Alegre diario di zona issuu

Page 1

eLLa r a i h C i uig ChiareLLa L Luigi ) yamunin ((yamunin)

diarioa diario on d dii z zona



collana diretta da wu ming 1


© 2014 Edizioni Alegre Società cooperativa giornalistica Circonvallazione Casilina, 72/74 - 00176 Roma redazione@edizionialegre.it www.edizionialegre.it Quinto tipo è una collana diretta da Wu Ming 1 Grafica: Alessio Melandri Per favorire la libera circolazione della cultura, è consentita la riproduzione di questo volume, parziale o totale, a uso personale dei lettori purché non a scopo commerciale.

Analisi, notizie e commenti www.ilmegafonoquotidiano.it



Sommario

Autunno 7 Grande Ala 19 Inverno - Prima pagina 21 Seconda pagina 33 Terza pagina 45 Quarta pagina 53 Quinta pagina 67 Sesta pagina 77 Settima pagina 89 Ottava pagina 97 Primavera - Nona pagina 109 Decima pagina 123 Undicesima pagina 137 Primo allegato - Ciò che resta del Filadelfia 147 Dodicesima pagina 151 Tredicesima pagina 159 Estate - Quattordicesima pagina 167 Quindicesima pagina 177 Sedicesima pagina 187 Secondo allegato 218 Diciassettesima pagina 229 Diciottesima pagina 235 Terzo allegato 250 Diciannovesima pagina 253 Autunno - Ventesima pagina 263 Ventunesima pagina 273 Inverno - Ultima pagina - la fine 297 Ringraziamenti 319


diario di zona

Per mio padre



Autunno

Apro la finestra su via Verdi, giù di sotto il solito passaggio di persone fra le bancarelle. Visto dall’alto è tutto un brulicare di colori, suoni, etnie. Una brezza leggera porta zaffate di incenso. Guardo in su, il sole illumina ancora la Mole. Cerco di individuare il nido del falco pellegrino fra le colonne del secondo terrazzino della guglia che si allunga nel cielo, non lo vedo. Faccio scivolare lo sguardo lungo il profilo della cupola. Come faccio? Mi chiedo guardando le lastre di pietra di Luserna che riflettono il sole. Respiro ma non come vorrei, impossibile respirare con il peso che sento sullo stomaco, con questo incenso che appesta l’aria. L’aria pesante di Torino. Come faccio senza lavoro? Rientro in casa, riavvio il computer e accedo alla pagina internet della banca, mi trema la mano, lo vedo dalla freccetta del mouse. Pago l’affitto e quanto ho guadagnato con l’ultimo spettacolo si è volatilizzato. Ultimamente ho avuto solo contratti da comparsa, la qualità di lavoro richiesta però è da professionista. Ma i soldi scarseggiano e perciò si taglia, e cominciano a tagliare dal basso: niente contratti da mimo. Ti chiamano proponendoti di fare il provino 7


come comparsa, così hanno la stessa qualità ma a prezzi stracciati. Farlo notare non è servito a niente. Prendere o lasciare. Manca il lavoro e mi manca il senso di continuare a fare teatro a queste condizioni. Respiro e chiudo la pagina dopo aver salvato la ricevuta del bonifico. Un mese di lavoro a ridosso dell’estate, ora il vuoto. Niente. Va bene, mi dico, devo darmi da fare e trovare un altro lavoro al più presto. A Torino ad agosto. Va bene un cazzo. * ** Vaffanculo! Lo dico mentre stampo decine di curriculum, e li infilo in una busta di plastica. Mi rado la barba, prendo un libro e infilo tutto nella borsa. Vado in cantina e tiro fuori la bicicletta, le do una pulita rapida e comincio a pedalare per la città. Il caldo è atroce, il peso nello stomaco è un po’ diminuito, pedalare mi fa bene. Supero piazza Castello e prendo via Garibaldi. Svolto in via San Francesco d’Assisi, lego la bicicletta in piazza Palazzo di Città e mi inoltro nelle vie del quadrilatero. Entro in ristoranti, pizzerie, gelaterie a lasciare curriculum, parlo con i gestori. Forse a settembre, mi dicono, adesso siamo al completo. Pranzo con un gelato, il telefono resta muto. Chiamo io, ho voglia di sentirla, di sentire mia moglie: - Come va? - Così… tu? 8


