Ditemelo prima! tutto quello che ti servirebbe sapere in gravidanza per affrontare meglio il dopo

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Ditemelo prima!



Marta Vismara

Ditemelo prima! Tutto quello che ti servirebbe sapere in gravidanza per affrontare meglio il dopo

Copertina: Amritagraphic


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ai nostri lettori

I libri che pubblichiamo sono il nostro contributo ad un mondo che sta emergendo, basato sulla cooperazione piuttosto che sulla competitività, sull’affermazione dello spirito umano piuttosto che sul dubbio del proprio valore, e sulla certezza che esiste una connessione fra tutti gli individui. Il nostro fine è di toccare quante più vite è possibile con un messaggio di speranza in un mondo migliore. Dietro a questi libri ci sono ore ed ore di lavoro, di ricerca, di cure: dalla scelta di cosa pubblicare – operata dai comitati di lettura – alla traduzione meticolosa, alle ricerche spesso lunghe e coinvolgenti della redazione. Desideriamo che i lettori ne siano consapevoli, perché possano assaporare, oltre al contenuto del libro, anche l’amore e la dedizione offerti per la sua realizzazione. Gli editori



indice

Prefazione .............................................................................. Premessa ............................................................................... Parte I Cap. 1 Cap. 2 Cap. 3

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La mia storia ......................................................... La “dolce” attesa… più o meno ............................ … e poi arrivò Alice! ............................................ Rientro a casa: inizia l’avventura .......................... L’allattamento ........................................................ Il senso di inadeguatezza ...................................... …Quando essere l’appendice di un albero fa la differenza! ................................................ Visite… con il disco orario! .................................. La crisi, la depressione post parto ........................ L’amore della mamma… un sentimento ritrovato ............................................................. La “dolce attesa”… di nuovo! ................................. Terapia di coppia… per marito! ............................ La psicologa .......................................................... Problemi e soluzioni! ............................................ La rivelazione… .................................................... … E poi arrivò Matteo! ......................................... Il rientro a casa: l’inizio di una nuova avventura .... Consigli e pillole di saggezza… più o meno! ....... Vademecum ..........................................................

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Parte II Storie di donne ...................................................... Premessa ............................................................................... Cap. 1 Due teste, un cuore e qualche pancia .................... Cap. 2 Mamma si diventa .................................................

79 81 83 91

Cap. 4 Cap. 5 Cap. 6

Cap. 7 Cap. 8 Cap. 9

38 39 43 47 51 57 58 59 61 65 71 75 77


VIII

Cap. Cap. Cap. Cap. Cap. Cap. Cap. Cap. Cap. Cap.

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Una mamma per le altre mamme .......................... Essere una bi-mamma ........................................... Io amo allattare! .................................................... Rinascere mamma ................................................ I momenti di svolta ............................................... In una notte magica (e stellata) ............................. L’istinto non sbaglia .............................................. Una storia fortunata .............................................. 7 novembre 2016 ................................................... La tua storia ..........................................................

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Appendice: Spunti e riflessioni ............................................. Possiamo parlare di depressione post partum? ................................................. La terapia psicologica serve? ............................. Il “mantra”di Marta ........................................... Bibliografia ........................................................................... Numeri utili ........................................................................... L’autrice ................................................................................. Ringraziamenti .....................................................................

