Quando si trattava di iniziare il calcolo di una nuova macchina, era assoluta priorità consultare la “cassettina 18”, contenuta in un armadio che ne comprendeva diverse, in quanto depositaria dei dati fondamentali delle macchine precedenti.

aveva fino allora sostenuto. Luppi mi ricordava quanto avevo appreso al liceo sui retori dell’antica Grecia: girata la clessidra marcatempo, davanti agli allievi sostenevano per circa mezz’ora una tesi; poi, rigirata la clessidra, nella successiva mezz’ora sostenevano la tesi opposta. Un altro personaggio che arrivava saltuariamente in ufficio era l’ingegner Celotti, un consulente che era stato alto dirigente di una

azienda elettromeccanica concorrente. Oramai sulla settantina, era stato ospitato da Jesurun per le sue notevoli capacità ingegneristiche, ma anche per offrirgli una opportunità di lavoro dopo la sua uscita dall’azienda precedente. Io mi trovai subito molto bene con Celotti, che pian piano divenne il mio maestro preferito. Così conobbi anche la sua storia. Responsabile della progettazione di motori in corrente continua che permettevano ai sommergibili la navigazione in immersione, incappò in un grave problema di oscillazioni torsionali in risonanza, con conseguenti rotture degli alberi dei motori. Il problema delle rotture per risonanze torsionali non era a quel tempo molto noto; il fatto avrebbe potuto forse essere gestito meglio, ma Celotti si era intestardito a difendere il suo operato e l’amministratore delegato l’aveva licenziato. Per me era una lezione di vita, e un chiaro monito per i miei futuri comportamenti in simili casi: Celotti mi era decisamente simpatico. Appresi un’altra lezione quando mi raccontò di avere non solo insultato, ma anche picchiato, il curatore fallimentare di una azienda in cui aveva lavorato: siccome nella lista dei creditori in mano al curatore il suo nome non figurava, le rimostranze di Celotti erano cresciute fino a trasformarsi in un solenne pugno dato al povero funzionario, con le prevedibili catastrofiche conseguenze. Dalle persone presenti allora veniva spesso citato l’ingegner Barello, consideratissimo tecnico e inventore, noto anche all’estero per avere messo a punto un programma di calcolo delle perdite per correnti parassite nelle scarpe polari massicce dei generatori-motori sincroni. Barello era da poco uscito dal TIBB per andare a Parigi al servizio della rinomata Westinghouse. Durante un suo rientro in Italia ci fece visita ed ebbi la fortuna di conoscerlo. 36


La presenza in ufficio tecnico di una umanità così variegata venne celebrata dai prestigiosi Barigozzi e Marzocchi con una denominazione latina “secondo Linneo”. Ad esempio, Luppus insanus, a carico ovviamente di Luppi, Passo absurdus per Passoni, un tecnico della costruzione in corrente continua che, probabilmente per esibizione, era solito tentare di sostenere con i capi temi difficili dei quali aveva scarsa conoscenza. Anche Jesurun si era guadagnato la sua denominazione di Veneranda palestinensis, che univa le sue origini ebraiche con il personaggio di Carletto Manzoni allora in voga grazie al settimanale satirico-umoristico Candido. Rapidamente, grazie a Barigozzi e a Celotti, completai la mia formazione professionale nel calcolo elettrico e iniziai a dare contributi alla progettazione, cominciando dallo studio delle specifiche tecniche. Alcune erano in inglese e mi venivano affidate grazie alle mie pur limitate conoscenze della lingua. Spesso in ufficio sentivo menzionare una misteriosa “cassettina 18”, senza riuscire a capirne il significato, che mi fu chiarito dallo stesso Jesurun. Quando si trattava di iniziare il calcolo di una nuova macchina, era assoluta priorità consultare la “cassettina 18”, contenuta in un armadio che ne comprendeva diverse, in quanto depositaria dei dati fondamentali delle macchine precedenti. Era abbastanza probabile trovarne una simile, il che riduceva notevolmente il lavoro di progettazione elettrica e meccanica. Anche se il mio orgoglio ingegneristico mi rendeva impaziente di iniziare il completo calcolo elettrico di una macchina, il concetto della “cassettina 18” mi fece capire l’importanza di un approccio di ottimizzazione economica del lavoro. Feci anche un’altra scoperta che mi lasciò interdetto: alcuni impiegati dell’ufficio Costruzioni erano autorizzati a fare lavoro straordinario addirittura a casa, con l’uso di un tecnigrafo prestato dal TIBB. Il fatto mi sembrava eccessivo, per la sua influenza negativa sulla vita domestica, e temevo con i colleghi che l’impegno serale a domicilio potesse comportare il rischio di un ridotto impegno diurno in ufficio. Insomma, avevamo tutti il timore che l’interessante retribuzione dello straordinario divenisse parte integrante dello stipendio e servisse come un bonus per gratificare alcune persone senza ricorrere ai sistemi tradizionali dell’aumento di stipendio e del passaggio di categoria. La lezione allora imparata mi rimase impressa e mi guidò durante tutta la mia vita di lavoro per l’autorizzazione al lavoro straordinario esclusivamente in casi di stretta e comprovata necessità. Durante la progettazione elettrica avvenivano scambi di informazioni e commenti con le persone dell’ufficio Costruzioni, dalle quali ci arrivavano preziose informazioni e richieste preliminari di adattamenti in favore del progetto finale. Io ero curioso di apprendere anche la loro visione del lavoro, con i dettagli relativi a disegni e procedure: mi chiedevo anche se avrei mai avuto in futuro l’opportunità di provare questo tipo di attività. 37


IL “MIO” TECNOMASIO 4. L’ufficio tecnico Ovviamente i disegni relativi alle varie parti della macchina, basati sul nostro calcolo iniziale, andavano in fabbrica per la concreta realizzazione, fino al montaggio finale e le prove. Il fatto che fossi fresco dell’esperienza di sala prove mi metteva in condizione di informare i colleghi delle vicissitudini già vissute: mi accorsi presto che l’ufficio tecnico era disposto a lagnarsi della fabbrica e delle sale prove allo stesso modo in cui queste ultime si lagnavano della tecnica. Mi impressionava soprattutto la convinzione abbastanza diffusa che la fabbrica apportasse sua sponte modifiche all’isolamento degli avvolgimenti senza informarne l’ufficio tecnico e concordare con esso la eventuale modifica del disegno. La carenza di informazione e di feedback, anche se solo presunta, mi suonava come una distorsione dell’interesse generale e attendevo un’opportunità di chiarimento. Quando arrivavamo poi a formulare il costo preventivo della macchina, la nostra ricerca di consuntivi di macchine simili già costruite riusciva solo a ottenere dalla fabbrica schede molto scarne, con indicazioni per lo più del costo dei principali materiali, ferro e rame, e una valutazione approssimata dei restanti componenti. Quando infine la macchina da noi progettata arrivava in sala prove si accendeva l’ansia per i risultati misurati, che avrebbero dovuto confermare le nostre previsioni di calcolo. Io cercavo il supporto degli amici tecnici, vecchi colleghi, per ottenere qualche informazione almeno sulla curva a vuoto e sulla retta di corto circuito, ma il mio desiderio di assistere alle prove non veniva esaudito, in quanto agli impiegati era precluso l’ingresso nelle zone operative dello stabilimento, accessibili solo ai capi. Con il crescere della mia esperienza mi venivano affidate macchine di importanza crescente, per l’Italia e per l’estero, e i miei rapporti con capi e colleghi diventavano sempre più stretti e interessanti. Sullo stesso piano, il terzo, erano sistemati anche l’ufficio tecnico Motori, guidato dall’ingegner Melone e per la parte Calcolo dall’ottimo, anziano ingegner Mura, un sardo saggio con il quale strinsi una cordiale amicizia. Ben presto arrivò dalla sala prove Ribaldone, anch’egli assegnato alla tecnica dei motori. Ancora una volta veniva ribadito il fatto che la sala prove era la scuola di preparazione per la progettazione dei prodotti. L’ufficio tecnico Trasformatori, sotto la responsabilità dell’ingegner De Francesco, presentava un’equipe di calcolo prestigiosa, composta di persone molto preparate, tra le quali anche una donna ingegnere, Raina, e i validi Sganzerla e Nocco. Quest’ultimo purtroppo morì pochi anni dopo, lasciando tre figli che trovarono impiego e fecero carriera nello stesso TIBB. Era evidente che il TIBB considerava come un parametro importante per l’assunzione l’appartenenza dei candidati a una famiglia di consolidate tradizioni aziendali: il passaggio del testimone da padre a figlio era piuttosto diffuso e dava sempre buoni risultati. Ancora pochi anni or sono un bravo manager in carriera, figlio di un ex capo mio caro amico, mi diceva: “Io sono cresciuto praticamente immerso nell’atmosfera del 38


TIBB, tanto esso veniva decantato da mio padre in ogni occasione”. Tale era lo spirito di appartenenza all’azienda, fondato su un marchio che univa l’italianità al prestigio della Brown Boveri. Ben presto, grazie al supporto dei miei colleghi, la mia padronanza del lavoro raggiunse un buon livello, e mi appassionai alla progettazione dei motori sincroni, unità di grande potenza usate in vari campi industriali per il comando di compressori e altre macchine operatrici. Un parametro importante di queste macchine è la coppia di spunto all’avviamento e il suo successivo andamento: con l’aiuto di libri e rassegne americane sperimentai con un certo successo metodi moderni di calcolo, dei quali controllavo poi l’efficacia durante le prove. Il mio lavoro mi metteva inoltre in contatto con importanti progetti di impianti TIBB del passato (2). Durante la mia permanenza in ufficio tecnico sviluppai interesse a capire come funzionava la complessa organizzazione aziendale e, un tassello dopo l’altro, ne ottenni una approssimativa visione. Si trattava, come mi fu più chiaro in seguito, di una struttura “a silos”, con le varie funzioni affiancate, come era consuetudine a quei tempi: le organizzazioni divisionali, allora già esistenti negli Stati Uniti, non avevano ancora trovato da noi diffusa applicazione. La prima cosa che mi colpì fu l’esistenza di una doppia direzione di Vendita, una per la trazione e l’altra per tutte le altre attività, generazione, trasmissione, industria e, in seguito anche export. Questo implicava l’importanza del ruolo della Trazione elettrica, molto attiva non solo per le Ferrovie dello Stato, ma anche per le ferrovie e tramvie municipalizzate e private, e per le funivie: l’elevato valore di questo business meritava una direzione separata, sotto la responsabilità del bravo ingegner Groppali e con il supporto dei validi Barenghi, Perticaroli, Alfisi, Morisi, e, più tardi, Plancher. Che gli ingegneri di Trazione fossero preparati lo testimoniava il fatto che, ad ogni nuova offerta, uno di essi, per esempio Perticaroli, arrivava nel nostro ufficio per trasmettere a Marzocchi i dati dei nuovi motori, che avrebbero trovato alloggiamento nei carrelli del locomotore. Perti-

Con il crescere della mia esperienza mi venivano affidate macchine di importanza crescente, per l’Italia e per l’estero, e i miei rapporti con capi e colleghi diventavano sempre più stretti e interessanti.

caroli informava Marzocchi di avere già egli stesso formulato un’idea del nuovo motore derivandola da precedenti macchine (effetto tipo “cassettina 18”, pensavo io) e lo rassicurava che si adattava al carrello. Al che Marzocchi, dal dialetto colorito, gli rispondeva che, sapendo già tutto, era inutile che fosse venuto a consultarlo e che tanto valeva che si sedesse al suo posto. Barigozzi e io, obbligati all’ascolto del siparietto, lo gustavamo pienamente. 39


IL “MIO” TECNOMASIO 4. L’ufficio tecnico La responsabilità dell’altra direzione di Vendita spettava all’ingegner Virginio Gandini, coadiuvato dall’ingegner Affaticati, entrambi da me incontrati in occasione del mio primo colloquio al TIBB e che avrebbero dovuto poi diventare i miei capi. Feci presto amicizia con altri membri dell’ufficio tec-

L’organizzazione TIBB non si discostava dalla forma classica molto diffusa a quei tempi, che presupponeva una collaborazione molto stretta tra le varie funzioni per la gestione ottimale delle commesse e la soddisfazione del cliente.

nico Commerciale, tra i quali l’anziano Mologni, Taiana, Pezzoli, Bonomo e, più tardi, Costa all’esportazione, con i quali la collaborazione era molto stretta grazie alle commesse acquisite da numerose aziende private e municipalizzate produttrici e distributrici di energia elettrica. Le vendite nel settore industriale erano curate dal simpatico biellese ingegner Pivano e dagli ottimi Piolini, Bianciardi, Figini e Landi, ai quali si

era aggiunto il mio collega De Ferrari alla fine del periodo di sala prove. L’ingegner Pierre Vannotti, cugino del nostro capo Roberto, provvedeva alle vendite nel settore termoelettrico, soprattutto per quanto riguardava la presenza della Brown Boveri svizzera in Italia. Di importanza primaria era anche la struttura degli uffici regionali, ai quali ho già fatto cenno, presieduti dal direttore Bernardo Zancan, il cui figlio Adelchi, di qualche anno maggiore di me, era responsabile delle attività di Comunicazioni e propaganda e, più tardi, di assistenza al vertice del Tecnomasio. Accanto alla struttura di vendita si collocava quella tecnica, da me già descritta. Veniva poi la funzione Approvvigionamenti, guidata dall’ingegner Bonzanigo e poi da De Ferrari. La direzione della Produzione nei tre stabilimenti TIBB era affidata all’ingegner Liborio Spinoccia, siciliano “doc”, il quale si avvaleva a Milano della collaborazione rispettivamente di Velati, Bellini, Del Furia, Cerri e Fassina a Piazzale Lodi, e di Meschia in Via De Castillia, mentre la responsabilità della Produzione di trazione a Vado Ligure era delegata all’ingegner Muzio. Le attività amministrative e finanziarie erano presiedute dal dottor Covini, con la stretta supervisione del direttore generale De Martini, mentre quelle del Personale erano curate dal dottor Cattaneo. L’organizzazione TIBB non si discostava dalla forma classica molto diffusa a quei tempi, che presupponeva una collaborazione molto stretta tra le varie funzioni per la gestione ottimale delle commesse e la soddisfazione del cliente. Tale collaborazione presentava tuttavia delle lacune, legate al fatto che i contributi di ciascuno ad un efficace avanzamento delle commesse erano talvolta in conflitto con le esigenze e i comportamenti degli stessi “silos”. Abbastanza diffusa era la tendenza degli ingegneri a mettere in discussione varie decisioni delle Vendite e della Produzione. Tra l’altro 40


l’ego ingegneristico era molto radicato, con una tendenza al primato nei confronti di tutti gli altri, e talvolta degli stessi capi: il “bastone di Maresciallo” era nello zaino di tutti, ma gli ingegneri erano convinti che il loro dovesse avere il predominio. Il lavoro all’ufficio Calcolo procedeva sempre con un buon carico. In quegli anni vennero progettate e costruite molte macchine, per vari clienti e centrali, in Italia e all’estero (3). Mentre la mia iniziale timidezza lentamente diminuiva con la crescente assunzione di responsabilità, la morte di mio padre nell’agosto del 1954 fu un duro colpo per la mia vita. Il ricordo del suo insegnamento e dell’orgoglio per il mio lavoro al Tecnomasio mi aiutarono a superare, anche se con fatica, la mancanza della sua testimonianza e della sua saggezza. Stavo allora lavorando al progetto di un alternatore per la Centrale della SADE di Malga Ciapèla (Marmolada) e il ricordo di mio padre è rimasto legato a questo impegno. Gli ordini dalle varie società private e dalle principali municipalizzate erano molto interessanti e il lavoro non mancava; per qualche misterioso motivo gli ordini si infittivano appena prima delle vacanze estive e verso la fine dell’anno, probabilmente per realizzare gli investimenti decisi e programmati nell’anno a fronte del rischio di perderne gli stanziamenti passando al nuovo anno. Nel frattempo i miei rapporti con Bellini e Cerri della Produzione si erano infittiti: mentre Bellini incuteva un certo timore per la sua personalità autoritaria, Cerri, piemontese di Romagnano Sesia, sotto un tratto piuttosto burbero nascondeva la propensione alla battuta e alla disponibilità. Feci anche conoscenza con i vari capi reparto dello stabilimento: ben presto fui conscio della loro importanza nel contesto produttivo. Ognuno di essi presidiava l’attività di qualche decina di operai e praticava all’interno del suo reparto il credo del Tecnomasio, basato su disciplina, rispetto dei capi e mantenimento degli impegni assunti: il capo fabbrica trasmetteva ai capi reparto (CR) i compiti settimanali attraverso la riunione del lunedì, e durante la settimana ogni capo reparto provvedeva al loro adempimento con ferma determinazione. Il capo reparto si sentiva responsabile della sua squadra, della sua sicurezza e dell’efficienza dei posti di lavoro. Io mi ero rapidamente convinto che il reparto, così guidato, costituisse la spina dorsale della produzione e imparai presto a collaborare direttamente con i CR. Appena arrivato all’ufficio Tecnico ero venuto a sapere che Barigozzi era assistente di Correggiari al Politecnico di Milano e Marzocchi era docente presso l’Istituto Tecnico Professionale Feltrinelli di Milano, rinomata scuola per periti industriali. Il Tecnomasio incoraggiava queste attività saltuarie esterne ritenendole di prestigio e utili a promuovere il nome dell’azienda, oltre a stabilire contatti con giovani preparati per possibili assunzioni. Altri dipendenti insegnavano presso varie scuole serali, 41


IL “MIO” TECNOMASIO 4. L’ufficio tecnico allora abbastanza diffuse e frequentate da impiegati e operai: era opinione abbastanza corrente che lo facessero per motivi di arrotondamento dello stipendio. Io ero piuttosto dubbioso circa un mio eventuale coinvolgimento in questo tipo di lavoro extra, anche per il fatto che i miei studi non erano stati fatti a Milano: inoltre l’insegnamento serale mi sembrava particolarmente gravoso. Partecipavo invece alle conferenze dell’Associazione Elettrotecnica Italiana, tenute soprattutto da importanti personalità del mondo tecnico e imprenditoriale di allora. Erano avvenimenti sempre prestigiosi, e, temerariamente, nutrivo la speranza di essere un giorno invitato anch’io a tenere una conferenza.

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5. La direzione della scuola serale Improvvisamente, nel 1955, avvenne una svolta: mi chiamò l’ingegner Vannotti e mi informò che il senatore Ettore Conti, allora presidente del Tecnomasio, cercava al TIBB un giovane ingegnere per affidargli la direzione di una scuola serale per montatori elettricisti.

L’ingegner Ettore Conti di Verampio era un famoso pioniere dell’elettrotecnica italiana, imprenditore costruttore di molte centrali idroelettriche soprattutto in Val Formazza e iniziatore delle fortune del Tecnomasio. Vannotti mi offrì il posto e io, dopo qualche breve esitazione, accettai. Ammetto che i motivi del mio sì erano duplici: la collaborazione con un presidente e la direzione di una scuola, anche se di modesta levatura. Il Senatore Conti aveva fondato un insieme di varie scuole a Milano, in Via Santa Marta, un quartiere non troppo in vista a ridosso di Piazza Cordusio. E così, saltando a piè pari i miei dubbi e pregiudizi, mi trovai di colpo investito di un doppio lavoro. Siccome la direzione non escludeva l’insegnamento, terminato alle 18 il lavoro al TIBB mi precipitavo in tram in Via Santa Marta, dove insegnavo fisica ed elettrotecnica dalle 18,30 alle 21,30. La tardiva cena dopo le 22 e qualche sigaretta non favorivano una tranquilla dormita. Questo per i cinque giorni della settimana lavorativa. Il sabato era dedicato al mattino alla revisione dei compiti in classe e al pomeriggio all’attività amministrativa della direzione. Le attività di laboratorio per montatori elettricisti erano curate da un ottimo perito, Codoni, prezioso collaboratore. Più tardi entrò a far parte della scuola un altro amico e ingegnere del TIBB, Marcello Liberatore, proveniente dalla trazione, che nel suo prosieguo di carriera arrivò a ricoprire la carica di direttore generale della ATM di Milano. Il corso iniziava a settembre e finiva a maggio, con iscrizioni che arrivavano a circa 60 persone di età variabile tra i 16 e i 40 anni, tutte occupate durante il giorno. Le prime lezioni si tenevano davanti a quasi tutti gli iscritti, ma dopo qualche settimana il numero si era già notevolmente ridotto: i ragazzi più giovani e abitanti fuori Milano (la maggior parte di loro proveniva dall’hinterland) non reggevano la fatica e la tarda ora del rientro in famiglia. Restavano i più forti e tenaci, insieme a qualche adulto. Eravamo tutti veramente impressionati dalla loro determinazione di finire il corso e dall’impegno di imparare nozioni oltre il loro lavoro quotidiano, per accedere a miglioramenti di carriera. La scuola riceveva aiuti da aziende importanti sotto forma di 43


IL “MIO” TECNOMASIO 5. La direzione della scuola serale materiale elettrico utilizzato in laboratorio. Quando si avvicinava la fine del corso ricevevo da numerose aziende la richiesta di segnalazione dei migliori allievi per eventuali assunzioni a copertura di attività quali, ad esempio, la manutenzione elettrica di stabilimento. Le nostre segnalazioni erano quasi sempre accettate, con grande soddisfazione di tutti. Poco tempo fa, ad una riunione di imprese elettrotecniche, l’ANIE, un imprenditore mio amico mi ha portato i saluti di uno dei migliori allievi della nostra scuola, da anni suo valido collaboratore. Le periodiche riunioni del senatore Conti con i direttori delle sue scuole, nella sua splendida dimora degli Atellani in corso Magenta, mi permettevano di ammirare la forza e il prestigio di questa figura, allora quasi novantenne ma ancora dotato di eccezionale volontà e carisma. Prodigo benefattore di Santa Maria delle Grazie per la sua ricostruzione dopo i bombardamenti dell’ultima

L’attività della scuola serale era formativa non solo per gli allievi ma anche per me, a causa del sacrificio e della disciplina che comportava, e mi ricordava i tempi duri del “Poli” di Torino.

guerra, deceduto a 101 anni, riposa in un sarcofago nella stessa Basilica. L’attività della scuola serale era formativa non solo per gli allievi ma anche per me, a causa del sacrificio e della disciplina che comportava, e mi ricordava i tempi duri del “Poli” di Torino. Ricordo un divertente episodio di quel perio-

do: terminata la scuola mi stavo frettolosamente dirigendo a piedi verso la mia fermata d’autobus, quando incontrai una femme de petite vertu che, appoggiata al muro, aspettava qualche improbabile cliente tra i ragazzi squattrinati. Mi squadrò e, con studiata lentezza mi apostrofò: “Vecchio come sei non ti vergogni di andare ancora a scuola?”. Non osai replicare e dare spiegazioni, e accelerai il passo. Ufficio Tecnico e scuola serale mi tennero occupato per molti mesi, fino alla successiva svolta, nel 1957.

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6. Baden Verso la fine del 1954, per interessamento dell’amministratore delegato Soldini, la direzione decise l’invio a scopo formativo a Baden, quartiere generale della casa madre, di De Ferrari, allora attivo negli Impianti industriali dell’ingegner Pivano.

La sua trasferta durò dal 1° gennaio al 31 dicembre 1955, e si svolse nei settori Cartiere e siderurgia dell’ufficio Impianti industriali: qui incontrò un altro italiano, l’ingegner Tosi, destinato a occupare più avanti la responsabilità della BBC in Argentina. Al suo rientro, dopo un periodo negli Impianti industriali, nel 1958 assunse la responsabilità degli Approvvigionamenti di materiali e servizi nella direzione dell’ingegner Bonzanigo, e poco dopo quella dei Magazzini e delle Spedizioni. La direzione di Produzione, a sua volta, inviò poco tempo dopo a Baden due responsabili di alto livello per alcuni mesi di formazione: uno era il figlio del signor Velati, più anziano di me di vari anni e con una laurea in ingegneria meccanica, destinato a prendere il posto del padre vicino alla pensione, e l’altro era Luciano Protti, che nel frattempo aveva sostituito il pensionato Del Furia a capo della Fabbrica Trasformatori. Il fatto che il Tecnomasio prevedesse per i futuri capi un soggiorno a Baden mi sembrava molto positivo: mio padre stesso, senza avere precise conoscenze di vicende aziendali, aveva a buon senso dato per scontato che un grande Gruppo internazionale prevedesse anche un soggiorno all’estero per lo sviluppo dei giovani dipendenti. Come si vede, l’international assignment oggi tanto decantato non è una scoperta recente, ma era già praticato allora con gli stessi fini e con successo. Che le Vendite e la Produzione avessero preceduto la direzione Tecnica nell’adozione dei soggiorni a Baden mi lasciava un certo senso di rammarico: tuttavia ero certo che, essendo stata aperta la strada, presto sarebbe toccato anche a noi. Dal 1° gennaio 1957 mi era stata assegnata la prima categoria. Prima delle ferie del 1957 Vannotti mi invitò a prepararmi per un soggiorno a Baden di almeno sei mesi, con l’obiettivo di acquisire la padronanza delle tecniche di costruzione a valle di quelle già assimilate di calcolo. Al momento non venne fissata alcuna data per la partenza. Qualche tempo dopo, alcuni rumor serpeggianti negli uffici del terzo piano sostenevano che il vero motivo della mia preparazione nella Costruzione era per sostituire in futuro l’ingegner Tirinanzi. Io 45


IL “MIO” TECNOMASIO 6. Baden non diedi ascolto a queste dicerie: ero troppo occupato con il TIBB e la scuola serale, e dovevo presto imparare il tedesco per la trasferta a Baden. Al primo colloquio con Vannotti mi era già stato fortemente raccomandato l’apprendimento del tedesco, la lingua ufficiale della Brown Boveri. Vannotti, laureato al Politecnico di Zurigo (ETH), parlava un tedesco perfetto e considerava questa lingua indispensabile per una carriera al TIBB. Io avevo appreso

Partii in treno per Baden una domenica mattina, e mi trovai in uno scompartimento a collaudare con altri passeggeri il mio sudato tedesco: la mia incertezza venne gratificata da qualche incoraggiamento, ma capii che la strada sarebbe stata ancora lunga.

un buon francese al ginnasio, qualche nozione di spagnolo al Politecnico, e me la cavavo discretamente nell’inglese tecnico. Ma ero totalmente digiuno di tedesco. Il mio collega Marcello Liberatore della scuola serale mi suggerì il nome della professoressa Valenti, che accettò di mettermi al più presto in condizione di affrontare la trasferta con un accettabile tedesco. La professoressa Valenti, allora sulla sessantina, era tanto gentile quanto determinata a inse-

gnarmi la lingua partendo da grammatica e sintassi. Io non ne fui sorpreso, in quanto si trattava di una prassi praticata nei corsi classici da me frequentati. A quei tempi si iniziavano già ad applicare più moderni metodi di apprendimento con l’aiuto di vari strumenti elettronici, che si sono poi diffusi e hanno finito per soppiantare quelli tradizionali. Io ebbi più tardi l’impressione che i metodi moderni riuscissero forse ad accelerare l’apprendimento della parte parlata della lingua, ma per lo scritto la pratica della grammatica e della sintassi mi sembrava più affidabile. Questa tesi mi sembra ancora oggi sostenibile. Alle lezioni di tedesco, a causa degli impegni già in corso, erano dedicate in primis la domenica mattina e poi qualche ora saltuaria durante la settimana. La professoressa iniziò subito a parlarmi in tedesco e a darmi compiti a casa, che io cercavo di completare: poche volte non ebbi il tempo di tradurre una frase e la prof, sempre con modi gentili, me la fece riportare la lezione successiva. Non c’era scampo: dalle elementari in poi disciplina e serietà condizionavano la mia vita. Prima della partenza per Baden, all’inizio di settembre 1957, ero riuscito a sostenere una ventina di lezioni, e attendevo il momento di sperimentarne sul campo l’efficacia. Trasferii quindi i miei lavori in corso all’ottimo ingegner Elvio Malvezzi, assunto come mio sostituto, e che avrei ritrovato al mio rientro a Milano dopo vari anni. Al momento della partenza Vannotti mi informò che il mio soggiorno a Baden sarebbe stato presso l’Abteilung W, l’ufficio tecnico delle macchine a corrente alternata (W sta per Wechselstrommaschinen). La permanenza sarebbe stata più lunga di quanto inizialmente 46


comunicatomi e pertanto non avrei goduto delle normali condizioni di trasferta, ma sarei stato assunto temporaneamente dalla Brown Boveri. Ebbi però la conferma che la mia anzianità al TIBB sarebbe comunque stata garantita anche durante il periodo all’estero. Il prolungamento del soggiorno mi pose un serio dilemma. Allora vivevo a Milano con mia madre, a seguito della scomparsa di mio padre, e per il soggiorno di sei mesi avevamo già deciso che lei restasse in Italia: trattandosi invece di due anni si poneva il problema del suo eventuale trasferimento in Svizzera. Decidemmo per la prima alternativa, anche a causa della lingua. Io comunque sarei rientrato in famiglia possibilmente ogni fine settimana. Molto ambita, in quanto prestigiosa entratura nel mondo dell’elettromeccanica italiana, era la pubblicazione di qualche articolo tecnico sulla Rassegna Tecnica del TIBB, ma soprattutto sull’Elettrotecnica, rassegna dell’Associazione Elettrotecnica Italiana (AEI) che raccoglieva i contributi tecnologici più significativi del momento. Il punto più elevato era ovviamente una conferenza alla sezione AEI di Milano, o in altre sezioni della Penisola. La conferenza, per essere autorizzata, richiedeva prima un accurato controllo di novità e autenticità da parte degli organi associativi. Nei Rendiconti AEI di Roma dal 29 settembre al 5 ottobre 1957 pubblicai un articolo sui “Generatori sincroni lenti”, iniziando così una collaborazione che vide ulteriori sviluppi. Prima di me, in occasione del congresso AEI di Taormina dal 3 all’11 ottobre 1953, Jesurun aveva contribuito con l’articolo “Sviluppi e realizzazioni di moderni turboalternatori”. Partii in treno per Baden una domenica mattina, e mi trovai in uno scompartimento a collaudare con altri passeggeri il mio sudato tedesco: la mia incertezza venne gratificata da qualche incoraggiamento, ma capii che la strada sarebbe stata ancora lunga.

A CONTATTO CON I MIGLIORI SPECIALISTI Giunto a Baden mi recai all’Hotel Du Parc, posseduto dalla Brown Boveri, dove avrei soggiornato fino al momento di affittare una stanza in una abitazione privata, come avevano fatto i miei predecessori del TIBB. Tra l’altro, per nessuno di essi era stato previsto un soggiorno di anni ed erano stati tutti in trasferta. Un breve tentativo di trovare alloggio presso alcuni indirizzi avuti dai colleghi si rivelò infruttuoso. Il mattino successivo mi presentai all’Abt. W situato nella cosiddetta “Torre Blu”, una bella palazzina di recente costruzione e fui accolto da Romelli, segretaria del professor Eugen Wiedemann, capo dell’Abt. W. Io cercavo di usare il mio incerto tedesco e mi accorsi presto che quasi tutti avevano la tendenza ad approfittare della presenza di un italiano per rispolverare la nostra lingua imparata a scuola. Ogni svizzero infatti impara a scuola due lingue: quella del suo territorio (tedesco, francese o italiano), alla quale aggiunge a scelta una delle altre due. Questa tendenza - congiunta con la presenza 47


IL “MIO” TECNOMASIO 6. Baden di altri italiani in ufficio e altrove - non facilita l’apprendimento per il nuovo arrivato. Wiedemann, molto rispettato per le sue ottime e comprovate capacità, aveva un carattere molto aperto e cordiale e godeva di un forte carisma presso tutti i componenti dell’ufficio. Tedesco, classe 1901, proveniva dalla BBC di Mannheim e dal 1946 era a capo dell’Abt. W “Grosse Wechselstrommaschinen” della BBC svizzera. Più tardi avrebbe assunto la carica di capo del settore degli uffici tecnici e delle sale prove di tutte le macchine elettriche e infine quella di vice direttore e di consulente delle direzioni tecniche. Come incarico accessorio dal 1954 era docente e poi professore onorario del Politecnico di Darmstadt, dal quale aveva introdotto a Baden alcuni suoi studenti, tra i quali Neidhöfer, Krick, Heil e Strupp, tutti destinati a carriere di elevato livello. Neidhöfer lo avrebbe poi sostituito in cattedra. Nel 1961 Wiedemann sarebbe stato nominato professore onorario anche dal Politecnico di Zurigo e nel 1965 avrebbe ottenuto a Vienna la medaglia d’oro onoraria Stefan. Da segnalare il suo eccellente libro, scritto con Kellenberger, Konstruktion Elektrischer Maschinen edito da Springer Verlag nel 1967. Mi trovavo quindi di fronte a uno dei più autorevoli specialisti della tecnica di tutte le macchine elettriche, dotato della capacità di precedere, e di dominare, la forte crescita delle potenze unitarie delle macchine, che lo sviluppo dell’energia elettrica richiedeva. Le statistiche mostravano allora una tendenza al raddoppio della produzione di energia nei successivi dieci anni, equivalente ad un incremento del 7 per cento circa ogni anno rispetto al precedente. Wiedemann mi diede il benvenuto e, con una amichevole strizzatina d’occhi mi chiese se intendessi stare a guardare o lavorare. Io dichiarai che avevo deciso per la seconda alternativa e fui rapidamente introdotto alla conoscenza dell’ufficio. La parte Calcolo era presidiata da validi ingegneri anziani, Strasser per i turboalternatori, Stoll per i generatori idraulici, Zehnder e Müller per le macchine medie. Erano presenti anche i giovani Renato Noser, Joseph (Sepp) Grünenwald e Gerhard (Gerd) Neidhöfer. Avrei più tardi anche incontrato il professor Dutoit del Politecnico di Zurigo, presente saltuariamente, specialista di macchine di corto circuito per i laboratori di prova degli interruttori ad alta tensione. Mi furono presentati Eugen Meyer, capo costruttore dei generatori idraulici, e Hans Wälchli, capo costruttore dei turboalternatori, con i loro capigruppo, Martin Egloff, anziano progettista la cui ultima fatica era stato il progetto dei potenti alternatori della diga di Aswan in Egitto, Lips e Spillmann per i turboalternatori, Muster per i turbo di media potenza, Bruno Karrer per le macchine medie. Muster era anche Sindaco di Ennet Baden, una cittadina aldilà del fiume Limmat. Noser parlava molto bene italiano in quanto da ragazzo aveva vissuto in Italia con il padre, direttore di una fabbrica tessile a Vedano al Lambro. Anche Grünenwald e Wälchli conoscevano bene la nostra lingua: con loro mescolavo italiano e tedesco a seconda delle circostanze. 48


Nel reparto Avvolgimenti in fabbrica conobbi anche Kurt Baltisberger, molto bravo e simpatico, destinato a una carriera nel campo soprattutto dei generatori idraulici. Carattere gioviale, amico degli italiani e da allora amico mio fraterno. Un problema impellente era ovviamente quello della mia sistemazione domiciliare: sparsa la voce dalla signora Romelli, si fece subito avanti Bruno Karrer, che mi offrì una stanza in affitto nella sua casa a Wettingen, una cittadina di circa 15.000 abitanti a 4 chilometri da Baden. Mi invitò a pranzo e a visitare la casa lo stesso giorno: incontrai così anche sua moglie, Lilly Suter, piena di gentilezze, e accettai di stare da loro, in una grande casa di campagna con un bel giardino-orto, in Rosenauweg 10. La casa non era molto lontana da una centrale idroelettrica della EWZ, la società produttrice di energia elettrica della città di Zurigo. Effettuato un rapido trasloco dall’Hotel Du Parc, iniziai così la mia vita di pendolare tra Wettingen a Baden, pochi minuti di treno con il mio

Wiedemann aveva un carattere aperto e cordiale e godeva di un forte carisma presso tutti i componenti dell’ufficio. Mi trovavo di fronte a uno dei più autorevoli specialisti della tecnica di tutte le macchine elettriche.

padrone di casa e collega di lavoro. Ci si alzava presto, colazione alle 6 con i coniugi Karrer, poi a piedi fino alla stazione e arrivo a Baden per iniziare la giornata di lavoro alle 7,35.

UN AMBIENTE MULTICULTURALE L’atmosfera regnante nell’ufficio mi interessava molto: erano presenti persone di una decina di differenti nazionalità. Oltre agli svizzeri, erano molti i tedeschi residenti o pendolari dal territorio confinante con la Svizzera a distanza di poche decine di chilometri. Numerosi anche gli austriaci e due italiani, io e il collega Polesello, un veneto che avrebbe poi deciso di restare in Svizzera, avendo sposato una segretaria di Wiedemann. Feci presto conoscenza di un brillante olandese, e col tempo l’ufficio ospitò anche due inglesi, un americano proveniente dalla californiana Stanford e un cinese, Benedek, cattolico allevato in un convento di Benedettini che lo avevano convertito e battezzato. Fugaci presenze furono registrate per indiani e norvegesi. Ma mi impressionavano soprattutto i “politici”, cioè gli ungheresi che nel 1956 avevano lasciato la loro patria per dissenso, gli spagnoli insofferenti di Franco e gli jugoslavi contrari a Tito. La Svizzera rappresentava un sicuro approdo in tutti i sensi per queste persone, che spesso soffrivano per l’impedimento a rientrare nei loro Paesi a visitare i parenti rimasti. Ai rifugiati politici la Svizzera offriva anche la possibilità di impiego, vietata a tutti gli altri immigrati, in enti federali quali le Ferrovie e le Poste. Ampia selezione anche per le confessioni: accanto ai cattolici e ai riformati svizzeri zwingliani, lutera49


IL “MIO” TECNOMASIO 6. Baden ni tedeschi, altre varie religioni in sporadici passaggi, ma soprattutto agnostici, tiepidi o radicali, fino agli atei più convinti. Appena arrivato ricevetti questa forte lezione di libertà e di ecumenismo che si respirava a fondo, con un’assoluta dedizione al lavoro e il totale rispetto reciproco. Un altro punto che mi colpì era costituito dal risveglio dell’amor patrio: anche gli italiani conosciuti e frequentati in quegli anni, se pur contestatori in patria,

Appena arrivato ricevetti questa forte lezione di libertà e di ecumenismo che si respirava a fondo, con un’assoluta dedizione al lavoro e il totale rispetto reciproco.

appena varcato il confine diventavano tenaci difensori dell’Italia, pronti a reagire qualora avessero inteso critiche o battute negative sul nostro Paese. I capi svizzeri della BBC erano assolutamente pronti a dare fiducia a chiunque avesse dato motivo di meritarla, indipendentemente dalla provenienza e dalla religione. Appena stabilito a Wettingen mi presentai secondo la legge alla Polizia locale, che tenne conto

del mio particolare status di “immigrato” come ingegnere presso la BBC e non mi trattenne il passaporto, usanza che veniva spesso applicata con immigrati che potessero dare adito a sospetti di comportamenti negativi. Qualche italiano, eccezione alla regola, si diceva fosse rientrato di nascosto in Italia lasciando scoperto il conto dell’affitto. Come comunicatomi dal TIBB prima della mia partenza, fui regolarmente assunto dalla BBC di Baden, e come tale sottoposto al rituale dei nuovi impiegati, con visita medica e presentazioni varie, compresa visita agli stabilimenti e ai laboratori. L’ufficio Personale, con particolare candore e schiettezza, mi comunicò che il mio stipendio era stato tenuto a un livello leggermente inferiore al normale, adeguato a standard italiani più che a livelli svizzeri più elevati, a motivo del mio futuro rientro presso il TIBB. Fui anche avvertito di dover pagare in Svizzera le tasse di tre categorie: federali, cantonali e comunali, oltre alla tassa per le pratiche religiose, che è dovuta solo per tre religioni - cattolica, protestante e ebraica - in quanto professabili in chiese e sinagoghe. L’esclusione delle sette religiose dal pagamento della tassa era considerata da alcuni un buon motivo per dichiarare la propria appartenenza a tali sette, al fine poco edificante di evitare l’esborso dei 20 franchi, l’ammontare della tassa a quei tempi. Alla Missione Cattolica di Ennet Baden, presidiata da don Michelangelo e frequentata da molti italiani, circolava la voce che anche qualche nostro connazionale dichiarasse alla Polizia di essere ateo per non pagare i 20 franchi, cifra piuttosto elevata rispetto ai 10 franchi mensili di affitto di un locale in una cantina svizzera, ristrutturata e adiacente al rifugio antiatomico, allora piuttosto in voga per timori nucleari. Ritornando alla mia vita di lavoro, all’inizio presi atto dei calcoli e dei disegni relativi a varie macchine costruite e funzionanti, soprattutto generatori idraulici. Mi occupavo 50


degli elementi base della costruzione e dei calcoli della resistenza dei vari componenti delle macchine. In ufficio fervevano i lavori di progettazione di una macchina prototipo, il turboalternatore di Amer V, in Olanda, commissionato da un fedele cliente di Baden, disposto ad accettare un prototipo. La macchina, di potenza 219 MVA a 3.000 giri/minuto (2 poli), rappresentava una sfida con molte audaci novità: raffreddamento con olio non solo nell’avvolgimento statorico, ma anche nel pacco lamiere statorico e nelle piastre frontali di pressione; separazione dello statore dal rotore tramite un cilindro di vetro-resina nel traferro; raffreddamento del rotore in idrogeno, tramite una ventilazione propria e un ventilatore esterno addizionale. Amer V è stato un unicum, destinato a un lungo e ineccepibile funzionamento in centrale. È stato anche il concetto sul quale furono basati i successivi turbo con raffreddamento totale a liquido Skaerbaek (Danimarca), 330 MVA, 3.000 giri/minuto (2 poli) e Mülheim-Kärlich (Germania), 1.635 MVA, 1.500 giri/minuto (4 poli) per centrali nucleari. Io partecipavo indirettamente a questa febbrile competizione, che impegnava tutta l’equipe dei turbo, con molte discussioni e riunioni, consone alla progettazione di un prototipo. Ero stato assegnato alla costruzione dei generatori idraulici, gestita da Eugen Meyer, un signore prossimo alla pensione, bravissimo e dal tratto molto cordiale anche se improntato alla massima serietà professionale. Mi dava il compito di sviluppare qualche componente, e quando pensavo di avere svolto il mio lavoro, andavo da lui a mostrarglielo. Mi sorrideva e, con aria sorniona, mi chiedeva: “Herr Calcia, dove sono le altre 5 varianti?”. Io restavo allibito: con le sole esperienze di disegno tecnico del “Poli”, sapevo di essere praticamente agli inizi, ma non mi aspettavo la lezione, che tuttavia mi affrettai a imparare e a tentare di praticare in tutta la mia vita successiva. Mai fermarsi alla prima idea che viene in mente, anche se sembra l’unica possibile o la migliore per la risoluzione di un problema. Meglio cercarne con fatica altre, con esercizio creativo, fino ad arrivare a quella finale, frutto di sforzi e di confronti. Allora non potevo immaginarlo, ma in futuro mi sarei imbattuto nuovamente in questo concetto attraverso le teorie del Pensiero Laterale del maltese Edward de Bono. Il mio posto di lavoro, provvisto di tecnigrafo, era sistemato tra quelli di due colleghi diventati con il tempo amici carissimi: il tedesco Klaus Fiesenig, che dopo qualche anno di lavoro a Baden si trasferì in posizione manageriale nella fabbrica generatori BBC di San Paolo in Brasile, e lo svizzero Ernst Berchtold, destinato poi a una carriera al TIBB e più tardi in India. Poco dopo il mio trasferimento a Baden, venni raggiunto dall’ingegner Ugo Gargaglione e da sua moglie Letizia, che presero in affitto un appartamento a Wettingen: siciliano ma vissuto lunghi anni al Nord, dopo la laurea era entrato al TIBB, si mormorava con la 51


IL “MIO” TECNOMASIO 6. Baden sponsorship dell’ingegner Spinoccia, siciliano direttore di Fabbrica, ed era stato assegnato alla direzione Tecnica in qualità di assistente di Vannotti per speciali studi, insieme a una signorina, laureata in ingegneria, Dafne Domenighetti. La posizione di Gargaglione aveva suscitato qualche invidia tra noi colleghi, presto sopita dalla presenza molto brillante e intelligente di Ugo: più giovane di me di qualche anno, era un causeur nato, capace di contributi intelligenti e vivaci in tutti i campi. A Baden fu destinato all’Abt. M, macchine asincrone, e i suoi amici divennero presto anche amici miei, tra i quali l’austriaco Gerhard Schuster e lo jugoslavo Kovacevic. A Baden nacque anche la primogenita di Ugo, Silvana. Il fatto che Ugo possedesse una 600 era per me importante, in quanto non avevo ancora la patente: abbastanza spesso la famiglia Gargaglione rientrava a Milano, e mi accettava come passeggero. Il viaggio era molto divertente, a causa delle discussioni che venivano affrontate. Ricordo anche qualche avventura con la 600 in difficoltà e la spinta sotto un temporale. Talvolta in macchina con Ugo e il sottoscritto c’era anche il padre di Ugo, ex maresciallo dei Carabinieri: la 600 ci permetteva anche qualche viaggio attraverso i vari Passi della splendida Svizzera. Una venuta a Baden di Jesurun mi portò, oltre un gradito invito a cena, una novità: su calcolo mio avevamo fatto un’offerta per la centrale di Karnafuli, nel Pakistan orientale, oggi Bangladesh, e avevamo preso l’ordine. Il TIBB era intenzionato a chiedere a Baden che io mi occupassi della costruzione e Wiedemann accettò. Mi trovai così coinvolto in un progetto concreto e di rilievo, e all’inizio mi sentii intimorito, date le mie ancora modeste capacità. Fui prontamente rassicurato che avrei ricevuto aiuto da tutti: d’altra parte la mia preparazione alla vita che avevo vissuto fino a quel momento e il mio carattere mi spingevano ad accettare le situazioni non sempre facili e le sfide, fino a procurarmi più tardi la fama di troubleshooter. Il generatore idraulico di Karnafuli è ad asse verticale, accoppiato a una turbina Kaplan della Voest Alpine, è targato 57,5 MVA a una tensione di 11 kV, 56 poli, 107 giri/ minuto. Ha un diametro di circa 16 metri. Il diametro della macchina di Karnafuli era uno dei maggiori fino allora affrontati e, nonostante la padronanza dei più avanzati concetti costruttivi, incappammo in un errore che in servizio si rivelò grave. Siccome il pacco lamiere statorico è inserito entro la carcassa di acciaio e fissato con chiavette, in servizio il pacco stesso, riscaldandosi per la potenza erogata, tende a dilatarsi, ma preme contro la carcassa che resta a temperatura ambiente e impedisce di fatto tale dilatazione. La conseguenza, molto negativa, è che la dilatazione, del valore di vari millimetri, così impedita, si scarica sul pacco lamiere, provocando ondulazioni che danneggiano l’isolamento dei conduttori statorici. Il fenomeno si evita inserendo tra il pacco lamiere e la carcassa degli elementi elastici che assorbono la dilatazione. 52


Purtroppo nel generatore di Karnafuli non furono inseriti che a posteriori, dopo vari tentativi di ripristino dell’isolamento danneggiato in centrale. Dopo molti anni, in varie riunioni di lavoro e ancora oggi nelle riunioni del Club Zunft der Rotierender Elektriker (Club degli elettrotecnici rotanti) creato nel 1973, è abitudine ricordare le macchine con problemi, le cosiddette “uova di ghisa”. È inutile dire che il nome di Karnafuli è accostato, tra il generale divertimento, al mio. Così va il mondo... Le dimensioni delle macchine più grosse costituiscono sempre un problema per il trasporto. Per la carcassa statorica si procede a costruire due o tre settori, a seconda del diametro, che vengono poi collegati tra loro in centrale. Per il rotore fu adottata anche per Karnafuli la soluzione di assemblare in centrale il corpo rotorico con lamiere di qualche millimetro di spessore, tranciate in fabbrica e tenute insieme da bulloni trasversali. Il montaggio di prova avveniva in fabbrica, poi si procedeva allo smontaggio e alla spedizione dei lamierini e dei bulloni in centrale. Il lavoro mi teneva occupato: a mezzogiorno andavo a pranzo con amici in un ristorante del centro di Baden, il Badener Hof, mentre la sera,

Mai fermarsi alla prima idea che viene in mente, anche se sembra l’unica possibile o la migliore per la risoluzione di un problema. Meglio cercarne con fatica altre, con esercizio creativo, fino ad arrivare a quella finale.

arrivato con il treno a Wettingen, cenavo al Bahnhof Restaurant di fronte alla stazione. La cucina era svizzera, ma con qualche secondo piatto italiano o di cucina francese: il tutto ovviamente con birra.

UNA FAMIGLIA ACCOGLIENTE Al mio rientro trovavo i miei padroni di casa già nella Stube, pronti a passare la serata chiacchierando o ascoltando dischi di musica classica fino alle 22, ora della ritirata per l’alzata mattiniera del giorno dopo. Erano ore serene, molto piacevoli, passate parlando in tedesco. La signora sapeva bene l’italiano, anche grazie all’abitudine di ferie passate a Serravezza, in Versilia, ma mi usava la gentilezza di parlare tedesco per aiutarmi nella lingua. Erano persone colte e gentili, e col tempo mi fecero sentire uno di famiglia. Bruno Karrer era nato nel 1899, in gioventù era stato occupato come disegnatore tecnico presso la MFO di Oerlikon, e, nonostante la prematura morte del padre, era riuscito a ottenere il diploma di elettrotecnico dal rinomato Technicum di Winterthur. Nel 1955 era entrato in BBC a Baden, in Abt. W, in qualità di costruttore di medie macchine sincrone, ruolo che avrebbe ricoperto fino al suo pensionamento nel 1964. Di tendenze social-democratiche, agnostico o almeno non praticante, aveva ricoperto vari incarichi di carattere sociale sul territorio. Estremamente serio ma senza pedanteria, non fumatore né bevitore, sul lavoro era preciso e affidabile: portava avanti con successo il progetto costruttivo di numerose macchine medie (fino a sette alla volta). 53


IL “MIO” TECNOMASIO 6. Baden La signora era altrettanto seria ma più espansiva, era stata in gioventù cattolica ma era poi passata alla chiesa riformata locale forse per influsso del marito, ma soprattutto per una vicenda a dir poco unica.

Con ritmo quindicinale rientravo a Milano da mia madre. Il viaggio in treno il venerdì sera era pesante: partenza da Zurigo alle 19, fermate in tutte le principali stazioni, arrivo a Chiasso verso le 23. Un’ora veniva spesa per il controllo dogana e passaporti e per il cambio di locomotore.

A seguito della morte prematura della moglie, suo padre, di oltre 50 anni e di stretta osservanza cattolica, si era invaghito di un’amica diciannovenne di sua figlia, e la volle sposare, salvo morire durante il viaggio di nozze. La figlia era rimasta così turbata dal comportamento del padre da allontanarsi dalla fede cattolica. Io avevo l’impressione che le fosse rimasta una nostalgia della sua prima religione, sentimento che rivelava la domenica verso le dieci, quando mi avvertiva di sbrigarmi per non fare tardi alla

Messa delle 10 al vicino Kloster, ricco di antichi legni del ‘600. La domenica, quando non ero a Milano, avevamo qualche visita: assiduo frequentatore era un amico di famiglia, il giardiniere Kaempter, il quale per i suoi lavori sempre ben remunerati negli splendidi giardini cittadini del territorio si giovava dell’aiuto di un paio di calabresi, dei quali riconosceva la bravura pagandoli tuttavia meno degli svizzeri. Raramente i miei padroni ricevevano il Pastore di Wettingen con la moglie e il figlio studente di teologia a Basilea. La signora Karrer e la moglie del Pastore erano coinvolte in comitati della Chiesa riformata locale. Con me erano tutti molto gentili e nessuna parola veniva proferita sulla diversità di religione; l’ecumenismo in Svizzera è un fatto quotidiano. Una sola volta successe un fatto increscioso. Una domenica pomeriggio d’estate, in giardino, era in visita il figlio dei Karrer, con moglie e suoceri. Presenti per l’occasione, invitati da Bruno Karrer, erano anche i coniugi Juchems, berlinesi e cattolici. Dopo alcuni momenti di serenità, il consuocero di Bruno, probabilmente carburato da qualche birra di troppo, si lasciò andare a una travolgente filippica contro i cattolici. Io rimasi sbigottito, Juchems produsse un tranquillo sorrisetto più divertito che seccato. Chi ci sorprese fu Bruno Karrer: si alzò di scatto, e con una veemenza che non gli avevamo mai vista si scagliò contro il malcapitato urlando: “Questa è casa mia, questi sono i miei ospiti e se non la smetti vai fuori di qui”. Queste parole non provocarono reazioni e tutto rientrò; Bruno crebbe di un palmo nella nostra considerazione. Interessanti erano i racconti serali nella Stube relativi ai tempi della Seconda Guerra Mondiale. La Svizzera, che in tempi normali ha come grado massimo nell’esercito solo quello di colonnello, aveva nominato comandante in capo il Generale Henri Guisan: egli temeva una possibile invasione di Hitler e pertanto aveva guarnito di truppe il confine con l’Au54


stria. Anche Bruno Karrer aveva passato lunghi mesi su questo confine. Hitler poi, come noto, non si era azzardato a tentare un’invasione della Svizzera, anche perché essa avrebbe potuto opporre una strenua resistenza nelle montagne, aspre e fortemente armate. Ma la parte più interessante era quella dell’ospitalità che i Karrer avevano offerto ai profughi, per lo più ebrei, in fuga dalla Germania. Quasi tutti, raggiunta la Svizzera, erano obbligati a un soggiorno più o meno lungo per procurarsi i soldi per l’espatrio negli Stati Uniti, agognata meta finale. Erano riconoscenti per l’aiuto ricevuto e scrivevano lunghe lettere piene di loro notizie e dei loro successi, che noi leggevamo commossi nella Stube. La signora Karrer aveva un fratello, di professione fotografo, anch’egli residente da anni negli Stati Uniti. Con ritmo quindicinale - raramente settimanale - rientravo a Milano da mia madre. Il viaggio in treno il venerdì sera era pesante: partenza da Zurigo alle 19, fermate in tutte le principali stazioni, arrivo a Chiasso verso le 23. Un’ora veniva spesa per il controllo dogana e passaporti e per il cambio di locomotore. Si ripartiva verso mezzanotte e, dopo varie soste in Italia, si arrivava a Milano quando i tram erano in rimessa e i taxi in stazione Centrale erano rari e lunghe le code di attesa. Quei viaggi mi hanno negativamente condizionato nei confronti delle ferrovie; e ancora oggi ne risento. Il rientro la domenica sera era altrettanto deprimente. All’ora in cui la città era invasa da folle vivaci e dalle discussioni sui risultati delle partite, prendere la valigia per il treno delle 19 era piuttosto scomodo. Si arrivava a Zurigo verso mezzanotte, in tempo per la coincidenza per Wettingen: se vi era ritardo, e la coincidenza era persa, ci si presentava al controllore del treno notturno diretto per Losanna-Ginevra. Così, grazie alla precisa organizzazione svizzera, il super treno notturno si sarebbe fermato a Wettingen per lasciar scendere, unico passeggero, Herr Calcia. Miracoli delle Ferrovie Federali Svizzere (FFS). Sul treno del venerdì verso l’Italia, spesso restavo in compagnia di altri italiani che lavoravano in BBC e in altre aziende. Era un interessante spaccato dell’emigrazione di allora. Accanto agli emigranti del Sud Italia, in maggioranza operai impegnati in lavori pesanti di costruzione di strade e gallerie e in agricoltura, vi era una folta popolazione proveniente dal Nord, dal Piemonte e dalla Lombardia: erano operai e tecnici specializzati, con lavori di rilievo tecnico. Talvolta erano anche padroncini di qualche piccola o media azienda in Italia, interessati a guadagnare per costruirsi una casetta o ingrandire l’azienda. L’Italia si stava avviando verso il boom economico che sarebbe scoppiato qualche anno dopo; la possibilità di buoni guadagni in Svizzera attirava comunque molte persone che non mi sarei aspettato di incontrare sul treno. Qualche volta un operaio della fabbrica BBC addetto a un tornio a giostra di 14 metri di diametro della piattaforma rotante, destinato a tornire le carcasse dei corpi di bassa pressione delle turbine a vapore, mi prendeva bonariamente per i fondelli: “Lei è un ingegnere, ma scommettiamo che io guadagno di più?”. 55


IL “MIO” TECNOMASIO 6. Baden Con tutta probabilità era vero, ma la situazione mi piaceva: ero soddisfatto di vedere premiata la volontà di lavorare bene, di assumersi anche a livello operaio la responsabilità di una produzione ineccepibile, del rispetto dei tempi e dell’apprezzamento dei capi svizzeri. C’era anche un tantino di orgoglio nazionale, e un insegnamento che raccoglievo volentieri. Un altro amico del treno di rientro era un milanese doc, dal dialetto fluido, che mi raccontava di essere il capo di un team per il montaggio finale dei trasformatori in BBC. Già a quei tempi, i capi svizzeri avevano compreso l’efficacia del lavoro di squadra: trovati 6 o 7 italiani qualificati, avevano nominato il milanese capo squadra e avevano concordato l’obiettivo: assemblaggio finale del trasformatore entro una certa data, con un premio per ogni giorno guadagnato sulla data finale. Il milanese mi diceva che se qualcuno del team avesse accennato a restare assente per un raffreddore, veniva subito redarguito - Ti dumàn te lavùri - per non mettere in dubbio il raggiungimento del premio.

AMICI DI TRENO Col tempo mi ero fatto un altro amico, Albert, per i viaggi in treno. Era una persona di pochi anni più anziana di me, tranquilla e gentile, con la quale le ore di viaggio passavano più in fretta, conversando e fumando. Era impiegato come operaio nella sala prove Apparecchi di Baden, e mi sembrò subito una persona di sicura levatura intellettuale, degna di occupare un posto almeno di impiegato. Gli raccomandavo di andare dal suo capo a chiedere il passaggio di categoria, ma la situazione non mutava. Mi rispondeva che aveva fatto studi di ginnasio e liceo a Milano, ma la guerra gli aveva impedito di raggiungere la maturità. Pertanto non se la sentiva di andare a perorare la propria causa. Arrivati a Milano, mentre io ero a casa, Albert prendeva un treno della notte e si recava sul Lago di Garda, dove suo padre, anziano e forse malato, risiedeva in un residence. La domenica sera ci incontravamo in stazione, dove lui era arrivato poco prima dal lago. Io ero impressionato da questa manifestazione di affetto di un figlio verso un anziano genitore, e dalla assoluta mancanza di volontà di farla pesare. Era chiaro che sotto c’era una storia, e alla fine venne fuori. Era ebreo, di una buona famiglia milanese, ed era arrivato all’ultimo anno del liceo quando suo padre lo avvertì di precipitarsi dalla scuola direttamente in stazione, senza passare da casa, in quanto una soffiata l’aveva avvertito di una sicura retata. Preso il primo treno per la Svizzera, si presentarono alla Polizia elvetica: il padre, in condizione di provvedere alla propria esistenza, fu lasciato libero, mentre il figlio fu internato in un campo di concentramento nel Cantone di Berna. Non si trattava certo di un campo di stile nazista, ma i profughi erano obbligati a svolgere lavori sulle strade del Cantone. Finita la guerra, non se la sentì di riprendere gli studi interrotti e così si trovò in BBC come operaio. 56


Io rimasi impressionato dalla sua storia. La sua persona - questa fu la mia prima considerazione - era quanto di più lontano si potesse immaginare dal cliché abituale che tanti si fanno dell’ebreo, supposto essere depositario di alti valori ma con un complesso di superiorità esteso fino alla supponenza. Inoltre mi dispiaceva veramente che non sentisse la necessità di migliorare la sua posizione in BBC. Una sera, all’approssimarsi del treno in stazione a Milano, mi disse che ad attenderlo ci sarebbe stata una persona speciale e che avrebbe gradito un mio giudizio. All’arresto del treno, sulla pensilina lo attendeva una signora impellicciata, bruna e molto bella, che lo accolse con un grande sorriso e lo baciò: mi fu chiaro che era la sua fiamma. Ne fui veramente contento. Nel viaggio di ritorno mi raccontò che era un’amica di famiglia, ebrea e parente di uno dei superstiti della tragedia del dirigibile Italia di Nobile, costretti a trascorrere 45 gior-

Sul treno del venerdì verso l’Italia, spesso restavo in compagnia di altri italiani. Era un interessante spaccato dell’emigrazione di allora. Accanto agli operai impegnati in lavori pesanti di costruzione di strade e gallerie e in agricoltura, vi era una folta popolazione di tecnici specializzati.

ni sul pack prima di essere salvati da un rompighiaccio russo. Le famiglie, nell’attesa del matrimonio, gli avevano già preparato un posto di responsabile delle comunicazioni in un grande Gruppo milanese, e attendevano la sua approvazione. Siccome mi aveva sollecitato un parere, gli consigliai di accettare. E così persi un vero amico: la vita ci divise e non ci incontrammo più.

L’ESPERIENZA SI PROLUNGA Tornando alla mia vita in Svizzera, passavano i mesi ed era evidente che i due anni di soggiorno inizialmente previsti sarebbero stati largamente superati. In occasione dei weekend a Milano, portavo al TIBB il rotolo di disegni nel frattempo da me prodotti e approvati dal signor Meyer. Questi erano poi passati a Tirinanzi per revisione e successivo invio in fabbrica per i lavori esecutivi. Mi arrivava voce che Tirinanzi non gradisse molto che mi fosse stato affidato l’incarico di occuparmi di Karnafuli; attendevo pertanto con una certa ansia un incontro con lui. Un paio di volte ebbi occasione di incontrare al sabato mattina in azienda l’ingegner De Martini, nel 1958 nominato amministratore delegato al posto di Soldini, a sua volta promosso presidente al posto del senatore Conti. Il colloquio era sempre breve e molto affabile. Ero trattato come una persona di riguardo e avevo l’impressione di essere cresciuto nella considerazione del TIBB. Questa impressione era confermata anche dal fatto che la mia presenza a Baden offriva l’opportunità a chiunque in azienda avesse un problema con il Gruppo di chiedere il mio intervento presso le funzioni interessate. 57


IL “MIO” TECNOMASIO 6. Baden Questo mi permetteva di farmi conoscere in altri uffici tecnici, e non solo, come uomo del TIBB, e mi procurava graditi inviti a cena in occasione di visite di varie personalità milanesi. Venni così in contatto con Angelo Bellini, responsabile della fabbrica di Piazzale Lodi, il quale per lunghi anni aveva occupato con la famiglia un appartamento al primo piano dello stabilimento ed era anche molto stima-

In Svizzera, passavano i mesi ed era evidente che i due anni di soggiorno inizialmente previsti sarebbero stati largamente superati.

to come consigliere personale del direttore tecnico Roberto Vannotti. Bellini, che mi incuteva un certo timore per la sua figura autoritaria, si mostrava a cena molto espansivo e gentile e mi spronava a continuare la mia preparazione a Baden prima di rientrare in patria. Con Bellini e con il suo vice Cerri aumentarono così i contatti, anche per via

del tedesco da loro non parlato. Cominciavo a capire tutta l’importanza del soggiorno a Baden per la mia futura carriera. Le visite di Jesurun e le relative cene erano molto interessanti. Davanti a una sogliola alla mugnaia, i discorsi andavano oltre il lavoro e diventavano confidenziali. Venni così a conoscenza della sua per certi versi incredibile vicenda di guerra. Ebreo per parte di padre, un dalmata, venne difeso a lungo da Roberto Vannotti, svizzero, fino al momento in cui il rischio di deportazione si fece più alto. Allora il collega Giacomoni, direttore delle vendite del TIBB, lo ospitò in una sua casa ai bordi di un bosco prossimo al confine svizzero, in provincia di Varese. Organizzato da un apposito gruppo di volontari il suo passaggio in Svizzera, chiese alla Polizia elvetica il permesso di lavorare presso la BBC, ma non lo ottenne, e gli venne prospettata la temuta destinazione del campo di concentramento. Allora decise per il rientro immediato in Italia, ripassò il confine e restò fino alla fine della guerra nella casa del bosco di Varese, pieno di altri profughi con i quali incontrarsi nelle ore notturne. A partire dagli anni del dopoguerra era in corso l’unificazione delle varie frequenze che esistevano in diverse Regioni italiane: erano abbastanza diffuse macchine a poli salienti per 42 e 45 Hz, oltre che per entrambe le frequenze, 42/50 Hz, e per 50 Hz. L’unificazione di tutte le frequenze al valore nazionale di 50 Hz comportava un corrispondente aumento del numero dei giri, e quindi una prova di fuga alla velocità aumentata in proporzione, per esempio da 42 a 50. Il procedimento solitamente adottato era di alleggerire il peso dei poli rotorici praticando in ognuno dei fori longitudinali. In una macchina di piccola potenza il foro praticato in ogni polo aveva provocato una eccessiva riduzione della rimanente sezione resistente, purtroppo non constatata attraverso prove a ultrasuoni; così, alla velocità di fuga in fossa rotori, un polo esplose e una parte di esso volò via e andò a incastrarsi nel rivestimento ligneo della fossa. Io allora ero ancora a Baden e, al mio rientro il sabato successivo, ebbi l’occasione di una visita alla fossa, che 58


presentava ancora la parte del polo incastrata nel rivestimento di legno. Quest’ultimo aveva resistito molto bene, il polo non era fuoruscito dal tunnel e la linea d’asse aveva sopportato senza danni il terribile sbilanciamento provocato dall’improvviso distacco del polo. Le vibrazioni erano aumentate di colpo, ma l’arresto della rotazione era stato abbastanza tempestivo e i cuscinetti avevano resistito alla improvvisa anomala sollecitazione. La vita in ufficio procedeva bene. Ogni settimana vari colleghi si riunivano in qualche trattoria per giocare a kegel (bowling). Io ero piuttosto bravo, tra una sigaretta e una fetta di Schwarzwälder, uno splendido dolce locale. Qualche volta mi dava un passaggio in macchina Lips, capo gruppo dei turbo e abitante a Dietikon, cittadina tra Baden e Zurigo. Per incontri a valle del lavoro, a Baden era anche disponibile la sede di Martinsberg, con vari giochi e anche la possibilità di procurarsi materiali per il fai da te casalingo. Inoltre la famiglia Boveri aveva messo a disposizione dei dipendenti per le loro serate una splendida villa. L’Ufficio W organizzava un paio di volte l’anno dei viaggi molto interessanti e utili per rinsaldare conoscenze e amicizie. Ne ricordo uno nella Svizzera Romanda, tra le splendide vigne sulle coste del Lago Lemano, e una al Brienzer Rothorn, in treno, poi in battello e alla fine a bordo di un trenino d’epoca splendidamente conservato. Siccome non avevo ancora la patente e la macchina, nei pomeriggi delle mie domeniche svizzere mi spostavo in treno e in battello per ampliare i miei limitati orizzonti. Le attività di sviluppo in corso nei vari settori comportavano riunioni con la BBC di Mannheim e con la CEM, Compagnie Electromécanique al Bourget, presso l’omonimo aeroporto parigino che aveva visto l’atterraggio di Lindbergh con il suo Spirit of Saint Louis dopo la famosa traversata dell’Atlantico. I rapporti tra CEM e BBC erano molto stretti: l’azienda era partecipata da BBC con una forte maggioranza e costruiva in campo energetico gli stessi prodotti di Baden e di Mannheim. Quasi gli stessi... in quanto gli ingegneri francesi, molto preparati, promuovevano propri sviluppi e varianti se pur sotto la leadership di BBC. Io ero invitato a questi viaggi, ricchi di nuove conoscenze di persone e di nuovi apprendimenti. A Mannheim avevo stretto amicizia con il bravissimo Karl Merz, capo dell’ufficio tecnico del grosso macchinario elettrico rotante, e dei suoi validi collaboratori nei campi idro e turbo, a Parigi con Dupont e Le Henaff, assistiti addirittura da un membro dell’Accademia Francese in qualità di consulente. I lavori del Comitato interaziendale a Parigi venivano qualche volta coronati da un invito serale all’Orée du Bois, un locale di intrattenimento cabarettistico all’inizio del Bois de Boulogne; rare volte venivano offerti cena e spettacolo al Casino de Paris. In uno di questi viaggi accadde un fatto inatteso. Eravamo una squadra di 6 o 7 persone in treno da Baden a Parigi, con arrivo verso mezzanotte e trasferimento in taxi all’Hotel d’Angleterre in Rue de la Boétie, non lontano dall’Arc de Triomphe. 59


IL “MIO” TECNOMASIO 6. Baden Con nostra somma sorpresa trovammo solo il portiere di notte, che ci comunicò di non avere posto e di non sapere nulla delle nostre prenotazioni. Alle insistenti nostre rimostranze e richieste di attivarsi per rimediare all’inconveniente, ci indirizzò poco lontano, nella stessa strada. Trovammo una porticina con un biglietto e un titolo: Studios Elegant, che ci suonò subito male. A farla breve, si trattava di un albergo a ore, controllato dalla Questura, nel quale il signor Cuny, responsabile degli impianti ausiliari dei turbo, e cattolicissimo padre di famiglia, si aggirava sconsolato scuotendo il capo in forte disapprovazione. Dopo varie discussioni con la gerente, ottenemmo ciascuno una bella camera. Il giorno dopo, con le scuse dell’Hotel d’Angleterre, vi fummo trasferiti per trascorrervi la seconda notte parigina. In quegli anni avevo fatto amicizia con altri italiani che lavoravano alla BBC, tra i quali l’ingegner Gusso, passato al suo rientro in Italia alla Nuovo Pignone di Firenze, ma soprattutto il tecnico Raffaele Picariello e sua moglie Marta, con i quali passavo le serate a Baden, dove vivevano in appartamento. Ascoltavamo alla televisione le canzoni del Festival di Sanremo, quelle di Modugno, e sentivamo con orgoglio parlare del boom italiano in corso.

TURBOALTERNATORI, FRA “ELETTRICI” E “TERMICI” Nell’estate del 1959 passai al settore Costruzione dei turboalternatori, con Hans Wälchli, persona di grandi capacità tecniche e umane, con il quale strinsi un’amicizia che durò tutta la vita. Aveva brillantemente superato in giovinezza un attacco di poliomielite, e amava molto il suo lavoro, senza sacrificare troppo gli affetti familiari. Poco dopo la nostra conoscenza sposò una colta signora dell’ufficio Comunicazioni e della biblioteca, e ebbero due figli. Mantenemmo fino alla sua morte, nel 2006, un rapporto epistolare piuttosto fitto, che proseguì per un certo tempo anche con la vedova. In quei tempi il TIBB aveva deciso di affiancarmi alcuni promettenti tecnici dell’ufficio di Milano. Avrebbero lavorato con me e avrebbero imparato bene il tedesco, oltre a stabilire rapporti preziosi per la loro futura vita di lavoro. Mi davo da fare per trovare loro una decorosa sistemazione a Wettingen e per la loro introduzione in ufficio. I loro nomi mi sono ancora oggi cari, per la loro bravura e amicizia. Chiarion, che era molto promettente e diede un forte contributo come capo gruppo Costruzione dopo il suo rientro a Milano, Roberti, e i due più anziani, Gueli e Colombi. La sera cenavamo tutti insieme al ristorante della stazione di Wettingen, spesso anche con la simpatica ragazza di Gueli: avevamo il supporto della padrona che gestiva la cucina e ci preparava dei secondi imparati a Ginevra ma di stile italiano. Il mio comportamento di allora temo non fosse troppo democratico, in quanto gli insegnamenti che avevo ricevuto spingevano piuttosto verso una “democrazia guidata”, con prevalenza della guida. Ma le serate al ristorante mi sembravano positive per tutti. 60


La presenza degli italiani provenienti dal TIBB e le loro capacità erano apprezzate dai capi: Wiedemann mi chiese pertanto di rientrare a Milano in trasferta allo scopo di reclutare almeno una dozzina di tecnici desiderosi di impiegarsi a Baden. Io mi diedi da fare con tutte le migliori scuole tecniche milanesi, riuscendo a raccogliere un consistente numero di aspiranti. Dopo una serie di incontri con ciascuno di loro, rientrai a Baden e presentai la lista a Wiedemann. Da essa scaturì l’assunzione di diverse persone (tra le quali Ganzaroli, cugino di Chiarion, e i fratelli Ongetta) destinate a vari uffici e rimaste per vari anni con successo in Svizzera. Io incominciai a lavorare insieme a Chiarion al progetto di un turboalternatore abbastanza simile ad uno già costruito: era l’estate del 1959 e improvvisamente arrivò la notizia del trasferimento di una parte dell’ufficio tecnico Turboalternatori in un appartamento in affitto in una strada, la Dynamostrasse, poco distante dalla sede principale. Il lavoro cresceva, BBC non aveva ancora costruito nuove sedi ed era obbligata ad andare in affitto. Il trasloco toccò anche a me e a Chiarion, che fummo sistemati in un rovente sottotetto dell’ultimo piano della palazzina. Ci sembrava di essere nei Piombi di Venezia! Ci faceva compagnia il figlio di un noto inven-

Nell’estate del 1959 passai al settore Costruzione dei turboalternatori, con Hans Wälchli, persona di grandi capacità tecniche e umane, con il quale strinsi un’amicizia che durò tutta la vita.

tore, l’olandese Schrage. Suo padre è ancora oggi celebrato per avere concepito in tempi lontani un famoso motore asincrono trifase con possibilità di regolazione della velocità di rotazione; io stesso ne avevo fatto esperienza in sala prove. In quel sottotetto ricordo di avere ricevuto con i miei colleghi la visita di Muzaffer Canay, un turco laureato al Politecnico di Zurigo, appena assunto, destinato a restare tutta la vita in BBC in qualità di brillante responsabile di studi elettrici e appassionata guida di trekking. Uno dei suoi primi studi fu dedicato al calcolo dell’avviamento di motori sincroni a poli salienti massicci, argomento del quale mi ero occupato anch’io prima della mia partenza. Occuparsi di turboalternatori voleva dire tenere stretti contatti con l’altra potente e temuta facoltà dei termici, costruttori delle turbine a vapore che tengono in rotazione i nostri alternatori (mi riferisco alle turbine a vapore, in quanto le turbine a gas di quegli anni non andavano oltre la potenza di qualche decina di MW ed erano impiegate soprattutto in impianti petroliferi). A quei tempi circolava la battuta che i termici consideravano l’alternatore come il male necessario (in tedesco: Das notwendige Übel) e che pertanto ne avrebbero fatto volentieri a meno. Questi ricordi a loro volta ne fanno emergere un altro, molto più recente, relativo al 61


IL “MIO” TECNOMASIO 6. Baden cosiddetto Progetto Magneto-idrodinamico. Negli anni ‘80 fummo richiesti dall’Università di Bologna di partecipare con altre aziende ad un progetto con questo nome, destinato - se coronato da successo - a rivoluzionare la produzione di energia elettrica. Il concetto base era di una macchina costituita da una grossa cassa metallica percorsa da un flusso di gas ionizzati che investiva le linee di forza di un campo magnetico molto intenso prodotto da potenti magneti con avvolgimenti in materiali sovra conduttori. I filetti di veloce gas ionizzato avrebbero tagliato le linee di forza del campo magnetico a fortissima induzione e alle estremità della cassa si sarebbe pertanto potuto raccogliere tra due elettrodi una differenza di potenziale elettrica. L’alternatore non sarebbe più stato necessario. Noi ci prestammo a qualche riunione sul progetto, che purtroppo non ebbe ulteriori sviluppi. Un altro tentativo non riuscito a causa di complicazioni progettuali fu quello di fare a meno del trasformatore, integrandolo con l’alternatore, il cui avvolgimento statorico avrebbe dovuto essere composto non di barre isolate per una tensione massima di 25-30 kV, ma da un cavo continuo isolato per una tensione, per esempio, di 150 kV. Ritornando al rapporto con i termici, noi eravamo costretti a contatti con loro per definire i dettagli del giunto di accoppiamento, per il dimensionamento del basamento di fondazione comune a tutto il gruppo turbina-alternatore e soprattutto per i cuscinetti di supporto dell’alternatore, forniti dai termici per ovvi motivi di continuità con quelli della turbina. Venni così a contatto con vari capi intermedi, ma anche con il capo dell’ufficio tecnico, l’ingegner Piero Hummel, cresciuto in Canton Ticino e destinato a una rapida carriera fino a divenire nel 1978 CEO del Gruppo BBC. In qualità di uomo del TIBB a Baden, io ero accolto con cordialità dai termici, anche se non mi lesinavano qualche bonaria battuta sui miei colleghi elettrici, e sui rischi che correvo a stare dalla loro parte. Oltre che con Hummel, avevo contatti con Bellati, dall’italiano fluente, con Suter per le dimensioni d’ingombro dell’alternatore e con Scherrer per le fondazioni e il percorso delle tubazioni. Erano tutti molto preparati e gentili con me, anche se nel nostro ufficio circolavano spesso rumor di qualche polemica in corso tra le due facoltà. Suter era capo e amico di Picariello e così di sabato mattina noi tre, accompagnati dalla cagna di Suter, Arlette, ci facevamo una sgambata sui Lägern, una catena di basse montagne tra Baden e Zurigo, fermandoci ad accendere un fuoco per arrostire i classici salamini.

LE DIFFICOLTÀ DI UN MATRIMONIO Il mio soggiorno dai Karrer era molto gradevole: potevo leggere e studiare lunghe ore in giardino in tutta tranquillità. L’orto, ben curato da entrambi i miei padroni di casa, offriva frutti freschi per la colazione del mattino, quelli che i merli, assolutamente indisturbati e protetti, ci lasciavano. Un pergolato aderente alla facciata della casa produceva uva che nel periodo della maturazione veniva protetta dall’insolenza dei merli, e secondo una 62


diffusa usanza, da una fasciatura di garza bianca che lasciava penetrare i raggi del sole. La figlia minore dei Karrer, Margrit, era una apprezzata puericultrice, prenotata con largo anticipo dalle gestanti, che assisteva da prima del parto in ospedale fino qualche mese successivo; perennemente occupata, veniva di rado a visitare i genitori. Non era sposata e i Karrer attendevano qualche novità da parte sua, novità che non tardò a presentarsi. Una sera, arrivando a casa dopo cena, trovai nella Stube i due genitori con un problema. Ero praticamente considerato ormai di famiglia e mi esposero il fatto. Margrit si era innamorata di un bravo ragazzo, giovane e occupato come operaio e voleva sposarlo. I genitori, che conoscevano il ragazzo, non apprezzavano la sua qualifica e non volevano che la figlia sposasse un semplice operaio: si meritava un uomo più qualificato. Io cercai con una certa insistenza, e sfoderando tutte le mie capacità di persuasione, di sottolineare la positività dell’amore evidentemente sbocciato, la serietà del giovane, ammessa dagli stessi Karrer, la richiesta di benestare onestamente avanzata e, non ultimo, anche i rischi che un diniego avrebbe sicuramente comportato. Non ottenni alcun risultato: qualche giorno dopo mi informarono che il matrimonio era stato bloccato e che la figlia aveva rotto con i genitori. Passarono pochi mesi e arrivò la notizia che Margrit si era messa con un italiano e che era incinta. I genitori non vollero fare pace con Margrit, la quale si trovò qualche mese dopo impossibilitata a lavorare e bisognosa di sostentamento; i genitori non vollero saperne. Per fortuna trovò due anziani coniugi in una località poco distante da Zurigo, i quali, in cambio della sua assistenza, la ospitarono e la sostennero fino al parto e per qualche altro tempo. I Karrer, ormai nonni, desistettero dalla loro risoluta determinazione e accettarono nuovamente figlia e nipotino. Una domenica, in giardino, avvenne la presentazione da parte di Margrit di Urs: il suo bambino era bellissimo, biondo e robusto, e fu una vera festa. Margrit sposò poi uno svizzero ed ebbe altri due figli. Durante il periodo di lontananza della figlia dalla famiglia, i Karrer avevano affittato la sua stanza a Cesare, un italiano valtellinese, operaio in una fabbrica chimica di Wettingen, piuttosto taciturno e riservato. Avevamo fatto amicizia, anche se la frequentazione non era molto stretta. Era fidanzato con una ragazza italiana che lavorava in una filanda ai bordi della Limmat. A un certo punto decisero di sposarsi alla Missione Cattolica, e fissarono la data con don Michelangelo. La sera precedente il matrimonio, la ragazza portò i suoi bagagli nella nostra casa, pronti per il viaggio di nozze. Tutti noi ci complimentammo con i futuri sposi. Nella notte, verso le quattro del mattino, fui svegliato da alcuni colpi alla porta, mi alzai e mi trovai di fronte Cesare, il quale, senza esitare, mi disse: “Non mi sposo più!”. Restai fulminato. Lo invitai a entrare e attesi il resto della storia, che era molto semplice: un “amico”, all’ultimo momento, gli aveva confidato di avere avuto in passato una relazione con la ragazza, e Cesare era offeso per il fatto di non esserne stato informato da 63


IL “MIO” TECNOMASIO 6. Baden lei. Seduto sul letto, ascoltata la storia, tentai di convincerlo a considerare solo la parte positiva del loro rapporto, a rigettare la vigliaccata del suo “amico”, a non prestarsi a quella che poteva essere una vendetta. Verso le cinque del mattino, spossati, cessammo il colloquio per un’ora di sonno. Io non riuscii più a dormire; avevo la spiacevole sensazione di avere fallito nel mio tentativo, ma coltivavo ancora un barlume di speranza che potesse alla fine prevalere il buon senso, se non altro per il banale motivo di evitare uno scandalo pubblico. Tacqui con i Karrer a colazione e andai a lavorare in apprensione: passarono le ore senza alcun riscontro, fino verso le 11, quando arrivò fino al nostro ufficio la notizia dello scandalo: Cesare non si era presentato alla Missione e si era nascosto presso un altro amico. Restò nascosto un paio di giorni, perse il posto in fabbrica e rientrò presumibilmente in Italia. Qualche tempo dopo si sparse la notizia di una sua nuova emigrazione in Canada. La tristezza di quella notte non mi ha più abbandonato. I Karrer possedevano dal 1959 una casetta in montagna, a Feldis, dove trascorrevano la ferie d’estate. Durante la loro assenza, mia madre mi raggiungeva nella casa di Wettingen e per un paio di settimane tornavo ad apprezzare la cucina italiana. Ogni estate i Karrer ospitavano l’altra figlia Hilde, sposata a Neuchatel, con i nipotini Peter e Maya. Questi ultimi si divertivano in giardino tutto il giorno e, secondo il costume svizzero, venivano messi a letto alle 19, quando il sole era ancora alto. Per una buona mezz’ora rumoreggiavano in camera da letto al primo piano, fino al momento in cui il nonno, spazientito, urlava qualcosa dal fondo delle scale. Allora si zittivano, per ricominciare alle 5 del mattino. Alle 6 facevano colazione con noi grandi, e la mia presenza estranea suscitava curiosità. Una mattina Peter non resistette più e fece la domanda: “Nonno, il signor Calcia che mangia con noi, paga?”. La concretezza svizzera si manifestava fin dalla più tenera età!

COMMESSE INTERNAZIONALI E… UN CONSIGLIO NON GRADITO In quegli anni BBC e l’Abt. W raccoglievano successi in tutto il mondo, anche in America. Erano stati offerti gruppi termici turbina-alternatore in USA, nonostante lo strapotere locale dei due colossi General Electric e Westinghouse. Gli americani apprezzavano le nuove tecniche di Baden per i generatori e Wiedemann era impegnato con frequenti viaggi di promozione sul mercato statunitense. Allora il viaggio da Zurigo per gli USA avveniva con aerei quadrimotori in due tappe: la prima con scalo intermedio a Shannon in Irlanda, la seconda da lì in America. Spesso dei quattro motori uno era in avaria, e Wiedemann era costretto al rientro. Lo vedevamo ricomparire in ufficio sconsolato, ma deciso alla prossima ripartenza. Era un combattente inesorabile. Alla fine arrivò un ordine dalla Municipalità di Los Angeles per un turbogruppo con alternatore da 300 MVA, a 2 poli, 60 Hz, 3.600 giri/minuto: fu una festa immediata a Martinsberg. La sor64


presa in USA fu enorme e i due grandi concorrenti americani presentarono addirittura una interpellanza al Congresso. Los Angeles si difese con successo, dimostrando che il confronto tra le offerte aveva presentato parametri decisamente favorevoli a BBC. Da allora si intensificarono offerte e ordini dal mercato locale anche per potenze superiori, fino a 600 MVA da parte del cliente AEP (American Electric Power). La cronica scarsità di spazio alla BBC ci obbligava a ripetuti spostamenti, nell’attesa della costruzione, già in corso, di nuovi uffici. Fummo così nuovamente alloggiati in un appartamento della Bruggerstrasse, con tre stanze e una cucina: io e il tedesco Merhof in una stanza, due inglesi in un’altra e il norvegese Hackenstad nella terza. Lavoravamo tutti a progetti di turboalternatori, in particolare i due inglesi per un alternatore da 300 MVA per una centrale al confine tra la Scozia e l’Inghilterra. Lavoravamo in tutta tranquillità, portando i nostri progetti di tanto in tanto alla sede centrale: a turno preparavamo il the in cucina e ci concedevamo una breve pausa, in tedesco e in inglese. In quel tempo era stato creato un ufficio amministrativo per il bilancio dell’Abt. W, presieduto dal signor Augusto Ernst, sposato con l’italiana signora Maria: i coniugi Ernst erano destinati a diventare cari amici miei e di mia madre. Ernst era un personaggio dalla battuta sempre pronta e brillante, sia in tedesco sia in italiano, in quanto di madre italiana. Sua moglie era molto tranquilla, serena e disposta al sorriso. Il marito aveva tuttavia un grosso difetto: alle festicciole dell’ufficio, per la celebrazione di qualche anniversario e senza la presenza dei grossi capi, il vino e qualche liquore scorrevano piuttosto liberamente, e Ernst si ubriacava. Non reggeva le bevute; talvolta dovevamo portarlo a casa in quanto non si reggeva in piedi, e lo consegnavamo alla sconsolata signora Maria, che a queste serate dava l’impressione di essere piuttosto abituata. Io, abituato da mio padre alla scarsa tolleranza di queste situazioni, soffrivo per l’amicizia che mi legava e temevo che i capi decidessero qualche severa punizione nei suoi confronti. A un certo punto, dopo molte esitazioni, passai all’azione: lo affrontai e, con la maggiore delicatezza

Arrivò un ordine dalla Municipalità di Los Angeles per un turbogruppo con alternatore da 300 MVA. La sorpresa in USA fu enorme e i due concorrenti americani presentarono addirittura una interpellanza al Congresso.

possibile, gli feci il sermoncino. Ernst mi ascoltò con la massima attenzione, senza batter ciglio, poi mi disse: “Herr Calcia, vengo anch’io la domenica alla Messa delle 11 nella Antonius Kirche di Wettingen, e noto che lei è uno di quelli che vanno davanti e dicono: Oh Gott, ich danke Dir, weil ich nicht bin wie die Anderen...”. La traduzione è facile: O Signore, ti ringrazio perché io non sono come gli altri... Restai allibito, accusai il colpo e me ne andai con la coda tra le gambe. 65


IL “MIO” TECNOMASIO 6. Baden Ma il peggio doveva ancora venire: dopo pochi minuti arrivò Strasser, notoriamente sponsor di queste bevute, che mi disse: “Carletto, noi in Svizzera non abbiamo bisogno di gente come Gerolamo Savonarola”. Imparai la lezione e non l’ho più scordata (o almeno ho fatto di tutto per non scordarla). L’amicizia con Ernst e Maria è durata decenni, ci siamo incontrati più volte durante le ferie sul Lago Maggiore, e con mia madre era una gara di gentilezze. Ernst aveva smesso di bere e in casa teneva una cantinetta di vini pregiati per le migliori occasioni. Vuoi vedere che le prediche diventano efficaci alla distanza?