- Così… hai trovato? - Ancora no. - Devi trovare qualcosa, mi hanno chiamato… - Cosa dicono? - Che ha cestinato il plico col nostro progetto senza neppure aprirlo. -… - Ci sei? - Sì. - Mi hanno detto che mentre lo buttava ha detto “cosa credono di fare questi?”. - Stronzo. - Come facciamo? - Troverò qualcosa. Di tanto in tanto lo incontro, lo stronzo, sotto i portici di via Po, col solito sorriso da pubbliche relazioni, e mi piacerebbe tanto togliermi un sassolino dagli anfibi e dirglielo che “ne sai una sega di teatro, amigo, una sega”. Però intanto è il nostro progetto a essere stato cestinato, i suoi progetti pare viaggino bene. Mi siedo, apro il libro che ho nello zaino, La Rivoluzione teatrale di Mejerchol’d: Nel lavoro dell’attore è particolarmente importante che esista un ponte lanciato verso il futuro. Se non siete in grado di rendervi conto dell’evoluzione che sta compiendo in questo momento l’umanità, se non siete capaci di scorgere e di raggruppare a destra i capitalisti e a sinistra i lavoratori, se non vi sentite ispirare dalle strabilianti conquiste della scienza e della tecnica, già oggi in grado di farci capire che stiamo lavorando indefessamente alla creazione di valori nuovi, allora in generale non dovete recitare. Se nel recitare la parte che vi verrà assegnata non ricorderete tutto questo, se non verserete nei vostri successi la fiamma di tutti gli immensi successi che gli operai raggiungono nel mondo intero, sarà meglio che non recitiate.

9


Chiudo il libro, in testa mi spunta il pensiero sovvertire il fallimento del presente. Dove l’ho letto? Da dove comincio? Mi guardo intorno, le strade sono vuote, pochi turisti in giro. Trovo un lavoro per mantenere la famiglia e nello stesso tempo lavoro ai progetti teatrali che abbiamo in sospeso, mi dico. Non è facile. Ma che altro posso fare? Mi lascio il centro alle spalle, pedalo fino al Lingotto e ancora più in giù: ancora pizzerie, librerie, gelaterie, negozi di giocattoli. Raggiungo la sede di un paio di distributori di libri scolastici, consegno il mio curriculum, mi chiedono se ho mai lavorato nel settore dei libri scolastici. Me lo chiedono anche se la risposta la possono leggere sul foglio che gli consegno. Rispondo di sì, certo. Conosco il lavoro, ne conosco i ritmi folli. Mi dicono che, nel caso, c’è da lavorare dalle sette di mattina fino alle sette di sera davanti al banco, poi alla chiusura si fa inventario fino a quando non si è finito. Mi dicono anche che si deve lavorare veloci e precisi, senza discussioni che fanno perdere tempo. E quanto sarebbe la paga, nel caso? Chiedo. Mi dicono che la paga è sui cinque euro l’ora. Mi faranno sapere, e mentalmente li mando affanculo. Mi fermo su una panchina in riva al Po, parco del Valentino, guardo il fiume e lascio scorrere un paio di lacrime. Torno a casa, ceniamo in silenzio. - Hai trovato qualcosa? - Ancora no. - Entro quando? - Fine mese. - Dai. * ** 10


Al mattino non riesco a prendere neppure una tazza di caffè, ho l’inferno in pancia. Ci manca solo il caffè, mangio un paio di biscotti. Mi preparo in fretta, stampo altre copie del mio curriculum rivisto e corretto e le infilo nella borsa. Mi porto dietro anche una raccolta di poesie di Majakovskij, anche se so che non avrò tempo per leggere. Il suo peso mi rassicura. Prendo la bicicletta dalla cantina e riparto. Domani è ferragosto. Be’, vaffanculo. Prendo il telefono, scorro la rubrica e chiamo persone che non sento da mesi. Chiamo per un lavoro, cerco di non far trapelare l’ansia, la paura che ho di perdere tutto. Recito la parte di chi tutto sommato sta bene. Come se. - Ciao Turi. - Oh ciao, come va? - Tutto sommato bene, e te? - Sì, bene, dimmi. - Ehm, scusa se ti chiamo così, è che sto cercando lavoro e… - Uhm, da me non c’è niente, il magazzino è al completo. Mi puoi mandare il curriculum, lo giro a una persona che conosco. - Sì, ok. - Ti farò sapere. - Grazie Turi, grazie mille. - Figurati, ciao. - Ciao. Metto il telefono in tasca, mi stendo sulla panchina a guardare il cielo fra le foglie e i rami. Respiro e mi tiro su, afferro il manubrio e monto in sella. Pesto sui pedali e percorro la strada interna del parco del Valentino. Supero la zona dei locali, le stalle dei cavalli della polizia, il castello, tiro dritto e aggiro il borgo medievale. Mi fermo e mi avvio verso il fiume che scorre 11