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prefazione

Il racconto di Marta sul suo vissuto di maternità si snoda tra l’esperienza della nascita di Alice e la nascita di Matteo. Un percorso dall’inizio accidentato e doloroso, durante il quale questa giovane donna catapultata nel nuovo mondo della maternità sbatte come un uccello contro pareti di vetro, si fa male, cade, si rialza, cade di nuovo, rumina i pensieri, si ostina a cercare la strada giusta per lei. In un imprecisato momento si mette a scrivere la sua storia. La ripercorre, la viviseziona, la mette in ordine, riflette, ne trae insegnamento, ci fa pace, ci scherza su. Rivisitando il suo il dolore e la sua sofferenza, ne prende le distanze e al tempo stesso li fa completamente suoi, non sta più lì a subirli. Utilizza la scrittura per ricucire insieme i pezzi e ci riesce magnificamente. Ricordo un gioco piuttosto in voga un tempo. Immaginiamo una stanza con un adulto o anche più e un bambino. Si cominciava con: «Tonino, Tonino, dove sei? Ma dov’è andato Tonino?» e Tonino rideva e diceva: «Sono qui!» ma poi cominciava a impaurirsi, a gridare: «Non mi vedi? Sono qui!». A volte il gioco si chiudeva prima di sfociare nel dramma, con un «Ah, eccoti, Tonino! Non ti vedevo!», ma altre volte si perdeva di vista la capacità di sopportazione del bambino e il gioco crudele continuava finché questo scoppiava in lacrime. Allora lo si consolava, magari canzonandolo un po’. Mi è tornato in mente questo gioco leggendo il racconto di Marta, perché la sua invisibilità è forse il tema più forte e doloroso. Ed è un vissuto che molto, molto spesso le neomamme che accogliamo al Melograno riportano nei loro racconti, a cominciare dall’ingresso in sala parto per finire con i primi mesi del piccolo. Raccontano di un universo a parte, come se


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fossero uscite dalla collettività, esiliate, parlanti una lingua che gli altri improvvisamente non capiscono più. Sono invisibili. Marta si è rivolta a diverse figure sanitarie più e più volte nelle prime settimane di vita di Alice, quando l’allattamento le dava molti problemi. Sinceramente stupisce che abbia incontrato solo del personale che non l’ha invitata a passare direttamente al latte formulato, perché in genere ci troviamo a combattere con personaggi dal biberon facile anziché il contrario, come se l’allattamento materno impedisse ai bambini di crescere sani e felici e alle madri di nutrire al meglio il loro bambino. Come se fosse un problema anziché una risorsa. Tuttavia possiamo ben dire che ha incontrato del personale incapace di ascolto. Se avesse smesso di allattare e fosse passata al biberon, come lei a un certo punto avrebbe voluto, tutto si sarebbe risolto? Non so dirlo e comunque non spetta a me farlo, ma posso dire che il suo dolore è stato sottovalutato: ogni volta è stata rimandata a casa con una piccola soluzione momentanea, lasciata sola. Le è mancato un ambiente in cui srotolarsi, espandersi, curare le ferite, comprendere i suoi bisogni profondi e poter scegliere in completa libertà. Marta a un certo punto definisce il suo stato “depressione post-parto”. Personalmente trovo che oggi questa definizione sia usata con troppa disinvoltura, a meno che non vogliamo pensare che fare un figlio porti un numero davvero molto consistente di donne a uno stato patologico. Parlerei piuttosto di profonda solitudine del vissuto interiore che tante madri sperimentano, di mancanza di un contesto collettivo in cui condividere gli stati d’animo, la beatitudine e le difficoltà, in cui confrontarsi e in cui affinare gli strumenti per costruire il proprio sapere. No, non è una novità del mondo moderno. Ogni epoca ha avuto i suoi silenzi, e quello delle donne ha attraversato molti secoli. Non si diventa madri semplicemente perché prima si è gravide e poi si partorisce, è una trasformazione, una maturazione del corpo e della mente, senza fiocchetti rosa e coniglietti di peluche. È un processo estremamente vitale, fatto di gioia, turbamenti, commozione, dolore, paura, smarrimenti, estasi. E la relazione con il neonato è intensa, inaspettata, carnale, e non concede tregua. Non si arriva mai preparate, specie in una