NUOVE TECNICHE DI ISOLAMENTO Il mio lavoro proseguiva con alcuni progetti per Baden, un alternatore per la centrale di Bärenburg in Svizzera e un grosso compensatore sincrono per le ferrovie tedesche (DB). Ero molto interessato alla progettazione di turboalternatori con raffreddamento ad acqua demineralizzata nei conduttori dell’avvolgimento statorico, ed ero diventato abbastanza ferrato in materia e in generale in tutte le tecniche di progettazione del grosso macchinario elettrico rotante. Alla base dello sviluppo di tutte le macchine BBC si situavano nuove tecniche di isolamento per avvolgimenti ad alta tensione. Verso la fine degli anni ‘50, BBC aveva sviluppato il sistema isolante con resine sintetiche Micadur, che permetteva di raggiungere tensioni nominali fino a 30 kV e quindi di sfruttare maggiormente l’isolamento migliorando contemporaneamente la sicurezza di funzionamento. Una delle prime grosse macchine con isolamento Micadur fu il generatore di Amer V. Più tardi, nel 1967, fu introdotto per l’isolamento di macchine medie a tensione elevata il sistema a impregnazione totale Micadur-Compact. Questa tecnica richiedeva l’installazione di una autoclave per impregnazione sotto vuoto e sovrapressione finale. Per le grosse macchine venne anche studiato durante il periodo della mia permanenza a Baden un sistema di ancoraggio delle teste dell’avvolgimento statorico molto robusto, con distanziatori in vetroresina impregnata e anelloni di contenimento radiale. L’ultima tecnologia sviluppata fu relativa alla separazione delle testate dell’avvolgimento statorico per annegarle entro un anellone in resina sintetica fuso in uno stampo e saldarle poi ai conduttori all’interno del pacco lamiere statorico. Questa soluzione in pratica garantiva la tenuta delle teste anche nel caso di un corto-circuito a piena tensione ai morsetti della macchina. Durante la mia permanenza a Baden, il team tecnico di Milano provvedeva a propagandare i nuovi trend nella costruzione dei turboalternatori: la Rassegna tecnica del TIBB, nel numero di gennaio-marzo 1960, ospitò un articolo di Silvio Barigozzi dal titolo: Attualità e prospettive nel progetto e nella costruzione dei turboalternatori. 66


Nel 1960 furono pronti i nuovi uffici in tre palazzine della Römerstrasse e traslocammo nuovamente in uffici spaziosi e moderni. Io avevo due posti di lavoro: un tecnigrafo in sala e una scrivania all’ufficio Calcolo, con i grandi vecchi Strasser e Stoll. Una vera sfida era stata per quei tempi un turboalternatore destinato ad un laboratorio per prove di corto-circuito su interruttori di alta tensione. Queste macchine sono lanciate da un motore o da un convertitore statico di frequenza e al momento del corto-circuito ricevono una forte sollecitazione elettrodinamica istantanea sulle teste dell’avvolgimento statorico, le quali devono resistere, senza necessità di manutenzione, almeno a centomila colpi. Siccome non esistono problemi di riscaldamento e di perdite, l’unico punto veramente decisivo resta, come per i pugilatori, il numero di colpi incassabili senza gravi conseguenze. In seguito la teoria e il dimensionamento di queste macchine furono curati da Muzaffer Canay, responsabile degli Studi elettrici. L’importante e continuo sviluppo del business della produzione di grosso macchinario elettrico convinse BBC alla costruzione di una nuova fabbrica. La pianificazione iniziò nel 1956 a Birrfeld, una piana a 15 chilometri da Baden. Alla guida del progetto fu posto Otto Köhli, un uomo intelligente e dai nervi saldi, che vedevamo con malcelata invidia sgommare con la pipa tra i denti a bordo di una splendida Alfetta cabrio rossa. Nel 1960 la nuova fabbrica iniziò a funzionare, prima che per la produzione, per le prove in rotazione del prototipo Amer V, completamente montato, che era stato costruito a Baden. Dopo Amer V venne provato a Birrfeld anche un grosso turboalternatore da 400 MVA costruito a Mannheim per la RWE, centrale Weisweiler E, il più grande per quei tempi. Io mi chiedevo se avrei fatto in tempo, prima del rientro in Italia, a lavorare a Birrfeld, ma ben presto, nel 1962, mi venne comunicato che sarei ritornato a Milano dopo le ferie. Accolsi la notizia con vera soddisfazione e procedetti rapidamente a informare mia madre e, con una punta di rammarico, i miei padroni di casa, con i quali avevo passato anni molto piacevoli. Nel 1962 avevo provato grande soddisfazione per il progetto del turboalternatore della Selt Valdarno per la centrale Marzocco del Calambrone, un sobborgo di Livorno. Eravamo riusciti a convincere il cliente a sperimentare la prima macchina in Italia con raffreddamento a liquido nell’avvolgimento statorico e in idrogeno per tutte le altre parti. La potenza era di 206 MVA, con tensione di 15,7 kV, 50 Hz, 3.000 giri/minuto, e turbina a vapore Tosi. In realtà la potenza non era così grande da richiedere il raffreddamento a liquido dell’avvolgimento statorico, ma l’intento era quello di sperimentare la nuova tecnica in attesa di futuri sviluppi delle potenze, dati per certi. Sull’esempio di Amer V decidemmo di usare come liquido di raffreddamento un olio fluidissimo, che per future costruzioni avremmo sostituito con l’acqua demineralizzata della caldaia. Livorno è pertanto l’unica macchina in Italia con il raffreddamento dell’avvolgimento statorico in olio. 67


IL “MIO” TECNOMASIO 6. Baden Il destino era in agguato: Jesurun mi comunicò che erano praticamente concluse le trattative con la Edisonvolta, allora guidata dagli ingegneri Franco Castelli e Giorgio Speri, per l’ordine di un turbo da 370 MVA per la centrale di Piacenza Levante. I dati di targa erano: 370 MVA, 21 kV, 50 Hz, 3.000 giri/minuto, turbina a vapore Tosi. Forse influenzato dall’esempio di Livorno, e data la potenza molto più elevata, il cliente era interessato a mettere in servizio una macchina con il raffreddamento a liquido nell’avvolgimento statorico, a basse temperature e perdite. Allo scopo di ridurre la larghezza della centrale era stato previsto un sistema separato di eccitazione statica a mutatori, per l’alimentazione della corrente continua all’avvolgimento rotorico.

PROGETTI DI CARRIERA In una riunione con Vannotti era stato ritenuto utile che io restassi a Baden almeno fino alla fine dell’anno per mettere a punto il progetto e produrre i disegni per l’approvvigionamento dei principali materiali. Fu un duro colpo per me e per mia madre, che aspettava con ansia il mio ritorno, ma ancora una volta il lavoro prevaleva. Dopo alcuni giorni di penose riflessioni, mi decisi a fare una cosa che non era nel mio carattere, ma che secondo me era giunto il momento di fare. Scavalcando tutti miei capi di Milano, scrissi una lettera indirizzata all’amministratore delegato De Martini. In essa elencai sette richieste, in parte economiche e in parte di carriera: tra di esse la dirigenza e la trasferta (fino allora ero stato dipendente di BBC). Esitai a spedirla, ma infine mi decisi. Passarono giorni di comprensibile ansia, fino alla telefonata dell’AD, che, alludendo bonariamente all’elevato numero di richieste, mi avvertiva di una sua prossima visita a Baden e di un possibile colloquio. Il giorno del suo arrivo ci incontrammo in una saletta e discutemmo i temi della lettera. Tutte le mie richieste furono accettate, se pur con qualche leggero spostamento di data. Era chiaro che il peso delle richieste era stato più che compensato dalla performance prodotta. Credetti di avere imparato che si può anche chiedere... ma solo dopo avere dato e sapendo di essere in credito. Avevo scavalcato i miei diretti superiori, Jesurun e Vannotti, e temevo che il rapporto con loro si fosse in qualche modo deteriorato. Ma non fu così. Essi dimostrarono comprensione, non fecero cenno alla mia lettera e mi prepararono il nuovo contratto, che comprendeva il trattamento di trasferta. La lettera del TIBB che ricevetti, datata 31 agosto 1962 e firmata da De Martini e Vannotti, confermava che avrei ripreso regolare servizio presso il TIBB a partire dal 3 settembre come ingegnere di prima categoria. Il mio compito era collaborare con l’ingegner Jesurun nella condotta dell’ufficio tecnico Alternatori con la qualifica di vice-capo ufficio, occupandomi prevalentemente del calcolo, nonché della costruzione di macchine sin68


crone secondo le esigenze dell’ufficio. La lettera terminava con un apprezzamento dell’esperienza fatta a Baden. Della stessa data, del 31 agosto 1962, è un attestato rilasciatomi dalla Brown Boveri con un lusinghiero commento relativo ai lunghi anni della mia attività nel campo dei generatori idraulici e dei turboalternatori, nonché in problemi di calcolo di questi ultimi. Al momento del mio congedo da dipendente della Brown Boveri di Baden, l’ufficio del Personale si dichiarò disponibile a riassumermi qualora avessi deciso di rimanere in Svizzera. Li ringraziai, ma l’impegno preso con il TIBB prevedeva il mio rientro in sede e io non avrei mancato alla parola data. Il mio problema più impellente era trovare una nuova sistemazione, in quanto la mia camera a

Nel 1962, mi venne comunicato che sarei ritornato a Milano dopo le ferie. Accolsi la notizia con vera soddisfazione e procedetti rapidamente a informare mia madre.

Wettingen era già stata affittata: decisi pertanto di restare a Baden, alloggiando all’Hotel Du Parc. Conoscevo bene la signora Stilli, che gestiva l’Hotel assistita da una grintosa tedesca, in quanto il marito si limitava a funzioni di rappresentanza verso i clienti, in prevalenza appartenenti al Gruppo BBC. La signora mi disse che in albergo non vi erano camere disponibili, e mi propose di occuparne una nella dependance, abitata dalle cameriere e nella quale era già alloggiato l’ingegner Adobati, anche lui del TIBB, inviato da Vannotti per un lungo training nel campo dei trasformatori. Come si vede, la lungimiranza di Vannotti aveva provveduto alla preparazione a Baden delle persone destinate alla futura Tecnica TIBB: Adobati nei trasformatori, Gargaglione nei motori e il sottoscritto nei generatori. Lasciai pertanto a malincuore la casa dei Karrer a Wettingen e traslocai a Baden, nella dependance dell’Hotel Du Parc. Molto quieto di giorno, quando però noi eravamo al lavoro, il sito si animava con forti rumori al rientro notturno delle ragazze, verso l’una. Noi eravamo già a letto, ed eravamo quasi sempre svegliati da discussioni, canti e musiche varie. Il bagno e la doccia erano poi in comune, e la coda al mattino era inevitabile. Le stanze erano molto belle, con biancheria sempre immacolata e il soggiorno era piacevole. Il cliente di Piacenza aveva espresso il desiderio di visitare centrali che già ospitassero macchine simili, con raffreddamento a liquido nell’avvolgimento statorico. Decidemmo un programma di varie visite in Europa, e che io avrei accompagnato i delegati del cliente. Incontrai pertanto a Baden l’ingegner Pellizzari, capo della costruzione centrali della Edisonvolta, e partimmo per visitare prima la CEM del Bourget, poi la centrale di Amer in Olanda, che ospitava il prototipo costruito a Baden e infine un alternatore in Inghilterra, in una centrale prossima alla città di Hartlepool, poco distante dal Vallo di Adriano. Il cliente era molto interessato a sentire i commenti dei possessori di macchine simili circa la qualità della loro gestione. 69


IL “MIO” TECNOMASIO 6. Baden Iniziai così i miei rapporti con Pellizzari, che sarebbero durati molti anni e sarebbero stati caratterizzati dalla massima cordialità e amicizia. Tra l’altro, scoprii che da ragazzo era cresciuto poco lontano dal mio paese in Monferrato, e che i suoi genitori avevano sicuramente conosciuto i miei. Le visite furono molto positive, i clienti delle varie centrali fecero dichiarazioni favorevoli. Arrivato l’ordine, mi dedicai intensamente al progetto, con una grande motivazione. In quegli anni avevo sperimentato, non senza preoccupazione, la crescita della Marelli nel campo dei turbogeneratori. Alla fiera di Milano, che visitavo regolarmente anche durante il mio soggiorno a Baden, facevano bella mostra referenze di ordini di turbo da 150 MW, costruiti su licenza Westinghouse, per vari clienti italiani. Alla Marelli in quegli anni spiccavano due forti personalità: l’ingegner Di Vito alle Vendite e l’ingegner Tedeschi alla Tecnica. Essi avevano dato un impulso vitale allo sviluppo in tutti i campi, soprattutto in quello della generazione, ed era chiaro il loro predominio nella taglia dei 150 MW. L’ordine di Piacenza acquistava pertanto una particolare valenza, in quanto ci poneva alla testa della taglia di 370 MVA, preliminare di quella ancora più prestigiosa, la taglia di 750 MVA, con la centrale di Porto Tolle sul delta del Po (1970). Mi sentivo quindi particolarmente “caricato” e, nei mesi seguenti, raggiunsi gli obiettivi che mi erano stati assegnati. Prima di Natale avvenne il mio distacco dall’Abt. W. Offrii una cena a tutti i colleghi al Bahnhof Restaurant di Wettingen, con discorsi e battute. Ricevetti molti regali, per lo più di libri in tedesco, tra i quali uno dal dottor Kellenberger che mi fece conoscere uno scrittore che da allora mi diventò caro: Gregor von Rezzori, con le sue Maghrebinische Geschichten (i suoi libri sono stati tradotti in italiano e vengono ancora oggi ristampati dall’editore Guanda).

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7. Il rientro in Italia Gli anni che mi apprestavo a vivere al TIBB sarebbero stati connotati da forti cambiamenti, alcuni dei quali mi avrebbero coinvolto direttamente; mentre altri avrebbero riguardato aree di attività e di business non strettamente connesse con la mia specializzazione.

Prima di proseguire nella narrazione della mia vicenda credo sia necessario almeno ricordare i successi aziendali, gli sviluppi tecnologici e anche le difficoltà di quei decenni nei campi per esempio dell’elettrotermia oppure della trazione. Grazie soprattutto all’aiuto dell’amico Erminio Astori ho potuto raccogliere informazioni e testimonianze di questa storia, da me vissuta solo in parte o comunque di riflesso ma non meno importante per capire che cosa abbia rappresentato il Tecnomasio in Italia e nel mondo nel periodo del boom economico e nei decenni successivi. Anche in questo caso, ho pensato quindi di riportarne in Appendice una sintesi che mi auguro il più possibile corretta e completa. Per Natale, dunque, rientrai a Milano e ricominciai la mia vita al Tecnomasio con due responsabilità: una dell’ufficio Calcolo e l’altra, con un team speciale, della progettazione della macchina di Piacenza, con i relativi disegni costruttivi. I rapporti con Tirinanzi non erano facili: egli sosteneva che io, consapevole del danno che gli avrei arrecato, non avrei dovuto accettare l’incarico a Baden. Gli rispondevo che la cosa non era stata concepita solo per me ma anche per altri miei colleghi a scopo di training; se poi io ero stato destinato alla Costruzione era piuttosto a causa dei suoi comportamenti troppo indipendenti. Comunque si trattava di schermaglie leggere, senza conseguenze, e il trattamento che mi riservava era alla fine rispettoso e amichevole. Era troppo intelligente per continuare a sostenere una causa persa. La morale che ne traevo era che si può non essere d’accordo, ma il tratto del reciproco rispetto resta decisivo. Il Tecnomasio che trovai al mio rientro, oltre alle tradizionali produzioni che conoscevo, era apprezzato anche nell’industria metallurgica con l’installazione di apparecchiature di controllo di laminatoi continui a caldo per filo e profilati (Terni) e di molti altri impianti, tra i quali quelli della Lavorazione Leghe Leggere di Porto Marghera, della FIT di Sestri Levante e delle Acciaierie Redaelli di Milano. Da segnalare anche le apparecchiature elettriche per cartiere e per la lavorazione del vetro e del cemento. Nel 1962 il TIBB fornì inoltre tre alternatori da 600 kVA per la centrale elettrica di bordo 71


IL “MIO” TECNOMASIO 7. Il rientro in Italia della motonave da carico da 35 mila tonnellate Maria Amelia Lolli Ghetti e per le centrali di altre unità della Marina Militare. Il 15 gennaio 1963 l’amministratore delegato e Vannotti emisero un documento per la riorganizzazione di tutti gli uffici tecnici. La nuova organizzazione prevedeva I seguenti settori.

A - MACCHINE ROTANTI E TRAZIONE (Giuseppe Jesurun) L’ufficio tecnico Macchine sincrone comprendeva l’ufficio Costruzione, con a capo Tirinanzi, e l’ufficio Calcolo, con a capo il sottoscritto. Vice di Tirinanzi era l’ingegner Pierino Sacchi, cresciuto con l’ingegner Luppi prima che lo stesso andasse in pensione, mentre il mio vice al Calcolo era l’ottimo Elvio Malvezzi, che mi aveva sostituito durante la mia permanenza a Baden. L’ufficio tecnico Macchine asincrone era presidiato da Ugo Gargaglione, con vice Giovanni Ribaldone, e quello delle Macchine a corrente continua da Giancarlo Marzocchi. Nella riorganizzazione compariva anche un ufficio tecnico Equipaggiamenti di trazione, con a capo Espedito Tacconi.

B - APPARECCHIATURE E QUADRI (Gastone Jolles) L’ufficio tecnico Apparecchiature elettriche era affidato a Edoardo Leva, con vice Franco Spadari. Leva inoltre curava il funzionamento dell’ufficio Brevetti. A capo dell’ufficio Centrali e sottostazioni era posto Guido Gallo, mentre Gusmaroli avrebbe collaborato direttamente con Jolles per lo studio di particolari problemi nel settore della produzione dell’energia elettrica.

C - SETTORE IMPIANTI INDUSTRIALI E COMANDI ELETTRONICI (Lorenzo Lanzavecchia) Di questo facevano parte l’ufficio tecnico Mutatori e raddrizzatori (Carlo Alfisi), l’ufficio tecnico Comandi industriali (Gioacchino Ferrara, con vice Giampiero Rondelli). Altri uffici erano: Gruppo studio automazione e regolazione; Studio e sviluppo di componenti elettronici; Applicazioni a comandi per cartiere e macchine utensili (Marco Mazzia); Applicazioni per regolazioni macchine e laminatoi (Antonio Setti); Comandi elettronici BBC (Luigi Piero Pesce). Cogliati e Rivolta collaboravano con i predetti ingegneri. La nuova organizzazione dava molto spazio alla creatività di Lanzavecchia e dei suoi collaboratori nel campo dell’elettronica. Vannotti coltivava una vera passione per questo settore che, con acuta preveggenza, riteneva decisivo per il futuro del TIBB. L’altro campo che lo appassionava era quello delle alte tensioni, che coltivava con il fattivo supporto pratico di Angelo Bellini. L’ufficio tecnico Trasformatori, guidato da Filippo Coppadoro e dai due vice, Antonio Casarotti per il Calcolo e Giulio Adobati per la Costruzione, si sarebbe occupato anche del 72


calcolo e della costruzione di condensatori statici, di passanti a condensatore e scaricatori di inseritori a gradini. Completavano il settore l’ufficio tecnico Forni (Erminio Astori, con il quale ebbi un rapporto di collaborazione e di amicizia che dura ancora oggi) e l’ufficio Norme (Egone Gerbec, anche responsabile dell’ufficio tecnico Impianti termici e scambiatori di calore con la collaborazione di Galeazzi).

D - SALA PROVE L’ingegner Ernesto Viganò, capo sezione alta tensione, assumeva anche la funzione di capo sezione della sala prove trasformatori. Nel 1957 era stato costruito un nuovo laboratorio per prove ad altissima tensione, costituito da un generatore a impulsi per tensioni fino a 3,6 milioni di Volt e con energia di 150 kWs, e un generatore a frequenza industriale con tensione nominale di 1,26 milioni di volt. Il progetto e la realizzazione del laboratorio erano stati interamente seguiti dal TIBB, con la supervisione di Vannotti e Bellini. All’ingegner Giulio Piazzi erano affidati compiti riguardanti l’organizzazione della produzione degli uffici tecnici (centro termini) e dei collegamenti con le sale prove, fabbriche e montaggi, nonché le questioni tecnologiche secondo le esigenze della produzione. Questo incarico sembrava preludere alla promozione alla direzione tecnica di Piazzi al momento dell’andata in pensione di Vannotti. Alcuni pensavano che un tale incarico potesse andare anche a Lanzavecchia, ma a me sembrava che Lanzavecchia fosse prezioso come brillante creativo, per esempio nel campo dell’elettronica industriale, mentre Piazzi dava ottime garanzie sullo sviluppo della tecnica in senso più lato. La nuova organizza-

Per quanto mi riguardava, da Baden ero rientrato con una specie di “certificazione”, ero ormai uno di loro, e tale sarei restato per il resto della mia carriera.

zione consolidava il presidio tecnologico tanto importante per il TIBB e per la sua presenza sui mercati in Italia e all’estero, forte anche della preparazione a Baden di alcuni responsabili. Per quanto mi riguardava, da Baden ero rientrato con una specie di “certificazione”, ero ormai uno di loro, e tale sarei restato per il resto della mia carriera. A Milano mi veniva riconosciuta la qualifica di esperto in tutte le più avanzate tecniche di progettazione e costruzione delle grosse macchine sincrone idrauliche e turbo. I colleghi delle vendite mi invitavano a partecipare ai loro colloqui con i clienti, desiderosi di essere informati sugli sviluppi tecnologici che il TIBB presentava loro, prima e durante le offerte. Il Tecnomasio di quegli anni presentava una Scuola di fabbrica gestita da Lorenzoni, che aveva sostituito Gerbec e, all’inizio degli anni ‘60, un ufficio Attrezzi e un reparto attrezzisti, guidati da Cantalupi, per la progettazione e i disegni degli attrezzi e degli impianti di fabbrica. 73


IL “MIO” TECNOMASIO 7. Il rientro in Italia Alla guida del laboratorio prove materiali c’era Rizzoni, sostituito poi da Gianfranco Ciari. All’uscita di Cantalupi vennero istituiti i Servizi generali di stabilimento, che presiedevano ad attrezzi, impianti di produzione e manutenzioni, con la responsabilità di Ciari, assistito dal 1970 da Giovanni Battista Mazzola. Dopo Ciari, la responsabilità dei Servizi passò al brillante ingegnere Gerolamo (Mino) Ferri, che nominò suo assistente per Sicurezza, Ambiente ed Ecologia lo stesso Mazzola. Iniziò da allora, e proseguì con Piazzi e con me, un fattivo contributo a questo importante capitolo della vita aziendale. I rapporti di amicizia con Piazzi, Adobati e Pezzoli, dell’ufficio Vendite, erano molto stretti e decidemmo di evitare la mensa e di pranzare insieme presso una trattoria a gestione familiare a Porta Romana. L’abitudine rimase anche in seguito, con il cambio di trattoria, prima dal signor Ugo e poi dal signor Pino in Corso Lodi. L’atmosfera era molto cordiale e i discorsi sempre divertenti e interessanti. Poco dopo, tuttavia, avvenne un fatto increscioso e inatteso: le improvvise dimissioni di Adobati. Fu un fulmine a ciel sereno. Dopo gli anni investiti dal TIBB nella sua formazione a Baden nel campo dei trasformatori, aveva ricevuto un’interessante offerta dalla Siemens e la accettò. Il colloquio con Vannotti sfiorò la tragedia: informato da Adobati che lasciava il TIBB per un tale potente concorrente, Vannotti gli proibì da quel momento l’ingresso in azienda e fece immediatamente ritirare il suo cartellino dalla bacheca della timbratura alla reception. Così perdemmo un collega, la cui vita di lavoro in seguito vide alti e bassi, con un passaggio anche in ASEA e infine presso Sadelmi, in una piccola unità di quadri elettrici a Genova. La fine dell’anno 1962, nel pieno del boom economico italiano, fu segnata da un evento eccezionale: il 27 novembre la Camera dei Deputati approvava infatti la nazionalizzazione del sistema elettrico. Il 6 dicembre il provvedimento divenne legge e l’ENEL iniziò il graduale assorbimento di migliaia di imprese elettri-

La fine dell’anno 1962, nel pieno del boom economico italiano, fu segnata da un evento eccezionale: il 27 novembre la Camera dei Deputati approvava la nazionalizzazione del sistema elettrico.

che esistenti. I contatti con l’ufficio Costruzioni di centrali di Milano, presidiato dall’ingegner Pellizzari e dai suoi collaboratori Ganassini e Beltrami, proseguirono anche dopo l’entrata di Edisonvolta in ENEL, con Castelli e Speri al timone della direzione Costruzione centrali a Roma. L’anno 1962 aveva portato anche l’ordine della AEM di Torino per la centrale di Moncalieri (170

MVA, 17 kV, 50 Hz, 3.000 giri/minuto, con turbina De Pretto–Escher Wyss). In base agli accordi, il 15 luglio 1963 venni nominato dirigente, a 37 anni e con 12 anni di lavoro. Nel consegnarmi la lettera di incarico, l’ingegner De Martini mi disse: “Ecco, lei ora è al servizio di tutti”. 74


Nel 1963 seguirono gli ordini della terza macchina di Grosio dell’AEM di Milano (generatore idraulico verticale da 115 MVA, 16 kV, 18 poli, 50 Hz, 333,3 giri/minuto, accoppiato a turbina Riva) e di un grosso compensatore sincrono per la stazione di Porta Volta (targato 82,5 MVAr, 15 kV, 6 poli, 50 Hz, 1.000 giri/minuto, una macchina particolarmente difficile da progettare, dato l’elevato rapporto potenza/peso). In quegli anni il Tecnomasio produceva nello stabilimento di Piazzale Lodi alternatori, motori, macchine a corrente continua, trasformatori di qualsiasi potenza e tipo e apparecchiature elettriche di alta, media e bassa tensione (sciolte e montate su quadri di manovra). In Via De Castillia si costruivano invece motori asincroni di serie, motori di trazione, macchine di piccola e media potenza per l’industria. Nei primi mesi del 1964 fu decisa la chiusura di quest’ultima fabbrica, ormai inadeguata, e si investì nel nuovo stabilimento a Vittuone, presso Arluno, sull’autostrada Milano-Torino a una trentina di chilometri dal capoluogo lombardo. La nuova fabbrica, collegata con la linea ferroviaria Milano-Novara, era di facile accessibilità e consisteva di 10 campate di 180 metri di lunghezza, per un’area di circa 50 mila metri quadrati su un totale di 100 mila. Dedicata alla produzione di motori industriali e di trazione, entrò in servizio nel 1965 e fu quindi dotata di una camera semi-anecoica per la misura del rumore dei motori e la conseguente riduzione dell’inquinamento acustico. Nei primi anni vi furono prodotti anche motori di serie, poi abbandonati a seguito dell’invasione di prodotti provenienti dai Paesi dell’Est, con prezzi corrispondenti ai costi diretti dei prodotti nazionali e susseguente crisi di ampie proporzioni. Ritornando a piazzale Lodi, nel 1964 fu ordinato il turbo di Fusina, del quale esiste ancora il mio calcolo (175/189 MVA, 15/15, 75 kV, 50 Hz, 3.000 giri/minuto, raffreddato in idrogeno, turbina Tosi). L’ENEL ordinò poi la seconda macchina di Piacenza Levante, uguale alla prima, fatta eccezione per il sistema di eccitazione statico realizzato non più con mutatori, ma con raddrizzatori al silicio, allora già disponibili. Seguirono numerosi viaggi all’ENEL di Roma, in Piazza Verdi, per colloqui tecnici con gli ingegneri Pisanti e Diotallevi, incaricati di seguire in dettaglio la progettazione e l’avanzamento dei lavori della macchina. L’ENEL chiedeva ridondanze e particolari adattamenti, tesi all’affidabilità e alla sicurezza di esercizio. Sul numero di gennaio-giugno 1964 della Rassegna Tecnica del TIBB decisi di pubblicare l’articolo Calcolo e costruzione dei turbogeneratori di potenza limite, nel quale raccoglievo i punti salienti della mia esperienza nel campo soprattutto del raffreddamento a liquido dei conduttori dell’avvolgimento statorico. A valle di questa pubblicazione, ottenni il permesso dall’AEI di trattare gli argomenti in una conferenza del giovedì sera, che divenne poi un articolo su L’Elettrotecnica, volume LI, 1964, numero 10. Mi preparai a dovere, certo che ci sarebbe stata discussione, e forse qualche contestazione. Non mi sbagliavo, in quanto la Ercole Marelli era rappresentata quella sera da 75


IL “MIO” TECNOMASIO 7. Il rientro in Italia due suoi direttori, Tedeschi per la Tecnica e Di Vito per le Vendite. Marelli non era d’accordo sulla necessità di impiegare il raffreddamento a liquido per le potenze di 300 MVA allora in gioco, mentre io avevo sostenuto che le nostre positive esperienze con le macchine di Livorno e di Piacenza Levante erano destinate a maturare esperienze per le taglie future di 750 MVA; infatti il raffreddamento a liquido dell’avvolgimento statorico di entrambe queste macchine limitava il riscaldamento a meno di 10 °C. Tedeschi tuttavia insisteva che anche per quelle potenze Westinghouse, detentore della licenza concessa alla Marelli, non riteneva necessaria l’introduzione del raffreddamento a liquido dell’avvolgimento statorico, essendo ancora dominabile l’incremento di temperatura con il raffreddamento in gas. Ansaldo invece si preparava, con l’americana General Electric, ad adottare il raffreddamento a liquido. La serata servì pertanto a chiarire la posizione dei tre più importanti costruttori, dei quali l’unico ad avere già esperienze dirette era il TIBB, in posizione nettamente dominante. La conferenza ebbe una certa risonanza nel mondo dell’elettrotecnica e preparò, secondo me, il futuro ordine al TIBB delle 4 macchine di Porto Tolle, ciascuna della potenza di 750 MVA. Soltanto in seguito Ansaldo avrebbe ricevuto dall’ENEL l’ordine di simili macchine per la centrale di Civitavecchia. Marelli invece fu esclusa dalla fornitura di macchine di quella taglia e cercò, purtroppo senza successo, una rimonta in campo nucleare. Nel 1965 il cliente americano Hoosier ci ordinò due turboalternatori da 134 MVA, 13,8 kV, 60 Hz, 3.600 giri/minuto. Le macchine erano destinate alla centrale di Petersburg della Energy Division of Indiana e rappresentavano un successo dell’ufficio Esportazione del TIBB, guidato da Romolo Costa, brillante ingegnere ticinese. Dopo alcuni anni passati alla Brown Boveri di Baden, aveva deciso di venire al TIBB come capo del costituendo ufficio Esportazione, coadiuvato da Gozzi, ex BBC, da Guido di Renzo e da altri validi collaboratori. Insieme, Costa e io avremmo avuto un futuro con numerose attività all’estero. Nel 1966 l’ENEL ci ordinò una macchina per la centrale di Ardenno, in Val Masino (generatore ad asse orizzontale targato 59 MVA, 10 kV, 50 Hz, 600 giri/minuto, accoppiato a una turbina Pelton della Riva). Seguirono, lo stesso anno, altre macchine interessanti per la centrale di Longarone della Cartiera di Verona, per la centrale di Lequille, in Nova Scotia, Canada (ordine preso dalla BBC canadese, che l’aveva girato a noi) e per la centrale di Priolo, della Montecatini-Edison. Nel luglio del 1966 presentai all’AEI un manoscritto intitolato Macchine sincrone a poli salienti con raffreddamento diretto a liquido. In esso descrivevo l’esperienza di Brown Boveri sulle due macchine ad asse orizzontale per la centrale di Bavona delle Officine Idroelettriche della Maggia di Locarno, ognuna targata 86 MVA a 428 giri/ minuto, 14 poli, 50 Hz, 12 kV, con raffreddamento diretto ad acqua demineralizzata sia nell’avvolgimento statorico sia nelle bobine polari rotoriche. Questo tipo di raf76


freddamento trovò solo limitate applicazioni, in quanto il raffreddamento in aria, dovutamente potenziato e migliorato, permise di dominare potenze molto elevate nel campo dei generatori idraulici. Oltre ai grandi alternatori idraulici e turbo, avevamo successo anche nella fornitura di potenti motori sincroni per il comando di compressori e di altri macchinari per impianti industriali, quali ad esempio gli sfibratori del legno nelle cartiere: spesso le macchine sincrone erano preferite alle asincrone, soprattutto per le condizioni di avviamento e per il traferro più accentuato. A suo tempo mi ero appassionato ad approfondire i sistemi di calcolo della coppia all’avviamento di queste macchine, perfezionati poi anche dal collega Canay di Baden. Fin dai primi miei anni in sala prove ero abituato a vedere un prodotto molto diffuso, il generatore sincrono di media potenza (5 o 6 MVA), accoppiato a turbina a vapore tramite un riduttore di velocità e utilizzato da varie tipologie di industrie che usavano il vapore nel loro processo di base, soprattutto cartiere e raffinerie. La presenza del vapore spingeva all’autoproduzione di energia elettrica per usi propri; eventuali surplus venivano trattati sul mercato. Nel 1966 l’ingegner Roberto Vannotti, classe 1900, si ritirò dal servizio attivo e venne sostituito, secondo le previsioni, dall’ingegner Piazzi. Brillante ingegnere, Vannotti aveva fornito dal 1928 eccellenti contributi allo sviluppo di macchine di

Il 1967 si presentava ricco di cambiamenti. All’andata in pensione di Gerbec, Tirinanzi era stato nominato capo dell’ufficio Norme e io divenni capo dell’ufficio tecnico W.

grande potenza e di trasformatori di alte e altissime tensioni, di condensatori e raddrizzatori a vapori di mercurio e di laboratori di prova. Appassionato di elettronica industriale, contribuì ai suoi sviluppi, seguendo la continua crescita dei semiconduttori controllati di potenza anche dopo la sua uscita dal TIBB. Il 1967, anno durante il quale l’ENEL ci ordinò due turboalternatori da 370 MVA per la centrale di Turbigo Levante e la Montecatini una macchina per la centrale di Brindisi da 90 MVA, 13,2 kV, 50 Hz, 3.000 giri/minuto, per accoppiamento a turbina a vapore, si presentava ricco di cambiamenti. All’andata in pensione di Gerbec, Tirinanzi era stato nominato capo dell’ufficio Norme e io divenni capo dell’ufficio tecnico W.

I TRASFORMATORI Anche se solo più tardi ne sarei stato direttamente coinvolto, credo che un accenno vada qui fatto al settore trasformatori, per i quali il TIBB fin dai primordi ha sempre vantato posizioni di eccellenza. Nel 1925, per la centrale di Cardano, il TIBB aveva costruito fra l’altro un trasformatore trifase da 36 MVA, rapporto 11/237 kV, in quel tempo la macchina a più alta tensione al mondo. 77


IL “MIO” TECNOMASIO 7. Il rientro in Italia Il panorama industriale italiano è stato per molti anni connotato da un elevato numero di costruttori di trasformatori. Se tuttavia in riferimento al TIBB si considerano solo i produttori di macchine a 400 kV di tensione, negli anni ‘60 i concorrenti erano la Compagnia Generale di Elettricità (CGE) di Milano, proprietaria anche della Scotti & Brioschi di Novara, costruttrice di piccole macchine, l’Ansaldo San Giorgio (ASG) di Genova, l’OCREN di Napoli, le Industrie Elettriche di Legnano (IEL), la Ercole Marelli di Milano e la Società Nazionale Officine Savigliano (SNOS). L’evoluzione successiva è stata la seguente: la Compagnia Generale di Elettricità e l’Ansaldo San Giorgio nel 1967 crearono l’ASGEN. ASGEN, Breda, OCREN, con l’aggiunta di ALCE (Pomezia), nel 1972-73 diedero vita all’Italtrafo, con stabilimenti a Napoli, Milano e Pomezia. IEL e Marelli si unirono nel 1985. SNOS, prima partecipata dalla FIAT e poi dalla General Electric, nel 2000 venne ceduta all’Alstom. Successivamente Italtrafo chiuse lo stabilimento di Napoli e cambiò il nome in Ansaldo Divisione Italtrafo Trasformatori. Oggi ABB, che ha assorbito vari di quei marchi, in Italia costruisce trasformatori esclusivamente nella nuova e avanzatissima fabbrica di Monselice, inaugurata nel 2009 in sostituzione del vecchio stabilimento ex INDELVE. Il TIBB partecipò quindi alla costruzione della rete a 400 kV dell’ENEL (oggi Terna), fornendo nel 1965 il primo autotrasformatore a 400/135 +/-15 per cento kV da 200/223/100 MVA per la sottostazione di Baggio a Milano che, congiuntamente a quella di Bovisio, trasformava l’energia proveniente

Il livello di qualità dell’esecuzione testimonia l’eccellenza “artistica” delle maestranze TIBB. Macchine TIBB costruite negli anni ‘50 mostrano ad un’attuale revisione parti attive ancora in ottimo stato.

dalla centrale termoelettrica di La Spezia. Tra le macchine fornite dal TIBB negli anni seguenti: autotrasformatori da 250 MVA, 400/160 +/-15 per cento kV, 250 MVA, 400/135 +/- 15 per cento kV e 400 MVA, 400/230 kV. Inoltre il TIBB fornì anche i trasformatori elevatori a 400 kV per le centrali di Livorno, Piacenza, Torvaldaliga e Ostiglia. Fondamentale per la progettazione di queste importanti macchine è

stato un articolo dell’ingegner Coppadoro, dal titolo Autotrasformatori di grande potenza per l’interconnessione di reti ad altissima tensione, pubblicato sul numero 1 dell’Elettrotecnica del 1967. L’articolo riporta i criteri di base per il dimensionamento delle macchine, incluso lo studio delle correnti di corto circuito e delle sollecitazioni da queste innescate, con un riferimento al trasformatore di Baggio. Il numero di macchine costruite dal TIBB è stato inferiore a quello del principale concorrente nazionale di quegli anni, Italtrafo, ma un elemento significativo TIBB è stata l’affidabilità negli anni delle forniture. Di questo si ha prova confrontando i guasti 78


avvenuti sulle macchine TIBB e su quelle dei concorrenti. Il livello di qualità dell’esecuzione testimonia l’eccellenza “artistica” delle maestranze TIBB (secondo una definizione di Lino Bergonzi, che ha passato la sua vita di lavoro a fianco di Coppadoro e di altri illustri colleghi quali Casarotti, Bertagnolli, Babare e altri). Macchine TIBB costruite negli anni ‘50 mostrano ad un’attuale revisione parti attive ancora in ottimo stato. A partire dal 1964-65 e fino alla costituzione di ABB, il TIBB ha rappresentato per la BBC di Turgi presso Baden, rinomata costruttrice di convertitori statici di frequenza, il centro di eccellenza dei trasformatori industriali, poi spostato a Bad Honnef in Germania. In questa veste il TIBB ha costruito macchine di raddrizzamento che per l’epoca rappresentavano i limiti di potenza e di corrente raddrizzata per clienti italiani e internazionali quali Elettrografite, Union Carbide (1968), Solvay, Montecatini Edison, Kidricevo, Standard Chemical (1969), Montecatini Edison (1970). Vanno segnalati il trafo da 100 kA CC, collegamento a doppia stella, per Tusla (1974), la cui prestazione di corrente va considerata eccezionale, e il trasformatore da 85 kA, con collegamento a ponte, per la Solvay, rimasto in esercizio per un arco di tempo straordinario per una macchina industriale: 36 anni, dal 1969 al 2005.

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IL “MIO” TECNOMASIO


Tecnomasio Italiano nasce nel 1863; nel 1871 l’ingegner Bartolomeo Cabella assume la carica di direttore

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IL “MIO” TECNOMASIO

Due immagini della centrale di Cornate Porto d’Adda, strategica per l’alimentazione della città di Milano fin dai primissimi anni del Novecento. Nella foto in alto, sul pulpito il direttore Ernesto Vannotti

Il montaggio in centrale dell’alternatore idraulico di Turbigo, da 15 MVA (1943)

II


Particolare dell'alternatore della centrale di Cornate

III


IL “MIO” TECNOMASIO

Nella storia di Tecnomasio fondamentale è sempre stato l’apporto delle risorse umane e la grande professionalità della forza lavoro

IV


In senso orario, il gancio di una delle due gru (250 tonnellate ciascuna) della Campata 19; la Scuola di fabbrica del TIBB; il quarto rotore per la centrale idraulica di Santa Massenza usato per il collaudo della Campata 19 (al centro Carletto Calcia)

La sottostazione con raddrizzatori a vapore di mercurio per l’alimentazione di rete ferroviaria

V


IL “MIO” TECNOMASIO

A fianco, i grandi trasformatori della centrale di Cardano (primi anni ‘20). Sopra, l’impianto di Vado Ligure

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Durante il periodo bellico il Tecnomasio fu anche impegnato nella produzione di proiettili (stabilimento di Piazzale Lodi)

Attraversamento dell’abitato di Chiavenna durante il trasporto dello statore di un alternatore idraulico per la centrale di Mese

VII


IL “MIO” TECNOMASIO

Bartolomeo Cabella (nella foto, al centro) operò il passaggio del Tecnomasio da piccola società produttrice di strumenti di precisione a protagonista dell’industria elettromeccanica nazionale

VIII


IX


IL “MIO” TECNOMASIO

X


A fianco, la costruzione di uno dei due turboalternatori da 750 MVA per la centrale ENEL di Brindisi (anni ‘80). Sopra il trasporto dello statore per l’impianto termoelettrico di Turbigo Levante e, sotto, il turboalternatore degli impianti messicani di Salamanca e di Valle de MĂŠxico (1974)

XI


IL “MIO” TECNOMASIO

Il “cuore” produttivo del Tecnomasio, il quartier generale milanese in Piazzale Lodi

XII


Due memorie della storia di Tecnomasio. L’elenco degli alternatori e dei trasformatori realizzati nelle officine milanesi dal 1907 al 1910

XIII


IL “MIO” TECNOMASIO

Nella lunga storia del Tecnomasio, un ruolo significativo è stato svolto anche dal settore trazione. Sopra, il “Gigante dei Giovi”, il primo locomotore elettrico interamente italiano

XIV


L’imbarco di un locomotore per l’Unione Sovietica

XV


IL “MIO” TECNOMASIO

Una immagine dell’autore, Carletto Calcia, e alcuni momenti significativi di una vita aziendale lunga oltre sessant’anni

XVI


8. L’ufficio tecnico W La separazione dall’ingegner Jesurun, dalla sua profonda conoscenza tecnica ma anche dalla sua gentilezza e bonomia, mi pesò per un certo tempo. Era stato un rapporto piacevole sia dal punto di vista del lavoro sia da quello umano.

Avevo imparato da lui come ci si comportava nella gestione delle grane: lungi dal fare tragedie e andare al parossismo, occorreva risparmiare energie per trovare una soluzione e quasi in silenzio, trattare il caso in un team ristretto. Talvolta la soluzione di compromesso, sempre piuttosto deprecata, si rivelava la cosa più intelligente. Sempre da lui, ho imparato a chiudere il più rapidamente possibile ogni problema, evitando impuntamenti di prestigio; meglio chiudere, anche a costo di qualche rinuncia, che tirare avanti all’infinito. Il costo del compromesso è chiaro e la grana sparisce. Il costo di quella tenuta aperta a lungo, anche se chiusa con una vittoria, è solitamente superiore, considerando i danni di immagine. Il 1968 vide anche un’ulteriore modifica organizzativa: alle tre funzioni di Approvvigionamenti, Magazzini e Spedizioni si aggiunse quella di Programmazione del fabbisogno di materiali. La nuova funzione di Material Management, destinata a ottimizzare il flusso finanziario per le commesse in corso e per i servizi aziendali, diede il nome alla direzione Materiali affidata a Filippo De Ferrari, con il quale i rapporti di lavoro e di amicizia furono sempre saldi. Come nuovo responsabile dell’ufficio tecnico W iniziai i contatti con tutti i miei collaboratori: Malvezzi, mio vice per il Calcolo, e Sacchi mio vice per la Costruzione. I tecnici erano tutti validi: al Calcolo Erba, Galeazzi, Soressi, che sarebbe poi diventato capo della centrale di Piacenza Levante dell’ENEL, e Martinelli. Con Sacchi, Chiarion, bravissimo, era già in pratica il riferimento tecnico per tutti i colleghi, Gaboardi, Rossi, Peruzzotti, Lorenzetti. L’ultimo arrivato era Favini, sponsorizzato da Sacchi stesso. Ma la vera novità era rappresentata da una offerta per la Çukurova Elektrik di Adana, nel Sud della Turchia, che improvvisamente prese una piega favorevole. La Çukurova Elektrik era posseduta da vari imprenditori locali, in genere coltivatori di cotone, i quali avevano già costruito una diga a scopo di irrigazione e possedevano la centrale di Seyan, presso Adana. Avevano deciso di sfruttare anche il bacino idrico dei Monti Tauro, una catena montuo81


IL “MIO” TECNOMASIO 8. L’ufficio tecnico W sa che scorre da Est a Ovest tra l’Anatolia e la costa Sud della Turchia. Il cliente si valeva della consulenza di Syndibel, sindacato di ingegneri belgi. L’interesse sulla nostra offerta stava crescendo e dopo vari contatti venne deciso un incontro diretto a Adana con una nostra delegazione, formata dal direttore delle Vendite Gandini, da Costa e dal sottoscritto. Arrivati a Istanbul con la neve, ci presentammo alla BBC locale, presieduta da Dillmann, uno svizzero figlio di un emigrato costruttore del sistema ferroviario turco, ricco e depositario, secondo i rumor di allora, del miglior contratto mai stipulato da BBC a favore di una sede locale. Dillmann aveva ovviamente fatto presa sul cliente a nostro favore. Dopo qualche giorno prendemmo un volo per Ankara, per proseguire poi per Adana. All’atterraggio ad Ankara la pista era ghiacciata e la ripresa del volo era in dubbio, ma dopo qualche ora di attesa, ripartimmo. Ben presto cominciarono i colloqui tra noi e il cliente, in presenza degli ingegneri della Syndibel. Il direttore generale della Çukurova era una persona cortese e preparata. Aveva studiato in Francia e parlava bene il francese, che io avevo coltivato nell’ambito dei miei studi classici. I colloqui talvolta duravano ben oltre la mezzanotte, e al nostro rientro in albergo ci rinfrescavamo con succhi di frutta a un chiosco nei paraggi, aperto tutta la notte. In albergo poi, affamati, prima di dormire ci facevamo servire le uniche vivande a quell’ora disponibili, le colazioni del mattino. I colloqui portarono all’ordine, che ricevemmo formalmente qualche tempo dopo, di una macchina ad asse verticale da 43,7 MVA, 6,6 kV, 50 Hz, 428 giri/minuto, accoppiata a una turbina Neyrpic. Nel 1967 la LXVIII Riunione Annuale dell’AEI si tenne a Sanremo, e fu un evento molto importante per l’elettrotecnica e l’elettronica italiana, nonché per il TIBB. Ne fa testimonianza il volume dei Rendiconti, che ancora conservo. Io partecipai con due memorie, una intitolata Turboalternatori di grandissima potenza con raffreddamento diretto a liquido nello statore e nel rotore, e l’altra Generatori e motori sincroni con eccitazione a raddrizzatori rotanti. Per varie altre memorie di notevole interesse rimando alla nota (4). La riunione confermò che l’Ansaldo, licenziataria della General Electric, era ormai decisa a seguire BBC nell’applicazione del raffreddamento a liquido dell’avvolgimento statore dei turboalternatori, mentre Marelli e Westinghouse restavano ancorate al raffreddamento con gas, subendo qualche condizionamento nelle anomale dimensioni delle cave. Comunque Sanremo fu una vera festa per l’elettromeccanica italiana e per il TIBB. Nel 1968 ENEL ci ordinò due turboalternatori per la centrale di Fusina, 3a e 4a unità, ciascuna da 370 MVA, 20 kV, 50 Hz, 3.000 giri/minuto. Un’altra novità dell’anno fu sicuramente rappresentata dalla centrale di generazione e pompaggio di Roncovalgrande, sul Lago Maggiore. Dal lungolago di Cannobio, mirando all’altra sponda del lago si può vedere l’entrata del tunnel che, con un percorso di circa un 82


chilometro, immette nella enorme caverna in cui sono montati 8 gruppi ad asse verticale composti ciascuno da un alternatore, da una turbina Pelton e da una pompa per una altezza totale di circa 70 metri. La centrale, una delle più potenti in Europa, sfrutta l’invaso del Lago Delio, di origine glaciale, sopra Maccagno: la capacità dell’invaso è di 10 milioni di metri cubi e il salto motore è di 736 metri. Durante le ore notturne e festive, a bassa domanda di energia elettrica, l’impianto accumula nel serbatoio superiore le acque prelevate dal Lago Maggiore, mentre durante le ore di maggiore richiesta di energia l’acqua accumulata viene fatta scendere alle turbine della centrale sottostante. La portata complessiva dell’impianto è di 160 metri cubi/secondo, mentre quella delle pompe multistadio è di 94 metri cubi/secondo. La potenza totale è pari a 1.040 MW, quella richiesta durante la fase di pompaggio è di 784 MW. Le turbine sono di fornitura Riva Calzoni, ASGEN, Franco Tosi; degli alternatori, tre sono di fornitura TIBB, gli altri ASGEN e Marelli. Durante il sollevamento in centrale dell’ultimo rotore TIBB, si verificò un errato comportamento del carroponte, con conseguente contatto a terra del rotore e successivo suo sollevamento con l’ausilio di martinetti idraulici. I danni sofferti dal rotore furono di media entità e vennero eliminati dopo il trasporto in fabbrica. Nel 1968 divenne presidente del TIBB Giuseppe Bertola, che subentrò a Mario Giuseppe Soldini. Brillante ingegnere ticinese, Bertola era stato per molti anni a capo della Brown Boveri Argentina, importante sede locale in un mercato molto ricco. Il 1969 portò al TIBB una prestigiosa commessa all’esportazione: fummo richiesti di competere, insieme con la BBC di Mannheim, per un turbogruppo da 333 MVA, 20 kV, 60 Hz, 3.600 giri/minuto per la CFE (Comision General de Electricidad) di Città del Messico, centrale di Valle de Mexico. Chi esce da Città del Messico per recarsi alle Piramidi di Teotihuacan passa di fronte all’impianto. Ben presto imparammo a muoverci in ambito CFE: il cliente aveva ingaggiato un consulente di

Il 1969 portò al TIBB una prestigiosa commessa: fummo richiesti di competere per un turbogruppo da 333 MVA per la centrale di Valle de Mexico. Chi esce da Città del Messico per recarsi alle Piramidi di Teotihuacan passa di fronte all’impianto.

grido, la prestigiosa statunitense Bechtel con preparatissimi ingegneri, i quali ci invitarono in Messico per la discussione delle offerte. Da Mannheim si mosse un brillante ingegnere Westhoven, per la turbina, e da Milano il sottoscritto per l’alternatore e i sistemi ausiliari. Feci così la mia prima conoscenza del Messico, che ebbi occasione di frequentare per altre commesse e che divenne un Paese per me molto gradito. Durante il viaggio in aereo avevo fatto amicizia con un ragazzo messicano che rientrava dopo un periodo di studi in Spagna e a 83


IL “MIO” TECNOMASIO 8. L’ufficio tecnico W Perugia. Apprezzai i suoi consigli su come stabilire i primi approcci con il suo Paese. I colloqui con CFE e Bechtel si mostrarono subito molto impegnativi: da mattina a sera domande su ogni dettaglio in inglese. Dopo le riunioni, però, ci rinfrancavamo con la cena in uno dei tanti ristoranti della Zona Rosa e ai concertini dei mariachi in Plaza Garibaldi. Per essere vicini alla sede della CFE, avevamo preso alloggio al Camino Real, un ottimo albergo ai margini del Bosco di Chapultepec, dove si trova il famoso Museo Nazionale di Antropologia, che ospita reperti di tutte le civiltà precolombiane, situato a un’estremità del lunghissimo Paseo de la Reforma. In un pomeriggio

Lo stesso anno Baden ci affidò la costruzione del più potente turboalternatore a 60 Hz mai prodotto dal TIBB: una macchina della potenza di 580 MVA, destinata agli Stati Uniti. Si trattava di un atto di fiducia non comune, che si sarebbe più volte ripetuto.

di libertà percorsi a piedi, circa 10 chilometri, il Paseo fino al Zòcalo, l’enorme Piazza della Costituzione al centro di Città del Messico. La psicosi dei terremoti, sempre presente in Messico, ci spingeva a chiedere una stanza al pianterreno, fornita di una porta posteriore a vetri che dava sul giardino: la notte, in caso di qualche tremore, quella porta ci avrebbe consentito una rapida fuga all’aperto. Durante la nostra permanenza non si registrarono fatti rilevanti, se si esclude lo spiace-

vole furto di una macchina fotografica dalla stanza di Westhoven. Data l’importanza della commessa, al nostro arrivo pagammo una visita di cortesia rispettivamente all’Ambasciata Italiana e a quella tedesca. Il nostro Ambasciatore era il dottor Marras. Oltre a svolgere i suoi impegni diplomatici, sosteneva in modo attivo le aziende italiane impegnate sul mercato locale: grande amico del dottor Arsenio Farell, direttore generale della CFE, era al nostro fianco nelle trattative. Marras era in effetti un esempio di ambasciatore abbastanza lontano dagli stereotipi della diplomazia. La sera a cena eravamo accompagnati dal nostro rappresentante Brown Boveri a Città del Messico. Ognuno di noi offriva a turno in un ristorante scelto dagli altri due. Quando toccò a me, fui condotto a sorpresa in un ristorante italiano della Zona Rosa; il padrone si presentò: era di Domodossola, e con un socio gestiva con turni di sei mesi anche un secondo ristorante nella città natale. Conosciute le mie origini piemontesi, mi informò che il suo ristorante era frequentato da diversi ragazzi del mio paese, da anni emigrati in Messico; in difficoltà a trovar lavoro in patria, avevano tutti buone occupazioni e vivevano decentemente. A cena mi fece fare bella figura con i colleghi servendoci un eccellente cordon bleu. Gli esami durarono una decina di giorni e alla fine prendemmo l’ordine. L’altitudine di 2.250 metri, l’atmosfera pesantemente inquinata, l’enorme distesa delle periferie acquitrinose, il traffico caotico, la regione circostante piena di vulcani spenti, sono da allora rimasti sempre davanti ai miei occhi, accanto all’immagine di una popolazione povera ma dignitosa, che invece di stendere la mano, vende i biglietti della lotteria. Il Mes84


sico era decisamente un Paese di mia preferenza e tale è rimasto, per il business e non solo. Lo stesso anno Baden, che aveva capacità solo per le turbine, ci affidò la costruzione del più potente turboalternatore a 60 Hz mai prodotto dal TIBB: una macchina della potenza di 580 MVA, 24 kV, 60 Hz, 3.600 giri/minuto destinata agli Stati Uniti, centrale di Mount Storm. Si trattava di un atto di fiducia non comune, che si sarebbe più volte ripetuto: convincere un cliente di riguardo americano, della Virginia Light and Power di Richmond, ad accettare un alternatore di quella massima potenza da Milano invece che da Baden, non era un fatto scontato. Baden garantiva per noi, ma noi avremmo subito severissimi controlli dal cliente, dal consulente, Merz McLellan, e da Baden stessa. Ben presto incontrammo ingegneri del cliente e consulenti inglesi molto compiaciuti di venire a Milano per i loro controlli. La Scala, il Castello, il Museo Poldi Pezzoli offrivano, insieme ai ristoranti più prestigiosi, occasioni di ben meritato relax. I nostri colleghi di Birrfeld erano molto assidui in sostegno e controlli. Verso la fine venne delegato da Birrfeld un giovane ingegnere destinato a seguire la messa in servizio della macchina. Egli partecipò alle attività di completamento e preparò accuratamente la pianificazione delle spedizioni e dei trasporti, anticipando le priorità in sito e redigendo i volumi di montaggio e di manutenzione. Fu un eccellente esempio di preparazione di tutte le attività successive all’approntamento in fabbrica della macchina, un capitolo che normalmente presenta difficoltà e sorprese in cantiere, con perdite di tempo e costi addizionali. Sulla base di quanto fatto per Mount Storm, da quel momento cercammo di preparare esattamente le casse con i componenti necessari alle varie operazioni di cantiere, di segnalare con precisione all’esterno i loro contenuti, di numerare le casse secondo la priorità esecutiva in cantiere, e di pianificare tutto il lungo e delicato processo di trasporto. Il TIBB non possedeva un impianto di prova in rotazione del generatore assemblato, che esisteva invece a Birrfeld: era pertanto della massima importanza che tutte le operazioni e i controlli in fabbrica fossero così attenti e precisi da rendere non necessarie le prove in rotazione a macchina montata. In effetti, i nostri clienti, tra i quali ENEL, accettarono sempre il concetto di rinuncia alle prove in rotazione in fabbrica, senza mai doversene pentire. Nel 1969 la BBC di Baden ci passò un altro ordine per il solo statore della macchina di Nord Kraft, in Danimarca: un turbo da 300 MVA, 18 kV, 50 Hz, 3.000 giri/minuto.

COMANDI A VELOCITÀ VARIABILE La strategia della BBC prevedeva che la casa madre fosse la sola responsabile della R&D, che veniva trasmessa ai concessionari quali il TIBB dietro compenso di una lump sum negoziabile e di una percentuale sul fatturato. L’esportazione era un business della casa madre: al TIBB non era allocato alcun mercato estero, ma l’azienda si stava guadagnando commesse all’export in qualità di seconda fabbrica ormai certificata di supporto a Baden. 85


IL “MIO” TECNOMASIO 8. L’ufficio tecnico W I primi anni ‘70 videro il Tecnomasio seriamente impegnato nel settore tecnologico dei comandi a velocità variabile, che stava rivoluzionando il campo dell’industria e della trazione. Molti processi industriali richiedevano una regolazione continua di velocità, che fino a quel momento era fornita da equipaggiamenti con varie macchine a corrente alternata e continua, i cosiddetti “Ward Leonard”. L’avvento dei convertitori statici di frequenza a tiristori (SFC - Static Frequency Converter) per l’alimentazione di motori sincroni o asincroni permise la realizzazione di regolazioni continue e molto fini in tutti i campi. In Italia un esempio di applicazione della nuova tecnologia avvenne all’inizio degli anni ‘70 nell’industria del cemento, con l’ordine al TIBB da parte della Unicem (Unione Cementi Marchino) di Torino, di tre potenti motori sincroni per il comando a velocità variabile di mulini a sfere nello stabilimento di Guidonia. Un mulino a sfere consiste in un cilindro di acciaio, di grande diametro e lunghezza, montato con leggera inclinazione e mantenuto in lenta rotazione intorno al suo asse. È alimentato ad una estremità con il materiale calcareo già parzialmente frantumato e da ridurre in polvere fine, grazie alla presenza al suo interno di sfere di acciaio, tenute in rotazione. Queste impattano contro piastre dure che fasciano la superficie interna del mulino, e riducono il materiale in polvere, che viene scaricata all’altra estremità del mulino stesso. La gestione ottimale del processo richiede una velocità variabile al variare delle dimensioni della polvere. Pertanto un comando con motore a corrente alternata alimentato da un SFC rappresentava una favorevole soluzione in confronto al tradizionale comando con motore asincrono a reostato e riduttore meccanico di velocità. Una prima realizzazione di successo di questa tipologia era stata effettuata dalla BBC di Baden per un cementificio in Francia, e aveva costituito una valida referenza per Unicem. Ognuno dei motori di Guidonia aveva una potenza di 6.000 kW, 6.600 kVA, tensione di 2.000 V, frequenza di 5,13 Hz e velocità di rotazione di 14/12 giri/minuto. Era prevista una regolazione lenta di velocità di 0,5-2,0 giri/minuto. L’alimentazione era fornita da un ciclo convertitore di costruzione BBC a Turgi, un apparecchio che opera la conversione della frequenza di una corrente alternata con commutazione naturale dalla rete e privo di uno stadio intermedio in corrente continua. La particolarità del motore sincrono consisteva nel fatto che lo statore, in due metà, abbracciava il cilindro del mulino nella zona di ingresso del materiale e il rotore era inesistente, in quanto i poli rotorici erano fissati direttamente sulla superficie esterna del mulino, e quindi erano tenuti in lenta rotazione dallo stesso. Il diametro interno dello statore era di 8 metri, e il traferro poteva variare, per le inevitabili imprecisioni del diametro esterno del mulino, tra 12 e 18 millimetri. La preferenza assegnata al motore sincrono rispetto alla variante asincrona consisteva proprio nella dimensione del traferro, notoriamente minore nell’asincrono e quindi più soggetta ad inconvenienti di esercizio. Il cilindro di fornitura VEBAG, nella sua lenta rotazione, era sostenuto da due cuscinet86


ti forniti dalla società tedesca Hischmann. Il cuscinetto lato motore era costituito, a causa della lenta rotazione dell’impianto, da un semi-cuscinetto, formato dalla sola metà inferiore che si sviluppava in circonferenza su 120 gradi, in luogo dei normali 180. Il progettista era stato probabilmente spinto a ritenere lo sviluppo limitato in circonferenza della sella sufficiente per la ridotta velocità di rotazione. Ma così non andarono le cose. Quando il primo motore entrò in servizio, ai primi giri della macchina, le inevitabili disuguaglianze di traferro sulla circonferenza del mulino si tradussero in disuguaglianze di attrazione magnetica e di sforzi radiali, che trovavano uno sviluppo limitato della sella del cuscinetto. La risultante era un “arrampicamento” del mulino, che, trovando il cuscinetto sviluppato perifericamente solo di 120 gradi, permetteva al rotore di andare a cozzare contro il cuscinetto e addirittura contro lo statore. Il mulino non era quindi correttamente guidato dal cuscinetto. Il costruttore del cuscinetto ci accusò di carente progettazione del motore; noi ci difendemmo accusando lo sviluppo parziale del cuscinetto. Le discussioni, in presenza del cliente rappresentato dall’ingegner Olivero, durarono vari giorni. Io sostenevo, appoggiato dal cliente, che il cuscinetto andava sostituito con uno sviluppato in circonferenza su 180 gradi, che nonostante l’inevitabile attrazione magnetica laterale causata da disuguaglianze del traferro, avrebbe meglio guidato il rotore e impedito la sua “arrampicata” con il conseguente contatto con lo statore. Ma il costruttore Hischmann non accettava la sostituzione. Poco dopo, mentre mi trovavo a Parigi per una riunione, venni contattato da Milano: il costruttore Hischmann mi attendeva con urgenza in Germania per definire la questione. Non avendo trovato un

I primi anni ‘70 videro il Tecnomasio seriamente impegnato nel settore tecnologico dei comandi a velocità variabile, che stava rivoluzionando il campo dell’industria e della trazione.

passaggio in aereo, salii la sera stessa su un vagone letto per Düsseldorf. All’arrivo la mattina seguente, ad attendermi alla stazione trovai un autista che durante il tragitto mi obbligò a una sosta per la prima colazione, secondo una disposizione del signor Hischmann in persona. Ebbi subito l’impressione che Hischmann fosse una specie di feudatario. L’autista mi raccontò che disponeva di un parco macchine di prestigio e di una Rolls Royce con la quale si faceva talvolta trasportare fino a Istanbul. In azienda non incontrai Hischmann, ma i suoi tecnici che ascoltarono le mie proposte e le accettarono. Il semi-cuscinetto fu sostituito da uno nuovo sviluppato su 180 gradi e, come previsto, il funzionamento del motore divenne regolare. Nel 1969 terminò l’incarico di amministratore delegato di Valentino De Martini che aveva rappresentato, insieme a Roberto Vannotti, l’epoca del lancio di noi giovani e della nostra formazione in patria e all’estero, concentrati sui forti principi della integrità, del sa87


IL “MIO” TECNOMASIO 8. L’ufficio tecnico W crificio e dell’appartenenza all’azienda. Persona profondamente religiosa, per me era stato un testimone dello spirito animatore e degli ideali piemontesi. L’attesa per la scelta del nuovo AD non fu lunga: a sorpresa l’ingegner Bertola chiamò a ricoprire quella carica l’ingegner Giuseppe Pellicanò, fino allora direttore generale delle Industrie Elettriche di Legnano, un’apprezzata azienda privata costruttrice di trasformatori. Pellicanò iniziò i contatti con l’organizzazione esistente e con le persone, in previsione di cambiamenti. Alle Vendite, Gandini oc-

Nel 1969 terminò l’incarico di amministratore delegato di Valentino De Martini che aveva rappresentato, insieme a Roberto Vannotti, l’epoca del lancio di noi giovani e della nostra formazione in patria e all’estero, concentrati sui forti principi della integrità, del sacrificio e dell’appartenenza all’azienda. Persona profondamente religiosa, per me era stato un testimone dello spirito animatore e degli ideali piemontesi.

cupava la direzione, con Affaticati che era responsabile dell’ufficio commerciale e degli uffici regionali; Costa era responsabile dell’Esportazione. L’ufficio commerciale trattava motori e trasformatori di serie, nonché elettrodomestici prodotti da Mannheim e motori per pompe. Nel 1967 e 1968 erano entrati due giovani ingegneri, Antonio Venturini e Sergio Farinati, che avevano contribuito, con il supporto degli uffici tecnici, alla preparazione di cataloghi di motori e trasformatori per agevolare il business di Affaticati.

L’ARRIVO DI FRANCO UCCELLI Pellicanò ritenne particolarmente debole la presenza TIBB sui mercati dell’impiantistica e, in assenza di allocazioni di mercati da parte di Baden, decise di assumere dall’esterno l’ingegner

Franco Uccelli, ex dipendente TIBB all’Alta Frequenza, del quale ho già parlato all’inizio di questo libro. Uccelli avrebbe fornito decisivi contributi alla vicenda del TIBB; pertanto ritengo opportuno riferire quanto registrato in un colloquio con Guido Traversa, figlio di una sua sorella e anch’egli per molti anni coinvolto nella storia del TIBB. Uccelli apparteneva ad una famiglia di marinai, con un padre ammiraglio. Era quindi destinato alla carriera militare. Allievo dell’Accademia navale di Livorno, aveva partecipato ad azioni navali durante la Seconda Guerra Mondiale e si era laureato in ingegneria elettrotecnica presso la stessa Accademia, avendo come collega anche l’ingegner Masini, destinato anch’egli ad essere protagonista della storia del TIBB. Sponsorizzato dal padre di Traversa, amico dell’ingegner De Martini, era entrato al TIBB come me all’inizio degli anni ‘50, ed era stato assegnato all’ufficio Alta Frequenza con l’ingegner Gaiani. Dopo qualche anno era uscito dal TIBB per perseguire gli sviluppi dell’automazione e della regolazione in seno prima all’Ansaldo e poi alla Prodest, azienda resa illustre dal 88


professor Teani, grande esperto in questi campi. Alla Prodest Uccelli incontrò poi anche Gianni Lentati, proveniente dalla famosa Olivetti di Ivrea, e futuro manager del TIBB. Uccelli mostrava in ogni suo atto l’imprinting di un ufficiale di Marina, avvezzo al comando e alla ferrea disciplina, che diventarono e restarono le caratteristiche peculiari della sua organizzazione. Il suo stile di management, basato sul classico “comando e controllo” era peraltro - a parte qualche timido mugugno - accettato dalla sua struttura divisionale che reagiva positivamente e dava buoni risultati. Non erano poche le aziende di allora che adottavano questo stile gestionale, probabilmente influenzato dalle vicende di una guerra non ancora troppo lontana e destinato ad un rapido cambiamento verso forme maggiormente partecipative. Uccelli avviò subito nuovi sviluppi coronati da successo, con un organigramma che comprendeva un ufficio tecnico, presidiato dall’ottimo Brianza, uomo di grandi capacità ingegneristiche e risolutive, anche se meno indicato per la gestione di persone, un ufficio di Impiantistica per industrie leggere (carta, gomma, vetro, cemento, eccetera), sotto la responsabilità del dottor Zuzzaro, un ufficio di Impiantistica per industrie pesanti (metallurgia, siderurgia, eccetera) affidato all’ingegner Samuelli e un ufficio Forni sotto la responsabilità dell’ingegner Astori, che ancora oggi sostiene di essere stato l’unico in grado di reagire con successo alle sfuriate del capo; il quale probabilmente apprezzava chi avesse dimostrato il coraggio di opporsi adottando i suoi stessi atteggiamenti. Diretto collaboratore di Uccelli fu dall’inizio Gianni Lentati, laureato al “Poli” di Milano nel 1961 e entrato al TIBB nel 1973. Dal canto suo, Guido Traversa, appena laureato e fresco di servizio militare, nel 1975 con la sponsorizzazione dello zio era entrato al TIBB nell’ufficio tecnico di Brianza, dove era presente anche Paolo Marchesani, sempre molto impegnato nelle sue mansioni di rappresentante sindacale. La laurea in ingegneria elettronica costrinse all’inizio Traversa ad approfondire le sue conoscenze elettromeccaniche, fino al momento in cui fu trasferito nell’ufficio degli Impianti leggeri del dottor Zuzzaro. In questa posizione gli fu possibile coltivare il connubio elettromeccanica + elettronica, che allora prometteva interessanti sviluppi. Quando Zuzzaro lasciò il TIBB per la Marelli, Traversa prese la responsabilità dell’ufficio, alla quale sommò poi quella dell’ufficio Industrie pesanti al momento del ritiro di Samuelli, carica che mantenne fino alla nuova riorganizzazione del TIBB nel 1986. All’inizio degli anni ‘70, alla divisione Industria era stato assunto l’ingegner Enrico Mapelli, proveniente da una azienda esterna, destinato a ricoprire ruoli di alta responsabilità sia al TIBB sia nella futura ABB Italia. Persona di grandi capacità organizzative e operative, dotato di forte determinazione nel raggiungimento di obiettivi, presentava un modello di gestione di persone ed eventi non molto dissimile da quello di Uccelli, se pur impronta89


IL “MIO” TECNOMASIO 8. L’ufficio tecnico W to a forme di maggiore partecipazione del personale. Il capo della divisione Industria Uccelli all’inizio degli anni ‘80 lo promosse suo vice. Poco dopo, dall’azienda Vanguard in difficoltà venne assunta dalla stessa divisione una pattuglia di ottimi manager, tra i quali spiccava l’ingegner Sozzi, persona di eccellenti qualità tecniche e personali. Ne seguì una riorganizzazione nella quale Traversa assunse la responsabilità delle Vendite e Sozzi delle Operations della divisione. Al momento in cui all’ingegner Filippo De Ferrari venne affidata la responsabilità del centro meccanografico, Mapelli lo sostituì agli Approvvigionamenti, dove rimase fino al momento dell’acquisizione dell’Adda a Lodi, nella quale, con me AD e direttore generale, divenne vice direttore generale. Traversa invece, dopo una interessante offerta da parte dell’azienda 3M, fu convinto da Vannotti a restare al TIBB. Ma al tempo degli sviluppi con l’Italmobiliare e la sostituzione di Uccelli con Lentati, Traversa passò all’AEG, per ritornare anni dopo a ricoprire prestigiose cariche mondiali in ABB. Un altro personaggio degno di menzione per avere curato per molti anni gli interessi in Africa di Brown Boveri, del TIBB e della SAE è stato l’ingegner Sturani. La vicenda sopra ricordata del motore di Guidonia e il ricordo dell’atmosfera di lavoro fra i collaboratori di Uccelli mi hanno stimolato, in conclusione di questo capitolo, a riportare la testimonianza ricevuta da Ettore Broveglio, che di entrambe ebbe diretta esperienza. Eccola di seguito. Incominciò così. Febbraio 1971, dieci giorni dopo l’esame di laurea, entrai in Piazzale Lodi e fui accompagnato dal direttore del personale. Mi propose due possibilità: sala prove o impianti industriali come tecnico commerciale e mi fissò la data di assunzione al primo marzo. Fresco di università e felice di entrare nell’azienda che era considerata da noi studenti il sancta sanctorum dell’elettrotecnica, chiesi qualche giorno per potermi cercare una sistemazione a Milano. Bene, mi rispose, allora lei prenderà servizio il 15 marzo. Altri tempi! Mi si diede una scrivania in un ufficio con tre periti più anziani che avrebbero provveduto ad istruirmi sugli usi e costumi dell’azienda e mi assegnarono una segretaria: una signora rigorosamente con grembiule nero e colletto bianco che stenografava e scriveva la mia corrispondenza rivolgendomi la parola con deferenza come se io fossi una persona importante. Sostituivo un collega trasferito ad altre mansioni e mi fu affidato il settore cementerie che era impegnato nel completamento dell’impianto dell’Unicem di Guidonia. Erano tre motori sincroni alimentati a frequenza variabile con cicloconverter per il trascinamento senza riduttore intermedio dei grossi mulini. Impianto realizzato su brevetto Brown Boveri per la prima volta nel mondo, che fu presentato nel 1973 in un convegno a Roma a più di 200 responsabili di cementerie provenienti da tutto il mondo. I motori furono costruiti in Piazzale Lodi e un semistatore fu esposto alla Fiera 90


campionaria di Milano ove molti visitatori colpiti dalle dimensioni e dalla forma inusuale domandavano a quale uso fosse destinato. L’elettronica di alimentazione e controllo fu costruita a Baden in Svizzera e tutto il lavoro di coordinamento, montaggio, messa in marcia rimase al Tecnomasio; fu così che iniziarono i miei rapporti con i colleghi svizzeri. Con me erano stati assunti due giovani ingegneri destinati all’ufficio Impianti per altri settori industriali; avevamo una buona conoscenza dei nostri prodotti, ma non eravamo degli impiantisti poiché ci mancava la completa visione del processo industriale per cui questi erano utilizzati. In realtà noi costruivamo e vendevamo ottimi e apprezzati componenti su specifiche del cliente o del costruttore meccanico. Fu in quel momento, 1972, che l’azienda si diede una nuova struttura per linee di prodotti e nacque la divisione Impianti a capo della quale arrivò un direttore dall’esterno. Come sempre accade, il cambiamento fu un trauma. Per intanto l’ingegner Uccelli, nuovo direttore, non si installò nelle porte nere dell’alta direzione cui noi giovani ingegneri avevamo raramente accesso, ma si ricavò un piccolo ufficio intorno al quale trovammo posto tutti noi facenti parte della divisione Impianti. I nostri rapporti con il direttore erano più che quotidiani, con riunioni durante le quali spesso assumeva toni concitati sbattendo gli occhiali sul tavolo per sottolineare l’importanza dell’argomentazione; non so quante paia ne abbia rotte! Ricordo ancora come durante una di queste riunioni, alla sua richiesta di impostare un lavoro in modo diverso da quello abituale difesi la mia opinione rispondendo: ma abbiamo sempre fatto così. Di questa stupida risposta, dopo tanti anni di lavoro e con i capelli bianchi, ancora mi vergogno! Mi guardò con occhi stralunati, alzò la voce e ruppe gli occhiali. La sua azione tendeva a modificare abitudini

Mi assegnarono una segretaria: una signora rigorosamente con grembiule nero e colletto bianco che stenografava e scriveva la mia corrispondenza rivolgendomi la parola con deferenza come se io fossi una persona importante.

consolidate per trasformarci in veri impiantisti in una moderna società di ingegneria. Un aiuto fondamentale per il nostro gruppo fu la presenza dell’ingegner Samuelli. Trentino, spericolato motociclista, appassionato di motocross alpinistico, era scapolo come tutti noi in quegli anni. Finiva così che dopo l’orario di lavoro ci si fermava in ufficio per discutere le diverse opzioni dei progetti in studio e i problemi degli ordini in corso. Non meno importante era l’aiuto che per la parte più propriamente tecnica ci prestava l’ingegner Brianza; giovane ma esperto progettista, non lo vidi mai sgomento a fronte di una richiesta se non in un caso. Ci arrivò una richiesta di offerta da una cementeria per un grande frantoio mobile su piedoni singolarmente comandati. Brianza lesse le specifiche tecniche, masticò 91


IL “MIO” TECNOMASIO 8. L’ufficio tecnico W qualche parola incomprensibile poi mi restituì il tutto dicendomi: no! Questo no, per questo devono rivolgersi alla Nasa. Spesso l’istruzione proseguiva in campo mentre gli impianti venivano installati e la nostra crescita di impiantisti era facilitata dalle osservazioni dei tecnici di stabilimento. Sostituimmo con ponti di tiristori i vecchi mutatori a vapore di mercurio per l’alimentazione del blooming delle Acciaierie Falck di Bolzano; quando lo vidi in funzione, spettacolo primordiale di dominio dell’azione dell’uomo sulla materia, mi appassionai definitivamente alla siderurgia. Altro momento significativo fu la sostituzione della macchina di testa del treno nastri dello stabilimento Concordia delle Acciaierie Falck. Oltre ai problemi tecnici che richiesero anche l’installazione di un computer di processo progettato e assemblato dai nostri colleghi svizzeri di Baden, c’erano le difficoltà legate alla fermata di un impianto in produzione. Alla riunione in cui si decise il periodo di fermata partecipò anche l’ingegner Bruno Falck che approvò la tempistica da noi proposta, ricordandoci che dagli stabilimenti Falck non sarebbe più uscito neppure un chilogrammo di lamiera se l’impianto non fosse entrato in servizio come previsto, con tutte le conseguenze del caso anche per il responsabile del progetto. Smantellammo fondazioni, gallerie, cavi, eccetera; ripristinammo tutto nel tempo previsto lavorando su tre turni. Vinsi la scommessa di una bottiglia di Champagne con i nostri colleghi svizzeri che reputavano i tempi troppo

Alla sua richiesta di impostare un lavoro in modo diverso da quello abituale, difesi la mia opinione rispondendo: ma abbiamo sempre fatto così. Di questa stupida risposta, dopo tanti anni di lavoro e con i capelli bianchi, ancora mi vergogno!

stretti, ma persi la barba per un’alopecia da stress! Per la messa a punto definitiva del motore a CC chiamammo il super specialista di Baden; arrivò in giacca e cravatta con la sua valigia di strumenti, indossò una palandrana nera, aprì la valigetta e nel caos di quei giorni il mago tirò fuori un paio di candidi guanti bianchi che infilò, fra lo stupore dei presenti, prima di toccare la macchina. L’impianto funzionò egregiamente fino al momento di essere smantellato molti anni dopo.

Eravamo diventati degli impiantisti con una predilezione per le correnti forti e i motori a CC alimentati con ponti di tiristori. L’elettronica di potenza e di segnale, allora ancora quasi completamente analogica, erano campo di azione degli elettronici. Questi nostri colleghi vivevano in una palazzina tutta loro con il loro direttore l’ingegner Lanzavecchia. Tecnico di eccezionale valore e punto di riferimento anche fuori dell’azienda nel mondo dell’elettrotecnica (penso che vedesse le onde elettromagnetiche e gli elettroni correre nei fili guidati dalla sua volontà), era anche una persona di straordinaria umanità. Sempre impegnato in progetti di cui noi mortali non comprendevamo 92


l’importanza, ma che si rivelavano essenziali per il futuro dell’azienda, ascoltava le nostre richieste e con semplicità ci indicava le possibili soluzioni. Toccava poi al suo fido collaboratore ingegner Carabillò la realizzazione. Più vicino a noi per età e frequentazione, in prima battuta alle nostre richieste rispondeva con un netto rifiuto opponendo mille plausibili ragioni. Dopo poco ci richiamava dicendo che forse sì, magari in un modo un poco diverso, ma tutto sommato, sì lo facciamo. E così ci impegnammo in un altro progetto significativo: il rifacimento del twin-drive delle Acciaierie di Terni. L’impianto di alimentazione dei motori che necessitavano di parecchie migliaia di ampere in corrente continua per il carico di punta non fu senza problemi, ma fu sulla sincronizzazione delle quattro macchine e per soddisfare i numerosi programmi di laminazione che i nostri elettronici trovarono il loro maggior impegno. Si lavorava con elettronica analogica e quindi con armadi pieni di schede i cui componenti, anche se di qualità, avevano una relativa affidabilità. La messa in marcia richiese tempo e la messa a punto di tutti i programmi di lavorazione impegnarono a fondo Carabillò e i suoi collaboratori, ma una sera tardi mi telefonarono a casa per dirmi che l’impianto era OK, così come il programma maledetto che non riuscivamo a far girare. Mia moglie, che si era anche lei svegliata, mi disse che avevo un’espressione come se mi fosse nato un altro figlio. Era lavoro, ma anche passione, soddisfazione, orgoglio e perché no, divertimento. Non era solo l’aspetto tecnico del nostro lavoro ad essere interessante, non lo era di meno il rapporto che si instaurava con il cliente o la stessa trattativa ad essere sorprendente. Considerata l’importanza dell’investimento, si finiva spesso per concludere ai massimi livelli delle aziende, in quei primi anni ‘70 ancora rappresentati dai fondatori, industriali di indubbio spessore e maestri nel condurre in porto i loro affari. Anche in questo il nostro gruppo di giovani ingegneri consolidava la crescita avendo alle spalle un patrimonio di tecnica e serietà aziendale tenuti in giusta considerazione. L’offerta per una sottostazione 150/15 kV a una cementeria fu una delle prime esperienze portate a buon fine. Dopo aver discusso tutti i particolari tecnici e il prezzo per la fornitura con il direttore, che chiedeva un termine di consegna di un anno, questi chiamò il proprietario che approvò quanto definito, ma mi pose una domanda inconsueta: se vi offro il totale pagamento anticipato mi fate uno sconto? Sorpreso, feci un rapido conteggio: questi uomini non amavano frapporre troppo tempo fra domanda e risposta. Accettò la mia proposta, si fece portare un assegno, lo firmò e me lo consegnò sollecitando i presenti a definire subito le necessarie formalità. Non mi è mai più accaduto di ricevere un pagamento analogo. Così erano i tempi e gli uomini. Singolare fu un altro momento di trattativa in una prestigiosa azienda per un laminatoio e una linea di produzione di fondi per pentole inox. Stavamo illustrando il progetto ai 93


IL “MIO” TECNOMASIO 8. L’ufficio tecnico W tecnici del cliente quando entrò nella stanza il proprietario: un signore con i capelli bianchi, in maniche di camicia, ma con una catena d’oro al gilet del vestito grigio. Egli si rivolse con un sorriso al suo direttore tecnico e in dialetto veneto esclamò: Ingegnere, non creda a tutto quello che questi signori della Brown Boveri le raccontano, chè sono come le belle donne che dicono di essere sessualmente speciali ma poi sono come tutte le altre! (Mi è mancato il coraggio di riportare la vera frase usata dal cliente). L’offerta non andò a buon fine, ma quel giorno imparammo qualche cosa che non era scritto sui libri. Si apprendeva sul campo anche qualche piccola malizia sul modo di condurre le trattative, soprattutto con i clienti privati. Erano ormai passati alcuni anni da quando avevamo iniziato il nostro percorso di impiantisti quando un nostro importante cliente ci chiese una offerta per un laminatoio skin-pass per lamiere di alluminio. Avevamo notizia che i nostri colleghi tedeschi stavano mettendo in marcia un impianto simile in Inghilterra; raccolte le informazioni necessarie preparammo un progetto di massima e con i tecnici del cliente andammo a visitare l’impianto che stava entrando in servizio. Nelle settimane seguenti mettemmo a punto il progetto secondo le richieste del cliente per un impianto moderno gestito in automatico da alcuni piccoli calcolatori, quasi dei personal computer, il che rappresentava per noi giovani ingegneri una nuova tesi di laurea. Tutto procedeva bene, la specifica tecnica era stata messa a punto in modo soddisfacente e restavano da definire le condizioni commerciali in un incontro con il direttore generale. Venimmo a sapere che era sua abitudine condurre le trattative importanti in tarda serata mantenendo un clima di incertezza sulla decisione finale che metteva a dura prova l’interlocutore, non preparato ad un lungo incontro notturno. E infatti fummo convocati per le nove di sera. Viaggiammo al mattino e fissammo un albergo in città per la notte. Nel pomeriggio riguardammo tutto il progetto e poi decidemmo di dormirci su un paio d’ore. Arrivammo all’incontro all’ora stabilita e si incominciò ad esaminare la nostra offerta nei dettagli. Il nostro interlocutore era indubbiamente un osso duro, ma noi eravamo arrivati lucidi e riposati all’incontro. La trattativa si chiuse dopo mezzanotte con reciproca soddisfazione ed un invito a colazione per il giorno dopo per festeggiare. Anche questa era fatta e avevamo portato a casa una buona commessa.