poco più in là. Mi siedo e guardo l’acqua. Alcune canoe scivolano leggere sull’acqua. Guardo e un brivido mi corre per la schiena. “Una brutta situazione non può che peggiorare”. Dov’è che l’ho letto? Non ci finisco giù, ma neanche per il cazzo. Torno a casa. * ** Il 31 agosto l’ho passato in silenzio. Pochi giorni fa ho fatto l’ultimo colloquio, Turi è stato gentile, ma il suo conoscente ha dato uno sguardo al mio curriculum e mi ha liquidato con “ti terrò presente, vedremo se riparte qualcosa a ottobre”. Eravamo in un ufficio su corso Galileo Ferraris, ero arrivato lì in bici con calma ascoltando Mr Beast dei Mogwai. Ero in anticipo e mi sono fermato davanti all’ingresso della Gam, l’ultima mostra a cui siamo andati è stata quella dedicata a Carlo Mollino, dopo mesi passati dentro il teatro Regio ero curioso di vedere le altre opere dell’architetto, le foto, i progetti. Fermo davanti all’ingresso del museo ripesco dalla memoria le immagini delle scrivanie, del tavolo vertebrato, delle sedie, i prototipi delle auto da corsa; le foto viste al museo di Rivoli, i bellissimi ritratti femminili soprattutto. Dopo venti minuti di attesa entro nell’ufficio, le finestre danno sul monumento a Vittorio Emanuele II, mi accoglie sorridente e avviamo il colloquio, breve. Poi i saluti con tanto di in bocca al lupo e ci risentiremo a ottobre. Ma non ho tempo per arrivare a ottobre. In casa c’è meno tensione ma nello stomaco ho un piccolo inferno. Di giorno parliamo appena del lavoro, solo vaghi accenni, di notte ci addormentiamo in un abbraccio che dà sollievo. 12


Non è ancora successo niente ma non mollo. Non cedo. Esco sul balcone e guardo la Mole. Mi dà sollievo il suo profilo: la base solida, il resto slanciato e la guglia che punta il cielo fin lassù. Mi arriva una telefonata: - Ciao. - Ti disturbo? - No, figurati. - Senti, so che ti stai sbattendo in giro per un lavoro, qua da me stanno cercando letturisti. - Letturisti? - Sì, per fare le letture dei contatori dell’acqua. Ti andrebbe? - Sì, sì, certo che sì. - Ok, segnati il numero del responsabile e prendi un appuntamento. È una brava persona, si sbatte un sacco, se tutto va bene cominci subito. - Leo… - Sì? - Grazie. - Ma figurati. - Che la forza sia con te, cognato jedi. - Che tu sia con la forza. Dai. * ** Carlo è un omone, mi supera in altezza di dieci centimetri abbondanti, è grosso e ha un sorriso aperto. Mi suscita subito simpatia. Mi spiega che il lavoro in sé è semplice, una cazzata in fondo: scatti una foto al contatore e scrivi la lettura. Salvi tutto e passi al prossimo. Difficile è avere a che fare con le persone. Sei tu che vai a casa loro e puoi trovare i peggio idioti. 13


- Ti consiglio di lasciarli perdere – mi dice – se non vogliono aprire la cantina lasciali parlare e passa all’altra lettura. Poi ci sono le posizioni dei contatori, dio fa’, a volte le indicazioni sono sballate e il contatore non lo trovi neanche se ci passi la giornata. Inutile, quindi se cerchi e non lo trovi lascia stare e passa alla prossima lettura. Chiaro? - Direi di sì – dico. - Bene, se farai così non avrai problemi. - Va bene. - Ah, un’altra cosa. Col passare del tempo prenderai delle abitudini, tipo “quello non c’è mai e allora scatto una foto al civico e passo dritto”. No, non lo fare perché se poi ripassiamo e lo troviamo e ci dice che non è passato nessuno perdo la fiducia. Perciò non tentare di prendermi in giro, ok? - Ok. - Per me va bene, il primo contratto sarà di un mese, poi di almeno tre, se non ci saranno problemi passerà a indeterminato. Va bene? - Bene. - Firma qua. Andiamo in una stanza che fa da deposito, mi consegnano un paio di scarpe antinfortunistiche, un paio di pantaloni da lavoro con le bande ad alta visibilità, due polo blu con la targhetta dell’azienda, un palanchino in acciaio cromato, un cacciavite enorme, un palmare e il carica batteria, un paio di guanti da lavoro e una torcia elettrica. Indosso la divisa da lavoro e lascio i miei vestiti e le mie scarpe nel magazzino, ficco il palanchino, il cacciavite e il palmare nella borsa ed esco nel corridoio. Con Carlo c’è un altro tizio, si chiama Stefano ed è uno dei referenti delle squadre di letturisti dislocati nei paesi intorno a Torino. - Oggi lavorerai con lui – mi dice Carlo – domani andrai da solo. - Dove si va? – chiedo a Stefano. - A lavorare – dice. 14