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società in cui la vista dei neonati non fa parte della normale quotidianità della maggior parte delle persone. Prendiamoci cura delle neomamme che devono prendersi cura di un neonato, prendiamoci cura del loro corpo, impariamo ad ascoltarle, accogliamo le loro parole anche quando ci disturbano, entriamo in relazione, ridiamo insieme a loro. Chi ci è passata provi a ricordare quanta fatica fisica comporta, provi a ricordare quanta capacità di abbandono a una trasformazione più grande del previsto è richiesta. Provi a ricordare l’improvvisa vulnerabilità del corpo, i turbamenti, la lacrima facile, il piacere di sentirsi coccolata ma non sovrastata. Costruiamo una collettività capace di accogliere le emozioni, empatica e non giudicante. Non bombardiamo le madri con consigli non richiesti e giudizi sommari. Solo accogliendo le madri sapremo davvero dare il benvenuto ai neonati che ci onorano della loro presenza, che ci mostrano la loro vulnerabilità e la loro straordinaria vitalità, nocciolo della nostra esistenza. Marzia Bisognin Il Melograno – Centri Informazione Maternità e Nascita



premessa

Ciao a tutti, approfitto di questa premessa per presentarmi: mi chiamo Marta, sono una “giovane” donna, una lavoratrice e soprattutto una mamma…, anzi la mamma di Alice e Matteo. Provengo da una splendida famiglia, non proprio tradizionale, ma assolutamente perfetta, almeno per me! Pensando alla mia infanzia, ricordo che è stata felice; non avevamo tutto, è vero, ma non ci mancava niente, e soprattutto in casa c’erano le cose fondamentali: amore, serenità e felicità… Insomma posso ritenermi molto fortunata. Ho due genitori e un fratello che amo e che mi amano, su cui posso sempre fare affidamento per tutto: chiacchierare, confrontarmi e bisticciare quando serve! Se ciò non bastasse, a completare la mia vita ho un marito e due splendidi bimbi… e anche con loro posso fare tutto: li posso amare, coccolare, educare, ci posso giocare, scherzare, litigare, ridere e piangere, tutto sempre insieme… ma prima di arrivare a ciò, come tutte le mamme, ho dovuto affrontare la gravidanza e il parto. Durante tutto questo periodo ho provato un sacco di emozioni, scaturite da nuove esperienze. Ebbene, per quanto io abbia cercato di prepararmi ad affrontarle, non ci sono riuscita; e tutto perché non sapevo a cosa andavo incontro. Ad ogni modo, il rendermi conto di non essere preparata ad affrontare la maternità è ciò che mi ha spinta a voler condividere la mia esperienza e, sottolineo, la mia esperienza, sperando che possa essere d’aiuto a chi si incammina in questo splendido e sconvolgente percorso… e non intendo solo alle future mamme, ma ai futuri nonni, zii, amici, insomma a tutti coloro che parteciperanno con voi a questa avventura. L’intento di questo libro è raccontarvi la mia storia come se fossi “un’amica”, per mettere a conoscenza le persone che non


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hanno ancora avuto modo di confrontarsi con questo tema del fatto che possono esserci problemi e difficoltà. E se questi si presentano proprio a noi, non vuol dire che siamo “sbagliate”, anzi: lo scopo è proprio spiegare che sono normali e che non bisogna caricare questi avvenimenti con un senso di colpa o di inadeguatezza (cosa che io ho fatto in pieno). Continuo a pensare che sarei riuscita a gestire tutte le problematiche e la depressione post parto in maniera molto differente se avessi avuto accanto qualcuno in grado di capirmi e, soprattutto, se avessi saputo che queste potevano presentarsi. Questo libro è autobiografico e descrive tutte le fasi che ho attraversato per diventare madre. Non ho semplicemente descritto quello che succedeva, ma ho cercato di far trapelare i sentimenti che ho provato per riuscire a rendere partecipi le persone che lo leggeranno. Di sentimenti se ne provano tanti e spesso contrastanti fra loro… nel mio caso amore e odio si accavallavano in continuazione. Il libro è composto da due parti: nella prima parlo della mia esperienza, mentre nella seconda ho raccolto le testimonianze di altre donne che, come me, hanno deciso di raccontarsi. Inoltre, alla fine troverete le riflessioni di Laura Galardi, la psicologa che ho incontrato nel mio cammino, alla quale ho chiesto di leggere il libro e di partecipare fornendo spunti e informazioni per chi volesse approfondire alcuni temi trattati. Infine, anche se dovrebbe essersi già capito, vi voglio anticipare che questo libro non è propriamente “scritto”… o meglio, visto che io non sono capace di scrivere (ricordo che una volta, solo una, durante tutte le superiori ho preso un 7 in un tema, e per poco non mi mettevo a piangere!), nelle prossime pagine vi “parlerò” come farei se vi avessi di fronte, perché parlare è l’unico modo che conosco per condividere i miei pensieri.