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9. Le linee di business Il nuovo amministratore delegato Pellicanò si trovò a confronto con due ordini di problemi: il bilancio in perdita del TIBB e la recente riorganizzazione del Gruppo BBC disegnata dalla McKinsey.

La nuova organizzazione doveva rimanere regionale: tre grandi società (Svizzera, Germania, Francia), la FG (Fabrizierende Gesellschaften) che raggruppava i Paesi con attività di produzione più modeste (TIBB, SACE da poco entrata in BBC, Spagna, Brasile, Norvegia, India), la BBI (Brown Boveri International) con attività quasi esclusivamente di vendita, e una nutrita serie di funzioni di staff. Subito apparve inevitabile un cambio organizzativo anche al TIBB che a questo scopo iniziò contatti con la McKinsey Italia, che però non arrivarono a conclusione. Pellicanò scelse allora come consulente per la riorganizzazione la società Garedon, con il suo titolare l’americano Gardner. Questi e i suoi collaboratori, Benvegnù, Bavestrelli, Carioni e altri, iniziarono i contatti con le persone allora titolari delle principali funzioni tecniche, su temi che facevano abbastanza esplicito riferimento alle capacità gestionali di ognuno. Eravamo pertanto consci di subire un esame che avrebbe riguardato il nostro futuro in azienda; ma i contorni organizzativi non erano ancora chiari. Nel frattempo il business procedeva in modo abbastanza soddisfacente. Nel 1970 ENEL ci ordinò due turboalternatori per la centrale di Piombino, gruppi 3° e 4°, ciascuno della tradizionale taglia di 370 MVA, 20 kV, 50 Hz, 3.000 giri/minuto, per accoppiamento con turbina Ansaldo; la Montecatini un turbo da 90 MVA per Brindisi, e la Çukurova una seconda macchina per Kadincik, di potenza maggiore della prima. Nel 1970 pubblicai su L’Elettrotecnica, volume LVII, numero 12, l’articolo dal titolo Recenti progressi nella costruzione di turbogeneratori di grande potenza, nel quale presentavo la macchina di Mount Storm della Virginia Electric & Power Co. di Richmond-USA (580 MVA, 24 kV, 60 Hz, 3.600 giri/minuto) e quella di Skaerbaek in Danimarca, costruita in Svizzera (300 MVA, 18 kV, 50 Hz, 3.000 giri/minuto, con raffreddamento ad acqua demineralizzata nell’avvolgimento statorico, nelle piastre pressapacco e nel pacco lamiere statorici, nell’avvolgimento rotorico, nelle calotte e nel cilindro disposto nel traferro; un vero modello di avanzata tecnologia). Ma il più importante ordine di tutti i tempi, quello che pose immediatamente il TIBB in condizioni di assoluta priorità rispetto ai concorrenti Ansaldo e Marelli, ar95


IL “MIO” TECNOMASIO 9. Le linee di business rivò nel 1971 da ENEL: riguardava le prime due macchine di Porto Tolle, targate ciascuna 750 MVA, 20 kV, 50 Hz, 3.000 giri/minuto, accoppiate a turbine Tosi. Ricordo la chiamata di Pellicanò, che mi annunciava l’invito da parte dell’ingegner Speri dell’ENEL a recarci a Roma per la chiusura del contratto: avrei fatto parte della delegazione TIBB, in quanto responsabile degli sviluppi tecnologici, soprattutto del raffreddamento diretto a liquido dell’avvolgimento statorico, che ci poneva al primo posto fra i costruttori italiani. La sola Ansaldo infatti ci seguì su questa strada con tecniche General Electric, mentre Marelli, con licenza Westinghouse, non volle mai adottare il raffreddamento a liquido dei conduttori statorici, e insistette con il raffreddamento diretto ma in gas, che obbligava a un ridotto numero di cave e ad eccezionali dimensioni delle stesse. L’incontro romano per Porto Tolle vide una breve schermaglia sul prezzo e qualche bonaria battuta scherzosa di Speri indirizzata a me, riconosciuto e accettato progettista fin dai tempi di Piacenza Levante: la gradita amicizia con Speri ci legò per molti anni, fino all’impiego di sua figlia nel settore delle Comunicazioni del TIBB e alla sua consulenza nella società Borghi e Baldo dopo il pensionamento all’ENEL. Nel 1975 seguì l’ordine di altre due macchine per Porto Tolle, identiche alle precedenti. Il TIBB quindi completò l’equipaggiamento di centrale per un totale di 3.000 MVA. I miei contatti con Birrfeld erano sempre molto stretti, e partecipavo regolarmente a riunioni di tipo tecnico sulle varie tipologie di macchinario. Il 14 marzo 1967 era entrata a far parte di BBC la MFO (Maschinen Fabrik Oerlikon) con l’aggiunta dei suoi 4.500 dipendenti ai 16 mila di BBC CH. L’evento ebbe una vasta risonanza, e fu accompagnato il 1° gennaio 1970 da un cambiamento organizzativo. Furono create le divisioni (Geschäftbereiche-GB), tra le quali il Geschäftbereich Rotierende elektrische Maschinen (GB-M) alla cui direzione fu posto Karl Abegg, del 1921, un ingegnere ETH (Politecnico di Zurigo) che in passato era stato direttore tecnico di MFO. I centri produttivi erano tre: Birrfeld, Oerlikon e Baden, per un totale di 2.700 dipendenti. Le funzioni comuni - Vendite, Relazioni con il Gruppo, Personale, Servizi di fabbrica, Tecnica degli avvolgimenti, Studi di base elettrici e meccanici - furono centralizzate. La Divisione M era costituita da tre Linee (Teilbereiche): MG-Grossmaschinen, con a capo Hans Spiess (ex MFO), MM-Mittelmaschinen, con a capo Hansruedi Bill (BBC), MK-Kleinmaschinen, con a capo Werner Herren (BBC, ufficio regionale di Berna). Ogni Teilbereich era responsabile della Tecnica, della Fabbrica, delle Prove e della Promozione dei propri prodotti. La Vendita era su due canali: diretta e demandata alle divisioni Produzione di energia, Impianti industriali e Trasporti. Per i nuovi manager fu tenuto un corso a Braunwald. Accanto alle riunioni tecniche e di prodotto, l’istituzione del Teilbereich MG del Grosso Macchinario elettrico rotante introdusse altre riunioni, dette dell’Organizza96


zione secondaria, alle quali partecipavano anche i rappresentanti dell’Italia (il sottoscritto) e quello della Norvegia, Gamlesaeter. Le riunioni trattavano tutti gli argomenti gestionali, a largo raggio e caratteristici delle linee di business rappresentate dai partecipanti. Si tenevano solitamente a Birrfeld, ma varie volte all’anno Mannheim ci ospitava nel grande stabilimento del sobborgo di Käfertal. Il nostro collega tedesco era Karl Merz, classe 1913, capo del Teilbereich Technik Elektrische Maschinen presso BBC Mannheim, che si meritò più tardi il titolo di Maestro della Costruzione delle macchine elettriche. Originario di Gimmeldingen in Palatinato, apparteneva a una famiglia di viticoltori. Con studi all’Università Tecnica di Monaco, si era laureato con il professor Giovanni Ossanna, famoso inventore del diagramma circolare delle macchine asincrone. La sua carriera era iniziata come ingegnere al calcolo ed era giunta, con successo, fino al Teilbereich: era un profondo conoscitore del settore delle macchine elettriche rotanti. Altrettanto esperto anche di vini e produttore, un paio di volte organizzò cene rese memorabili dalla Weinprobe: la prima presso un raffinato amico anch’egli produttore di vini di Gimmeldingen, la seconda presso un coltivatore delle sue vigne. Chi non ha mai partecipato a una Weinprobe non ha mai provato la preoccupazione di resistere prima di cena a 12 diversi calici di vino in crescendo di qualità, vuotandoli completamente per non offendere l’anfitrione. Io, nonostante le mie origini piemontesi, non sono mai stato un gran bevitore, e ogni Weinprobe rappresentava per me una vera e propria sfida. Tuttavia era un forte contributo alla fraternizzazione e alla coe-

In quanto responsabile degli sviluppi tecnologici, avrei fatto parte della delegazione TIBB, soprattutto del raffreddamento diretto a liquido dell’avvolgimento statorico, che ci poneva al primo posto fra i costruttori italiani.

sione del team; alcune vivaci discussioni e qualche polemica della giornata venivano prontamente dissipate intorno al tavolo della Weinprobe. Anche Oslo, sede della NEBB (Norsk Electrik & Brown Boveri) ospitava a turno le riunioni del Teilbereich MG. Ricordo il fiordo ghiacciato in inverno, con 22 gradi sotto zero, una visita al famoso trampolino di Holmenkollen, due incontri con il Re che girava tranquillamente in auto senza scorta per la città, il Museo che ospita la famosa zattera del Kon-Tiki di Thor Heyerdahl e altri cimeli delle sue spedizioni. La prima volta ospite al primo piano di un albergo a Oslo, fui sorpreso di notare un grosso canapo annodato ad un robusto occhiolo infisso nel muro sotto una finestra. Mi spiegarono che sarebbe servito in caso di incendio per calarsi in strada: un’addizionale sicurezza offerta dalle camere del primo piano. Nel 1970 venne decisa la confluenza del GB-M nel GB-Energieerzeugung, Produzio97


IL “MIO” TECNOMASIO 9. Le linee di business ne di energia, che riuniva le attività a livello di turbina e alternatore. Questo fatto provocò reazioni da parte degli elettrici, che sfociarono nel 1973 nella creazione di un club (Zunft der Rotierenden Elektriker) che vive ancora oggi e al quale anch’io appartengo. Geschäftbereiche e Teilbereiche tenevano riunioni programmate a Birrfeld su tutti gli argomenti di pertinenza di prodotti, mercati domestici e di export, sviluppi tecnologici e problematiche produttive. Io ero membro dei team, anche se privo di allocazioni sui mercati di export a causa del fatto che a Milano non si

I dettagli che ho descritto testimoniano che l’odierna diffusa organizzazione in divisioni e local business unit affonda le sue radici agli inizi degli anni ‘70, e che già allora era considerata e applicata con successo sia in BBC sia al TIBB.

producevano turbine a vapore. Un tentativo di proporre all’ENEL turbine a vapore di Baden, promosso da una delegazione ai tempi della centrale di Piacenza, non aveva raggiunto risultati proprio a causa della produzione non locale e a fronte della concorrenza di Ansaldo e Tosi. I dettagli che ho descritto testimoniano che l’odierna diffusa organizzazione in divisioni e local business unit affonda le sue radici agli inizi degli

anni ‘70, e che già allora era considerata e applicata con successo sia in BBC sia al TIBB. Niente di veramente nuovo sotto il sole: nonostante le mutevoli contingenze, resta sempre l’inevitabile impegno di tutti alla produzione di risultati.

L’IMPORTANZA DEL CAPO REPARTO All’inizio degli anni ‘70 l’organizzazione TIBB presentava l’ingegner Piazzi come coordinatore degli uffici tecnici in collegamento con fabbrica, sala prove e montaggi, e l’ingegner Velati junior che aveva sostituito a metà degli anni ‘60 l’ingegner Spinoccia alla direzione dei tre stabilimenti di Piazzale Lodi, Vittuone e Vado Ligure. La responsabilità dello stabilimento di Piazzale Lodi, dopo Ambrogio Velati, era passata successivamente ad Angelo Bellini e all’ingegner Ferri, seguito a sua volta dall’ingegner Beneggi, che la tenne fino al 1976, per passarla poi all’ingegner Gallo. Per quanto attiene alla Fabbrica Apparecchi, come esempio dello sviluppo di molte persone di fabbrica, mi avvalgo della preziosa testimonianza di Marcello Corrada che, nato nel 1938, entrò a 15 anni nella Scuola di fabbrica del TIBB, passò poi a far parte della Fabbrica Apparecchi e riuscì a diplomarsi nel 1958 all’Istituto Feltrinelli. La struttura della Fabbrica Apparecchi consisteva dei seguenti reparti: Piccola meccanica; Interruttori di alta tensione; Interruttori di media tensione; Sezionatori e reostati; Apparecchi per trazione; Quadri elettrici. Corrada assunse via via la responsabilità di vari reparti, succedendo a Natale Pacchioni alla guida della Piccola meccanica e passando poi ai Sezionatori fino ad assumere la responsabilità di tutte le lavorazioni meccaniche. 98


Che il TIBB considerasse i capi reparto come forti contributori ai successi in fabbrica è già stato sottolineato, e ritengo doveroso ricordare i nomi di quelli con i quali ebbi rapporti più stretti: Agodi e Ambivero per le grandi macchine utensili, Pizzi per le trance e presse, Taraschi e Faccini per il montaggio degli statori, Giudici per la preparazione e il montaggio degli avvolgimenti rotorici, Colciago per gli avvolgimenti statorici, Melzi per i trasformatori, Valentini per il montaggio degli interruttori, Leorini e Baratelli per gli isolanti, Ferrario per la manutenzione elettrica e tanti altri ai quali va il mio riconoscente ringraziamento. Altra testimonianza di rilievo è quella di Natale Pacchioni, entrato al TIBB nel 1970 all’ufficio Tempi e metodi e programmazione della Fabbrica Macchine rotanti, di recente costituzione, con Brocherio capo ufficio e Ferri capo fabbrica, mentre la Fabbrica Trasformatori era guidata da Protti e la Fabbrica Apparecchi da Beneggi. Dal 1971 al 1975 Pacchioni fu responsabile del reparto delle piccole lavorazioni meccaniche, per passare nel 1975, sostituito da Corrada, all’ufficio Layout e investimenti, con a capo Ferri. Ciari era a capo dei servizi generali, che comprendevano un ufficio per la gestione dei servizi, l’attrezzeria, la falegnameria, i trasporti interni, la manutenzione meccanica, elettrica e degli stabili. Il reparto grandi macchine utensili, nelle Campate 3 e 17 della “Grande Officina”, e alcune macchine del reparto tranceria lavoravano su due turni giornalieri, in casi rari su tre turni, mentre tutti gli altri reparti lavoravano su un solo turno. La produzione in quegli anni era molto accentrata su mezzi interni: in fabbrica entrava molta materia prima per essere successivamente trasformata in prodotti e attrezzi. Tuttavia iniziò ben presto la ricerca all’esterno del mondo TIBB di componenti e semilavorati esistenti in commercio, iniziando dalle lavorazioni meccaniche di piccola e media portata e soprattutto dalla carpenteria metallica, largamente disponibile a costi vantaggiosi nella zona di Milano. A questo proposito ricordo l’indagine eseguita da Angelo Bellini e da me culminata con l’ordinazione a una azienda di Sesto San Giovanni della prima carcassa statorica dell’ordine di Piacenza Levante: nonostante la complicazione costruttiva, fu un successo per costi e qualità. Il passaggio dalla produzione interna alla cosiddetta terziarizzazione, e il suo inverso, rappresentano sempre una decisione delicata, legata alle condizioni specifiche del momento, dettate non solo dai costi, ma dalle capacità produttive e dai tempi di produzione: la terziarizzazione in tempi di grandi carichi rispetto alle capacità disponibili può invertirsi e tramutarsi nel rientro di attività terziarizzate per colmare persistenti carenze di carico in fabbrica. Comunque è opportuno discuterne con i rappresentanti sindacali, a causa del possibile impatto sulla forza lavoro. In quel periodo venne completato l’avviamento della produzione nel nuovo “pa99


IL “MIO” TECNOMASIO 9. Le linee di business lazzo” Poliesteri, costruito in una zona prossima al muro di cinta del TIBB e destinato alla fabbricazione su nuove basi tecnologiche dei sistemi isolanti delle barre statoriche. La ridotta area disponibile per la costruzione del palazzo aveva obbligato a disporlo su tre piani, servito da un montacarichi la cui insolita lunghezza era stata determinata dalla massima lunghezza prevedibile dai progettisti per le barre statoriche di turboalternatori di potenza limite. Nel palazzo le barre venivano avvolte con nastri di speciale materiale, poi pressate in forme, evacuate da aria e umidità e impregnate con una miscela di resine termoindurenti in un moderno dispositivo. Gli anni ‘70 furono segnati anche dalle lotte sindacali, con scioperi a singhiozzo, a scacchiera, programmati solitamente per le ultime ore lavorative della giornata e con picchetti davanti alle portinerie. All’inizio di quegli anni, al TIBB fu richiesto un importante contributo nel prestigioso campo della fusione nucleare: il CNEN (Comitato Nazionale per l’Energia Nucleare) aveva allora in costruzione nei suoi laboratori di Frascati una macchina Tokamak per esperimenti connessi alla fusione. Questa macchina, concepita in Russia negli anni ‘50 dallo scienziato Andrei Sakharov, è di forma toroidale e, attraverso il confinamento magnetico di isotopi di idrogeno allo stato di plasma, è destinata a creare le condizioni necessarie per la produzione, al suo interno, della fusione termonucleare. La miscela di gas all’interno del Tokamak, generalmente composta dagli isotopi dell’idrogeno deuterio e trizio, è completamente ionizzata allo stato di plasma e controllabile mediante campi elettromagnetici esterni, toroidale e verticale e dal campo poloidale generato dal plasma stesso. Per l’esperimento Tokamak italiano, gli scienziati di Frascati erano collegati con i colleghi francesi del CEA (Centre pour l’Energie Atomique) che perseguivano gli stessi obiettivi e che avevano nel frattempo fornito ai nostri colleghi della CEM, Compagnie Electro-Mecanique, i parametri fondamentali per la costruzione di un generatore speciale, destinato all’alimentazione del campo toroidale. Forte di questa referenza francese, il CNEN si rivolse al TIBB per la fornitura di una macchina dello stesso tipo adatta per gli esperimenti del progetto. Stabilimmo subito contatti a Parigi sia con la parte commerciale, diretta da Dacier, sia con quella tecnica, guidata da vari specialisti, tra i quali Delassus. Dato il particolare carattere del progetto, decisi di seguirne personalmente gli sviluppi iniziali, con frequenti contatti a Parigi. Dacier era un alverniate di una intelligenza vivissima e dalla battuta pronta e pungente: simile nel fisico ad un baffuto tricheco (un Obelix di oggi), era amante della musica classica e della cucina locale. Con lui ebbi modo di ascoltare in auto i migliori concerti di Mozart e di fare la conoscenza di un discreto numero di bistrot, nei quali era praticamente di casa e dei 100


quali apprezzavamo le raffinatezze. Delassus, il tecnico, apparteneva al Centro di ricerca della CEM e impressionava invece per la tranquillità e disinvoltura con le quali affrontava complicati problemi di fisica, meccanica ed elettromagnetismo. Con lui feci anche la conoscenza dei due scienziati nucleari che avevano stabilito le basi per la progettazione della macchina che ci interessava. Nella primavera del 1971 ricevemmo dal CNEN l’ordine della macchina, per funzionamento a impulsi, un turbo a rotore liscio, di velocità e frequenza doppie del normale, raffreddato con acqua nell’avvolgimento statorico e con aria nel rotore. La macchina è tuttora in funzione, con una unica modifica: l’acqua di raffreddamento dell’avvolgimento statorico, in seguito a qualche perdita, è stata sostituita da aria compressa. Nel 1972 il CNEN ci ordinò, sempre in relazione all’esperimento Tokamak, una seconda macchina (Carico 2), a 4 poli. Il 1971 portò anche una nuova piacevole sorpresa. Ero a Mannheim ad una riunione tecnica con i colleghi tedeschi, quando comparve la segretaria del direttore delle vendite dei turbogruppi, la quale, interrompendo la seduta, richiese la mia immediata presenza ad una riunione del suo capo. Chiesi scusa e la seguii, per trovarmi davanti a una decina di persone che conoscevo solo in parte. Il direttore fu molto esplicito: un importante cliente tedesco voleva ordinare per la centrale di Marbach un turbogruppo da 312 MVA, 21 kV, 50 Hz, 3.000 giri/minuto, per il quale Mannheim disponeva della capacità per la sola turbina. Milano era chiamata in causa per la fornitura dell’alternatore. Si ripeteva ancora una volta la posizione del TIBB come fabbrica ausiliaria certificata. Herr Calcia, lei rientra a Milano con un ordine nuovo: il prezzo non sarà un problema. Io ringraziai, ma feci osservare che un cliente tedesco avrebbe potuto non essere d’accordo ad

Il 1971 portò una nuova sorpresa: un importante cliente tedesco voleva per la centrale di Marbach un turbogruppo da 312 MVA per il quale Mannheim disponeva della capacità per la sola turbina. Milano era chiamata in causa per la fornitura dell’alternatore.

accettare l’alternatore dall’Italia. Mi dissero che il punto era già stato risolto e che comunque il nostro cliente sarebbe stato Mannheim, che garantiva per noi di fronte al cliente finale. Infatti fu così: durante tutta la costruzione della macchina subimmo continui controlli da parte di Mannheim, piuttosto che dal cliente di Marbach. Una situazione analoga si verificò con l’ordine, sempre da BBC Mannheim, di un turbo da 23,2 MVA per la Daimler Benz tedesca. Nel 1971 ricevemmo da ENEL l’ordine di Orichella, per una centrale idraulica di generazione e pompaggio, due macchine targate ciascuna 80 MVA, 10 kV, 50 Hz, 600 giri/minuto. Il Comune di Milano ci ordinò poi un turbo da 12,6 MVA per l’impianto inceneritore AMNU. 101


IL “MIO” TECNOMASIO 9. Le linee di business Nell’estate del 1971 accaddero alcuni eventi negativi legati al trasporto della prima macchina di Kadincik in Turchia. Lo statore, debitamente imballato, era arrivato per nave nel porto di Mersin, di fronte a Cipro. Un pontone galleggiante lo prese in consegna dalla nave e si avviò verso il pontile del porto. Aveva iniziato ad abbassarlo lentamente per deporlo sul pontile, quando la fune portante si sfilò e la cassa cadde a terra dall’altezza di quasi un metro. Il controllo immediatamente operato non segnalò per fortuna alcun danno, grazie alla robustezza della cassa, costruita nel reparto falegnameria del TIBB. Lo statore quindi proseguì il suo viaggio e giunse felicemente in centrale.

INCIDENTE IN TURCHIA Qualche tempo dopo, mi presentai presto in ufficio e trovai Piazzi molto spaventato, con un telegramma in mano, arrivato nella notte da Adana. Lo leggemmo insieme, era in francese e diceva: Rotor tombé dans un ravin. Era firmato dal nostro capo cantiere, Vicari, oggi ultranovantenne e residente a Invorio sul Lago Maggiore. Ci guardammo in faccia: nessuno di noi due conosceva il significato della parola ravin. Consultammo subito un vocabolario e quello che leggemmo ci atterrì. La traduzione era: baratro. Subito ci vennero le peggiori idee: che il rotore fosse perduto e che dovessimo in fretta costruirne un altro. Calma; bisognava andare a vedere. E toccava a me. Corsi a casa, mentre Piazzi faceva avvertire Vicari della mia partenza e prenotava il volo da Milano a Istanbul con la Türk Hava Yolları, le linee aeree turche. Da Istanbul presi l’aereo per Adana e all’aeroporto venni ricevuto da Vicari e dagli altri montatori della nostra squadra. Mi dissero subito che il ro-

In ufficio trovai Piazzi molto spaventato, con un telegramma arrivato da Adana. Era in francese e diceva: Rotor tombé dans un ravin. Nessuno di noi due conosceva il significato della parola ravin. Consultammo un vocabolario e quello che leggemmo ci atterrì.

tore, secondo l’esame da loro fatto, non aveva subito gravi danni, ma solo un’innocente scalfittura in un punto non vitale. Si trattava di un rotore non ancora completamente assemblato, in quanto costituito da un albero sul quale erano stati montati a caldo dei lamieroni affiancati, che costituivano il corpo rotorico e che erano già stati lavorati per ricevere le code di rondine dei poli salienti. Questi erano spediti a parte per essere montati dopo il tra-

sporto del rotore in centrale. Il peso totale del rotore era di 55 tonnellate. La notizia mi rinfrancò molto e attesi la narrazione della storia dell’incidente. Il rotore era giunto nel porto di Mersin ed era stato caricato su un mezzo di trasporto non adatto. Il trasportatore locale, che aveva ricevuto l’incarico del trasporto dalla Kühne & Nagel, invece di un carro multi asse ribassato - in modo da tenere più basso possibile il baricentro complessivo carro-rotore e ottenere una buona stabilità - aveva 102


usato un semirimorchio con il pianale alto più di mezzo metro sul piano stradale. Il rimorchio era privo di ruote anteriori e poggiava su uno snodo della motrice; un tipo di trasporto non precisamente adatto. Nonostante le proteste e le richieste del nostro personale di cambiare il carro, il trasportatore non aveva altra disponibilità, e fu deciso che il trasporto sarebbe stato accompagnato da tutto il nostro personale e preceduto per sicurezza da un trattore per “fare strada”. Il percorso si dipartiva dalla litoranea Mersin-Adana a pochi chilometri da Tarsus (paese nativo di Paolo di Tarso) e si arrampicava sui monti verso la centrale. Era una strada discretamente buona, che conduceva in zone di villeggiatura, ma con le banchine sterrate e a “schiena d’asino”. Era pertanto assolutamente necessario che il trasporto non si avvicinasse alla banchina ma restasse il più possibile al centro della strada. Il viaggio iniziò abbastanza bene, ma dopo aver percorsi alcuni chilometri a un certo punto si ruppe un semiasse della motrice. Si decise quindi di sostituire al più presto il semiasse e di riprendere il trasporto a riparazione avvenuta e con tutto l’accompagnamento di sicurezza. Tutti si ritirarono, lasciando i due autisti a guardia del convoglio. Il mattino seguente, quando i nostri arrivarono sul posto, restarono allibiti. La motrice era ferma sul bordo della strada e il carro, insieme con il rotore, era rotolato per circa 15 metri lungo la scarpata e ora giaceva sul prato sottostante. Nella notte era stato sostituito il semiasse e i due autisti erano ripartiti senza attendere l’accompagnamento. A una delle prime curve, essendosi avvicinati troppo alla banchina, avevano provocato il distacco del semirimorchio dallo snodo della motrice, che era fortunatamente rimasta sulla strada, mentre il carro e il rotore erano rotolati insieme compiendo vari giri, tuttavia senza che l’albero toccasse il terreno. Il rotore nella caduta aveva incontrato una roccia che aveva prodotto solo una scalfittura senza interessare le fresature di alloggiamento delle code di rondine dei poli. Durante la visita con il cliente la constatazione fu ovviamente positiva e tirammo tutti un sospiro di sollievo. Da quel momento prese avvio una schermaglia di alcuni mesi per il recupero del rotore. Iniziarono le riunioni con il direttore generale del cliente, la Çukurova Electric, e il suo consulente, un belga che nei modi e nel vestire ricordava un legionario della Legione Straniera o un mercenario di quelli pagati per rovesciare un governo. Coinvolti erano poi il trasportatore locale, il direttore della Kühne & Nagel Istanbul, e un vecchietto che rappresentava la nostra assicurazione, la Zurigo. La soluzione del problema era duplice, in quanto comportava il sollevamento del rotore per posarlo su un carro veramente adatto e la costruzione di circa 300 metri di strada per riportarlo sulla strada dal prato in cui era finito, superando un dislivello di qualche decina di metri. Il direttore generale era una persona molto a modo, aveva 103


IL “MIO” TECNOMASIO 9. Le linee di business studiato in Francia, e anziché strapazzarmi come responsabile del trasporto, cercava di aiutarmi a trovare un mezzo di sollevamento. Il suo consulente belga mi trattava decisamente male, io me la prendevo duramente con il direttore della K&N che, ricevuto dalla casa madre l’ordine del nostro trasporto, l’aveva trasferito, senza controllo, ad uno sprovveduto locale. Io stavo male a causa della dissenteria che mi affliggeva da quando avevo messo piede in Turchia, e dormivo in una baracca del cantiere in centrale, infestata dai topi, su una brandina e con il rumore assordante degli scarichi notturni proveniente dagli scavi della galleria in pressione. In quei giorni, convinto di avere a che fare con una grossa grana, quella del rotore, ero venuto a conoscenza di un paio di altre persone in cantiere che purtroppo lamentavano situazioni peggiori della mia. Un consulente svizzero era stato chiamato a dirimere una disputa sulla galleria in pressione. Il cliente turco aveva affidato i lavori alla spagnola Dragados garantendo la stabilità della roccia in perforazione. Al verificarsi di numerose frane che mettevano a rischio la sicurezza delle persone, la Dragados era stata costretta a centinare ogni metro di galleria e chiedeva pertanto la revisione del prezzo del contratto. Alla fine il contratto era stato rescisso e i lavori erano stati affidati a un nuovo imprenditore locale meno attento alle questioni della sicurezza. Ma la peggiore situazione era quella vissuta da un austriaco dell’azienda fornitrice della condotta. Un suo montatore era rimasto ucciso nel pozzo della turbina, colpito al capo da un pezzo di legno che gli aveva sfondato l’elmetto, e stava tribolando con i permessi per poterlo riportare in patria. Io alla fine dovevo ritenermi ancora fortunato a dovermi occupare “solo” del mio rotore. La questione della sicurezza nei cantieri era già un elemento per me prioritario, e gli esempi che incontravo in giro per il mondo contribuivano a rinforzare il concetto. Tutti gli sforzi fatti in loco per trovare adeguati mezzi di sollevamento del rotore si rivelarono inutili: il direttore generale aveva trovato alla Nato di Istanbul due gru da 25 tonnellate ciascuna, ma io decisi di non utilizzarle, in quanto sarebbe stato difficile governarle in sintonia tra loro. Alla fine decisi di contattare telefonicamente Paolo Fumagalli, della Fumagalli Trasporti e nostro collaudato collaboratore. Egli mi assicurò di avere disponibile su un tir una gru a portale smontata da 120 tonnellate, completa di argano, gruppo elettrogeno e funi, e di poterla mettere a disposizione con accompagnamento di autista-operatore per il recupero in Turchia. Discutemmo l’intervento con l’assicurazione, che nel frattempo voleva proporre un’altra soluzione, illustrataci da un ingegnere svizzero, adottata per il sollevamento di locomotori in caso di incidenti sulla linea del Gottardo. Si trattava di usare dei martinetti idraulici che sollevavano il locomotore di circa mezzo metro, per spingerlo poi in orizzontale: la duplice manovra veniva ripetuta fino al superamento del dislivello. 104


Io non approvai questa soluzione, ritenendola giustamente rischiosa, e ottenni l’approvazione per l’invio del tir Fumagalli da Milano. Inoltre venne approvata la costruzione della strada di disimpegno dal prato. Per molto tempo non fu noto il proprietario del prato, che avrebbe beneficiato di quel tratto di strada. Alla fine, con sorpresa di tutti, corse voce che il proprietario fosse la stessa Çukurova. Al mio rientro, la questione venne seguita fino alla fine dal mio vice, Guido Di Renzo: il recupero avvenne all’inizio di ottobre e il rotore, giunto felicemente in centrale, venne provato sui rulli per constatarne la perfetta rotazione, che fu confermata. Anche le vibrazioni misurate alla messa in servizio dimostrarono l’ottimo stato del rotore. Si chiuse così questa penosa vicenda, che costò all’assicurazione 70 mila franchi svizzeri. Resta ancora da ricordare un dettaglio piuttosto singolare. Fino al momento del recupero, il rotore e il carro trasportatore erano rimasti nel prato coperti da un telone che li nascondeva alla

Dovevo ritenermi ancora fortunato a dovermi occupare “solo” del mio rotore. La questione della sicurezza nei cantieri era già un elemento per me prioritario, e gli esempi che incontravo in giro per il mondo contribuivano a rinforzare il concetto.

vista ed erano sorvegliati da due guardie, su disposizione probabilmente del cliente. Siccome la strada era percorsa da autobus che portavano villeggianti in vacanza verso i monti, gli autisti, d’accordo con i due sorveglianti, facevano una sosta che permetteva ai passeggeri di scendere nel prato a prendere visione - dietro il pagamento di un piccolo obolo - del misterioso oggetto che veniva loro mostrato sollevando il telone. Dopo la sosta i due custodi tornavano a coprire il rotore e a dormire nel prato fino al prossimo autobus, validi testimoni di creatività del business.

I PRIMI PASSI DELL’INFORMATICA Un capitolo molto importante degli sviluppi del TIBB negli anni ‘70 riguarda la gestione automatizzata dei dati. I primi passi della meccanizzazione risalivano all’incirca agli anni ‘50 e furono consentiti da un cambio culturale relativo al passaggio dalla registrazione manuale dei dati alla loro elaborazione con nuove modalità procedurali (concetto di batch). Si iniziò dalla contabilità generale dell’azienda per passare poi ai dati tecnici, a quelli di produzione, degli approvvigionamenti e della gestione delle scorte. Nacque il CED, Centro Elaborazione Dati, da subito considerato un centro di potere, in quanto da un lato creatore del necessario software, dall’altro in possesso delle sintesi per il controllo di gestione, per l’analisi dei costi e conseguentemente per i risultati economici dell’azienda. Lo strumento operativo iniziale era costituito dalle schede perforate con i loro lettori e dai sistemi di programmazione COBOL (Common 105


IL “MIO” TECNOMASIO 9. Le linee di business Business Oriented Language), concentrati nel CED alle dipendenze della direzione amministrativa. All’inizio degli anni ‘70 la lentezza delle elaborazioni, l’inadeguatezza a rispondere in tempi accettabili alle esigenze del mercato da un lato, e dall’altro i progressi nell’hardware da parte dell’unico fornitore IBM furono all’origine delle prime esperienze di utilizzo di terminali, sempre inizialmente concentrati nel CED. Una svolta epocale fu il passaggio all’utilizzo del CICS (Customer Information Control System): cambiarono completamente le procedure e soprattutto la filosofia di gestione dei dati. Le procedure informatiche messe in campo permisero di sviluppare nuovi sistemi utilizzando i terminali da parte di programmatori e analisti, ma anche consentirono l’immissione diretta dei dati da parte degli utenti nei vari settori aziendali. Nacque così un sistema informatico ibrido, gestito in parte con vecchie procedure batch e in parte con nuove procedure online. Sorsero problemi per l’allineamento dei dati, il controllo dei dati immessi dagli utenti e per la loro coerenza. Si passò dall’utilizzo di schede perforate all’immissione dei dati su nastri e poi su dischi; i dati così raccolti durante il giorno venivano poi trattati ed elaborati nella notte, consentendone anche il back-up. Il sistema informativo cresceva di complessità e risultava sempre più evidente la necessità di una visione organizzativa che governasse i processi tecnologici. Relativamente al business, le ordinazioni del 1972, oltre ad alcune medie macchine, riguardarono il solo rotore per la centrale di Marl in Germania e una media macchina a 4 poli per Neumünster da parte di Mannheim, ma soprattutto, da parte ENEL, l’alternatore idraulico ad asse verticale di Magi-

Una svolta epocale fu il passaggio all’utilizzo del CICS (Customer Information Control System): cambiarono completamente le procedure e soprattutto la filosofia di gestione dei dati.

sano, 44 MVA, 10 kV, 50 Hz, 750 giri/minuto. Per l’impianto di Melilli, l’ISAB ci ordinò un turbo da 30 MVA. Alla fine dell’indagine Garedon, venne resa nota la riorganizzazione. Il TIBB veniva suddiviso in linee di business, praticamente equivalenti alle LBU (Local Business Unit) di oggi, dotate di tutte le funzioni per soddisfare le commesse del

cliente: Linea W Generatori (Calcia); Linea M Motori (Gargaglione); Linea T Trasformatori (Coppadoro); Linea A Apparecchi (Beneggi, che assunse anche l’interim della fabbrica fino al 1976, anno in cui fu sostituito dall’ingegner Gallo); Linea Trazione (Perticaroli); due Linee di Motori minori a Vittuone. Ogni capo Linea si organizzò rapidamente con le proprie funzioni: Vendite, Ingegneria, Programmazione della produzione, Fabbrica, Sala prove, Montaggi esterni, Service. 106


L’intento era chiaro. All’inizio ogni Linea doveva essere praticamente autonoma, per poter dimostrare le sue capacità di sopravvivenza. Eventuali risparmi per effetti scala sarebbero se mai stati perseguiti più tardi. Tutto ciò comportava ovviamente una contabilità industriale per Linea; la Garedon tuttavia si dichiarò non disponibile alla sua realizzazione. Pertanto Pellicanò fu costretto a ricorrere alla soluzione interna. In amministrazione, con il direttore dottor Covini, Mario Nocco fu incaricato di questo compito, che accettò, chiedendo tuttavia il supporto dei due nuovi ingegneri: Venturini e Farinati. Nocco era figlio dell’ingegnere capo della Costruzione dei trasformatori. Alla prematura scomparsa del padre, il TIBB ne aveva assunto i tre figli; Mario era il più anziano. L’esercizio della contabilità industriale rivelò che le forti perdite erano in Trazione, nello stabilimento di Vado Ligure, che necessitava di una sostanziale revisione. Definite le Linee di business, l’americano Gardner - virginiano di Alexandria, con il quale avevo buoni rapporti - mi confidò che si stava discutendo un passaggio importante: le Linee, che erano il clou della nuova organizzazione, meritavano o no l’istituzione di sovrastanti divisioni che le raggruppassero? Finì con il prevalere il concetto divisionale. La questione della allocazione del potere decisionale in azienda era già entrata da tempo nella mia considerazione come un concetto fondamentale e intrigante. I responsabili cosiddetti “operativi”, per esempio di Linea, lo ritenevano una loro giustificata prerogativa nei confronti degli staff, che erano considerati responsabili di azioni di puro coordinamento. Il dilemma perdura tradizionalmente ancora oggi, e continua a suscitare interessi e discussioni. La realtà è ovviamente diversa, più equilibrata, e una gestione efficace del business potrebbe consigliare un periodico avvicendamento dei manager tra le due tipologie di responsabilità. Nella pratica corrente è più probabile il passaggio da una funzione di staff a una operativa che viceversa. Alla base di tutto ciò resta l’eccessiva importanza attribuita agli organigrammi. Essi sono spesso ritenuti quasi strategici per il raggiungimento dei risultati, grazie al potere attribuito alle loro caselle, mentre dovrebbero essere puramente considerati come uno strumento amministrativo e di supporto per il successo della gestione aziendale. Sperare, come talvolta accade, che un cambio di organigramma possa operare un forte miglioramento significa attribuire allo strumento un valore e un potere che è invece detenuto dalla qualità delle persone.

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IL “MIO” TECNOMASIO


10. Le divisioni Sulla base della decisione maturata grazie anche alla consulenza di Gardner, furono create le seguenti divisioni:

D1 – Energia (direttore Piazzi) con le linee W, A, T e lo stabilimento di Piazzale Lodi D2 – Motori (direttore Velati), con le linee M e altre minori e lo stabilimento di Vittuone D3 – Trazione (direttore Barenghi-Perticaroli) e lo stabilimento di Vado Ligure D4 – Impianti per energia e industria (direttore Uccelli, già rientrato al TIBB dalla Prodest) Dipartimento di Elettronica (direttore Lorenzo Lanzavecchia) Fu inoltre costituito un coordinamento da parte della nuova direzione Pianificazione e Controllo, con la responsabilità di Adelchi Zancan. Il 25 agosto 1972 l’ingegner Pellicanò, amministratore delegato del Tecnomasio Italiano Brown Boveri SpA, mi conferì la procura come capo della Linea Macchine sincrone – divisione Grosso Macchinario. La nuova organizzazione divisionale comportava una nuova figura: il controller. Era la prima volta che tale funzione faceva la sua comparsa sugli organigrammi, e veniva introdotta a livello di divisione. Nuovo controller della D1, la nostra, era stato nominato l’ingegner Venturini ed egli aveva incominciato i suoi contatti sia con il nostro capo Piazzi, sia con noi capi Linea. Tuttavia la gravità delle perdite di Vado convinse Pellicanò a dirottare Venturini sulla D3. Piazzi riuscì a sostituire Venturini con Dante Cardin, un ex TIBB conoscitore dell’azienda e a quel tempo occupato all’esterno. I nostri primi contatti con lui si rivelarono molto positivi e proficui: in particolare la mia Linea W, la maggiore per volumi e margini, prese presto a beneficiare dei suoi apporti. Fino ad allora, Pellicanò ci aveva abituati a un rapporto mensile sull’andamento della linea, una riunione nella quale, come capo linea W, dovevo passare in rassegna i principali punti caratteristici della gestione. Pellicanò era assistito dall’ingegner Zancan, che era stato assistente anche di De Martini; io ero da solo, con la mia preparazione ancora decisamente artigianale. 109


IL “MIO” TECNOMASIO 10. Le divisioni Le domande erano quelle classiche di tutti i tempi: l’andamento dell’ordinato e del margine sulle vendite, le previsioni di fatturato, il carico di fabbrica, la puntualità delle consegne, le eventuali criticità di qualità, la soddisfazione dei clienti, i rapporti con Baden. Anche il peso dei magazzini sulla linea era particolarmente controllato: approvvigionamenti e magazzini erano allora gestiti centralmente dal mio amico Filippo de Ferrari, ma le trattative più pesanti, specialmente per i grossi fucinati dei rotori di turboalternatori, venivano condotte collegialmente. Comunque imparai presto che il costo complessivo dei materiali superava di gran lunga il 50 per cento del costo totale delle mie macchine ed era pertanto da tenere sotto stretto controllo. Anche il numero e le qualifiche del personale erano oggetto di puntualizzazione, nonché i rapporti sindacali non sempre facili. Con l’avvento della contabilità industriale e del controller le mie riunioni con Pellicanò acquisirono un livello gestionale migliore. Ero in grado di mostrare buoni profitti, ero trattato sempre con cortesia e precisione e mi sentivo ogni volta rinfrancato e voglioso di tornare al mio business. Nel frattempo l’attenzione sulla negativa situazione di Vado Ligure coinvolse anche i vertici di Baden, tra i quali il dottor Grether, vice direttore e responsabile della FG, il dottor Nold, valente amministrativo e Jenni, che si affiancarono a Venturini per accelerare il risanamento. Il problema si mostrò duplice. Da un lato, l’insufficiente affidabilità di preventivi e consuntivi per i tre prodotti principali, locomotori, carrelli e carrozze; dall’altro, la costruzione artigianale delle carrozze ferroviarie. La prima decisione fu di abbandonare la produzione di carrozze e di concentrare lo stabilimento su locomotori e carrelli, prodotti a più elevato valore aggiunto. La seconda fu la sostituzione del capo dello stabilimento Viola con Valenti. Barenghi dedicò la sua attenzione soprattutto alle Ferrovie dello Stato, Perticaroli a tutte le altre attività di trazione: il carnet totale valeva allora circa 4 miliardi di lire. La collaborazione tra Barenghi e Venturini diede presto buoni frutti: la concentrazione della produzione di Vado su prodotti pregiati quali locomotori e carrelli, unitamente a una gestione più moderna ed efficace dello stabilimento, portò la D3 nuovamente in utile. All’inizio degli anni ‘70 la nostra linea riuscì a perfezionare un nuovo settore di business. La BBC non disponeva di una taglia competitiva di turbogruppi industriali, da pochi MW fino a circa 40 MW; il mercato era promettente, e il Gruppo decise di entrarvi acquisendo una vecchia azienda di Berlino Ovest, la Borsig, che in passato era stata molto rinomata come costruttrice di locomotive a vapore e aveva poi diversificato il suo business passando alle turbine a vapore di media taglia. A capo dell’ufficio commerciale di Berlino fu destinato Westhoven, che era stato mio collega per la commessa di Valle de Mexico. La buona posizione del TIBB nel campo dei turbo di media taglia, le forniture già effettuate o in corso da Milano per Mannheim e la collaborazione già consolidata per la centrale messicana crearono subito un proficuo rap110


porto tra Milano e Berlino, che si tradusse all’inizio in offerte e ordini, e da ultimo in un catalogo TIBB che semplificava il lavoro di offerta nei casi standard. È ancora vivo in me il ricordo dei viaggi a Berlino: non esistendo il collegamento diretto dall’Italia, da Zurigo proseguivo a bordo di una delle tre linee aeree che avevano il permesso di arrivare a Berlino Ovest: la Pan American, l’Air France e la British Airways. Volavamo bassi, a circa 1.500 metri di altezza, tra scossoni e vibrazioni, sorvolavamo la zona del Muro, di notte completamente illuminata, e atterravamo a Tempelhof, il vecchio aeroporto nel cuore della città, con la tettoia di ferro simile a quella della stazione Centrale di Milano, che amplificava il rumore dei motori. Sul nastro dei bagagli vidi per la prima volta i cani annusare in cerca di droga. Alloggiavamo solitamente all’Hotel Schweizerhof, vicino allo zoo, e di notte sentivamo i barriti degli elefanti e i ruggiti dei leoni. Una breve passeggiata sulla Kurfürstendamm e una fugace occhiata al di là del Muro da una delle postazioni esistenti erano di prammatica. In seguito venne costruito il nuovo aeroporto di Tegel, nella zona francese. Una sera, a cena da Klitsche, collaboratore di Westhoven, ascoltai affascinato il racconto della sua rocambolesca fuga da Berlino Est, a lungo preparata da una organizzazione segreta attraverso uno stretto condotto dimenticato, sempre a rischio di improvvisi allagamenti. Klitsche, corpulento, ricordava il terrore provato al pensiero del condotto per lui troppo stretto. Le offerte per l’export erano interessanti: in USA dovemmo tenere, in diverse occasioni, approfonditi colloqui a Boston con i bravissimi ingegneri della Stone&Webster, scelti come consulenti da molti clienti. Boston rappresentava per me un posto quasi magico, a causa della adiacente cittadina di Cambridge sede della Harvard Business School e del MIT, fonti della più moderna scienza gestionale. Al bar dell’albergo eravamo serviti da studenti che dovevano pagarsi le costosissime rette scolastiche. Per superare agevolmente l’immigration e la dogana, sempre in cerca di proibitissime vivande, semi e piante, avevamo imparato a pronunciare con disinvoltura la frase: Affari con Stone&Webster. Venivamo

È ancora vivo in me il ricordo dei viaggi a Berlino. Volavamo bassi, tra scossoni e vibrazioni, sorvolavamo la zona del Muro, di notte completamente illuminata, e atterravamo a Tempelhof, il vecchio aeroporto nel cuore della città.

lasciati immediatamente passare. A Boston due cose mi colpivano: il clima di assoluta serietà che aleggiava dovunque (eredità dei Padri Pellegrini?) e le tormente di neve invernali, sfidate dagli aerei della Swissair con piloti quasi temerari. Con Mannheim e la Borsig di Berlino riuscimmo a entrare in affari con la società petrolifera messicana PEMEX. Risalgono al 1973 gli ordini di Salamanca 1&2, ognuno targato 22,05 MVA 13,8 kV, 60 Hz, 3.600 giri/minuto, e Minatitlan 1&2, della medesi111


IL “MIO” TECNOMASIO 10. Le divisioni ma potenza e tensione. Nello stesso anno, la Jordan Electricity Authority ci ordinò, per la centrale di Zerqa 1 e 2, le macchine targate 38,8 MVA, 13,8 kV, 50 Hz, 3.000 giri/minuto, e la INE (Nicaragua), per Puerto Sandino, due macchine ciascuna da 62 MVA, 18,8 kV, 60 Hz, 3.600 giri/minuto.

UNA SOSTITUZIONE URGENTE Il 1973 mi portò anche una spiacevole sorpresa: il capo della Costruzione della Linea W, ingegner Pierino Sacchi, mi annunciò la sua decisione di lasciare il Tecnomasio per assumere una posizione direzionale in un’azienda esterna, fondata da un altro ex del TIBB, per anni dipendente dalla Trazione e ora nostro concorrente come produttore di apparecchiature per lo stesso settore. Io cercai invano di dissuaderlo ma l’offerta esterna era troppo vantaggiosa per lui. Inoltre la sua uscita era prevista entro un tempo molto breve, al massimo un mese. Mi trovai così a risolvere uno dei problemi che si presentano prima o poi a un manager: la rapida sostituzione di un responsabile importante. Secondo il mio solito, mi consultai con i miei diretti collaboratori, i quali, dopo una breve discussione su alcuni possibili sostituti interni, mi informarono della presenza in fabbrica di un ingegnere molto valido, sia per la competenza sia per i comportamenti, l’ingegner Roberto Borsaro, che se-

Avevo avuto una lezione indimenticabile, da manuale: invece della piccolezza del risentimento personale, la generosità di accettare una perdita purché fosse a favore dell’azienda e del soggetto interessato.

condo loro sarebbe stato sicuramente un degno successore di Sacchi. Mi informai e venni a sapere che aveva frequentato il liceo classico, aveva conseguito la laurea in ingegneria meccanica nel 1968 al Politecnico di Milano, era stato assunto al TIBB alla fine di gennaio del 1970 e, dopo qualche mese in Linea Apparecchi, dal giugno 1970 aveva la responsabilità del reparto Montaggi del Grosso Macchinario

elettrico rotante, uno dei più importanti. Il suo capo era l’ingegner Ferri. Borsaro aveva pertanto avuto parte attiva nella produzione di macchine prestigiose quali Lago Delio, Turbigo, Fusina. Le sue credenziali avevano suggerito il suo diretto coinvolgimento nella commessa di Mount Storm, il più grande turboalternatore mai costruito dal TIBB per l’esportazione. Ceduta pertanto la guida del reparto Montaggi a Vicari, dopo la chiusura della commessa turca Kadincik, Borsaro si dedicò a Mount Storm e, dopo questa commessa, fu nominato capo ufficio Tempi e Metodi di fabbrica. Le credenziali di Borsaro erano molto promettenti, ma egli apparteneva al mondo delle Fabbriche, che erano ancora guidate da Velati jr. Si trattava pertanto di chiedere a 112


Velati di cedere al mondo della tecnica uno dei suoi più valenti e promettenti collaboratori. Il compito toccava ovviamente a me, e non era dei più semplici, sia per il carattere piuttosto burbero di Velati, sia per alcune divergenze che ci avevano fatto discutere qualche tempo prima. Il momento non sembrava favorevole, ma la sfida era inevitabile. Preso appuntamento telefonico con Velati, andai nel suo ufficio. L’accoglienza, dati i precedenti, non fu entusiastica: io cercai di spiegare l’accaduto e promisi che avrei aiutato Borsaro nella sua carriera, fino a farlo diventare un vero capo. Avevo cercato di essere il più possibile convincente, ma le mie speranze erano limitate. Velati stette a sentire con attenzione, e poi mi disse: “Se sei sincero come credo, sono disposto a cedertelo”. Io rimasi gelato. Avevo avuto una lezione indimenticabile, da manuale: invece della piccolezza del risentimento personale, la generosità di accettare una perdita purché fosse a favore dell’azienda e del soggetto interessato. Il “piccolo” della situazione alla fine ero stato io, con i miei pregiudizi. È inutile che aggiunga che simili comportamenti virtuosi sono rari anche oggi. Borsaro fu affiancato a Sacchi e nel 1974, dopo l’uscita di quest’ultimo, lo sostituì a capo dell’ufficio tecnico. Iniziò anche una collaborazione molto stretta con l’ingegner Baldi, responsabile delle sale prove e delle messe in servizio all’andata in pensione dell’ingegner Faggioli. Nell’ottobre 1973 la guerra del Kippur tra gli israeliani e una coalizione di Egitto e Siria, anche se di breve durata, provocò un shock petrolifero con influenze negative sul mondo dell’energia, con la tendenza alla riduzione degli investimenti e delle potenze unitarie del macchinario di centrale, fino a quel momento sempre crescenti.

IL PREZZO GIUSTO Il 1974 vide il ritorno della CFE messicana con l’ordine per le centrali di Tampico e Salamanca di due turbo da 344 MVA, 20 kV, 60 Hz, 3.600 giri/minuto, accoppiati a turbine Tosi. Le opportunità in Messico erano sempre numerose e cercavamo di sfruttarle insieme alla Tosi, azienda di successo in Italia e all’estero. Tuttavia dovevamo ogni volta vincere una sfida. Tosi non produceva alternatori e, per difendersi da Ansaldo – che poteva offrire tutti i componenti della centrale – acquisiva gli alternatori dal TIBB o dalla Marelli. Ad ogni richiesta di offerta eravamo costretti a presentarci vincenti per prezzo, rendimenti e altri parametri rispetto a Marelli. Solo allora la nostra offerta era preferita e integrata con quella della Tosi. In generale riuscivamo a prevalere nella gara anche grazie alla velocità di risposta, e seguivamo poi con Tosi le comuni vicende in sito. Con l’ingegner Celaschi, responsabile della tecnica delle turbine della Tosi, e anche con l’ingegner Federico Villa, capo di Celaschi e più tardi direttore generale della Tosi, il mio rapporto personale era di vivo apprezzamento per la competenza e l’integrità personale di entrambi. 113


IL “MIO” TECNOMASIO 10. Le divisioni Con Celaschi, in Messico eravamo spesso presenti prima dell’apertura delle offerte e vivevamo con ansia l’atmosfera del confronto con i principali gruppi mondiali. Risale a quei tempi un insegnamento ricevuto durante una cena a Città del Messico con il rappresentante BBC e la sua consorte, entrambi olandesi. La signora mi informò che si occupava di antiquariato, con due negozi, uno a Città del Messico e l’altro ad Amsterdam. Avendo notato in me un’aria preoccupata, mi chiese se avessi avuto qualche problema. Le risposi che il rappresentante della Tosi in Messico metteva sotto pressione me e Celaschi perché offrissimo un ultimo sconto al cliente. La signora mi disse allora che la paro-

Risale a quei tempi un insegnamento ricevuto durante una cena con il rappresentante BBC e la sua consorte. La signora mi disse allora che la parola sconto non avrebbe mai dovuto esistere. O almeno per lei non esisteva. Si offre al prezzo ritenuto giusto, e poi si tiene duro. Queste parole non mi sono più uscite di mente. Le ho sempre considerate l’espressione di una forma di rispetto per se stessi e per gli altri, anche se possono essere interpretate come rigidità invece che flessibilità.

la sconto non avrebbe mai dovuto esistere. O almeno per lei non esisteva. Si offre al prezzo ritenuto giusto, e poi si tiene duro. Queste parole non mi sono più uscite di mente. Le ho sempre considerate l’espressione di una forma di rispetto per se stessi e per gli altri, anche se possono essere interpretate come rigidità invece che flessibilità. La Tosi era un’azienda di eccellenza, legata alle prestigiose licenze americane della Westinghouse per le turbine a vapore e della Combustion Engineering per le caldaie. Aveva bilanci in attivo e, per esplicita ammissione dei suoi manager, era dotata di una forte liquidità per finanziare i suoi investimenti. Era gestita con una struttura classica piuttosto rigida e disciplinata. Io sperimentai personalmente lo spirito aziendale della Tosi in occasione di una offerta di parti di ricambio.

Attendevo l’ordine e incontrai alcuni manager Tosi, tra i quali l’ingegner Trunfio, potente responsabile degli Approvvigionamenti. Egli era imparentato con il nostro ingegner Trunfio, che reggeva a quel tempo l’ufficio regionale di Roma. Invece di ricevere l’ordine, fui invitato dal management Tosi a prodigarmi in seno al TIBB per la soluzione di un certo problema di motori forniti da Vittuone alla Tosi per un impianto a Montevideo. Ragionando in termini di azienda e non di singole attività o Linee di business, tutto il management Tosi era stato informato del contenzioso con TIBB per Montevideo, e neppure un modesto ordine di parti di ricambio poteva essere passato prima della soluzione della vertenza. In effetti io mi attivai con i miei colleghi, e a breve il clima con Tosi ritornò ad essere quello solito. 114


Mi sono permesso di ricordare questi fatti, in quanto testimone durante la mia vita di lavoro di vicende ben diverse, nelle quali l’informazione circa un possibile contenzioso restava limitata alla Linea specifica di business, con la conseguenza che altre Linee, non informate, continuavano a mantenere normali rapporti con l’azienda incriminata. Ad esempio, un cliente, moroso nei confronti di una Linea, continuava a ricevere forniture da altre della stessa azienda, senza che venisse prima saldato il debito precedente. Un altro ordine del 1974 per il mercato centro-americano fu quello da parte di INDE (Guatemala) per la centrale di Escuintla, 62 MVA, 13,8 kV, 60 Hz, 3.600 giri/ minuto. L’anno 1975 segnò, oltre all’ordine delle altre due macchine di Porto Tolle già menzionato, l’ordine con Borsig di un turbo per la Cellulosa Argentina, e quello di ENEL per la centrale di Chiotas Piastra, 170 MVA, 17 kV, 50 Hz, 600 giri/minuto. Nell’anno 1975 la Riunione Annuale dell’AEI si tenne a Bari e io partecipai con una memoria del volume LXXVI dal titolo Turboalternatori per centrali nucleari, nella quale presentavo macchine a 2 e 4 poli di potenza limite, i singoli fattori che condizionano la potenza limite e una proposta per una macchina con avvolgimento d’eccitazione in materiale sovra conduttore. Una vera singolarità fu costituita nel 1975 dall’ordine al TIBB da parte di CESI (Centro Elettrotecnico Sperimentale Italiano) di un generatore speciale per le prove di corto circuito. BBC aveva sviluppato due versioni di queste speciali macchine: la prima con il contributo del professor Dutoit, la seconda sulla base di nuovi studi di Canay. Tuttavia, dopo la fusione con MFO, il Gruppo aveva acquisito una versione realizzata da questa società che appariva convincente e che venne scelta per l’offerta al CESI. Inoltre, per il lancio della macchina si decise l’uso di un convertitore statico di frequenza. Il funzionamento di un generatore per prove di corto circuito si discosta completamente da quello di un normale generatore di centrale: la macchina viene lanciata in velocità e poi chiusa improvvisamente su un interruttore in corto circuito, per cui subisce violenti sforzi elettrodinamici nelle teste dell’avvolgimento statorico, che sono completamente annegate in un blocco di resina sintetica. Privo di problemi per quanto attiene al riscaldamento degli avvolgimenti, il generatore viene garantito per un certo numero, molto elevato, di colpi senza dover ricorrere a speciali manutenzioni. Il trattamento subito da una simile macchina viene talvolta paragonato a quello di un pugile, che durante la sua carriera è costretto a incassare durissimi colpi, senza, si spera, subire danni irreparabili. Il rischio di un corto circuito ai morsetti in un normale alternatore, per esempio di tipo turbo, certamente non disegnato per resistere nella sua vita a una simile ripetuta prestazione, non è molto elevato, ma può purtroppo concretizzarsi in circostanze fortuite. A testimonianza di ciò, cito il caso del primo turboalternatore per la centrale 115


IL “MIO” TECNOMASIO 10. Le divisioni di Piacenza Levante. Durante l’avviamento della macchina, alla tensione nominale e dopo il suo allacciamento alla rete, un distanziatore dell’avvolgimento di bassa tensione del trasformatore elevatore si staccò e mise in corto circuito due fasi. Dato il collegamento diretto tra il generatore e il trasformatore, il corto circuito, a piena tensione, interessò i morsetti del generatore. Si udì un fortissimo colpo nella fondazione e si temette il peggio. La macchina fu aperta per un controllo dell’isolamento e degli ancoraggi delle teste dell’avvolgimento statorico, che si rivelarono in ottimo stato. Attraverso questo fortuito evento ricevemmo la prova della tenuta dell’isolamento e degli ancoraggi a un corto circuito a piena tensione.

LA RIDUZIONE DEL BUSINESS DEI TRASFORMATORI Gli anni ‘70 videro anche un lento ma inesorabile declino del business dei trasformatori. L’ingegner Pellicanò credeva nella redditività del business del grosso macchinario elettrico rotante e nei suoi futuri sviluppi, ma considerava il trasformatore un prodotto maturo, nel quale investire con molta prudenza, benché la nostra partecipazione alle commesse ENEL fosse sempre stata consistente e le nostre capacità progettuali e produttive si fossero sempre distinte verso clienti e concorrenti. La presenza al TIBB di uno dei più prestigiosi e riconosciuti specialisti del settore, l’ingegner Coppadoro e del suo valente collaboratore ingegner Casarotti, rappresentavano una garanzia di assoluta preminenza nel mercato. Tuttavia la nuova strategia di business mirava a una diversificazione. Senza arrivare a provocare la nostra totale uscita dal mercato, la nuova situazione produsse un vistoso calo di carico in fabbrica: gli ordini ENEL si limitarono in pratica ad una macchina l’anno, un autotrasformatore da 400 MVA. Qualche tempo dopo venne concesso all’ingegner Coppadoro di trasferirsi all’Italtrafo, l’azienda trasformatori di Ansaldo. Si procedette anche alla chiusura dei reparti di fabbricazione di alcuni materiali isolanti, e fu cessata la produzione dei condensatori e la residua attività dei raddrizzatori a vapori di mercurio. La forte riduzione del business dei trasformatori provocò in pratica nel 1975 l’integrazione della linea di pertinenza nella Linea W, con l’allocazione alla stessa del business residuo, congiuntamente con buona parte del personale. Alla luce delle nuove competenze disponibili, decidemmo di affidare la responsabilità della Fabbrica W a Protti e di utilizzare le ottime competenze tecnologiche e ingegneristiche di Gerolamo Ferri in una nuova funzione di ingegneria industriale, che comprendeva un nuovo ufficio Layout e investimenti, al quale fu assegnato anche Pacchioni. Il servizio di manutenzione venne inglobato nell’ingegneria industriale e venne rafforzata la programmazione di fabbrica con la creazione di un ufficio autonomo affidato a Franco Castiglioni. 116


Gli anni ‘70 avevano portato dal settore FG del Gruppo, che comprendeva i Paesi minori, tra cui l’Italia con il Tecnomasio e la SACE, la Spagna, la Norvegia, il Brasile e l’India, il supporto di alcuni esperti che affiancavano il management locale in problemi gestionali, soprattutto di produzione e di investimento, focalizzato in primis sulle unità produttive. Dotati di una notevole esperienza, rappresentavano un utile aiuto anche in termini di nostra rappresentanza presso il Gruppo, immedesimandosi con i nostri obiettivi e facendosi interpreti delle istanze del management locale. Il dottor Fischer curava con noi gli interessi della Linea Apparecchi, mentre Hartmann e Stauffer erano un valido aiuto per la produzione del grosso macchinario rotante. Un particolare significato aveva il rafforzamento della programmazione, oggetto di azioni mirate ai tre classici livelli: la programmazione di 1° livello, che permette di confermare al cliente il mantenimento della data di consegna da lui richiesta; quella di 2° livello, basilare, che pianifica tutte le principali attività della commessa entro il limite garantito; e l’ultima, lo scheduling, che raccoglie tutti i dettagli delle attività giornaliere di reparto. Erano disponibili anche particolari strumenti di supporto alla programmazione, ma fondamentale era la chiarezza dei concetti, la loro condivisione e l’esercizio sistematico delle azioni:

Erano disponibili anche strumenti di supporto alla programmazione, ma fondamentale era la chiarezza dei concetti, la loro condivisione e l’esercizio sistematico delle azioni: Brocherio, Castiglioni e Cecconi ebbero il merito di questi importanti sviluppi.

Brocherio, Castiglioni e Cecconi ebbero il merito di questi importanti sviluppi. L’esperienza di programmazione, e quindi di una parte significativa delle attività di commessa, apriva la strada alla responsabilità di fabbrica o, come nel caso di Cecconi, alla collaborazione in direzione amministrativa. Le commesse acquisite nel 1976 furono molto interessanti. Da ENEL per la centrale di Tavazzano due turbo della potenza standard di 370 MVA, 20 kV; dalla Jordan Electricity Authority la terza macchina di Zerqa e dall’ONE Marocco per la centrale di Al Massira due generatori idraulici ad asse verticale da 77,5 MVA, 10 kV, 50 Hz, 167 giri/minuto. Questi ultimi furono acquisiti grazie a un finanziamento del Ministero del Commercio Estero italiano.

PREOCCUPAZIONI PER UN COLLEGA Il nostro medico di fabbrica, il dottor Pasetti, era anziano e proveniva da uno stesso pluriennale incarico presso le Acciaierie Redaelli, rinomata industria siderurgica di Rogoredo, a poca distanza dal TIBB. Pasetti era un esperto curatore della salute dei lavoratori, ma anche un grande conoscitore di uomini. I miei rapporti con lui erano saltuari, ma molto impegnativi. Quando mi chiamava 117


IL “MIO” TECNOMASIO 10. Le divisioni al telefono, mi preoccupavo, in quanto mi aspettavo la segnalazione di qualche problema. Parlando con me alternava facilmente il tu con il lei. Verso la metà degli anni ‘70 mi chiamò, con la sua voce baritonale tranquilla, nella quale si sentiva tuttavia una certa preoccupazione. Temendo il peggio, scesi subito in infermeria, nel cortile del TIBB. Mi accolse con un: “Ciao, come stai? Vieni, sediamoci un attimo e fumiamoci una sigaretta”. Pasetti fumava raramente, e la sigaretta fumata con lui era distensiva e preparatoria alla grana in arrivo. “Senti, bisogna convincere Ferri a farsi operare, e mi devi aiutare, in quanto potrebbe avere al massimo sei mesi di vita”. Gerolamo Ferri (Mino) era uno dei miei più validi collaboratori, capace di eccellenti prestazioni in varie posizioni tecniche e gestionali, di impronta decisamente cartesiana e capace di battute fulminanti. Da qualche tempo circolavano voci di una sua sofferenza di cuore, ma non avremmo mai supposto una tale gravità. “Ha una valvola cardiaca praticamente fuori uso, che va sostituita al più presto”.

“Ferri, ti abbiamo visto tutti, stavi dormendo”. “No! E anche se fosse, tu le cose le dici tre volte, e io faccio sempre in tempo a sentirle”. La risata che seguiva era salutare, e i discorsi seri riprendevano con maggiore impegno.

Pasetti mi disse che l’aveva visitato il professor Tosetti, illustre cardiologo milanese, il quale aveva suggerito di farlo operare da un collega, poco conosciuto ma molto bravo, attivo presso una clinica alla Borgata Sassi, sulla strada che da Torino sale alla Basilica di Superga. Tosetti se ne fidava e diceva che bastava andare da lui, evitando di recarsi a Houston in America dal famoso DeBakey. Fui ovviamente colpito dalla notizia, ma,

conscio della necessità impellente, ringraziai Pasetti, e dopo qualche preparazione al colloquio, chiamai Ferri. La presi un po’ alla larga, ma Mino mi fermò dicendo: “Non farla lunga, ho già deciso di farmi operare”. Mi spiegò: “A militare soffrii di reumatismi, che mi hanno danneggiato il cuore. Da qualche mese soffro di tachicardia parossistica e non riesco a dormire. Sono pronto”. Fu operato con ottimi risultati: la valvola era molto deteriorata e gliene fu impiantata una di ceramica, della quale di notte sentiva i battiti. Fu anche obbligato a mantenere sempre il sangue molto fluido, al punto che una banale emorragia al naso diventava difficile da fermare. Durante le riunioni informative, che organizzavo a valle del comitato di direzione, Ferri si sedeva in prima fila, e mentre io parlavo, lentamente si appisolava: il sangue fluido gli causava sonnolenza. Resisteva per un certo tempo, poi crollava. Allora, anche per sollevare l’uditorio dalla serietà dei discorsi, io lo svegliavo: “Ferri, dormi!”. Mino rispondeva: “No!”. 118


“Ferri, ti abbiamo visto tutti, stavi dormendo”. “No!”. Poi improvvisamente: “Anche se fosse, tu le cose le dici tre volte, e io faccio sempre in tempo a sentirle”. La risata che seguiva era salutare, e i discorsi seri riprendevano con maggiore impegno. E io avevo ancora una volta l’occasione di riflettere sulla brevità e sulla concisione dei miei discorsi. Verso la fine degli anni ‘70 il dottor Giorgio Gallo divenne assistente del dottor Pasetti e collaborò con lui fino a subentrargli alla sua morte, nel 1983. Con Giorgio Gallo si instaurarono rapidamente ottimi rapporti di lavoro, soprattutto nel campo della Sicurezza e dell’Ambiente, con il supporto dell’addetto alla sicurezza Mazzola. Gallo fu importante protagonista in delicati problemi sanitari di personale in Italia e all’estero e si valse, a partire dai primi anni ‘80, della collaborazione del dottor Paolo Garbagnati, specializzato in medicina del lavoro. Questi, nel 1988, alla costituzione dell’ABB, sostituì Giorgio Gallo, cardiologo, che lasciò il TIBB per dedicarsi con successo alla sua specializzazione. Garbagnati occupò sempre posizioni di rilievo in ABB, Alstom e Adda, fino all’attuale responsabilità di coordinatore medico di ABB Italia.

IL RUOLO DELLA SAE Ritornando alle vicende TIBB dopo la riorganizzazione, la D2, che era stata affidata a Velati, figlio del vecchio capo fabbrica di Piazzale Lodi e che gestiva lo stabilimento di Vittuone, passò sotto la direzione di Benvegnù, un consulente della Garedon. In quel tempo avvenne anche il passaggio di Gargaglione, capo della Linea M, dal Tecnomasio alla Marelli, allora guidata da Nocivelli, dove si occupò di macchine medie. Nel 1975 Luigi Nocivelli e il fratello Gianfranco, bresciani, che avevano ottenuto notevoli successi con la Ocean, una società che agiva nell’industria del freddo sui mercati italiano ed estero, acquisirono un’importante partecipazione nella Ercole Marelli, mentre una quota restò ancora nelle mani della FIAT. Iniziata la gestione della nuova azienda elettromeccanica, Luigi Nocivelli accarezzava il sogno di creare in Italia un polo elettromeccanico privato in grado di competere con l’Ansaldo. A tale scopo mirava ad acquisire da BBC il Tecnomasio, allora in difficoltà di bilancio. Baden accettò di discuterne. Il dottor Grether a Milano non nascondeva gli approcci di Nocivelli: noi eravamo a dir poco preoccupati dell’andamento delle trattative, in quanto un futuro privo di BBC avrebbe rappresentato un fortissimo cambiamento. Il TIBB aveva un asso nella manica sotto forma dei dividendi della SAE (Società Anonima di Elettrificazione). All’inizio la proprietà era divisa in tre parti uguali tra TIBB, Marelli e Falck, ma al ritiro degli altri due soci TIBB era arrivato a detenerne il 100 per cento. La società, presente in Italia e all’estero con la costruzione di grandi linee elettriche e di sottostazioni, aveva ottimi risultati. 119


IL “MIO” TECNOMASIO 10. Le divisioni Pellicanò, Presidente di SAE e dell’Elettrofin di Lugano, mise a disposizione di Baden i dividendi SAE. Questa mossa, in aggiunta – secondo alcuni rumor – alle disponibilità finanziarie di Nocivelli, portò al fallimento dell’iniziativa di quest’ultimo. Avvenne pertanto il rilancio del Tecnomasio: Venturini, che stava per intraprendere una nuova carriera all’esterno del TIBB, presso la ITT, venne nominato dirigente, congiuntamente a Mario Nocco e a Sergio Farinati. Dopo la nomina di Zancan a direttore della Pianificazione e controllo, Venturini divenne suo vice. Il direttore amministrativo e finanziario Covini si ritirò dopo un grave incidente d’auto e fu sostituito dal dottor Braggio, assistito da Sergio Farinati quale capo ufficio Budget. La prima istituzione del budget al TIBB risale pertanto all’inizio degli anni ‘80. Sulla efficacia del ricorso al budget, istituzione di diffusissima applicazione, col tempo sono sorte discussioni accompagnate da dubbi. Intanto, l’inizio della formulazione del budget per l’anno successivo viene collocato di solito molto presto, alla scadenza delle ferie, sulla base degli obiettivi strategici del vertice; seguono numerosi passaggi in verticale tra il vertice e le unità di business periferiche, giustamente chiamate ad esprimersi, fino alla formulazione finale verso la metà di ottobre. Data la grande rapidità di cambiamenti politici, finanziari ed economici sempre presenti, questa tempistica non consente di formulare previsioni di grande attendibilità per il futuro, con il rischio di stime troppo ottimistiche o pessimistiche. D’altra parte, al budget fin dal primo momento della sua introduzione è stata conferita una assoluta validità, che non consente deviazioni: io e i miei collaboratori abbiamo sempre partecipato con il massimo impegno alla formulazione dei budget relativi alle nostre attività, discutendo e suggerendo fino al momento dei valori finali. Da lì in poi il budget assumeva per noi un valore assoluto che andava rispettato. Se qualcosa durante il percorso avesse provocato una deviazione, ritenevamo nostro dovere reagire immediatamente con azioni di recupero dei gap, al fine di non mancare il valore finale concordato e accettato. Io credo che questa sia la forza del budget: impegnare le persone a fornire prestazioni di un certo livello, ritenute giuste e raggiungibili, in modo da poter garantire per l’anno successivo una crescita senza la quale le aziende non possono continuare a esistere. In altri termini, nonostante tutte le difficoltà previsionali, il rispetto del budget ha sempre rappresentato per noi il primo dovere. Questo concetto è ancora oggi valido, in quanto il rispetto del budget non comporta incentivi che scattano solo al suo superamento. Ovviamente la definizione del budget si traduce in una chiarezza di allocazione di risorse e di costi per le varie attività aziendali, che risulta alterata da possibili deviazioni; da qui la necessità di immediate correzioni. In tempi economicamente favorevoli allo sviluppo del business qualche azienda (io ne conosco almeno una) rinuncia alla formulazione del budget nel timore che esso 120


possa costituire un freno ai venditori, in grado di superarne agevolmente i valori. Tuttavia la mancanza del riferimento di budget obbliga tutte le funzioni a procedere senza un controllo economico di base e di confronto. Su questo tema mi sono permesso di tradurre un articolo apparso sulla Harvard Business Review (HBR) del febbraio 2003, pagg. 108-115: Chi ha ancora bisogno del budget?, al quale rimando per conoscenza. L’epoca Braggio all’Amministrazione e finanza del TIBB fu connotata da una negatività. ENEL entrò in difficoltà finanziarie. Inspiegabilmente iniziò a non pagare gli avanzamenti previsti delle commesse in corso, oltre a non emettere nuovi ordini; le piccole e medie imprese, private dei consueti incassi mensili, non furono in grado di pagare gli stipendi, e alcune fallirono. Braggio andava a Roma a sollecitare i pagamenti ritardati e tornava con obbligazioni, che presentava alle banche. Eravamo diventati padroni di un pezzetto di ENEL. Comunque il TIBB riuscì sempre a pagare gli stipendi senza ritardi.

Io credo che questa sia la forza del budget: impegnare le persone a fornire prestazioni ritenute giuste e raggiungibili, in modo da poter garantire per l’anno successivo una crescita senza la quale le aziende non possono continuare a esistere.

In quei frangenti trovammo una nuova strada: i vari compartimenti dell’ENEL, responsabili del servizio, andavano dai loro capi in Piazza Verdi e presentavano loro i rischi di possibili blackout che si sarebbero verificati se ENEL non avesse alimentato le attività di manutenzione e di ricambistica degli impianti. I timori condivisi fecero dirottare sui compartimenti le poche risorse finanziarie disponibili. Noi eravamo pronti a sfruttarle. Ottenemmo pertanto ordinazioni abbastanza consistenti di materiali di riserva, che ci permisero di superare il difficile periodo transitorio.

L’IMPORTANZA DEL SERVICE Al momento in cui avevo assunto la responsabilità della Linea W avevo constatato che il service, una attività che avevo sempre stimato portatrice di volumi e margini, oltre che di positiva immagine presso i clienti, non era sufficientemente sviluppata, ma era oggetto di azioni sporadiche e lasciate all’iniziativa personale. Spinto anche dalla particolare situazione di ENEL, decisi quindi di operare una riorganizzazione per uno sviluppo sistematico. Mi mancava la persona giusta alla quale affidare questa ripresa: mi ricordai del mio vecchio amico Carlo Pavesi, che nel frattempo era approdato in ASEA alla ricerca della dirigenza. Lo contattai e lo convinsi a ritornare e a prendersi cura del service della Linea W. Per ottenere il suo rientro fui costretto a stipulare con lui un contratto esemplare: 121


IL “MIO” TECNOMASIO 10. Le divisioni per la prima volta gli proposi, oltre lo stipendio, un incentivo di fine anno legato non solo ai volumi ma anche ai margini, il tutto senza un plafond superiore. Dopo la conclusione del contratto mi prese il timore di quella assenza di plafond, ma ormai tutto era fatto. Pavesi si impegnò a fondo, io gli misi a disposizione alcune buone risorse e alla fine dell’anno dovetti corrispondergli un bonus eccezionale, senza rimpianti, in quanto il risultato era stato al di sopra di ogni attesa. In seguito il direttore generale Masini mi offrì il supporto di un altro ingegnere, Boggiali, proveniente dall’ufficio commerciale, che rimase alcuni anni al service, prima di assumere la responsabilità del Mercato Italia. Il service della Linea W riguardava parti e componenti di grosso macchinario, anche statori e rotori completi, e pertanto doveva servirsi delle stesse infrastrutture di fabbrica destinate alla produzione del macchinario nuovo: questo comportava spesso criticità e discussioni a causa della precedenza di solito data al nuovo a scapito del service stesso. È sempre stato molto importante, e lo è tuttora, combattere la facile tendenza a considerare il service “figlio di un dio minore”; tendenza assolutamente non giustificata dai volumi e margini di ottimo livello che l’attività permette di produrre, oltre al positivo effetto di immagine che può produrre verso il cliente. A questo proposito cito il caso di un nostro valido collaboratore, il signor Muselli, esperto di avvolgimenti, impegnato a Città del Messico presso la CFE (Comision Federal de Electricidad), nostro buon cliente. La lunga permanenza e l’efficace contatto con il cliente gli aveva permesso di venire a conoscenza dei programmi di investimenti previsti: era pertanto diventato una sicura fonte di informazione sulle future opportunità di business che la CFE ci avrebbe offerto. In effetti, l’uomo del service può costituire un utile avamposto di rappresentanza e di marketing dell’azienda. L’uso degli stessi impianti destinati al nuovo comportava ovviamente che il service ne pagasse gli stessi costi: nessuno sconto poteva essere garantito a queste attività, nonostante vi fossero talvolta richieste in tal senso da parte dei responsabili. Comunque risale a quei tempi l’alta considerazione nella quale ho sempre tenuto il service, che perdura ancora oggi unita alla convinzione della necessità di continuo supporto da parte del management per azioni di sviluppo e di crescita. È legato praticamente a quell’epoca anche l’inizio della mia lunga e proficua collaborazione con Alberto Galgano e la sua società di consulenza Galgano&Associati. Deciso a rivedere l’approccio culturale e operativo nell’unità di service che volevo potenziare, ebbi il suggerimento da Candellieri, un nostro valido collaboratore nel campo della nuova informatica, di rivolgermi a questa società, fondata nel 1962 e che aveva già acquisito notorietà e apprezzamento nell’ambito della qualità totale. Galgano, praticamente mio coetaneo, si presentò con la sua squadra, che comprendeva gli ingegneri Giorgio Merli e Renato Comai. Con loro iniziò un ottimo lavoro di 122


riorganizzazione e di motivazione culturale delle persone, che diede in breve consistenti risultati. Il supporto di Galgano si estese in seguito anche alle altre funzioni della linea, rivedendo responsabilità, integrando funzioni verso comuni obiettivi, riducendo il numero delle caselle. Imparai che gli organigrammi devono essere stilati dopo che sono stati definiti gli obiettivi che l’organizzazione si prefigge e le azioni per il loro raggiungimento: solo allora le persone devono essere scelte in funzione di questi fondamentali valori in quanto ritenute capaci di condividerli e di contribuire validamente alla loro realizzazione pratica. Ancora oggi temo sia radicata la tendenza inversa: quella di partire dall’organigramma e dalle persone disponibili, senza avere ancora chiaro il percorso e soprattutto la destinazione finale.

Imparai che gli organigrammi devono essere stilati dopo che sono stati definiti gli obiettivi che l’organizzazione si prefigge e le azioni per il loro raggiungimento: solo allora le persone devono essere scelte in funzione di questi fondamentali valori.