parte prima

La mia storia



capitolo

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La “dolce” attesa… più o meno Appena sposati io e mio marito decidemmo di lanciarci nell’avventura di allargare la famiglia. Ovviamente eravamo contentissimi, euforici e soprattutto inconsapevoli. Fino a quando non si vedono le linee colorarsi sul test di gravidanza, non si può sapere realmente che grande emozione una donna provi nel capacitarsi che è incinta. Ricordo chiaramente il momento, di prima mattina (come consigliato sul test), in cui le linee si colorarono… lì, solo in quell’attimo, tutto diventò reale. Dal bagno tornai in camera e diedi la notizia a Luca, mio marito. Non so come si sia sentito lui: io mi sdraiai sul letto; mancavano ancora un paio d’ore al suono della sveglia ma, per l’emozione, non mi riaddormentai. Insieme alla consapevolezza di aspettare un bimbo, in me era nato un segreto… Io sono un po’ superstiziosa: spesso si sente dire che dopo il terzo mese di gestazione è più probabile che tutto vada bene, quindi decisi di aspettare fino alla fine di tale periodo per dare la bella notizia ai miei cari. Ebbene: furono settimane lunghissime… Un po’ perché sono una frana a mentire, e per me tacere è quasi come mentire, un po’ perché aspettavo con ansia che quel periodo passasse, proprio in virtù del fatto che è considerato il più critico. Finalmente arrivò il momento in cui si poteva urlare ai quattro venti la bella notizia, e ovviamente la prima persona alla quale la comunicai fu Annina, la mia migliore amica e confidente, la quale per tutta risposta mi disse: «Anch’io!» Questa notizia mi riempì di gioia: non solo aspettavo un bimbo, ma potevo condividere la mia esperienza


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con lei! Lei aveva già un bellissimo figlio ed era alla seconda gravidanza, e rispetto a me era indietro di un mesetto. Per dare la notizia ai genitori aspettammo ancora un po’. Noi abitiamo lontano dalle nostre famiglie e volevamo annunciarla di persona, guardandoli negli occhi. Quando ci incontrammo e comunicammo la notizia furono tutti felici: all’inizio un po’ increduli, vista la mia pancia piatta, ma felici! Da lì a poco la pancia piatta lasciò il posto alla “pancetta”, a una “pancia grassottella” e, infine, alla “pancia seria da gestante”. Ci vuole un po’ prima che si capisca che una pancia è una “pancia da gestante”: non si vede l’ora che la tartaruga vada in letargo e che il nostro ventre lieviti… e credetemi, è l’unico caso in cui una donna aspetta con ansia di diventare una balena! Per affrontare l’avvento di questa panciona, nel limite del possibile, mi ero preparata: soffrendo di ernie del disco avevo fatto un corso posturale per rinforzare la schiena e prepararla a reggere il nuovo peso. Partivo inoltre con un peso forma che non avevo mai avuto in precedenza, quindi tutto iniziava nel migliore dei modi… E infine posso proprio dire che, per quel che riguarda la gravidanza, è andato tutto bene: non ho sofferto di nausee, gravi sciatalgie o altri disturbi che possono insorgere. Per la mia voglia di sapere, per potermi preparare e organizzare nei confronti dell’arrivo di una creatura in casa, ho deciso di iscrivermi a un corso preparto: scelta ottima, un’esperienza che consiglio a tutte le donne in questa situazione. Sia chiaro: dal mio punto di vista, il corso di per sé non serve a granché… cioè, dà tutte le informazioni su come affrontare il travaglio, spiega tutte le posizioni in cui ci si può mettere per alleviare il dolore, illustra come nasce un bimbo, ma proprio nello specifico, cioè incanalamento, rotazione, come esce la testa e tante altre cose che… credetemi, forse è meglio non sapere! Informazioni tra l’altro che nel momento del travaglio e del parto vero e proprio si dissolvono, come qualsiasi altra cosa… Io non ricordo quasi nulla del parto: in quel momento non so nemmeno se avrei saputo dire il mio nome! Ma non voglio allarmarvi, almeno non ora! Ciò nonostante, il corso per me è stato indispensabile. Mi ha permesso di confrontarmi, di fare domande, ma soprattutto di capire che avevo le stesse insicurezze e paure delle altre donne.


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Ha scandito i tempi di tutte le visite, ha chiarito comunque molti dubbi al riguardo, e infine mi ha permesso di condividere le sensazioni che provavo. Insomma, è stato un’esperienza bella e intensa… Varcando la porta di quella stanza, si entrava in un piccolo mondo a sé stante, una bolla incantata, dove si poteva parlare solo della propria pancia, dove si poteva parlare con la pancia… e tutto in piena serenità, senza essere giudicate o osservate, come se fosse la cosa più naturale del mondo. In questi corsi insegnano ad avvicinarsi al proprio bimbo e a cominciare a conoscerlo, e questo è stato l’aspetto più bello e importante. Inoltre mi ha fatto conoscere altre mamme con le quali ho instaurato un rapporto di amicizia. Dopo la nascita di un figlio si stravolgono anche le amicizie o, almeno, se non cambiano completamente, cambia il modo di frequentarle. Non si riesce più né a uscire né a mantenere i ritmi che si avevano prima. Cambiano le esigenze, perché ora bisogna tenere conto anche di quelle del neonato. Al corso ho conosciuto donne splendide che, ovviamente, avevano le mie stesse esigenze, che ho avuto la possibilità di frequentare allora e che sono tuttora presenti nella mia vita. Ma procediamo con calma, con la gravidanza… La pancia cresceva, le visite si infittivano e dubbi e ansie pure. All’inizio è normale avere solo la pancia (sempre se si è abbastanza fortunate da non soffrire di nausee), non ci sono altri sintomi che ti facciano capire che stai condividendo il corpo con qualcun altro, ma durante le ecografie quella piccola creatura si palesa in tutto il suo aspetto. La prima ecografia per me è stata… non trovo la parola adatta: emozionante, certo, ma più che altro sconvolgente. Per la prima volta vidi che c’era qualcosa dentro di me. Non si capiva cosa, non aveva un verso, una forma, nulla collegava quell’immagine a quella di un bimbo, ma mi permise comunque di provare nuovamente la sensazione del giorno del test, e cioè che tutto fosse reale… insomma mi dimostrò che sì, era vero, ero incinta. Con il procedere del tempo, all’avvicinarsi delle visite mi veniva quella che chiamavo “ansia da prestazione”: quella sensazione di agitazione che ti assale quando sai che c’è un controllo, che però io vivevo come un test da superare, dove