Un altro punto che mi sembrò importante è la snellezza dell’organigramma, con meno caselle possibili, in quanto le caselle tendono a essere considerate centri di potere e di carriera, e col tempo diventano praticamente inamovibili. Decisiva è la capacità delle persone di produrre risultati: a Baden avevo conosciuto e molto apprezzato specialisti che venivano chiamati ovunque vi fosse un problema che richiedesse le loro capacità. Il loro inquadramento in un settore o in una casella era da considerare un fatto puramente burocratico e non certo qualificante dal punto di vista dello stipendio e della carriera. Durante uno dei miei viaggi in Messico fui contattato telefonicamente dal nostro capo cantiere Bianchi, che si trovava a Tampico e aveva ultimato con pieno successo il montaggio e la messa in servizio per la CFE del turboalternatore da 344 MVA da noi fornito nel 1974 congiuntamente a quello di Salamanca. Lo raggiunsi in aereo da Città del Messico e insieme fummo costretti a sostenere un lungo e difficile confronto con il capo della centrale che, talmente soddisfatto del lavoro di Bianchi, pretendeva di trattenerlo ancora a lungo, probabilmente per lavori alle caldaie difettose, non di nostra fornitura. A questo scopo chiedeva di chiudere con me un contratto. Bianchi e io non potevamo accettare per altri impegni già programmati e finimmo per concordare soltanto che, prima del suo rientro in Italia, Bianchi operasse un controllo di un paio di settimane nell’altra centrale di Salamanca. Nonostante il disturbo, l’apprezzamento per il servizio reso testimoniò la positiva immagine riconosciuta al TIBB da parte di un grande cliente quale la CFE. Il 6 aprile 1977 l’ingegner Pellicanò, nel frattempo divenuto presidente e amministratore delegato del TIBB, mi conferì la procura di direttore della divisione 1 Grosso Macchinario, Apparecchi. Procura che mi fu ulteriormente estesa il 28 luglio 1978 123


IL “MIO” TECNOMASIO 10. Le divisioni dallo stesso Pellicanò, nel frattempo nominato anche direttore generale. Poco tempo prima il consiglio di amministrazione del TIBB aveva deciso di conferire ai responsabili operativi la procura per le responsabilità relative all’Antinfortunistica, alla Sicurezza e all’Ambiente. L’ingegner Piazzi assunse la direzione della Qualità per il TIBB. Risale agli anni ‘70 l’inizio della mia frequentazione dell’ANIE, che dal 29 agosto 1945 raccoglie le principali industrie elettrotecniche ed elettroniche italiane, organismo nel quale a partire dagli anni ‘90 avrei occupato la carica di proboviro. L’anno 1977 non fu molto ricco di commesse, che tuttavia ripresero in parte nel 1978 con alcuni ordini di macchine medie a 2 e 4 poli da Mannheim (Darmstadt, Bielefeld e Monaco) e soprattutto dall’ENEL per Edolo, un generatore idraulico ad asse verticale da 160 MVA, 15,5 kV, 50 Hz, 500 giri/minuto. Accanto a vari ordini di medie macchine a 2 e 4 poli con Borsig per l’Argentina e la Danimarca e da Mannheim per la Germania, il 1979 fece registrare anche la grossa macchina dell’AEM di Milano per la centrale termica di Cassano d’Adda, da 376,4 MVA, 20 kV, 50 Hz, 3.000 giri/minuto. PEMEX

Il 6 aprile 1977 l’ingegner Pellicanò, divenuto presidente e amministratore delegato del TIBB, mi conferì la procura di direttore della divisione 1 Grosso Macchinario, Apparecchi. Procura che mi fu ulteriormente estesa il 28 luglio 1978.

ordinò le terze macchine per Salamanca e Minatitlan e due altre medie macchine furono destinate in Messico e Venezuela. Tuttavia la sorpresa venne con l’ordine da parte di Sulzer Australia di 4 generatori sincroni idraulici ad asse verticale per la centrale di Lautoka, nelle Isole Fiji, destinata al cliente finale Fijian Electricity Authority. Sulzer era anche il costruttore delle turbine Pelton. Ogni macchina era targata 24,5 MVA, 11

kV, 50 Hz, 750 giri/minuto. L’offerta alla National Power Corporation delle Filippine di 4 grosse macchine per la centrale di Magat River, targate ognuna 112,5 MVA, 13,8 kV, 60 Hz, 180 giri/minuto, suscitò però una grande discussione con BBC Baden. Per le sue dimensioni la commessa destava grande interesse in tutti, ma il prezzo in dollari era troppo basso e io ero molto indeciso se accettare. Alla fine, su spinta anche di Baden, l’ordine fu acquisito, ma i miei risultati ne uscirono negativamente influenzati, e sulla divisione D1 calò per mesi un’atmosfera di difficoltà, causata da un accentuato squilibrio tra ricavi e costi. In quegli anni Baden aveva inserito accanto a Pellicanò un condirettore generale, l’ingegner Manrico Masini, proveniente, come Uccelli, dall’Accademia navale di Livorno, e già direttore della Agusta Elicotteri. L’epoca Braggio finì con la sua uscita e Masini assunse ad interim la direzione amministrativa e finanziaria, con Sergio Farinati come vice direttore. 124


SCELTE SULLA COMPONENTISTICA E NUOVA RIORGANIZZAZIONE La mia collaborazione con l’ingegner Masini mi fruttò l’opportunità di visitare, su suo suggerimento, la fabbrica dell’Agusta a Vergiate. Fu un’occasione molto interessante, in quanto rimasi veramente impressionato da questo evento. La fabbrica era molto progredita sia nelle parti meccaniche sia nella fonderia di leghe d’alluminio e nelle attività di trattamento superficiale dei metalli. Anche le pale degli elicotteri erano prodotte con sistemi molto efficaci e i controlli di qualità di tutti i componenti, soprattutto dei rotori, erano estesi e minuziosi. L’assoluta sicurezza richiesta per la macchina comportava una prevalenza della produzione interna anche di minimi componenti rispetto alle possibili attività di terziarizzazione. Nel 1980 Antonio Venturini venne nominato direttore amministrativo e Sergio Farinati vice direttore della divisione Impianti di Uccelli. Questa divisione era stata talvolta centro di qualche polemica con le altre divisioni di componentistica, specialmente con la D1, in quanto il margine lucrato a livello di impianto non veniva trasmesso ai componentisti, costretti talvolta anche a lavorare in perdita. Questa situazione è sempre stata diffusa, secondo la mia esperienza. L’impiantista ha di solito la tendenza a procurarsi i componenti facendo shopping around, ignorando il collega dello stesso Gruppo, o forzandolo a perdite in nome del prezzo di mercato. Il problema ancora oggi richiede uno spirito collaborativo non sempre comune tra colleghi, e sono noti casi nei quali tale spirito non viene sentito e praticato. Ovviamente il produttore di componenti deve in tutti i modi rispettare i livelli del mercato, ma deve essere in ciò supportato dall’impiantista, prima che quest’ultimo cerchi altrove la soluzione dei suoi problemi. Vi sono stati casi nei quali, a fronte di un forte impegno da parte del costruttore di componenti di migliorare i suoi costi, l’impiantista lo ha aiutato passandogli l’ordine ad un prezzo di qualche percento superiore a quello di mercato. Sono stati fatti vari tentativi in tutti i tempi per alleggerire, se non sanare queste situazioni, ma le difficoltà permangono tuttora. Pellicanò si faceva carico di queste problematiche e conosceva i risentimenti: a un certo punto istituì una triade di probiviri, De Porcellinis (vendite divisione Impianti), Zancan, suo assistente, e De Ferrari, direzione Materiali, con il compito di favorire le transazioni ed eliminare le dispute. La triade non riuscì nell’intento, e allora Pellicanò fece qualcosa che raramente i manager hanno il coraggio di fare: fece marcia dietro, e assegnò ad ogni divisione di Componenti la sua parte di Impiantistica corrispondente. Così nel 1980 le quattro divisioni iniziali furono ridotte a tre: Divisione D1 (Energia), alle mie dipendenze, nella quale furono integrate le attività delle sottostazioni e quelle dei piccoli impianti di generazione di energia. Lentati, prima collaboratore di Uccelli, divenne mio vice; 125


IL “MIO” TECNOMASIO 10. Le divisioni Divisione D2 (Impianti e componenti per l’industria). Uccelli prese la direzione della divisione, con lo stabilimento di Vittuone; Divisione D3 (Trasporti), alle dipendenze di Barenghi, per la trazione elettrica. Fu poi aggiunta la divisione di Elettronica (Lanzavecchia) fino a quel momento esistente come dipartimento. Le divisioni operative erano affiancate dalla direzione Amministrazione e finanza, dalla direzione Pianificazione e controllo, dalla direzione Materiali, organizzazione e qualità e dalla direzione del Personale. La funzione Approvvigionamenti, fino a quel momento centralizzata sotto la guida di De Ferrari, restò responsabile degli acquisti ritenuti strategici per la società, mentre alle divisioni operative furono allocati gli approvvigionamenti di specifico ed esclusivo interesse. La funzione centrale della direzione Materiali gestiva strategie e politiche di approvvigionamento per le divisioni, assicurandone il coordinamento e monitorandone gli obiettivi annuali prefissati da ciascuna. Inoltre stipulava accordi di fornitura cumulativi con fornitori comuni a più divisioni. Sulla opportunità degli approvvigionamenti centralizzati o decentrati si è sempre molto discusso. A mio parere, la soluzione ibrida allora adottata offriva il vantaggio di una gestione al vertice dei materiali strategici (lamierini magnetici, rame, isolanti), lasciando libertà agli operativi di ottimizzare il valore dei materiali nei prodotti tipici di una industria manifatturiera, il cui peso sul costo totale può arrivare fino al 70 per cento. Ovviamente tra le due funzioni esisteva ampia collaborazione in occasione di approvvigionamenti di particolare rilievo, per esempio di grossi fucinati, delle piastre pressapacco degli statori di turboalternatori e delle cappe rotoriche dei turboalternatori, realizzate con materiali e procedimenti particolari. La nuova organizzazione consentiva al TIBB di proporre ai mercati internazionali forniture di impianti completi chiavi in mano nell’energia e nell’industria, gestendo con elasticità l’evoluzione dei prodotti e dei processi aziendali in rapporto alla concorrenza. Nella seconda metà degli anni ‘70 si rafforzò la volontà di modernizzare in produzione il parco delle macchine utensili con l’introduzione delle prime tecnologie elettroniche: furono applicati sulle grandi macchine utensili i visualizzatori digitali di quote e, grande novità, venne acquistato e installato il primo tornio parallelo a controllo numerico con funzionamento a nastro perforato. Iniziò l’impiego di utensili da taglio in metallo duro (Widia), mentre si abbandonava gradualmente l’acciaio rapido e super rapido. L’azione di modernizzazione continuò con l’acquisto di una foratrice-fresatrice a portale a controllo numerico e venne installato anche un nuovissimo impianto di autoclavi per il trattamento dei trasformatori di misura isolati in carta-olio. Iniziò anche una radicale ristrutturazione del layout di fabbrica, congiuntamente alla modernizzazione di tutta l’impiantistica generale; furono installati nuovi sistemi 126


di distribuzione elettrica e di alimentazione dei carriponte, con blindosbarre e blindotrolley, e nuovi generatori di calore per il riscaldamento invernale. Anche per il personale di produzione iniziò un nuovo periodo di sensibilizzazione sulla prevenzione degli infortuni e sull’ambiente, con corsi di aggiornamento. Con la costituzione delle Linee di business, delle divisioni e dei servizi per la sicurezza del lavoro, si rafforzò la sensibilità nei riguardi della prevenzione infortuni e vennero creati all’interno dei singoli reparti produttivi gruppi di lavoro con l’obiettivo di sensibilizzare il maggior numero di persone. La società Galgano tenne per i livelli intermedi dei seminari sull’organizzazione aziendale e sul lavoro per obiettivi. La Linea W iniziò la preparazione della produzione delle due nuove serie di turbo di media potenza con raffreddamento in aria WX e WY. Fu introdotto anche il sistema di isolamento Micadur-Compact, che prevedeva l’impregnazione totale in una delle autoclavi di Campata 19 del completo statore avvolto.

Anche per il personale di produzione iniziò un nuovo periodo di sensibilizzazione sulla prevenzione degli infortuni e sull’ambiente, con corsi di aggiornamento.

Naturalmente anche il TIBB risentiva del clima generale di quegli anni. Le Brigate Rosse tentarono di reclutare fiancheggiatori all’interno delle nostre fabbriche e un dipendente fu arrestato con l’accusa di appartenenza a questo gruppo eversivo. Per tutto il decennio degli anni ‘70 le lotte sindacali pesarono sui rapporti sociali: ogni motivo politico, dalla guerra nel Vietnam al colpo di stato in Cile, creava l’occasione per la proclamazione di uno sciopero. La fabbrica, nel contempo, viveva i primi sviluppi informatici. Si stesero le prime linee dati, in alcuni uffici comparvero i terminali collegati con il centro elaborazione dati e sparirono pian piano le signorine addette alle schede perforate. Date le complessità e l’importanza crescente per l’azienda dei servizi informativi, nel 1980 il CED passò sotto l’egida di una nuova direzione, dell’Organizzazione e dei sistemi informativi, guidata da De Ferrari con il supporto dell’ingegner Cesare Scaccabarozzi. Il ruolo di IBM come fornitore esclusivo imponeva peraltro soluzioni sempre più costose per la crescita dell’hardware, del mainframe, delle unità di controllo, delle reti e dei protocolli di comunicazione con la reale operatività dell’azienda nelle tre unità operative di Milano, Vittuone e Vado Ligure. A ciò si aggiungevano le diversità di business delle 4 divisioni Energia, Industria, Trasporti ed Elettronica, che rendevano problematico un sistema informativo ancora centralizzato. Venne allora studiato e realizzato un megaprogetto di controllo di gestione, cuore del sistema informativo, approfittando della terza rivoluzione dell’informatica, costituita dai prodotti informativi indipendenti sistemati presso gli operatori periferici. 127


IL “MIO” TECNOMASIO 10. Le divisioni APPARECCHIATURE DI ALTA TENSIONE Al momento della mia assunzione di responsabilità a livello divisionale, accanto alle attività del grosso macchinario elettrico rotante e dei trasformatori, fui impegnato a sovrintendere anche a quella delle apparecchiature elettriche di alta tensione, allora guidata dall’ingegner Attilio Beneggi, un valido manager e un caro amico con il quale avevo anche condiviso un periodo di concomitanti stage in Svizzera negli anni ‘60. La tecnica degli apparecchi di alta tensione era stata sempre presidiata con successo da un ufficio di validi ingegneri e tecnici, tra i quali Leva, Perina, Scrinzi, Fessia, Emolumento e altri. Per le vendite, una testimonianza relativa al passato del TIBB in questo settore mi è stata fornita dall’ingegner Leonardo Di Corato, laureato al Politecnico di Milano ed entrato a far parte dell’ufficio Vendite del TIBB nel 1959. L’ufficio, che aveva la denominazione di ufficio Progetti, era lo stesso al quale io ero stato assegnato al momento della mia assunzione e al quale non arrivai mai in quanto dirottato alla Tecnica. Con a capo l’ingegner Costa, l’ufficio si occupava di vendite sia per il mercato domestico sia per l’esportazione. Le tensioni in gioco in Europa partivano praticamente da 123 kV per coprire 145, 170, 245, 420 e 525 kV. Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale e fino agli anni ‘60 tutti i costruttori producevano interruttori a grande volume d’olio (bulk oil circuit breakers) per lo spegnimento dell’arco. Qualcuno ricorderà ancora oggi i grandi cassoni metallici, in qualche caso addirittura botti in le-

Negli anni ‘70, dopo una serie di fusioni e acquisizioni, le quote del mercato italiano erano così suddivise: circa il 45 per cento per la Magrini, il 25 per cento per il TIBB e il 20 per l’Adda; il resto suddiviso fra aziende minori.

gno, per l’olio. Anche il TIBB ne aveva costruiti fino a 60 kV per l’esportazione e si era occupato anche di interruttori di media tensione in aria compressa del tipo DB a 10, 20 e 30 kV, molto diffusi in ENEL. Gli interruttori DB a 60 kV erano usati in molti impianti industriali, e per l’Italsider di Taranto il TIBB aveva fornito DB a 72,5 kV, al limite tra la media e l’alta tensione. Anche i primi

interruttori di macchina, inseriti tra l’alternatore e il trasformatore di centrale, erano in aria compressa a 20 kV e con potere di interruzione di 6.000 A. I principali costruttori italiani, oltre al TIBB, erano la Scarpa e Magnano di Savona, la Magrini di Bergamo, l’Adda di Lodi, la Galileo di Battaglia Terme e altri ancora, tutti impegnati nello sviluppo di nuove tecnologie, dapprima quella dell’olio ridotto e poi, negli anni ‘60‘70 dell’aria compressa. In Europa la svedese ASEA e la svizzera Sprecher und Schuh mantennero la tecnologia dell’olio ridotto fino alla metà degli anni ‘80, per passare poi all’aria compressa. 128


Negli anni ‘80 per tensioni di 420 e 550 kV l’aria compressa copriva ancora le specifiche esigenze. Il TIBB praticò preferibilmente le applicazioni dell’aria compressa: si ricordano forniture TIBB di interruttori in olio ridotto a 30 kV per le sottostazioni delle FS (importati dalla fabbrica di Oerlikon che era già entrata nel Gruppo BBC). All’inizio degli anni ‘70 avvenne la fusione tra Magrini e Scarpa e Magnano, e la costituzione della MSM. Nel 1974, con l’ulteriore fusione tra MSM e Galileo, la Magrini ebbe a disposizione i tre stabilimenti di Bergamo, Savona e Battaglia Terme. Negli anni ‘70, dopo una serie di fusioni e acquisizioni, le quote del mercato italiano erano così suddivise: circa il 45 per cento per la Magrini, il 25 per cento per il TIBB e il 20 per l’Adda; il resto suddiviso fra aziende minori. Tra la fine degli anni ‘60 e l’inizio degli anni ‘70 un tecnico della Magrini, Juan Benito Calvino, proveniente dalla francese Merlin Gerin, sviluppò in Italia l’interruttore in SF6. Questo gas era particolarmente adatto a essere usato come mezzo di spegnimento dell’arco, grazie agli elevati livelli di resistenza dielettrica e conducibilità termica. Per vari anni coesistettero le tre tecnologie dell’olio ridotto, dell’aria compressa e dell’SF6. Quando assunsi la responsabilità di questo settore, la posizione del TIBB era di un buon livello sia nell’aria compressa, sia nell’SF6. Il TIBB aveva in effetti dominato con successo e per molti anni il mercato dell’aria compressa, con gli interruttori della serie DCF nelle sue varie accezioni: dalla esecuzione base a 145-170 kV a doppia colonna e a doppia camera, fino ai 380 kV per le importanti stazioni di Baggio e di Bovisio collegate con la centrale ENEL di La Spezia. Le versioni a 170, 245 e 380 kV permettevano di raggiungere potenze di interruzione di 2.500, 3.500 e 5.000 MVA e simili, con commesse anche all’esportazione. Mi risultava che il TIBB, per via della favorevole posizione nell’aria compressa, avesse tardato l’ingresso nel nuovo mercato dell’SF6, nel quale però già a metà degli anni ‘70 aveva acquisito una buona quota, con gli interruttori della serie ELF in SF6 della stessa gamma 145, 170, 245 e 420 kV. L’azienda era inoltre impegnata con successo nella produzione di trasformatori di misura tipo AOK con tecnologia di isolamento in carta impregnata con olio e isolatori in porcellana, che vennero sostituiti negli anni ‘80 da isolatori in materiale polimerico. Per la loro impregnazione il TIBB disponeva di due grandi autoclavi nella parte elevata della Campata 19 e di una sala prove separata. In questo settore l’Adda di Lodi, che sarebbe entrata a far parte di ABB nel 1989, sviluppò agli inizi degli anni ‘80 un trasformatore di corrente isolato in SF6, che rappresenta tuttora una importante svolta tecnologica. Il TIBB aveva costruito i trasformatori di tensione induttivi: quando BBC passò ai TV capacitivi, il TIBB continuò a produrre la parte capacitiva, acquistando dalla CGS la parte induttiva. Nessuna produzione era invece prevista per i comandi degli interruttori DCF e ELF, che venivano acquistati dalla BBC svizzera e montati negli armadi dallo stesso TIBB. Anche i sezio129


IL “MIO” TECNOMASIO 10. Le divisioni natori, apparecchi di tecnica piuttosto semplice che il TIBB non produceva, erano acquistati da aziende attrezzate per queste tecnologie, quali la Coelme. Una vera eccezione in questo campo fu rappresentata da una serie di sezionatori di tecnologia più progredita richiesta da ENEL: il TIBB assistette Coelme nella progettazione e nella costruzione per la parte di sua competenza. Anche gli scaricatori erano approvvigionati dalla BBC svizzera. A metà degli anni ‘70 erano già sviluppate le stazioni elettriche blindate isolate in SF6 (GIS, Gas-Insulated Switchgear) le quali, rispetto alle tradizionali in superficie offrivano significativi vantaggi di dimensioni, sicurezza e ridotta manutenzione. Il TIBB, quando era ancora impegnato nel processo preparatorio di questa impegnativa produzione, aveva già approntato su decisione di Piazzi una camera ad atmosfera controllata (clean room) destinata alle principali operazioni di trattamento e montaggio dei vari componenti, necessitanti di particolari precauzioni di pulizia e di igiene ambientale per la prevenzione di possibili scariche. La camera serviva a scopi formativi per il personale destinato alle operazioni dei blindati e venne usata anche in seguito, sebbene non fosse più di stretta necessità. A metà degli anni ‘80 ENEL Distribuzione provvide a unificare gli schemi delle sue cabine primarie per i tre costruttori Magrini, TIBB e Adda per semplificare l’aspetto costruttivo. I blindati ENEL per le tensioni 145, 170 e soprattutto 245 kV rappresentarono per molti anni una fonte privilegiata di business per il TIBB. Degni di menzione i due blindati TIBB a 245 kV rispettivamente per l’Italsider di Bagnoli e l’ENEL di Pozzuoli. Anche l’Adda di Lodi nel 1975 aveva fornito con successo un GIS da 420 kV per la centrale ENEL in caverna di Edolo. Ancora oggi, sulla mia scrivania c’è la foto a colori di una stazione mobile equipaggiata con un blindato, fornita dal TIBB all’Acea di Roma. Degne di menzione sono le ottime prestazioni di service fornite per molti anni a clienti italiani ed esteri da un team di competenti e dedicati specialisti in tutti i tipi di apparecchiature, tra i quali Bocchioli, Beltrami, Patrini e molti altri.

IMPIANTO PILOTA IN ALTISSIMA TENSIONE La continua crescita della potenza da trasmettere tramite linee elettriche provocava anche la tendenza alla crescita della tensione più conveniente per la trasmissione, al fine di ridurre notevolmente le perdite e l’utilizzo di territorio per unità di potenza trasportata. Nel 1971 l’ENEL promosse a Suvereto il progetto della altissima tensione (UHV-Ultra High Voltage) di 1.000 kV, con un’intensa attività di ricerca e sviluppo che consentì, in collaborazione con I principali costruttori italiani, la messa a punto di una tecnologia in grado di soddisfare adeguatamente sia le eventuali future necessità del sistema elettrico italiano, sia le possibili richieste del mercato internazionale. 130


Il progetto consisteva nella costruzione di un impianto pilota a 1.000 kV da inserire come elemento funzionale nella rete elettrica nazionale. I componenti di stazione comprendevano apparecchiature blindate con isolamento in SF6 e autotrasformatori di interconnessione in soluzione modulare, con il modulo di base costituito da un monofase della potenza di 200 MVA, con il quale formare banchi di 3x400 e 3x800 MVA. Brevi tratti in cavo a UHV collegavano le apparecchiature blindate di stazione con le linee aeree, in grado di trasmettere una potenza di almeno 3.000 MVA in esercizio normale e di 8.000 MVA in condizioni di emergenza. I costruttori nazionali coinvolti furono SAE, Sadelmi e CMF per la realizzazione dei sostegni di linea, Nuova Magrini Galileo per le apparecchiature di stazione, Ansaldo/ Italtrafo, Nuova IEL e TIBB per i trasformatori, Pirelli per i cavi e altri per isolatori, morsetterie, eccetera. A valle della parte sperimentale, l’impianto pilota sarebbe stato composto da una stazione con apparecchiature blindate, con tre autotrasformatori monofasi da 400 MVA ciascuno, e da una linea aerea lunga circa 20 chilometri. Il collegamento tra le apparecchiature blindate e la linea aerea era previsto in cavo. L’impianto doveva inizialmente funzionare a vuoto, per essere successivamente completato con una

BBC è sempre stata - e ABB lo è tuttora - leader per gli interruttori per generatori o di macchina (GCB-Generator Circuit Breaker) o interruttori per correnti elevate, che trovano sistemazione in casi di particolari layout di centrali.

seconda stazione per permetterne l’inserimento nella rete elettrica nazionale. La configurazione delle stazioni avrebbe permesso il funzionamento della linea anche a 380 kV, al fine di mantenere il necessario transito di potenza nel caso di temporanea indisponibilità della stazione a 1.000 kV. BBC è sempre stata – e ABB lo è tuttora – leader di una speciale tecnologia di interruttori detti interruttori per generatori o di macchina (GCB-Generator Circuit Breaker) o interruttori per correnti elevate, che trovano sistemazione in casi di particolari layout di centrali. Per esempio, quando un generatore di grande potenza è allacciato alla rete di trasmissione tramite due trasformatori, l’inserimento tra il generatore e ciascuno dei due trasformatori di un interruttore di macchina permette il sezionamento per motivi di servizio o di manutenzione. Oppure, nel caso di due generatori idraulici di media potenza, ciascuno con il proprio interruttore di macchina, collegati con un unico trasformatore a tre avvolgimenti; o ancora in centrali di produzione e pompaggio. Per potenze unitarie comprese tra 50 e 400 MVA gli interruttori di macchina sono del tipo HE in SF6, mentre per potenze da 400 a 2.000 MVA sono del tipo DR in aria compressa. La fabbrica BBC di Oerlikon che li produce è una delle più avanzate a livello mondiale. 131


IL “MIO” TECNOMASIO 10. Le divisioni Una speciale tipologia di interruttori in SF6 a 420 kV, i cosiddetti dead tank venne progettata e fornita all’ENEL per installazione in sottostazioni prossime al mare, nelle quali la formazione di depositi di salsedine sugli isolatori dei normali interruttori tendeva col tempo a provocare scariche; la soluzione dead tank, con in pratica il raddoppio delle distanza di scarica, eliminava questo rischio. Una testimonianza della forte attenzione alle necessità dei clienti e dello spirito di appartenenza all’Azienda è quella fornita dallo stesso Di Corato, noto a tutti per l’impegno e la disponibilità. Nel 1976 l’ingegner Giuliano Segre, capo del Centro di Progettazioni e Costruzioni Idrauliche, Elettriche e Civili dell’ENEL di Milano, contattò telefonicamente Di Corato, annunciando un guasto su una colonna di interruttori ELF 245 kV a Turbigo, con il rischio di blocco della fornitura di energia elettrica alla città di Milano; il guasto doveva essere eliminato quella stessa notte. Di Corato contattò immediatamente il tecnico Antona, lo andò a prendere con la propria vettura, e lo accompagnò a Turbigo dopo avere prelevato al TIBB i necessari strumenti. Il guasto fu presto rimediato e, verso l’una di mattina, Di Corato, Antona e i tecnici ENEL festeggiarono insieme il successo dell’intervento. Verso la fine degli anni ‘70 la situazione della linea Apparecchi richiedeva urgenti interventi di miglioramento, che portarono attraverso l’ingegner Masini all’entrata in squadra dell’ingegner Cacchi, proveniente dalla Bassani Ticino ed esperto di moderni sistemi di gestione e di pianificazione. La riconosciuta e decisiva importanza della pianificazione nella gestione della produzione imponeva l’adozione di sistemi diversi per le due fondamentali attività della divisione: la gestione per commessa delle linee del macchinario rotante e dei trasformatori e la gestione di apparecchiature modulari della linea Apparecchi. Cacchi preparò l’introduzione del sistema MRP

Verso la fine degli anni ‘70 la situazione della linea Apparecchi richiedeva urgenti interventi di miglioramento, che portarono all’entrata in squadra dell’ingegner Cacchi, esperto di moderni sistemi di gestione e di pianificazione.

(Material Requirement Planning), Pianificazione dei fabbisogni dei materiali, sviluppato negli anni ‘70 per il calcolo dei fabbisogni dei materiali e la pianificazione degli ordini di produzione e di acquisto. Questa tecnica è basata sulla domanda del mercato, sulla distinta base dei prodotti, sui lead time di produzione e di acquisto e sulle giacenze di magazzino. L’MRP è un sistema di pianificazione a medio termine,

a metà strada tra il Master Production Schedule, sistema di pianificazione a lungo termine e lo scheduling, sistema di pianificazione a breve. L’MRP è stato il primo passo verso la realizzazione di sistemi più ampi, l’MRP 2 (Manufacturing Resource Planning) degli anni ‘80, per giungere poi all’ERP (Enterprise Resource Planning) 132


per la gestione di tutta l’informazione aziendale. L’MRP ragiona a capacità infinita, mentre i sistemi MRP 2 ragionano a capacità finita e permettono di pianificare anche il fabbisogno delle risorse di produzione (macchine, persone, mezzi).

L’IMPIANTO DEL MUÑA IN COLOMBIA Nel 1980 la divisione Impianti, guidata dal mio collega Franco Uccelli, prese un ordine per l’impianto di pompaggio reversibile del Muña, in Colombia, successivamente a un altro impianto, l’acquedotto di Bucaramanga. Mi ordinò tre motori/generatori asincroni di grossa potenza, con rotore avvolto, per comando di pompe/turbine Vevey. Siccome il peso dei principali componenti superava il limite di 40 tonnellate di portata dei carriponte di Vittuone, la costruzione venne affidata allo stabilimento di Piazzale Lodi, linea W. Il trasporto dei tre statori e dei tre rotori avvenne via mare, fino al porto di Cartagena, in Colombia, sull’Atlantico. Durante il trasporto in stiva, uno statore in una robusta cassa d’imballaggio non venne fissato al pavimento e, a causa del rollio, andò ripetutamente a urtare la fiancata della stiva, risultando danneggiato. Un secondo statore, trasportato via terra dalla Merzario dal porto di Cartagena fino a Bogotá ad un’altezza di circa 2.600 metri sul livello del mare, rimase incastrato sotto un viadotto. Era stato fatto un viaggio di prova con sagoma, e tutto era andato bene: tuttavia, durante il trasporto con il vero statore, una deviazione costrinse il trasportatore a passare sotto un altro arco del viadotto, in un punto non controllato durante la prova, e da qui nacque l’incidente. All’arrivo delle notizie Uccelli era influenzato: d’altra parte le macchine erano state costruite da noi, quindi eravamo noi i principali interessati a risolvere il problema. Il cliente era ovviamente molto dispiaciuto e occorreva una presenza risolutiva. Decidemmo che me ne sarei occupato io stesso, e presi contatto con la nostra assicurazione, La Navale del comandante Zanardi. Ammaestrato da casi precedenti, posi la condizione di partire solo se accompagnato da un esperto della Navale per un sopraluogo congiunto. Volevo infatti ottenere un rapporto comune sull’incidente, firmato da entrambe le parti in causa, a scapito di future divergenze, altrimenti praticamente sicure. Mi fu risposto che il miglior esperto della Navale, l’ingegner Adamoli, si trovava in quel momento in un’altra missione nelle Isole di Capo Verde: io fui irremovibile, fino ad ottenere la presenza di Adamoli. Arrivammo praticamente insieme un sabato sera all’Hotel Tequendama nel centro di Bogotá e fummo ricevuti dai nostri montatori. La visita ai componenti danneggiati era stata programmata per il mattino dopo, domenica. Purtroppo fummo informati che anche un rotore era stato nel frattempo danneggiato durante lo scarico dalla nave. Nella notte, contrariamente alle richieste dei nostri, il comandante aveva ordinato lo 133


IL “MIO” TECNOMASIO 10. Le divisioni scarico e a causa dell’uso di funi troppo corte, erano state danneggiate, con la cassa, anche le delicate teste dell’avvolgimento rotorico. Il rotore era parcheggiato nel porto di Cartagena, a disposizione per il nostro sopraluogo. Domenica mattina partimmo per tempo in auto con un autista colombiano per l’ispezione al Muña. Il sito distava circa 25 chilometri dal centro di Bogotá; l’auto percorreva una sconfinata periferia abitata da campesinos provenienti dall’interno della regione. Privati dal governo delle loro colture di coca, si ammassavano nei dintorni della città nella speranza di trovare qualche mezzo di sostentamento. Arrivati in prossimità della Valle del Muña, sentii un odore nauseabondo. Ero seduto vicino all’autista e mi rivolsi ad Adamoli, che stava sul sedile posteriore: “Adamoli, sento una puzza terribile”. E l’autista di rimando: “Señor Calcia, es una agua mala”. Io dico: “Sì, agua mala, al mio paese la chiamano in modo diverso”. E l’autista: “Aqui tambien, Señor Calcia, m…da”. Scoprimmo così che l’impianto del Muña era costituito dalle acque reflue della Città di Bogotá che venivano raccolte e incanalate fino al Lago del Muña per essere pompate ad altezza superiore dalle pompe comandate dai nostri motori e cadere poi attraverso due centrali di circa 5 MW ciascuna, producendo energia. Altro che sfruttamento delle biomasse! I nostri due statori danneggiati erano stati provvisoriamente parcheggiati nelle due centraline, in attesa dell’ispezione. La strada della valle era in salita ed era percorsa da gente in vacanza domenicale e da corridori ciclisti che si allenavano pedalando su biciclette italiane con il cambio Campagnolo. Vi era anche una piccola cascata, El Salto de Tequendama, il cui colore scuro e l’odore ne lasciavano chiaramente capire la natura. Gli statori avevano danni non gravissimi e recuperabili in sito. Il viaggio a Cartagena per constatare i danni all’avvolgimento rotorico si rivelò pieno di sorprese. Il porto era presidiato dai militari e occorreva un lasciapassare per l’entrata. In sito vi era il nostro Italo Casati, il quale mi informò che il porto, al suo interno, era territorio dominato da una specie di mafia locale: un caporione che girava con un revolver al fianco era il Deus ex machina senza il quale non si poteva fare nulla. Alla fine dell’ispezione concludemmo che purtroppo la riparazione in loco non sarebbe stata possibile e il rotore sarebbe dovuto rientrare a Milano. Per fare ciò avremmo avuto bisogno di un nuovo imballo, ma non potevamo ordinarlo fuori del porto, in quanto il caporione pretendeva di costruirlo nel porto stesso con i suoi uomini. Così dovemmo accettare e il rotore venne rispedito a Milano con il primo possibile imbarco, e poi riparato. I rapporti firmati congiuntamente da me e da Adamoli furono importanti per il prosieguo delle discussioni con l’assicurazione. In questi casi uno dei punti sempre 134


emergenti è quello della consistenza degli imballi e della loro tenuta in casi di eventi eccezionali. Gli imballaggi erano stati da noi commissionati a una ditta di Casale Monferrato, che venne coinvolta nelle discussioni. Alla fine l’assicurazione pagò 1.200 milioni di lire, che tuttavia non furono sufficienti a colmare tutto il danno subito: ritardo di pagamenti da parte del cliente, costi addizionali e danno di immagine. Ancora una volta i trasporti si confermarono un passaggio molto rischioso delle commesse. Il collega Uccelli non ci aveva pienamente informato che l’impianto del Muña era un impianto reversibile di energia prodotta con i rifiuti di città: ma questo non aveva avuto alcun peso sugli eventi che eravamo stati obbligati a dominare.

ALLE FIJI, COME TROUBLESHOOTER Nel 1979 avevamo acquisito una commessa di 4 generatori idraulici ad asse verticale per un’altra centrale nelle Isole Fiji, quella di Wailoa: il committente era la Sulzer Australia, costruttrice delle turbine Pelton e il cliente finale era la FEA (Fijan Electricity Authority) con il consulente Merz&McLellan. Ogni macchina era targata 24,5 MVA, 11 kV, 50 Hz, 750 giri/minuto. Durante la fase di montaggio delle macchine si verificò una vera tempesta di telex per varie questioni da parte di Sulzer e del consulente. A un certo punto le proteste arrivarono anche a Baden. L’organizzazione di supporto a favore delle Società minori, tra le quali il TIBB, cominciò ad occuparsene e, come talvolta succede, era propensa a schierarsi dalla parte del cliente piuttosto che dalla nostra (il cliente ha sempre ragione). Noi facevamo di tutto per rispondere prontamente, ma le proteste non cessavano e si intensificavano pure quelle di Baden, al punto che era

Nel 1979 acquisimmo una commessa di 4 generatori idraulici ad asse verticale per un’altra centrale nelle Isole Fiji. Ogni macchina era targata 24,5 MVA, 11 kV, 50 Hz, 750 giri/minuto. Durante la fase di montaggio si verificò una vera tempesta di telex.

anche difficile capire la vera materia del contendere. Leo Vannotti, allora AD a Milano, e il suo assistente, il mio ex compagno di tecnigrafo a Baden Ernst Berchtold, mi chiamarono una mattina. Io li anticipai, dicendo molto semplicemente che ero pronto a partire per un viaggio di chiarimento e sistemazione della questione. Posi però la condizione di non essere accompagnato da emissari di Baden e di poter decidere da solo. Vannotti accettò, e così partii la sera da Zurigo con la Singapore Airlines. Allora non esisteva la classe business, ma solo la turistica e la prima classe, che era prerogativa dei grandi capi. La turistica della Singapore Airlines offriva comunque un ottimo 135


IL “MIO” TECNOMASIO 10. Le divisioni comfort. Feci scalo a Dubai e a Singapore e alle 7 di mattina di un giovedì di novembre arrivai a Sidney. Preso alloggio nel centro della città, il cliente mi convocò per il mattino dopo. La temperatura era mite, ed ebbi così l’opportunità di una visita alla splendida baia di Sidney e al famoso teatro delle Vele. La mattina dopo incontrai alla sede della Sulzer Australia l’ingegner Savage, rappresentante del mio cliente, e l’impressione fu subito positiva: l’apprezzamento per la visita a Sidney e la veloce sistemazione di minori pendenze mi fecero capire di essere sulla buona strada. Comunque sarebbe stato decisivo il viaggio in centrale e l’incontro con il consulente: nessun incontro era invece ritenuto necessario con il cliente finale. Presi accordi in tal senso con Savage, mi imbarcai il sabato pomeriggio successivo su un volo della Air New Zealand con scalo a Auckland e

A bordo ero vistosamente il solo vestito con abiti civili. Tutti gli altri passeggeri erano turisti, in maggioranza donne anziane, che rientravano a San Francisco con balzi tra le varie isole del Pacifico, fino alle Hawaii e al ritorno in patria.

diretto all’aeroporto di Nadi, nelle Isole Fiji. A bordo ero vistosamente il solo vestito con abiti civili. Tutti gli altri passeggeri erano turisti, in maggioranza donne anziane, che rientravano a San Francisco con balzi tra le varie isole del Pacifico, fino alle Hawaii e al ritorno in patria. Durante il volo avevo avuto l’opportunità di prendere visione dall’alto dello splendido panorama della Nuova Zelanda, non a torto spesso assimi-

lato a quello della Svizzera per i suoi prati e le sue verdi vallate. Arrivammo a Nadi verso le 23 ora locale e sul taxi che mi portava all’albergo ebbi un colloquio con l’autista che conosceva bene l’impianto idroelettrico in costruzione e apprezzava la mia venuta per lavoro dalla lontana Italia. Secondo gli usi locali, pernottai in un bungalow con spiaggia separata. La domenica mattina, dopo la prima colazione nella zona centrale dell’albergo – a forma di enorme capanna polinesiana aperta ai quattro venti – fui informato che in un locale dedicato si sarebbero tenuti servizi religiosi per cattolici, protestanti ed ebrei, celebrati a rotazione dai rispettivi sacerdoti, pastori e rabbini. Mi accorsi rapidamente che tutti i lavori principali erano svolti da personale prevalentemente indiano, mentre gli indigeni si occupavano di piccoli servizi ai turisti, compensati da mance; tra l’altro, mentre la bellezza statuaria dei maschi polinesiani era visibile, sembrava non godere di verità la celebrata fama della bellezza femminile, esaltata in tanti soggetti cinematografici. Una rapida informativa sulla storia locale riportava che verso la metà dell’800 la regina delle Isole Fiji si fosse rivolta alla regina Vittoria di Inghilterra per chiedere supporto e protezione: la sovrana britannica inviò qualche centinaio di fanti di mari136


na a occupare le isole dell’arcipelago, iniziando così un rapporto privilegiato, che ebbe positivi risvolti sulla cultura, sull’educazione e sulla lingua delle isole. La pacifica e utile invasione da parte degli indiani rappresenta un fenomeno molto diffuso non solo nelle isole di tutto l’Oceano Pacifico, ma anche negli Emirati, dove essi occupano posti prevalentemente di servizio. Gli indiani, in altri termini, sono molto operosi, a differenza dei nativi che preferiscono compiti di rappresentanza. Nelle Isole Fiji le due comunità, la locale e la indiana, vivono pacificamente ma restando rigorosamente separate non solo nei matrimoni, ma anche nell’istruzione scolastica. Comunque, mi faceva sorridere sentire alla reception una hostess figiana lamentarsi del pessimo inglese parlato da un turista giapponese: la vecchia regina delle Fiji, mettendosi sotto l’ala protettiva della sua potentissima collega inglese, aveva già capito a quei tempi quali benefici ciò avrebbe comportato per il suo popolo. Un’altra impressione che mi aveva subito colpito era l’enorme distanza che separa noi europei da quelle mete turistiche. La natura locale era splendida, quella che siamo soliti ammirare nei poster: la spiaggia finissima e incontaminata, le palme piegate dalla brezza verso l’Oceano, le barriere di corallo in lontananza. Tutto questo avrebbe meritato un soggiorno di qualche mese su uno yacht, non un breve viaggio turistico di qualche giorno con una differenza di 11 ore di fuso orario. Inoltre sarebbe stato più interessante il rientro via Honolulu e San Francisco, in caso di arrivo – come era stato nel mio caso – via Singapore. Ma erano ovviamente pensieri che poco si adattavano alla mia speciale condizione di civile, condizionato da problemi idroelettrici. Alle 16 arrivò da Sidney mister Savage: presa in affitto un’auto, iniziò il lungo viaggio da Nadi al cantiere, con guida a sinistra su una strada sterrata di montagna. Durante il viaggio, Savage impegnato al volante trovò il tempo di farmi una descrizione del territorio. Sembra che le montagne siano coperte da giungle, tuttavia prive degli animali caratteristici delle giungle tradizionali. Arrivati di notte al cantiere, fummo ricevuti dal capo della Sulzer nella sua abitazione. La signora era bellissima e colpiva per la sua vistosa eleganza. Siccome ero stato preceduto dalla notizia della mia lunga permanenza in Svizzera, la signora aveva preparato una cena fredda secondo il costume elvetico, con vivande che provenivano dal porto di Suva, la capitale delle Isole Fiji, sulla costa dell’isola di Viti Levu. Mentre Savage era ospitato per la notte nell’abitazione del capo cantiere, io fui sistemato in una baracca di lamiera, normalmente disabitata, e all’apparenza solo sommariamente pulita per l’occasione; una brandina in un angolo era un giaciglio piuttosto scomodo, e i servizi igienici erano quasi inesistenti. La stanchezza del viaggio si fece comunque subito sentire, e piombai in un sonno profondo, tuttavia svegliato quasi subito dal verso di un uccello proveniente da un 137


IL “MIO” TECNOMASIO 10. Le divisioni albero attraverso la finestra. Nonostante i tentativi di riprendere sonno, il verso continuo e forte mi impedì praticamente tutta la notte di riposare. Al mattino, a colazione, ero ancora assonnato, e venni informato che il verso disturbatore non proveniva da un uccello, come io avevo creduto, ma da una ranocchietta colorata e velenosa che vive sugli alberi, molto diffusa in quelle isole. Le visite in centrale e i colloqui con i consulenti chiarirono praticamente tutti i punti in discussione e, dopo alcuni giorni, decidemmo il rientro a Sidney per i colloqui finali. Savage e io trovammo una mezza giornata di tempo libera prima del volo Qantas per Sidney, e decidemmo di fare una gita su un battello che portava i turisti a visitare una Plantation Island. A bordo fummo richiesti di toglierci le scarpe: io, sbagliando, mi tolsi anche le calze, e, quando sbarcammo sulla costa di questa isoletta, distante pochi chilometri da Nadi, camminai scalzo sulla spiaggia. Il terreno era rovente e coperto di detriti e mi scottai la pianta dei piedi. A Sidney i colloqui finali con cliente e consulente furono positivi: chiarimmo tutte le questioni e decidemmo l’invio del nostro ottimo Zani per un rinforzo del lavoro sui quadri di comando. Si chiudeva così una “grana” dai contorni non sempre chiari, gravata di motivi tecnici ma anche dal dubbio supposto e mai provato di qualche comportamento improprio del nostro capo cantiere. Alcuni rumor da me raccolti prima del viaggio accennavano ad un presunto affaire con la moglie del capo centrale. Vero o falso, le discussioni avevano toccato sempre ed esclusivamente motivi tecnici e il viaggio ebbe il merito di avere fatto rientrare velocemente qualsiasi altro motivo di dissapore. La vicenda consolidò una prassi che era già stata collaudata: in caso di problemi, i miei diretti collaboratori, che disponevano di tutte le informazioni di dettaglio per decidere, operavano singolarmente o in team per la loro soluzione. Se non riuscivano, decidevamo insieme che me ne occupassi io stesso in prima persona; posso testimoniare che questo metodo ha sempre dato frutti positivi. La presenza del capo che ha potere di decisione finale, soprattutto economica e finanziaria, convince il cliente a raggiungere la soluzione, che viene ribadita in un documento firmato dalle parti. Ai miei collaboratori veniva giustamente demandato il compito, molto formativo, di composizione in primis della vertenza: la ten-

La mia impressione è sempre stata che l’intervento personale del capo da solo pesasse almeno per il 50 per cento sulla risoluzione del problema: ne sono convinto ancora oggi. 138

denza a deporre sempre e comunque la “grana” sulla scrivania del capo era così combattuta. Ma il capo era pronto ad intervenire qualora fosse stato evidente che, nonostante tutti gli sforzi prodotti, il problema continuava a sussistere. La mia impressione è sempre stata che l’intervento


personale del capo da solo pesasse almeno per il 50 per cento sulla risoluzione del problema: ne sono convinto ancora oggi. Prima del mio rientro in patria da Sidney feci visita ad un carissimo amico del mio stesso paese, emigrato molti anni prima, che era proprietario di una oreficeria/gioielleria attiva soprattutto con gli emigrati italiani. Abitava in una splendida villa in un sobborgo, con giardino, e mi presentò la sua famiglia: moglie, due figli, un maschio e una femmina, allora ragazzi, e la suocera. Cenammo insieme e mi rivelò la sua profonda nostalgia per l’Italia. Non voleva invecchiare in Australia e cercava in tutti i modi di convincere la famiglia, che era invece riluttante, a ritornare. Fui colpito da quella nostalgia, ma non sorpreso. Dal mio paese alcuni amici di mio padre erano emigrati in Australia, ma tutti erano rientrati (con una discreta fortuna...) a finire la loro vita. Il mio amico mi faceva sorridere, in quanto sembrava convinto quando affermava: “Se fossi in America, invece che in Australia, verrei al paese molto più spesso”. Fu una bella serata di ricordi e di rimpianti. Dopo qualche anno riuscì nel suo intento di cedere la gioielleria e di rientrare con la famiglia in paese. Oggi vive praticamente solo, avendo perso moglie e suocera, con la figlia sposata e il figlio che fa il giramondo con la moglie americana a favore di onlus in Paesi rischiosi. Il mio volo di ritorno da Sidney avvenne in classe turistica con Alitalia e toccò prima Melbourne e poi puntò su Singapore e Bombay. Seduto di fianco al finestrino, ammirai lo spettacolo del panorama dell’enorme deserto che occupa il centro dell’Australia: ore e ore di volo su quel territorio color ocra, prima di arrivare alla fascia verde della costa e all’Oceano. A Bombay i due posti accanto al mio erano stati occupati da una coppia di indiani, marito e moglie, che erano diretti a Ginevra, dove avevano un posto di rilievo in seno alle Nazioni Unite. Poco dopo il decollo, quando stavano per spegnersi le luci a bordo per potere sonnecchiare in pace, udimmo delle alte grida provenire dal corridoio centrale. Io temetti subito un dirottamento, ma mi accorsi, con gli altri, che si trattava di un energumeno, in piedi nel corridoio, che protestava ad alta voce per qualche motivo, nonostante i tentativi da parte di due hostess di calmarlo. Ci provò poi il anche capo steward, ma senza risultato. Era un italiano, emigrato in Australia, che rientrava per visitare la famiglia. Poi venne addirittura il comandante, che cercò di ragionare con lui per un quarto d’ora; ma lo vedemmo rientrare senza risultati in cabina di pilotaggio e attendemmo il seguito. Dopo avergli fatto il vuoto intorno, facendo spostare i passeggeri, lo bloccarono due dipendenti dell’Alitalia in volo di trasferta e lo spinsero contro un finestrino, impedendogli qualsiasi movimento. Il capo steward ci informò che il comandante aveva contattato Roma e uno psi139


IL “MIO” TECNOMASIO 10. Le divisioni chiatra, uditi i sintomi, gli aveva raccomandato di immobilizzarlo, in quanto soggetto di potenziale rischio. All’arrivo a Roma, un’ambulanza lo prelevò per accompagnarlo all’Ospedale psichiatrico. In azienda feci il mio rapporto al capo: dall’Australia e da Baden cessarono completamente le contestazioni e tutto procedette per il meglio: Vannotti mi gratificò del titolo di troubleshooter. Ma la sindrome delle Isole Fiji era ancora pronta a colpire, in un modo assolutamente imprevisto: dopo qualche settimana dal mio ritorno fui colto da un forma acuta di eczema, che in poco tempo mi ricoprì di bolle praticamente su tutto il corpo. Quando decisi, piuttosto tardivamente, di presentarmi al dottor Giorgio Gallo, nostro medico di fabbrica, questi restò allibito: chiamò immediatamente il dottor Vigo, vice primario della clinica dermatologica del Fatebenefratelli e mi condusse da lui. Ero convinto di essere subito ricoverato, e per non so quanto tempo. Vigo mi visitò accuratamente e, a parte la constatazione di due punti di infezione alle braccia, sorridendo mi disse: “Caro ingegnere, questo eczema ha un aspetto orribile, ma io glielo faccio passare in una notte”.

Mi ricordai allora della storia che si raccontava, del manager che veniva esaminato per un posto di vertice: quando si seppe che, oltre a essere bravo, aveva anche fama di essere fortunato, la sua assunzione fu unanimemente approvata.

Parole che erano musica per me. Mi disse di riempire a metà la vasca da bagno di casa e di sciogliervi una manciata di pastiglie di permanganato di potassio, una base fortissima, fino a colorare di un viola profondo l’acqua. Un paio di immersioni mi avrebbero guarito. E così fu. Me la cavai veramente in modo brillante. Ma non era ancora finita: non avevo nessuna prova, ma il ricordo della camminata scalza sull’isolet-

ta del Pacifico non mi abbandonava. Passarono poche settimane, e l’eczema, in forma totalmente diversa, mi colpì alla pianta dei piedi. Questa volta Vigo mi disse che la situazione era peggiore, e che quella forma specifica della malattia era curabile con una leggera dose di cortisone, che mi prescrisse. Controllato da Gallo, non ebbi problemi di limitazione al mio lavoro. Ricordo, anzi, di altri viaggi all’estero con i piedi in parte fasciati: la remissione della malattia fu piuttosto lunga, ma dopo qualche mese cessò anche quella fastidiosa incombenza. Da allora ho imparato a proteggere i piedi sia dalle scottature che dal contatto con detriti e rifiuti. La mia nomina a capo della divisione Grosso Macchinario copriva la responsabilità della Linea delle Macchine sincrone, quella dei Trasformatori e la terza delle Apparecchiature di alta tensione. Purtroppo pochi giorni dopo la nomina venni incaricato dal vertice di risolvere una delicata questione di personale ad elevato livello, sulla quale per validi motivi di delicatezza preferisco non fornire dettagli. 140


Mi fu così subito chiaro che la mia nuova responsabilità significava avere a che fare anche con fatti spiacevoli: ma fui fortunato, in quanto il problema trovò una inaspettata favorevole soluzione. Mi ricordai allora della storia che si raccontava, del manager che veniva esaminato per un posto di vertice: quando si seppe che, oltre a essere bravo, aveva anche fama di essere fortunato, la sua assunzione fu unanimemente approvata. Nel corso della mia successiva carriera, ebbi ovviamente occasione di trattare altre situazioni problematiche, sia tecniche sia di comportamenti, e ammetto di essere stato talvolta preceduto nelle mie azioni risolutive da imprevisti eventi favorevoli. Un manager dovrebbe, nei limiti del possibile, essere in grado di comprendere quali problemi siano suscettibili di risolversi “da soli” e quali invece richiedano forti interventi. Tuttavia è bene preparare immediatamente azioni per la loro risoluzione e non lasciarli irrisolti per troppo tempo.

LA NASCITA DEL CHOPPER Ritornando alla presenza del TIBB nella trazione elettrica, gli anni ‘70 videro fra l’altro il lancio delle famose motrici E444 Tartaruga, della potenza complessiva di 4.400 kW con velocità di 200 km/h e delle E656 Caimano, con 4.680 kW di potenza e 150 km/h di velocità. Altre forniture riguardarono la Lugano-Ponte-Tresa, le Ferrovie del Gargano, la Umbro-Aretina, la Bari-Barletta e la Benevento-Cancello. Gli anni erano maturi per un cambio di tecnologia relativo alla regolazione della velocità del treno e quindi dello sforzo di trazione. Fino ad allora la regolazione avveniva tramite l’inserimento di un reostato che graduava la tensione in fase di avviamento, e con la combinazione serie-parallelo dei motori. Le più potenti motrici utilizzavano tre combinazioni: serie, serie-parallelo, parallelo. Dopo l’esclusione del reostato di avviamento, la velocità era regolata variando l’eccitazione dei motori, il cosiddetto “indebolimento di campo”. Le manovre erano fatte direttamente dal personale di macchina, azionando contattori che escludono progressivamente le varie sezioni del reostato, e modificando la combinazione dei motori e il loro grado di eccitazione. Un costante controllo della corrente assorbita evita pericolosi sovraccarichi. Questo controllo delle velocità non era privo di strappi, talvolta anche sgradevoli. A questo punto entra in scena il chopper, un dispositivo elettronico sviluppato al TIBB dall’ingegner Lanzavecchia e dal suo team negli anni ‘70 per la trazione a 3 kV corrente continua, e precisamente per regolare in modo continuo la tensione di alimentazione dei motori. Il chopper è un azionamento di conversione CC/CC (corrente continua/corrente continua), che consente la regolazione continua della marcia in base alla velocità imposta (per esempio 100 km/h) e controlla anche l’accelerazione per il rag141


IL “MIO” TECNOMASIO 10. Le divisioni giungimento di quella velocità, fissando la corrente massima assorbibile. La velocità di marcia viene tenuta costante anche in discesa con la frenatura elettrica: i motori funzionano da generatori e la corrente viene dissipata nel reostato di frenatura. La storia dello sviluppo del chopper al TIBB merita di essere raccontata, anche se non da me personalmente vissuta: l’intelligenza e la preparazione tecnica dell’ingegner Lanzavecchia lo spinsero a un’azione di ricerca e di realizzazione in team di un prototipo in Italia per le FS, precorrendo lo sviluppo del chopper da parte di Baden, che – non dimentichiamolo – aveva la prerogativa dell’R&D. Quando BBC Baden venne a conoscenza del chopper del TIBB, espresse un severo giudizio verso Lanzavecchia per aver infranto le regole del Gruppo. Ma il presidente del TIBB di allora, Giuseppe Bertola, intervenne in difesa dell’operato, considerandolo frutto di lodevole intelligenza e capacità a sostegno degli interessi del Gruppo stesso. Il chopper italiano divenne quindi il precursore di quello che la ricerca di Baden sviluppò poco dopo. Il primo chopper a 3 kV CC fu installato dal TIBB nel 1975 sulla locomotiva elettrica E444-005 delle FS, una della serie delle Tartarughe, della potenza di 5.300 kW. Il team, guidato da Lanzavecchia, comprendeva, oltre a Framba e Zanardi, gli ingegneri Marco Mazzia, Alessandro Cogliati e Paolo Benatti, che si occupavano della parte teorica dell’azionamento, delle prove sui prototipi e in particolare della limitazione di correnti armoniche nell’alimentazione dei locomotori. In particolare l’ingegner Casarotti studiò il dimensionamento della induttanza del filtro di rete. Vennero provati diversi circuiti e, sulla base dei semiconduttori di potenza di quei tempi, si concluse che il chopper di un motore sarebbe stato costituito da quattro colonne in parallelo, sfasate temporalmente, ognuna realizzata con otto chopper elementari in serie. In seguito, per effetto dello sviluppo di semiconduttori di potenza rapidi, fu possibile potenziare la cella elementare in modo da utilizzare solo tre colonne per motore, ognuna costituita da sei chopper in serie. Definito lo schema elettrico dell’azionamento, l’ufficio Industrializzazione passava alla progettazione costruttiva dell’equipaggia-

Quando BBC Baden venne a conoscenza del chopper del TIBB, espresse un severo giudizio per aver infranto le regole del Gruppo. Ma il presidente del TIBB intervenne in difesa dell’operato, considerandolo a sostegno degli interessi del Gruppo stesso. 142

mento. In particolare i disegni costruttivi delle celle del chopper furono sviluppati da Domenico Scovenna. Un altro compito gravoso era la realizzazione di tutti i circuiti di controllo e di regolazione, dei circuiti di protezione e di quelli di segnalazione dei possibili guasti durante la fase di sperimentazione e in servizio. Nello sviluppo dell’elettronica integrata con l’elettromeccanica tradizionale, sviluppo che apriva campi molto promettenti per il futuro,


l’impegno al continuo miglioramento dell’hardware (HW) si associava a quello, non meno gravoso, del software (SW), che garantiva il funzionamento regolare e in sicurezza. Un esempio fu la necessità di ovviare a sovratensioni e sovracorrenti pericolose sia per l’azionamento sia per i motori di trazione. L’ingegner Vittadini, esperto di interruttori, sviluppò un cortocircuitatore, apparecchio di potenza senza contatti mobili, in grado di cortocircuitare l’alimentazione dalla rete e sopportare correnti di diverse migliaia di ampere per tempi limitati, fino all’apertura dell’interruttore extrarapido della locomotiva. L’esperimento proseguì con una prima colonna di prova, installata nella sala prove Elettronica, in Campata 18, recintata a causa delle alte tensioni in gioco. Le prove durarono molti mesi e rivelarono una serie di problemi che vennero risolti. Il passo successivo fu la verifica del comportamento del chopper inserito nella rete delle FS. A tale scopo fu allestito un punto di prova nella sottostazione elettrica delle FS di Lodi, e le prove si protrassero dal 1969 al 1971, per la verifica di disturbi elettromagnetici sull’elettronica di controllo. Il passo successivo fu l’installazione di una colonna modificata nell’altra sottostazione delle FS di Rogoredo. Tutto questo portò all’esecuzione definitiva delle colonne chopper. Una di esse venne nuovamente installata nella sala prove Elettronica verso la fine del 1974 e venne provata in tutti i dettagli, con esiti ampiamente favorevoli. Nei primi mesi del 1975, tornati a Rogoredo, fu provato un azionamento completo di tre colonne chopper: i risultati soddisfacenti mostrarono che era giunto il momento dell’installazione a bordo della locomotiva. Nel frattempo i costi erano purtroppo considerevolmente aumentati. Il 23 settembre 1975 il locomotore, completamente montato e provato “in bianco” usciva dallo stabilimento di Vado Ligure. Da quel momento iniziarono le operazioni di messa in servizio, che furono in particolare presidiate dall’ingegner Morin, grande appassionato di treni e responsabile dell’ufficio Assistenza della divisione Trasporti. A questa lunga serie di prove prese parte, per conto della BBC, anche il figlio del mio grande amico svizzero Hans Wälchli, entrato a far parte come il padre della Brown Boveri. A valle di tutta la favorevole sperimentazione, nel dicembre 1976 furono ordinati cinque prototipi full-chopper denominati E633 (versione merci, 130 km/h) e E632 (versione passeggeri, 160 km/h), da 4.500 kW con parti meccaniche della FIAT Ferroviaria di Savigliano. Questo progetto costituì un cambio di rotta da parte delle FS: le locomotive sarebbero state progettate dalle aziende e non più dall’ufficio studi di Firenze. Il TIBB era pertanto completamente responsabile del progetto e della realizzazione della parte elettrica. Framba e collaboratori, tra i quali il signor Cairoli, iniziarono la progettazione di schede elettroniche di base, che potessero essere utilizzate in diverse parti del circuito di controllo. Per la conduzione del chopper, dalla regolazione 143


IL “MIO” TECNOMASIO 10. Le divisioni continua della frequenza si passò a frequenze fisse e ben definite, 65-195 e 390 Hz (ingegner Cogliati con l’ufficio Studi delle FS). Nel 1976, nella fabbrica di Vittuone, fino ad allora utilizzata per fabbricare macchine elettriche, motori e generatori di piccola e media potenza, fu attrezzata una parte per la fabbricazione di 213 gruppi convertitori statici da 35 kW, da montare sottocassa nelle carrozze condizionate delle reti ferroviarie europee, quindi alimentati alle quattro tensioni di rete (3.000 V CC – 1.500 V CC – 15 kV CA a 16 2/3 Hz – 25 kV CA a 50 Hz), su progetto di TCO e curati da un ufficio tecnico gestito dall’ingegner Benatti con la collaborazione dei tecnici Marcioni, Montani, Gambalonga. In particolare occorre ricordare che tutti i componenti, sia meccanici sia elettrici ed

Se il chopper ha rappresentato per la trazione elettrica un notevole salto di qualità, di pari importanza fu, alla fine degli anni ‘70, l’introduzione nella trazione elettrica della tecnica trifase, alla quale contribuì anche il TIBB.

elettronici, furono approvvigionati in Italia e testati tramite un rigido controllo di qualità al 100 per cento, anche di tipo meccanico. Furono utilizzate apparecchiature specifiche dedicate per i componenti elettronici ed elettrici di potenza e di segnale. Il risultato fu una produzione esente da difetti. Per rendere il personale operaio in grado di leggere i disegni e gli schemi furono organizzati corsi dedicati all’istruzione di tutto il personale (ingegner

Benatti e tecnico Tronconi, responsabile della sala prove). Il risultato finale fu una fabbrica attrezzata e personale preparato per successive produzioni. La produzione delle schede, dopo un passaggio attraverso l’ufficio Industrializzazione diretto dall’ingegner Barbante, avveniva nella Fabbrica Elettronica di Vittuone, sotto la responsabilità dello stesso. L’elettronica di potenza era invece in carico alla Fabbrica Locomotive di Vado Ligure, con nuovi reparti per la fabbricazione e il collaudo di tutte le parti elettriche di potenza delle locomotive. La parte meccanica era invece della FIAT Ferroviaria di Savigliano, stabilimento presso il quale dovevano essere montate tutte le apparecchiature. Prima della conferma dell’affidabilità delle nuove locomotive, nel 1979 le FS procedettero all’ordinazione di 5 E632 e 75 E633, con la parte meccanica affidata a FIAT Ferroviaria Savigliano, TIBB e Sofer, e la parte elettrica a Ansaldo, Marelli e TIBB (AMT l’acronimo di questo raggruppamento). Il progetto elettrico richiese un forte impegno per adattarlo ai diversi standard costruttivi delle tre aziende. Sorsero anche problemi di affidabilità causati dal gran numero di componenti dell’elettronica di controllo moltiplicati per l’elevato numero di motrici circolanti: fu pertanto costituito un team per la soluzione dei guasti (mortalità infantile), con ingegneri delle FS e con la partecipazione dell’ingegner Cogliati per la parte TIBB. Il risultato fu un miglioramento esponenziale della affidabilità di esercizio delle locomotive. 144


Su una E632 di costruzione TIBB furono provati dei motori sperimentali potenziati, che permisero di ottenere velocità e coppia in un solo locomotore, permettendo così di integrare in una sola macchina, la E652, le due principali caratteristiche distintive delle E632 e delle E633. Il progetto della nuova locomotiva, la cui affidabilità si avvaleva anche di elementi di ridondanza, fu affidato all’ingegner Sergio Emanuelli, mentre Framba iniziava il progetto di una nuova locomotiva elettronica, la E454. Nel 1988 le FS ordinarono una serie di 100 locomotive E652, ma a quel tempo il TIBB era già diventato ABB Tecnomasio, la cui storia esula da questa mia testimonianza. Se il chopper ha rappresentato per la trazione elettrica un notevole salto di qualità, di pari importanza fu, alla fine degli anni ‘70, l’introduzione nella trazione elettrica della tecnica trifase, alla quale contribuì anche il TIBB. Il cambiamento consistette nella sostituzione dei motori di trazione a corrente continua con commutatori, di difficile manutenzione, con motori trifasi asincroni, più semplici, alimentati con tensione e frequenza variabili attraverso inverter, dispositivi per la trasformazione di corrente continua in alternata. In particolare l’ingegner Benatti prese contatti con BBC Traktion di Mannheim, detentrice della tecnologia di alimentazione di motori asincroni alimentati ad inverter sulle locomotive diesel-elettriche tedesche, per acquisire le informazioni tecniche necessarie per costruire anche in Italia 20 locomotive diesel-elettriche D145.2000 ad azionamento trifase per le FS. Benatti curò l’adattamento del progetto di potenza alle esigenze delle locomotive italiane, mentre l’ingegner Franco Sezenna introdusse le necessarie modifiche circuitali alle schede elettroniche. La parte elettronica, sia di potenza sia di segnale, fu fabbricata a Vittuone, come pure i motori asincroni; mentre le locomotive furono costruite nello stabilimento di Vado Ligure. Si possono riassumere alcune caratteristiche di queste locomotive: potenza del diesel 1.140 CV, forza di trazione all’avviamento 25 tonnellate, forza massima di frenatura 15 tonnellate, velocità massima 100 km/h, elevato sfruttamento dell’aderenza senza slittamento degli assi, frenatura elettrica in tutto il campo di velocità. Il successo raggiunto con la motrice D145, locomotiva diesel elettrica con azionamento elettronico a inverter e motori asincroni, in servizio misto di manovra e di linea con i venti primi esemplari consegnati dal TIBB nel 1983, favorì il successivo ordine di 42 locomotori D145. Alla fine degli anni ‘60 e all’inizio degli anni ‘70 il TIBB sviluppò un nuovo motore per la linea 2 della Metropolitana di Milano, adatto ad alte velocità e frequenti fermate. Il motore diede buoni risultati e nel 1974 venne adottato anche per la linea A della Metropolitana di Roma. Per la linea 2 della Metropolitana di Milano il TIBB 145


IL “MIO” TECNOMASIO 10. Le divisioni fornì anche i carrelli monomotori, e negli anni ‘80 gli equipaggiamenti a inverter e i carrelli per la linea 3 della stessa Metropolitana. Per i trasporti urbani le filovie presentavano vantaggi ecologici rispetto agli autobus grazie ai loro motori non inquinanti, meno rumorosi e di più semplice manutenzione. Nel 1980 l’Azienda Consortile Trasporti Tep di Parma ordinò al TIBB equipaggiamenti elettrici con comandi elettronici a logica statica per i suoi nuovi filobus. Anche le città di Ancona, Chieri, La Spezia e Sanremo adottarono filobus con il chopper, prima applicazione della nuova tecnologia a questi mezzi.

NOVITÀ NELLA CULTURA ORGANIZZATIVA E GESTIONALE Fin dai tempi della mia permanenza a Baden avevo coltivato un forte interesse per la letteratura americana che si occupava della gestione delle aziende e della nuova cultura organizzativa richiesta dal business: quando assunsi la responsabilità di Linea e soprattutto quella di divisione, sentii il dovere di provvedere alla formazione non solo mia ma anche dei miei diretti collaboratori in questi campi del management moderno. Io disponevo di un team molto qualificato di persone di elevate capacità individuali, di assoluta integrità professionale e di spirito di squadra, orgogliose di contribuire al successo aziendale, del quale la divisione Grosso Macchinario era responsabile per circa un terzo. Il clima in cui operavamo era veramente ottimo. A testimonianza ricordo che, tornando da viaggi che mi avevano tenuto lontano per qualche tempo dall’ufficio, venivo accolto con la battuta: “Qui, quando non ci sei le cose vanno meglio”. Seguiva la descrizione dell’emergenza superata. Al che io rispondevo: “Mi va proprio bene, in quanto domani devo ripartire di nuovo”. Ripensando a quei tempi, e senza voler dare un giudizio sulle mie capacità

Io disponevo di un team molto qualificato di persone di elevate capacità individuali, di assoluta integrità professionale e di spirito di squadra, orgogliose di contribuire al successo aziendale.

gestionali, credo che il team apprezzasse l’opportunità di dare un contributo individuale e di squadra in un campo tecnologicamente avanzato, in sintonia con un Gruppo di assoluta eccellenza e riconosciuta presenza mondiale. In altri termini, esistevano uno spirito di corpo e un senso di appartenenza all’azienda, che oggi sono forse più sopiti, ma andrebbero curati e rinforzati attraver-

so aspetti formativi e di successo di marchio. Per formazione mia e del mio team, verso la fine degli anni ‘70 mi abbonai alla Harvard Business Review (HBR), prestigiosa rivista americana di management e, più tardi, alla Sloan Management Review del famoso MIT (Massachusetts Institute of Technology). Ebbi anche occasioni di lavoro con il Boston Consulting Group e con la McKinsey di Milano (ingegneri Abravanel e Baldanza). Ancora oggi, data la lunga 146


militanza, sono membro dell’Advisory Council della HBR e executive panel member della McKinsey Quarterly Review. Mi procurai anche vari libri americani dei quali dispongo ancora oggi, una piccola biblioteca di management: uno dei miei autori preferiti è stato ed è tuttora Peter F. Drucker, austriaco trapiantato in USA, riconosciuto e stimato guru di gestione aziendale. Di Drucker mi procurai due interessanti volumi degli anni ‘50-‘60, che ancora oggi conservo, The Practice of Management e The Effective Executive. Drucker aveva anche la rara prerogativa di riuscire a individuare i trend economici e finanziari mondiali e di renderli noti attraverso articoli sul futuro. Altri input di moderna gestione mi furono offerti da una antologia McKinsey The Arts of Top Management. Verso la fine egli anni ‘60 divenne molto noto Edward de Bono, un maltese che lanciò il concetto del Pensiero Laterale in un suo libro Lateral Thinking for Management. Egli sosteneva l’efficacia della decisione ponderata, a valle di varie ipotesi anche anomale e avventate, al posto della decisione immediata, apparentemente scontata ma spesso insoddisfacente. I suggerimenti di de Bono mi facevano ricordare il vecchio ingegner Lado, ex capo della sala prove del TIBB, il quale – come ho già ricordato – alle domande che noi nuovi assunti gli ponevamo non offriva quasi mai risposte immediate, ma le riservava per la sua successiva visita, dopo averci “pensato sopra”. Noi ragazzi, nonostante il rispetto per la sua competenza e anzianità, ci divertivamo di fronte a questa prudenza, che era in sostanza saggezza. Un altro libro che tratta l’arte della decisione è The Rational Manager, di Charles H. Kepner e Benjamin B. Tregoe, del 1965, ricco di esempi di problemi semplici e complessi e dei processi decisionali seguiti per la loro soluzione. Iniziai pertanto a tradurre dall’inglese articoli che ritenevo formativi – che riporto in nota (5) – per divulgarli ai miei collaboratori, abituati al tedesco, lingua del gruppo BBC, ma raramente istruiti nella lingua inglese. Non credo di essere clamorosamente smentito affermando che qualcuno di quegli articoli potrebbe contenere anche oggi un grano di validità gestionale: questo in quanto i parametri fondamentali (ordinato, fatturato, redditività e cash) continuano ad avere la priorità, e l’approccio delle persone al loro soddisfacimento si basa su comportamenti che non risentono molto del tempo trascorso. Ancora oggi mi sorprendo a constatare quanto siano validi – con adattamenti relativamente modesti – modelli di management applicati con successo negli anni ‘80. Uno di essi, secondo me, è quello della qualità, l’altro è quello della sicurezza. Negli anni ‘70 la cultura della qualità era limitata e poco diffusa. Il lavoro proseguiva passando da una mano all’altra, dando per scontato il rispetto della qualità, e contando sull’efficacia del controllo finale, che quasi sempre rivelava un numero consistente di difetti e la necessità di costosi interventi di ripristino. Non era affatto 147


IL “MIO” TECNOMASIO 10. Le divisioni escluso, anzi era un fatto scontato, che il cliente fosse costretto a subire le cosiddette “malattie infantili” del prodotto. Il fenomeno era generalizzato: per esempio ricordo i ripetuti interventi che ero costretto a chiedere al fornitore dell’ultima auto nel primo periodo dopo l’acquisto, per eliminare difetti che non avrebbero dovuto arrivare fino a me. La mia forte preoccupazione per i costi di ripristino, i ritardi di fatturazione e di incassi e la perdita di immagine, mi spinsero a decidere interventi formativi culturali, che mi furono suggeriti da due personaggi divenuti famosi in tutto il mondo nel campo della qualità: William Edwards Deming e Joseph Moses Juran. Deming aveva contribuito al miglioramento della produzione statunitense durante la Seconda Guerra Mondiale e si era prefisso la trasformazione dello stile manageriale occidentale, riducendo i suoi difetti attraverso la pianificazione del futuro e la previsione dei problemi, evitando sprechi di la-

Ancora oggi mi sorprendo a constatare quanto siano validi con adattamenti relativamente modesti - modelli di management applicati con successo negli anni ‘80. Uno di essi, secondo me, è quello della qualità, l’altro è quello della sicurezza.

voro umano, di materiali e di tempo. Le sue idee non avevano trovato in America sufficiente recepimento, mentre i giapponesi, afflitti da pesanti problemi di qualità, l’avevano accolto e praticavano i suoi dirompenti concetti di miglioramento della qualità pur riducendo i costi, del miglioramento continuo (kaizen) e del controllo statistico dei processi. Juran, ebreo romeno emigrato negli Stati Uniti e ingegnere elettrotecnico, predicava il con-

trollo statistico della qualità in termini ampi, prima con la Western Electric e poi come consulente. Nel 1954, indipendentemente da Deming, operò anch’egli in Giappone con corsi di quality management ai top e middle manager giapponesi. Ritornato in USA, nonostante le resistenze e insensibilità incontrate, ribadì la responsabilità primaria delle relazioni umane anche verso la qualità, e formò gli imprenditori sulla pianificazione, il controllo e il miglioramento della qualità. Riprendendo gli approcci di questi due precursori, con il responsabile della qualità, ingegner Cucciati, e la direzione Materiali, svolgemmo una radicale azione di normalizzazione dei materiali impiegati in produzione, unificandone al massimo l’impiego con riduzione delle voci e concentrazione su quelle mantenute, con vantaggiosi effetti scala. Con il supporto della società di consulenza Galgano, sulla base delle pratiche giapponesi introducemmo il concetto di “qualità totale” e curammo la formazione del personale. La qualità, lungi dall’essere una questione di controlli più o meno spinti, avrebbe dovuto diventare un comportamento abituale di tutti, un fatto culturale e un abito mentale. Ognuno avrebbe dovuto fare bene il proprio lavoro la prima volta, e consegnarlo al prossimo collega in condizioni perfette. 148


La problematica della qualità mi confermò un concetto che mi era già apparso decisivo: l’importanza che in qualsiasi circostanza derivava dai comportamenti delle persone era il parametro più delicato, che influenzava le situazioni e spesso produceva sorprese. Più tardi, a un seminario della Festo, imparai un concetto che mi sembrò interessante e che ancora oggi apprezzo: per un giudizio sommario ma non privo di una certa validità su un manager di rilievo, possono valere quattro semplici parametri: 1. cultura generale (lingue, arti, letteratura, …); 2. cultura specifica (ingegneria, vendite, produzione, service, …); 3. capacità di tradurre le proprie competenze in risultati per l’azienda; 4. comportamenti (empatia, relazioni interpersonali, …). All’inizio del mio periodo di lavoro, prevalevano i due primi parametri, e il potere veniva affidato a chi più “sapeva”, dando per certo che fosse anche in grado di produrre risultati; cosa che poteva non essere scontata. Ma il parametro decisivo, secondo la mia esperienza, è sempre stato l’ultimo, quello dei comportamenti. Ho incontrato manager culturalmente molto evoluti, ma incapaci di gestire se stessi, dipendenti e colleghi e quindi di produrre risultati. Dietro ai problemi ho spesso trovato causali relazionali e comportamentali, che mi costringevano ad agire più come improvvisato psicologo che come capo. L’esercizio di capire se stesso e le persone mi è sempre sembrato inevitabile e doveroso per un capo. Tornando alla qualità, la formazione dei dipendenti non diede risultati immediati, cosa non sorprendente date le resistenze e le consuetudini. Fummo pertanto costretti al passaggio intermedio di controllare a tratti l’avanzamento del lavoro, riducendo il gravoso impegno del controllo finale. Per la formazione degli impiegati, ma soprattutto degli operai lanciammo, con i rappresentanti sindacali, il programma dei “Circoli della qualità”, formati da team di operai dello stesso reparto, i quali, guidati da un leader, suggerivano azioni di miglioramento che venivano presentate e approvate dal management. Durante una cerimonia aziendale i miglioramenti venivano presentati dai leader dei Circoli e premiati con oggetti simbolici. Comunque l’impegno per combattere le carenze della qualità è molto sfidante, perdura ancora oggi, in quanto legato ai comportamenti individuali e collettivi che, come ben sappiamo, sono restii al cambiamento: unici rimedi restano la formazione e l’applicazione continua delle pratiche operative di miglioramento, fino, se possibile, all’acquisizione culturale. Nel capitolo relativo al mio rientro da Baden, al quale rimando, ho già accennato alla situazione relativa alla sicurezza, all’antinfortunistica e all’ambiente, che aveva già trovato in Ferri e Piazzi due capi convinti dell’importanza di questi argomenti, curati in modo specifico attraverso l’impegno di G.B. Mazzola. Nessuna sorpresa: il TIBB ha sempre promosso la valorizzazione del rapporto umano. All’epoca esistevano sulla materia due DPR, il numero 547 del 1955 e, per l’igiene del lavoro, il numero 149


IL “MIO” TECNOMASIO 10. Le divisioni 303 del 1956, mentre l’Ispettorato del lavoro venne istituito all’inizio degli anni ‘70. Mazzola nel 1963 aveva seguito un corso ENPI. Durante la mia permanenza alla Tecnica, negli anni ‘60, iniziai a rinforzare nella progettazione delle macchine la considerazione delle problematiche relative ai tre parametri fondamentali, collaborando con Ferri e Mazzola. L’imbragatura per il sollevamento e la movimentazione dei grossi componenti in produzione, la sicurezza nei trasporti via terra e via mare, in Italia e all’estero, l’impiego di materiali rispettosi della salute dei dipendenti, la sicurezza dei processi produttivi erano impegni che venivano soddisfatti con il contributo integrato di tutte le principali funzioni TIBB. Quando nel 1972 assunsi la responsabilità della Linea W, decisi di rendere strutturate e formalizzate a livello di linea tutte le attività relative a sicurezza, antinfortunistica e ambiente, istituendo corsi formativi e comitati a vari livelli. Questa attività venne intensificata e perfezionata 5 anni dopo, con l’assunzione della responsabilità divisionale e con la procura ricevuta. Ecco alcuni esempi dello sforzo organizzativo di allora per la sicurezza aziendale: Comitato di stabilimento. Da me presieduto, con il supporto dell’addetto alla sicurezza Mazzola e del medico di fabbrica, dottor Giorgio Gallo. Membri del Comitato erano i responsabili delle principali funzioni divisionali; Comitato di fabbrica. Presieduto dal dirigente di stabilimento. Membri, capi ufficio, preposti, capi reparto e capi cantiere; Comitato di reparto. Presieduto dal preposto. Membri, tutti i lavoratori subordinati. La direzione di divisione approntava 4 piani di prodotto; antinfortunistica, ecologia e urbanistica; programmazione della produzione; finanza dei processi produttivi. Obiettivi da perseguire nell’attività lavorativa in fabbrica erano la qualità di prodotto, il rispetto delle leggi, il rispetto delle consegne, il confronto costi-ricavi. Il piano dell’antinfortunistica si basava su legami organizzativi, documentazione, verifiche e correzioni. Il direttore di divisione presiedeva l’organizzazione gerarchica con il capo linea, il capo fabbrica e il capo reparto, l’organizzazione di staff di antinfortunistica con il capo servizio, il capo reparto e i reparti specializzati in presidi antinfortunistici. Poi vi erano i comitati antinfortunistici di divisione, di linea, di fabbrica e di reparto, con la presenza di un membro del servizio antinfortunistico (staff). Le riunioni erano periodiche e presiedute dai responsabili gerarchici. Il piano sanitario TIBB trattava i temi dell’antinfortunistica, dell’igiene del lavoro e dell’ecologia, e si basava su uno schema operativo di integrazione tra le funzioni tecnica e medica. 150


La copertura della sicurezza del lavoro così sistematicamente strutturata si rivelò efficace anche di fronte alla magistratura, coinvolta dai rapporti dell’ispettorato del lavoro a seguito di frequenti ispezioni in stabilimento. I rilievi verbalizzati dagli ispettori Pirillo e Fino in tutti i reparti, tra i quali quelli delle trance e presse, costituivano uno sprone a una rapida sistemazione e a un pronto miglioramento da parte nostra, anche se talvolta comportavano un processo in Pretura nel quale il sottoscritto risultava sempre prosciolto per merito non solo della comprovata sensibilità e preparazione generalizzata esistente al TIBB, ma soprattutto dell’approccio sistematico e strutturato istituito e praticato nell’ambito della sicurezza del lavoro. In presenza di leggi ancora limitate, riuscivamo a convincere la magistratura che ricercavamo e applicavamo tutte le pratiche e i dispositivi allora disponibili a favore della sicurezza, precorrendo talvolta i tempi e introducendo inedite soluzioni specifiche per particolari circostanze. Tutto questo panorama che ci vedeva moderatamente soddisfatti venne improvvisamente devastato da un grave incidente, il 14 dicembre 1977. In una fossa della Campata 17 lo statore di un turboalternatore, posato verticalmente sul fondo, necessitava di alcuni lavori di saldatura sulla sua sommità, situata a circa 4 metri di altezza dal pavimento. Il capo reparto diede istruzioni ad un operaio di salire in sicurezza sullo statore per installare circolarmente un grosso canapo di protezione contro l’eventuale caduta del saldatore, il signor Luigi Mombelli (Gino per i colleghi di lavoro) originario di Dovera, paesino vicino a Lodi, che si apprestava a salire. Durante le

Quando nel 1972 assunsi la responsabilità della Linea W, decisi di rendere strutturate e formalizzate a livello di linea tutte le attività relative a sicurezza, antinfortunistica e ambiente, istituendo corsi formativi e comitati a vari livelli.

operazioni di saldatura, Mombelli, in condizioni precarie di equilibrio, si appoggiò con la schiena contro la protezione, la quale, purtroppo, non era costituita dal robusto canapo previsto, ma da una catenella di plastica dagli anelli bianchi e rossi, del tipo abitualmente usato per semplici delimitazioni di spazi e certamente inadatta a reggere anche minimi sforzi. Mombelli cadde da circa 4 metri e fu immediatamente soccorso e portato in gravi condizioni all’Istituto Ortopedico. Qui venne tenuto in cura per circa un mese. Quando cominciavamo a sperare in una sua guarigione, avvenne il peggioramento e il successivo decesso. Gino Mombelli aveva 54 anni e lasciava la moglie e 4 figli di cui una in tenera età. Il processo per omicidio colposo venne tenuto nei confronti di Protti (capo fabbrica), di Ferri (capo dell’ingegneria industriale), del capo reparto e del sottoscritto. Nonostante l’efficace difesa del nostro avvocato Magliucci, il capo reparto venne considerato come unico responsabile e condannato a tre mesi con la condizionale per 151


IL “MIO” TECNOMASIO 10. Le divisioni non avere controllato che l’ordine da lui impartito fosse stato correttamente eseguito. Egli dichiarò di essere stato istruito in materia di sicurezza e di avere partecipato ai corsi di formazione del TIBB. Protti, Ferri ed io fummo prosciolti. La vicenda di Mombelli pesò come un macigno su di noi e ci spinse a intensificare ancora gli sforzi per aumentare la consapevolezza di tutti e otte-

La vicenda di Mombelli pesò come un macigno su di noi e ci spinse a intensificare ancora gli sforzi per aumentare la consapevolezza di tutti e ottenere comportamenti esemplari. Potenziammo pertanto le attività formative a tutti i livelli.

nere comportamenti esemplari. Potenziammo pertanto le attività formative a tutti i livelli, dirigenti, dipendenti e preposti. Istituimmo corsi tenuti da persone esterne qualificate in ambito non solo di qualità, ma anche legale con il giudice Giovanni Perotti e il medico legale Marubeni. Per l’ambiente utilizzammo anche i pareri del principe del foro Giandomenico Pisapia, padre del Sindaco di Milano Giuliano. Mazzola contribuiva anche alla gestione del

patrimonio immobiliare. Con molto impegno riuscimmo a raggiungere un eccellente livello di consapevolezza e di condivisione dei comportamenti, congiuntamente a un approccio ben strutturato di gestione della sicurezza del lavoro, riconosciutoci anche dal sistema di vigilanza e controllo e dalla stessa magistratura.

CONTINUITÀ DEL BUSINESS Dal punto di vista del business, il 1979 visse purtroppo un secondo shock petrolifero, provocato da due cause: la rivoluzione islamica in Iran, con rovesciamento del governo filo-occidentale dello Scià Reza Pahlavi e l’affermazione di una teocrazia sciita; e, di lì a poco, la guerra Iran-Iraq del 1980. Tutto questo produsse effetti negativi a livello mondiale, con una riduzione della potenza delle centrali termiche e delle potenze unitarie dei loro componenti. Le centrali abitualmente costituite da quattro turbogruppi da 250 MW, per un totale di 1.000 MW, cedettero il passo a potenze inferiori. Inoltre, sparirono le richieste di macchine di sempre crescente potenza unitaria. In riunioni a Baden in tempi precedenti lo shock avevamo esaminato studi di fattibilità per un prototipo di turbo da 2.500 MVA, con raffreddamento a liquido nello statore e nel rotore e avvolgimenti in materiali sovra conduttori. Gli eventi provocarono ben presto l’abbandono di questi programmi. Nel 1980 la messicana Fertimex ci ordinò per Queretaro un turbo di media potenza accoppiato a turbina Tosi e, insieme a Borsig, ottenemmo l’ordine di un turbo da 60 MVA per Münster in Germania. Due importanti ordini ci vennero dall’ENEL per la centrale di generazione e pompaggio di Presenzano con un generatore-motore da 300 MVA, 12 kV, 50 Hz, 428 giri/minuto, e dall’AMN di Milano per la centrale di Ponti sul Mincio, un 152


turbo da 190 MVA, 15 kV, accoppiato, come la macchina di Cassano, a turbina Ansaldo. Nel 1980 mi trovavo a Filadelfia con una delegazione dei costruttori italiani della centrale di Zerqa in Giordania: Breda per la caldaia e Escher Wyss per la turbina. Il consulente del cliente, la Jordan Electricity Authority, era la Kuljian di Filadelfia, la quale aveva indetto una riunione con il cliente e i costruttori per discutere tutti i dettagli di fine commessa. A parte un piccolo inconveniente vissuto durante un trasferimento a piedi dall’albergo al ristorante (eravamo stati bonariamente sfottuti da un gruppetto di neri) tutto procedeva bene. Verso la fine dei colloqui ricevetti da Milano un messaggio che mi raccomandava di effettuare al più presto un viaggio a Buenos Aires per contattare la locale BBC guidata dall’ingegner Tosi e concordare con lui una offerta alla FIAT argentina di Cordoba per un turbo da circa 40 MVA, accoppiato a una turbina a gas FIAT. Liberatomi dalla riunione della Kuljian, cercai un volo per Buenos Aires, ma mi fu raccomandato di recarmi a Miami, città con forti legami con l’Argentina. Lì trovai un imbarco su un volo misto passeggeri-cargo, che mi incuriosì. L’aereo avrebbe fatto scalo a Bogotá in Colombia e a San Salvador de Jujuy, una cittadina argentina al confine con il Cile e la Colombia. La cosa mi incuriosì ulteriormente! A bordo feci amicizia con due giovani argentini, che mi diedero una spiegazione. In Argentina, e in particolare a Buenos Aires, la situazione economica non era positiva e gli elettrodomestici non si trovavano che a prezzi troppo alti. Pertanto un gruppetto di famiglie pagava a un pensionato il viaggio a Miami per l’acquisto degli elettrodomestici più moderni e a buon mercato; il pensionato ovviamente caricava tutto sullo stesso volo. Il nostro volo procedette bene fino a Jujuy, dove arrivammo verso le 23 ora locale. L’attesa per il reimbarco per Buenos Aires si fece lunga, e alla fine apprendemmo di un guasto al carrello, che si tentava di riparare. Il comandante del nostro aereo, per calmare le proteste dei passeggeri, ci offri tutti i viveri e le bevande esistenti a bordo fino all’arrivo di un aereo supplementare che ci portò a Buenos Aires alle 7 del mattino. Lo stesso giorno ebbi un proficuo colloquio con Tosi per stabilire il modo di procedere con FIAT per l’offerta. Restai qualche giorno e la fine settimana mi consentì una visita a San Isidro nei dintorni di Buenos Aires. A cena da Tosi conobbi suo figlio, allora ragazzo, che molti anni dopo ebbi occasione di incontrare casualmente come dipendente presso la BBC CH e che si trasferì poi alla ABB italiana, prima a Lodi e poi a Sesto San Giovanni. L’offerta alla FIAT Argentina portò all’ordinazione dal cliente finale EPEC di un turbo da 42,2 MVA, 13,2 kV, 50 Hz, 3.000 giri/minuto. Il Teilbereich BBC di cui facevo parte, aveva sviluppato negli anni ‘70 una nuova serie di turboalternatori di potenza media WX e WY, che erano competitivi sui mercati internazionali. Dopo l’acquisizione da parte di BBC di una azienda americana, la 153


IL “MIO” TECNOMASIO 10. Le divisioni Turbodyne, costruttrice di turboalternatori della stessa taglia, fui incaricato di una visita all’azienda per un giudizio tecnico sulle loro macchine e sulla possibile necessità di sostituzione con la nostra nuova tecnica dei WX-WY. L’azienda si trovava a St. Cloud, una cittadina nei pressi di Minneapolis, famosa nel mondo per i cereali e l’industria molitoria. Il viaggio a febbraio mi portò nell’abbondante neve della pianura di St. Cloud, povera di diversivi serali. I capi della società si invitavano a rotazione a cena tra loro, e io ero ospite d’elite, in quanto italiano. Quasi tutti stavano pianificando un viaggio in Italia per la successiva estate ed erano molto interessati ai miei consigli su visite a città e a monumenti d’eccellenza. Il loro capo aveva otto figli, sei dei quali sparsi in America e nel mondo. Prima di iniziare la cena vi era un incessante susseguirsi di telefonate familiari. Talvolta, nel bel mezzo di una cena tra colleghi, rientrava stravolto il marito della signora ospitante, reduce da un ampio tour in qualità di responsabile delle vendite della società, e pronto a ripartire dopo qualche ora di sonno. Coprire con successo il vasto mondo americano dei clienti comportava sicuramente un grande sforzo intellettuale e fisico; la mia già forte simpatia per il mondo economico americano continuava a crescere. Fui tuttavia sorpreso dalla modestia, per non dire carenza, tecnologica incontrata nella valutazione tecnica e produttiva delle macchine costruite. Soprattutto il sistema di isolamento e di ancoraggio degli avvolgimenti non era moderno e soddisfacente. A seguito del mio rapporto, Birrfeld decise la sostituzione della tecnica locale con quella della serie WX-WY.

HALIFAX, CANADA Nel 1966 la BBC Canada ci aveva ordinato un alternatore idraulico per la centrale di Lequille, non distante da Halifax in Nova Scotia, sulla Costa atlantica del Canada. Dopo anni di buon funzionamento, BBC Canada ci informò che la macchina, targata 13 MVA, 6,9 kV, 60 Hz, 514 giri/minuto, aveva subito un guasto alla piletta, il cuscinetto reggispinta che sostiene il peso di tutte le parti rotanti.

Era inverno e, a causa del rischio nebbia, fui costretto a partire da Parigi con l’Air Canada per Montreal, dove mi avrebbe atteso un ingegnere della BBC canadese per accompagnarmi in un secondo volo a Halifax.

Come causa, il cliente canadese presumeva le correnti vaganti, che avrebbero danneggiato i pattini della piletta. L’ipotesi ci appariva poco credibile, in quanto le correnti vaganti, causate da carenze di isolamento, non sono facilmente riscontrabili e i loro danni non sempre sono gravi. Comunque il cliente richiedeva la nostra presenza per la constatazione e fu deciso che me ne occupassi io.

Era inverno e, a causa del rischio nebbia, fui costretto a partire da Parigi con l’Air Canada per Montreal, dove mi avrebbe atteso un ingegnere della BBC canadese per accompagnarmi in un secondo volo a Halifax. 154


Arrivato a Montreal, con il mio giovane accompagnatore fummo costretti, causa nebbia, a prendere un volo per Moncton, distante qualche centinaio di chilometri dalla nostra meta Halifax. Il trasferimento in pullman da Moncton all’aeroporto di Halifax avvenne di notte in una fitta nebbia. Da qui in auto arrivammo a Lequille, dove fummo alloggiati in un ottimo residence. Il giorno dopo iniziammo l’ispezione alla macchina, e la causa del guasto fu molto presto individuata. L’alternatore era raffreddato con aria in circuito aperto: qualche giorno prima una violenta tempesta di neve aveva abbassato la temperatura dell’aria fino al punto di congelare l’acqua di raffreddamento nella serpentina della piletta, con conseguente danneggiamento per sovratemperatura dei pattini. Le correnti vaganti non erano assolutamente la causa, in quanto nessuna carenza di isolamento fu accertata; eppure, il cliente pretendeva il ricambio, fuori garanzia, dei pattini. In sostanza trovai una scarsa sensibilità e conoscenza dei problemi tecnici e un’atmosfera poco amichevole. Il giovane canadese della BBC locale non fu di grande aiuto, anche per una tendenza all’alcool. Le uniche soddisfazioni erano le mangiate di pesce fresco che il padrone del residence, amico degli italiani, ci preparava quando emergevamo dalla centrale. Le discussioni ad Halifax con il cliente finale portarono ad una transazione sui costi della sostituzione e del rimontaggio dei nuovi pattini. Il viaggio mi permise di avere una prima visione della Nova Scotia e di Halifax, splendido territorio di vacanze, con una marea di vari metri, i bianchi fari e le pittoresche casette di legno, tanto suggestive e così a rischio di incendio. Ricordo con nostalgia altri viaggi in Canada con Di Renzo per varie commesse, anche in inverno a Montreal con il San Lorenzo ghiacciato, e qualche atterraggio della Swissair nella tormenta. Montreal mi è sempre piaciuta per la sua impronta bilingue, più francese che inglese, e quella sua aria di tranquilla opulenza. Quando nel 1980 la divisione Impianti di Uccelli fu riorganizzata, la divisione 1 assunse la responsabilità del business delle sottostazioni e degli impianti termici di piccola potenza; ci trovammo così a confronto con nuove situazioni di mercato e nuove criticità. Accanto alla struttura di vendita del mercato italiano, presieduta da Boggiali e dai suoi validi collaboratori Guarneri e Bassi, si affiancò quella del personale della D2, e l’ingegner Gianni Lentati divenne mio vice. Come appare da tutta la vicenda del TIBB, l’istituto della vice direzione – oggi praticamente scomparso – era allora molto in uso e riconosciuto come stadio della dirigenza preparatorio alla responsabilità di piena direzione. I vantaggi di avere un vice potevano tuttavia essere attenuati dal rischio della duplicazione del vertice (la famosa “aquila bicipite” dell’Impero austro-ungarico). I dipendenti avrebbero potuto “scegliere” tra due capi quello a loro più congeniale, creando confusione di responsabilità. Pertanto Lentati ed io decidemmo che la 155


IL “MIO” TECNOMASIO 10. Le divisioni Linea Apparecchi, allora in difficoltà di risultati, fosse da lui direttamente gestita, anche come utile esperienza di management. Ancora oggi l’abbinamento nella stessa persona di due diverse responsabilità è applicata a favore dell’apprendimento manageriale di persone particolarmente dotate e performanti. Lentati, dotato di una mente brillante, era molto attento ad ogni possibile sviluppo di business per la Linea e la divisione, anche se i problemi della Linea Apparecchi erano impellenti. Ogni giorno eravamo impegnati in pesanti azioni migliorative; per rincuorarci avevamo escogitato una battuta: “Oggi abbiamo fatto un passo indietro?”. Chi ci sentiva diceva stupito: “Come? Fate i passi indietro invece che in avanti?”. E noi rispondevamo: “Certo, davanti c’è il baratro”. Il business delle sottostazioni, presieduto dall’ingegner Accornero e dai suoi collaboratori, Iemmi, Camurri, Lagalante, Gavioli, Busoni, Monticelli, Teretti, Sangregorio, presentava la parte preponderante soprattutto sui mercati di esportazione. Eravamo presenti in Iran dai tempi dello Scià e, dopo la rivoluzione, avevamo ripreso la nostra presenza sia con sottostazioni tradizionali, in qualità di co-fornitori insieme all’omologo settore svizzero, sia con sottostazioni mobili, delle quali eravamo single source nel Gruppo BBC. La storia delle sottostazioni mobili merita di essere rapidamente ricordata. A metà degli anni ‘30 le Ferrovie dello Stato italiane avevano lanciato l’idea di contrastare i rischi di interruzione del servizio per mancanza di tensione ricorrendo a sottostazioni complete, montate su carrelli e fa-

Come appare da tutta la vicenda del TIBB, l’istituto della vice direzione - oggi praticamente scomparso - era allora molto in uso e riconosciuto come stadio della dirigenza preparatorio alla responsabilità di piena direzione.

cilmente trainabili da un locomotore lungo la linea ferroviaria per raggiungere rapidamente il luogo del guasto e ripristinare il servizio. Il Tecnomasio aveva costruito per le FS le prime sottostazioni mobili per assistenza al Nord, al Centro e al Sud. Da questo inizio, e con alterne vicende, il TIBB era rimasto attivo nel settore e continuava a proporre le soluzioni mobili non solo in Italia ma soprattutto in Paesi che neces-

sitavano di opere di ricostruzione e in casi quali, per esempio, la costruzione di un nuovo stabilimento in un sito con disponibilità di una linea di trasmissione ma privo di una sottostazione. L’idea di poter rapidamente disporre di una sottostazione completamente montata, provata in fabbrica e trasportata da una motrice su strada, era molto allettante anche per la grande semplificazione delle opere civili richieste, in pratica limitate a semplici piazzole di fondazione al posto delle ruote e alle canalette di percorso dei cavi di collegamento. 156


Anche la sala controllo era situata in una mobile. In assenza di allocazioni all’export di nostri prodotti, il fatto che fossimo gli unici nel Gruppo a costruire questo tipo di stazioni ci conferiva il diritto di esportazione in tutti i Paesi del mondo.

ABIDJAN, COSTA D’AVORIO Poco tempo dopo l’insediamento nel nuovo business della divisione Impianti, un cliente di Abidjan, in Costa d’Avorio, richiese la nostra presenza per la soluzione di alcuni problemi maturati nella precedente gestione. Inoltre lo stesso cliente avanzava pesanti richieste relativamente a un dispacciatore fornito dalla BBC svizzera. Avevo già sentito parlare di difficoltà sorte in questa speciale categoria di forniture, dedicata alla programmazione continua delle reti e al mantenimento di un equilibrio tra le mutevoli domande di energia e le capacità di copertura disponibili. Il problema con il cliente africano era ritenuto di tale gravità da necessitare un intervento da parte della direzione di BBC. Ad Abidjan esisteva un bureau tecnique BBC, presieduto dall’italiano Giuseppe Ragagnin: con il cliente venne concordata la presenza congiunta di BBC e del TIBB in sito per la risoluzione delle relative pendenze. Il livello elevato della presenza BBC consigliò che mi occupassi io della questione, e mi fu prenotato un volo per Abidjan con un primo scalo a Ginevra per accogliere il direttore BBC. Per l’occasione e in via assolutamente eccezionale venne riservato anche a me un posto in prima classe. All’arrivo ad Abidjan feci la conoscenza di Beppe Ragagnin, persona simpatica ed estroversa, con la quale il rapporto presto sfociò in amicizia. Viveva con la moglie e i due figli in una villa e faceva parte della comunità italiana formata da persone con incarichi elevati in aziende private e pubbliche. La città mi aveva impressionato per i suoi grattacieli e l’impronta occidentale lasciata dai francesi. Dopo un’accurata preparazione, decidemmo di affrontare il cliente separatamente: Ragagnin e io in poche ore di colloqui raggiungemmo un pieno accordo con il cliente, un giovane manager con un’elegante sahariana che, nella calura pomeridiana, contrastava con i nostri comuni vestiti civili e le nostre cravatte. La riunione per il dispacciatore, che si tenne il giorno dopo e alla quale fui invitato a partecipare, fu molto diversa. Il presidente e il direttore generale del cliente furono particolarmente determinati, con modi al limite dell’aggressività e del dileggio. Alla fine fu raggiunto un accordo, ma l’impressione che avevo ricevuto dal trattamento che ci era stato riservato rimase a lungo negativa. Ancora una volta fui convinto della necessità di risolvere possibilmente all’inizio i problemi, evitando pericolose lungaggini, e affrontando il cliente a un adeguato livello di management. Ad Abidjan ebbi anche l’occasione di incontrare il tecnico Rinaldi, perennemente in trasferta per la messa in servizio di sottostazioni: con lui ebbi poi numerose occa157


IL “MIO” TECNOMASIO 10. Le divisioni sioni di lavoro soprattutto in Iran, dove aveva addestrato con successo anche personale locale. Nei pochi giorni passati in Costa d’Avorio visitammo con Ragagnin la spiaggia dove pochi mesi prima era purtroppo annegato un montatore del TIBB durante un fine settimana. I numerosi inviti della famiglia Ragagnin, i colloqui con i figli studenti ad Abidjan e i rapporti con Beppe avevano creato tra noi un clima di viva amicizia. Alla mia partenza venni accompagnato da tutta la famiglia all’aeroporto. Quando attraversai il passaggio per l’imbarco, un enorme soldato di colore mi fermò e mi disse: “Saluez encore une fois votre famille!”. Mi aveva preso per il nonno che partiva. Io mi girai e li vidi tutti ancora schierati a salutarmi, e mi sentii veramente uno di famiglia. Da Abidjan la Sabena mi portò a Bruxelles, dove risiedeva il consulente del cliente, con il quale avevo programmato un colloquio informativo sulla avvenuta risoluzione delle pendenze.

MADEIRA... E ANCORA CANADA Un’altra singolare opportunità negli anni ‘80 ci venne offerta dalla Techint per una centrale di piccola potenza nell’Isola di Madeira, famosa per la sua straordinaria e celebrata flora e per il turismo. Il dottor Gianfelice Rocca, appena rientrato in Italia dall’Argentina, proponeva un incontro con la Municipalità dell’isola, allo scopo di definire i contorni di un possibile nuovo impianto di generazione alimentato con combustibile offerto dal governo portoghese. L’impianto avrebbe dovuto sostituire la centrale esistente, equipaggiata con gruppi diesel-generatori, e avrebbe dovuto essere alimentata sia a combustibile tradizionale sia a polverino di carbone. Il main contractor Techint si sarebbe appoggiato alla rinomata società di consulenza Borghi e Baldo per la progettazione e l’inge-

Oggi il tema shale gas e shale oil è di risonanza mondiale per gli straordinari sviluppi raggiunti negli Stati Uniti. Tuttavia i lontani anni ‘80 ci videro già coinvolti in un tentativo di affrontare questo business.

gneria, alla Tosi per la turbina e al TIBB per l’alternatore. Accettammo l’invito e partimmo da Milano con un turbojet prestato alla Techint dalla Danieli, allora guidata dalla signora Cecilia. A bordo eravamo cinque passeggeri, interessati durante il volo, oltre alle discussioni di business, anche a seguire i continui colloqui del copilota con le strutture di volo a terra. Facemmo uno scalo di qualche ora a Lisbona per una riu-

nione con alcuni rappresentanti locali, e proseguimmo per l’isola in Atlantico. Dopo un atterraggio su una stretta pista, durante il tragitto in auto verso la capitale Funchal potemmo ammirare il tanto decantato paesaggio ricco di una splendida vegetazione 158


tropicale. Io ricordavo che durante la Seconda Guerra Mondiale Churchill, per riaversi dallo stress della guerra, mobilitava la Royal Air Force per farsi trasferire a Funchal in un albergo dove riposava qualche giorno dipingendo. Naturalmente, a viaggio felicemente concluso, l’evento veniva celebrato come una beffa al nemico. A cena apprezzammo anche il famoso “vino verde” dell’isola. Purtroppo però i colloqui con il cliente non sortirono risultati positivi, a causa di difficoltà di reperimento del carbone portoghese. In realtà, fin dall’inizio, mi era sembrato strano che in una isola celebrata in tutto il mondo per turismo e straordinaria vegetazione potesse essere tollerato l’uso di un combustibile inquinante come il carbone. Però un invito della Techint e del dottor Rocca non potevano essere disattesi. Oggi il tema shale gas e shale oil è di risonanza mondiale per gli straordinari sviluppi raggiunti negli Stati Uniti. Tuttavia i lontani anni ‘80 ci videro già coinvolti in un tentativo di affrontare questo business. Baden ci invitò a partecipare a un contatto con un cliente canadese di Calgary nell’Alberta, che era interessato allo sfruttamento delle sabbie petrolifere della regione. Venne costituita una piccola delegazione BBC, nella quale io avrei rappresentato il TIBB. Il programma prevedeva un incontro preliminare della delegazione il sabato presso la BBC di Montreal e il proseguimento per Calgary la domenica successiva con un volo del pomeriggio. L’incontro con il cliente era programmato per il mattino di lunedì. Con la mia prenotazione sul volo Alitalia del sabato mattina, allo sportello di Milano per il trasferimento alla Malpensa fummo informati che la partenza era cancellata per uno sciopero dei piloti e che saremmo stati trasferiti in treno a Zurigo per partire la domenica mattina per Montreal con un volo Swissair. Presentate le richieste del mio programma in Canada, mi venne assicurato il proseguimento per Calgary della domenica pomeriggio sullo stesso volo dei miei colleghi. Mi venne anche fornito il nome del funzionario Alitalia a Montreal che si sarebbe preso cura di me. I passeggeri che avevano accettato come me il trasferimento a Zurigo erano in tutto una trentina e io, grazie al mio lungo soggiorno in Svizzera, divenni in pratica la loro guida, soprattutto per motivi di lingua. Erano quasi tutti italiani residenti in Canada, molti a Toronto, e rappresentavano lo spaccato di una Italia interessante. Conobbi i figli di un imprenditore italiano che aveva molti clienti in Canada nel campo dei serramenti per porte e finestre e che, per meglio servire la sua clientela, aveva deciso di creare un’azienda locale a Toronto. I suoi figli, laureati, si recavano in loco per aiutarlo e non escludevano in futuro la creazione di una seconda azienda negli Stati Uniti. Il viaggio in treno e la cena in un albergo prossimo all’aeroporto di Kloten, ospiti dell’Alitalia, rinsaldarono le amicizie. Un tranquillo signore di mezza età mi mostrò il suo passaporto, completamente costellato di timbri. Era l’uomo 159


IL “MIO” TECNOMASIO 10. Le divisioni dell’export di una piccola fabbrica di torni di Camerlata, presso Como, che viaggiava circa sei mesi l’anno in tutto il mondo. Io mi soffermavo a pensare alla incredibile intraprendenza, flessibilità e disponibilità espresse da aziende minori, spesso con risorse finanziarie limitate, ma dotate di ammirevole spirito imprenditoriale e di alta dedizione ai clienti, sostenute da dipendenti immedesimati negli obiettivi aziendali. Tutto questo mi confermava l’importanza della promozione e del mantenimento dello stesso spirito anche al TIBB, che ne era dotato per lunga tradizione, ma che le mutate circostanze rischiavano di minacciare. Il volo della Swissair del giorno dopo mi portò in orario allo scalo di Montreal, dove il gentilissimo funzionario di Alitalia che mi era stato indicato a Milano mi attendeva, lieto di aver contribuito al mantenimento del mio programma. Attesi in aeroporto i miei colleghi, e ripartimmo per Cal-

Io mi soffermavo a pensare alla incredibile intraprendenza, flessibilità e disponibilità espresse da aziende minori, spesso con risorse finanziarie limitate, ma dotate di ammirevole spirito imprenditoriale e di alta dedizione ai clienti.

gary. Qui imperversava una tormenta, con 22 gradi sotto zero, che mise a dura prova i nostri abbigliamenti europei, privi delle pellicce fino alle caviglie e dei berretti di pelo. I colloqui del giorno dopo con il cliente non furono positivi, in quanto i suoi consulenti americani, rifatti i conti, erano giunti alla conclusione che il prezzo basso del petrolio non giustificava gli alti costi dell’investimento. Alcuni colleghi approfittaro-

no della vicinanza delle Montagne Rocciose per qualche giorno di ferie. Io rientrai il giorno dopo a Montreal e mi presentai al desk di Alitalia. Il solerte funzionario che avevo già incontrato con vivo rammarico mi informò che anche questa volta il mio volo era cancellato. Dopo vari suoi infruttuosi tentativi di farmi arrivare in tempo a Filadelfia o a New York per imbarcarmi in uno di questi scali su un volo Alitalia per Malpensa, accettò a malincuore il mio trasferimento su un regolarissimo volo Swissair per Zurigo. Gli anni ‘80 ci portarono qualche ordine dall’ENEL per macchine di taglia medio-piccola, per le centrali di Acceglio (1981) e Predare (1982) seguiti nel 1984 dall’importante ordine di due turboalternatori, ciascuno della potenza di 750 MVA, per la centrale di Brindisi Sud. La Comision Federal de Electricidad messicana ci ordinò nel 1982, per il laboratorio di Irapuato, un generatore di corto circuito analogo a quello fornito al CESI, mentre nel 1984 la Tanesco di Dar Es-Salam in Tanzania affidò al TIBB la costruzione di due generatori idroelettrici ad asse verticale per la centrale di Mtera, ciascuno targato 45 MVA, 11 kV, 50 Hz, 300 giri/minuto.

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EMERGENZA IN TANZANIA Alcuni anni dopo, durante la messa in servizio di una di queste macchine, avvenne un fatto increscioso, che avrebbe potuto avere conseguenze molto gravi. A quel tempo il dottor Gallo, giovane medico sostituto del dottor Pasetti, prestava servizio presso l’ambulatorio di fabbrica di Piazzale Lodi. Verso le undici di mattina di un venerdì, dall’ingegner Sauro Ripamonti, succeduto all’ingegner Baldi in sala prove e che gestiva il personale di cantiere all’estero, venne la richiesta di alcune sacche di sangue per un nostro lavoratore, il signor Caserini, che si trovava in Tanzania, sul cantiere di Mtera, lontano da tutto, e presentava una grave anemia. A questa richiesta Gallo rispose di volere un contatto con il sanitario responsabile dell’assistenza sul cantiere, nel quale lavoravano centinaia di persone. I contatti telefonici erano molto difficili: a Mtera funzionavano solo tre numeri di telefono, dei quali uno per l’infermeria. Trovata con fatica una linea, Gallo riuscì a parlare con il sanitario responsabile, un italiano, che tuttavia non fu in grado di spiegargli i motivi di quella grave anemia. Intanto il tempo passava ed era ormai pomeriggio inoltrato. Il dubbio del giovane medico era: se non si conoscevano le cause dell’anemia e non si poteva curare, che senso avrebbe avuto inviare sacche di sangue? E quante poi? Tra l’altro erano allora gli anni nei quali l’AIDS poteva contaminare il sangue, senza possibilità di evidenza. Quindi prese la decisione, sicuramente azzardata e rischiosa ma per lui inevitabile a causa dei difficilissimi contatti con il cantiere, di fare rimpatriare Caserini. Solamente in questo modo si sarebbe potuto curarlo. Gallo trasmise a Ripamonti la sua decisione e venne subito contattata la Europe Assistance per la messa a disposizione di un aereo sanitario attrezzato. Il TIBB aveva con la Europe Assistance convenzioni assicurative, ma non per la Tanzania. Il preventivo era di molte decine di milioni di lire. Io venni avvertito verso le sette di sera e trovai in ditta il mio collega responsabile per il personale, dottor Scarsi. Entrambi firmammo senza esitazione l’ordine per il rimpatrio. Poco dopo partiva per Nairobi l’aereo sanitario con due anestesisti rianimatori e tutto l’occorrente, sangue compreso, mentre da Nairobi partiva un flying-doctor per il piccolo, quasi inesistente aeroporto di Mtera. Nel tempo impiegato dal nostro aereo per atterrare a Nairobi, il flying-doctor accompagnava Caserini a Nairobi. Sabato pomeriggio giunse la notizia che il nostro aereo sarebbe atterrato alla Malpensa e che Caserini sarebbe stato portato al San Raffaele. Tutti eravamo in ansia, in particolare il dottor Gallo, tormentato per 36 ore dai dubbi per aver preso una decisione di quella portata in assenza di una chiara diagnosi e di precise notizie. Al San Raffaele ad attendere Caserini c’era lo stesso Gallo, sostenuto e confortato dall’addetto alla sicurezza Mazzola. Caserini era arrivato in ambulanza in gravissime condizioni, nonostante le cure e le trasfusioni praticate già dalla partenza da Nairobi. 161


IL “MIO” TECNOMASIO 10. Le divisioni Gli esami del sangue erano da record negativo: meno di un milione di globuli rossi (valori normali da 4,5 a 6 milioni) e meno di 4 di emoglobina (la norma è superiore a 14, con 8 si trasfonde). Un nugolo di medici si interessò subito al paziente, che fu salvato. Aveva diverse ulcere sanguinanti allo stomaco e non sarebbe stato possibile curarlo né in Tanzania né in Kenya. Finalmente il dottor Gallo poté riposare: la sua decisione era stata giusta e la squadra aveva fatto con successo quello che andava fatto. Caserini migliorò in pochi giorni.

IRAN Appena preso in carico dalla ex divisione Impianti il nuovo business delle sottostazioni, i colloqui con tutto il nuovo personale mi convinsero della necessità di mantenere, almeno per il momento, le responsabilità di business in essere. Tuttavia riscontrai la necessità della messa in sintonia, alquanto delicata, tra le due culture, quella dei prodotti e la nuova acquisita dei sistemi. La differenza tra i due tipi di business è generalmente attribuita alla gestione per commessa, ritenuta più complessa per un sistema che per un prodotto, anche se un prodotto di elevato livello come un turboalternatore da 750 MVA, con centinaia di componenti e di sottosistemi, non si discosta molto da un sistema complesso. Ma l’impressione più forte che mi procurò la nuova acquisizione fu la nostra diffusa presenza in Iran. Come inizio, congiuntamente con il nostro partner, l’omologo ufficio di BBC Svizzera, dovemmo risolvere un contenzioso nato con un’altra azienda italiana, nostra fornitrice per le sottostazioni della Western Interconnection, a circa 150 chilometri da Teheran. Tuttavia il grosso del nostro business, come già detto, era legato alle sottostazioni mobili. La cooperazione era iniziata da parte della ex divisione Impianti ai tempi dello Scià, era rimasta bloccata durante la rivoluzione, ma era stata subito ripresa a valle dell’insediamento del nuovo regime di Khomeini. Il TIBB aveva aperto una branch, gestita in loco dal signor Picchioni, un giovane attivo e intraprendente, che si era ambientato nel Paese, imparando anche la lingua locale, il farsi. La BBC a Teheran aveva un ufficio molto importante, legato soprattutto agli interessi di Mannheim per le centrali termiche, che avevano già fruttato importanti ordini di centrali complete. L’ingegner Accornero era riuscito a stipulare con l’ingegner Liebert, un tedesco a capo della BBC locale, un agreement relativo a risorse in loco per il nostro business. Tre dipendenti di buon livello, due armeni e un ebreo, sarebbero rimasti nello stesso ufficio, ma avrebbero lavorato per il TIBB, che avrebbe coperto i costi. La soluzione si era rivelata efficace: Picchioni e i tre nostri validi collaboratori, pur restando inseriti nella struttura locale, contribuivano al nostro successo. Ancora oggi mi sembra un modo intelligente di curare i nostri interessi in Paesi di 162


esportazione: un resident engineer coadiuvato da collaboratori locali, in un gioco di squadra che comporta flessibilità e apertura da parte nostra e dell’unità locale. Ben presto si presentarono occasioni per una mia presenza sul posto, sia per la definitiva chiusura di qualche importante commessa, sia, e soprattutto, per nuove acquisizioni di ordini. La copertura energetica dell’Iran avveniva attraverso il Tavanir, l’Ente elettrico nazionale con tensioni elevate, e le aziende elettriche municipalizzate, con tensioni più ridotte. Il primo ordine di una mobile fu conferito al TIBB dalla municipalizzata del Kerman. Il buon esito della commessa e l’apprezzamento del cliente contribuirono alla diffusione degli ordini da parte di altre aziende. Erano i tempi della guerra con l’Iraq, della quale avevamo testimonianze evidenti: una parte dell’aeroporto di Teheran riservata ai caccia militari, i funerali di decine di giovani caduti e il numero di feriti a bordo degli aerei e ospitati come noi negli stessi alberghi.

Ancora oggi mi sembra un modo intelligente di curare i nostri interessi in Paesi di esportazione: un resident engineer coadiuvato da collaboratori locali, in un gioco di squadra che comporta flessibilità e apertura da parte nostra e dell’unità locale.

Il business tuttavia sembrava non soffrire di queste negative circostanze. Ricordo un viaggio notturno da Teheran a Shiraz a bordo di un taxi con Accornero e Iemmi del TIBB, e Sala, responsabile delle vendite sottostazioni a Baden. Essendo stati convocati dal cliente di Shiraz per le 8 del giorno dopo, e non avendo trovato un passaggio in aereo, avevamo deciso di affittare un taxi, ed eravamo partiti da Teheran verso le 17. La strada che, arrivando dall’Azerbaijan turco si snoda da Nord a Sud attraverso Teheran, Qom, Città Santa degli Sciiti, Esfahan fino a Shiraz, è estremamente frequentata e pericolosa. Facemmo brevi soste, per il riposo dell’autista, e arrivammo alle 7 del mattino in albergo. Alle 8 in punto eravamo dal cliente, che era in riunione e ci fece attendere un paio d’ore. Eravamo piuttosto nervosi e preoccupati, fino al momento in cui fummo ammessi nella sala delle riunioni. Trovammo presenti, con il direttore generale, tutti i membri del consiglio, e fummo consci dell’importanza della riunione. Dopo una breve presentazione di Accornero, io, che incontravo il cliente per la prima volta, ringraziai per l’invito e iniziai a illustrare l’offerta già presentata per una mobile. Ma fui interrotto dal direttore generale che, sorridendo, si scusò per averci fatto attendere così a lungo e mi spiegò che nella riunione del consiglio appena terminata era stato deciso l’ordine di sette mobili, con le quali costituire una sottostazione completa. Avevamo già avuto sentore che qualche cliente, una volta terminato l’uso temporaneo al quale era destinata la mobile, la tramutava in sottostazione fissa ma rimanemmo ugualmente sorpresi, se pur piacevolmente, dalla decisione del consiglio le163


IL “MIO” TECNOMASIO 10. Le divisioni gata senza dubbio ai vantaggi di rapidità e semplificazione che presentava l’uso delle mobili rispetto alla soluzione fissa. Il viaggio a Shiraz non fu solo memorabile per il grosso ordine del cliente, ma per l’opportunità che offriva, grazie anche alla competente guida del nostro capo cantiere, signor Zenere, di visitare Persepoli, distante qualche decina di chilometri, luogo di una bellezza ineguagliabile, meritevole di ogni apprezzamento, con monumenti praticamente privi di tracce di usura e disposti su un’area molto vasta. Il business delle mobili richiede lunghi trasporti su strada, che devono essere effettuati a velocità limitate per evitare danni alle saldature: dopo alcuni trasporti avvenuti con superamento dei limiti, fummo obbligati a incaricare un nostro dipendente ad accompagnare il convoglio per controllo e li-

Il viaggio a Shiraz non fu solo memorabile per il grosso ordine del cliente, ma per l’opportunità che offriva, grazie anche alla competente guida del nostro capo cantiere, di visitare Persepoli, luogo di una bellezza ineguagliabile.

mitazione della velocità. Che il problema non riguardasse solo noi ci fu confermato dall’incontro con una mobile della giapponese Mitsubishi parcheggiata in una piazzola su una strada importante. L’autista mostrò a noi incuriositi, scambiati probabilmente per i proprietari, le fratture delle saldature, che testimoniavano l’eccesso di velocità. Apprendemmo anche che la mobile era destinata al Tavanir: avevamo pertan-

to un concorrente nel campo delle reti a tensione più elevata. In quel tempo venimmo a contatto con la mentalità iraniana, molto intraprendente, che si era particolarmente sviluppata ai tempi dello Scià, ma che restava ancora forte. In vari contatti emergevano offerte di collaborazione da parte di piccole imprese private e di imprenditori con l’inglese fluente e spesso con un passabile italiano, particolarmente sensibili nei nostri confronti. I nostri rapporti con la popolazione locale furono sempre ottimi, improntati al rispetto delle tradizioni, con i nostri collaboratori iraniani sempre molto soddisfatti. Picchioni si immerse sempre più nella realtà locale, fino a sposare la segretaria di Liebert, appartenente a una famiglia iraniana di rango elevato, e rimase in Iran anche dopo la chiusura della nostra branch. I costumi locali dopo la rivoluzione islamica erano talvolta sorprendenti. Ci era giunta voce che il governo avesse concesso il permesso di produrre in casa vino per uso domestico direttamente dalle uve: una clamorosa conferma ci venne dalla signora Liebert, che ci invitò a una cena a base di caviale. Iemmi e io fummo ospiti insieme con un altro ingegnere, e arrivati alla villa ci venne mostrato come la signora producesse direttamente dall’uva il vino bianco che avremmo bevuto a cena. Mi trovai davanti a una raccolta di attrezzi a me ben nota, date le mie origini piemontesi. La cena fu effettivamente a base di tartine e caviale, innaffiata 164


dall’ottimo vino bianco e con il servizio impeccabile di un maggiordomo iraniano. Il viaggio a Teheran dopo la rivoluzione comportava una sosta intermedia, per esempio ad Atene: all’arrivo i controlli all’aeroporto erano sempre lunghi e complessi, ma quelli in uscita erano ancora più numerosi e mirati su passaporti, bagaglio e valuta. In pratica per partire con la Lufthansa per Francoforte verso le nove del mattino era conveniente arrivare in aeroporto poche ore dopo la mezzanotte. In aereo, appena effettuato il decollo, si assisteva all’eliminazione del chador da parte delle passeggere iraniane e all’esibizione di abiti civili. Molti iraniani disponevano di un conto in una banca tedesca, al quale ricorrevano in occasione, per esempio, di un ricovero ospedaliero. Verso la fine della guerra Iran-Iraq dovemmo dolorosamente registrare la morte di un nostro collaboratore iraniano durante un bombardamento in una sottostazione di tipo tradizionale.

LE SFIDE DEL CAMBIAMENTO Le varie vicende fino a quel momento vissute, le differenze culturali riscontrate e la formazione ricevuta mi avevano spinto a tentativi di sviluppare in tutti i dipendenti l’accettazione del cambiamento. Il mondo cambia rapidamente, e spesso le aziende si fanno sorprendere. Il management è pertanto costretto anche a gestire il cambiamento oltre alla gestione del business quotidiano, con due impegni: il lavoro a breve per risultati immediati e il lavoro a medio-lungo termine per la sopravvivenza e la crescita. Il compito dell’integrazione in ogni persona di questi due elementi è gravoso a causa della diffusa tendenza a privilegiare la più comoda routine. Inoltre, il tempo da dedicare al medio-lungo termine cresce con l’assunzione di responsabilità. L’obiettivo della competitività aziendale si raggiunge attraverso il successo nel mondo esterno (volumi, margini, innovazione, qualità, servizio al cliente, immagine) e il continuo miglioramento dei costi interni (materiali, costi generali, costo del lavoro). Un forte impegno sul primo parametro è doveroso, al fine di evitare di essere costretti a incidere troppo sul parametro interno, con tagli dolorosi. Nel passato, lo sviluppo dell’efficienza aziendale è iniziato con la cura dei costi, aggiungendo via via il miglioramento della qualità e poi del tempo. La focalizzazione sul cliente ha rappresentato lo stadio successivo di miglioramento, integrato con lo sviluppo della conoscenza (l’organizzazione che apprende). Si sono alla fine ben delineati i livelli di approccio ottimale: la visione (l’insieme dei valori aziendali), la missione, gli obiettivi strategici, le strategie per il loro raggiungimento e i relativi piani di azione. Ma soprattutto, la crescita della conoscenza individuale e collettiva. Essa va creata, condivisa, diffusa, comunicata, premiata. Non il “sapere” fine a se stesso, o come centro di potere individuale, ma il “sapere per fare” (raggiungimento degli obiettivi strategici). I team interfunzionali integrano 165


IL “MIO” TECNOMASIO 10. Le divisioni le professionalità individuali, mirando alla gestione dei clienti strategici, alla realizzazione di progetti di miglioramento e alla gestione di prodotti e commesse. La gestione affiancata, nella stessa divisione, di prodotti e sistemi, consentiva confronti e suggeriva adattamenti migliorativi. Per i prodotti era stata già sentita in quegli anni la necessità di introdurre il project manager, tipico del business di sistema, quale rappresentante del cliente in azienda e sviluppatore dei passaggi trasversali che la commessa deve compiere tagliando le strutture verticali delle varie funzioni. Chi ha vissuto quei tempi è testimone delle difficoltà incontrate dai primi project manager nei contatti con le varie funzioni, nelle quali vigeva lo spirito specialistico e dalle quali la collaborazione per la decisiva ottimizzazione della commessa trasversale doveva essere continuamente sollecitata. Lo spirito predominante era il soddisfacimento degli obiettivi funzionali, e i primi gestori di commessa dovevano essere supportati addirittura dal vertice aziendale nel loro lavoro. Un’altra attività peculiare in quei tempi per i prodotti era l’analisi del valore. Questa attività veniva svolta da specialisti esterni, ingaggiati e controllati dal vertice per effettuare una valutazione accurata della progettazione e della produzione dei nuovi prodotti. Il concetto era quello di istituire un confronto tra le scelte interne effettuate e possibili varianti di numero e tipologia di componenti, di materiali impiegati e di tempi di manodopera suggerite dagli analisti. La loro grande esperienza spesso suggeriva soluzioni divergenti da quelle adottate dai progettisti aziendali, con sensibili risparmi di costi e di tempi, ma anche con vivaci contrasti, che dovevano essere sanati dallo stesso vertice. La preparazione alla gestione del cambiamento comportava tentativi di semplificazione degli organigrammi, da complessi e con molti livelli di responsabilità a più semplici, promovendo organizzazioni più imprenditoriali e con collegamenti trasversali. Il sogno ultimo, ma di difficile realizzazio-

Il livello culturale elevato di tutti i dipendenti è presupposto fondamentale per dominare la sfida del continuo cambiamento e dell’aumento di competitività; si attua attraverso la formazione mirata e l’applicazione dell’esercizio del miglioramento.

ne, era rappresentato dalle strutture a rete, nelle quali team operanti su obiettivi strategici aziendali e persone altamente specializzate, congiuntamente con attori esterni, clienti e fornitori, interagiscono in modo quasi informale. L’altissimo grado di difficoltà rappresentato dalla necessità di elevati livelli culturali e da capi carismatici rendono questo sogno quasi irrealizzabile. Il livello culturale elevato di tutti i dipendenti è comunque il presupposto fondamentale per domi-

nare la sfida del continuo cambiamento e dell’aumento di competitività. Esso si attua attraverso la formazione mirata e l’applicazione continua nella pratica dell’esercizio del miglioramento (individuale e nei team). 166


I più efficaci formatori sono i capi, assistiti dai responsabili delle risorse umane in qualità di esperti. Spesso la formazione non è mirata, cioè non è in funzione degli obiettivi aziendali; è a pioggia, non si tradurrà mai in “fare”. Uno schema semplificato del processo di formazione efficace la fa iniziare dal piano strategico aziendale, con i suoi obiettivi, le sue strategie e i relativi piani di azione. A quel momento il piano di formazione diventa mirato e si identifica, con il supporto delle risorse umane, in corsi e in formazione individuale. I progetti di miglioramento che seguono produrranno saving, che saranno debitamente misurati e trasferiti sulla bottom line. La formazione costa; il suo payback è misurato in base ai benefici che produce, concretamente, sul risultato operativo. Per la valutazione occorrono metriche efficaci, che colleghino azioni e risultati dei team con risultati di bilancio, accettati dai controller. La formazione dei dipendenti si diversifica a seconda delle fasce di livello e riguarda sia le capacità professionali sia i comportamenti attivi aziendali. La formazione orientata al cliente riguarda soprattutto gli strumenti di miglioramento aziendale che i team applicano per raggiungere gli obiettivi di saving contenuti nei piani strategici e nei budget. Gli strumenti da noi applicati erano il TQM (Total Quality Management) e le prime applicazioni di metodologie che si sarebbero imposte negli anni successivi: il TBM (Time Based Management) per l’eliminazione dei tempi morti dei processi; il KAM (Key Account Management) per la cura dei principali clienti; il Benchmarking per il confronto con i migliori sui parametri gestionali; il Supply Management; il BPR (Business Process Re-engineering) per lo snellimento dei processi. Cercavamo di imparare, scoprendo nuovi concetti, per inventare nuove possibilità di azione e per realizzarle. La misura delle conseguenze ci avrebbe permesso di generare nuovi concetti. I risultati del lavoro dei team era talvolta deludente a causa dello scarso impegno dei capi, del prevalere di ottiche a breve su quelle a medio-lungo termine, del livello culturale non appropriato dei team, della mancanza di concretezza nella realizzazione operativa dei suggerimenti migliorativi presentati dai team, con conseguente demotivazione e della prevalenza di atteggiamenti gerarchici rispetto a quelli di contributo trasversale (difficoltà di diffusione della conoscenza). I rischi che correvamo erano duplici: concettualizzare senza sviluppare strumenti o sviluppare strumenti nella fiducia che essi potessero supplire alla scarsa cultura aziendale. Occorreva una integrazione delle due necessità, con prevalenza del fare sui puri concetti. La nomina alla responsabilità di divisione mi conferì l’appartenenza al Comitato direttivo del TIBB, presieduto dall’ingegner Pellicanò e costituito dai responsabili delle divisioni e di tutte le principali funzioni centrali, che si riuniva con cadenza mensile, salvo casi eccezionali. Prima della riorganizzazione in Linee e divisioni, alcuni rumor circolanti riferivano di una certa formalità top down esistente nelle riunioni del comitato, con molto ascolto e scarsi interventi. Era il clima dell’epoca. 167


IL “MIO” TECNOMASIO 10. Le divisioni Quando iniziai a parteciparvi, al principio con un certo timore reverenziale, il clima era disteso e partecipativo, di reciproco rispetto e con interventi ben preparati. Aleggiava il timore di qualche brutta figura. Lo strumento allora disponibile per le abituali presentazioni erano le lavagne luminose per la proiezione di slide costituite da fogli di plastica trasparenti, dipinti a mano con pennarelli colorati. Per i casi più importanti, quali per esempio le conferenze, erano utilizzate le diapositive con i relativi apparecchi di proiezione. Quando si parla di riunioni di comitati di vertice, scatta anche oggi la domanda se queste debbano avere un carattere informativo/formativo oppure decisionale. Anche oggi è una vexata quaestio: si vorrebbe dare alle riunioni di alto livello un carattere formativo e decisionale, ma spesso è preponderante la parte informativa. Tuttavia la riunione anche allora serviva a raccogliere il parere dei presenti su un argomento importante, sul quale il vertice avrebbe

Si vorrebbe dare alle riunioni di alto livello un carattere formativo e decisionale, ma spesso è preponderante la parte informativa. Tuttavia la riunione anche allora serviva a raccogliere il parere dei presenti su un argomento importante.

successivamente preso una decisione autonomamente o con pochi diretti interessati. Molto raramente emergevano polemiche tra colleghi, che non erano tollerate: tuttavia la riunione poteva servire al vertice per reprimende anche dure su qualche comportamento negativo dei presenti, con un rafforzamento della ricaduta sui collaboratori. In casi particolarmente importanti il comitato veniva convocato ad hoc, sia

per comunicazioni, sia per decisioni. La durata efficace delle riunioni era allora ritenuta dagli esperti di un’ora e mezza, ma in pratica occupava 3 o 4 ore del mattino. Era considerato un importante dovere dei membri del comitato procedere al più presto a una riunione informativa degli argomenti trattati dal comitato al proprio personale. Io la tenevo abitualmente ai miei collaboratori, in totale una settantina di persone, al pomeriggio dello stesso giorno. La mancanza di ricaduta informativa sui dipendenti da parte di un capo era considerata una grave deficienza meritevole di richiamo verbale. Formalmente, due cose erano richieste, e quasi sempre rispettate: la puntualità dell’inizio di riunione e il rispetto dei tempi assegnati per le presentazioni. Per me, abituato alle riunioni in Svizzera, il rispetto della puntualità non costituiva un problema, con i partecipanti tutti presenti due minuti prima dell’ora di inizio. Il rispetto dei tempi assegnati ai singoli interventi veniva ottenuto attraverso la disciplina dei soggetti, ma spesso con qualche invito o richiamo: raramente succedeva che l’ultimo in agenda a presentare fosse costretto a rinunciare al suo intervento per il superamento dei tempi da parte dei precedenti colleghi. 168


La riduzione all’essenziale del numero delle slide presentate aggiungeva il vantaggio di lasciare spazio, nei tempi assegnati, a interventi dei presenti. Ma il maggiore vantaggio era costituito dall’ottenimento di una ottimale concisione di concetti e di esposizione, sempre molto difficile da raggiungere. A questo proposito ricordo che in una riunione a Miami una cliente invitata aveva espresso con ironia il parere che noi ingegneri non fossimo in grado di presentare alcunché senza slide. Inoltre ho sempre invidiato lo stile dei giornalisti, che vengono duramente abituati a “tagliare” più volte i loro articoli prima della pubblicazione, e dei politici, che, privi di slide, dispongono solo di una scaletta su un foglietto di carta. Esagerando si potrebbe sostenere che l’efficacia di una presentazione è inversamente proporzionale al numero di slide proiettate. È una battuta, ma rende l’idea. A metà degli anni ‘80 il TIBB ricevette l’ordine dalla DSI di Ankara di due potenti generatori idraulici ad asse verticale per la Centrale di Atatuerk, targati 315 MVA, 15,7 kV, 50 Hz, 150 giri/minuto e nel 1986, dall’ENEL, quello di due turbo ciascuno della potenza di 750 MVA per la centrale di Gioia Tauro. Per non interrompere la narrazione delle vicende del mio Tecnomasio ho fin qui tralasciato di accennare ad alcuni temi che furono di grande rilievo nel panorama energetico e industriale italiano tra gli anni ‘50 e ‘80. Mi riferisco prima di tutto alla breve avventura nucleare nazionale e in secondo luogo a quell’interessante iniziativa che fu la creazione del GIE. Nella prima vicenda il TIBB e la BBC ebbero un apprezzabile ruolo, nella seconda si verificò solo un’occasione di effettivo contatto. Ritengo comunque che entrambi i temi meritino almeno di essere evocati per sommi capi e ho dedicato loro uno spazio in Appendice.

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IL “MIO” TECNOMASIO


11. Gli sviluppi del Tecnomasio All’inizio del 1983 ricevetti un inaspettato quanto apprezzato invito a cena in un ristorante di Baden da parte dei signori Bossi e Peneder di Turgi: il primo era responsabile della linea dei convertitori statici di frequenza e il secondo era il suo braccio destro.

Avevo conosciuto Peneder durante il mio soggiorno a Baden come responsabile dei sistemi di eccitazione del macchinario rotante. L’incontro fu molto cordiale e la conoscenza di Bossi veramente piacevole: entrambi mi spiegarono che era loro intenzione sviluppare fortemente il business dei comandi a velocità variabile e mi proposero di diventare loro partner come fornitore delle macchine sincrone alimentate dai convertitori di Turgi. Avendo saputo della esperienza fatta dal TIBB negli anni ‘70 con una macchina a 6.000 giri/minuto per il CNEN, pensavano che una macchina simile, accoppiata a un convertitore, potesse contribuire sia tecnicamente sia economicamente a realizzare comandi a velocità variabile per centrali e industrie. La proposta era di ordinare al TIBB una simile macchina a scopo sperimentale, prima di mettere sul mercato il nuovo comando. Io mi mostrai molto interessato e, dopo una riunione in sede con i miei capi e collaboratori, accettai. Ci fu pertanto ordinato un motore sincrono a velocità regolabile da 840 a 6.000 giri/minuto, alimentato con un inverter esafase a frequenza e tensione variabili, con i seguenti dati: potenza 11.500 kVA (10.000 kW resi); tensione 5.700 V; frequenza 100 Hz; velocità 6.000 giri/minuto (velocità di fuga 6.600 giri/minuto per 2 minuti); raffreddamento in aria. Il rotore liscio tipo turbo aveva un diametro di circa 600 millimetri. La particolare specifica del progetto ci convinse a servirci, ancora una volta, della consulenza di Delassus, della ricerca CEM, che tanto aveva contribuito anni prima alla progettazione della macchina speciale per il CNEN di Frascati. Durante la fase di costruzione della macchina ricevetti l’invito a presentarla ai colleghi dell’ufficio tecnico Macchine medie di Birrfeld, che si mostrarono molto interessati al progetto. Ufficiosamente ricevemmo anche l’informazione che prima di contattare il TIBB, Bossi e Peneder avevano chiesto a Birrfeld di occuparsi della macchina, ma non avevano ricevuto risposte positive, probabilmente per motivi di carico di fabbrica e di specificità del progetto. Le prove della macchina furono eseguite nella sala prove di Birrfeld, con la supervi171


IL “MIO” TECNOMASIO 11. Gli sviluppi del Tecnomasio sione dell’ingegner Ripamonti, e mostrarono buoni risultati, tranne alcune difficoltà di bilanciatura e di temperatura delle spazzole. A un certo punto, Bossi ci comunicò che uno dei maggiori clienti di BBC in Sud Africa si era mostrato molto interessato alla nuova soluzione per il comando a velocità variabile delle pompe di alimento delle caldaie a vapore, e chiedeva una prima offerta per 24 macchine, con opzione di arrivare in seguito a un totale di 56. Discutemmo con Vannotti la proposta, che comportava ovviamente rischi verso un cliente di tale importanza per BBC. Discutemmo il prezzo con Bossi, e la proposta che ricevemmo era decisamente troppo bassa a fronte dei prevedibili rischi. Dopo molte riflessioni e discussioni arrivammo alla decisone di rifiutare l’offerta: in quel momento Bossi ci informò che Birrfeld si era dichiarata disponibile ad accettarla, ma con il progetto di una macchina leggermente diversa dalla nostra. L’offerta venne così perfezionata e ottenne la commessa. Per un certo tempo continuai a ripassare dentro di me il nostro operato. Vannotti, se pur ovviamente interessato a questa importante fornitura, mi aveva in sostanza lasciato libero di decidere. Alla fine arrivai sempre alla conclusione di non essere affatto pentito del rifiuto: credo di avere avuto ancora una volta la conferma che si deve ragionare a lungo prima di decidere ma, una volta fatto, non bisogna mai pentirsi della decisione presa. In seguito non ebbi più notizie degli sviluppi della commessa. Tuttavia, molti anni dopo, mi arrivò il rumor che il comando in Sud Africa fosse stato alla fine sostituito da quello tradizionale con turbina a vapore e riduttore di velocità.

L’IMPORTANZA SEMPRE CRESCENTE DELL’ELETTRONICA La vicenda dei comandi a velocità variabile testimonia gli sviluppi registrati dall’elettronica e invita ad un esame della ricerca in questo campo anche al TIBB. L’elettronica è stata una attività che il Tecnomasio ha sviluppato a partire dagli anni ‘60. Inizialmente furono utilizzati amplificatori magnetici e regolatori monofasi a tiristori di modesta potenza per alimentare e regolare i campi di dinamo e di piccoli alternatori, usati come amplificatori rotanti. Le dinamo a loro volta alimentavano e regolavano i motori usati nei diversi processi industriali, mentre gli alternatori collegati a raddrizzatori a diodi erano usati come eccitatori di generatori di grande potenza. Successivamente, con l’avvento e lo sviluppo dei componenti statici di potenza, prima mutatori a vapori di mercurio e poi diodi e tiristori di grande diametro, tutte le soluzioni con macchine rotanti come amplificatrici di potenza andarono in disuso, scalzate da alimentatori regolati integralmente statici. Questi ultimi sono costituiti dai seguenti componenti: 1) uno o più convertitori (ponti) a tiristori a dodici impulsi, che consentono il flusso mono/bidirezionale di potenza dalla rete al carico e viceversa. La scelta del numero di convertitori e il tipo di inserzione sono dettati dalla potenza richiesta, da esigenze di limitare 172


l’impatto delle armoniche riversate sulla rete di alimentazione, dal tipo di funzionamento richiesto dal processo (tensione/corrente su uno, due o quattro quadranti e inversione di corrente e tensione con/senza soluzione di continuità); 2) un dispositivo, comando di griglia, in grado di variare con continuità l’angolo di fase degli impulsi di accensione dei tiristori e quindi di regolare con continuità la tensione raddrizzata di uscita dei ponti al variare di un segnale di ingresso in corrente continua; 3) infine un regolatore automatico, il quale, dotato di componenti allo stato solido tarabili, pilota il comando di griglia. Con quest’ultimo si modulano le grandi potenze elettriche dei convertitori, amplificando a dismisura il confronto di piccolissimi segnali prelevati dal processo (segnali di reazione) e dalle zone di comando (riferimenti). Numerosi e diversificati i campi di utilizzo dell’elettronica, sviluppata dagli ingegneri Lanzavecchia, Carabillò e dal loro team, con l’appassionata assistenza dal 1980 al 1988 di Loredana Negroni. In particolare, nell’industria metallurgica, in quella cartaria, nella generazione elettrica, nella ricerca e sviluppo. Nell’industria metallurgica si possono citare in particolare due ambiti:

pp laminatoi a caldo per prodotti lunghi e piani, laminatoi a freddo; pp linee di trattamento (L.L.L., Falck, Acciaierie Terni e altri). Un tipico esempio di intervento in questo campo è quello relativo a un impianto costituito da forni elettrici per la fusione di rottami di ferro, da un vecchio laminatoio a gestione manuale e da un nuovo laminatoio semiautomatico di fornitura Pomini per la parte meccanica e TIBB per tutta la parte elettrica. L’impianto era rimasto fermo per tre anni a causa di vari problemi. I treni di laminazione vennero regolati elettronicamente in modo da mantenere il tiro sul filo, laminato a un valore ottimale. All’ingresso del treno di laminazione era posto un blooming sbozzatore, nel quale entrava una billetta da circa tre tonnellate e usciva un tondi-

Numerosi i campi di utilizzo dell’elettronica, sviluppata dagli ingegneri Lanzavecchia, Carabillò e dal loro team, con l’appassionata assistenza di Loredana Negroni. In particolare, nell’industria metallurgica, in quella cartaria, nella generazione elettrica.

no ancora di grandi dimensioni. I passaggi successivi riducevano il tondino a diametri di 10-12 millimetri. Esso era poi inviato ai letti di raffreddamento, dove era tagliato in barre lineari di lunghezza prestabilita. Successivi passaggi riducevano il filo ad un diametro di 6-8 mm, e lo avvolgevano su aspi, creando matasse. Naturalmente in tutte le fasi della lavorazione il ferro doveva essere mantenuto al color rosso per poter essere laminato. Framba, e più tardi Umberto Malnati, tecnico del reparto elettronico dell’azienda, eseguirono con successo la 173


IL “MIO” TECNOMASIO 11. Gli sviluppi del Tecnomasio messa in servizio dell’impianto, se pur tra molti sacrifici dovuti soprattutto al lungo periodo di inattività dell’impianto stesso. Nell’industria cartaria si possono citare le macchine continue, le calandre, le, patinatrici; mentre per la generazione di energia elettrica i tre principali ambiti sono:

pp eccitatrici statiche per generatori di piccola e grande potenza, alimentate in derivazione dal montante di macchina. In questo campo il TIBB per primo ha usato il sistema di eccitazione statica nella centrale ENEL di Piacenza, dapprima con mutatori e successivamente con ponti a tiristori;

pp avviatori statici di grande potenza usati per avviare da fermo alternatori installati in centrali idrauliche, progettate per il pompaggio dell’acqua in un bacino a monte e successivo scarico attraverso condotte forzate, per la generazione di energia elettrica (ENEL, Cina);

pp avviatori statici per riportare ai giri nominali generatori con volano, dopo l’abbassamento di giri causato dalla cessione di energia impulsiva su carichi in esperimenti di laboratorio. Infine, per quanto concerne ricerca e sviluppo, l’ENEA, succeduto al CNEN, è stato il cliente più importante. Dopo le forniture degli anni ‘70 collegate al progetto FT (Frascati Tokamak), verso la fine degli anni ‘80 il TIBB effettuò altre importanti forniture per il progetto FTU (Frascati Tokamak Upgrade), connotate dalle seguenti principali caratteristiche:

pp sistema di convertitori corrente alternata/corrente continua (AC/CC) a tiristori con reazione dodecafase sulla rete elettrica e in antiparallelo lato CC. Questi alimentano gli avvolgimenti di innesco e di confinamento del plasma. Il tipo di collegamento e regolazione consente loro di operare nei quattro quadranti (inversione di tensione e corrente CC) senza tempi morti;

pp per la realizzazione dei convertitori sono stati utilizzati tiristori tipici di impianti HVDC di trasmissione in corrente continua ad alta tensione e a grandi distanze di energia elettrica. In essa si è sperimentata l’inserzione in parallelo di due tiristori di 15 centimetri di diametro, mai usata in precedenza. La potenza complessiva installata è di 300 MW con tensione e corrente massimi CC per ogni singolo convertitore di +/- 5 kV e di +/-25 kA;

pp i trasformatori che alimentano i convertitori sono protetti, sul lato alta tensione, da fusibili a esplosione per la limitazione istantanea dei picchi di corrente in caso di corto circuito, mentre sul lato bassa tensione sono state previste sbarre blindate con fasi segregate per annullare gli effetti delle eccessive sollecitazioni elettrodinamiche di esercizio. Tutti i convertitori inoltre sono alimentati da un alternatore con volano, al fine di svin174


colarsi dalla rete ENEL non in grado di sopportare gli eccessivi disturbi del funzionamento ad impulsi dell’impianto;

pp gli alimentatori CC stabilizzati in alta tensione (100/140 kV, 25/50 kA), con precisione di regolazione dell’1 per cento, sono regolati sul lato bassa tensione con tiristori e raddrizzati sul lato alta tensione con ponti a diodi immersi nell’olio dei trasformatori. Essi sono impiegati per alimentare le apparecchiature generatrici di onde ad alta frequenza per il riscaldamento del plasma (Gyrotron e altri dispositivi).

L’ALTA VELOCITÀ Nel frattempo, era ormai arrivata l’era dell’Alta Velocità, con il confronto tra le ferrovie e il trasporto aereo sui tempi totali impiegati per raggiungere la destinazione finale, confronto che sulle medie distanze avrebbe potuto essere a favore di treni veloci. Le FS lanciarono un progetto Alta Velocità per la Linea Milano-Roma-Napoli-Battipaglia e successivamente per la Linea Torino-Venezia. Il progetto era molto impegnativo e fu affidato nel marzo 1986 al raggruppamento Breda, FIAT, Ansaldo e TIBB. Per la sperimentazione fu allestito un prototipo, il cui azionamento fu realizzato con chopper abbassatori delle E633 e da inverter a tensione impressa: i chopper erano necessari in quanto gli inverter accettavano una tensione massima di 2.800 V. Nel 1988 iniziarono le prove del primo prototipo ETRX 500, costituito da una locomotiva e da una carrozza attrezzata con apparecchiature di misura, capace di raggiungere una velocità fino a 300 km/h. Il TIBB ebbe l’incarico di sviluppare l’azionamento elettrico della locomotiva, costituito da due inverter e da quattro motori di trazione asincroni, della potenza complessiva di 4.000 kW. A questo prototipo seguirono due treni ETRY 500, ciascuno costituito da due locomotive e quattro rimorchiate intermedie, per la definitiva messa a punto e prova di esercizio di linea. Successivamente entrarono in servizio elettrotreni completi ETR 500, in grado di percorrere la distanza Milano-Roma in tre ore e mezza, in competizione con l’aereo. Ma a quel momento il TIBB era diventato ABB Tecnomasio, la cui storia esula da questa testimonianza. Per descrivere la situazione finanziaria e organizzativa in cui si trovava il Tecnomasio occorre a questo punto fare un passo indietro. Verso la metà degli anni ‘70 la nostra società era in condizioni molto critiche, soprattutto dal punto di vista finanziario. Anni di risultati negativi, esposizione bancaria di quasi il 100 per cento del fatturato, con tassi di interesse al 20 per cento, e forti garanzie finanziarie alle banche da parte di BBC. Il Gruppo, in sostanza, non credeva più nelle capacità del TIBB di risollevarsi; avevamo perso credibilità. Inoltre la posizione strategica in Italia era molto incerta, con clienti di Stato che pagavano in tempi estremamente dilatati. In più BBC era sotto choc per la situazione francese, dove, per l’intervento del governo, BBC aveva dovuto cedere il business dell’energia all’Alsthom (oggi Alstom). In Italia Ansaldo aveva mire sul TIBB. I dividendi della SAE ci permi175


IL “MIO” TECNOMASIO 11. Gli sviluppi del Tecnomasio sero di prolungare per qualche tempo la nostra sopravvivenza, ma il rischio era percepito in azienda e la demotivazione cresceva. Come eravamo arrivati a questa pericolosa situazione? Le cause erano prevalentemente legate alla carenza di commesse da parte dei due pilastri del nostro mercato, ENEL ed FS, abbinata a costi fissi troppo alti. Il CdA di Baden chiedeva la nostra alienazione a qualcuno che si prendesse i nostri debiti. Anche la FG fu coinvolta nei tentativi di trovare una soluzione strategica per il TIBB e l’energia. Se ne occuparono prima il dottor Grether, in colloqui con Marelli, e poi il suo successore, il dottor Walther. Infine BBC decise di inviare al TIBB, in qualità di condirettore generale, l’ingegner Masini con l’obiettivo di rinforzare la gestione operativa e contribuire al miglioramento dei risultati. Il numero uno del Gruppo, Piero Hummel, volle tentare nel 1980 un’ultima mossa, quella di inviare a Milano come DG un esperto ex direttore di Baden, il ticinese d’origine Ervino Camponovo, per una definitiva analisi prima della vendita. Noi ricevemmo Camponovo temendo il peggio, e ci sottoponemmo a colloqui con lui, consapevoli che si trattasse di esami. Come Camponovo mi disse in seguito, il suo rapporto a Hummel fu che il TIBB e il suo management si meritavano ancora una chance, l’ultima. Hummel allora lo invitò a restare a Milano come DG con due chiari obiettivi: ricostruire il morale dei dipendenti e ridurre i debiti. Lo stile gestionale di Camponovo era più vicino a quello tipico delle strutture funzionali. Noi, che eravamo ormai strutturati per Linee di business, capivamo che i tempi giustificavano que-

Il numero uno del Gruppo, Piero Hummel, volle tentare un’ultima mossa: inviare a Milano come DG Ervino Camponovo, per una definitiva analisi prima della vendita. Ricevemmo Camponovo temendo il peggio.

sti ritorni e ci adattammo. Ricordo un suo chiaro messaggio: Qualità invece che quantità. E il forte richiamo al senso di disciplina, per esempio l’assoluto impegno di una riunione informativa/formativa con tutti i nostri principali collaboratori a valle delle riunioni del comitato di direzione. La permanenza di Camponovo e il suo sostegno ci garantivano che esisteva ancora una possibilità di

salvarci, se avessimo dimostrato a Baden la nostra rinnovata credibilità. Purtroppo nel 1982 Camponovo dovette rinunciare per gravi motivi familiari al suo mandato presso il TIBB e si aprì l’epoca di Leonardo Vannotti in Italia. A maggio Hummel gli propose di succedere a Camponovo come DG al TIBB. L’obiettivo fondamentale era sempre quello di tenere motivate le persone. Pellicanò era allora presidente e AD e avrebbe curato le strategie, mentre a Vannotti sarebbe toccata l’operatività. Vannotti accettò e si stabilì a Milano. I suoi obiettivi gli furono ribaditi anche in un colloquio con Franz Luterbacher, presidente del CdA di BBC: riduzione delle perdite e miglioramenti operativi, nessun aumento delle garanzie bancarie (allora ammontanti a 120-130 176


milioni di franchi svizzeri), cambi nella struttura, con riduzione del personale, e almeno sei mesi di permanenza a Milano. L’immagine del TIBB in quel momento presso ENEL era buona al livello degli operativi, meno ad alto livello. Anche agli occhi della Regione Lombardia prevaleva la Marelli. Questa azienda aveva sofferto nel 1980 un grave attacco da parte delle Brigate Rosse che, il 12 novembre, avevano ucciso sulla metropolitana il direttore del personale, Renato Briano. Io ricordo di essermi trovato per caso quella mattina a Roma presso l’ENEL insieme all’ingegner Luridiana della Marelli al momento dell’arrivo della tragica telefonata da Milano: lo sgomento fu generale. Il 29 dello stesso mese avvenne l’uccisione dell’ingegner Manfredo Mazzanti, direttore tecnico della Falck.

UNA VISIONE SUL FUTURO Un tema assillante era il tentativo di creazione di un Polo elettromeccanico nazionale tra Ansaldo, Marelli e TIBB, che avrebbe previsto un rafforzamento del TIBB nella trazione, nei sistemi industriali e nell’elettronica, cioè con enfasi sui sistemi piuttosto che sui componenti, e una contemporanea riduzione in TIBB della produzione di energia: questa soluzione non ebbe successo in quanto non ritenuta valida a livello nazionale. Vannotti, sostenuto da Hummel, passò quindi alla difesa del TIBB, combattendo la situazione critica della motivazione interna, dei clienti e del mercato. Per generare un ambiente positivo occorreva una visione sul futuro, che la politica al momento non forniva. BBC continuava ad essere interessata al mercato Italia per i prodotti del Gruppo e fu pertanto lanciato un obiettivo di riportare in pareggio il TIBB nel 1984, con azioni proiettate nel futuro, ma da realizzare immediatamente:

pp MBO (Management By Objectives) per il management; pp differenziazione invece di livellamento (consulenza di Brightford); pp differenziazione a livello di Gruppo (linea strategica); pp struttura organizzativa ottimale; pp marketing aggressivo: il TIBB is here to stay (commesse ENEL e FS); pp documentazione della presenza BBC in Italia; pp piano d’azione a breve per migliorare il risultato; pp politica strategica a lungo e comunicazione sui problemi aziendali e su quello che si intende fare per risolverli. Vannotti sosteneva che il TIBB doveva salvarsi da solo e, se fosse andato bene, BBC non l’avrebbe mollato: non disse mai che BBC aveva perso la speranza;

pp un aspetto fondamentale è la credibilità della direzione: non predicare acqua e bere il vino. Se questo succede, nessuno segue. Le persone hanno cominciato a credere 177


IL “MIO” TECNOMASIO 11. Gli sviluppi del Tecnomasio in Vannotti solo quando hanno constatato che non vi era contraddizione tra la parola e l’azione;

pp se prometti qualcosa, mantienilo, senza aspettarti sempre un riconoscimento. Per ottenere risultati la competenza è naturalmente essenziale, ma non basta: conta anche l’aspetto caratteriale. In aggiunta alle capacità tecniche ci vuole una caratura morale. Non basta avere la colonna vertebrale, ci vuole la spina dorsale. L’identificazione con l’azienda, l’umiltà di sottomettere il proprio ego alle necessità della società è la differenza che rende l’azienda non solo buona, ma anche grande. (In inglese suona meglio: It’s the difference between a good and a great company). I soldi non possono, non devono essere la sola motivazione. Certo devono essere adeguati, ma se uno lavora solo per quelli non è la persona giusta. La motivazione deve venire dalla persona stessa, ma anche la società ha la responsabilità di provvedere a che l’ambiente di lavoro dia la possibilità alle persone di svilupparsi e di soddisfare le proprie ambizioni nell’ambito delle proprie capacità. Non sempre ci si riesce, ma bisogna tentare. Solo così si può creare un ambiente in cui domina la fiducia. Questo è fondamentale, anche se ci vogliono controlli. Guai però se solo i controlli contano e se la diffidenza e la sfiducia costituiscono il modus operandi. Occorre generare fiducia e a volte accettare errori, ma mai due volte lo stesso. Occorre saper assumere responsabilità, con non solo diritti, ma anche doveri. Per sostenere i suoi concetti formativi di management e ottenere condivisione e motivazione, Vannotti si avvaleva della consulenza di Eric G. Brightford, un australiano di Melbourne di origini ungheresi, che possedeva anche una fattoria in Garfagnana, dove soggiornava da maggio a ottobre, per restare in Australia nel resto dell’anno, evitando così entrambi i periodi invernali dei due emisferi. Vannotti e Brightford organizzavano all’esterno dell’azienda, per esempio nella celebre Sala del Grechetto a Milano, seminari per dirigenti e quadri, ai quali Brightford presentava i suoi concetti gestionali, basati soprattutto su due massimi nomi della Teoria della Motivazione, Maslow e Herzberg, condensati nel suo volume Il fattore umano e il Management, edito da ELEA nel 1982. I concetti, integrati in un metodo di management, erano: il Processo del Management (PM); Management By Objectives (MBO); Sviluppo Organizzativo (SO); Qualità della Vita di Lavoro (QVL). Sulla base delle sue esperienze di lavoro in Australia, Germania e Italia, Brightford sosteneva che il processo del management è un prerequisito fondamentale per l’applicazione di successo degli altri concetti gestionali, in quanto substrato fondamentale di preparazione culturale e di motivazione delle persone. Per esempio, l’MBO non potrebbe essere applicato senza che esista la volontà dell’azienda di cambiare. Questo tipo di cambiamento di stile di guida, filosofia aziendale e clima organizzativo è in realtà lo 178


sviluppo organizzativo (SO). Perciò l’MBO, per avere successo, richiede solitamente uno sforzo di SO prima, dopo e durante. La più conosciuta e frequentemente applicata forma di introduzione dello sviluppo organizzativo è quella dei T-Group, laboratori di situazioni formative orientate esclusivamente al comportamento (imparare sul proprio comportamento e sull’impatto che ha sugli altri). Si tratta di un atteggiamento mentale, fatto di credo e di pratiche, volte alla predisposizione al lavoro interdisciplinare e all’efficace relazione interpersonale e intergruppo per una solida comunicazione e motivazione e per un lavoro d’equipe rivolto ai fini e agli obiettivi aziendali. È in sostanza un approccio scientifico allo “spirito di gruppo”, convinzione che una gestione efficace delle risorse umane sia vitale per il successo. Il concetto classico dello SO è quello che implica che lo sviluppo dei manager non sia sufficiente, ipotizzando che l’organizzazione stessa, la sua struttura, i suoi credo, i sistemi di valori, le comunicazioni e il coordinamento debbano essere sviluppati al fine di raggiungere un successo reale. L’aggiunta della qualità della vita di lavoro ha varie ragioni. Principalmente, l’MBO si applica verso il basso fino all’ultimo livello del management, ma non trova applicazione per una “linea di montaggio”, dove un gran numero di operativi esegue lavori di routine. Un modo per coinvolgere ogni dipendente è ritenuto l’Arricchimento del Lavoro (AL) nella sua più vasta accezione, non solo assegnando agli operatori dei compiti più complessi, ma anche fornendo loro l’opportunità di partecipare alla pianificazione, organizzazione e controllo dei loro compiti. In conclusione, la filosofia di management di Brightford sosteneva che un successo reale e duraturo doveva basarsi su tre fattori: economico, sociale e umano. Le discussioni che seguivano erano molto vivaci, e servivano a far emergere dubbi e timori, che provocavano suggerimenti pratici di correzione e di condivisione. Ancora oggi di tanto in tanto mi giunge qualche positiva eco di quei seminari formativi. L’applicazione dell’MBO ai dirigenti rappresentò allora un passo decisivo per la valutazione oggettiva dei risultati e dell’assunzione di responsabilità da parte dei manager, molti dei quali già avvezzi a praticarla a titolo personale. Fin dall’inizio furono assegnati ai manager obiettivi, da essi condivisi, relativi non solo alle loro dirette responsabilità, ma anche al livello più elevato aziendale: ciò per favorire la collaborazione trasversale tra le divisioni e i centri di profitto, eliminando il più possibile personalismi e interessi di parte. L’introduzione dell’MBO, sistema di management ancora oggi molto praticato con obiettivi incrociati aziendali e personali, rappresentò allora un vero punto di svolta, realizzato dall’opera congiunta di Vannotti e di Brightford per la creazione del nuovo spirito aziendale. Per parte mia, posso affermare che l’esperienza vissuta in azienda nella gestione dei 179


IL “MIO” TECNOMASIO 11. Gli sviluppi del Tecnomasio numerosi cambiamenti ha fatto emergere il fattore comportamentale tra i più importanti e decisivi a fronte di altri, culturali e tecnologici. Durante il processo di dialogo con i quadri portato avanti con Brightford, in occasione di una cena sul Lago di Como Vannotti domandò di che cosa avesse bisogno il TIBB per rimettersi in carreggiata. La risposta fu: di un uomo forte al vertice che comandasse e dicesse a tutti dove andare. Loro l’avrebbero seguito. Vannotti rispose che non voleva comportarsi a quel modo, in quanto nel suo pensiero vi era la convinzione che il metodo di management fosse ormai cambiato radicalmente. Occorreva passare da un’organizzazione nella quale una persona o un centro di potere decideva, e il resto delle persone eseguiva, a un sistema in cui le persone erano coinvolte nel processo decisionale e avevano non solo la possibilità ma anche la volontà di decidere autonomamente nelle loro aree di competenza. Come conseguenza, decentralizzazione delle decisioni, ma anche assunzione delle corrispondenti responsabilità. Insomma, quando si hanno persone competenti e brave, occorre delegare loro la soluzione dei problemi specifici. Per esempio, nel caso dei problemi insorti durante il montaggio in centrale nelle Isole Fiji, episodio da me già ricordato, Vannotti ricevette da Baden la proposta dell’invio in sito di un funzionario svizzero, ma decise per l’invio del sottoscritto, direttamente coinvolto. Allo stesso modo, concesse piena fiducia all’ingegner Masini per la gestione della CIG a Vittuone. Quando Masini lo informò che l’accordo sarebbe stato possibile accettando i contratti di solidarietà, ai quali Confindustria e Assolombarda erano contrari, in assenza di contatti con la presidenza Vannotti decise di accettare, nonostante la preoccupazione di aver con questa decisione ecceduto nelle proprie competenze. Il tutto fu poi approvato dai vertici sia italiani sia di Gruppo e la vicenda si chiuse favorevolmente. Il messaggio è molto chiaro: chiunque ecceda nelle sue competenze, piccole o grandi che siano, deve essere pronto ad assumersi le proprie responsabilità. Se l’organizzazione non è burocratica e si ha successo, nessuno si lamenta e nessuno punisce. Se uno si comporta da imprenditore, deve saper correre tutti i rischi, avendoli valutati accuratamente prima di prenderli. I risultati TIBB del 1982 furono negativi ma comunque migliori del budget, risultato purtroppo collegato alla messa in CIG di circa 600 persone delle 2.400 che erano in azienda a maggio all’arrivo di Vannotti. A questo doloroso evento va fatta risalire la rinascita del TIBB, quale sofferto sacrificio per il salvataggio di tutta l’azienda. A questo punto entra sulla scena del management TIBB Giovanni Bertola, nipote dell’ex presidente del TIBB Giuseppe Bertola, che era stato anche uno dei tre amministratori delegati di BBC dell’epoca. Negli anni ‘70 Giovanni era stato inviato in Spagna per occuparsi delle fabbriche con Montes, responsabile di BBC in Spagna. Questi lo aveva trasformato in 180


uomo di amministrazione e finanza. Con Vannotti già a Milano, Venturini, allora direttore finanziario del TIBB, si accinse a lasciare la carica per dedicarsi, con il collega Sergio Farinati, a un’attività esterna di consulenza. Allora Giovanni Bertola fu trasferito dalla Spagna a Milano come sostituto di Venturini. Vannotti ricorda di avere preparato il budget 1983 con Venturini, ma di aver discusso il bilancio 1982 con Bertola.