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tutto doveva, e sottolineo doveva, andare bene. Quelle visite erano l’unico specchietto che mi diceva se tutto procedeva correttamente, almeno fino a quando… ho cominciato a sentire il bimbo che si muoveva, ma questo avvenne più avanti! Finalmente arrivò il giorno dell’ecografia morfologica: la facemmo e confermò che tutto procedeva bene. In quel momento chiesero a me e a mio marito se volevamo sapere il sesso della creatura. Noi, tutti emozionati, annuimmo… e ci comunicarono che aspettavamo una bambina. Questo è stato un altro momento cruciale, non perché avessimo particolari preferenze (o almeno, come tutti, c’eravamo fatti un’idea di chi avremmo preferito, ma non con particolare accanimento o esagerate aspettative), ma perché a quel punto sapevamo chi dovevamo aspettarci (salvo un piccolo ragionevole dubbio). Un’altra tessera del puzzle era stata sistemata! Da quel momento in poi, parlando con la mia pancia, non mi riferii più a una “cosa”, tra l’altro fino a quel momento soprannominata con un nomignolo maschile, “Giolo” (diminutivo di “fagiolo”), ma alla “mia bimba”. Abbiamo anche ricominciato a concentrarci sulla scelta del nome: avevamo provato anche prima, ma non era per nulla semplice, quindi viste le difficoltà avevamo deciso di impegnarci solo una volta conosciuto il sesso, così almeno avremmo dimezzato la fatica! Come accennato prima, se fino a questo momento visite ed ecografie erano state l’unico modo per verificare la salute della bimba, un nuovo elemento stava entrando in gioco: cominciai a sentirla muovere. Non tento nemmeno di descrivere che emozioni si provino. Solo una donna che sperimenta o ha sperimentato questa sensazione può capire… e mi spiace per voi maschietti che, pur avendo la possibilità di sentire sotto la vostra mano una pancia muoversi, non potete arrivare a capire cosa prova il gentil sesso. Sentire movimenti, gorgoglii, calci e stiracchiamenti ci rende partecipi della vita della creatura, ci permette di condividere i suoi “primi passi”. Inoltre, sentire questi movimenti ci ricorda ogni giorno che c’è e, soprattutto, che sta bene. Tutto procedeva al meglio: cominciai quindi a seguire i movimenti della bimba con la mano, a osservare la pancia come se fosse un mondo, un globo vero e proprio… Mentre mio marito guardava la tv, io guardavo la mia pancia, la


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“casa” della mia bimba… e non la guardavo solamente, la accarezzavo, sentivo la sua vita scorrere sotto la mia mano e dentro di me, tutto era fantastico. Fu un periodo splendido e sereno, che purtroppo però non è durato molto. Il problema è che sentire i movimenti di una creatura, che ci fanno capire che tutto va bene, è splendido, a meno che non siate persone un po’ apprensive, perché loro, le creature, non si muovono mica sempre. I bimbi nel grembo, proprio come noi, hanno i loro ritmi: mangiano, dormono, stanno svegli, fanno ginnastica… solo che noi non sappiamo quando fanno queste cose. Talvolta io me ne stavo lì a fissare la pancia ma lei non faceva nulla, era inerte. A quel punto io la guardavo un po’ dispiaciuta, la toccavo e cercavo di darle un po’ di fastidio per vedere se mi rispondeva: non ero allarmata o altro, cercavo solo compagnia; questo nei momenti di tranquillità in cui potevo dedicarmi a lei… era come se volessi fare due chiacchiere. Insomma, preferivo di gran lunga quando si muoveva, ma sapevo che era perfettamente normale anche se non lo faceva. Tendenzialmente i bimbi dormono proprio quando noi siamo attivi: praticamente con il nostro movimento li culliamo. Viceversa, quando noi riposiamo o siamo seduti, loro si svegliano e cominciano la giornata. Al corso preparto ci avevano spiegato che si poteva non sentirli per svariati motivi, e non c’era da preoccuparsi, soprattutto nella fase tra il quinto e il settimo mese… perché sono ancora piccoli e non sempre arrivano a toccare le pareti esterne della loro casa, e talvolta l’utero cresce più velocemente del bimbo, tipo fisarmonica, e lui tutt’a un tratto si trova a passare da un letto singolo a uno matrimoniale, dove può sdraiarsi “a stella” senza dare fastidio a nessuno. Anche questa fase della gravidanza procedeva abbastanza tranquilla. Una volta alla settimana c’era l’incontro con il gruppo di “pancione” dove si parlava di tutte queste cose, sensazioni, ansie e aspettative. Inoltre io avevo sempre Annina – ricordate? – la mia migliore amica, anche lei incinta, con cui confrontarmi. Lei, pur essendo alla seconda gravidanza, viveva gli stessi dubbi e le stesse emozioni che provavo io, quindi eravamo l’una la perfetta confidente dell’altra, anche per questa esperienza. Anche “l’ansia da prestazione” nei confronti delle visite ci accomunava: usavamo questo termine prima di ogni