IL SALVATAGGIO DEL TIBB VISTO DA UN PROTAGONISTA La vicenda del salvataggio del TIBB ha rappresentato un momento così decisivo nella sua storia, che ho ritenuto importante riportare nel seguito la dettagliata testimonianza di Vannotti stesso, ben rappresentativa anche nel tono concitato delle continue sfide che deve affrontare il top management. Il budget 1983 prevedeva un miglioramento a livello industriale, nonostante rischi legati a commesse per il Messico e per l’Iraq. Piazzale Lodi era scarico di lavoro, ma Vado aveva fornito dieci locomotive E633, e registrava mobilità interna, programmazione più sicura, produttività in aumento e controllo più sistematico delle commesse. Con il supporto di Berchtold era in atto lo streamlining di Vittuone e il coordinamento e la comunicazione tra le produzioni di macchine, elettronica e trazione in questo stabilimento. La situazione del Piano elettromeccanico nazionale generava incertezza nel mercato, con una azione molto massiccia di Ansaldo. I clienti mostravano attenzione alla volontà di BBC di sostenere il TIBB in Italia. Vi era il rischio di demotivazione interna e di non riuscire a tenere insieme le persone, se la situazione fosse durata. Le ridotte commesse ENEL e la caduta generale del mercato spingevano il TIBB sempre più nella dipendenza dalla trazione e dalle commesse delle FS, contese duramente da Ansaldo. Un grosso ordine di locomotive slittava dal 1982 al 1983, creando incertezze per il futuro, motivate anche da problemi di inserimento del TIBB in ATM a Milano. I carichi dei tre stabilimenti erano sbilanciati: Piazzale Lodi al 30 per cento, Vittuone al 50 e Vado all’80 per cen-

Avrebbero potuto essere interessanti accordi nel campo dell’energia e in quello della trazione. Inoltre occorreva definire una strategia chiara per l’industria, promuovere la ricambistica per l’energia e potenziare gli sforzi commerciali.

to, senza adeguate coperture dei costi fissi. Vado Ligure era concentrato sulla meccanica, ma il TIBB non era riconosciuto dalle FS come progettista meccanico (solo FIAT e Breda lo erano); il TIBB era riconosciuto come progettista elettrico. Da tutto questo appare chiaro che le azioni operative interne andavano integrate con politiche e strategie esterne verso ENEL, FS, Ansaldo, gestite dal vertice a sostegno delle divisioni impegnate nei loro specifici miglioramenti. Il Piano che doveva essere definito a fine anno 1982 o a gennaio 1983 presentava varie incertezze per la sua realizzazione. Al 181


IL “MIO” TECNOMASIO 11. Gli sviluppi del Tecnomasio posto di una soluzione globale elettromeccanica avrebbero potuto essere interessanti accordi bilaterali nel campo dell’energia e soprattutto in quello della trazione. Inoltre occorreva definire una strategia chiara per l’industria, promuovere la ricambistica per l’energia, forzare le attività dell’elettronica e potenziare gli sforzi commerciali. A gennaio 1983 le FS formalizzarono un ordine al raggruppamento, ancora da suddividere all’interno. Valore del contratto, oltre 110 miliardi di lire. Per incassare l’anticipo di circa 20 miliardi di lire erano necessarie fidejussioni bancarie: occorreva pertanto l’aiuto di Baden. Camponovo e Berchtold avevano previsto, nel calcolo ricavi/costi di questa commessa, un risultato in perdita di circa il 10 per cento. Vannotti in un confronto con la trazione di Baden si assicurò che il prezzo fosse congruo e stabilì di registrare la commessa a break even ma con un obiettivo di 10 per cento di profitto. Ovviamente chiese un deciso impegno da parte di tutti. Il risultato fu addirittura migliore dell’obiettivo e permise al TIBB di risolvere in gran parte il problema della liquidità aziendale (le FS pagavano all’epoca a percentage of completion). Molto apprezzato è sempre stato il contributo di Lanzavecchia e del suo team nello sviluppo al TIBB delle locomotive elettroniche, nonostante le critiche di Baden per non avere semplicemente adottato le soluzioni del Gruppo. I migliorati rapporti con l’ATM di Milano e il fruttuoso interessamento dell’ingegner Zancan portarono alla denominazione Lodi TIBB della stazione della Metropolitana MM3 di Piazzale Lodi. Nell’aprile 1983 il Piano elettromeccanico soffriva di molte opposizioni da parte regionale e sindacale e presentava difficoltà di finanziamento. Era stato una vera spada di Damocle per il TIBB, minacciato di pesanti confinamenti: esso fallì per sopravvenuti cambiamenti nella direzione politica italiana, per i bilanci in perdita della parte statale, per il timore da parte del sindacato di pesanti riduzioni di occupazione e per la difesa degli interessi e del prestigio delle imprese lombarde. Si faceva strada ancora l’interesse a tentare soluzioni parziali in luogo di quella globale. La situazione del TIBB per gli anni 1983-84 sembrava abbastanza positiva, con l’energia a posto e la trazione abbastanza carica, anche se con problemi operativi. Vi era incertezza per l’industria, per la quale venne elaborato un piano con possibili cambiamenti di management. L’esposizione finanziaria era migliore del budget, e si lavorava alla riduzione del circolante. Il mercato continuava ad essere recessivo. Il risultato di bilancio a giugno 1983 era ancora negativo rispetto a un budget di break even. Le ragioni erano legate a un fatturato inferiore al budget, a scoperture in fabbrica, ingegneria e vendita e al costo della commessa di trazione maggiore del previsto. Gli ordini di trazione e industria erano stati inferiori al budget. Furono inoltre analizzati i mancati benefici delle commesse previste in utile. Positivo l’aumento della liquidità, con l’esposizione bancaria scesa grazie all’anticipo delle FS. Per la fine anno sembrava difficile, ma non impossibile, il raggiungimento del cash flow di budget. 182


Le previsioni per il 1984 mostravano incertezza in divisione industria, con la trazione gravata da problemi operativi, e l’energia dipendente dalle commesse ENEL. Si prospettava la CIG. Per il nucleare vennero qualificati Ansaldo e Marelli. Il TIBB ricevette un ordine di due macchine da 750 MVA per Brindisi ed era in arrivo la commessa di Atatürk (50 milioni di dollari), che rappresentava un ottimo carico a lungo termine per la fabbrica di Piazzale Lodi. In dirittura di arrivo dalla Cina era anche la commessa di Pan Jia Kou. Per la trazione, l’ordine delle locomotive diesel elettriche dalle FS coinvolgeva TIBB e FIAT. Era decisivo assicurare il futuro degli stabilimenti di Piazzale Lodi e di Vado Ligure. A quel momento, a capo della divisione Industria Lentati sostituì Uccelli, mentre alla divisione Trazione il sostituto di Barenghi era previsto dall’esterno. L’obiettivo aziendale era di chiudere il 1983 in pareggio e fare un aumento di capitale. Per il rinnovo del contratto dei metalmeccanici, Confindustria non gradiva i contratti di solidarietà, ma Vittuone li richiedeva nel caso di una CIG. Oggetto di attenta considerazione era anche il futuro della SAE, con il DG Achille Colombo. A gennaio 1984 il risultato previsionale 1983 presentava un cash flow positivo e leggermente superiore al budget, con l’intento di fare riserve nel 1983 per affrontare le incertezze del 1984. Dalla Marelli, entrata in amministrazione straordinaria nel 1981, la trazione passò alla Firema: sarebbe stata un interessante acquisto per il TIBB, se fosse stato più forte finanziariamente. A giugno fu ottenuta la CIG per 2 anni. Piazzale Lodi e Vittuone erano in buona posizione; in quest’ultima fabbrica vigevano i contratti di solidarietà, tuttavia poco applicati, in quanto poco graditi ai lavoratori. A Vado esisteva un problema di alleggerimento di personale e la preoccupazione per il ritardo di ordini di locomotive D145 ed E633 che avrebbero inciso su risultato e occupazione futuri. Il sostituto di Barenghi, Confalonieri, venne assunto dall’esterno. Il risultato a fine giugno fu positivo e la previsione di fine anno presentava cash flow e risultato a budget. Il 1984 prevedeva quindi una forte riduzione dell’esposizione finanziaria e degli interessi passivi. In un paio d’anni il TIBB aveva riacquistato credibilità nei campi di energia e trazione. Il contesto politico-industriale appariva positivo. Restavano problemi di redditività della trazione. ENEL a quel tempo desiderava avere solo due fornitori: uno pubblico e uno privato. Il TIBB era deciso a difendere la sua strategica presenza nell’energia in Italia e la partecipazione al PEN e al Piano nucleare. Molti giochi coinvolgevano Ansaldo, TIBB, Marelli, Techint, Magrini, SACE, SAE, con eventuali situazioni di incrocio. I risultati TIBB del 1984 presentavano ordini per un valore superiore del 30 per cento rispetto al budget e un fatturato leggermente inferiore al budget. Il bilancio era positivo e l’esposizione finanziaria, senza i dividendi SAE, era dimezzata rispetto al valore del 1982. 183


IL “MIO” TECNOMASIO 11. Gli sviluppi del Tecnomasio Anche le garanzie bancarie di BBC a favore del TIBB erano ridotte. Nel 1985 iniziò l’era di Fritz Leutwyler, già presidente della Banca Nazionale Svizzera, come presidente del CdA di BBC al posto di Franz Luterbacher. Nella primavera del 1985 si riaprirono contatti tra BBC, Ansaldo e Italmobiliare, quest’ultima ormai in possesso di Tosi e Marelli. ENEL propendeva per la costituzione di due poli, uno pubblico e uno privato, ciascuno al 50 per cento del suo mercato. ENEL avrebbe preferito tecnologie BBC, ma il polo Tosi-Marelli garantiva un processo integrato turbina–alternatore. Si instaurò allora una trattativa BBC-Italmobiliare. Alla metà del 1985 i risultati TIBB furono i seguenti: ordinato molto superiore al budget; fatturato uguale al budget; risultato molto superiore al budget; cash flow superiore al budget. A luglio l’esposizione finanziaria, grazie agli anticipi dei clienti, scese a un quinto di quella del 1982, e le garanzie bancarie di BBC si ridussero a circa 12 per cento del valore del 1982. A miglioramento dei risultati TIBB andarono anche i consistenti dividendi della SAE. Le prospettive del TIBB indicavano un 1986 abbastanza tranquillo, tuttavia con qualche rischio di acquisizioni di ordini da FS, a causa di una sua riorganizzazione interna tra Roma e Firenze che avrebbe potuto causare un decentramento del potere. Inoltre perdurava ancora il dilemma ENEL tra pubblico e privato e la razionalizzazione del sistema elettromeccanico privato. Nel business delle apparecchiature iniziò un monitoraggio della Società Adda a Lodi dopo l’acquisto da parte dell’imprenditore locale Dossena dal commissario della Marelli, De Leonardis. Nel giugno 1986, alla scadenza della CIG, era prevista un’analisi della situazione per ulteriori decisioni. Alla trazione Barenghi venne sostituito da Ivo Braglia, proveniente dall’esterno. Giovanni Bertola si preparò a sostituire Vannotti alla scadenza del suo mandato in TIBB, trasferendo all’ingegner Guido Di Renzo la responsabilità dell’amministrazione e finanza del Tecnomasio. Per il futuro di BBC si guardava con interesse a possibili azioni di Leutwyler nel Gruppo e anche per la situazione italiana, con il

L’accordo con Italmobiliare portò la Tosi a rilevare il 30 per cento del TIBB e il TIBB a possedere il 30 per cento della Tosi. Il mancato accordo con Ansaldo finì con l’influenzare i futuri rapporti tra ABB e Finmeccanica. 184

TIBB, l’Elettrocondutture e la SAE. A novembre del 1985 Vannotti entrò nel CdA del TIBB. Risalgono a quel periodo alcune iniziative per cercare una ridefinizione delle posizioni dei settori pubblico e privato sul mercato elettromeccanico italiano, in particolare con incontri tra TIBB e Marelli, ai quali io stesso, congiuntamente all’ingegner Borsaro, partecipai in sede Italmobiliare


(Tosi e Marelli) con rappresentanti Marelli e l’obiettivo di definire aree (vendite, ingegneria) di possibile integrazione. Di importanza strategica risultò infine l’accordo con Italmobiliare, che portò la Tosi a rilevare il 30 per cento del TIBB e il TIBB a possedere il 30 per cento della Tosi. Il mancato accordo a tre con Ansaldo finì con l’influenzare i futuri rapporti tra ABB e Finmeccanica. Nel novembre del 1985 ENEL escluse il TIBB dalle forniture nucleari, dando preferenza ad Ansaldo, Tosi e Marelli. Al TIBB sarebbero restate le forniture con tecnologia convenzionale. Il TIBB si trovò di fronte al dilemma se spingere per il nucleare o rinunciarvi, cercando un posizionamento nella parte convenzionale con quote di mercato al più alto livello. Alla base di tutti gli sforzi di quegli anni vi fu il chiaro fatto che il futuro del TIBB, oltre a poggiare sul pilastro della trazione, risiedesse sull’altro pilastro, l’energia. Le stesse origini del TIBB erano state tradizionalmente incentrate sulla prevalenza nella grossa elettromeccanica. Le varie minacce, anche di estinzione, che il TIBB subì negli anni sia dall’interno, sia dall’esterno, scomparvero solo quando i risultati e la liquidità furono ristabiliti. A essi la divisione energia diede forti contributi. Se mai l’energia TIBB corse il rischio di essere ceduta o integrata con altre aziende, la salvezza venne dai suoi risultati e dai suoi difensori Leo Vannotti e Fritz Leutwyler. Alla fine prevalse il rapporto lineare e l’alleanza con Italmobiliare, dopo la sua acquisizione della Marelli, acquisizione che il commissario De Leonardis aveva raccomandato allo stesso TIBB, purtroppo allora non in grado di perfezionarla. Queste le conclusioni di Vannotti:

pp importante è sottolineare che Camponovo e lui stesso furono sempre convinti che la rinascita del TIBB sia avvenuta essenzialmente con il management esistente e che i problemi provenissero da altri fattori;

pp evidente e ammirevole fu lo spirito di sacrificio di tutti al TIBB; pp furono necessari due anni per convincere BBC del risanamento del TIBB. A partire dalla metà del 1984 la situazione dei risultati si fece più tranquilla;

pp un manager deve avere anche fortuna; pp quando le decisioni da prendere sono evidenti, non esitare e non procrastinare. Nel 1986 Vannotti fu chiamato a Baden da Leutwyler quale nuovo membro della Konzernleitung, ma mantenne la carica di amministratore delegato del TIBB fino al 1987, quando ne assunse la presidenza dopo l’uscita di Pellicanò. Nel 1988 Ivo Braglia fu nominato AD del TIBB. Il CdA del TIBB nel 1988 era il seguente: Leonardo Vannotti (presidente); Giovanni Bertola (vice presidente); Ivo Braglia (amministratore delegato e direttore generale). 185


IL “MIO” TECNOMASIO 11. Gli sviluppi del Tecnomasio LA FRUTTUOSA OPEROSITÀ DI UNA GRANDE SQUADRA Accanto alle vicende di carattere strategico più sopra descritte, il TIBB perseguiva negli anni ‘80 l’operatività dei vari business attraverso le sue persone e le sue strutture. Le attività dei montaggi esterni, delle messe in servizio e dell’assistenza tecnica erano state per molti anni gestite dall’ingegner Agrati sia con personale proprio sia con montatori prestati dalle fabbriche e con tecnici delle sale prove. A seconda del carico di lavoro in fabbrica e all’esterno veniva concordato lo spostamento e il rientro del personale. Questa pratica era molto utile sia per l’ottimizzazione dei carichi di lavoro sia per lo sviluppo formativo del personale di fabbrica attraverso attività di cantiere. Il TIBB aveva adottato il principio che le attività di service iniziassero dopo la scadenza della garanzia e non fossero applicate a nuovi prodotti: tale concetto tuttavia non escludeva, a buon senso, che in qualche caso specifico si instaurasse una osmosi tra le due tipologie. All’andata in pensione di Agrati, Sauro Ripamonti aggiunse alla responsabilità di sala prove anche quella dei montaggi esterni, con la collaborazione di Dariozzi, Paschini, Salvadeo, Forlini e altri. Il documento del 1987, integrato con qualche aggiunta, fornisce un interessante panorama della struttura divisionale.

pp Sottostazioni: Accornero, Iemmi, Lagalante, Gavioli, Busoni, Torcello pp Impiantistica di centrale: Bonora, Terraneo, Cascarano, Zani pp Tecnica: Borsaro, Rossi, Perina, Scrinzi pp Vendite: Leva, Boggiali, Guarnieri, Bassi pp Fabbrica: Ferri pp Sale prove e montaggi esterni: Ripamonti L’impegno degli operativi nelle Linee e nelle divisioni fu sempre accompagnato dal forte sostegno delle strutture cosiddette di staff, anch’esse soggette negli anni a importanti sviluppi. Degne di menzione sono le segretarie, allora non ancora denominate assistenti. Ogni capo ne aveva una, che, in mancanza degli odierni mezzi di comunicazione, si prestava anche a redigere lettere e documenti in lingue estere, in particolare in tedesco. Erano persone di assoluta affidabilità, che esprimevano spesso un vero sentimento di rispetto e di dedizione al proprio capo. Ricordo, in ambito direzionale, Liliana Rossi, Giuseppina Dossena, Celestina Meazza, Francesca Lodi, Loredana Negroni e altre delle quali conservo un ottimo ricordo. Nel mio ambito la signorina Calzolari, già segretaria di Roberto Vannotti e quindi di Piazzi e del sottoscritto, purtroppo prematuramente scomparsa, fu seguita da Elda Cattaneo, da Monica Cremonesi e da Annunciata Rota. Erano tutte molto riservate e anche decise regolatrici dei programmi giornalieri del capo e custodi della sua privacy. 186


Un particolare e fattivo impegno fu sempre sostenuto dal team di Adelchi Zancan, il quale, oltre ai compiti di assistente dell’amministratore delegato, dal 1976 divenne responsabile della funzione centrale Pianificazione e controllo, con la collaborazione negli anni di Antonio Venturini, di Gianfranco Burchi e di Erminio Rossi. Zancan era anche responsabile dell’ufficio Esportazione, con gli ingegneri Costa, Di Renzo e Gozzi, e dell’ufficio Legale, con l’avvocato Annalisa Tambornini. Egli inoltre curava, con Pier Giorgio Mainardi Valcarenghi e Celestina Meazza, la Propaganda e le Relazioni interne ed esterne, insieme al patrimonio di strumenti e di macchinari del periodo iniziale del TIBB, una parte del quale fu tenuto in mostra per molti anni nell’atrio dell’ingresso principale dell’azienda. Al momento del passaggio dal TIBB all’ABB, tutto questo patrimonio venne donato al Museo della Tecnica Elettrica dell’Università di Pavia. Zancan ebbe tra l’altro il merito di redigere, in collaborazione con il Politecnico di Milano, il volume TECNOMASIO, vicende di una impresa elettromeccanica, per il quale si veda l’Appendice I. L’ufficio Esportazione e i suoi ingegneri mi accompagnarono strettamente in tutte le mie vicende con clienti esteri: insieme costituivamo un team molto affiatato sempre impegnato sia dal punto di vista commerciale sia da quello tecnico. Costa, ticinese di Riva San Vitale, dopo un soggiorno di molti anni a Baden, desideroso di trasferirsi, aveva preferito l’Italia alla Spagna o al Messico, e forniva efficaci contributi al TIBB nei confronti delle commesse all’estero. La sua profonda conoscenza delle lingue e dei mercati, congiuntamente al suo eterno ottimismo e alla battuta pronta, ne facevano un ottimo compagno di viaggi e di successi. L’ironia, non disgiunta dall’autoironia, ne aumentavano l’apprezzamento e l’amicizia. Gli stessi splendidi rapporti esistevano con Guido Di Renzo, dall’inglese eccezionalmente fluente, eccellente interlocutore di clienti esteri e di collaudatori, ai quali offriva apprezzata collaborazione. Approdato in carriera alla posizione di vice di Barenghi alla divisione Trazione, venne poi assegnato da Vannotti a mio vice nella divisione Energia, nella quale restò fino ad assumere dall’ingegner Giovanni Bertola, nuovo AD al posto di Vannotti, la direzione amministrativa e finanziaria del TIBB. Anche Gozzi vantava una lunga militanza a Baden prima del trasferimento al TIBB, congiunta ad una ottima padronanza del tedesco. A questi venditori tradizionali all’export, la mia divisione aggiunse anche l’ingegner Edoardo Leva, per alcuni anni tecnico a Baden e poi progettista di linee elettriche alla SAE e alla fine nella mia Linea responsabile della Tecnica di Alta Tensione. Le sue qualità di venditore, oltre che di tecnico, ampiamente dimostrate, mi spinsero a offrirgli la responsabilità della Vendita divisionale all’export, che esercitava spesso congiuntamente con Guido Di Renzo. Alcuni cospicui esempi delle loro capacità furono costituiti dalle acquisizioni di 187


IL “MIO” TECNOMASIO 11. Gli sviluppi del Tecnomasio importanti commesse in Turchia, in Cina e in Messico. Leva rappresentò il caso del favorevole passaggio da una tipologia di lavoro ad un’altra, qualora sussistano chiare indicazioni di capacità da parte di una persona. Il passaggio dalla Tecnica alla Vendita in generale offre favorevoli risultati, che sono più difficili da raggiungere nel passaggio inverso. Importante per un capo è capire, attraverso dialogo ed empatia, il sussistere di elementi favorevoli al passaggio e permettere loro di realizzarli. Gli uffici regionali, ai quali ho accennato all’inizio di questa mia testimonianza, furono attivi fino agli anni ‘80 a Roma, Torino, Firenze, Padova e Milano (quest’ultimo gestito da Paolo Bassi). L’ufficio di Roma aveva sempre rivestito una peculiare importanza soprattutto per la cura dei principali clienti di Energia e di Trazione, in primis l’ENEL e le FS. L’ufficio di Roma era stato per vari anni guidato dall’ingegner Trunfio, legato da stretta amicizia con il direttore generale De Martini. Egli era cugino dell’omonimo potente direttore degli approvvigionamenti della Franco Tosi, e cognato di Vittorio Bachelet, vittima anni dopo delle Brigate Rosse. Dopo il periodo Trunfio, la responsabilità era passata all’ingegner Massimo Marsili, più anziano di me di alcuni anni e al quale mi legarono sempre sentimenti di vivo apprezzamento e di sincera amicizia. Collega di Piazzi, Lanzavecchia e Coppadoro, era tenuto come loro in altissima considerazione dall’azienda già al momento della mia assunzione. Per lui, come per i suoi illustri colleghi, il TIBB prevedeva una sicura carriera, grazie alle sue apprezzate doti di capacità tecniche e all’integrità personale. Allevato nello stabilimento di Via De Castillia, al momento di iniziare l’assunzione di responsabilità, presumibilmente nella Tecnica, aveva preferito per motivi familiari restare a Roma, sua città di provenienza, entrando a far parte dell’ufficio regionale, del quale col tempo aveva assunto la responsabilità. Marsili era il mio apprezzato sostenitore presso i clienti ENEL, Acea, FS e altri, presso i quali esercitava una assidua azione di business e di rappresentanza. Ancora oggi ricordo con nostalgia le mie trasferte romane, che iniziavano con un breve tour in centro, per ammirare per esempio la basilica di Santa Maria Maggiore, proseguivano con impegnative riunioni ed erano coronate la sera da una cenetta da Gino della Lungaretta o in qualche altro locale di Trastevere. L’amicizia e l’acuta intelligenza di Massimo Marsili erano un sicuro e piacevole motivo di chiusura di trasferta. Di Marsili mi sono rimasti molti cari ricordi, tra i quali uno mi fa ancora sorridere: durante un colloquio nell’ufficio di un importante cliente romano, mi ero lasciato sfuggire un commento che, anche se non esplicitato con la brutale parola “ricatto”, ne lasciava intendere abbastanza chiaramente il significato. Appena fatta questa affermazione, restai raggelato per avere pronunciato l’unica parola che non dovrebbe mai essere indirizzata a un cliente dal quale si attende un ordine. Il cliente sbiancò in faccia e stava per reagire, quando l’ottimo Marsili lo anticipò con una dialettica così sottile a spiegare che le mie intenzioni erano ben lontane da quel tipo di accusa. Insomma, tutti avevamo ben chiaro 188


il vero significato del mio azzardatissimo eloquio, ma l’eleganza dell’intervento di Marsili anticipò e prevalse sulla scontata reazione del cliente. La lezione di Marsili mi servì per tutto il resto della mia vita di lavoro. Mai più pronunciai quella parola di fronte a un cliente, anche se purtroppo qualche volta la situazione l’avrebbe meritata. Dopo l’uscita di Marsili, l’ufficio regionale di Roma venne gestito da Giuseppe Nucci, che avrebbe in seguito occupato posti di responsabilità in ENEL. Il potente ufficio regionale della Lombardia, del quale ho parlato all’inizio di questa mia testimonianza, era stato guidato per molti anni dall’ingegner Mario Santi, poi sostituito dall’ingegner Paolo Bassi. Celestina Meazza, entrata a far parte dello stesso ufficio nel 1970, ne ricorda l’inserimento nel 1974 nell’ufficio commerciale, sotto la direzione di Giampaolo Affaticati e con Capo Emilio Balottin e vice l’ingegner Roberto Boggiali. La signora Opizio fungeva da segretaria di Affaticati e di Balottin. L’ufficio commerciale trattava soprattutto macchine di serie e apparecchi elettrodomestici. Le vendite della divisione si avvalevano anche del supporto di agenzie nelle principali città italiane per la cura di primari clienti: queste istituzioni presentavano il vantaggio della loro vicinanza al cliente, con accesso diretto alla conoscenza delle sue necessità e dei suoi programmi di investimento.

RISORSE UMANE E RELAZIONI SINDACALI Al momento della mia assunzione, nel 1951, l’ufficio del personale, chiamato Ufficio Segretariato, era retto dal signor Poretti che, al suo pensionamento, venne sostituito dal dottor Guido Cattaneo, laureato come Giuseppe Corbetta in Giurisprudenza. Questi, con l’accordo dell’AD De Martini, ne mutò la denominazione in Ufficio del Personale. Il dottor Cattaneo, oltre a dirigere l’ufficio, si occupava in prima persona della ricerca e della selezione del personale dirigente e impiegatizio da assumere sia nella sede di Piazzale Lodi che negli stabilimenti di Piazzale Lodi stesso, di Via De Castillia e di Vado Ligure, con l’aggiunta degli uffici regionali nelle varie città italiane. Il dottor Cattaneo lasciò il TIBB nel 1979 per pensionamento e fu sostituito dal dottor Giacomo Scarsi. Il dottor Corbetta era responsabile della ricerca e della selezione del personale operaio per gli stabilimenti di Milano (Piazzale Lodi e Via De Castillia) e in seguito Vittuone. A Vado l’ufficio locale del personale provvedeva direttamente alla ricerca, alla selezione e all’assunzione degli operai. A partire dal febbraio 1971 l’ufficio del personale del TIBB si avvalse della collaborazione anche di Giuseppe Oldani, diplomato ragioniere e perito commerciale, che aveva già lavorato per dieci anni presso l’ufficio personale di un’azienda tessile. L’azienda avvertiva sempre più la necessità che la struttura del personale fosse in grado non solo di attuare una moderna gestione e amministrazione dei dipendenti, ma anche di predisporre per il vertice aziendale i dati amministrativi relativi al costo del lavoro dipen189


IL “MIO” TECNOMASIO 11. Gli sviluppi del Tecnomasio dente, i consuntivi per la redazione dei bilanci societari (per esempio i ratei di fine anno) e quelli previsionali (per esempio il budget del costo del lavoro distinto per qualifiche con successivo controllo trimestrale ed evidenziazione di eventuali scostamenti, i costi, suddivisi per qualifiche, dei rinnovi contrattuali, i costi

L’azienda avvertiva sempre più la necessità che la struttura del personale fosse in grado non solo di attuare una moderna gestione dei dipendenti, ma anche di predisporre i dati amministrativi relativi al costo del lavoro dipendente.

delle piattaforme e delle vertenze aziendali, eccetera). In parallelo era intensificata la gestione dei rapporti con gli Enti previdenziali e assicurativi (Inps, Inail, Inpdai, Previndai, Fasi e Ministero delle Finanze per la dichiarazione annuale, mod. 770, dei redditi percepiti dai lavoratori dipendenti). Corbetta e Oldani negli anni furono assistiti da un qualificato team di collaboratori, che comprendeva Marilena Ciocca, Serena Bollati, Maria Egidia

Buttaboni, Alceo Sigon e l’assistente sociale signora Gosio. Nei primi anni ‘80, il dottor Corbetta fu molto impegnato nella gestione della CIG (Cassa Integrazione Guadagni) straordinaria per gli operai di Piazzale Lodi e di Vittuone, con tutte le complicate pastoie burocratiche presso il Ministero del Lavoro e le discussioni con le rappresentanze sindacali aziendali (RSA). La CIG ebbe come conseguenza una riduzione del personale, in particolare operaio, con forme variabili di incentivazione. In qualità di capo progetto, Corbetta portò anche a definizione, con l’eccellente collaborazione del personale del CED (Centro Elaborazione Dati), un programma di rilevazione automatica delle presenze per l’elaborazione di stipendi, paghe e contributi, gradualmente esteso alla totalità dei dipendenti. Successivamente, con il ritorno in favorevoli condizioni del Tecnomasio, il dottor Corbetta fu coinvolto, insieme a Oldani e ai responsabili interessati, nel graduale trasferimento di tutto il personale operaio ancora occupato presso lo stabilimento di Piazzale Lodi agli altri stabilimenti acquisiti della Ercole Marelli a Sesto San Giovanni e dell’Adda a Lodi. A fine settembre del 1989 Corbetta lasciò l’azienda per pensionamento. Il coinvolgimento dell’ufficio personale nelle vertenze sindacali era un importante componente di supporto al management, sul quale ricadeva la responsabilità dei risultati. Appena assunto l’incarico di capo della Linea di business W, presi contatto con i rappresentanti sindacali di Piazzale Lodi per questioni di normale rilievo, tra le quali la sicurezza del lavoro, che vedeva la loro presenza nei Comitati denominati “paritetici”. Gli anni ‘50-’60 erano stati caratterizzati da molti scioperi, con il sindacato TIBB guidato dalla CGIL e dalla sinistra comunista e socialista, con varie figure prestigiose. Inoltre, un dipendente TIBB, il signor Francesco Zoppetti, era in aspettativa dal 1972 in quanto deputato al Parlamento, carica che avrebbe ricoperto per cinque legislature. Il 1970, con l’inquadramento unico, aveva causato forti interventi sindacali. 190


I diretti interlocutori sindacali durante i miei incarichi di Linea e in seguito di divisione furono Paolo Marchesani per le macchine e Giuseppe Foroni per gli apparecchi. Quest’ultimo passò nel 1989 dal TIBB all’Adda e restò nell’ambito sindacale di questa azienda fino alla sua uscita per occupare incarichi di rilievo nel sindacato provinciale. Marchesani, entrato nel 1970 e assegnato all’ufficio tecnico dell’industria, guidato da Brianza, dal 1972 iniziò a occuparsi di questioni sindacali, incarico che mantenne fino al 1988, al momento della fusione TIBB-Marelli. Dotato di ottima preparazione, manteneva contatti con Zoppetti, che fungeva da mentore politico relativamente alle vicende dell’elettromeccanica italiana e in particolare alle opportunità che in campo politico avrebbero potuto maturare per il TIBB. Nel 1980 il Piano Royer di concentrazione delle macchine di serie in un unico stabilimento del Gruppo BBC causò la crisi di Vittuone, che investiva l’occupazione di circa 900 dipendenti, alla quale si sommava anche quella degli apparecchi di Milano. Furono pertanto tempi di CIG, con forti tensioni sia nella sede di Milano, sia in Regione Lombardia e al Ministero del Lavoro. Nonostante le animate discussioni, i rapporti tra l’azienda e il sindacato furono sempre improntati al massimo rispetto delle reciproche opinioni: decisivo fu sempre il fatto che il sacrificio causato ai dipendenti dalla CIG preludesse a un successivo rilancio delle attività produttive e a futuri investimenti. Ognuno di noi capi Linea doveva illustrare, oltre ai motivi che provocavano la CIG, anche e soprattutto le azioni che, ripristinata la redditività, avrebbero consentito ulteriori sviluppi tecnologici e produttivi, con un positivo impatto sulla occupazione. L’azienda presentava al sindacato, pronto a discuterla, la propria visione del futuro. Nessun licenziamento venne mai applicato e si ricorse sempre ai tradizionali provvedimenti previsti dalla legge in questi casi. La perdita dei motori di serie a Vittuone fu parzialmente compensata dallo spostamento da Milano della quadristica elettrica industriale di media e bassa tensione, che si affiancò alle tradizionali produzioni di motori asincroni medi e grandi e ai motori a corrente continua per la trazione, con un successivo graduale rientro dei dipendenti in CIG. Un’ulteriore vertenza per la riduzione soprattutto di personale impiegatizio fu gestita nel 1982: dopo di essa i rapporti con il sindacato tornarono a essere improntati ad aspetti di ordinaria amministrazione. A partire dal 1975, la vicenda del nucleare italiano rappresentò anche per il sindacato un tema di particolare rilevanza. Ne fa testimonianza una Conferenza di produzione del TIBB, tenuta alla fine di novembre del 1975 con il coordinamento dei Consigli di fabbrica e con una relazione introduttiva di Marchesani. In essa l’Energia e la Trazione erano dichiarati strategicamente fondamentali per la sopravvivenza dell’azienda, della quale erano tratteggiate le principali caratteristiche in termini organizzativi, produttivi, occupazionali e di mercato per i tre stabilimenti. Dato per 191


IL “MIO” TECNOMASIO 11. Gli sviluppi del Tecnomasio scontato che lo sviluppo futuro del TIBB sarebbe dipeso dalla programmazione economica governativa relativa ai Trasporti e all’Energia, erano ricordate le gravi conseguenze della crisi petrolifera del 1973 e la necessità di una diversificazione delle fonti energetiche, tra le quali l’energia nucleare avrebbe costituito un fondamentale componente insieme ad un piano aggiuntivo di centrali termoelettriche. Secondo il sindacato, la dipendenza di tutti e tre i principali costruttori italiani coinvolti (Ansaldo, Marelli e TIBB) dalle rispettive licenze di General Electric, Westinghouse e BBC, era ritenuta un fattore limitante delle potenziali capacità di ricerca e sviluppo italiane. Oltre agli indubbi vantaggi che da lunghi anni le licenze avevano assicurato all’industria elettromeccanica italiana, il sindacato auspicava che il Piano Energetico Nazionale (PEN) e un Coordinamento regionale promuovessero iniziative di ricerca e sviluppo coinvolgendo tutte le parti produttive tecniche, imprenditoriali e il sindacato per il superamento delle logiche tradizionali e degli interessi di parte e per un effettivo progresso del Paese. Nel 1980 a Filippo De Ferrari venne affidata la responsabilità dell’Organizzazione e dei sistemi informativi, con l’ausilio dell’ingegner Cesare Scaccabarozzi. Gli Approvvigionamenti passarono sotto la responsabilità di Mapelli. Nel 1985 De Ferrari assunse anche la responsabilità della Qualità, che svolse congiuntamente con l’ingegner Piazzi. All’inizio degli anni ‘80, in tempi ancora difficili per il TIBB, ricevemmo a Milano la visita di Piero Hummel. Su sua richiesta, lo accompagnai in un giro in fabbrica (chiedeva sempre di vedere la parte migliore e quella peggiore del sito): io stavo uscendo faticosamente da un periodo di crisi, e Hummel riconobbe i nostri sforzi per riacquistare fiducia e credibilità. A una cena, offerta all’illustre ospite da Pellicanò al ristorante Savini in Galleria, ebbi l’occasione di incontrare un personaggio che conoscevo solo di fama, Giovanni Calì, del quale avevo conosciuto a Baden il nipote. Calì era stato il fondatore nel 1923 della Società Elettrocondutture, che aveva segnato una rilevante presenza nell’evoluzione degli impianti di bassa tensione, acquisendo nel 1932 la licenza di distribuzione degli interruttori magnetotermici della società tedesca Stotz-Kontakt. Questo rappresentava lo sviluppo dei primi tipi di protezioni automatiche, l’invenzione delle quali da parte della Società tedesca risaliva al lontano 1920. Nel 1950 si era già rafforzata la collaborazione con Brown Boveri, e la produzione venne estesa a interruttori e relè industriali. Nel 1960, a valle dell’inaugurazione del nuovo stabilimento di Milano in Via Valtorta, fu registrato il brevetto dell’Elettrostop, capostipite dell’attuale serie di protezioni differenziali per i settori domestico e industriale. All’inizio del 1970 fu aperto lo stabilimento di Pomezia, che affiancò quello di Milano nella innovazione tecnologica delle varie tipologie di apparecchi, compresa l’introduzione della prima serie in Europa di apparecchiature modulari miniaturizzate. 192


Verso la fine degli anni ‘80, Elettrocondutture divenne parte del Gruppo ABB. All’inizio degli anni ‘80 l’argomento della sicurezza sul lavoro al TIBB si ripresentò in una forma piuttosto seria, con un problema di rumore, che negli anni si tradusse in un elevato numero di dipendenti che accusavano il TIBB di procurata sordità. Nel processo che ne seguì furono coinvolti i vari responsabili negli anni dei siti produttivi, a cominciare dall’ingegner Liborio Spinoccia, allora già ritirato e molto anziano, e dai suoi successori, Velati e Piazzi, e dal sottoscritto, l’unico ancora in carica. Il Pretore non volle riconoscere la procura a me affidata dal CdA del TIBB ed estese il processo anche all’ingegner Pellicanò, che affidò la sua difesa a Vittorio Chiusano, famoso avvocato della famiglia Agnelli e, per un certo periodo, anche presidente della Juventus. Tutti gli altri imputati, ormai usciti dall’ambito TIBB, lasciarono a me l’incarico di rappresentare il TIBB al processo, con alla difesa, oltre al valido avvocato Magliucci, anche il professor Pedrazzi. Dopo un lungo screening sull’entità e sulle origini della sordità e soprattutto grazie alla accurata documentazione raccolta per molti anni da Mazzola, riuscimmo a dimostrare che il TIBB, a partire dagli anni del dopoguerra, fu sempre sensibile ai problemi del rumore, adottando via via, anche in assenza di leggi specifiche, tutti i più moderni dispositivi che il mercato offriva per evitare danni all’udito ed emettendo regole e procedure per il loro impiego e per i relativi controlli. Per esempio, alcune macchine operatrici erano state isolate dall’ambiente tramite cabine silenti, con l’obbligo di indossare cuffie da parte del personale per i brevi periodi di lavoro al loro interno. La sentenza assolse l’ingegner Pellicanò per insussistenza del fatto e tutti gli altri per non aver commesso il fatto.

ARRIVANO I PERSONAL COMPUTER Gli sviluppi tecnologici in corso portarono intorno all’anno 1985 alla sostituzione delle macchine per scrivere elettriche con i primi personal computer. Leo Vannotti, uno dei primi tra gli industriali ad assegnare ai dirigenti l’uso di una vettura aziendale, assegnò anche a tutti i capi un apprezzato PC. Nasceva così l’office automation, che all’inizio subì una spietata opposizione da parte dei fornitori di mainframe, che vedevano minacciato il proprio business (la maggior parte dei costi dell’informatica è in effetti appannaggio dei fornitori di hardware e di software). Anche gli stessi manager EDP di estrazione tecnica erano preoccupati per la temuta perdita di controllo della gestione dati. Tuttavia la strada del futuro era ormai tracciata. Nello stesso periodo avvenne la trasformazione dell’attività degli Uffici Tecnici delle divisioni operative con l’introduzione del CAD (Computer Aided Design). L’introduzione di nuove tecnologie e delle relative modalità operative rese evidente un gap culturale nell’ambito dei progettisti, che fu affrontato e superato grazie alla consapevolezza del vertice aziendale, convinto della giusta scelta. Il risultato fu una integrazione dell’area della progettazione con altre aree, quali gli approvvigionamenti e la produzione. Risultò così in193


IL “MIO” TECNOMASIO 11. Gli sviluppi del Tecnomasio fluenzata la cultura informatica di varie aree, con propri archivi dati, mentre il personale informatico venne a trovarsi più saldamente coinvolto nel business operativo. Dopo l’alimentazione elettrica per il Tokamak di Frascati, realizzata nei primi anni ‘70, l’ENEA (Comitato Nazionale per lo sviluppo dell’Energia Nucleare e delle Energie Alternative) commissionò al TIBB nel 1986 i convertitori statici a tiristori per l’alimentazione degli avvolgimenti della nuova macchina Tokamak FTU (Frascati Tokamak Upgrade) di Frascati. All’inizio del 1987 il TIBB perfezionò la costruzione dell’avvolgimento magnetizzante poloidale, con blocchi di bobine di oltre 8 metri di diametro, per l’esperimento RFX (Reversed Field Pinch) dell’Istituto Gas Ionizzati di Padova. L’RFX non è un Tokamak ma una configurazione alternativa sviluppata a partire dagli anni ‘70. Inoltre il TIBB, congiuntamente a un pool di aziende, collaborò allo studio della realizzazione di un reattore a fusione Ignitor svolto da un team guidato dal professor Bruno Coppi del MIT (Massachusetts Institute of Technology) e dai nostri Lanzavecchia e Vittadini. L’Ignitor è un progetto italiano per la realizzazione di un reattore sperimentale a fusione nucleare con confinamento magnetico, proposto nel 1977 da Coppi, che si era già cimentato in un altro progetto, Alcator. Rispetto al progetto internazionale ITER, molto pesante e costoso, l’Ignitor offrirebbe i vantaggi di minori pesi e costi, a fronte di una potenza di fusione di circa 100 MW. Per queste vantaggiose caratteristiche, il progetto potrebbe essere perseguito con risorse nazionali anziché internazionali. In tempi recenti è stata prevista anche una collaborazione con la Russia per un Ignitor da realizzare in questo Paese. Anche al Centro Ricerche di Ispra vennero fatte forniture di apparecchiature elettriche. Il Centro, fondato nel 1956, fu la prima infrastruttura di ricerca dell’ENEA, allora Comitato Nazionale per le Ricerche Nucleari (CNRN) e poi

L’introduzione di nuove tecnologie e delle relative modalità operative rese evidente un gap culturale nell’ambito dei progettisti, che fu affrontato e superato grazie alla consapevolezza del vertice aziendale, convinto della giusta scelta.

Comitato Nazionale per l’Energia Nucleare (CNEN). Ispra ospitò il primo reattore nucleare di ricerca in Italia sulla base dell’interesse allora diffuso per questa tecnologia (si veda l’Appendice III). Nel 1960 il Centro fu ceduto dal Governo italiano all’EURATOM per l’istituzione di un Centro Comune di Ricerche (CCR), con la presenza di ENEA in alcuni laboratori. Nel 1980 il Centro fu destinato ad azioni di sostegno delle energie rinnovabili. Nel 1985, con Pellicanò alla presidenza, Vannot-

ti assunse la carica di amministratore delegato, che mantenne fino al 1987, quando, al ritiro di Pellicanò, divenne a sua volta presidente. Nel 1987 l’accordo con Italmobiliare portò l’Ercole Marelli in orbita BBC.

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12. Nasce ABB Era un pomeriggio dell’agosto 1987, e mi trovavo al TIBB per prelevare dei documenti che avrei portato con me la sera stessa a Birrfeld per una riunione.

Durante questa mia breve permanenza in ufficio, ricevetti una telefonata di Vannotti che, in assenza di Bertola, mi informò in anticipo della avvenuta fusione tra ASEA e Brown Boveri (la vicenda è illustrata in dettaglio nel volume di Catrina del 1991) (6). Essa sarebbe poi divenuta operativa il 1° gennaio 1988, assumendo il nuovo logo ABB dal 1° luglio 1988. Nella prima metà del 1988 l’ABB Tecnomasio di Piazzale Lodi aveva la seguente struttura: presidente Leonardo Vannotti, AD e DG Ivo Braglia, divisione Trasmissione energia Carletto Calcia (fino al maggio 1988), divisione Produzione energia Roberto Borsaro, divisione Trasporti Lorenzo Venchi. Nel 1988 il Tecnomasio compiva il suo 125° anno di vita, congiuntamente con il Politecnico di Milano, con il quale il TIBB fu accomunato sotto molti aspetti oltre a quello della data di nascita. Ambedue le istituzioni hanno percorso tutta la storia dell’ingegneria elettromeccanica milanese, segnandone le tappe con i loro risultati scientifici, tecnici e industriali e le loro funzioni formative. Per la celebrazione di questo evento venne aperta dal 15 dicembre 1987 al 31 gennaio 1988 al Museo della Scienza e della Tecnica di Milano, la mostra Disegni di Macchine. Evoluzione di un linguaggio nello sviluppo della tecnica, nella quale furono esposti anche disegni tecnici del TIBB.

Nel 1988 il Tecnomasio compiva il suo 125° anno di vita, congiuntamente con il Politecnico di Milano, con il quale il TIBB fu accomunato sotto molti aspetti oltre a quello della data di nascita.

Alla data del 1° luglio 1988, la fusione per incorporazione nel TIBB della Ercole Marelli Nuova EMG (la sua ultima denominazione) diede vita a due nuove società, l’ABB Tecnomasio e l’ABB Industria, basate rispettivamente a Sesto San Giovanni e a Vittuone. Ciò comportò, come ho già accennato, il trasferimento delle attività produttive della linea macchine dalla fabbrica di Piazzale Lodi alla fabbrica Marelli di Sesto San Giovanni, trasferimento che in gran parte si concluse nei primi mesi del 1989. Con il progressivo spostamento della pro195


IL “MIO” TECNOMASIO 12. Nasce ABB duzione anche tutte le altre funzioni, dal commerciale alla progettazione e al personale, stabilirono la loro sede a Sesto. Verso la metà del 1988 ABB rilevò dall’imprenditore Luigi Dossena l’Adda Costruzioni Elettromeccaniche di Lodi, azienda produttrice di apparecchiature di media e alta tensione. Io fui chiamato dal management di ABB a ricoprire la carica di amministratore delegato e direttore generale di ABB Adda Srl e in seguito di ABB Adda SpA. Ma la storia di questa società, così come quella di ABB Tecnomasio, esula dal nostro racconto TIBB, che pertanto termina qui.

196


13. L’ABC della saggezza Durante le riunioni, spesso vengo richiesto di fornire un “grano di saggezza”, frutto della mia lunga vita di lavoro. Della saggezza esistono varie definizioni: una dice che il saggio è colui che sa molte cose e quelle che non sa riesce a procurarsele dove esistono. Un’altra afferma che il saggio dispone di così tanti fatti, eventi e modelli pregressi che per qualsiasi nuovo problema riesce a trovare la soluzione adatta senza essere costretto a ripensarne una nuova. Secondo me, la saggezza consiste nel disporre con gli anni di uno strato sempre più spesso di cose vissute, positive, negative e neutre, dal quale estrarre volta a volta quello che potrebbe servire al momento, ma che tuttavia potrebbe non essere adatto in quanto divenuto nel frattempo obsoleto. La saggezza consiste nel capire se quanto si propone può essere adatto o no. Spesso si dice che si impara di più dalle cose negative, dalle sconfitte, che da quelle positive, i successi: ma questi ultimi costituiscono una motivazione, mentre le prime bruciano, e tendono a essere dimenticate. La saggezza consiste nel saper dosare la valutazione dei loro impatti. La saggezza viene spesso confusa con l’esperienza, e quindi attribuita agli anziani, ma la corrispondenza non è sempre automatica: si può vivere a lungo e avere molta esperienza ma non essere saggi e si può avere un grano di saggezza anche da giovani, nonostante lo strato di esperienza ancora molto sottile. Si può insegnare ai giovani a essere saggi? Più con l’esempio che con le parole: l’atteggiamento del saggio può invitare il giovane a disporre “saggiamente” del suo deposito di esperienza, se pur ancora tenue. Alla fine della narrazione della mia vicenda di lavoro al TIBB mi sembra utile riassumere in una specie di guida quello che ho imparato, cioè quello che trovo nel mio spesso strato di esperienza e che ritengo possa rappresentare in qualche caso, e con tutti i possibili adattamenti, un modello per fatti e vicende di attualità. Non si tratta di esperienze eclatanti, non vi è in esse grandeur, ma è una onesta proposta a chi, prima di prendere una decisione della quale è il solo responsabile, voglia confrontarsi con chi quella stessa decisione, o una molto simile, la prese, nel bene e nel male, anni fa.

197


IL “MIO” TECNOMASIO 13. L’ABC della saggezza

A

vicinanza al cliente, che frequentano quasi quotidianamente e del quale quindi posso-

ACTIVITY BASED COSTING (ABC) E ACTIVITY BASED MANAGEMENT (ABM)

no conoscere i piani futuri di investimento, preparatori di potenziali opportunità per l’azienda. Tuttavia essi possono diventare

L’ABC è una metodologia di manage-

con il tempo centri di potere e prevalere

ment tendente alla valutazione dei costi

nell’ottica del cliente rispetto agli uffici

indiretti di una azienda in funzione delle

aziendali. Va pertanto operata una scelta

varie attività: con il tempo essa fu sostituita

oculata, evitando il più possibile interme-

dall’ABM, che esamina in dettaglio e in

diari e instaurando un equilibrio tattico tra

modo più allargato le attività praticate dai

centro e periferia nei confronti del cliente.

colletti bianchi al fine di allocarle primaria-

Continui controlli devono assicurare il

mente in tre grandi categorie:

mantenimento degli equilibri concordati.

pp attività per il cliente, che comportano risultato per l’azienda;

ANALISI DEL VALORE

pp attività amministrative, in pratica non

È una pratica di management introdot-

importanti per il cliente, ma necessa-

ta in passato a garanzia dell’ottimizzazio-

rie per il mantenimento dell’azienda;

ne di un qualsiasi prodotto o progetto, a

pp attività non necessarie né per il cliente

valle della sua prima progettazione o ad-

né l’azienda, e quindi in principio da

dirittura della sua realizzazione. Il con-

eliminare.

cetto è semplice, e in sostanza rispecchia

Il processo di applicazione dell’ABM

i criteri espressi dal Pensiero Laterale di

comporta una forte collaborazione e condi-

Edward de Bono, cioè di non dare per

visione da parte del personale, che vede

scontato che il primo progetto elaborato

privilegiati e rafforzati i suoi impegni verso

sia il migliore e il più competitivo.

il cliente e verrebbe possibilmente liberato

Esso deve essere frutto di approfondi-

da mansioni di poca importanza, e come

te analisi incrociate di numerose varianti,

tali demotivanti, per essere riassegnato a

dalle quali far emergere veramente la so-

mansioni più importanti per l’azienda e

luzione che soddisfi tutti i parametri posti

per il collaboratore.

a base della specifica. Applicato anche

Il risultato da perseguire è un’accen-

oggi per i vantaggi che comporta, questo

tuata snellezza strutturale e un forte

concetto pone un freno all’ego ingegneri-

orientamento al cliente da parte di dipen-

stico spesso presente, che potrebbe frap-

denti motivati.

porsi allo sviluppo delle migliori soluzioni indispensabili per l’azienda, e addirit-

AGENZIE Le Agenzie e gli Uffici regionali hanno sempre avuto grande rilevanza per la loro 198

tura evitare anche eventuali clamorosi errori progettuali evidenziati dai clienti. In pratica, il vertice assicura il supporto


di riconosciuti e apprezzati specialisti

quanto siamo intelligenti e “saputi”: forse

esterni ai quali affida il compito di rivedere

gli altri potrebbero imparare qualcosa da

da tutti i possibili punti di vista prodotti e

noi, ma parlando noi non impariamo. La

processi in corso di progettazione o già rea-

vera arte per un manager, e non solo per

lizzati, elaborandone varianti e arrivando a

questa categoria, è saper ascoltare, per co-

nuove proposte di miglioramento.

noscere e per capire fatti e persone. Il loro

Oggi questa operazione avviene solita-

carattere, le loro aspirazioni, i loro proble-

mente con il supporto degli ingegneri e

mi devono essere conosciuti dal manage-

progettisti aziendali, che si prodigano a

ment, per ottimizzare il decisivo rapporto

collaborare con gli analisti esterni, rico-

tra l’azienda e le persone. Lo stesso fatto,

noscendone il valore basato sulle molte

illuminato dall’ascolto di vari testimoni,

esperienze pregresse e su particolari spe-

presenta connotati diversi, che contribui-

cializzazioni.

scono a formare un quadro completo.

Tuttavia in passato l’introduzione dei

La famosa maieutica di Socrate consi-

consulenti spesso causava opposizioni e

steva nel saper stimolare la persona a espri-

risentimenti da parte dei locali, che giudi-

mere ciò che aveva nel suo intimo: adottia-

cavano offensiva la messa in discussione

mo pertanto il metodo socratico anche in

del loro valore ingegneristico, obbligando

azienda e impariamo ad ascoltare. Ricordo

pertanto il vertice a una gestione diretta

ancora oggi l’incontro casuale in ascensore

degli analisti e talvolta a una vera e pro-

con un impiegato appartenente a un altro

pria loro difesa.

settore che, per motivi che ancora oggi non comprendo, ritenne opportuno approfitta-

APPROVVIGIONAMENTI Solitamente

centralizzati

re di quei pochi minuti per comunicarmi livello

quanto fosse bravo nel suo lavoro e quanto

aziendale, potrebbero essere talvolta gestiti

a

poco fosse ascoltato dal suo capo. Era evi-

tramite una funzione centrale per gli acqui-

dente che io, estraneo alla sua vita di lavo-

sti strategici - quali per esempio lamierini

ro, in quel momento rappresentavo un

magnetici, rame, alluminio, isolanti, ecce-

bypass del suo vero capo nel raccogliere le

tera - e direttamente dalle funzioni di linea

sue preoccupazioni.

per gli acquisti specifici dei relativi busi-

Nella valutazione di un manager vale

ness. Questo criterio aumenterebbe la fles-

forse la pena di introdurre un parametro

sibilità e la precisione degli acquisti.

circa le sue dimostrate capacità di ascolto.

ASCOLTARE

ASSICURAZIONI

Tutti abbiamo la tendenza a parlare, in

Tutti conosciamo l’importanza di assi-

quanto siamo ansiosi di comunicare le

curarci contro i rischi, ma per stabilire il

nostre opinioni, per tacere della tendenza

grado di assicurazione congruo occorre

molto diffusa a far conoscere al mondo

saper valutare con sufficiente precisione i 199


IL “MIO” TECNOMASIO 13. L’ABC della saggezza rischi stessi. Se per esempio si ricopre la

a vapore è stato piuttosto sintomatico: no-

responsabilità di uno stabilimento, è mol-

nostante la realizzazione del prototipo, la

to importante procedere alla valutazione

valutazione di eccessivo rischio tecnico,

dei vari rischi (in inglese appraisal) che si

economico e di immagine insita in una

annidano nei reparti, nei processi, nel

potenziale importante commessa ci con-

macchinario e in tutte le varie attività.

vinse a non concorrere. E non ci pentim-

Con procedure e criteri piuttosto sem-

mo mai di una tale decisione.

plici si arriva a stabilire il grado di rilevanza di ogni rischio e quindi il valore di assicurazione pertinente. Quando la rilevanza

Chi ha lavorato al Tecnomasio negli an-

del rischio raggiunge valori molto elevati,

ni successivi alla Seconda Guerra Mondia-

se pur ancora assicurabili, si impone un

le sicuramente è pronto a testimoniare del

piano di azione per la riduzione del rischio

clima autoritario dell’epoca, derivante al-

stesso, atto a ridurre la classe pertinente

meno in parte dalle vicende militari appe-

dell’assicurazione. A fronte di rischi così

na trascorse: alcuni stabilimenti erano stati

gravi da non risultare assicurabili non vi è

costretti a partecipare temporaneamente

altra soluzione che l’annullamento totale

allo sforzo bellico. Soprattutto in fabbrica e

del rischio, cioè l’eliminazione del macchi-

nei vari reparti i capi tendevano ad applica-

nario, del processo o dell’attività.

re l’autorità loro conferita dal grado. Ma

Questo per uno stabilimento, ma il con-

quasi tutti associavano l’autorità e il pater-

cetto vale per qualsiasi altra attività, per la

nalismo a un certo grado di autorevolezza,

quale vige la necessità della valutazione di

che derivava loro dalla profonda compe-

rischio, oggi strutturata nella ben nota pro-

tenza tecnica, dall’integrità del comporta-

cedura di gruppo di risk assessment.

mento, dalla condivisione degli obiettivi

Particolare attenzione va prestata al ri-

aziendali, dalla forte determinazione nel

schio di perdita di immagine, che potreb-

guidare i collaboratori al loro raggiungi-

be pesare negativamente più di quello

mento e dalla loro tutela come squadra

economico.

esposta alle loro responsabilità.

In caso di incidenti e di contenziosi, le

Negli uffici, anche a livello elevato, esi-

constatazioni in sito vanno effettuate da

steva qualche capo certamente autorevole

personale aziendale congiuntamente con il

ma anche dotato di atteggiamenti autorita-

personale della società assicuratrice: i ri-

ri, derivanti soprattutto da responsabilità

sultati delle constatazioni devono essere

ricoperte in guerra dopo una preparazione

registrati in un comune documento firmato

militare. Con il tempo l’autorevolezza fini-

da entrambe le parti.

va con avere il sopravvento, e prevaleva la

Il caso vissuto al TIBB dei motori per il

200

AUTORITÀ E AUTOREVOLEZZA

sindrome dell’ufficiale gentiluomo.

comando a velocità variabile delle pompe

I capi che ho avuto al TIBB non prati-

di alimentazione dell’acqua per le caldaie

cavano il cosiddetto e famigerato “coman-


do e controllo” solitamente ritenuto tipi-

come riferimento verso il quale tendere.

co di quell’epoca: ho sempre incontrato

In pratica numerose aziende di diversa

stili di serietà e di competenza con aper-

estrazione partecipano a programmi in se-

tura al dialogo e assoluta comprensione,

di universitarie per l’individuazione di

non priva di cordialità.

aziende mondiali ritenute di eccellenza per ciascuna delle principali attività (marketing, vendite, ingegneria, approvvigio-

B

namenti, produzione, eccetera) e/o di fattori gestionali quali sicurezza, qualità,

BALANCED SCORECARD

gestione dei talenti, eccetera.

Il concetto sviluppato da Kaplan e Morton è di introdurre un sistema di monito-

BUDGET

raggio della performance aziendale basato

L’istituzione del budget al TIBB risale ai

non solo sulle misure finanziarie, ma su un

primi anni ’80 con le formalità che ancora

cruscotto per il miglioramento aziendale

oggi esistono e fanno discutere. Anche allo-

composto di:

ra la preparazione avveniva con largo anti-

pp financial perspective; pp customer perspective; pp internal business process

cipo rispetto alla fine anno e sulla base di

perspective;

pp learning and growth perspective.

parametri futuri, l’attendibilità dei quali era esposta a possibili sorprese nel corso dell’anno di pertinenza. Il procedimento di preparazione avveniva in modo iterativo

Oggi il cruscotto è di solito molto più

tra il top down da BBC e dal vertice azien-

ampio, ma nei tempi passati il balanced

dale e il bottom up degli operativi. Ma an-

score ha supportato le azioni di migliora-

che allora alla fine prevalevano gli obiettivi

mento aziendale diffondendo l’attenzione

posti dal vertice. A valle dei due shock pe-

dai puri parametri finanziari, allora privi-

troliferi del 1973 e del 1979 la situazione

legiati, ad altri parametri altrettanto signi-

dei mercati presentava almeno una parven-

ficativi per incrementare le opportunità

za di stabilità, che tuttavia poteva essere

di crescita e di successo delle aziende.

alterata da sempre possibili eventi contingenti. Persisteva quindi anche allora il ri-

BENCHMARKING

schio di non riuscire a raggiungere i risulta-

Questa metodologia di management

ti di budget e ciò era fonte di grande preoc-

coltivata e raccomandata anche in Italia

cupazione, perché il rispetto del budget,

da Michael Spendolini consiste nel con-

nonostante qualche sorpresa negativa di

fronto tra i parametri fondamentali carat-

percorso, era considerato dovere assoluto.

teristici della propria azienda con quelli

In effetti il budget, una volta stabilito e ac-

di altre aziende ritenute di assoluta eccel-

cettato, avrebbe, come oggi, regolato la vita

lenza, anche di settori diversi, per fissarli

aziendale in tutti i suoi parametri fonda201


IL “MIO” TECNOMASIO 13. L’ABC della saggezza mentali e qualsiasi distorsione avrebbe do-

le previsioni politiche ed economiche

vuto essere subito riconosciuta e cancellata

del futuro, il budget è ormai un punto

con opportune misure.

fermo nella gestione aziendale, e una sua

L’asticella da saltare fissata con il bu-

correzione in corso d’opera andrebbe ap-

dget non sarebbe stata abbassata durante

portata solo in caso di provata e larga-

l’anno anche in presenza di oggettive dif-

mente condivisa necessità.

ficoltà: noi operativi eravamo chiamati in ogni caso a individuare prontamente qualsiasi accenno di gap rispetto al bud-

BUSINESS PROCESS RE-ENGINEERING

get e a operare immediatamente con

È il processo di revisione generale

azioni correttive: una posizione molto

dell’azienda operato attraverso l’applica-

rigida (niente scuse) che prevedeva forti

zione operativa di alcune consolidate me-

richiami in caso di inadempienze. A fine

todologie scelte in base alle peculiari carat-

anno, e non prima, ci sarebbe stata tutta-

teristiche di business e agli obiettivi stabili-

via una accurata analisi delle cause che

ti: tra le più efficaci si possono indicare

avevano procurato la carenza di risulta-

Total Quality, Activity Based Costing, Time

to, e l’emissione del giudizio finale. A

Based Management, benchmarking e altre.

dire il vero, nessuno perse mai il posto al

Condizione essenziale per il successo resta

TIBB per aver mancato il budget, mentre

tuttavia la motivazione del personale, che

qualcuno venne licenziato per comporta-

deve conoscere e condividere la trasforma-

menti ritenuti non corretti.

zione, con o senza la guida di un consulen-

In tempi economicamente favorevoli allo sviluppo del business qualche azien-

te, e deve partecipare attivamente alla realizzazione delle previste modifiche.

da rinuncia alla formulazione del budget nel timore che esso possa costituire un freno ai venditori, in grado di superarne

C

agevolmente i valori. Tuttavia la mancanza del budget priva l’azienda di un autore-

202

CAMBIAMENTO

vole strumento di controllo economico di

Esistono due tipi di cambiamento: il

base e di confronto. Su questo tema ho

miglioramento passo passo, incrementale,

inserito nel testo la citazione di un artico-

e il breakthrough, la sterzata.

lo apparso sulla Harvard Business Review

Il primo migliora la situazione esisten-

del febbraio 2003, pagg. 108-115: “Chi ha

te, ma non ne cambia la sostanza, il secon-

ancora bisogno del budget?”, al quale ri-

do mira a costituire un concetto di business

mando per conoscenza.

completamente diverso o un cambio della

In conclusione, nonostante tutte le

mission. Sono entrambi importanti e molto

incertezze che la sua anticipata defini-

praticati, con aspetti gestionali tuttavia

zione possa presentare relativamente al-

molto diversi.


La scelta tra i due sistemi dipende dalla

in tempi di business favorevole è difficile

qualità del cambiamento e dal tempo per

(squadra che vince non si cambia) e la scar-

realizzarlo. La principale ragione per cam-

sa esperienza acquisita rende quasi impos-

biare risiede nel mondo esterno, oggi rapi-

sibile un rapido successo nel caso di cam-

damente mutevole: non si può restare

biamento esistenziale.

competitivi in un tale contesto senza ope-

In passato una forma tipica di gestio-

rare i necessari adattamenti: occorrerebbe

ne del cambiamento consisteva in quat-

saperli prevenire e addirittura - se possibi-

tro aspetti fondamentali: processo di ma-

le - influenzarli a nostro vantaggio. In pas-

nagement, gestione per obiettivi (MBO),

sato, con economie e mercati relativamen-

sviluppo organizzativo, qualità della vita

te stabili, il cambiamento poteva disporre

di lavoro.

di tempi più lunghi, anche se potevano

Il processo di management è un prere-

verificarsi improvvisi cambiamenti globa-

quisito per l’applicazione di successo degli

li, quali per esempio i crolli vissuti dall’in-

altri concetti gestionali (TQM, TBM, ecce-

dustria elettromeccanica in conseguenza

tera), in quanto substrato fondamentale di

della guerra del Kippur del 1973 e di quel-

preparazione culturale e di motivazione

la Iran-Iraq del 1979, seguiti dal crollo del

delle persone, di importanza primaria. In

nucleare negli anni ’80. Gli adattamenti

particolare, l’MBO non potrebbe essere ap-

tradizionalmente di tipo incrementale do-

plicato senza che esista la volontà dell’a-

vevano improvvisamente lasciare il passo

zienda di cambiare. Questo tipo di cambia-

a veri e propri cambiamenti di business

mento di stile di guida, filosofia aziendale e

drastici e rapidi, imposti dal cambio della

clima organizzativo è in realtà lo sviluppo

mission aziendale.

organizzativo. Perciò l’MBO, per avere suc-

Siccome il mondo è in continuo cam-

cesso, richiede solitamente uno sforzo or-

biamento, una delle priorità del manage-

ganizzativo prima, dopo e durante il pro-

ment è la creazione di una sensibilità e di

cesso di cambiamento.

una preparazione di tutta l’azienda allo

La più conosciuta e più frequentemente

sviluppo evolutivo come base esistenzia-

applicata forma di introduzione dello svi-

le: una tale azienda è pronta a sostenere

luppo organizzativo è quella di gruppi ad

qualsiasi tipo di cambiamento si presenti.

hoc, laboratori di situazioni formative

Un manager del passato diceva: “Datemi

orientate esclusivamente al comportamen-

una squadra abituata al cambiamento, e

to (imparare dal proprio comportamento e

non avrò paura di nulla”. Ma la forte diffi-

dall’impatto che produce sugli altri). Si

coltà che tale impresa comporta riecheg-

tratta di un atteggiamento mentale, fatto di

gia nella affermazione che ho sentito da

credo e di pratiche, volte alla predisposi-

un altro grande manager: “Non ho mana-

zione al lavoro interdisciplinare e alla effi-

ger preparati a gestire la recessione”.

cace relazione interpersonale e inter-grup-

Predicare e realizzare il cambiamento

po per una solida comunicazione e motiva203


IL “MIO” TECNOMASIO 13. L’ABC della saggezza zione e per un lavoro d’équipe rivolto ai

zione il sito e le relative infrastrutture, che

fini e agli obiettivi aziendali. È in sostanza

devono facilitare il soggiorno di tutto il per-

un approccio scientifico allo “spirito di

sonale, fornendo apparecchiature e servizi

gruppo”, convinzione che una gestione ef-

e garantendo tutte le sicurezze di lavoro. Il

ficace delle risorse umane sia vitale per il

responsabile dei montaggi esterni del forni-

successo.

tore deve operare per tempo la scelta del

Il concetto classico dello sviluppo orga-

proprio capo cantiere e del personale desti-

nizzativo implica quindi che lo sviluppo

nato alle varie attività in sito. A valle di una

dei manager non sia sufficiente, ipotizzan-

ispezione del sito, un contatto con il cliente

do che l’organizzazione stessa, la sua strut-

e con gli altri fornitori costituirà la base per

tura, i suoi credo, i sistemi di valori, le co-

uno sviluppo collaborativo di tutti i futuri

municazioni e il coordinamento debbano

lavori. Particolare attenzione va posta sulla

essere sviluppati al fine di raggiungere un

sicurezza, di primaria importanza a causa

successo reale.

dei rischi particolarmente elevati insiti in

L’aggiunta della qualità della vita di la-

questo tipo di attività. La preparazione del

voro è attinente soprattutto al concetto di

personale destinato al cantiere deve inizia-

arricchimento del lavoro per i dipendenti

re prima della sua apertura, attraverso una

che sono esenti dall’MBO ma che sono

approfondita conoscenza della fornitura

chiamati a un coinvolgimento nel processo

durante il suo avanzamento in azienda e

di cambiamento: esso consiste non solo

per pianificare la successione delle opera-

nell’assegnazione di compiti più comples-

zioni di spedizione del materiale. La prepa-

si, ma anche nel fornire loro l’opportunità

razione delle casse deve corrispondere a

di partecipare alla pianificazione, organiz-

una accurata pianificazione delle attività di

zazione e controllo dei loro compiti.

cantiere: la spedizione dovrebbe garantire

In conclusione, secondo questa filosofia

il loro arrivo in sito secondo l’ordine delle

di management, il successo aziendale reale

attività previste. Ogni cassa deve contenere

e duraturo deve basarsi su tre fattori: eco-

i componenti pertinenti a ogni singola atti-

nomico, sociale e umano.

vità, elencati in evidenza sul coperchio. Questa preparazione e la numerazione del-

CANTIERI Il cantiere rappresenta l’evento finale di una fornitura, nel quale si svolgeranno

nificate in cantiere sono una garanzia per un efficace e ordinato sviluppo.

molte importanti attività da parte sia del

Montaggi in sito. Essi devono avvenire

cliente sia di molti fornitori nel modo il più

rispettando il più possibile la pianifica-

possibile coordinato. Le fasi del processo

zione iniziale, anche se in corso d’opera

sono pertanto numerose: di seguito una li-

non sono da escludere varianti causate da

sta delle principali.

situazioni impreviste: in questi casi il per-

Preparazione. Il cliente mette a disposi204

le casse secondo l’ordine delle attività pia-

sonale deve contribuire responsabilmente


al ripristino delle normali condizioni. Il

progredire della commessa, in modo da

capo cantiere deve collaborare efficace-

essere pronte a supporto delle fasi finali

mente con il cliente e con gli altri attori

in cantiere e consegnate doverosamente

presenti su tutte le questioni di lavoro, ma

al cliente alla chiusura della fornitura.

soprattutto sugli aspetti della massima sicurezza, spesso difficili a causa dell’incrocio delle attività di varie aziende.

CAPI REPARTO In passato il capo reparto incarnava una

Forte attenzione va posta inoltre sulla

figura determinante per la gestione della

completezza della fornitura al momento

produzione, dotata di un elevato potere per

della sua spedizione: assolutamente da evi-

il raggiungimento di obiettivi e risultati. Le

tare è la decisione di operare in sito qual-

sue principali caratteristiche possono esse-

che restante attività non completata in

re così riassunte:

azienda. Essa avverrebbe infatti a commes-

pp capacità di accoglimento, di condivisio-

sa ormai chiusa, e causerebbe i cosiddetti

ne e di applicazione operativa dei pro-

“costi mancanti”, cioè non più coperti da

grammi di produzione;

ricavi. Messa in servizio. È l’atto finale, a valle

pp guida del personale di reparto al raggiungimento degli obiettivi fissati;

di tutte le operazioni congiunte di montag-

pp azione formativa del personale al ri-

gio, preceduto da tutti i controlli prelimi-

spetto dei parametri di integrità, sicu-

nari effettuati dagli esperti e risultati positi-

rezza, qualità e ambiente;

vi. Nonostante tutte le precauzioni esiste sempre la possibilità di qualche imprevisto inconveniente: la gradualità operativa è raccomandabile. Stilare prontamente i protocolli di prova è molto importante, sia per il cliente dal

pp mantenimento dei tempi di produzione e dei termini di consegna;

pp promozione di suggerimenti da parte del personale di azioni volte al miglioramento delle attività del reparto;

pp cura quotidiana dell’ambiente di lavo-

punto di vista contrattuale, sia per il forni-

ro, in termini di layout e pulizia.

tore come risultato consuntivo a supporto

Ai tempi della FIAT di Valletta si diceva

del progettista.

che un capo reparto fosse dotato di un po-

Un punto negativo può essere la man-

tere straordinario: al TIBB era chiaro a tutti

canza di istruzioni per il montaggio, la

che il capo reparto possedeva praticamente

messa in servizio e la manutenzione: in

tutte le caratteristiche sopra elencate, che

passato l’impegno a rispettare i tempi di

ne facevano un apprezzato collaboratore

fornitura della parte principale demanda-

del management, non solo nell’ambito del-

va a un futuro non bene individuato que-

la produzione ma anche in quello tecnico.

sta attività importante, e questo suscitava

Con il passare degli anni la figura del

lamentele da parte del cliente. Le istruzio-

capo reparto ha forse assunto connotati me-

ni vanno pertanto preparate durante il

no incisivi nel panorama aziendale, ma sa205


IL “MIO” TECNOMASIO 13. L’ABC della saggezza rebbe sicuramente interesse dell’azienda operare con programmi formativi mirati al rafforzamento della posizione del CR come

CIRCOLI DELLA QUALITÀ AZIENDALI

leader in tutti i sensi della propria squadra.

Sono una forma di miglioramento qualitativo del personale operaio, perlo-

CARISMA

più appartenente allo stesso reparto, che

Un capo dotato di questa qualità è in

forma un team sotto la guida di un lea-

grado di trasmettere ai suoi collaboratori,

der, e tratta argomenti di lavoro, sugge-

grazie alla sua personalità, fascino, attra-

rendo modifiche migliorative nel repar-

zione e potere di persuasione. In altri ter-

to, relative a layout, postazioni, macchi-

mini, il carisma è la qualità che contraddi-

ne

stingue un vero leader rispetto ad un ma-

condizioni, di efficacia sia per le persone

nager. Nella mia vita di lavoro ho

sia per l’azienda.

e

attrezzi,

ergonomia

e

altre

incontrato pochi leader carismatici, ma

In una riunione plenaria organizzata

quando ne trovavo uno, l’effetto su di me

dal vertice aziendale, i componenti del

era veramente dirompente: mi sentivo ca-

Circolo e il leader hanno l’opportunità di

ricato, spronato verso i miei obiettivi, mo-

presentare i loro suggerimenti, che sa-

tivato per lungo tempo. Volendo attribuire

ranno oggetto di dettagliati esami per la

un valore quantitativo all’efficacia delle

loro realizzazione operativa.

azioni di un capo, direi che il carisma conta almeno per il 50 per cento del totale.

Tutti riceveranno, insieme all’apprezzamento generale, un premio simbolico:

La domanda che sorge spontanea a

importante ovviamente è il grado di rece-

questo punto, se sia possibile acquisire

pimento dei suggerimenti da parte dell’a-

carisma, non trova una risposta facile:

zienda, che decide la loro applicazione.

certamente è in gran parte una qualità in-

I Circoli della qualità sono stati vissu-

nata, ma secondo me è supportata da una

ti con successo in entrambi gli stabili-

particolare educazione e formazione, da

menti TIBB di Milano e di Vittuone.

molte esperienze vissute, da una sicurezza di se stessi guadagnata da comprovate

206

COMAKERSHIP

capacità gestionali di successo, dalla ca-

Ampiamente sviluppata in Italia da

pacità di conoscere se stessi e gli altri e da

Giorgio Merli e Alberto Galgano, questa

altre positive caratteristiche.

disciplina rappresenta una nuova strate-

Possiamo pertanto sperare di diventare

gia per gli approvvigionamenti, definen-

capi carismatici? Non ne siamo sicuri, ma

do i rapporti ottimali tra l’azienda e i for-

possiamo certamente almeno provarci: po-

nitori in base a parametri definiti.

tremmo comunque fare qualche passo in

La comakership fa parte del pacchet-

avanti sul lungo cammino dal manage-

to di metodologie da applicare per il mi-

ment alla leadership.

glioramento aziendale.


COMPETITIVITÀ AZIENDALE L’esistenza di un’azienda è legata alla

socialmente negativi provocati dalla riduzione dei costi del lavoro.

sua competitività, che si concreta nell’es-

Decisiva risulta la velocità di reazione

sere al primo o al secondo posto nel pro-

dell’azienda nel colmare eventuali gap di

prio settore. Definire i fattori contingenti

valore al numeratore; infatti il successo di

che costituiscono la competitività azien-

questi recuperi permette di rinunciare a

dale non è facile, a causa del loro numero

spiacevoli interventi sul denominatore e a

e della loro importanza: tuttavia conosco

cancellare la qualifica negativa che in tal

una formula molto semplice che offre una

caso ci meriteremmo di “manager da deno-

visione parziale ma immediata del valore

minatore”.

qualitativo attribuibile a questo fondamentale parametro.

COMPORTAMENTI

La competitività di una azienda è data

In un convegno di management mi tro-

da una frazione, al numeratore della quale

vai confrontato con una formula molto ap-

compaiono i fattori del suo successo

prossimata ma dotata di una sua rozza vali-

esterno, in termini di ordinato, fatturato,

dità nel formulare un primo giudizio sul

margini, quote di mercato, liquidità, gra-

valore di un manager. Egli dovrebbe posse-

do di innovazione, servizio al cliente e

dere quattro caratteristiche fondamentali:

altri fattori incentivanti, mentre al deno-

pp cultura generale nel senso più ampio,

minatore compaiono i costi, che, per un’a-

in termini di padronanza di lingue,

zienda manifatturiera, consistono essen-

passione per arti e letteratura, capacità

zialmente nei costi dei materiali, solita-

oratorie e di messaggio, e altre simili;

mente superiori al 50 per cento del totale,

pp cultura specifica, relativamente alle re-

oltre ai costi generali e a quelli del lavoro.

sponsabilità e ai settori a lui affidati

Migliorare la competitività aziendale

dall’azienda (vendita, ingegneria, pro-

significa quindi aumentare il valore della

duzione, eccetera);

frazione, aumentandone il numeratore e

pp capacità di tradurre tutto il suo eccel-

diminuendone il denominatore. La prati-

lente sapere in risultati per l’azienda;

ca quotidiana di management dovrebbe

pp comportamenti adeguati alle necessità

essere attenta a entrambe le azioni, favo-

aziendali.

rendo il più possibile il successo esterno e

Nei tempi passati il potere in azienda

controllando i costi, specialmente quelli

veniva conferito a chi più sapeva, cioè a chi

relativi ai materiali, di impatto più pesan-

possedeva i primi due parametri culturali

te. In tempi di crisi il valore del numera-

generali e specifici: era infatti dato per

tore tende a calare, costringendo il mana-

scontato che il sapere comportasse il rag-

gement alle sole azioni di riduzione dei

giungimento dei risultati; ma in realtà que-

costi, che dovrebbero di preferenza ri-

sto non era sempre vero, in quanto il sapere

guardare i materiali, evitando gli impatti

poteva essere piuttosto fine a se stesso. 207


IL “MIO” TECNOMASIO 13. L’ABC della saggezza Anche allora, come oggi, il fattore deci-

za zero. Il solo modo per vincere la concor-

sivo per il successo era quasi sempre quello

renza è essere migliori nell’offerta non solo

dei comportamenti, cioè del possesso di

economica ma anche e soprattutto tecnica,

empatia e di ottimi rapporti interpersonali

nell’innovazione, nella qualità, nel servizio

con capi, colleghi e dipendenti. Ho visto

al cliente, nell’aiutarlo a ottimizzare il suo

carriere negativamente condizionate dalla

business con le nostre forniture e in tutti gli

incapacità di gestire le persone e di instau-

altri parametri a lui favorevoli.

rare un giusto rapporto con i capi. Ho assistito a qualche carriera interrotta per puri

CONFIGURATORE

motivi comportamentali piuttosto che per

La personalizzazione dei prodotti per

qualche importante obiettivo gestionale

offrire al cliente ciò di cui egli necessita

mancato: per quest’ultimo il giudizio nega-

spinge alla creazione di questo particolare

tivo trovava quasi sempre una almeno par-

software che permette di definire un pro-

ziale compensazione attraverso gli evidenti

dotto costituito da una combinazione di

sforzi prodotti dal gestore per evitarlo. Ma

componenti e di funzioni. Il supporto dei

il giudizio restava negativo per comporta-

sistemi informativi di configurazione è de-

menti ritenuti inammissibili.

cisivo, congiuntamente al contributo inge-

Tra i casi di sofferenza gestionale in-

gneristico.

contrati nella mia vita di lavoro, posso

Particolare impegno è richiesto per un

dire che quelli più vistosi sono stati legati

configuratore di sistema, a causa della mol-

a questioni comportamentali. Ancora oggi

teplicità di componenti personalizzati

penso che il manager debba possedere an-

coinvolti. Il tempo e il costo spesi per la

che qualche dote di psicologo, oltre alle

creazione di un configuratore sono ripagati

sue tradizionali e specifiche capacità.

dall’immediatezza e completezza dell’offerta al cliente, che limita sensibilmente

CONCORRENZA

preventivi interventi tecnici.

Anni fa molte aziende avevano nel loro staff almeno una persona che curava un dossier su tutti i principali concorrenti del

Un contratto perfetto rappresenta una

settore: non si trattava di spionaggio indu-

notevole base di successo aziendale, in

striale, ma di notizie raccolte dai media,

quanto considera e precisa tutti i parame-

dalle riviste specializzate, da conferenze e

tri decisivi per i corretti rapporti tra l’a-

convegni, eccetera.

zienda e il cliente: tuttavia per molte ra-

Conoscere il più possibile un concor-

gioni il contratto è spesso carente per er-

rente è molto importante, ma le regole della

rori,

competizione sono molto rigide e soggette

impediscono per esempio gli incassi do-

ai più ferrei criteri di integrità, sull’osser-

vuti nei tempi previsti.

vanza dei quali il Gruppo esercita tolleran208

CONTRATTUALISTICA

imprecisioni

e

lacune,

che

Una lista delle cause più diffuse di ca-


renza dei contratti è la seguente, certamen-

zione di una riunione ad hoc prima della

te non completa, ma almeno indicativa:

firma del contratto: la presenza di tutte le

pp imprecisa definizione della fornitura,

funzioni coinvolte assicura un alto livello

in quanto il cliente si riserva di interve-

di conoscenza e di condivisione.

nire a posteriori con aggiunte e precisa-

In conclusione, l’impegno profuso in

zioni, che spesso causano discussioni e

anticipo sulla firma del contratto deve pre-

difficoltà di valutazione economica. Il

ludere a una riunione di lancio della com-

rimedio, ove possibile, è richiedere al

messa acquisita priva di sgradevoli sorpre-

cliente la compilazione preventiva di

se e di carenze.

un documento contenente tutti i prevedibili dettagli della fornitura, realizzando chiarezza prima della firma del contratto;

CONSULENTI La letteratura sui consulenti, sul loro grado di utilità e sulle tipologie dei loro

pp errata valutazione tecnica e/o economi-

contributi nella gestione aziendale è molto

ca di qualche elemento importante,

fitta. La lista che segue fornisce alcuni

quali per esempio speciali prove da rea-

esempi di tali contributi:

lizzare all’esterno dell’azienda o presso

pp impiego a supporto dei vertici aziendali

istituzioni specializzate;

pp errata valutazione dei costi, dei tempi e delle date di fornitura, causata da caren-

nel caso di cambio di obiettivi e di strategie, deciso dagli stessi vertici e seguito da inevitabili cambi organizzativi;

za ingegneristica e di programmazione

pp richiesta di collaborazione con i capi

o da considerazioni ottimistiche troppo

dell’azienda nella formulazione del

sfidanti;

cambio stesso, oltre che nella definizio-

pp imprecise condizioni di pagamento che

ne delle modalità operative successive;

consentono al cliente di dilazionare gli

pp accurata valutazione delle funzioni di

ultimi esborsi nel tempo, in assenza di

management in vista delle nuove ri-

un limite massimo;

pp accettazione di rischi eccessivi, difficilmente assicurabili;

chieste di responsabilità;

pp suggerimento di nuove strutture aziendali adatte al cambiamento;

pp accettazione di penali eccessive; pp in contratti all’estero, carente conoscen-

pp contributo alla scelta dei nuovi respon-

za e/o valutazione di condizioni impo-

pp guida alla condivisione delle nuove

sabili gestionali e alla loro formazione;

ste da leggi locali.

strutture organizzative e al loro insedia-

Molte di queste situazioni negative pos-

mento;

sono essere controllate e almeno in parte

pp follow up delle azioni sopra indicate

mitigate per mezzo della partecipazione

nella loro applicazione fino al loro suc-

del PM alle ultime trattative con il cliente e,

cesso.

in casi di particolare rilevanza, con l’istitu-

La forza di un consulente consiste nel209


IL “MIO” TECNOMASIO 13. L’ABC della saggezza la molteplicità e diversità dei suoi contri-

ory of constraints, la lean production,

buti derivanti da una vasta esperienza in

l’organizzazione che apprende di Peter

molti campi: essa lo pone in grado di sug-

Senge, la miopia del marketing di Levitt, e

gerire all’azienda la soluzione più adatta

molte altre, che hanno fatto progredire il

in ogni caso, in termini sia strategici che

mondo del lavoro.

organizzativi. Mentre nei tempi passati il consulen-

CREATIVITÀ

te offriva all’azienda il suo contributo di

A un mio collega che lamentava la poca

know-how e lasciava alla stessa la realiz-

creatività dei propri dipendenti ho chiesto:

zazione delle successive applicazioni

“Tu cosa fai per spingerli a essere creativi”?

operative, oggi egli è spesso chiamato an-

La risposta: “Mah, vedi, alla fine ho sempre

che a guidare tali applicazioni sul campo

ragione io!”. In un clima in cui il capo ten-

e a fornire moderni e adatti strumenti e

de ad aver sempre ragione è difficile trova-

metodologie.

re creatività: essa va incoraggiata e promos-

Un tema sempre vivo di discussione è

sa in persone che possiedono già un’ampia

quello della capacità di un consulente di

conoscenza e mostrano chiari segni di vo-

ricoprire con la stessa efficacia sia compiti

lerla approfondire, spingendosi oltre, an-

tipici della sua professione, sia responsabi-

che per strade impervie. Persone che cono-

lità operative: alcune perplessità ancora

scono a fondo, senza accettarla del tutto, la

oggi resistono riguardo al grado di affidabi-

realtà presente e sono disponibili a lavorare

lità attribuibile a un ex-consulente nell’oc-

per una futura migliore. Sono i successori

cupare incarichi operativi. L’esperienza in-

di Lanzavecchia del TIBB.

segna che la lunga militanza professionale di consulenza rappresenta certamente una garanzia di capacità operative, che vanno

D

ovviamente adattate alle nuove realtà aziendali contingenti. Inoltre, un consulen-

210

DARE E AVERE (TRA COLLEGHI)

te dovrebbe comunque occupare incarichi

Cedere a un collega in stato di necessità

operativi temporanei, se vuol restare in sin-

il migliore dei propri collaboratori, a patto

tonia con il progredire delle aziende e dei

che gli venga assicurato un futuro formati-

mercati, sperimentando nuove tendenze e

vo e di carriera, non è solo un atto di gene-

realtà a vantaggio della sua professione.

rosità, ma un investimento con due benefi-

Nel tempo si sono susseguite continue

ci, uno per il collaboratore e l’altro per l’a-

nuove metodologie di miglioramento, in-

zienda. Inoltre è, per chi cede, uno

trodotte da apprezzate scuole di consu-

splendido biglietto da visita di creatore di

lenza, quali il Total Quality Management,

talenti non solo per sé ma anche per altre

il Time Based Management, l’Activity Ba-

posizioni, una vera attrazione per i giovani

sed Management, il benchmarking, la the-

che tendono a diverse esperienze in azien-


da. Velati junior, cedendomi Borsaro quan-

posta in seno al Comitato di direzione:

do ero in stato di necessità, mi diede un

ogni membro era tenuto a dare il suo giu-

insegnamento in questo senso.

dizio e la proposta risultava supportata all’unanimità, o almeno da una forte mag-

DELEGA

gioranza. Ciò dava opportunità a tutti di

Qualcuno affermò che Reagan usasse

conoscere e di condividere il potenziale

concedere spesso deleghe ai migliori suoi

dei candidati, a favore di ulteriori svilup-

collaboratori, tuttavia dimenticandosi di

pi di carriera. Purtroppo, e soprattutto nel

controllare il loro operato. La delega può

caso di proposte non ampiamente condi-

rappresentare talvolta un rischio, se con-

vise, il dirigente promosso poteva incap-

cessa alla persona sbagliata, ma costitui-

pare in seguito in qualche negativo com-

sce certamente un rischio, anche se con-

portamento, che ne provocava l’allonta-

cessa alla persona giusta, se non è seguita

namento dall’azienda, senza praticamente

dal controllo. I vantaggi della delega sono

alcuna possibilità di rientro. Ricordo il

costituiti dalla fiducia concessa, che spin-

triste caso di un dirigente, un amico, atti-

ge il collaboratore a non tradirla, oltre a

vo in un altro settore del TIBB, arrivato

favorire la sua crescita manageriale insita

alla tanto sospirata dirigenza grazie alla

nell’assunzione di responsabilità.

proposta del suo capo e allontanato dopo pochi mesi per poor performance. Dall’e-

DIRIGENTE

sterno, avendo incontrato difficoltà di im-

La nomina a dirigente rappresenta un

piego, mi contattò telefonicamente per-

passaggio molto importante sia per l’a-

ché lo riprendessi, disposto anche ad ac-

zienda sia per il manager e, come tale,

cettare una categoria inferiore pur di

deve essere oggetto di cure particolari.

lavorare. Con dispiacere, ma decisamen-

Al tempo del Tecnomasio era innata la

te, rifiutai e lo spronai a non vendersi e a

tendenza dell’azienda a concedere di

battersi per un posto di dirigente in qual-

preferenza la dirigenza a persone che

che azienda del settore.

avessero chiaramente dato prova di saper gestire e guidare molte persone, cioè

E così avvenne: al telefono mi ringraziò per averlo invitato a non mollare.

agli operativi, anche se ovviamente non erano esclusi dalla dirigenza i responsabili di staff. Ma il punto critico era costi-

E

tuito dal fatto che la proposta a dirigente veniva fatta al vertice quasi solamente dal diretto superiore, talvolta anche per supposti motivi di prestigio d’ufficio.

EGO INGEGNERISTICO Tempo fa ho trovato un detto che catalogava i dipendenti di un’azienda in tre ca-

Negli ultimi anni del TIBB, tuttavia,

tegorie: i capi, gli ingegneri e tutti gli altri.

era invalsa l’abitudine di discutere la pro-

Al TIBB erano piuttosto i capi delle vendite 211


IL “MIO” TECNOMASIO 13. L’ABC della saggezza che arrivavano al vertice, ma i primordi del

Oggi peraltro è invalso sia il coinvolgimen-

Tecnomasio erano stati caratterizzati da

to delle aziende locali in attività di R&D

successi tecnici di rinomanza addirittura

centralizzate, sia la delega dal centro alla

europea, se non mondiale, e la loro eco non

periferia di particolari progetti particolar-

si era certo spenta dopo la fusione con la

mente perseguibili in sede decentrata.

Brown Boveri.

In conclusione, la creatività trova sem-

Ai miei tempi bastava menzionare i

pre forme di riconoscimento e di apprez-

nomi di Filippo Coppadoro, Giulio Piaz-

zamento, specialmente quando prometta

zi e Lorenzo Lanzavecchia per celebrare i

consistenti impennate del business. Tut-

fasti ingegneristici del Tecnomasio, acco-

tavia, qualora si manifestassero forme esa-

munati sotto la direzione tecnica di Ro-

sperate di personalismi in campo proget-

berto Vannotti.

tuale, tali da provocare negative ricadute

Ma un altro ego ingegneristico, mino-

sull’azienda, la pratica dell’analisi del

re ma percepibile, risiedeva anche in noi

valore, anch’essa descritta in questo capi-

nell’attività quotidiana, nella tendenza

tolo, può offrire valide soluzioni.

alla progettazione ex novo, come se la macchina fosse la prima a essere creata: la sindrome della “cassettina 18” rappre-

F

sentava la doccia fredda contro queste tendenze, legittime ma non in sintonia con l’interesse dell’azienda.

212

FORMAZIONE DEI NUOVI ASSUNTI Ogni azienda del Gruppo ABB dispone

Un altro punto da considerare è quello

di una ampia lista di programmi per lo svi-

della licenza: il TIBB e altre importanti

luppo formativo di dirigenti, impiegati e

aziende del settore elettromeccanico italia-

operai in ogni campo di attività.

no si appoggiavano a licenze di grandi

In passato si diceva che la migliore for-

gruppi internazionali, sovvenzionate da

mazione è quella mirata, cioè in funzione

importanti percentuali del loro business

degli obiettivi, delle strategie e delle azioni

complessivo. Il fatto di non possedere atti-

dell’azienda o dell’unità locale: questo in

vità proprie di R&D doveva essere conside-

quanto quella generale, non legata a obietti-

rato riduttivo delle capacità ingegneristi-

vi specifici, è più difficile da conservare e

che locali? A parte il significativo impegno

da mettere a frutto. Fatti i dovuti adatta-

di adattamento della licenza alle varie spe-

menti, il concetto può essere considerato

cifiche dei clienti, sempre mutevoli, nes-

valido anche oggi.

sun limite di tipo amministrativo poteva

Riguardo all’efficacia della formazione,

impedire l’espressione della creatività lo-

una regola approssimata ma sperimentata

cale: ne danno testimonianza molti passati

afferma che del suo valore totale ottimale

sviluppi in sede locale in parallelo o addi-

circa il 10-20 per cento sia legato a semina-

rittura in anticipo rispetto a quelli centrali.

ri, corsi e convegni, 30-40 per cento al capo


e il resto alla applicazione pratica quotidia-

interpretazione non solo del passato e del

na dei principi formativi acquisiti. In so-

presente, ma anche, almeno in linee gene-

stanza, l’influsso del capo deve essere con-

rali, del futuro.

siderato prioritario, e il suo compito di alle-

Si tratta, in altri termini, di addomesti-

vare e formare i collaboratori deve rientrare

care il caos sulla base di esperienze passate

nelle sue più dirette responsabilità, soprat-

e presenti, e di modelli che permettano al-

tutto in casi di forti mutamenti di business

meno una parziale riduzione delle future

e di organizzazione.

incertezze.

A questo proposito, ricordo il giudizio espresso da un grande manager del passato,

GESTIONE DI COMMESSA

che si lagnava di non possedere recession

Prima dell’introduzione delle strutture

manager, cioè manager particolarmente

divisionali e delle linee di business, le

formati a tener testa ai complessi e gravi fe-

strutture aziendali cosiddette “a silos”,

nomeni dei tempi di crisi. In effetti la ge-

cioè con le varie responsabilità funzionali

stione di tempi difficili richiede connota-

affiancate, privilegiavano l’ottimizzazione

zioni formative diverse da quella tradizio-

delle rispettive responsabilità, quasi fine a

nale, priva di gravi turbolenze e di rischi. In

se stesse: cioè le vendite, l’ingegneria, la

ogni tempo un manager deve saper offrire

fabbrica, gli approvvigionamenti e tutte le

ai dipendenti opportunità di lavoro che ri-

altre funzioni miravano all’eccellenza

chiedano la realizzazione operativa di

ognuna delle proprie prestazioni, dando

quanto da loro acquisito, stabilendo un

per scontato che la commessa, il cui avan-

concreto scambio quotidiano tra formazio-

zamento trasversale avrebbe comportato

ne e lavoro. In questo egli potrà usufruire

l’accoglimento dei loro successivi contri-

del più aggiornato ed efficace sostegno del-

buti, procedesse quasi automaticamente

la funzione risorse umane.

nel più efficace dei modi. Ma questo non sempre avveniva, a causa della mancata saldatura tra loro dei vari contributi a co-

G

stituire un avanzamento trasversale ottimale. Questa carente situazione era parti-

GESTIONE DEL CAOS

colarmente riscontrabile in complicate

La teoria del caos, inizialmente studia-

commesse di sistemi e impianti, costituite

ta da Poincaré, e in seguito sviluppata da

di numerosi singoli componenti, ma si evi-

Ralph Stacey e Tom Peters, tratta i feno-

denziava spesso anche in commesse più

meni caotici, suggerendo alcune classifi-

semplici. In altri termini, il successo di

cazioni dei cambiamenti (chiuso, limitato

commessa, che rappresenta il vero valore

e aperto) e modelli basati su probabilità e

per il cliente, rischiava di essere persegui-

tecniche statistiche che permettano all’a-

to in modo insoddisfacente, nonostante le

zienda di sviluppare buone capacità di

buone prestazioni a livello delle singole 213


IL “MIO” TECNOMASIO 13. L’ABC della saggezza funzioni. Nacque così la figura del Project

spesso accusato di inadempienza: tutta-

Manager (PM), il gestore di commessa, la

via il motivo può risiedere a monte, nella

persona destinata a guidare efficacemente

responsabilità di un’altra funzione, tal-

la commessa attraverso i passaggi tra le

volta nello stesso contratto che lascia spa-

singole funzioni, quasi un rappresentante

zio a qualche contestazione.

del cliente all’interno dell’azienda. Impo-

Un altro punto particolarmente impor-

sta dal vertice aziendale nei primi anni ’70,

tante per un PM è la gestione delle varianti

la figura del PM non ebbe vita facile: la

possibilmente richieste dal cliente, che

struttura aziendale a silos non lo aiutava,

vanno gestite con speciale cura, onde evita-

in quanto detentrice di un potere “vertica-

re spiacevoli conseguenze sia per il cliente

le” e non “trasversale”. Ogni persona era

che per l’azienda.

chiamata a soddisfare le richieste di due

In conclusione la funzione di PM è

capi, il proprio capo funzionale e il PM: la

sicuramente formativa per acquisire doti

scelta del primo era quasi sempre scontata.

di conoscenza e di pratica gestionale pre-

Il vertice all’inizio dovette conferire un po-

paratorie all’assunzione di ulteriori re-

tere speciale al PM, mantenendolo alla sua

sponsabilità.

diretta dipendenza fino al momento del suo generale accoglimento.

214

GESTIONE DELLE GRANE

L’introduzione delle linee di business,

Il cammino di un manager è costellato

dotate di una unica responsabilità trasver-

di casi che, per vari motivi, sono caratte-

sale accentrata su tutte le commesse di un

rizzati da situazioni negative, alle quali va

settore aziendale, rappresentava l’adegua-

posto rimedio. Esse possono riguardare

mento strutturale alle priorità del cliente,

fatti e persone, e possono contenere ogni

quasi conferendo in grande alla struttura

grado di difficoltà, dal più tenue al più se-

il concetto di PM. Oggi il compito del PM

rio. La risoluzione di ognuno di questi

è molto apprezzato, soprattutto quando

possibili casi è necessariamente diversa,

egli partecipa direttamente o indiretta-

non sottostante quindi a regole generali.

mente con le vendite alle trattative finali,

Tuttavia è possibile individuare alcune

acquisendo così in primis tutti i dettagli

linee di comportamento.

della commessa che dovrà in seguito ge-

La prima cosa importante è mantenere

stire nei suoi parametri fondamentali di

un approccio il più possibile distaccato,

specifica: costi, termini di consegna, ga-

privo di impulsività e di adrenalina: la riso-

ranzie tecniche, pratiche di fatturazione e

luzione della grana rappresenta il vero

di trasporto, e ogni altra condizione previ-

obiettivo e tutte le nostre energie vanno in-

sta dal contratto. La parte finale, rappre-

dirizzate a questo scopo e non ad altri. La-

sentata dall’incasso, è di fondamentale

sciamo pertanto a un successivo momento

importanza. Nel caso di mancato paga-

indagini sulla colpevolezza e punizioni. La

mento da parte del cliente, il PM viene

prima valutazione del grado di importanza


della grana è decisiva: talvolta una attenta

babile vittoria: meglio un rapido compro-

analisi, supportata da precedenti esperien-

messo e un cliente soddisfatto che una

ze, potrebbe far emergere sufficienti motivi

vittoria ottenuta dopo lunghe e costose

per convincerci a non intervenire, nell’atte-

trattative e svilita da un cliente insoddi-

sa che la questione si risolva da sola. Ma se

sfatto e da una perdita di immagine.

ciò non si verificasse a breve termine, nessuna esitazione è ulteriormente ammissibi-

GESTIONE DEI RISCHI

le e occorre decidere a seconda della gravi-

I rischi in una impresa possono essere

tà del caso la tipologia di intervento: si va

relativi al business, di progetto e operativi.

dal rapido intervento della singola persona

Gestire i rischi in una impresa o orga-

ritenuta più idonea fino al piano dettagliato

nizzazione è un compito fondamentale, de-

preparato da un team che individua più

legato praticamente a tutti. Per una loro

persone per il tentativo di risoluzione. An-

corretta gestione occorrono le seguenti

che nei casi più gravi, che richiedono l’aiu-

azioni:

to di consulenti esterni, decisivo è il potere

pp identificazione dei rischi; pp valutazione dell’impatto (qualitativo e

che viene delegato alle persone per la risoluzione del contenzioso: esso deve essere finale, sia in termini economici che di altro genere, e deve essere presentato al cliente per accettazione.

quantitativo);

pp probabilità e statistiche; pp pianificazione del trattamento; pp monitoraggio e controllo.

L’esperienza mi ha sempre suggerito di

Oggi esistono procedure collaudate

delegare, in prima battuta, la persona più

per la gestione dei rischi aziendali. Resta

idonea per conoscenza e capacità alla riso-

comunque sempre valido il criterio della

luzione, ma di assumere io stesso la re-

loro mancata assicurabilità, trattato alla

sponsabilità diretta della trattativa nei casi

voce assicurazioni: in caso di forti dubbi,

più difficili: questo assicurava al cliente la

è bene eliminare il rischio oppure decide-

presenza di un interlocutore sicuramente

re di non correrlo, attendendo la prossima

fornito del potere conclusivo e alla nostra

migliore opportunità priva di rischio.

azienda la possibilità di chiusura del contenzioso nel più breve tempo possibile. La

GESTIONE DELLE RIUNIONI

rapidità nella conclusione di un contenzio-

Un tempo si sosteneva che la durata

so può avere un elevato valore, in quanto

ottimale di una riunione fosse di circa

evita il faticoso perdurare di incontri in-

un’ora e mezza. In realtà non ricordo riu-

concludenti, che indispongono il cliente e

nioni di tale brevità se non nel caso di an-

deteriorano l’immagine aziendale.

nunci più o meno importanti seguiti da

A questo fine l’esperienza insegna a

brevi commenti. Di solito le riunioni co-

evitare, se non in casi eccezionali, gli im-

privano circa quattro ore del mattino, dal-

puntamenti di principio, tesi a un’impro-

le 9 all’ora di pranzo; quelle pomeridiane, 215


IL “MIO” TECNOMASIO 13. L’ABC della saggezza più rare, si svolgevano dalle 14 alle 18.

riunione cose da fare piuttosto che cose fat-

Oggi la tendenza è di estenderne la durata

te e risultati ottenuti, da sottoporre per ap-

all’intera giornata, salvo una pausa per il

provazioni o critiche.

pranzo e due brevi pause per il caffè. Persiste ovviamente la discussione circa l’ef-

comporta in generale i seguenti impegni:

ficacia di una tale lunga riunione, e il ti-

pp agenda dettagliata con partecipanti e

more che la parte finale non raccolga la

attori con tempi assegnati per eventuali

dovuta attenzione dei partecipanti è legit-

presentazioni, prevedendo anche spazi

timo. Ma ormai questa situazione appare

per le comunicazioni con cellulare;

piuttosto consolidata. Altre riunioni pos-

pp invito ai presentatori di inserire in anti-

sono essere dedicate a temi particolari:

cipo i loro contributi in modo da dare a

ogni manager imposta e condivide con i

tutti i partecipanti la possibilità di esa-

collaboratori un programma annuale di

me preventivo e di preparazione alla

riunioni e la loro frequenza. A differenza del passato, quando non c’erano pc e cellulari, le riunioni di oggi devono tener conto del disturbo che questi moderni mezzi di comunicazione possono arrecare: anche se il loro uso viene proibito, i cellulari raramente vengono spenti per il

discussione;

pp all’inizio della riunione esclusione di pc e cellulari;

pp approvazione del verbale della precedente riunione;

pp interventi concisi e attinenti agli argomenti in agenda;

timore, abbastanza legittimo, di interruzio-

pp rispetto dei tempi assegnati per le pre-

ni nella continuità del business. Il rimedio

sentazioni, considerando anche possi-

è di concedere pause dedicate alle comuni-

bili concisi commenti;

cazioni, ma la loro efficacia resta legata alla disponibilità personale. Uno dei punti essenziali per i risultati

pp nessuna presentazione in agenda deve risultare esclusa a causa di precedenti sforamenti dei tempi assegnati;

di una riunione è costituito dal suo caratte-

pp permettere solo in via eccezionale la

re informativo o decisionale. Sarebbe au-

trattazione di argomenti non considera-

spicabile il secondo, ma questo comporte-

ti in agenda;

rebbe la presentazione dell’oggetto della

pp redigere un verbale per ogni riunione,

decisione già accompagnato dai risultati di

la cui forma può essere più o meno am-

una precedente esauriente indagine cono-

pia, ma che deve sempre contenere la

scitiva. Questo raramente avviene, e per-

lista delle decisioni prese e delle azioni

tanto la riunione serve al più a innescare

da implementare, con i nomi dei re-

questa indagine, la cui importanza permet-

sponsabili e le date di completamento.

terà la presa di decisioni da parte dei re-

Il verbale verrà diffuso e proposto per

sponsabili a valle della riunione.

approvazione all’inizio della successiva

È infatti abitudine diffusa portare alla 216

La gestione ottimale di una riunione

riunione;


pp un minimo di disciplina e molta conci-

messa in funzione dei tempi impiegati fa

sione dovrebbero essere i connotati di

risaltare situazioni nelle quali a fronte di

una riunione anche oggi, in clima di

dispendio di tempo il valore non verrebbe

management partecipativo.

aggiunto ma addirittura sottratto, causan-

Una

particolarmente

do ritorni invece di avanzamenti. Tutto

suggestiva di gestione di una riunione mi è

sommato, il TBM può essere considerato

stata fornita da un’assemblea a Roma di

un metodo di semplice applicazione a

Confindustria, alla quale ero stato occasio-

fronte di interessanti risultati.

testimonianza

nalmente invitato. Alla moltitudine di associati prenotati venivano concessi due minuti (!) per esprimere il loro commento:

H

alla fine del tempo un inesorabile campanello toglieva loro la parola.

HIGH FLYERS

GESTIONE DEL TEMPO

li che hanno le capacità di guidare una

Sono i manager che “volano alto”: quelLa gestione ottimale del tempo in azienda si è imposta in passato a causa

azienda nel business di domani, non in quello di oggi.

della sua importanza primaria ed è di-

I leader del futuro imparano dalle loro

ventata oggetto di studi e di proposte

esperienze e restano aperti al continuo ap-

concrete attraverso il Time Based Mana-

prendimento. Essi, supportati soprattutto

gement (TBM), specialmente ad opera di

dal management di linea, imparano nuove

George Stalk jr e Thomas Hout. Questa

capacità manageriali per guidare un’azien-

metodologia analizza il tempo normal-

da al soddisfacimento della sua missione.

mente richiesto dalle varie attività di

Lo sviluppo di high flyers costituisce un

avanzamento di un prodotto, di una

vantaggio competitivo, in quanto assicura

commessa o di qualsiasi altro evento

la migliore gestione per il futuro.

aziendale, facendo emergere tempi morti, ripetuti ritorni causati da errori o da modifiche impreviste, soste e lungaggini

I

per eccessiva burocrazia e altre simili dispersioni di tempo. La loro eliminazione

INFORMAZIONE

attraverso concreti cambi di procedure

Un vecchio detto americano recita la

operative permette sensibili riduzioni di

tragedia dell’informazione: “The infor-

tempo che possono arrivare anche al 30-

mation you get is not what you want, the

40 per cento del tempo iniziale.

information you want is not what you ne-

Un semplice ma fondamentale dia-

ed and the information you need is not

gramma che registra il valore aggiunto

available”. Certo, è una battuta, ma fa ri-

all’avanzamento per esempio di una com-

flettere sulla effettiva difficoltà di dare e 217


IL “MIO” TECNOMASIO 13. L’ABC della saggezza ricevere precise e utili informazioni:

aziende minori ma evolutive. Innovazio-

spesso la risposta a una domanda diretta

ne significa creatività, applicata non solo

è fornita in modo complicato e lacunoso,

a nuovi prodotti e processi, ma anche al-

non voluto, ma causato da carente forma-

la rivisitazione e al miglioramento dei

zione. Ma il punto più delicato dell’in-

vecchi, in base a rinnovati e spesso mu-

formazione è la diffusa tendenza a non

tevoli interessi dei clienti. Sostenuta og-

essere condivisa, e a restare quindi ap-

gi dai cospicui investimenti di alcuni

pannaggio dei possessori, per i motivi

punti percentuali del fatturato aziendale,

più svariati, che vanno dalla pura di-

l’innovazione aumenta la competitività e

menticanza alla pigrizia se non a motivi

andrebbe tenuta separata dalle tradizio-

di prestigio e di potere. Particolarmente

nali attività ingegneristiche applicative e

grave è la mancanza di trasmissione

potenziata, in parallelo alle vendite, so-

dell’informazione top down, dai vertici

prattutto nei periodi di crisi, in quanto

verso le varie categorie di collaboratori,

capace di alimentare efficaci azioni di

che devono sempre essere informati su

ripresa. L’innovazione non deve essere

obiettivi, strategie e azioni per la loro

fine a se stessa, quale soddisfacimento di

condivisione e attuazione. Un tempo

un ego ingegneristico.

questa mancanza era connotata da un

Essa deve produrre risultati, grazie al

forte carattere di gravità, che richiamava

determinante grado di accettazione da

anche punizioni con richiami scritti nel

parte del cliente: tentare di vendere al

dossier personale dell’inadempiente (un

cliente mutatori a vapore di mercurio

cartellino giallo).

più sofisticati contro la concorrenza che

Oggi l’enfasi giustamente posta sui ri-

dispone di più avanzati ponti a tiristori è

sultati non deve far dimenticare che essi

un errore strategico che si pagherebbe

sono il frutto dell’impegno di tutti, che

pesantemente; da qui la necessità di una

non può realizzarsi in assenza di cono-

continua collaborazione tra R&D e vendi-

scenza e condivisione del massimo di

te. Durante un convegno che ospitava i

informazione.

responsabili R&D di grandi gruppi industriali ricordo che uno di essi confessò

INNOVAZIONE

218

candidamente di essere stato temporane-

In ogni epoca l’innovazione ha con-

amente impedito nel perseguire ulteriori

sentito il progresso dell’umanità. I geni

sviluppi al fine di aiutare i venditori a

del passato, sostenuti da Principi e Isti-

tradurre in successi quelli passati.

tuzioni, hanno prodotto sviluppi dirom-

È altresì tipico in un Gruppo interna-

penti, seguiti poi in epoche industriali

zionale l’accentramento dell’R&D in po-

da altri, appannaggio dell’R&D di grandi

chi Centri mondiali o addirittura in uno

gruppi oltre che dal moltiplicarsi di si-

solo: tuttavia le attività di R&D locali so-

gnificative innovazioni anche da parte di

no solitamente chiamate a contribuire in


team a progetti innovativi di particolare

INTEGRITÀ

rilevanza e ad ottenere la delega sovven-

A differenza della compliance, che

zionata di particolari sviluppi sulla base

rappresenta il semplice rispetto delle

di loro comprovate capacità. L’intelligen-

regole, l’integrità è sinonimo di onestà e

za creativa deve essere sempre promossa

di assoluta rettitudine. Come tale è insi-

e premiata indipendentemente dal luogo

ta nella persona, frutto di eredità, di

di provenienza, fatto che in passato, con

educazione e di formazione. Insieme al-

le licenze concesse dal centro dietro pa-

la sicurezza e alla qualità costituisce

gamento, non era sempre rispettato.

uno dei cardini della vita aziendale, promossi e custoditi contro ogni forma

INTERNATIONAL ASSIGNMENT

di infrazione.

Come mostra la mia personale esperienza, questa pratica non è recente, come si potrebbe supporre, ma era già ap-

J

plicata in tempi lontani in quanto ritenuta fondamentale per lo sviluppo dei

JUST-IN-TIME

giovani talenti, persone che avevano di-

Metodo di gestione della produzione

mostrato un buon impegno e avrebbero

messo a punto dalla Toyota Motor Corpo-

potuto essere avviati verso assunzioni di

ration, basato sulla produzione dei pro-

una certa responsabilità.

dotti necessari nella quantità necessaria

Il valore di un soggiorno all’estero è multiplo: esso consiste nella integrazio-

al momento opportuno (vedere anche “magazzini” e “kanban”).

ne in ambienti di lavoro ricchi di diversità formative in termini di lingua e di tradizioni politiche, sociali e religiose. In

K

questo contesto restano smussate tutte le questioni che riguardano temi sociali solitamente oggetto in patria di accanite discussioni. Inoltre una relativamente lunga permanenza in un Paese straniero permette

KANBAN Nella gestione della produzione just-intime, il kanban è un sistema di informazione per controllare le quantità da produrre in ciascuna fase di lavoro.

di stabilire rapporti particolarmente favorevoli con l’ABB locale e con i clienti, favorendo quasi una situazione di resi-

KEY ACCOUNT MANAGEMENT (KAM)

dent engineer, particolarmente atta ad

È la creazione di collaudate strategie fo-

aprire nuove opportunità di mercato e a

calizzate sui principali clienti e sul servizio

fornire quasi una certificazione con un

loro garantito.

alto grado di accettazione in quel Paese. 219


IL “MIO” TECNOMASIO 13. L’ABC della saggezza

L

atto azioni le più importanti delle quali evidenziate come segue:

LAVORO STRAORDINARIO Il caso dei tecnigrafi che il TIBB con-

pp preventivo monitoraggio del cliente per accertarne possibilmente la solvibilità;

cedeva ad alcuni tecnici della costruzione

pp l’offerta deve essere tecnicamente ed

delle grosse macchine sincrone per lavoro

economicamente molto accurata, e non

domestico, la sera dopo una giornata di

lasciare spazi di incertezza da chiarire

lavoro al TIBB, mi fece presto capire il ri-

dopo la formalizzazione del contratto;

schio che il lavoro straordinario fosse

pp nella stesura del contratto occorre defi-

considerato un premio concesso a poche

nire chiaramente i limiti della fornitura

persone e come tale sostitutivo di miglio-

e evitare di associare incassi a date o a

ramenti di stipendio e di carriera.

eventi non chiaramente definiti, fissan-

Il lavoro straordinario deve essere ap-

do inoltre una data limite per l’incasso

provato e concesso dal management tem-

del totale ammontare della fornitura. La

poraneamente e solo in casi di provata

partecipazione di un PM alla fase finale

necessità e deve essere soggetto a stretti

del contratto rappresenta una garanzia

controlli.

per la corretta gestione della commessa;

pp durante lo sviluppo della commessa, il LIQUIDITÀ

tecnico sia economico eventuali va-

viene talvolta assimilato a un pasto: senza

rianze al contratto richieste dal cliente;

mangiare si può resistere a lungo. La liqui-

pp il termine della commessa coinciderà

dità invece viene equiparata all’aria, la cui

con il totale incasso relativo alla forni-

mancanza diventa letale dopo pochi minu-

tura e non con la sua fatturazione;

ti. Un altro banale confronto paragona il

pp informare tutte le funzioni aziendali

conto economico allo stipendio e la liqui-

della eventuale situazione di insolven-

dità al conto in banca: si può percepire un

za del cliente al fine di promuovere il

ottimo stipendio, ma essere scoperti in

saldo del suo debito prima della ripresa

banca. E allora non si va da nessuna parte.

del tradizionale rapporto;

Per molti anni la liquidità non è stata

pp limitare il più possibile l’estensione nel

considerata un parametro decisivo, in

tempo dello scaduto, fatto che ne rende

quanto si dava quasi per scontato che, al di fuori di qualche caso sporadico, i clienti pagassero. Ma col tempo la situazione peggiorò, e divenne sensibile la percentuale dei crediti

220

PM dovrà gestire dal punto di vista sia

Il risultato economico di un’azienda

sempre più difficile l’estinzione;

pp assegnare a responsabili aziendali di adeguato livello l’obiettivo di realizzare l’incasso dei principali scaduti;

pp curare altresì la base costituita da sca-

scaduti rispetto al totale. Fu allora necessa-

duti di piccola entità.

rio, per migliorare la situazione, porre in

Talvolta il mancato o ritardato incasso


viene addebitato a una carenza gestionale

me per la produzione dei soli prodotti ne-

della commessa da parte del PM, ma spes-

cessari nella quantità richiesta e al mo-

so la ragione può risiedere altrove, per

mento opportuno. Dopo alcune applica-

esempio in carenze sia dell’offerta che del

zioni anche in Europa e in Italia, il metodo

contratto, che devono essere eliminate.

subì progressive modifiche e adattamenti

In conclusione, non dimentichiamo

di alleggerimento: oggi esso viene pratica-

che gli incassi scaduti costituiscono un

to solo parzialmente per alcuni compo-

indebito nostro finanziamento ai clienti:

nenti, congiuntamente al sotto sistema

in nostre mani, essi potrebbero per esem-

kanban, che controlla le quantità da pro-

pio coprire l’acquisizione di qualche

durre in ciascuna fase di lavoro.

nuova unità di business prospera in volumi e margini.

Una tendenza abbastanza diffusa è quella di tenere la giacenza a magazzino leggermente più alta di quella programmata, in vista di commesse impreviste con

M

stretti termini di consegna, che potrebbero essere acquisite grazie al materiale già pre-

MAGAZZINI Il

magazzino,

sente. Il rischio è quello di appesantire il gestito

all’interno

magazzino con materiali che potrebbero ri-

dell’azienda o da una struttura logistica

velarsi non necessari e divenire obsoleti, e

esterna presso spedizionieri, trasportato-

pertanto prontamente da alienare.

ri e altre aziende, è un sensibile onere aziendale con costi di personale, impianti e gestione di scorte.

MARKETING E VENDITA Il marketing, spesso definito strategico,

Esso va pertanto mantenuto flessibil-

si distingue dalla vendita in quanto la prece-

mente adeguato ai bisogni della produzio-

de, basandosi sulla interpretazione dei biso-

ne attraverso una efficace programmazione

gni insoddisfatti dei clienti e sul loro soddi-

della domanda.

sfacimento attraverso l’offerta di prodotti e

A questo proposito vale la pena di ri-

sistemi esistenti o futuri dell’azienda.

cordare l’intervento di specialisti giappo-

Con riferimento alla situazione del

nesi chiamati a migliorare la produzione

mercato, la valutazione della competitivi-

di un’importante azienda europea: essi

tà dell’offerta deve avvenire in termini sia

decisero la riduzione del pesante magaz-

qualitativi che quantitativi. Ne consegue

zino obbligando il cliente a tagliare ad al-

la formulazione di una strategia basata sui

tezza d’uomo gli scaffali, impedendone

vantaggi competitivi aziendali, ricchi non

così l’eccessivo riempimento. A valle del-

solo di parametri quantitativi economici e

la crisi petrolifera del 1973, per merito

tecnici, ma anche di elementi qualitativi,

della giapponese Toyota Motor Company,

quali il marchio, la Carta dei valori, l’inte-

venne sperimentato il metodo just-in-ti-

grità, l’affidabilità, eccetera. 221


IL “MIO” TECNOMASIO 13. L’ABC della saggezza Poco dopo la mia entrata al TIBB fui stupito di constatare che gli ordini arri-

dei manager a privilegiare i propri obiettivi rispetto a quelli aziendali e di Gruppo.

vavano quasi senza bisogno di diretti in-

L’MBO rappresenta uno dei capisaldi

terventi delle vendite: il TIBB “vendeva”

dello sviluppo manageriale a diffusione

grazie alla sua riconosciuta eccellenza

molto ampia.

tecnologica e ai suoi valori, che costituivano la sua vera strategia di mercato. Il

MISSIONE AZIENDALE

vantaggio competitivo che gli veniva ri-

Definisce ciò che aspiriamo ad essere,

conosciuto era tale da attenuare in prati-

che cosa ci stiamo sforzando di essere og-

ca anche le azioni di vendita.

gi e cosa vogliamo essere domani. I rapidi

Questo tesoro che un’azienda può

e forti cambiamenti che si registrano nel

possedere richiede forte impegno, tem-

mondo di oggi obbligano a una continua

pi lunghi e grandi risultati per la sua

considerazione di questo parametro per

creazione e soprattutto continui sforzi

decidere un suo possibile adattamento al

per il suo mantenimento. Secondo la

mutato contesto. Esistono ancora aziende

mia esperienza la tendenza a investire

che possono vantare oggi la stessa missio-

di preferenza in redditizie azioni di

ne dichiarata quaranta anni or sono. Ma

vendita piuttosto che nel marketing

ne esistono altre che si pongono la missio-

può provocare un più o meno lento de-

ne di creare qualcosa che ancora non esi-

grado della competitività sui mercati:

ste, e riescono poi a soddisfarla. È il trion-

tale tendenza deve essere combattuta

fo della creatività, e di chi non si accon-

attraverso una stretta collaborazione in

tenta di quello che trova e produce il

azienda tra marketing e R&D per una

cambiamento invece di subirlo.

continua innovazione e per la creazione di nuovi business.

O

MBO Il Management By Objectives è stato, ed

222

OBIETTIVI AZIENDALI

è tuttora, lo strumento introdotto per la va-

Rispondono al quesito: che cosa siamo

lutazione dei manager relativamente alla

impegnati a raggiungere? A valle della vi-

loro capacità di raggiungere una serie di

sione e della missione, un’azienda si pone

obiettivi personali: il grado di prestazione

degli obiettivi generali, perlopiù qualitati-

viene premiato con benefici economici.

vi, che rappresentano le mete verso le quali

L’MBO offre innegabili vantaggi gestio-

tutta l’azienda ha deciso di muoversi. Essi

nali dopo che agli obiettivi personali sono

verranno poi sviluppati e trasformati in

stati aggiunti quelli più ampi e trasversali

obiettivi quantitativi per essere perseguiti

di azienda e addirittura di Gruppo. Ciò è

da tutta la struttura operativa aziendale in

servito a indebolire la naturale tendenza

base alle relative responsabilità. La pianifi-


cazione strategica e le azioni operative co-

biamenti di obiettivi e strategie è decisivo

stituiranno il percorso per il loro raggiungi-

mirare all’assoluta coerenza con essi

mento.

dell’organigramma e delle persone: non è infatti il cambio dell’organigramma in sé,

ORGANIGRAMMI Definiscono la struttura operativa

ma la congruità delle persone in esso contenute a operare il miracolo.

aziendale, con le posizioni gerarchiche e l’allocazione amministrativa delle persone alle varie funzioni. Possono essere

P

più o meno ramificati e stratificati, a seconda delle necessità, con preferenza da-

PAROLA E AZIONE

ta alle strutture più semplici e di più fa-

È una decisiva questione di credibilità.

cile gestione.

Vannotti: “Se si promette qualcosa, oc-

In senso generale, un organigramma aziendale dovrebbe essere formulato a

corre mantenere la promessa, senza aspettarsi sempre un riconoscimento”.

valle di: visione, missione, obiettivi,

Non predicare l’acqua e bere il vino.

strategie, azioni.

Mai anticipare l’annuncio di un’azione

Stabiliti i principi generali di busi-

importante prima della sua realizzazione:

ness e cosa ci sforziamo di essere, vengo-

essa potrebbe non verificarsi, e la perdita di

no fissati gli obiettivi e le strategie per il

credibilità sarebbe grave. Insomma, prima

loro raggiungimento. Seguono i piani di

fare e poi parlare.

azione operativi e solo allora deve essere

Il grande Bruno Munari diceva: “Se

definito l’organigramma, con l’allocazio-

ascolto dimentico, se vedo ricordo, se fac-

ne delle persone ritenute più idonee a

cio capisco”. Ai giovani occorre certo inse-

produrre i risultati attesi.

gnare, ma è con l’assunzione di responsabi-

In pratica, essendo la visione e la mis-

lità che crescono.

sione stabilite a livello di azienda o addirittura di gruppo, gli organigrammi delle

PENSIERO LATERALE

varie funzioni dovrebbero essere coerenti

È un concetto sviluppato e propagan-

in modo specifico con gli obiettivi, le stra-

dato in vari libri dal guru maltese Edward

tegie e le azioni delle quali portano la re-

de Bono. Esso raccomanda di non fermar-

sponsabilità. Spesso l’organigramma vie-

si al primo giudizio su un fatto o un pro-

ne definito in anticipo, senza la dovuta

blema, considerandolo la migliore rispo-

considerazione di tutto questo, e le perso-

sta, ma di indagare sulle alternative, an-

ne allocate, se pur di indubbio valore,

che ritenute peggiori, che tuttavia possono

possono non essere le migliori dal punto

svelare impensate opportunità favorevoli.

di vista della produzione dei risultati. Soprattutto nel caso di importanti cam-

Non penso che il signor Meyer conoscesse il pensiero laterale di de Bono, ma 223


IL “MIO” TECNOMASIO 13. L’ABC della saggezza inconsciamente lo praticò quando, di fron-

tempi lontani aveva caratteristiche di tipo

te alla mia prima e unica soluzione del pro-

decisamente paternalistico, oggi non più

blema affidatomi, mi chiese sorridendo

praticato e sostituito da elementi simboli-

cinque o sei ulteriori varianti prima di de-

ci. Ai miei tempi circolava la battuta che

cidere.

negli Stati Uniti il capo premiasse un bravo dipendente offrendogli al massimo un

PENSIERO SISTEMICO (O QUINTA DISCIPLINA) Rappresenta l’arte e la pratica dell’ap-

sigaro: “Have a cigar!”. Era solo una battuta, ma rendeva l’idea del clima aziendale allora vigente.

prendimento organizzativo (Learning Or-

Di importanza sempre crescente è la

ganisation), sostenuti da Peter Senge e

premiazione del lavoro di squadra, in pas-

coltivati in Italia da Alberto Galgano. Il

sato già praticata per esempio nei confronti

concetto basilare è quello del cambio di

dei Circoli della qualità a livello operaio.

mentalità nelle aziende, teso a superare la

Considerato molto premiante è inoltre sem-

diffusa tendenza a frammentare il mondo

pre l’atteggiamento positivo del manage-

spezzando i problemi in parti e perdendo

ment nell’accettazione delle proposte di

così il senso più ampio di connessione

miglioramento suggerite dai team.

con l’intero sistema.

Le punizioni di comportamenti impro-

Apprendere dall’esperienza è fonda-

pri o dannosi per l’azienda possono essere

mentale, ma tenendo conto che i problemi

ovviamente di graduale intensità, fino al

di oggi spesso derivano dalle “soluzioni”

licenziamento nei casi di tolleranza zero

di ieri, e noi potremmo non vivere le future

dichiarata dall’azienda. Normalmente han-

conseguenze derivanti dalle nostre attuali

no carattere di richiamo orale o scritto, in-

azioni sul sistema. Il pensiero sistemico in-

serito nel dossier della persona. Particolare

vita a valutare le conseguenze negative sul

attenzione va prestata ai casi speciali di

futuro sistema globale che potrebbero esse-

qualche lieve mancanza da parte di perso-

re innescate da piccole azioni parziali at-

ne ben posizionate nella valutazione azien-

tuali, oggi indubbiamente vantaggiose.

dale e che dimostrino piena coscienza

In conclusione, tutta l’organizzazione è chiamata ad apprendere e agire in termi-

dell’accaduto e assoluta disponibilità al ravvedimento.

ni sistemici, non ristretti, e a tener in giusto conto gli effetti globali provocati sul sistema dal gioco di azioni e retroazioni.

PRESENTAZIONI Verso la fine degli anni ’80, durante un meeting ABB negli Stati Uniti al quale era

PREMI E PUNIZIONI

224

stata invitata la rappresentante di un im-

La premiazione delle persone che han-

portante cliente, quest’ultima più o meno

no contribuito al raggiungimento dei ri-

bonariamente accusò gli ingegneri di non

sultati è una consolidata consuetudine: in

essere capaci di presentare un qualsiasi ar-


gomento senza il supporto di slide. Ciò è

giornalisti, appreso attraverso una dura mi-

abbastanza vero, e oggi l’abuso del Power

litanza e numerosi tagli imposti dal capore-

Point rischia di screditare l’importanza

dattore prima della pubblicazione. Gli stes-

dell’argomento.

si politici non dispongono che di una sca-

Ai tempi del TIBB e fino a non molti anni fa, la tradizionale presentazione

letta su un foglietto, anche se poi possono non essere concisi nell’esposizione.

consisteva di fogli trasparenti dipinti fa-

In passato qualcuno mi ha messo in

ticosamente con il pennarello e proiettati

guardia contro la prolissità dandomi il con-

con le lavagne luminose. Per le conferen-

siglio di iniziare la presentazione dalla fi-

ze si usavano le diapositive proiettate

ne, cioè con le slide più importanti, quelle

con strumenti ottici. La carenza dei mez-

con il messaggio finale: avrei così evitato il

zi a disposizione non incoraggiava certo

rischio di perdermi nella miriade di slide

la prolissità, oggi invece favorita dalla

iniziali e di non avere più il tempo di pro-

sofisticazione elettronica e dalla tenden-

iettare quelle poche (forse una) veramente

za, molto diffusa, a usare per la presenta-

meritevoli.

zione fogli e dati di lavoro, evitando così

Oggi Power Point viene citato come

la fatica di preparare la presentazione

strumento potenzialmente invasivo e sosti-

per l’occasione. Il risultato è spesso an-

tutivo di idee e di creatività. Stiamo attenti

che negativo per la ridotta dimensione

a non meritarci la qualifica di presentatori

dei caratteri, che si rivelano illeggibili da

di presentazioni, e ricordiamoci di quanto

una certa distanza.

affermava Franklin Delano Roosvelt: “La

Il numero elevato di slide proiettate,

concisione è lo specchio dell’intelligenza”.

che spesso supera la trentina, rischia di ridurre l’efficacia della presentazione e di

PRESTIGIO AZIENDALE

diluire l’incisività dei messaggi che si vo-

Il prestigio di un’azienda deriva dal

gliono comunicare. In altri termini, l’effica-

suo marchio, che attesta della grandezza

cia di una presentazione sembra essere in-

del suo passato, ma anche dalla testimo-

versamente proporzionale al numero di

nianza che fornisce giornalmente a tutti

slide proiettate. Considerando che la proie-

con i suoi comportamenti, i suoi prodotti

zione di ogni slide copre qualche minuto, e

e i suoi risultati. Da non trascurare anche

che spesso riscuote qualche commento, il

il senso di appartenenza, lo spirito di

tempo di 30 minuti normalmente concesso

azienda e l’orgoglio testimoniato ogni

al presentatore comporterebbe la proiezio-

giorno da noi stessi, che va continua-

ne di non più di sei o sette slide, ovviamen-

mente a incrementare il prestigio e a tra-

te preparate in modo conciso per l’occasio-

smetterlo a chi verrà dopo di noi.

ne, e con scritte leggibili a distanza.

Al momento della mia assunzione al

Io ho sempre ammirato, anche se non

TIBB l’azienda godeva di un innegabile

imitato, lo stile estremamente conciso dei

prestigio, derivante dalla lunga esistenza 225


IL “MIO” TECNOMASIO 13. L’ABC della saggezza connotata da primati tecnologici in Italia

Q

e nel mondo, dall’appartenenza a un rinomato Gruppo internazionale e dalla positiva testimonianza di attaccamento aziendale da parte dei dipendenti.

QUALITÀ Il cammino della qualità in azienda è stato lungo e difficile, partendo da una cultura in cui il concetto era limitato e

PROBLEM SOLVING

poco diffuso, con il lavoro passato da

È il tema trattato da Kepner e Tregoe

una mano all’altra e nella quale si conta-

nel loro libro The rational manager, che

va sull’efficacia dei controlli finali. Que-

offre un approccio sistematico alla riso-

sti evidenziavano un numero consistente

luzione dei problemi e alla presa di deci-

di difetti e la necessità di costosi inter-

sioni.

venti di ripristino. Spesso il cliente era costretto a subire le cosiddette “malattie

PRODOTTO

infantili” dei prodotti. Deming e Juran

In passato un prodotto doveva soprat-

introdussero i primi concetti migliorativi

tutto possedere un carattere funzionale,

(kaizen) della qualità, il controllo stati-

cioè doveva servire. Il trend di oggi sug-

stico dei processi e i corsi di Quality Ma-

gerisce che deve soddisfare anche altre

nagement.

caratteristiche: deve piacere e deve esse-

Sulla base di pratiche giapponesi e

re in linea con la personalità del cliente,

con il supporto di consulenti venne in-

essere configurabile, personalizzabile,

trodotto in Italia il sistema della Qualità

integrabile con altri prodotti in un siste-

Totale (TQM) per la formazione del per-

ma e rispondere ad altre simili moderne

sonale. La qualità, lungi dall’essere una

richieste. In altri termini, la sua parte

questione di controlli più o meno spinti,

“soft” deve almeno uguagliare, se non

doveva diventare un comportamento

superare, la classica parte “hard”.

abituale di tutti, un fatto culturale e un abito mentale. Ognuno doveva far bene il

PROFILO BASSO

226

proprio lavoro la prima volta, e conse-

Nella mia lunga vita di lavoro ho im-

gnarlo al collega successivo in condizio-

parato l’importanza di usare un basso

ni perfette. Per gli operai della produzio-

profilo: le persone che applicano questo

ne furono sperimentati con successo i

criterio sono prudenti nell’esprimere

Circoli della qualità, formati da team di

apertamente le loro capacità e attendono

operai dello stesso reparto, i quali, gui-

che siano piuttosto gli altri a riconoscer-

dati da un leader, suggerivano azioni di

le. Ricordo un vecchio detto: “È talmente

miglioramento che venivano presentate

bravo che non sente nemmeno il bisogno

al management e da questo approvate in

di dimostrarlo”. Insomma, mai dirsi bra-

una cerimonia di apprezzamento e pre-

vo da soli.

miazione.


Questi concetti sono validi ancora oggi, anche se la loro applicazione non è

za General Electric e la Marelli con licenza Westinghouse.

sempre facile a causa di atteggiamenti

La disponibilità della licenza permette-

individuali e collettivi restii al cambia-

va a tutti di disporre delle tecnologie fon-

mento. Purtroppo non è una sorpresa che

damentali che venivano adattate alle speci-

gravi casi di carenza di qualità siano tut-

fiche richieste dei clienti: tutto questo può

tora causa di costi imprevisti e di perdita

apparire riduttivo, ma in effetti lo sforzo

di immagine presso i clienti.

progettuale locale era significativo, in

Pertanto l’impegno deve continuare

quanto le specifiche dei clienti richiedeva-

per mezzo di formazione e applicazione

no adattamenti e modifiche dei modelli

continua di pratiche operative di miglio-

fondamentali.

ramento individuale e in team fino all’acquisizione culturale.

L’esistenza in periferia di cervelli creativi consentiva, anche in controtendenza rispetto alle procedure di Gruppo, lo sviluppo di apprezzate soluzioni innovative e di

R

avanguardia. L’esempio del chopper sviluppato da

R&D E INGEGNERIA L’appartenenza a un grande Gruppo comporta solitamente un accentramento

Lanzavecchia e dal suo team in anticipo rispetto a BBC testimonia dei validi contributi locali di R&D al TIBB.

delle attività di R&D in pochi centri mon-

Le attività di ingegneria si distinguono

diali ai quali sono allocate le responsabi-

da quelle di R&D in quanto insite nel busi-

lità delle principali attività strategiche,

ness quotidiano della progettazione dei

sovvenzionate da tutte le unità del Grup-

prodotti, nella preventivazione per l’offer-

po. Tuttavia le unità locali di business

ta, nel supporto alle vendite e ai clienti e

possono essere delegate allo sviluppo di

nell’assistenza al service per la risoluzione

particolari e specifiche attività di R&D a

dei problemi.

loro volta sovvenzionate dai centri.

L’ingegneria costituisce quindi lo stru-

Ai tempi del TIBB tutte le attività di

mento applicativo al business dei risultati

R&D erano sviluppate dalla BBC di Ba-

di R&D: questo è probabilmente il motivo

den, e i relativi risultati erano trasferiti

per il quale R&D e ingegneria vengono ge-

alle aziende del Gruppo attraverso un

stite in un’unica funzione e sotto un’unica

contratto di licenza annuale, che preve-

responsabilità.

deva per i prodotti il pagamento di una

Secondo la mia esperienza la loro ge-

lump sum e di una percentuale sul fattu-

stione separata sarebbe più consona alle

rato. Una situazione simile esisteva an-

loro diverse prerogative. Inoltre renderebbe

che per i principali concorrenti elettro-

forse un po’ meno scontata la tendenza di

meccanici del TIBB, l’Ansaldo con licen-

ottimi ingegneri a ingrossare le fila 227


IL “MIO” TECNOMASIO 13. L’ABC della saggezza dell’R&D, considerata più prestigiosa e

S

qualificante ai fini della carriera.

SAPERE E POTERE IN AZIENDA RISORSE UMANE

In passato il possesso della conoscen-

Sono il vero valore aziendale: “People

za generale e di quella specifica erano

first, then figures”. Sono le persone che

motivo sufficiente per assumere potere

producono i risultati di un’azienda. Alla

nelle aziende: era infatti dato per sconta-

base di tutto sta la loro motivazione, frut-

to che una diffusa cultura e una elevata

to di molteplici fattori, non solo finanzia-

specializzazione fossero determinanti

ri, ma legati alla considerazione ricevuta,

per il successo aziendale. In realtà esse

al lavoro interessante, alla partecipazione

sono spesso condizioni necessarie ma

agli obiettivi aziendali, al clima azienda-

non sufficienti. Ad esse si deve infatti

le, ai risultati di successo e ad altri fattori

unire il fattore dei comportamenti, in

individuali e collettivi aziendali e sociali.

mancanza del quale il sapere rischia di

La cura continua delle persone da parte

restare fine a se stesso e improduttivo ai

dei capi con il supporto della funzione del-

fini aziendali.

le risorse umane offre i suoi frutti nei casi

Accanto quindi ad un elevato apprez-

delicati di profonde e rapide revisioni orga-

zamento per la conoscenza occorre ag-

nizzative aziendali, il successo delle quali

giungerne uno altrettanto valido, se non

è fortemente influenzato dal grado di moti-

superiore, per i comportamenti di un

vazione delle persone. Non si possono

manager, che implicano integrità, equili-

chiedere veloci risultati di cambiamento a

brio, empatia, eccellenti relazioni inter-

persone non motivate e impreparate: questi

personali e altre caratteristiche che gli

fattori vanno curati e mantenuti in modo

conferiscono credibilità, autorevolezza e

continuativo come l’unica possibilità di ot-

possibilmente carisma.

timi risultati in tempi normali e di pronta risposta per le rapide reazioni a improvvisi eventi critici.

SCHEMI E PROCEDURE Imbrigliare le idee in schemi e procedure rischia di svilirle: pertanto l’atteggia-

RISPETTO DELLE REGOLE

stretto ai casi assolutamente importanti

tate. Se vi fossero motivi ritenuti validi per

caratterizzati, come per esempio l’integri-

richiederne il cambiamento, occorre farlo

tà, la sicurezza e la qualità, da tolleranza

secondo i cammini previsti, ma fino al mo-

zero. Negli altri casi l’uso di schemi e pro-

mento della loro modifica valgono quelle

cedure non dovrebbe costituire una gab-

in vigore.

bia rigida, ma consentire modulazioni se-

Un semaforo può dare fastidio, ma non deve essere attraversato con il rosso. 228

mento procedurale dovrebbe essere ri-

Le regole esistenti vanno sempre rispet-

condo il buon senso e l’importanza del caso. In altri termini, il rispetto della pro-


cedura non dovrebbe rappresentare un

ziano a valle dello spirare del periodo di

alibi per rinunciare alla creatività.

garanzia di prodotti e sistemi. Tuttavia in qualche caso sono attribuite al service an-

SEMPLIFICAZIONE

che le attività di montaggio e messa in ser-

Promuovere la semplicità e ridurre la

vizio di nuove forniture, soprattutto quan-

complessità è un importante obiettivo di

do effettuate da personale di fabbrica o di

miglioramento aziendale. In linea generale,

sala prove.

un programma di questo tipo potrebbe ave-

Non è infatti raro il caso che questo per-

re questa impostazione.

sonale venga utilizzato all’interno o all’e-

Organizzazione:

sterno dell’azienda a seconda dei carichi di

pp ridurre livelli e strati; pp aumentare e distribuire poteri; pp consolidare posizioni simili.

lavoro e delle disponibilità contingenti.

Prodotti e servizi:

ricavi e margini, ma anche come immagi-

pp rivedere strategie di portafoglio pro-

ne dell’azienda presso il cliente. La rapi-

dotti;

pp eliminare o cedere attività a basso valore aggiunto;

pp combattere troppo frequenti cambiamenti di prodotto. Disciplinare business e processi di governo:

pp definire l’albero delle decisioni (comitati, eccetera);

Il service costituisce un importante asset aziendale non solo per apprezzabili

dità di intervento alla chiamata del cliente, la precisione e professionalità dimostrate nella risoluzione delle sue necessità, unite ad una assoluta serietà di comportamento offrono motivo di forte apprezzamento e di futura collaborazione. Talvolta il service, con la sua vicinanza al cliente e la fiducia acquisita, può esercitare azioni di marketing grazie alla

pp streamlining dei processi operativi

conoscenza dei suoi futuri piani di inve-

(pianificazione, budgeting, eccetera);

stimento, accrescendo le opportunità di

pp coinvolgere dipendenti anche a basso

nostri futuri successi. In periodi di crisi e

livello.

di carenza di nuove forniture, il service,

Semplificare cammini di comunicazione:

come in passato, può rappresentare un

pp contrastare sovraccarico di comuni-

promettente canale di business destinato

cazioni;

pp gestire i tempi delle riunioni; pp facilitare collaborazioni inter-organizzative.

ad assicurare il corretto funzionamento degli impianti esistenti. Tuttavia questa importante attività non è sempre stata debitamente valutata, guadagnandosi la triste denominazione di

SERVICE In linea generale vengono fatte rientrare in questa categoria tutte le attività che ini-

“figlia di un dio minore”, alla quale venivano allocate persone ritenute meno adatte alla gestione delle nuove forniture. 229


IL “MIO” TECNOMASIO 13. L’ABC della saggezza In realtà negli anni ’70 furono registrati

Un elenco certo non completo, ma con-

casi nei quali la fiducia riposta nel service

tenente quale esempio i principali impegni

e il suo rinforzo con personale adeguato

della sicurezza in una divisione operativa

permisero il superamento di delicate situa-

dotata di uno stabilimento manifatturiero

zioni di crisi delle nuove forniture e il ritor-

potrebbe essere il seguente:

no alla normalità.

pp emissione di procure dal vertice al capo

Da tempo ormai il service è gestito co-

divisione e, in cascata, ai manager re-

me una unità indipendente di business con

sponsabili delle principali linee di busi-

un proprio conto economico e rappresenta

ness e di funzioni;

un valore aziendale in termini di percentuali sul fatturato e sul risultato. Esso serve

pp nomina di addetti alla sicurezza per la divisione e per ogni linea di business;

inoltre come palestra per nuovi manager di

pp corsi di formazione mirati per ciascuna

apprendimento gestionale a livello di li-

categoria di dipendenti e relativi ad

nea, in preparazione per l’assunzione di

ogni aspetto della sicurezza, anche con

responsabilità a livello multi-business, lo-

l’aiuto di esperti esterni;

cale e divisionale.

pp creazione di un Comitato di divisione presieduto dal suo massimo responsa-

SICUREZZA Quando penso alla Sicurezza, adopero

alla sicurezza, dai responsabili delle va-

l’iniziale maiuscola anche nella mente, tan-

rie linee e funzioni e dal medico di sta-

to è importante sia nella vita di lavoro che

bilimento;

in quella personale.

pp creazione di un Comitato di stabilimen-

Il concetto è innato, ma il suo rispetto

to presieduto dal suo massimo respon-

non è scontato e deve essere oggetto di

sabile e partecipato da capi ufficio, pre-

continue e impegnative cure. Come l’in-

posti, capi reparto, capi cantiere e rap-

tegrità e la qualità, la sicurezza deve es-

presentanti sindacali;

sere un fatto culturale, non solo un ri-

pp creazione di Comitati di reparto presie-

spetto di regole. Procedure e regole pos-

duti dai preposti e partecipati da tutti i

sono essere soddisfatte in pieno solo da

lavoratori subordinati.

comportamenti abituali, assimilati al

Il capo divisione, investito della procu-

punto da essere applicati quasi in modo

ra da parte del Consiglio di amministrazio-

automatico. Questo rende conto della og-

ne, è inoltre tenuto a fornire la migliore

gettiva difficoltà di realizzazione.

formazione per tutti i suoi collaboratori, a

Per un manager la sicurezza significa

esercitare uno stretto controllo sul rispetto

che anche l’antinfortunistica e l’ambiente

di tutte le procedure e le regole e alla ap-

rientrano fra le sue responsabilità, spesso

provazione degli investimenti in sicurezza

certificate da una procura attribuitagli dal

ritenuti necessari per il suo mantenimento.

vertice aziendale. 230

bile e partecipato, oltre che dall’addetto

In altre strutture aziendali di tipo diver-


so e prive di stabilimento, la prassi può es-

petitività del sistema permettesse un’am-

sere adattata in modo simile all’esempio

pia libertà di approvvigionamento dei

precedente, rispettando i seguenti punti

componenti anche da fornitori esterni

prioritari:

all’azienda e addirittura, se del caso, da

pp chiara e attiva struttura per la sicurezza,

concorrenti. Ciò causava risentimenti da

con procure e responsabili;

pp comitati attivi con riunioni verbalizzate; pp periodiche ispezioni verbalizzate, soprattutto nei cantieri;

pp investimenti per la sicurezza sempre approvati e mai negati;

pp continua formazione.

parte dei colleghi componentisti e delicate situazioni a livello aziendale. Ancora oggi possono sussistere simili situazioni, nel caso di scarsa competitività dei componenti rispetto al mercato, che potrebbe rendere poco competitiva l’offerta dell’intero sistema. Una soluzione del problema

Tutto quanto finora esposto purtroppo è

potrebbe essere quella di concedere da

solo una condizione necessaria ma non

parte del sistemista al componentista un

sufficiente a evitare gravi vicende, data

margine di prezzo di qualche percento su-

l’importanza di fattori imprevedibili e di

periore al prezzo di mercato. L’altra solu-

impropri comportamenti umani. Tuttavia

zione, in qualche caso adottata in passato,

l’esperienza insegna che la continua insi-

che pone nella stessa struttura organizza-

stenza su questi argomenti produce positi-

tiva le due funzioni, rappresenta la spe-

vi effetti a medio termine: è quindi preci-

ranza, destinata probabilmente all’insuc-

puo dovere di tutti fare della sicurezza un

cesso, che l’organigramma faccia da solo

abito culturale permanente.

il miracolo di eliminare problemi strettamente collegati ai comportamenti delle

SISTEMI E COMPONENTI

persone. La vera soluzione è che entram-

Un sistema è solitamente costituito da

be le funzioni raggiungano la competitivi-

vari componenti che contribuiscono alla

tà sul mercato attraverso uno sforzo con-

sua funzionalità: pertanto l’acquisizione di

giunto: il componentista rivedendo i suoi

un sistema comporta l’approvvigionamen-

prodotti e il sistemista trovando nuove

to da parte del sistemista dei vari compo-

proposte a livello globale.

nenti. Se il sistemista e i fornitori dei componenti appartengono alla stessa azienda

SOSTITUTI

ma sono allocati in due diversi centri di

La scelta di un sostituto per l’avvicen-

profitto, può innescarsi un delicato duali-

damento di un manager è un compito im-

smo, legato alla possibilità di fornitura dei

portante, che potrebbe presentare talvolta

componenti interna o esterna al Gruppo.

qualche difficoltà anche in una azienda a

In passato il sistemista sosteneva il

conduzione familiare, dove sembrerebbe

principio dello shopping around, cioè del

più facile. In un’azienda tradizionale l’e-

concetto che il raggiungimento della com-

vento riveste sicuramente un carattere pri231


IL “MIO” TECNOMASIO 13. L’ABC della saggezza oritario, che deve interessare tutto il mana-

suoi dipendenti, dal loro orgoglio di ap-

gement.

partenenza, dalla condivisione del suo

Negli anni ’80, con la guida di Leo

prestigio e dal loro continuo contributo

Vannotti al TIBB, era stato introdotto un

al suo rafforzamento. È il sentimento che

procedimento che chiedeva ad ogni ma-

prova ogni persona di varia responsabili-

nager di proporre come suo eventuale so-

tà quando percepisce che la sua attività,

stituto due persone, una proveniente dal-

anche se minima, serve all’azienda, cioè

la sua organizzazione e una seconda da

a tutti. Questo sentimento va sostenuto

una qualsiasi altra parte dell’azienda. Le

dal vertice, va nutrito con eccellenti ri-

proposte venivano presentate nel Comita-

sultati ma soprattutto risente di valori

to di direzione, e la discussione che ne

aziendali affermati e vissuti.

seguiva aveva il pregio di mettere in evi-

Lo spirito di azienda si tramanda di

denza i futuri manager più richiesti e le

padre in figlio, ma risente oggi più di ieri

loro migliori potenziali capacità.

dei valori più materialistici della nostra

Oggi esistono forme simili più sofisti-

società.

cate contenute in ampi processi di sviluppo dei manager: tuttavia il concetto fon-

STAFF E OPERATIVI

damentale rimane quello di far emergere

Tra queste due categorie di dipendenti

e condividere le peculiarità dei futuri ma-

si sono spesso registrate, almeno in passa-

nager e di prevederne l’impiego in una

to, incomprensioni, legate al pregiudizio

qualsiasi parte dell’azienda, indipenden-

che la concretezza di contributo all’azien-

temente dalla loro posizione di partenza.

da fosse appannaggio dei cosiddetti “ope-

Per quanto riguarda la durata dell’in-

rativi” piuttosto che del personale di staff

carico di un manager di alta responsabi-

responsabile solo di costi ma non di un

lità, l’esperienza suggerirebbe una rota-

conto economico. Con il tempo questo

zione ogni tre o quattro anni, tempo rite-

pregiudizio si è affievolito, anche se non è

nuto sufficiente per il completamento

completamente scomparso. Ne fa testimo-

della sua formazione e per la dimostra-

nianza il fatto che quasi mai si assiste al

zione delle sue capacità: purtroppo nei

passaggio di un manager da una posizio-

tempi passati, e più raramente ancora

ne di responsabilità di linea o di divisione

oggi, si registrava una permanenza di

a una di staff, mentre talvolta può essere

manager anche di dieci o dodici anni

registrato il passaggio inverso. Insomma,

nella stessa responsabilità, con il rischio

le due categorie sembrano decise a coesi-

di demotivazione dei possibili sostituti.

stere separatamente, anche se non più con reciproca diffidenza.

SPIRITO DI AZIENDA

232

Io ammetto di non avere mai pensato

È costituito dal profondo senso di

a una posizione di staff, anche se in qual-

partecipazione all’azienda da parte dei

che occasione non mi sarebbe dispiaciu-


to un incarico nell’ambito per esempio

’50 non era sorprendente incontrare qual-

delle risorse umane.

che ammiraglio a capo di importanti istitu-

D’altra parte, posso affermare che

zioni e imprese pubbliche e private, anche

non mi siano mancate numerose occasio-

se non era affatto scontato che presentasse-

ni di occuparmi di questa importante

ro caratteristiche autoritarie di comando

materia, data l’importanza del fattore

tipiche del loro grado: un esempio concreto

umano nel business: in quel momento io

era rappresentato dal professore e ammira-

diventavo uno staff e come tale operavo.

glio Giancarlo Vallauri all’Istituto Elettro-

In modo simile i miei colleghi di staff tal-

tecnico Nazionale Galileo Ferraris di Tori-

volta erano chiamati a occuparsi di que-

no, persona che gestiva l’Istituto e noi allie-

stioni strategiche e tattiche di grande im-

vi del “Poli” con assoluta autorevolezza e

patto sull’azienda, tali da far impallidire

professionalità priva di qualsiasi contenuto

il più incallito operativo. Questo mi

autoritario. Più che di comando e controllo

spinge a sostenere che non trovano ra-

spesso si trattava di un senso profondo di

gion d’essere le distinzioni, in quanto in

disciplina insito nell’ambiente di lavoro di

un’azienda ognuno è chiamato a offrire i

allora: a quei tempi i celebrati fasti della

suoi contributi in ciascuno dei due mo-

FIAT e della Ferrari erano giustamente at-

di, e contano esclusivamente le sue capa-

tribuiti alle caratteristiche di comando

cità e non le denominazioni. In certe

piuttosto rigide di due grandi personaggi

spiacevoli situazioni create da comporta-

come Vittorio Valletta e Enzo Ferrari.

menti impropri del personale, talvolta di

Tuttavia verso la fine degli anni ’60, con

notevole gravità, un manager deve addi-

l’avvento di nuove strutture organizzative

rittura improvvisarsi psicologo, imperso-

aziendali in linee di business e divisioni, il

nando temporaneamente una figura che

management perse le possibili caratteristi-

comporta capacità che superano quelle

che accentratrici e autoritarie per acquisir-

degli staff tradizionali.

ne altre più partecipative e distribuite.

In senso ottimale un manager potrebbe

Oggi possono ancora sussistere rari

coltivare una duplice formazione, alter-

esempi di manager autoritari, che, se accet-

nando alcuni anni di pratica operativa e

tati da un adatto ambiente di lavoro, posso-

analoghi periodi in posizioni di staff, cosa

no dare buoni risultati. Qualcuno sostiene

che raramente risulta oggi applicata.

che un manager, durante la sua giornata di lavoro, potrebbe addirittura essere costretto

STILI DI MANAGEMENT

a usare stili diversi di management a secon-

Gli stili dei capi del passato presentava-

da delle circostanze e delle persone, pas-

no spesso caratteristiche autoritarie, in par-

sando da un atteggiamento autoritario

te innate e altrimenti derivate dalla persi-

quando occorra riaffermare un forte senso

stenza di esperienze militari di comando

di disciplina a uno più partecipativo e mo-

nella Seconda Guerra Mondiale. Negli anni

tivante con un giovane e promettente talen233


IL “MIO” TECNOMASIO 13. L’ABC della saggezza to. Io stesso, con l’esperienza del passato,

nelle aule di moderne istituzioni univer-

talvolta mi sorprendo a pensare che l’attua-

sitarie. Anche qui il buon senso e l’inte-

le stile di management “soft” in certe spe-

resse dell’azienda dovrebbero portare a

ciali occasioni richiederebbe di essere tem-

graduali inserimenti e passaggi di respon-

poraneamente sostituito da un comando e

sabilità, evitando sterzate improvvise.

controllo della migliore specie. Insomma, l’optimum per un manager sarebbe di avere uno stile per ogni occasione.

234

STRATEGIE E AZIONI Ogni azienda, a valle della sua visione e

Tuttavia, quando si dovesse alla fine

dei suoi valori, stabilisce degli obiettivi

gestire l’inevitabile passaggio dal vecchio

qualitativi e quantitativi, per il raggiungi-

stile gerarchico al nuovo partecipativo, il

mento dei quali deve definire i percorsi

management si troverebbe confrontato

strategici da battere e i relativi piani di azio-

con un delicato e prioritario problema: la

ne. Negli Stati Uniti la pianificazione stra-

decisiva formazione dei dipendenti per

tegica a partire dagli anni successivi alla

metterli in grado di assumersi responsabi-

Seconda Guerra Mondiale era affidata dai

lità decisionali prima appannaggio del

grandi gruppi internazionali ai giovani

vertice. La posta in gioco è molto alta, in

rampanti usciti da Harvard o dal MIT con

quanto il cambio di mentalità richiede

una laurea in Business Administration.

tempo e fatica ed è prioritario rispetto alla

Queste cosiddette “teste d’uovo” erano

quotidiana e ottimale gestione del busi-

ritenute le più adatte a iniziare la loro car-

ness. Una possibilità di rapido successo

riera applicando all’elaborazione delle

potrebbe risiedere nella accelerata forma-

strategie aziendali le migliori tecniche ge-

zione e motivazione di pochi manager ca-

stionali apprese presso le più prestigiose

paci e sensibili, quali diretti collaboratori

università. Tuttavia il carattere espressa-

disponibili all’assunzione di responsabi-

mente top down delle loro proposte mal si

lità decentrate e alla diffusione delle stes-

adattava ad un sensibile recepimento da

se ai loro collaboratori. Questo sarebbe

parte dei responsabili operativi incaricati

l’innesco o il catalizzatore della trasfor-

della loro realizzazione sul campo: la man-

mazione totale, che necessita, come sem-

canza di una loro consultazione nella for-

pre, di qualche risultato positivo da rag-

mulazione delle stesse strategie sminuiva

giungere rapidamente. Tutto questo sareb-

fortemente l’efficacia della loro traduzione

be ovviamente facilitato dalla presenza di

in azioni nella realtà locale. A valle di que-

un capo carismatico.

sta esperienza, la pianificazione strategica

Un caso particolare è rappresentato

prese i connotati, che ancora oggi mantie-

dalle aziende familiari, nelle quali il co-

ne, di processo iterativo tra il vertice e la

mando deve essere trasmesso dalla vec-

periferia, in base al quale le impostazioni

chia generazione, di prevalenza accentra-

strategiche top down del vertice vengono

trice, alle nuove, cresciute probabilmente

recepite e rimodulate bottom up dalle or-


ganizzazioni periferiche, fino al raggiungi-

dedicati alla promozione dei principali

mento della massima condivisione. Segue

clienti e allo sviluppo di progetti innovati-

poi il perseguimento di queste strategie,

vi e di miglioramento.

che deve impegnare a fondo tutta l’orga-

Il sostegno a tutta la struttura deve esse-

nizzazione accanto agli impegni quotidia-

re fornito dalla più approfondita e diffusa

ni del business.

conoscenza generale e specifica e dai com-

Secondo la vulgata tradizionale, le “te-

portamenti collaborativi di tutti.

ste d’uovo” non più impegnate dai grandi

Le forme più moderne di struttura ten-

Gruppi, rivolsero la loro attenzione a Wall

dono a individuare nell’azienda varie li-

Street, con l’obiettivo di raggiungere in un

nee di business, ognuna delle quali servi-

paio d’anni il loro primo milione di dollari.

ta da una propria organizzazione con una leadership separata: esse costituiscono

STRUTTURE AZIENDALI

quasi piccole aziende nell’azienda e offro-

Spesso l’efficacia di una struttura azien-

no il vantaggio di una più accentuata e

dale viene sopravvalutata: sperare che un

responsabile gestione. Un esempio classi-

cambio di struttura consenta da solo il mi-

co è rappresentato dall’attività di service,

racolo di una crescita o di un generale mi-

solitamente trattata come business sepa-

glioramento è chiaramente eccessivo. Tut-

rato e gestito con un propria struttura e un

tavia la struttura deve essere un supporto

bilancio separato. Anche altre linee inter-

importante alle persone quale sviluppo or-

ne con precise connotazioni distintive e

ganizzativo operante con altri parametri

di una certa consistenza possono essere

fondamentali per il successo.

convenientemente gestite come unità se-

Come sottolineato per il cambiamento,

parate. Al management aziendale resta

la struttura deve essere sinergica allo svi-

ovviamente affidato il compito della col-

luppo culturale del management e alla ge-

laborazione trasversale tra le varie linee

stione per obiettivi, e deve promuovere la

di business e il raggiungimento collettivo

qualità del lavoro.

degli obiettivi generali.

La definizione della struttura deve

Maggiore difficoltà riveste la formazio-

avere come fondamento una realistica vi-

ne di strutture più aperte, nelle quali ai di-

sione aziendale, costituita da valori, mis-

pendenti più preparati vengono lasciate

sione, obiettivi, piani strategici ed even-

maggiori libertà di azione sulla base delle

tuali fattori critici.

loro specializzazioni e capacità, con un le-

La classica struttura aziendale cosiddet-

game quasi solo di tipo amministrativo con

ta “a silos”, con le funzioni affiancate in

la struttura: si tratta di esperti molto ap-

parallelo trova anche oggi diffuse applica-

prezzati e chiamati a dare il loro prezioso

zioni: la sua connotazione ritenuta poco

contributo in ogni parte dell’azienda. Du-

adatta alla collaborazione trasversale viene

rante il mio soggiorno a Baden ho avuto

oggi ben superata dalla presenza di team

modo di incontrarne alcuni, specializzati 235


IL “MIO” TECNOMASIO 13. L’ABC della saggezza per esempio in vari tipi di materiali e in

Una prima indicazione del loro valo-

sistemi di raffreddamento, molto utilizzati

re può essere fornita dal grado di istru-

in problemi specifici quasi come battitori

zione raggiunto prima della loro assun-

liberi: infatti spesso ignoravamo a quale

zione, che l’azienda può completare at-

parte dell’organizzazione appartenessero.

traverso l’integrazione con corsi interni.

Un convincimento piuttosto diffuso è

In seguito le caratteristiche dei talenti

quello della maggiore semplificazione

emergeranno fin dai primi momenti del-

possibile delle strutture, limitandone

la loro attività grazie non solo alla rapidi-

stratificazioni e numero di caselle. In ef-

tà di apprendimento e alla qualità dei

fetti l’esperienza insegna che una casella

loro primi contributi ma anche, e soprat-

è quasi sempre considerata un centro di

tutto, dai loro comportamenti basati su

potere o uno status symbol, dal quale par-

integrità, affidabilità, spirito di squadra,

tire per un progresso di carriera: essa ri-

senso dell’azienda e creatività.

schia di rappresentare la prevalenza del

La constatazione di questi valori da

puro organigramma sulle persone e sulla

parte del management costituirà la base

loro capacità. Una volta istituita, una ca-

per l’assegnazione delle prime responsa-

sella è pertanto difficile da eliminare.

bilità di business, che saranno ulterior-

Spesso si discute anche sul numero otti-

mente formative e motivanti per i talenti.

male di diretti riporti che un manager do-

Il potenziale rischio per l’azienda insito

vrebbe avere: è opinione abbastanza diffu-

nella anticipata attribuzione di responsa-

sa che esso dovrebbe limitarsi a otto o

bilità ad un talento è solitamente com-

nove. Tuttavia non esiste alcuna precisa

pensato dall’effetto di forte motivazione

regola e si riscontrano casi nei quali que-

che essa provoca nella persona, e dal raf-

sto numero viene ampiamente superato.

forzamento del suo legame con l’azien-

A questo proposito, secondo una comune

da. Di particolare rilevanza può essere il

credenza, la meno stratificata organizza-

contributo richiesto ad un talento dal

zione che si conosca è ritenuta quella del-

vertice in un importante processo di re-

la Chiesa, nella quale il Papa sovrintende

visione organizzativa aziendale.

direttamente a tutti i vescovi del mondo, con i cardinali in posizione di staff.

Di forte beneficio per la persona di talento risulterà poi l’ammissione ad un international assignment, tipico anche dei tempi passati, che costituisce il coro-

T

namento del processo formativo atto all’assunzione di responsabilità di una

TALENTI Costituiscono il futuro dell’azienda e come tali vanno curati con il massimo impegno. 236

linea di business o di una importante funzione. Oggi esistono accurati e strutturati cammini formativi per i talenti; ma il ca-


talizzatore di tutto il loro processo for-

e di risolverli con soluzioni semplici attra-

mativo risiede soprattutto nella loro con-

verso un processo di miglioramento conti-

tinua e forte motivazione accompagnata

nuo, che contrasti le resistenze emotive in

da una possibilmente anticipata attribu-

gioco per mezzo di proposte creative.

zione di responsabilità.

TECNOLOGIE

TOTAL QUALITY MANAGEMENT (TQM)

Costituiscono uno dei più importanti

La Qualità Totale, inizialmente inter-

elementi di successo di un’azienda, in

pretata come strumento di miglioramento

quanto corrispondenti al soddisfacimen-

incrementale, è divenuta una vera e pro-

to dei bisogni presenti e futuri dei clien-

pria strategia di business, cioè un approc-

ti: il loro possesso rispetto ai concorrenti

cio globale che coinvolge tutta l’operatività

può decretare una assoluta prevalenza

aziendale.

distintiva.

Dalla pianificazione strategica al siste-

Accanto agli indubbi successi di R&D

ma di gestione, dal marketing allo sviluppo

non va sottovalutato l’impegno ingegneri-

dei prodotti, dalla gestione dei fornitori a

stico e di service quotidiano a supporto dei

quella del personale, dalla produzione alla

clienti per il mantenimento e il migliora-

qualità, tutti i processi aziendali sono rivi-

mento tecnologico.

sti e ottimizzati per la realizzazione di van-

Il duraturo e favorevole successo di una

taggi competitivi.

tecnologia vincente non deve provocare ri-

Ne scaturiscono approcci e modelli

tardi nello sviluppo della successiva: l’as-

secondo la nuova logica TQM, che influ-

sillo del continuo sviluppo tecnologico co-

iscono su organizzazione e metodologie

stituisce un elemento primario della cresci-

gestionali.

ta aziendale e pone l’azienda in condizione di creare e non solo subire i mercati.

Il TQM, sostenuto dal gruppo Galgano, ha trovato molte positive applicazioni in Italia negli anni ’80-’90.

TEORIA DEI VINCOLI Questa teoria, formulata e sviluppata da Eli Goldratt, si basa sulla considerazione

TOTAL MANUFACTURING MANAGEMENT (TMM)

che l’ottimizzazione di un sistema è influen-

Il TMM è un approccio strategico, cul-

zata da tutte le singole azioni sviluppate al

turale e organizzativo, per una revisione

suo interno e quindi dai possibili vincoli

della produzione basata sui tempi e sui

che tali azioni possono generare. Essi vanno

controlli di processo. Esso coinvolge lo svi-

identificati ed eliminati, identificando le ra-

luppo dei prodotti e l’ingegneria industria-

gioni che li hanno causati, al fine di impe-

le, il just-in-time e i rapporti con i fornitori.

dirne la riformazione. Si tratta quindi, in

Il modello TMM è stato illustrato in Ita-

pratica, di individuare i principali problemi

lia dal gruppo Galgano, e ha sostenuto con 237


IL “MIO” TECNOMASIO 13. L’ABC della saggezza successo il miglioramento della produzio-

gati localmente e possibilmente pre-

ne di molte aziende.

senziare alle operazioni di trasporto;

pp durante i trasporti stradali di macchiTRASPORTI E IMBALLI

nari

La mia vita di lavoro è stata costellata

particolarmente

ingombranti

prescrivere il controllo preventivo

di grossi problemi connessi con i tra-

con sagoma su tutto il percorso;

sporti del macchinario costruito, causa

pp durante il trasporto controllare stret-

di costi imprevisti, ritardi di consegna,

tamente l’osservanza dei limiti di ve-

dilazione di incassi e perdite di immagi-

locità prescritti, che possono essere,

ne. I trasporti si confermarono pertanto

per motivi tecnici, inferiori a quelli

un passaggio molto rischioso delle com-

stradali.

messe. I punti cruciali che posso segnalare

TRATTATIVE

sono i seguenti:

re di grande importanza ed esistono vari

costruiti con ottimo materiale e mira-

modi di gestirle, a seconda della loro na-

ti a proteggere le parti più delicate;

tura, di situazioni pregresse e di contor-

pp evitare manovre a spinta, come può

no, del clima che si è instaurato e di mol-

succedere nei trasporti ferroviari;

ti altri elementi più o meno significativi.

pp evidenziare chiaramente sugli imbal-

Generalizzando, si possono individuare

li i punti destinati all’imbragatura di

tre

diverse

tipologie

di

approccio,

sollevamento;

“hard”, “neutro” e “soft” a seconda

pp controllare la lunghezza delle funi di

dell’importanza degli argomenti e del ca-

sollevamento, o obbligare a usare tra-

rattere delle controparti. Pertanto non

verse per evitare pericolosi schiaccia-

esistono chiare regole per la loro gestio-

menti sugli imballi;

ne, ma conta il bagaglio di esperienza al

pp nei trasporti navali evitare posizionamenti in coperta, esposti alle intem-

quale attingere. In linea generale si possono conside-

perie. Nei posizionamenti in stiva,

rare le seguenti raccomandazioni:

assicurare il carico contro possibili

pp prepararsi in modo ampio e dettaglia-

spostamenti e urti contro le pareti. In

to, concentrandosi sulla trattativa e

casi estremi, delegare un accompa-

isolandosi temporaneamente dalle

gnatore a controllare le modalità di

normali occupazioni. Per esempio,

sistemazione del carico a bordo;

un lungo viaggio in aereo è l’ideale

pp scegliere accuratamente un affidabile

238

Le trattative rivestono spesso caratte-

pp impiegare imballi molto protettivi,

per la necessaria concentrazione;

trasportatore, ma raccomandare al no-

pp chiarire i punti a noi favorevoli e

stro personale in sito di controllare l’a-

quelli contrari, cercando pertanto di

gibilità dei mezzi di trasporto impie-

evitare il più possibile di rimanere


sorpresi da punti non previsti che

della gravità e del rilancio della discus-

possono emergere nella trattativa;

sione in termini normali aggirando l’osta-

pp preparare in dettaglio argomenti a fa-

colo con nuove proposte e soluzioni. La

vore delle nostre tesi e anticipare il

controparte dovrebbe capire che il ricatto,

più possibile quelli a favore della

pur essendo stato compreso, non è stato

controparte, elaborando in anticipo

accettato ed è risultato quindi inefficace.

ragioni efficaci per controbatterli. A seconda dei casi, decidere quale dei tre tipi di approccio adottare.

Un esempio molto significativo di trattativa ad alto livello è rappresentato nel libro “La battaglia di Bretton Woods”, di

Nel corso della trattativa evitare di fa-

Benn Steil, Editore Donzelli: esso narra la

re sfoggio di eccessiva dialettica e supe-

storia della trattativa svoltasi nel 1944 es-

riorità intellettuale tesa più a soddisfare

senzialmente tra Inghilterra e Stati Uniti

il proprio ego che mirata a raggiungere

per la definizione di una moneta di riferi-

risultati. Questi elementi potrebbero in-

mento mondiale per la stabilizzazione del

disporre la controparte in quanto consi-

mondo economico e finanziario del dopo-

derata intellettualmente inferiore e spin-

guerra. Alla fine, tra la sterlina e il dolla-

gerla a difendersi con approcci più duri

ro, vinse quest’ultimo ancorato all’oro,

nella trattativa.

ma la battaglia fu durissima, e vale la pe-

In casi di estrema durezza, può essere

na di essere studiata e presa ad esempio.

efficace abbandonare la trattativa, facendo comprendere alla controparte che si è giunti praticamente alla rottura: tuttavia

U

l’esperienza insegna che in quel momento sarebbe utile avere un collaboratore

UNIVERSITÀ

che resta al tavolo per cercare di supera-

Tra imprese e università sono molto

re l’impasse e preparare un rientro in ter-

proficui i rapporti che travalicano quelli

mini più accettabili. Infatti non va mai

tradizionali con ex allievi diventati mana-

dimenticato che il risultato che conta è il

ger, e che investono carattere di reciproco

raggiungimento di una intesa, e non una

interesse su temi soprattutto di futuri svi-

questione di prestigio personale.

luppi. In tempi passati, manager di alto

Prepararsi a reagire nel caso si sia sot-

livello in imprese pubbliche e private ri-

toposti a un ricatto, o a qualcosa che gli

coprivano incarichi presso rinomati isti-

somiglia: ammetterlo chiaramente è mol-

tuti universitari, e anche al TIBB erano

to grave e comporta una immediata chiu-

abbastanza abituali attività di assistenza a

sura della trattativa con conseguenze dif-

insegnanti universitari prestate da mana-

ficili da gestire. Una forma da considerare

ger di impresa. Tutto questo aumentava il

per superare questo frangente potrebbe

prestigio aziendale e facilitava l’assunzio-

essere quella del palese non recepimento

ne di giovani laureati, assicurando e rin239


IL “MIO” TECNOMASIO 13. L’ABC della saggezza forzando la continuità del rapporto. Spes-

VALUTAZIONE DEI MANAGER

so l’azienda delega anche oggi ad un ex

I criteri di valutazione per i manager

alunno il compito di mantenere e coltiva-

sono stati introdotti in forma strutturata

re i rapporti con le sedi universitarie.

all’inizio degli anni ’80, soprattutto con

Talvolta, come nel caso del TIBB,

la considerazione del Management By

un’azienda collabora con una università

Objectives (MBO), e con l’introduzione

per la creazione presso la stessa di un mu-

di un importante colloquio con il vertice.

seo o archivio grazie all’offerta di compo-

Già allora gli obiettivi assegnati e da rag-

nenti e documenti della sua storia.

giungere erano legati a fattori aziendali oltre che di linea e personali: questo per favorire l’integrazione tra i vari business

V

e la trasversalità dei contributi. Il colloquio tra il vertice e il manager

VALORI

mali, ma era di forte importanza in quan-

dei valori, che deve esplicitare. Essi rap-

to confrontava i valori dell’autovaluta-

presentano quello che veramente conta per

zione del manager con quelli attribuitigli

l’azienda, il suo credo e il suo fondamento.

dal capo. Esso era alla fine seguito da un

La scelta è molto ampia e spazia dal

voto (A, B e C, in senso decrescente). Se

volere primeggiare nella propria categoria

il manager si attendeva una B e il capo

alla eccellenza in qualità e servizi, all’in-

gli attribuiva una C, il gap evidenziato

novazione, alla comunicazione e alla pro-

era spiegato in senso positivo come uno

mozione di persone e comunità, eccetera.

stimolo al miglioramento ritenuto asso-

La visione e i valori precedono la

lutamente possibile a breve termine. Ri-

missione aziendale, che si espliciterà a

sale a quel tempo l’assegnazione ai ma-

sua volta attraverso gli obiettivi, le strate-

nager più elevati dell’auto aziendale, di

gie e le azioni realizzative.

evidente effetto motivante, seguita da

Vi sono al mondo aziende che possono aver cambiato più volte la loro missione

una più ampia assegnazione dei PC aziendali.

mantenendo tuttavia per decenni intatta la

Sulla base dei risultati aziendali di fi-

loro Carta dei valori, a testimonianza della

ne anno a confronto con gli obiettivi

sua validità e credibilità nel tempo. Tutto

MBO assegnati venivano poi calcolati i

questo significa infatti averla sempre ono-

benefici per i manager.

rata con un adatto comportamento.

240

poteva avere caratteristiche anche infor-

Un’azienda deve avere una sua Carta

Risalgono pertanto a quegli anni lon-

Per giudicare un’azienda comincia-

tani le pratiche oggi molto articolate di

mo quindi dalla valutazione della sua

valutazione dei manager, che sono state

Carta dei valori e da come essa sia stata

poi integrate da altre (premio di risulta-

confermata e vissuta nel tempo.

to) per gli operai.


Di rilevanza è la constatazione che in

Partire quindi dalla visione è fonda-

quegli anni la valutazione dei manager

mentale per iniziare il cammino di com-

passò da una gestione piuttosto ristretta

prensione di una azienda.

da parte di ogni singolo capo ad una più ampia e trasversale basata su criteri oggettivi a livello aziendale.

VOLUMI E MARGINI Una delle situazioni più comuni, ma non per questo meno delicate, è la neces-

VISIONE

sità di bilanciamento tra volumi e margi-

La visione di una azienda viene definita

ni nella pratica quotidiana di un mana-

come la fondamentale dichiarazione dei

ger. Entrambi questi parametri andrebbe-

suoi valori, delle sua aspirazioni e dei suoi

ro debitamente perseguiti e ottimizzati,

obiettivi. È un appello al cuore e alle menti

ma spesso si presenta il caso di una com-

dei suoi membri. Essa rappresenta la chiara

messa che offrirebbe vantaggi di volume

comprensione di dove l’azienda si trova og-

in quanto coprirebbe una occasionale

gi e deve offrire un percorso per il futuro.

carenza di carico in fabbrica, ma con lo

Data l’importanza dell’azienda per tutti

svantaggio di un margine di profitto non

i suoi membri, devono essere comunicati i

troppo elevato. Nel caso di una forte con-

seguenti punti essenziali:

correnza su un mercato in crisi, quale

pp valori: il credo distintivo e fondamenta-

difesa operare? Difendere la quota di

le dell’azienda;

pp missione: cosa è oggi l’azienda e cosa aspira ad essere in futuro;

pp obiettivi: quali sono i suoi impegni oggi e dove vuole andare in futuro.

mercato sacrificando il margine oppure puntare al margine accettando qualche sacrificio, auspicabilmente temporaneo, sui volumi? Non esiste una regola precisa, e oc-

La definizione della visione non deve

corre decidere caso per caso sulla base

essere opera di una sola mente e deve esse-

della situazione contingente del mo-

re comunicata e condivisa per servire da

mento, cercando di attenuare quella al

stimolo a tutta l’organizzazione.

momento più negativa. Occorre tuttavia

È opinione abbastanza diffusa che il

valutare eventuali impatti negativi a

profitto non debba costituire da solo la vi-

lungo termine: quanto può costare la fu-

sione, in quanto meno motivante rispetto

tura riconquista di una quota di mercato

ad altri concetti quali l’integrità, il servizio

ceduta oggi? E quanto tempo occorrerà

al cliente, la qualità superiore, l’eccellenza

spendere per ritornare al primitivo mar-

dei prodotti, eccetera.

gine dopo il cedimento, con i clienti

Troppo spesso vengono menzionate le

abituati occasionalmente a pagare meno

strategie come concetto fondamentale: in

il prodotto? Questo è il quotidiano di-

realtà esse rappresentano le strade per il rag-

lemma del manager, che deve crescere e

giungimento dei macro obiettivi aziendali.

imparare. 241


IL “MIO” TECNOMASIO 13. L’ABC della saggezza

W WORKSHOP

242

Questa speciale tipologia di riunioni

tecipanti durante il workshop, che contri-

si tiene solitamente all’esterno dell’azien-

buisce a rafforzare i rapporti interperso-

da ed è dedicata a qualche argomento di

nali e lo spirito di squadra: è una diffusa

elevata importanza e meritevole di ade-

constatazione il superamento di qualche

guata presentazione e discussione separa-

accesa differenza di opinioni operato dal-

ta, lontana dai normali coinvolgimenti di

la presenza di uno spirito conviviale.

lavoro. La durata può essere di uno o due

In conclusione i positivi effetti attesi

giorni, e il lavoro si svolge in team con il

da un workshop si bilanciano tra il suo

contributo di tutti e dovrebbe comportare

concreto valore operativo e l’effetto di

la presa finale di decisioni. Di riconosciu-

motivazione e di rafforzamento della

ta importanza è la vita in comune dei par-

squadra.