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controllo perché rispecchiava molto il nostro stato d’animo. Una mattina sentii Annina: mi disse che provava una strana sensazione, che da qualche giorno non avvertiva movimenti del bimbo e le sembrava strano. Io avevo fatto la morfologica da qualche settimana e lei doveva farla a breve. Ovviamente le risposi di non preoccuparsi, che a volte i bimbi non si sentono, ce lo avevano spiegato, e che comunque l’ecografia era fissata a giorni: doveva solo stare tranquilla e aspettare. Ebbene, il giorno della morfologica arrivò anche per lei e, dopo averla fatta, mi chiamò. Non avevano avvertito il battito: il bimbo non era sopravvissuto, per cui l’avrebbero ricoverata per affrontare la situazione. Da qui in poi, nulla è stato più come prima: la mia attesa non fu più la tanto conclamata “dolce attesa”. In quel momento mi capacitai che le cose posso andare male… e non solo, possono andare male anche a chi non se lo merita affatto. Voglio spiegarmi meglio: nessuno merita di affrontare una cosa del genere, ma quando succede a un tuo caro, che sai essere una persona meravigliosa, non riesci proprio a trovare una giustificazione. Tutto mi crollò addosso, la mia vita si stravolse di colpo. Esternamente non si poteva notare, la mia quotidianità non cambiò: andavo al lavoro, facevo la spesa, le commissioni, andavo al corso… tutto procedeva come al solito, ma dentro di me nulla fu più come prima. Persi tutte le mie certezze, la mia serenità, e mi trovai a non saper affrontare questa tragedia, né come gestante né come amica. Era fondamentale rimanere accanto ad Annina: avrebbe dovuto affrontare un periodo terribile e io dovevo esserci. In fondo non si può essere amici di qualcuno solo quando le cose vanno bene, anzi, è più importante esserci quando succede il contrario. Tra l’altro, non so come si possa affrontare un dramma del genere, cosa si provi: il solo pensarci mi terrorizza… però questa tragedia aveva colpito anche me, da lontano o solo in parte, vedetela come vi pare, e ad ogni modo mi costrinse a riflettere. Tutt’a un tratto non sapevo come comportarmi, non sapevo cosa era giusto fare e cosa no. In me erano nate paure che mi sarei portata avanti per tutta la gravidanza, anzi per entrambe le gravidanze. In quel momento nuovi sentimenti mi attanagliavano: la paura, che potesse succedere anche a me, e il senso


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di colpa perché era successo a lei, e non a me. A mente lucida, razionalmente, riuscivo a capire che non era colpa mia, ma quando hai gli ormoni impazziti, quelli che ti fanno passare dal riso al pianto in cinque minuti, rimanere lucidi e distaccati non è possibile. All’inizio, quando la risentivo, cercavo di non parlarle della mia pancia perché avevo paura di ferirla, però era anche un discorso difficile da evitare. Insomma, per mesi non avevamo fatto altro che confrontarci sulle pance, quindi alla fine se ne parlava, sebbene in modo un po’ più distaccato, didascalico – cercavo di riferire una sorta di bollettino medico, senza sbilanciarmi sul piano emotivo. Non ho mai avuto il coraggio di chiederle come abbia vissuto lei questa esperienza… non mi permetterei mai di farlo, è una domanda troppo intima, ma lo stare accanto a me in questa situazione credo che per lei sia stato difficile. Bisogna che ve lo dica subito, altrimenti finiamo in una valle di lacrime: la mia amica da allora ha avuto un altro splendido bimbo e, non contenta, aspetta il terzo! (E sì, nel frattempo è arrivato anche il terzo: significa che io ci sto impiegando una vita a scrivere questo libro!). Torniamo a noi. Nei giorni successivi alla tragica notizia, chiesi alle mie colleghe che mi passassero più lavoro possibile: avevo bisogno di non avere il tempo di pensare. Ogni volta che mi sembrava di non avvertire la piccola andavo in bagno, scoprivo la pancia e provavo ad avvicinarla alla luce, poi la bagnavo con acqua fredda (che ovviamente mi faceva solo venire i brividi e scappare nuovamente la pipì) e la massaggiavo, talvolta fino a schiacciarla; il tutto solo per provocarle una reazione. Il più delle volte non succedeva niente, allora la ricoprivo, le parlavo un attimo, dicendole di tenere duro, che ero lì con lei… Poi mi ricomponevo e tornavo al mio posto, come se niente fosse. Di questa paura non avevo il coraggio di parlare con nessuno: era come se farlo la rendesse reale, ne motivasse l’esistenza. Il tempo passò e, nonostante le mie ansie, stavo bene e tutto procedeva nel migliore dei modi. Lavorai anche l’ottavo mese: avevo qualche dolore alla schiena e al nervo sciatico, ma per me era meglio lavorare, stare fuori casa e distrarmi, piuttosto che