APPENDICE I

I primordi del Tecnomasio

Nel 1988, quando per fortunata coincidenza si festeggiavano i 125 anni di esistenza sia del TIBB, sia del Politecnico di Milano, fu pubblicato il bel volume TECNOMASIO, vicende di un’impresa elettromeccanica redatto dal mio collega Adelchi Zancan con la collaborazione di docenti del Politecnico. Il libro fu stampato in un numero limitato di copie e distribuito all’interno del TIBB ed è oggi di difficile reperimento. Visto l’interesse dei suoi contenuti - si tratta di un vero saggio su decenni di sviluppi dell’elettromeccanica italiana, dai primi esperimenti di illuminazione elettrica di Piazza del Duomo a Milano all’era nucleare e oltre - mi sono permesso di utilizzarlo per raccogliere e presentare le principali vicende della nostra azienda fino al momento della mia assunzione nel 1951. Nel 1863 tre milanesi, l’ingegner Luigi Longoni, Carlo Dell’Acqua e il maggiore Ignazio Porro, tutti in vari modi interessati a materie scientifiche, fondarono una società dal nome piuttosto insolito di Tecnomasio Italiano, solitamente interpretato come “casa della tecnica” o derivato da Porro, esperto di ottica e geodesia, dal francese Institution Télématique. Erano quelli anni di scoperte molto importanti, quali il commutatore rotante di Antonio Pacinotti (1860), la lampada ad incandescenza di Thomas Alva Edison (1879) e la teoria del campo magnetico rotante di Galileo Ferraris (1886). Il primo catalogo del Tecnomasio del 1863 aveva per titolo Apparati per scienza di osservazione ed esperienza e presentava strumenti per laboratori e industriali, dei quali il Tecnomasio custodì in seguito gelosamente diversi esemplari, grazie alla diligente cura del mio collega Adelchi Zancan e, più tardi, dell’ottimo Pier Giorgio Mainardi. Uscito Porro dall’azienda per seguire altri interessi, venne sostituito da Duroni, ottico e fotografo. L’azienda operava con una ventina di dipendenti in un opificio in Via Pace, nel quartiere milanese di Porta Vittoria. Il 1863, s’è detto, fu anche l’anno di fondazione del Politecnico di Milano, con sede nell’ex palazzo del Senato: i suoi primi illustri docenti, tutti lombardi, furono l’abate geologo e mineralogista Antonio Stoppani e il direttore dell’Osservatorio di Brera, Giovanni Virginio Schiaparelli. Venne poi da Pavia, dove era stato rettore dell’Ateneo, il matematico Francesco Brioschi, che rimase fino al 1897. Quando Porro, esperto di celerimensura, si staccò nel 1864 dagli altri due soci 243


IL “MIO” TECNOMASIO I primordi del Tecnomasio fondò la Filotecnica, azienda di ottica, la quale aggiunse poi il nome di Salmoiraghi, che era stato studente di Porro. Nel 1864 Duroni subentrò a Porro, ma nel 1870 unico proprietario rimase Longoni. Gli anni ‘70 sono decisivi per la storia del Tecnomasio, innestata nel contesto del primo sviluppo industriale del Nord Italia: in questo periodo l’azienda si identifica con la figura dell’ingegner Bartolomeo Cabella, milanese classe 1847, laureato tra i primi del Politecnico in ingegneria civile nel 1868 e in ingegneria industriale, con lode, nel 1869. Brioschi lo voleva in carriera accademica, ma Cabella propendeva per l’industria. Nel 1870 Cabella entrò al Tecnomasio e nel 1871, alla morte di Longoni, ne divenne direttore, arrivando poi alla carica di socio accomandatario nel 1879, al ritiro dei fondatori. Cabella operò il passaggio del Tecnomasio da piccola società produttrice di strumenti di precisione a protagonista dell’industria elettromeccanica nazionale. Geniale inventore, sono famose le sue esperienze pionieristiche nei campi delle lampade ad arco (1875) e a incandescenza non a carbone, usando altri conduttori ad alta resistenza (lampade Brusotti, 1877). La Grande Esposizione Italiana di Torino del 1884 ospitò molte sue novità. Ma fu soprattutto il campo delle dinamo a rivelare le brillanti doti inventive di Cabella: egli ne costruì centinaia, e in particolare una speciale “dinamo di tipo superiore” con l’armatura a resistenza diminuita, che migliorava il rendimento della macchina e ne riduceva il riscaldamento. In riferimento a questa dinamo, costruita con la collaborazione di Emanueli, si sviluppò anche una disputa di violazione di proprietà intellettuale con la Gramme: la data del brevetto Gramme (27 marzo 1885) era posteriore a quella del brevetto Cabella e posteriore di due mesi alla pubblicazione della descrizione avvenuta il giorno 25 gennaio 1885. A proposito di dinamo superiore di Cabella, pochi anni or sono fui contattato da Sergio Ghittoni, giornalista di una pubblicazione della Zona 9 di Milano, il quartiere Isola, interessato sia alla suddetta dinamo per conto di un ex collega di studi allora docente al “Poli” di Milano, sia alla storia dello stabilimento di Via De Castillia, situato nella Zona 9 e in demolizione per ammodernamenti edilizi. Ne scaturì un interessante articolo celebrativo della storia del Tecnomasio (7). Nel 1876, due anni prima dell’esperimento di Parigi dell’Avenue de l’Opera, il Tecnomasio illuminò piazza del Duomo con cinque fari al centro della piazza, muniti di lampade a carbone alimentate da una dinamo di Cabella. Da allora il Tecnomasio proseguì il suo sviluppo con impianti di illuminazione, equipaggiati da componenti e macchine di produzione propria. È del 1883 l’impianto a Crema per la distribuzione luce ai privati, precedente di qualche giorno l’impianto di Via Santa Radegonda a Milano, il quale a sua volta veniva subito dopo quello della centrale Edison di New York. E ancora: 1884 (illuminazione della Scala, produzione di buone lampade a incandescenza, gareggiando con le prime di Edison); 1885 (impianto Tecnomasio di il244


luminazione sul vapore “Regina Margherita” della Società di Navigazione Piaggio, uno dei primi vapori italiani a essere illuminato elettricamente). Da allora l’illuminazione elettrica si estese ai cascinali e alle strade. Nel 1894 per le Esposizioni Riunite di Milano il Tecnomasio fornì la distribuzione dell’energia elettrica a tutta l’esposizione, con le maestranze della ditta che presentarono i loro prodotti. Cabella fu definito scienziato e artista, per la tecnica e il buon gusto dei suoi prodotti. Intorno al 1880 si verificò una svolta nell’industria elettromeccanica con la realizzazione del trasformatore e del motore a induzione e l’introduzione della corrente alternata a fianco della corrente continua fino a quel momento prevalente. Il trasporto a distanza dell’energia elettrica in corrente continua poneva infatti dei limiti a causa della forte caduta di tensione lungo la linea. La linea di 32 chilometri dalla centrale di Cornate-Porto d’Adda per alimentare Milano nel 1898, rappresentava un limite. Con le dinamo raggiungere la tensione di 5.000 V costituiva già una grande impresa, e le correnti erano troppo elevate, con forti perdite. Con il trasformatore la tensione salì a 100 kV alla fine del secolo e a 200 kV negli anni ’20 del secolo successivo. I motori a corrente alternata sono più semplici delle dinamo, grazie all’assenza del commutatore. Nel 1888 Cabella affidò a Ercole Marelli, suo dipendente, la direzione di tecnici e operai per un impianto di illuminazione a Tocco di Casoria, nelle vicinanze di Pescara. In seguito Marelli installò impianti di illuminazione d’albergo a Asunción, in Paraguay. Al suo ritorno, Marelli decise di mettersi in proprio, trovò capitali e iniziò a lavorare in una stanza in Via Ausonio 6, con un solo apprendista e piccole commesse. Nel giro di dieci anni dispose di una nuova sede in Via Farini di 3.000 metri quadrati di proprietà e un centinaio di dipendenti che costruivano ventilatori, motori elettrici, elettropompe e trasformatori. Nel 1911 nacque il grande stabilimento Marelli di Sesto San Giovanni, al quale è stata poi intitolata una fermata della Metropolitana milanese. Nel 1919 la Magneti Marelli si separò dalla casa madre. Un’altra vicenda di quei tempi, intrecciata con quella del Tecnomasio è quella Tosi. Franco Tosi, brillante ingegnere, nel 1876 era direttore dell’azienda metalmeccanica Cantoni Krumm di Legnano. Egli rilevò l’azienda e nel 1881 fondò la Franco Tosi & C., con mille dipendenti e la produzione di caldaie e turbine a vapore per la generazione di elettricità. Nel 1898 Tosi morì assassinato da un suo dipendente, ma la sua azienda, insieme con Tecnomasio, Marelli e Ansaldo di Genova rappresentava ormai un pilastro dell’elettromeccanica italiana. Il 9 dicembre 1898, con rogito del notaio Rosnati, avvenne la costituzione della Società Anonima Tecnomasio Italiano Ing. B. Cabella e C.. 245


IL “MIO” TECNOMASIO I primordi del Tecnomasio I soci di Cabella erano due agenti di cambio e lo scopo societario era “la costruzione di macchine e apparecchi per le applicazioni industriali dell’elettricità” con circa 500 operai. I programmi di sviluppo continuarono e nel 1900 fu realizzato l’ampliamento delle officine fino a una superficie di 8.400 metri quadrati. Tuttavia sul cammino della società si profilavano grandi problemi legati al passaggio da una situazione artigianale ad una vera e propria produzione industriale che richiedeva superiori competenze gestionali: consolidare la situazione finanziaria, affrontare il mercato con le dovute capacità tecniche, programmare la produzione su larga scala, rinnovare gli impianti, gestire le scorte. La veloce affermazione della corrente alternata forse fu percepita con un certo ritardo da Cabella, a causa dei suoi passati successi in corrente continua e del suo modesto spirito imprenditoriale. Il Tecnomasio entrò cosi in difficoltà, con i bilanci 1901 e 1902 in perdita. Occorreva una pronta via d’uscita. Prima della vicenda Tecnomasio, la Brown Boveri aveva già rapporti con il nostro Paese, avendo incaricato Giacomo Merizzi giovane ingegnere valtellinese, di procurare ordini per Baden. Merizzi agiva allora alla guida della Società Italiana di Elettricità Brown Boveri e nel 1903 comprese l’importanza di un accordo di reciproco interesse tra il Tecnomasio e la società svizzera. I contatti promossi da Merizzi portarono nell’autunno dello stesso anno a un accordo: il Tecnomasio portava la sua fama e i suoi successi nel campo della strumentazione e della corrente continua, oltre allo stabilimento di Via Pace con i suoi dipendenti. La Brown Boveri offriva larghe disponibilità finanziarie e di investimenti, oltre a notevoli brevetti nel campo della corrente alternata. L’azienda svizzera era stata costituita nel 1891 a Baden nel Cantone di Argovia presso Zurigo da due giovani, Walter Boveri, tedesco, e Charles Brown, inglese, colleghi alla MFO di Oerlikon, presso Zurigo. Brown era un brillante inventore, mentre Boveri era più concentrato sui problemi economico-industriali. Due caratteri diversi: Brown pensava solo alla tecnica, Boveri era più versato sulla finanza, con spinta verso i mercati esteri e la creazione di una rete commerciale internazionale. Dal 15 novembre 1903 il nome della nuova società divenne Tecnomasio Italiano Brown Boveri, riassunto dal pubblico in TIBB. Alla fine di ottobre Cabella si era dimesso. Con la Brown Boveri, già affermata in Svizzera e in Germania, il TIBB entrò nella cerchia delle grandi realtà internazionali quali le tedesche Siemens e AEG, le americane Westinghouse e General Electric e l’olandese Philips. La Brown Boveri era già nota per l’elettrificazione di Francoforte e la produzione di turbine e generatori, motori per i trasporti pubblici, centrali e tramvie. Merizzi diventò nel 1903 direttore generale della nuova società e in seguito consigliere delegato, fino al 1926. Al suo fianco, con lo stesso titolo ma dedito alla direzione dei lavori, Ernesto Vannotti, giovane ingegnere ticinese che aveva già mostrato doti tecniche e organizzative. Cresciuto in Italia, risiedeva a Luino sul Lago Maggiore e si era diploma246


to in ingegneria al Politecnico di Zurigo. Entrato in Brown Boveri alla fine del 1895, si era presto distinto e venne prescelto nel 1898 come direttore dei lavori in Italia per l’installazione degli alternatori della centrale Bertini di Cornate-Porto d’Adda. Presidente del TIBB nel 1903 era Cesare Saldini, che divenne poi direttore del Politecnico di Milano. L’anno successivo si dimise per incompatibilità con la sua carica di consigliere del Comune di Milano, cliente del TIBB, e venne sostituito, dal 1904 al 1920, da Roberto Visconti. Vannotti iniziò prontamente la riorganizzazione del TIBB: nel 1905 venne chiuso il reparto strumenti di misura e vennero prodotte una trentina di grosse macchine utilizzando i brevetti Brown Boveri. Venne raggiunto anche un primato di potenza nazionale nel campo degli azionamenti industriali, con quattro motori asincroni ciascuno della potenza di seicento cavalli. Ma le macchine erano sempre più ingombranti e gli 8.400 metri quadrati delle officine di Via Pace, nonostante tutti gli sforzi, non bastavano più. Il 22 maggio 1906 il TIBB deliberò l’acquisto di 40.500 metri quadrati fuori Porta Romana, alle spalle di Piazzale Lodi, da raccordare con un binario alla vicina stazione merci. Varie aggiunte dal 1924 al 1925 avrebbero poi portato a 72.500 metri quadrati l’area dello stabilimento, che rimase per 80 anni il cuore del TIBB. La costruzione procedette con una certa lentezza, in quanto nel dicembre del 1907 un’azienda concorrente, la Luigi Gadda & C., decise di ritirarsi dalla scena e propose al TIBB di acquistare i suoi 22.000 metri quadrati in Via De Castillia, nel quartiere dell’Isola (oggi Zona 9 di Milano), adiacente al centro direzionale. Il TIBB accettò e il trasloco dalle officine di Via Pace fu completato entro la fine di marzo 1908, con un respiro per gli spazi dedicati alla produzione del grosso macchinario rotante, mentre in Piazzale Lodi, in una prima fase, solo 10.000 metri quadrati furono edificati e destinati al trasferimento della produzione dei trasformatori. Con il trasferimento in Via De Castillia il TIBB raccoglieva l’eredità di un’altra azienda prestigiosa, la Gadda, costituita nel 1899 con la sponsorizzazione di Ettore Conti. La Gadda aveva poi assorbito la Brioschi & Finzi e l’Unione Elettrotecnica Italiana di Torino. Nel 1901 Luigi Gadda era compartecipe della S.A. Imprese Elettriche Conti & C. per la produzione e la distribuzione di elettricità e fece poi parte per molti anni del consiglio di amministrazione del TIBB. Il TIBB pertanto accentrò la maggior parte dell’industria elettrotecnica italiana e ne divenne il più antico e autorevole rappresentante. Al suo successo contribuirono due fattori decisivi: l’accesso alle competenze di Baden e un’organizzazione tecnica e amministrativa perfezionata in sede locale, con ricerca autonoma e dirigenti e maestranze italiane. Da Baden erano assicurate solidità finanziaria e ricerca centralizzata. Nel 1910 il TIBB decise di specializzare la sua produzione nelle sole macchine elettriche (generatori, motori, trasformatori) e nei loro accessori (interruttori, valvole, reostati, quadri). 247


IL “MIO” TECNOMASIO I primordi del Tecnomasio In quello stesso anno veniva pubblicato un opuscolo aziendale con gli elenchi degli alternatori di grande potenza e dei trasformatori di potenza superiore a 900 kVA costruiti tra il 1907 e il 1910. Le prime macchine riportate sono entrambe del 1907 per il Consorzio Idraulico del Dezzo, centrale di Alzano Maggiore: un alternatore da 2.100 kVA a 5.000 V e 500 giri al minuto e quattro trasformatori da 1.200 kVA a 45 kV. Ma le macchine di maggior potenza sono per le centrali di Goglio, Grosotto, del Salto Pescara e di Papigno, che io ritrovavo ancora dopo tanti anni nella famosa “cassettina 18”. Nell’elenco dei trasformatori spiccano nove macchine per la centrale di Grosotto da 3.000 kVA alla ragguardevole tensione di 75 kV. A quegli anni risalgono anche gruppi motore-generatore in corrente continua di potenza superiore ai 100 kW per azionamenti industriali. Un altro capitolo importante per il TIBB è stata la sua partecipazione allo sviluppo della trazione elettrica in sostituzione di quella a vapore. Nel 1911 fornì alle Ferrovie dello Stato gli equipaggiamenti elettrici per cinque locomotori E320 in corrente continua (650 V, 1.200 kW, 95 km/ora, con parti meccaniche della OM di Milano). Il locomotore E320 era allora il più potente in Europa con questo tipo di alimentazione: destinato alla tratta Milano-Varese, poi prolungata fino a Porto Ceresio, fu il primo destinato all’utilizzo su un sistema a terza rotaia. Seguì nel 1912 un’altra motrice per le FS, la E330 a tre assi accoppiati, ad alimentazione trifase (3,3 kV, 16,2/3 Hz). I due motori TIBB sviluppavano la potenza complessiva di 2.000 kW e consentivano diverse velocità di marcia fino a 100 chilometri orari. L’anno successivo apparve l’E331, con lo stesso equipaggiamento elettrico ma con maggiore peso aderente, cioè in grado di trainare carichi maggiori. Anche alle ferrovie private il TIBB fornì interessanti contributi: 1914. Linea della Val Brembana: due motrici monofase a 6 kV, 25 Hz; 1920. Linea Pinerolo-Perosa: locomotori a corrente continua; 1921. Linea Biella-Oropa; 1923. Linee Roma-Fiuggi, Locarno-Domodossola, Circumvesuviana; 1919-1920. Linea Torino-Ciriè-Valli di Lanzo: motrici a corrente continua a 4 kV, molto rinomate per la loro elevata tensione. Altre forniture minori ma di interesse furono per esempio i motori elettrici della funicolare Como-Brunate. Una vera svolta in campo ferroviario avvenne nel 1919, quando il TIBB subentrò alla Westinghouse Italiana, filiale della statunitense, nella gestione dello stabilimento di Vado Ligure, importante per avere prodotto nel 1908 il “Gigante dei Giovi” 0501, il primo locomotore elettrico interamente italiano. 248


Le Officine di Vado Ligure, costruite dalla Westinghouse nel 1905, erano il maggior impianto di produzioni ferroviarie del Paese. Il “Gigante dei Giovi” fu costruito in 186 esemplari tra il 1908 e il 1920. Era in grado di trainare convogli merci di centinaia di tonnellate su linee di valico in forte pendenza, quali la Pontedecimo-Busalla, ed era dotato di frenatura elettrica a recupero di energia in discesa. Venne usato su tratte molto importanti, quali la Savona-Ceva, la Torino-Modane, la Genova-Livorno, la “Porrettana” Bologna-Firenze, la Bolzano-Brennero. Lo stabilimento di Vado era in grado di costruire, oltre al grosso materiale ferroviario, anche grande carpenteria metallica: carcasse saldate per macchine rotanti, carcasse per trasformatori di grande potenza e forni elettrici. Unico in Italia, poteva fornire locomotori completi di parti elettriche e meccaniche costruiti e montati in una sola impresa. L’entrata dell’Italia nella Prima Guerra Mondiale portò, oltre ad interessanti ordini dai Ministeri della Guerra e della Marina, alla militarizzazione degli stabilimenti di Piazzale Lodi e di Via De Castillia, a partire dal 23 novembre 1915. Ciò implicò l’attivazione di una sorveglianza militare e di un controllo da parte di un Comitato di mobilitazione industriale. Anche alcuni reparti dello stabilimento di Vado Ligure vennero attrezzati per costruire equipaggiamenti militari. Superato con qualche difficoltà il problema dell’aumento del costo delle materie prime durante la guerra, la produzione era continuata con discreti risultati. Nel 1918 il TIBB costruì un alternatore da 20.000 cavalli, il più potente d’Italia, per la Società dell’Adamello. Con la delibera del 31 marzo 1919 venne deciso un aumento di capitale per il completamento delle officine di Piazzale Lodi. Nel biennio 1919-1920 vi furono agitazioni causate dall’orario di lavoro (gli operai passarono da dieci a otto ore, gli impiegati da otto a sette), che culminarono con l’occupazione delle fabbriche tra la fine di agosto e il Natale del 1920. Tuttavia le commesse restarono importanti: quattro alternatori da 25.000 cavalli, tre trasformatori da 22.000 kVA e quattro trasformatori da 24.000 kVA. Nel giugno del 1922 venne trasferita nelle officine di Piazzale Lodi gran parte della lavorazione del grosso macchinario. Tre anni dopo, nel giugno 1925 venne occupato il grande palazzo uffici che da allora domina la piazza, progettato nei suoi interni da Vannotti stesso. Le officine di Via De Castillia furono tenute in attività per costruzioni di minori dimensioni e di serie (piccole e medie macchine in corrente alternata e continua per l’industria, oltre che per la trazione). Pesantemente danneggiate dai bombardamenti alleati del 1943, vennero rapidamente ricostruite alla fine della Seconda Guerra Mondiale, per essere definitivamente abbandonate alla metà degli anni ’60. Ettore Conti, ingegnere e pioniere dell’industria elettrica italiana, assunse la presidenza del TIBB nel 1921 e la mantenne fino al 1957, dando un notevole impulso alla gestione industriale dell’azienda. 249


IL “MIO” TECNOMASIO I primordi del Tecnomasio Le tre officine di Piazzale Lodi, di Via De Castillia e di Vado Ligure producevano una grande varietà di macchine e apparati. Oltre ai locomotori elettrici di Vado, erano alternatori, dinamo e motori sincroni e asincroni di varie dimensioni e potenze, convertitrici e gruppi convertitori, regolatori a induzione, trasformatori, quadri e apparecchi, stazioni e sottostazioni elettriche, e in genere macchinari per l’industria metallurgica e siderurgica, elettrochimica, cartaria e tessile, della propulsione marina e della meccanizzazione agricola. Caratteristiche precipue del TIBB erano la qualità e l’affidabilità, il massimo di sicurezza e di durata per le macchine e il più alto grado di facilità di manovra e di soddisfazione per gli addetti. I due alternatori da 35.000 cavalli commissionati nel 1923 per la centrale di Mese erano i più potenti costruiti fino a quel momento in Italia; la tensione dei relativi trasformatori, 135 kV, era la massima raggiunta in Europa. Altri grandi alternatori e trasformatori furono costruiti tra il 1923 il 1925 per la Terni, per le Imprese Elettriche Conti e per la Meridionale di Elettricità. Per la potenza delle macchine e la tensione dei trasformatori il Tecnomasio era un precursore in Italia e nel mondo. La maggiore capacità di produzione raggiunta tempestivamente nel Dopoguerra permise di ammortizzare i nuovi impianti e creare delle riserve per superare fasi di crisi senza intaccare il capitale. Un segno del notevole ruolo del Tecnomasio nell’industria italiana venne nel 1926, quando l’azienda fu chiamata a partecipare assieme a Edison, Ansaldo, Falck, Marelli e Cemsa alla fondazione della SAE, società costituita allo scopo di elettrificare con una linea aerea la tratta ferroviaria Bolzano-Brennero, di fondamentale importanza per i traffici con il Nord Europa. A lavoro concluso, per meglio ammortizzare i capitali investiti, l’azienda fu lasciata in vita per procedere alla elettrificazione della Pontremolese-Vezzano-Fornovo. In seguito si presentarono altre realizzazioni: la Firenze-Roma, la rete della stazione Centrale di Milano, la nuova direttissima Firenze-Bologna (1934). La SAE pertanto sopravvisse, ricoprendo una posizione d’avanguardia nel trasporto dell’energia elettrica, fino a entrare a far parte del Gruppo Asea-Brown Boveri. Nel marzo 1923 avvenne l’accorpamento legale delle Officine di Vado Ligure nel Tecnomasio Italiano Brown Boveri. A partire dal 1919, anno in cui il TIBB era subentrato alla Westinghouse Italiana, la produzione fu prevalentemente dedicata alle Ferrovie dello Stato con vari locomotori con alimentazione trifase (a 3,3 kV, 16.2/3 Hz: 46 E551, derivati dagli storici “Giganti dei Giovi” e 37 E431); con alimentazione a corrente continua a 650 V, seconda fornitura. A Vado Ligure vennero anche commissionati dalle FS piccole serie di locomotori per la prova di due nuovi sistemi:

pp alimentazione industriale (corrente alternata trifase a 10 kV, 45 Hz), esperimento del 1922 sulla Roma-Sulmona: da Vado una serie di 4 locomotori E470 per servizio viaggiatori e 4 E570 per servizio merci; 250


pp alimentazione a corrente continua a 3.000 V, esperimento dal 1926 sulla Benevento-Foggia. Vado fornì 4 locomotori E625, che, congiuntamente alle forniture da altre aziende, rappresentarono i precursori di tutti i locomotori elettrici delle FS per decenni a venire. Dalle prove risultò predominante il sistema a corrente continua ad alta tensione, che confermava i positivi risultati già raggiunti dal TIBB con la Torino-Ciriè-Valli di Lanzo a 4.000 V. Venne così lanciata la costruzione in grande serie di locomotori a 3.000 V a corrente continua in varie tipologie a seconda del servizio. Anche numerose ferrovie secondarie vennero elettrificate dal TIBB tra il 1924 e il 1930 in corrente continua e con tensioni variabili tra 2,6 e 3,0 kV. Nel decennio 1920-1930 il TIBB dedicò molta attenzione anche ai trasporti urbani, con mezzi e impianti per Milano, Roma, Genova e Trieste. Negli anni ’30 effettuò interessanti forniture ferroviarie anche all’estero, in Russia, Eritrea e Jugoslavia. Nel periodo tra le due guerre i pilastri del TIBB restarono sempre le grandi centrali e gli equipaggiamenti di trazione, che furono affiancati da una importante produzione di macchine e apparecchiature per grandi e piccoli stabilimenti industriali. Si trattava di impianti elettrici, motori e comandi per stabilimenti elettrochimici e laminatoi, macchine tessili e rotative offset, impianti di sollevamento per l’industria estrattiva, pompe per impianti idrovori, forni per fusione di acciaio e per ceramica, carrelli elettrici ad accumulatori (per trasporti interni agli stabilimenti, per magazzinaggio e distribuzione merci). Il 15 novembre del 1928 si tennero le cerimonie per il venticinquesimo anniversario del TIBB, celebrato con una targa di bronzo con raffigurata la prima dinamo e un grande trasformatore. Il Teatro Dal Verme di Milano accolse operai, impiegati e dirigenti per assistere alla Turandot. Venne pubblicato anche un documento che presentava i prodotti, descriveva gli stabilimenti e tracciava una sintesi della storia aziendale. Vi erano menzionati i più importanti successi: impianto del Pescara (1910); linea Torino-Ciriè-Valli di Lanzo (1919); varie tappe fino ai tre trasformatori per la centrale di Cardano, allora in lavorazione, con la tensione di 237 kV, nuovo limite mondiale. Nonostante la grande crisi (1929-36), il TIBB stabilì veri primati:

pp centrale di Mese. Alternatori da 35.000 cavalli (1923), i più potenti costruiti in Italia; pp centrale di Mese. Trasformatori della massima tensione in Europa; pp centrale di Galleto, Terni. Alternatori da 50.000 cavalli (1925), nuovo primato europeo; pp centrale di Cardano. Tre alternatori verticali, ciascuno da 36 MVA a 300 giri/minuto con ruota polare da 130 tonnellate.

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IL “MIO” TECNOMASIO I primordi del Tecnomasio Il periodo settennale della grande crisi comportò una riduzione di ordini nel settore idroelettrico, mentre proseguirono gli ordini statali nel settore trazione. Si dovette registrare anche una crescita di concorrenza da parte di aziende minori, che portò ad un abbattimento eccessivo dei prezzi. Tutto ciò causò una sospensione di sei anni nella distribuzione di dividendi, che tuttavia riprese nel 1937, alla fine del periodo di crisi. A partire da questa data, il TIBB registrò importanti ordini per forni elettrici, interruttori pneumatici per tensioni fino a 150 kV, macchine rotanti, trasformatori. L’Albo d’oro del TIBB, pubblicato nel 1943 per il macchinario elettrico rotante di potenza oltre 1.000 kVA, registra 360 commesse tra il 1903 e il 1942, per un totale di 562 macchine e circa 4 milioni di kVA. Alla fine della guerra, la Rassegna Tecnica TIBB riprende le pubblicazioni con il numero di gennaio-marzo 1948, dedicato prevalentemente al contributo del TIBB alla ricostruzione. I bombardamenti alleati del febbraio e dell’agosto 1943 avevano pesantemente colpito gli impianti milanesi di Via De Castillia e di Piazzale Lodi: la loro rimessa in esercizio richiese lavori sia alle attrezzature sia alla parte edilizia. Ma un forte impegno venne anche dedicato al ripristino con urgenza di impianti e macchinari, soprattutto centrali elettriche, sottostazioni di trasformazione e ferrovie dell’Italia centro-meridionale. Nel contempo erano tenuti in considerazione aspetti tecnici e prestazioni. Alcuni esempi:

pp quattro centrali sul corso del Pescara, della Meridionale di Elettricità, con 12 alternatori prebellici di potenza complessiva di 110 MVA, tutti danneggiati e alcuni non più riparabili. Dopo la ricostruzione ridotti a 11 ma con più di 125 MVA totali;

pp centrali di Papigno, della Terni. Alternatori di Velino aumentati di potenza da 22 a 30 MVA;

pp centrali di Cotilia, Galleto e Farfa; pp centrale di San Giacomo al Vomano, dove durante la guerra un alternatore da 60 MVA era stato seppellito per evitare che cadesse in mano ai tedeschi; impianti della Selt Valdarno. Quanto alle nuove realizzazioni:

pp centrale di Turbigo. Nel maggio 1949, alternatore verticale di 12 metri di diametro, con trasformatore;

pp centrale di Castelbello. Commissionata nel 1941, ma messa in servizio solo alla fine della guerra, con 3 alternatori verticali da 32 MVA a 600 giri/minuto, con relativi trasformatori; 252


pp centrale di Santa Giustina. Ordinata dalla Edison nel 1948, con 3 alternatori verticali da 41 MVA a 315/375 giri/minuto;

pp Santa Massenza. Novembre 1952, messa in servizio del primo dei 4 alternatori da 70 MVA, commissionati tre anni prima dalla Società Idroelettrica Sarca Molveno di Milano. Seguì, in rapida successione, la messa in servizio degli altri tre alternatori. Con l’aggiunta di altri due gruppi minori da 35 MVA, la centrale divenne il più potente impianto idroelettrico italiano dell’epoca e una delle più grandi centrali in caverna del mondo. La produzione dell’energia elettrica subì in cinque anni una crescita del 50 per cento, e provocò un incremento delle dimensione del macchinario e lo sviluppo delle apparecchiature di manovra, regolazione e protezione (centrali automatiche). Le forniture TIBB per centrali continuavano nel periodo sia in Italia (San Floriano, Grosio, Ala, Vinchiana, Cassino I°, Meduna) sia all’estero (Vinstra, Øksenelvane e Mæl in Norvegia, Passy in Francia, Agra in Grecia, Tingambato in Messico, Juquia Guassù in Brasile). Altre forniture di rilievo nel periodo riguardarono i comandi elettrici di laminatoi e le locomotive elettriche a quattro assi E424. Tuttavia esistevano ancora problemi di scarsità di materie prime e di semilavorati, di combustibile e di disponibilità di energia, insieme alle difficoltà di reperire capitali. Più frequenti erano invece le nuove ordinazioni per trasformatori, turboalternatori e compensatori sincroni, per i quali i costi di impianto erano inferiori a quelli degli impianti idroelettrici. La grande crisi degli anni ’30 aveva peraltro spinto il TIBB a costruire elettrodomestici (ferri da stiro, cucine, spiedi multipli e apparecchiature simili; nel secondo capitolo ho citato la decennale presenza nella cucina di casa mia di un apprezzato fornello elettrico a due piastre). Nel dopoguerra riprese la produzione di cucine casalinghe e per comunità, scaldacqua, fornelli, graticole elettriche, ferri da stiro. Per gli elettrodomestici venne usato un marchio speciale, con il solo nome Tecnomasio. La produzione di elettrodomestici, oltre a svolgere un ruolo sociale in tempi difficili, contribuì almeno in parte a colmare il gap della carenza dei grossi ordini. A questo punto, con l’inizio degli anni ’50, termina l’illustrazione del TIBB precedente alla mia entrata e le vicende del Tecnomasio si integrano con le mie personali.

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IL “MIO” TECNOMASIO

APPENDICE II

Altre vicende del Tecnomasio (1950-1980)

A metà degli anni ‘50 e verso l’inizio degli anni ‘60 il potenziale sviluppo idroelettrico italiano iniziava a dare segni di limitate possibilità di ulteriore sfruttamento, e si affermava la generazione termoelettrica. Nel luglio del 1955 la Selt Valdarno e la Romana di Elettricità commissionarono alla Brown Boveri la costruzione della centrale di Santa Barbara (San Giovanni Valdarno), alimentata dalla lignite della miniera di Castiglione dei Sabbioni e Allori ed equipaggiata dal gruppo Nord, che entrò in servizio nel dicembre 1957, e dal gruppo Sud, in servizio nel maggio del 1958. Ogni gruppo era costituito da una caldaia di fornitura rispettivamente Babcock&Wilcox, di Oberhausen (Germania), e Breda, da una turbina BBC e da un turboalternatore TIBB da 160 MVA, 50 Hz, 3.000 giri/minuto, raffreddato a idrogeno. Di fornitura TIBB erano anche i trasformatori trifasi, costituiti ciascuno da tre unità monofasi, con potenza di dimensionamento di 280 MVA, valore praticamente ai massimi nel mondo occidentale. L’ordine da parte dell’AEM di Milano di un primo turboalternatore da 93,75 MVA per la centrale di San Bernardino, a Cassano d’Adda, fu registrato nel 1958, mentre l’anno seguente la Selt Valdarno ordinò al TIBB un turboalternatore da 206 MVA per la centrale Marzocco di Livorno (Calambrone). Il TIBB si apprestava a vivere gli anni ‘50 con la produzione non solo di grossi alternatori, motori, trasformatori e apparecchiature ad alta tensione, ma anche di motori e apparecchiature di serie - che pesavano per circa il 30 per cento sul totale - e di interruttori pneumatici per interno, in impianti di produzione e distribuzione di energia e in cabine di stabilimenti industriali. Il controllo di grandi impianti industriali e la regolazione dei principali parametri di processo furono perseguiti attraverso equipaggiamenti d’avanguardia. La forte crescita della produzione di acciaio degli anni ‘40 e dei primi anni ‘50 fu sostenuta dal TIBB con la fornitura dei comandi elettrici principali e ausiliari di varie tipologie di laminatoi (Piombino, 1952, Acciaieria di Bolzano, 1955, Porto Marghera, 1954, Acciaierie e Ferriere di Modena, 1957, Breda Siderurgica, 1958, Terni, 1957, Innocenti per un importante impianto in Venezuela). Il TIBB forniva anche comandi elettrici per macchine utensili (torni, alesatrici, 254


rettifiche), per la produzione cartaria, per la stampa, per l’industria tessile e del cemento, per impianti chimici e zuccherifici e per miniere. Nel settore dell’elettrotermia, il TIBB fu molto presente, per esempio con i forni elettrici ad arco per acciaio e ghisa per le Acciaierie di Bolzano (20 tonnellate, 10 MW), le Ferriere Redaelli (25 tonnellate, 10 MW), la Falck (25 tonnellate, 12 MW) e con forni per ceramica a galleria per la Galvani di Pordenone. Il settore dell’elettrotermia rappresentò sempre una delle primarie attività del TIBB, alla quale dedicarono forti impegni prima l’ingegner Cella e poi l’ingegner Erminio Astori, dal quale ho tratto attraverso vari colloqui queste informazioni, utili tra l’altro a delineare il cammino tipico a metà degli anni ‘50 di un neolaureato prima della sua assunzione al TIBB. Questo si distingueva per esempio dal mio, iniziato con l’assunzione diretta nel ‘51, per la necessità di partecipare a un lungo corso preparatorio e di assumere precise responsabilità ancor prima dell’entrata ufficiale nel payroll del TIBB. Astori, neolaureato al Politecnico di Milano e reduce dal servizio militare, a valle di un promettente colloquio con FIAT preferì optare per un corso per neolaureati del TIBB nel 1956. L’incontro con prestigiosi personaggi TIBB come Vannotti, Piazzi, De Francesco, e la signorilità dello stesso portiere alla reception, signor Vogogna, gli fecero subito comprendere e apprezzare lo stile dell’azienda. Dopo un proficuo incontro con Vannotti, dal quale trasse anche la spinta all’apprendimento del tedesco, durante il primo trimestre del corso venne assegnato allo stabilimento di Via De Castillia, guidato dal signor Meschia, e alla Sala prove motori, della quale era responsabile Gargaglione, coadiuvato dal signor Sorini. I tecnici di Sala prove - Della Francesca, Verga e Torza - si occupavano rispettivamente delle prove dei motori asincroni, delle macchine a corrente continua (gruppi Ward Leonard) e dei motori Schrage (PN). Il successivo stage di Astori fu presso la Sala prove trasformatori dello stabilimento di Piazzale Lodi, gestita dall’ingegner Samuelli con i tecnici Casarini, Alieri, Omobono, Nava e Mario Nocco. Al termine del secondo trimestre del corso, Astori passò alla Sala prove macchine, dove operavano Piazzi e Lanzavecchia e poi Baldi, con i tecnici Bozzano, Parenti, Caslini e Cantù. Il Laboratorio strumenti di misura era gestito da Lironi e Tomaselli, mentre la Sala prove alta tensione era presidiata dall’ingegner Viganò, coadiuvato dal signor Rho. Alla fine del periodo di preparazione nelle Sale prove, Astori venne ricevuto dall’ingegner Cella, responsabile del settore forni elettrici, che gli propose di affiancare l’ingegner Franco, dimissionario dal suo ruolo di responsabile dell’ufficio impianti di saldatura. Anche l’amministratore delegato De Martini, in un breve colloquio, raccomandò 255


IL “MIO” TECNOMASIO Altre vicende del Tecnomasio (1950-1980) ad Astori di proseguire il corso per neolaureati alle dipendenze di Cella. All’uscita dal TIBB di Franco, Astori lo sostituì con la collaborazione della signora Opizio e con l’assistenza dei tecnici Caslini e Reccagni per le prove in laboratorio. Il settore era fiorente: la produzione mensile era di 40 gruppi convertitori a corrente continua e 10 saldatrici statiche con trasformatore. Inoltre erano importati da Baden saldatrici a resistenza, a punti e a rulli con i rispettivi comandi elettronici a Ignitron e Thyratron, oltre a impianti di saldatura automatica ad arco e semi automatica a polvere magnetica, in collaborazione con la Società Siderotermica. Solo dopo alcuni mesi Astori fu regolarmente assunto come impiegato di seconda categoria e con uno stipendio di 75 mila lire al mese. Trascorsi 15 giorni a Baden per la conoscenza delle apparecchiature di saldatura, riprese il lavoro nell’ufficio impianti di saldatura fino al giugno 1960. In quel periodo, sollecitato dall’ingegner Zancan, tenne con successo due conferenze sui vari processi di saldatura, una all’AMI di Varese e l’altra alla AEI di Bologna, ospite della Facoltà di ingegneria di quella Università. Nel giugno 1960 Cella propose ad Astori di passare all’ufficio tecnico forni, nel quale svolgeva la funzione di capo ufficio un versatile consulente italo-svizzero di Lugano, l’ingegner Martinelli. Il rapporto tra i due fu subito molto proficuo e ricco di insegnamenti. Le nozioni di scienza delle costruzioni, di fisica tecnica, di costruzione di macchine e di elettrotecnica imparate al Politecnico di Milano furono utilizzate nel calcolo dei vari tipi di forni; perfino i calcoli del cemento armato furono preziosi per il dimensionamento delle fondazioni dei forni ad arco. Il boom di circa 100 mini acciaierie sorte in Alta Italia si traduceva, secondo un censimento degli anni ‘60, in circa 300 forni ad arco installati e funzionanti, per una produzione di acciaio di circa 15 milioni di tonnellate su un totale di 25 comprendente anche la produzione degli altiforni di Genova, Piombino, Bagnoli, Trieste e Taranto. Attualmente le mini acciaierie esistenti non sono più di 40, ma assicurano la medesima produzione di quegli anni di circa 15 milioni di tonnellate, mentre gli altiforni oggi in attività sono quelli di Piombino, Taranto e Trieste. La rapidissima crescita di quegli anni richiedeva un forte impegno per le messe in servizio da parte dei tecnici Tassi e Berra, e Astori iniziò pertanto ad occuparsi anche di messe in servizio. Il settore tecnico affidato all’ingegner Martinelli comprendeva l’ufficio tecnico forni, guidato dal signor Fumi, l’ufficio refrigeranti e scambiatori di calore coordinato da Galeazzi, e l’ufficio condensatori elettrici e passanti ad alta tensione. Progettazione e costruzione riguardavano molte tipologie: forni ad arco, a induzione a canale, a crogiuolo a frequenza di rete e a media frequenza, a resistori per riscaldo e trattamento termico, forni per ceramica e forni per apparecchiature speciali. 256


Tra questi è degno di menzione un riscaldatore costruito per l’Aeronautica Militare e per il professor Broglio della Facoltà di ingegneria di Roma, installato all’Aeroporto di Roma-Urbe. Il riscaldatore era destinato a produrre getti d’aria preriscaldata a 1.000 °C con 100 atmosfere di pressione che, attraverso un tubo LAVAL, investivano piccoli modelli meccanici ad una velocità di 13 MAC. Le messe in servizio effettuate da Astori tra il 1961 e 1963 riguardarono molti impianti equipaggiati con le varie tipologie di forni, ad arco nelle acciaierie, ad induzione per la fusione e il riscaldo di ghisa e a canale per la fusione di metalli non ferrosi (rame, ottone, alluminio, zinco). Nel 1963 Astori fu nominato capo dell’ufficio tecnico forni e refrigeranti. Nel 1978 avvenne l’integrazione con l’ufficio quadri elettrici, con l’ingegner Ferrari in qualità di capo ufficio e Bozzano come capo fabbrica. Verso la fine degli anni ‘80 venne realizzata una interessante ricerca finanziata dall’IMI per forni ad arco a corrente continua. Le prove furono effettuate inizialmente presso l’Acciaieria Mandelli di Torino e successivamente presso le Acciaierie Bertoli di Udine. Il rilevamento dei disturbi in rete, notoriamente provocati dai forni, fu eseguito da una equipe dell’ENEL, e i risultati furono presentati da Astori al Congresso Internazionale di Elettrotermia del 1988 a Torremolinos, nei pressi di Malaga, Spagna, e successivamente in occasione di seminari organizzati dal CICOF a Mosca e Budapest sotto la presidenza dello stesso Astori. Per la fabbrica quadri fu significativa la fornitura di 30 celle di media tensione con interruttori ad aria compressa DB30 per la grande acciaieria di Brandeburgo realizzata dalla Danieli nella Germania dell’Est. Nel giugno del 1980 Astori fu promosso capo dello stabilimento di Vittuone, appartenente alla divisione industria di Uccelli, e lasciò quindi l’ufficio tecnico forni e scambiatori di calore al signor Giorgio Ferli, suo stretto collaboratore da alcuni anni. Nello stesso anno il Gruppo BBC decise di concentrare a Lione la produzione di motori di bassa tensione. La perdita di questa categoria di macchine prodotte fino allora a Vittuone accanto ai motori di media tensione per l’industria e la trazione e all’elettronica di trazione (chopper e inverter), provocò la ristrutturazione dello stabilimento, che occupava circa 1.000 dipendenti. A parziale compenso della perdita di motori, furono trasferite a Vittuone da Piazzale Lodi le produzioni dei quadri e dell’elettronica industriale, che si integrò con quella di trazione. La ristrutturazione comportò uno spostamento di dipendenti da Piazzale Lodi e la messa in CIG di circa 200 persone della linea soppressa, la cui gestione costituì un problema delicato e sofferto da parte di tutto il personale e del consiglio di fabbrica. Vennero istituiti corsi interni di formazione con l’assistenza della società di con257


IL “MIO” TECNOMASIO Altre vicende del Tecnomasio (1950-1980) sulenza Galgano, nei quali furono inseriti i Circoli della Qualità, che provocarono una sorprendente vitalità e nuova motivazione nel personale. L’intreccio delle relazioni sviluppato aumentò considerevolmente il senso di appartenenza e il rispetto reciproco, recuperando e ricucendo gli inevitabili strappi che la conflittualità operativa e sociale spesso producevano. Alla fine della vicenda di lavoro del collega Erminio Astori, mi permetto di citare testualmente la sua testimonianza: “Stendendo le mie brevi note sul mio vissuto al Tecnomasio, ho visto scorrere tanti volti, ciascuno con una sua nota irripetibile, ne ho spesso riascoltato la voce, ho rivissuto alcune emozioni umanamente intense. Ricordare, come dice bene la radice cor, significa riportare al cuore, sede dei nostri sentimenti e della intelligenza degli stessi, ossia la capacità di leggere dentro (intus-legere) e cogliere il senso della esperienza vissuta. Molti gli amici, con i quali condivisi momenti indimenticabili insieme alle loro famiglie. Non posso nascondere di aver provato un sentimento di profonda riconoscenza nei confronti di molte persone, soprattutto di quelle che non figuravano negli organigrammi, di poche parole e magari con molti calli sulle mani. Mi sono chiesto cosa sia stato io per loro, cosa avrei potuto essere e non sono stato: mi sono sentito in debito verso di loro. La gratitudine del resto è merce rara, in particolare ai nostri tempi: riscoprirla ci può rendere più umili e quindi più veri”. Il TIBB negli anni ‘50 procedeva con successo nei contributi alla ricostruzione e nella preparazione del boom, soprattutto nei settori dell’energia e dei trasporti su rotaia, ma anche con particolari forniture, quali per esempio l’installazione del centro trasmittente della Radio Vaticana, Santa Maria in Galeria, in sostituzione della vecchia stazione Radio Pontificia inaugurata da Marconi nel 1931. Pio XII utilizzò la nuova Stazione Radio il 27 ottobre 1957; 3 dei 4 trasmettitori erano forniti da Baden, mentre la sottostazione di trasformazione e distribuzione era di fornitura TIBB. Gli anni ‘50 videro grandi sviluppi del TIBB nel settore della trazione. Le locomotive E424 per treni leggeri, della potenza di 1.560 kW e velocità di 100 km/h fecero epoca e sono tuttora in servizio. Tra il 1947 e il 1958 furono forniti alle FS molti esemplari di locomotive E636, della potenza globale di 2.100 kW contro i 1.560 della locomotiva E424. Seguirono nel 1957 le forniture da Vado Ligure di esemplari E646, della potenza di 4.320 kW, che rappresentava un nuovo primato per l’Italia, e di E645 per la trazione di merci. A valle dei positivi risultati ottenuti in esercizi di prova, le FS adottarono l’alimentazione a 3 kV in corrente continua. Nel 1958 le E646 del TIBB coprirono 5.300 chilometri dei 6.600 elettrificati in corrente continua a 3 kV. Il TIBB fornì anche equipaggiamenti che permettevano di funzionare in reti sia in corrente continua, sia in 258


alternata (Milano-Riviera di Ponente). L’azienda diede il suo valido contributo di equipaggiamenti e carrelli anche alla trazione diesel-elettrica, sia per le FS, sia per ferrovie secondarie, anche a scartamento ridotto. La Ferrovia delle Dolomiti (Calalzo-Cortina-Dobbiaco) venne attrezzata per le Olimpiadi Invernali di Cortina del 1956. Importanti forniture vennero effettuate per le linee filoviarie bifilari Torino-Chieri nel 1951, Fermo-Porto S. Giorgio nel 1958; i filobus di Trieste erano dotati di materiale TIBB dal 1951. Circa negli stessi anni furono equipaggiate anche le linee extraurbane di Verona, quelle milanesi e quelle genovesi. La trazione a vapore per i servizi di manovra delle FS, ancora esistente nei primi anni ‘60, venne sostituita dalla trazione diesel. In seguito, nei locomotori di manovra, il motore termico venne a sua volta sostituito da un motore elettrico a 3 kV, accoppiato a un generatore principale. Questo alimentava il motore di trazione azionante l’asse centrale della locomotiva, collegato agli assi di estremità. Il TIBB ricevette l’ordine di decine di locomotori E321 ed E323. Le locomotive TIBB diesel-elettriche da manovra serie D141 e 143 permisero alle FS di ammodernare la flotta di motrici più vecchie. Per la Metropolitana di Roma (1955), il TIBB fu capo commessa per la fornitura di 18 elettromotrici, seguite poi da altre 22, per il collegamento da Roma Termini alla Laurentina all’Esposizione (10 chilometri). Nel 1957 si aggiunse il collegamento Magliana-Lido. Per la complessa e ramificata rete di trasporti ATM del territorio milanese, il TIBB sviluppò motrici bitensione a 600 V sotto la rete urbana e a 1.200 V fuori città. La linea 1 della Metropolitana Milanese entrò in servizio nel 1964, ma nel 1961 il TIBB era già impegnato a partecipare, in consorzio con altre aziende milanesi, alla costruzione di 60 elettromotrici, fornendo carrelli, motori di trazione, gruppi convertitori di tensione, prese a 750 V, freni e altro materiale. Inoltre il TIBB operò come capo commessa di quattro delle otto sottostazioni di conversione (Loreto, Duomo, Pagano e Lotto). Attiva anche nel campo delle funivie, l’azienda nel 1957 fornì l’equipaggiamento elettrico della funivia della Paganella, che collega Lavis con la cima del monte, 1.900 metri più in alto. Macchine ed equipaggiamenti furono forniti dal TIBB negli anni ‘60 anche a Madonna di Campiglio e nella zona del Monte Rosa (Macugnaga). Il TIBB si distinse inoltre nella fornitura di speciali locomotori per miniera. Il Tecnomasio degli anni ‘50 godeva di una forte e diffusa considerazione non solo per le sue produzioni d’avanguardia, ma anche per il favorevole clima aziendale ormai consolidato. Una testimonianza si trova nel Nuovo Notiziario Aziendale TIBB del 1956, nel quale vengono celebrati senso del dovere, collaborazione, propensione alla risoluzione dei problemi e immagine aziendale. Le colonie di Lanzo, Bordighera e Sanremo per i figli dei dipendenti testimoniano l’impegno sociale del TIBB. 259


IL “MIO” TECNOMASIO Altre vicende del Tecnomasio (1950-1980) La passione per l’alpinismo, allora forte e diffusa, venne sostenuta dalla costruzione del Rifugio “Elisabetta”, a 2.300 metri di altezza in Val Veny, in Val d’Aosta. Fatto costruire dall’allora amministratore delegato Mario Giuseppe Soldini in memoria della moglie prematuramente scomparsa, nel 1913 venne donato al CAI Sottosezione Tecnomasio. Fu gestito per molti anni da Gianpaolo Affaticati e fu meta di celebrate gite dei dipendenti. La Scuola di fabbrica del TIBB fu sempre impegnata a diffondere, oltre all’addestramento pratico e tecnologico, anche educazione civica e relazioni umane. Il TIBB pubblicava negli anni ‘50 per i dipendenti la Rassegna Tecnica e Il Trasformatore. Dal dicembre 1956 si aggiunse il Notiziario Aziendale che, dal numero di ottobre 1957, dedicò due pagine ai figli dei dipendenti. Nel dicembre dello stesso anno questa parte divenne un inserto con il nome Il Tibbino. Il senso di attaccamento al lavoro e all’azienda era tramandato da padri a figli e nipoti, come nella famiglia Vannotti, con il padre Ernesto, il figlio Roberto e il nipote Leonardo, che sarebbe stato l’ultimo presidente del TIBB all’atto del suo ingresso in ABB.

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APPENDICE III

Il nucleare e i ruoli di TIBB e BBC

Un particolare capitolo riguarda la posizione della Brown Boveri, e in particolare del TIBB, nei confronti dell’energia nucleare e dei suoi sviluppi. L’inizio del programma nucleare in Italia risale agli anni ‘50 e le prime realizzazioni sono degli anni ‘60, con l’utilizzo di tre tecnologie per i reattori nucleari: BWR e PWR di matrice americana e Magnox di matrice inglese. Il primo a cimentarsi con la nuova forma di energia fu l’intraprendente Enrico Mattei dell’ENI attraverso l’AGIP Nucleare e la Società Italiana Meridionale per l’Energia Atomica (SIMEA), partecipata anche dall’IRI. SIMEA ultimò nel 1964 la centrale di Borgo Sabotino (Latina), in collaborazione con il gruppo inglese Nuclear Power Plant, fornitore di un reattore nucleare a grafite e uranio naturale del tipo GCR Magnox da 180 MWe. La centrale di Latina, che rappresentava l’esemplare allora più potente in Europa, fu quindi ceduta all’ENEL. Alcuni mesi dopo entrò in funzione la centrale del Garigliano, nel territorio di Sessa Aurunca, equipaggiata con un reattore ad acqua bollente (BWR) della General Electric (GE), in pratica della stessa potenza. La Società Elettronucleare Nazionale (SENN) che l’aveva costruita era partecipata da IRI-Finelettrica, Finmeccanica e Finsider. Anche questa centrale fu ceduta all’ENEL nel 1965. All’inizio del 1965 iniziò la produzione commerciale la centrale “Enrico Fermi” di Trino Vercellese, allora la più grande al mondo con 270 MWe di potenza erogati da un reattore Westinghouse ad acqua pressurizzata (PWR). Alla sua costruzione parteciparono varie società private e pubbliche, tra le quali IRI-Finelettrica, attraverso la Società Elettronucleare Italiana (SELNI) fondata nel 1955. L’inizio degli anni ‘70 vide l’avvio della costruzione, da parte dell’Ansaldo Meccanico Nucleare (AMN), della centrale di Caorso, equipaggiata da un reattore ad acqua bollente BWR della potenza di 860 MWe. Una interessante testimonianza relativa alla centrale di Caorso mi è stata fornita dall’ingegner Pietro Fossa, entrato dopo la laurea in AMN e attivo nel campo della quality assurance nucleare. I controlli dei singoli componenti erano strettissimi, e spesso si concludevano con il loro rifacimento fino a soddisfare ogni anche minima prescrizione della specifica. Fossa, sempre attivo nel campo della quality assurance, passò nel 1976 alla Marelli, per assumere nel 1979 la responsabilità della qualità per tutto il Gruppo. Una centrale nucleare è costituita per circa la metà dall’isola nucleare e per il resto dalla parte convenzionale. A sua volta, nell’isola nucleare il reattore conta per il 40 261


IL “MIO” TECNOMASIO Il nucleare e i ruoli di TIBB e BBC per cento, cioè rappresenta circa il 20 per cento del valore dell’intero impianto e va affidato ad aziende molto specializzate, mentre i sistemi ausiliari possono coinvolgere praticamente qualsiasi impresa del settore. Il mercato mondiale registrava un’assoluta prevalenza (99 per cento) di reattori ad acqua leggera contro i pochi ad acqua pesante o deuterio, con il tipo PWR prevalente sul BWR (rispettivamente 75% e 25%). Il maggior successo del PWR era anche dovuto al doppio circuito di scambio tra reattore e turbina, che impedisce all’acqua leggera pressurizzata di passare direttamente dal reattore alla turbina. L’acqua passa infatti attraverso uno scambiatore termico e nella turbina circola solo un elemento refrigerante non radioattivo. Se, come avvenuto per gli impianti termoelettrici, l’ENEL avesse voluto procedere ad una standardizzazione degli impianti, questa avrebbe potuto essere attuata solo per i reattori PWR. Un reattore del tipo PWR era stato sviluppato anche da Babcock&Wilcox: a differenza del reattore Westinghouse, che produceva vapore saturo, produceva vapore surriscaldato, con un guadagno di rendimento del 2 per cento. Nel 1975 fu formulato il Piano Energetico Nazionale (PEN), che prevedeva un forte sviluppo dell’energia nucleare, e si identificavano nuovi siti per altre centrali nucleari. Si erano nel frattempo costituiti vari raggruppamenti di imprese interessate a questi sviluppi, il primo dei quali era Ansaldo Meccanico Nucleare (AMN) di Finmeccanica, che proponeva centrali complete equipaggiate con reattori BWR di licenza GE. Altri raggruppamenti per la fornitura di isole o sistemi nucleari erano il Consorzio Elettronucleare Italiano, costituito dalle società FIAT, Tosi, Breda e Marelli; il consorzio SIGEN e la Società per Impianti Nucleari (SPIN) costituita da Belleli, CTIP, TIBB, SNIA Viscosa e Babcock&Wilcox. La SPIN, che comprendeva il Tecnomasio, era partecipata al 20 per cento da ciascuno dei cinque componenti ed era interessata alla fornitura di isole o sistemi nucleari del tipo PWR con reattori Babcock&Wilcox. Belleli avrebbe fornito componenti meccanici di base dell’isola nucleare, quali i generatori di vapore e i vessels. CTIP fungeva da architetto ingegnere, in collaborazione con l’americana Stone&Webster. TIBB era interessato alla fornitura dei sistemi elettrici e SNIA Viscosa alla progettazione e costruzione della parte meccanica fine presente nell’isola nucleare (per esempio, i meccanismi delle barre di controllo). Babcock&Wilcox, infine, forniva l’esperienza tecnologica per la realizzazione del sistema nucleare. La SPIN utilizzava una capacità italiana totale di circa 11.000 addetti, e sosteneva un documento redatto da Confindustria che raccomandava ai politici la più larga possibile partecipazione di imprese italiane al programma nucleare, con l’ENEL in posizione di imprenditore generale e di architetto ingegnere nonché curatore dei collegamenti tra le varie parti della centrale. Io non partecipai alle attività della SPIN: i miei colleghi Piazzi e Zancan si occupavano dell’analisi delle specifiche tecniche e delle riunioni consortili, con il diretto 262


coinvolgimento dello stesso ingegner Pellicanò, in quanto, dopo l’assegnazione della commessa di Caorso all’AMN–Finmeccanica, il nutrito programma nucleare raccoglieva tutti gli sforzi dei consorzi privati. Tra questi molto attivo era il Consorzio Elettronucleare Italiano: FIAT vi partecipava attraverso la divisione termomeccanica e una direzione per l’energia nucleare; membro del Consorzio era anche la Marelli, allora partecipata per il 51 per cento dalla famiglia Nocivelli e da FIAT e con il 49 per cento del capitale in Borsa, della quale Luigi Nocivelli era allora vice presidente e AD. Marelli, che utilizzava la licenza Westinghouse, negli anni ‘60 aveva fornito l’alternatore per la centrale di Trino, e aveva costituito una sezione di progettazione per impianti elettronucleari partecipando nel 1968 alla gara per la centrale di Caorso. Nel 1973, con le aziende del Consorzio Elettronucleare Italiano, era risultata vincitrice della gara per la quinta centrale nucleare dell’ENEL, alla quale fece seguito l’ordine per la settima centrale nucleare. Marelli era responsabile della progettazione e costruzione dei sistemi elettrici completi. Sulla base di queste ordinazioni, Marelli aveva fatto importanti investimenti di mezzi produttivi, dei quali i più significativi erano un grande capannone, un potente tornio e un machining center. La mancata approvazione dei siti in Molise di entrambe le centrali quinta e settima aveva bloccato le prospettive di lavoro e Marelli, oltre a chiedere l’immediata attuazione del Piano Nucleare, invocava che si superasse urgentemente la situazione di stallo delle centrali ordinate. Nuovi siti erano previsti in Piemonte o in Lombardia, ma essi, anche se approvati, avrebbero comportato tempi molto lunghi. Marelli, membro del GIE (Gruppo di Industrie Elettromeccaniche) per impianti all’estero, avrebbe cercato di colmare la prolungata carenza di carico, ma la situazione sarebbe stata molto sfidante e avrebbe contribuito negativamente ai futuri sviluppi della società. L’incidente alla centrale nucleare americana di Three Mile Island, avvenuto nel 1979, accrebbe la preoccupazione generale riguardo alla sicurezza degli impianti nucleari e determinò la revisione dei sistemi di sicurezza di Caorso. Nel 1982 si verificò il guasto della centrale del Garigliano che ne determinò lo spegnimento, ma a luglio iniziò comunque la costruzione da parte di Ansaldo Impianti della centrale nucleare di Montalto di Castro, con due reattori nucleari ad acqua bollente (BWR) da 982 MWe. Circa nello stesso periodo nacque il Progetto Unificato Nucleare (PUN), con previsione di una nuova centrale a Trino. Seguì quindi nel 1986 il disastro di Chernobyl, che ebbe un fortissimo impatto sull’opinione pubblica, in Italia in particolare. L’anno successivo furono lanciate tre consultazioni referendarie nazionali sull’elettronucleare e l’80 per cento dei votanti si espresse per l’abrogazione di varie condizioni favorevoli alla gestione dell’energia nucleare. 263


IL “MIO” TECNOMASIO Il nucleare e i ruoli di TIBB e BBC Negli anni 1988–1990 i governi Goria, De Mita e Andreotti terminarono l’esperienza nucleare italiana con l’abbandono del Progetto Unificato Nucleare e la chiusura delle tre centrali ancora funzionanti di Latina, Trino e Caorso, le prime due delle quali erano già praticamente giunte alla fine della loro prevista esistenza. La costruzione della centrale nucleare di Montalto di Castro fu interrotta e se ne decise la riconversione in impianto a policombustibile. Il sito inizialmente previsto per la seconda centrale nucleare di Trino fu destinato a un impianto a ciclo combinato. Dal 1999 tutti i siti delle centrali sono posseduti e gestiti da SOGIN che si occupa del loro smantellamento. Diverse furono le vicende in Svizzera, dove la Brown Boveri fu praticamente interessata alla fornitura di turbogruppi e di equipaggiamenti elettrici per varie centrali nucleari: Beznau della NOK (reattore PWR della Westinghouse da 350 MW di potenza), Mühleberg della BKW di Berna (reattore BWR della GE e due turbogruppi BBC ciascuno da 163 MW), Gösgen della KKG, la prima centrale nucleare da 1.000 MW in Svizzera (reattore PWR costruito dalla KWU tedesca) e Leibstadt della KKL (reattore BWR da 1.165 MW e parte elettrica fornita da BBC). Fin dalla prima metà degli anni ‘50, Brown Boveri aveva tuttavia creato un gruppo per lo sviluppo di un proprio reattore nucleare: la scelta era praticamente obbligata, in quanto Siemens e AEG erano già legati ai costruttori americani Westinghouse e GE. Come base per lo sviluppo venne scelto il reattore a sfere di Rudolf Schulten, matematico e fisico di Bonn, con una tesi di dottorato discussa addirittura con il famoso fisico atomico Werner Heisenberg. Il reattore, denominato HTR, Hochtemperatur Reaktor (reattore ad alta temperatura), funzionava con sfere anziché con barre. In principio era simile ai reattori BWR e PWR: il calore prodotto dalla fissione dei nuclei di atomi viene mantenuto attraverso neutroni rallentati. Diversamente dagli altri due reattori, però, al posto dell’acqua era usata la grafite come moderatore e il gas elio come mezzo refrigerante e trasportatore del calore. Nel reattore HTR il nocciolo si compone di sfere delle dimensioni all’incirca di una palla da tennis. Le sfere sono costituite da grafite, nella quale il combustibile uranio è inglobato sotto forma di numerose particelle a vari strati, di diametro inferiore al millimetro. La stratificazione serve al contenimento dei prodotti radioattivi, mentre la grafite frena i neutroni. Questi ultimi, rallentati, collidono con molti altri nuclei atomici, producendo una reazione a catena. Il punto chiave del reattore è che gli elementi a sfere vengono introdotti dall’alto nel reattore in modo continuo, passano attraverso di esso e per gravità fuoriescono dal basso. Ciò elimina la fermata del reattore per il rifornimento di combustibile e aumenta la disponibilità dell’impianto. L’elio gassoso, attraversando il letto di sfere, si riscalda fino a 950 °C per l’azionamento del turbogruppo. Brown Boveri e Krupp fondarono una società per lo sviluppo del reattore HTR e la società Jülich per la ricerca nucleare. Queste società elaborarono tra il 1963 e il 1967 i piani per il progetto a Jülich di un reattore di prova HTR da 15 MW, la cosiddetta 264


“caldaietta nucleare”, che iniziò a fornire energia nel 1967. Solo molti anni dopo, alla fine del 1985, BBC pose in sevizio a Schmehause/Hamm-Uentrop (Westfalia) un reattore HTR da 300 MW, che serviva da prototipo per un’auspicata filiera di impianti della potenza tra 100 MW e valori massimi di oltre 1.200 MW: il reattore HTR era considerato un possibile concorrente degli americani BWR e PWR. Il concetto strategico alla base di un nucleare di piccola e media potenza era il principio della generazione distribuita dell’energia elettrica: in luogo di potenti centrali nucleari, dalle quali l’energia prodotta avrebbe dovuto essere trasportata ai lontani utilizzatori per mezzo di lunghe e costose linee elettriche, si sarebbero costruite “piccole centrali” nucleari negli stessi siti di utilizzazione (concetto che è stato più tardi adottato su vasta scala con le energie rinnovabili). Tuttavia il nucleare avrebbe dovuto essere “intrinsecamente sicuro”. In quegli anni la sicurezza dei reattori era messa in discussione ipotizzando la possibile fusione del nocciolo, anche a seguito di un famoso film del 1979, Sindrome cinese, nel quale si prospettava un grave incidente nucleare. I costruttori di reattori reagirono per dimostrare la sicurezza dei loro prodotti. Poco dopo l’uscita del film si tenne a Roma un convegno sul tema, con la partecipazione degli americani per i reattori BWR e PWR, dell’ASEA, allora in concorrenza con BBC, e della Brown Boveri di Mannheim per il reattore HTR. Ricordo che gli americani prospettavano solo alcuni miglioramenti dei loro reattori, considerati già praticamente a prova di fusione del nocciolo, mentre ASEA suggeriva di costruire il reattore all’interno di un grande cilindro di contenimento. In caso di guasto del reattore, il cilindro si sarebbe riempito di una soluzione di acqua e boro, capace di “spegnere” il reattore. Non credo di essere parziale se sostengo che i più convincenti in quel convegno furono i colleghi tedeschi: essi sostennero che gli strati esterni di copertura delle particelle di uranio erano di materiali in grado di resistere alla massima temperatura raggiungibile dal nocciolo in caso di mancanza di raffreddamento. L’esperienza del reattore HTR ebbe anche un’interessante risonanza in Italia: poco dopo la messa in servizio del reattore da 300 MW di Schmehausen in Germania, ricevemmo dalla FIAT la richiesta di poter visitare la centrale. La FIAT, interessata a diversificazioni in campi promettenti per il suo futuro, aveva creato una Divisione componenti che sviluppava questi interessi. Accompagnai pertanto due ingegneri della FIAT a Mannheim, dove fummo ricevuti dagli specialisti del reattore HTR. Essi ci accompagnarono quindi in Westfalia per la visita al reattore, che era in funzione. L’illustrazione e i positivi commenti ricevuti da parte degli utilizzatori circa il funzionamento della centrale furono ben recepiti dagli ingegneri della FIAT. Gli sviluppi dell’energia nucleare in Italia spinsero il TIBB a partecipare, come ho già detto, alla promettente competizione attraverso la creazione di una società ad hoc, la SPIN. Tuttavia le consultazioni e le decisioni dei Governi successivi furono decisive per il blocco del nucleare in Italia. 265


IL “MIO” TECNOMASIO

APPENDICE IV

Nascita e sviluppi del GIE

A partire dagli anni del dopoguerra e per circa un quarantennio, l’impiantistica italiana visse un periodo di grande sviluppo e di successi sia sul mercato domestico sia all’estero. Iniziali spinte pionieristiche produssero efficienti organizzazioni, società di ingegneria impiantistica attive come main contractor e spesso anche come produttrici di componenti, molte delle quali tuttora dominanti. Tra di esse, nell’impiantistica elettromeccanica, un posto di rilievo è stato occupato dal GIE, Gruppo di Industrie Elettro Meccaniche per Impianti all’Estero GIE SpA, concepito e creato da Luigi de Januario, cui è stato dedicato di recente un interessante volume (8). Allievo dell’Accademia Navale di Livorno e in servizio su varie navi durante la guerra, si laureò nel 1947 all’Università di Roma con un relatore di eccezione, Pestarini, l’inventore della metadinamo. Nel 1947 entrò al Tecnomasio prima in Sala prove e poi all’ufficio tecnico. Passò poi alla Sadelmi, che apparteneva alla SADE, costituita in Argentina dal padre del suo ex compagno di Accademia, Franco Mattioli. In Sadelmi ricopri responsabilità tecniche e di direzione. Le principali aziende elettromeccaniche italiane di allora esportavano solo componenti, non disponendo di mezzi industriali e finanziari per la realizzazione di impianti completi. Erano indipendenti, legate ciascuna alle proprie strategie e incapaci di una visione globale. Luigi de Januario intendeva dare forma giuridica permanente a un organismo capace di integrare la produzione delle primarie aziende elettromeccaniche italiane per la realizzazione all’estero di impianti completi. Il risultato degli sforzi suoi e del suo amico e coetaneo Giorgio Orsi della Sadelmi fu la creazione, il 5 ottobre 1953, del GIE. Azionisti iniziali furono la C.G.E Compagnia Generale di Elettricità, la Costruzioni Meccaniche Riva e la Ercole Marelli, tutte e tre di Milano, la Franco Tosi di Legnano, la Magrini di Bergamo, le Officine Elettromeccaniche Galileo di Battaglia Terme e la Sociedad Argentina de Electrificaciòn Limitada Sadelmi, anch’essa di Milano. Alla presidenza fu nominato un personaggio di assoluto prestigio, il senatore Guido Corbellini, ministro dei trasporti e ricostruttore delle Ferrovie dello Stato dopo le distruzioni della guerra; de Januario e Orsi riuscirono anche a convincere il figlio, Francesco Corbellini, allora alla Brown Boveri di Baden, ad assumere il ruolo di direttore commerciale della nuova società. 266


Da allora il GIE iniziò a registrare significativi risultati nei mercati d’Europa, Centro e Sud America, Africa, Medio ed Estremo Oriente, con l’acquisizione di commesse ripartite tra impianti idroelettrici, termoelettrici e sottostazioni elettriche. Nel 1968 entrò nel GIE l’Ansaldo Meccanico Nucleare (AMN), con capacità sperimentate negli impianti termoelettrici e nucleari, di importanza per futuri sviluppi, e produttrice di componenti. GIE e AMN prospettavano una collaborazione per l’isola convenzionale di impianti nucleari all’estero, con il GIE leader del consorzio per impianti con reattori PWR, di tecnica Westinghouse, e AMN per tutti gli altri tipi di reattori, BWR di tecnica GE e reattori ad acqua pesante HWR, denominati Candu, di tecnologia canadese. I rapporti tra Ansaldo e i privati del GIE non erano facili, per la necessità di conciliare opposte tendenze: la mano pubblica di Ansaldo e la radice di “promotore di accordi tra privati”, con cui era stato appunto creato il GIE. Parte attiva nel GIE ebbero anche le società ASGEN e COEMSA. Quest’ultima era una fabbrica di trasformatori e altri componenti elettromeccanici costituita a Canoas, nella periferia industriale di Porto Alegre in Brasile. Nel 1972 entrò in GIE l’Italtrafo, stabilimento di Napoli, società nella quale Finmeccanica aveva concentrato l’intera produzione di trasformatori, ASGEN inclusa. Gli anni che seguirono videro molte vicende relative alle società presenti nel GIE, che riporto a testimonianza della complessità della situazione industriale italiana: 1973. Fusione tra Magrini e Galileo nella Magrini Galileo; 1974. Passaggio del Gruppo Ercole Marelli alla famiglia Nocivelli e nuova denominazione Ercole Marelli EMG (Marelli Elettromeccanica Generale); 1974. Trasferimento della Ercole Marelli nella IEL; 1975. Entrata in GIE della Breda Elettromeccanica, subentrata alla AMN, che cessa l’attività manifatturiera. La crisi della Marelli alla fine degli anni ’70 si ripercosse sul GIE per le commesse in corso della stessa Marelli e della IEL. Un piano finanziario dei soci privati per salvare il Gruppo non trovò applicazione; nel 1981 la famiglia Nocivelli uscì e le società del Gruppo furono ammesse alla procedura di amministrazione straordinaria, a norma legge Prodi, promulgata proprio per soccorrere industrie in crisi, risparmiandole dal fallimento. Si mise quindi in atto un tentativo di salvataggio mediante prosecuzione dell’attività produttiva (congelamento dei debiti e blocco di eventuali azioni esecutive di fornitori). Amministratore straordinario era Renato de Leonardis, un tempo manager Ansaldo, persona di alto livello, che salvò dal naufragio il Gruppo Marelli e portò a compimento gli ordini GIE. Nel 1979 Corbellini, dopo 25 anni di permanenza al GIE, lo lasciò per assumere la 267


IL “MIO” TECNOMASIO Nascita e sviluppi del GIE presidenza dell’ENEL. Nel 1982 Finmeccanica (Franco Viezzoli), Ansaldo (Daniele Milvio) e Tosi (Giampiero Pesenti) lanciarono un progetto di razionalizzazione dell’Industria Elettromeccanica Italiana, con Ansaldo leader del settore, GIE incluso. Il GIE proseguì ancora con successo, ma lentamente perdette la sua identità, trasformandosi da una realtà fatta di imprenditori/pionieri a una di funzionari. In questi anni si registrò anche il dissesto della Magrini Galileo e il rafforzamento della preminenza Ansaldo. Nel 1985 presidente del GIE era Luigi de Januario, con due vice presidenti: Gio Batta Clavarino dell’Ansaldo e Gaetano Cortesi della Tosi. Amministratore delegato era Bruno Musso, dell’Ansaldo. La partecipazione azionaria era la seguente: Ansaldo 50 per cento, Gruppo Tosi 33,33 per cento, Riva Calzoni 16,67 per cento. Dopo 32 anni di vita, a valore 1985 l’ammontare degli ordini era di circa 16 mila miliardi di lire, e l’indice di competitività superiore al 25 per cento. In MW, i valori totali erano di 23.550 MW, dei quali 12.000 in centrali idrauliche, 11.500 in centrali termiche e 350 in sottostazioni. Nel luglio 1989 il GIE assunse la denominazione Ansaldo GIE e, per la prima volta nella sua storia, registrò una partecipazione azionaria di ABB, nel frattempo costituita, del 5 per cento. Si realizzava così, grazie a mutati scenari industriali, una presenza in GIE che era stata preclusa al TIBB e che si sarebbe rafforzata, salendo al 38 per cento nel 1990, grazie all’acquisizione della Tosi da parte del gruppo ABB. Tutto questo tuttavia fa parte della storia di ABB, che esula dalla nostra, strettamente limitata al TIBB. L’insistenza con la quale mi sono permesso di illustrare la vicenda GIE, se pur priva della presenza TIBB, è legata a un importante progetto per la conquista del quale ci trovammo direttamente confrontati con il GIE stesso. A metà degli anni ’80, la Repubblica Popolare Cinese stava perseguendo il progetto della Centrale idroelettrica di Pan Jia Kou, le cui caratteristiche erano a dir poco peculiari. I geologi avevano previsto un salto molto variabile durante l’anno, al punto che gli alternatori avrebbero dovuto essere costruiti per due diverse velocità. Inoltre era anche richiesta l’installazione di un potente convertitore statico di frequenza per dominare l’ultima parte residua del salto e per scopi di avviamento. Il GIE era in contatto con il cliente, ma, non trovando sul mercato, neppure in America presso la General Electric, un costruttore di convertitore statico di frequenza della potenza richiesta di 60 MW, per quei tempi eccezionale, si rivolse a noi perché interpellassimo la BBC di Baden Turgi, già allora rinomata costruttrice di SFC di grande potenza. Con tutta probabilità era la prima volta che il GIE era costretto a rivolgersi a un concorrente per motivi tecnologici. Noi avevamo esperienza di SFC della potenza di 268


10-12 MW per l’alimentazione di motori di comandi industriali e di centrale. Tuttavia Baden si dichiarò pronta ad accettare la sfida su una potenza così elevata. Al primo contatto, venimmo a sapere che il GIE prevedeva due alternatori separati per le due diverse velocità: io ero invece a conoscenza della capacità di Baden di costruire una sola macchina capace di funzionare con due diverse velocità. Si trattava di progettare i poli rotorici e gli avvolgimenti statorici con adeguate connessioni che, al verificarsi del nuovo valore di salto dell’invaso, venivano attivate e adeguavano la macchina alla nuova velocità della turbina. Siccome i geologi prevedevano una parte finale della variazione di salto non ancora dominata, l’SFC avrebbe provveduto al ristabilimento della frequenza. I colloqui con i tecnici del GIE evidenziarono la carenza della soluzione da essi prevista, sia per le macchine sia per il convertitore, a fronte della nostra, tecnologicamente avanzata. La nostra offerta al cliente fu convincente e ricevemmo l’ordine di tre macchine da 98 MVA, 13,8 kV, 42/48 poli, 143/125 giri/minuto. La gestione di una simile complicata commessa mi spinse a rinforzare la squadra; Leo Vannotti mi fece chiaramente capire che le nostre provate capacità di macchinisti avrebbero coperto solo una parte del lavoro di quello che si presentava a tutti gli effetti come un impianto. Alle ottime capacità di Borsaro aggiunsi allora rapidamente quelle di due nuovi validi ingegneri: Tomatis, torinese, mio compagno di Politecnico ed ex ingegnere dell’ENEL, e Cascarano, già in TIBB e allora in Elettroconsult. Borsaro nel 1985 aveva assunto la responsabilità della fabbrica e nel 1986 quella della Linea macchine, che comprendeva ingegneria, fabbrica, Sala prove macchine, inclusa alta tensione, manutenzione, layout, investimenti e pianificazione. Le vendite, con Leva all’export e Boggiali al mercato italiano, erano ormai a livello divisionale. Borsaro era da tutti considerato mio successore: le sue spiccate qualità personali e di gestore erano molto convincenti e lo lanciavano verso sempre più elevate posizioni di responsabilità. Nel 1987 divenne capo anche della Linea apparecchi, con Leva e Boggiali alle vendite e l’ingegner Ripamonti ai montaggi esterni e alle messe in servizio.

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IL “MIO” TECNOMASIO

Note

1) F. Cattari, Il posto fisso, pubblicato dall’autore (2014). 2) Ricordo qui di seguito alcuni dei principali progetti del periodo:

pp 1923. Centrale di Mese: due alternatori da 35.000 CV; pp Trasformatori trifasi con tensione di 150 kV; pp 1925. Centrale di Galleto, della Terni, con macchine da 50.000 CV; pp Centrale di Cardano, con macchine da 36 MVA a 300 giri/minuto, con una ruota polare del peso di 130 tonnellate;

pp 1935. Edison Milano, centrale di Goglio: 1 alternatore orizzontale da 20 MVA, 8 kV, 504 giri/minuto, 42 Hz (poi passato a 600 giri/minuto, 50 Hz);

pp 1936. Società Lombarda (Milano): centrale Vizzola, 3 alternatori verticali da 14,5 MVA, 11 kV, 187,5 giri/minuto, 50 Hz;

pp 1937. SADE: centrale Cencenighe, 2 alternatori verticali da 15 MVA, 10 kV, 630 giri/minuto, 42 Hz;

pp 1938. Montecatini: centrale Bressanone, 2 alternatori verticali da 18,75 MVA, 10 kV, 420 giri/minuto, 42 Hz;

pp 1938. Ferrovie dello Stato: centrale di Riccione; pp 1939. Centrale di Cittaducale, della Terni: un alternatore da 30 MVA. 3) Fra queste vanno almeno ricordate:

pp 1951. Public Power Corporation, Atene: centrale di Agra, due alternatori verticali; pp 1951. Dalmine: centrale di Dalmine, un turbo; pp 1951. Società Idroelettrica Alto Liri, Cassino 1°; pp 1952. Dalmine: centrale Dalmine, un turbo, prima del mio arrivo in ufficio tecnico. Dopo il mio arrivo, anche con il mio contributo:

pp 1952. SADE: centrale Gardona; pp CFE (Messico): centrale Tingambato, tre alternatori verticali da 57,5 MVA; pp 1952. NEBB (Oslo): centrale Vinstra; pp 1952. Compania Brasileira de Aluminio: Juquia Guassù; pp 1952. AEM (Milano): compensatore sincrono; pp 1952. Società Avisio, Trento: centrale S. Floriano, tre alternatori orizzontali da 64 MVA. 270


Seguiti negli anni a venire da altri di pari importanza. 4) Silvio Barigozzi presentò la memoria Avvolgimenti statorici trifasi con numero di cave per polo e fase frazionario. Il nostro cliente ingegner Franco Castelli, ex direttore di Edisonvolta e poi direttore centrale delle Costruzioni Termiche e Nucleari dell’ENEL, presentò la memoria Considerazioni generali sulle caratteristiche dei nuovi alternatori da 370 MVA dell’ENEL, i prototipi dei quali erano state le macchine TIBB di Piacenza Levante. Gli ingegneri Ferrari e Pavesi, rispettivamente del Centro Ricerche di Automazione e Centro Progettazione di Centrali Termiche dell’ENEL, pubblicarono la memoria Considerazioni sull’eccitazione statica delle macchine sincrone, con particolare riguardo ai grandi turboalternatori. L’ASGEN fu presente con varie memorie: Metodi di avviamento dei gruppi idroelettrici di generazione e pompaggio, dell’ingegner Orlando Panarese; Note sui progressi nella costruzione dei turboalternatori, di W. J. Gilson della General Electric di Schenectady (USA) e del professor ingegner Francesco Scillieri, ASGEN; Gli avvolgimenti statorici dei turboalternatori con raffreddamento diretto: criteri generali di progetto, calcolo delle perdite addizionali in cava, del professor ingegner Gianfranco Odaglia e dell’ingegner Renato Pagano. 5) Qui di seguito, per curiosità e per un giudizio sulla possibile attuale pertinenza dei temi allora in voga, mi permetto un elenco delle traduzioni che ancora conservo:

pp Regole per i capi, estratto da Production, agosto 1974, pagg. 21-23; pp Che cosa conta di più nel motivare le forze di vendita?, di S. E. Doyle e B. P. Shapiro, HBR maggio-giugno 1980, pagg. 133-140. Traduzione del 29/08/1980;

pp Miopia del Marketing, di Theodore Levitt, (1960), HBR settembre-ottobre 1975, ristampato e ricommentato nel 1981. Traduzione del 29/06/1981;

pp La direzione per efficacia del business, di Peter Drucker, HBR maggio-giugno 1963. Traduzione del 13/07/1981;

pp Come scegliere la strada del comando. Un capo deve essere democratico o autocratico o qualcosa di intermedio?, di Robert Tannenbaum e Warren H. Schmidt, HBR marzo-aprile 1958, ripubblicato su HBR maggio-giugno 1973, con commento retrospettivo a distanza di 15 anni. Traduzione dell’8/08/1981;

pp Come si motivano i dipendenti?, di Frederick Herzberg, HBR gennaio-febbraio 1968. Traduzione del 12/08/1981;

pp Il mito del manager ben preparato dalla scuola. Nessuna relazione diretta tra le prestazioni scolastiche o i programmi formativi e il successo gestionale, di J. Sterling Livingston, HBR gennaio-febbraio 1971. Traduzione del 12/08/1981; 271


IL “MIO” TECNOMASIO Note pp Capacità di un efficace amministratore (dirigente), di Robert L. Katz, HBR gennaio-febbraio 1974. Traduzione del 17/08/1981;

pp La rivincita della Qualità, di Frank S. Leonard e W. Earl Sasser, HBR settembre-ottobre 1982, pagg. 163-171. Traduzione del 7/01/1983;

pp Qualità significa molto più che fare un buon prodotto, di Hirotaka Takeuchi e John A. Quelch, HBR luglio-agosto 1983, n° 4, pagg. 139-145. Traduzione del 20/08/1983;

pp Tre punti essenziali nella qualità di prodotto, di Jack Reddy e Abe Berger, HBR luglio-agosto 1983, pagg. 153-159. Traduzione del 23/08/1983;

pp I buoni managers non prendono decisioni di politica aziendale. Essi, piuttosto, indicano la direzione, e sono maestri nello sviluppare opportunità, di H. Edward Wrapp, HBR. luglio-agosto 1984, pagg. 8-21. Traduzione del 18/08/1984;

pp Profittabilità = Produttività + Recupero prezzi, di David M. Miller, HBR maggio-giugno 1984, pagg. 145-153. Traduzione del 20/08/1984;

pp Il contributo individuale, dal libro The Effective Executive, di Peter Drucker, pagg. 52-70. Traduzione del 19/02/1986. 6) W. Catrina, BBC - Glanz, Krise, Fusion. 1891-1991 von Brown Boveri zu ABB, Orell Füssli, Zurich 1991. 7) S. Ghittoni, Tecnomasio Italiano: quando l’Isola era all’avanguardia. La storica fabbrica di Via De Castillia nel ricordo dei manager TIBB, in Zona Nove, anno 17 n. 175, aprile 2010, p. 14. 8) F. Corbellini, M. Rivino, GIE. Competizione e successo nella storia dell’industria elettromeccanica italiana, Sestante Edizioni, Bergamo 2007 (disponibile integralmente on line sul sito http://animp.it/prodotti_editoriali/).

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Carletto Calcia, di origini piemontesi, dopo gli studi classici e la laurea nel 1950 in Ingegneria elettrotecnica al Politecnico di Torino, ha iniziato una lunga vita di lavoro al Tecnomasio Italiano Brown Boveri, assumendo responsabilità tecniche nel settore del grande macchinario elettrico rotante. Dopo un soggiorno presso la Brown Boveri di Baden in Svizzera, è rientrato in Italia per ricoprire incarichi gestionali fino alla responsabilità della divisione Energia della Brown Boveri in Italia e, in seguito alla nascita dell’Asea Brown Boveri (ABB), alla carica di amministratore delegato e direttore generale della ABB Adda di Lodi. Le sue attività lo hanno portato a visitare molti Paesi in Europa, Americhe, Asia e Oceania. È stato membro dei Consigli di Amministrazione di varie società del gruppo ABB in Italia e collabora tuttora con varie istituzioni italiane e con alcune prestigiose riviste di management americane.

L’aggettivo “mio” non deve trarre in inganno. Questa è sicuramente una storia personale: attraverso un’accattivante prosa, l’autore ci racconta come nell’arco di vari decenni il Tecnomasio – una delle più prestigiose realtà dell’industria elettromeccanica italiana del Novecento – gli abbia offerto l’opportunità di una fortunata carriera. Eppure, Il “mio” Tecnomasio è ancor prima una storia corale, arricchita dalle voci e dalle testimonianze di moltissimi colleghi e amici dell’autore, che con lui hanno condiviso impegni, sfide, momenti di svago, successi e anche, talvolta, delusioni. In queste pagine si sente pulsare la vita della grande industria, protagonista del boom economico italiano cui contribuì in modo determinante potenziando le infrastrutture elettriche del Paese. Anni di primati applicativi e tecnologici del saper fare italiano, e di importanti risultati conseguiti sui mercati di tutto il mondo. Anni di accanita competizione e di profondi cambiamenti. Questo lavoro riesce a essere qualcosa in più di una semplice memoria storica, di una narrazione aneddotica, di un trattato di management, o di un’autobiografia. È un dosato mix di tutte queste anime. Un vademecum di saggezza con il pregio di declinare l’aggettivo “mio” in “nostro”.

ISBN 978-88-907527-9-7

9 788890 752797


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