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riposarmi. Continuare a non avere troppo tempo per pensare restava una cosa fondamentale. Poi arrivò anche il nono mese: smisi di lavorare e mi ritrovai a casa in maternità, in attesa che la piccola decidesse di nascere. Per tenermi impegnata e in forma mi iscrissi a un corso per “balenottere” in piscina (ok, ok un corso per gestanti!). Stare nell’acqua era un sollievo per il fisico, e vedere tante pance mi riempiva di gioia… complici anche gli ormoni impazziti! Ora dedicavo gran parte della mia giornata ad “ascoltare” la pancia, la accarezzavo, le parlavo, ascoltavamo la musica insieme… ma la cosa più importante è che cominciai a rivolgermi a lei non più come “alla pancia”, bensì come “alla bimba”. Nell’ultimo mese il nostro rapporto maturò molto. La bimba cominciava a star stretta là dentro, quindi io non solo la avvertivo bene, ma la vedevo! Ricordo ancora la prima volta che vidi un piede: era lì, puntato dentro la mia pancia, e sia la sua sagoma che la sua impronta si vedevano benissimo sulla mia pelle. Inoltre, nello stesso periodo, non solo sentivo e vedevo lei, ma iniziai anche ad avvertire le prime contrazioni, quelle di preparazione: erano sporadiche e si presentavano indistintamente durante tutta la giornata. Io ero convinta che la piccola sarebbe nata molto presto, in anticipo rispetto alla scadenza, probabilmente perché io sono nata di otto mesi… ma lei mi contraddisse: non aveva intenzione di anticipare i tempi. Verso la fine della gravidanza, come tutti, non vedevo l’ora di vederla e conoscerla, quindi l’attesa fu molto intensa. A ogni modo, una settimana prima del termine previsto, tutte le sere la mia pancia si contraeva, per un’oretta o poco più, e poi smetteva… ogni volta speravo fosse la sera giusta, ma poi tutto si fermava e andavamo a dormire. Poi una notte, anzi, la notte del 14 aprile 2012, alle 2:10, una contrazione mi svegliò! Non avevo intenzione di aspettare ancora, desideravo in tutti i modi che fosse arrivato il momento tanto atteso, quindi mi alzai e cominciai a girare per casa. Non volevo rimettermi a dormire, dovevo fare in modo che il travaglio cominciasse! Andai in sala e decisi che piegare i panni stesi poteva essere un ottimo motivo per stare in piedi… e tra una contrazione e l’altra li piegai tutti! Non avevo svegliato mio marito, perché non sapevo né se fosse il momento giusto né


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quanto sarebbe andata avanti così, con delle contrazioni forti, ma sostenibili. Pensai che fosse meglio farlo riposare, perché magari ci aspettava una giornata intensa… senonché dopo nemmeno un’ora e mezza mi si ruppero le acque. A quel punto andai in camera e lo svegliai come si vede nei film, con la frase: «Mi sa che ci siamo, si sono rotte le acque!» Il suo tono muscolare passò di colpo da letargico a quello di un atleta centometrista: scattò in piedi, quasi mi scavalcò per arrivare ai vestiti, se li infilò, prese me e le chiavi della macchina e uscì di casa… la “borsa prémaman” ci aspettava già nel bagagliaio dell’auto. Il ricordo più nitido ed emozionante che ho di quel momento è che uscendo dalla porta di casa pensai: la prossima volta che rientrerò da questa porta, saremo in tre.


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