Mi pare giusto. Usciamo dalla sede dell’azienda, camminando lungo i corridoi penso che ho un lavoro. Durante il viaggio in macchina Stefano mi racconta che fa il letturista da quindici anni, che vive ad Ivrea ed è uno dei tanti impegnati a organizzare il carnevale. - Non ci sei mai stato? - No, mai. - Allora ci devi venire. È una festa importante. - Be’, prima o poi mi piacerebbe, sì. - Se vieni procurati il berretto a punta, altrimenti prendi le arance in faccia. - Che berretto? - Quello a punta, rosso. È quello della Rivoluzione Francese. - Ah, non lo sapevo. - E sì, eh? È una festa antica, più antica di quello di Viareggio o di Venezia. Quelli sono carnevali finti, il nostro va avanti dal Medioevo. - Non lo sapevo. - Eh, non lo sa nessuno. -… - Ora io tutta la storia non la so, ma è antica. - E le arance? - Quella è la parte più bella, arriva gente da tutte le parti. - Partecipi? - Sempre. Sto sui carri mascherato e tutto, che altrimenti ti fai male. - E che senso ha? - Cosa? - Il lancio delle arance. - …eh, la lotta. - Sì. - Perché quelli che stanno giù è come se volessero prendere il carro e noi gli diamo le mazzate. 15


- E si fanno male? - E certo, ma mai quanto noi che stiamo lassù. - Tutti vi lanciano le arance? - Tutti, tutto il popolo. È una rivoluzione. - Magari. Arriviamo in paese e ci dirigiamo verso il bar della piazza, lì ci stanno aspettando altri due letturisti della squadra. Mi offrono un caffè e chiedono: - Lavorerà con noi? - No, lui andrà a Torino. - E che cazzo, anche noi abbiamo bisogno di aiuto. - Allora chiama Carlo e diglielo, prendiamo ‘sto caffè e andiamo che è tardi. Stefano consegna ai suoi letturisti i rispettivi terminali che erano in riparazione, vengono avviati nello stesso istante. - E che cazzo, è tutto in disordine! - Andiamo che è tardi. Ci dividiamo, io resto con Stefano. - La macchina la lasciamo qua in piazza – mi dice – nei paesi possiamo andare a piedi. Qua non è come a Torino, la possiamo lasciare e stare tranquilli, vedono il simbolo e non ci fanno neanche la multa. Come pensi di muoverti in città? - Con la bicicletta. - Meglio la macchina. - Non mi piace stare nel traffico in macchina. - Allora il pullman. - Vedrò, ma credo sia meglio la bici. Cominciamo il giro, mi indica i tombini da aprire, mi mostra come fotografare i contatori, come inserire la lettura. Mi spiega che quando trovo un contatore in basso, troppo in basso, mi devo sdraiare a terra e distendere fino a raggiungerlo per fare la foto. - In questo lavoro ti devi distendere – mi dice. 16


- Vedrò come fare – rispondo. - Poi ci sono dei chiusini che sono profondi, e allora dovrai entrare dentro. È una rottura, però bisogna farlo altrimenti non riesci a scattare la foto. Se è in mezzo a una strada non entri, è pericoloso. Io, se non siamo in due, non entro. Se sono in un posto riparato allora va bene. Ah, se c’è una macchina parcheggiata sopra, scatti la foto al chiusino bloccato dalla macchina e poi ripassi dopo un’oretta. - Capito. - Oh, una volta ero dentro, sarà stato profondo un paio di metri e ce ne erano tre da leggere, dio fa’, e sento una voce che dice “devo uscire con la macchina, come faccio?”, tiro su la testa per vedere chi è e c’è questa che mentre lo dice passa sopra il chiusino, e ha la gonna, e io le vedo le gambe e le mutande. Ma dico si può? Fai il giro no? Che uno che sta lì dentro si può anche sentire male! Ridiamo. - E adesso fai tu! – mi dice. Dopo un’ora di lavoro ho imparato a tirare su dischi di ghisa da venticinque chili usando il palanchino e il cacciavite e la giusta dose di bestemmie. Continuiamo a lavorare a ritmo serrato fino alle quattro e mezzo. - Va bene, è ora – mi dice – sessanta letture sono un po’ poco ma vista l’ora in cui abbiamo iniziato non è male. Come va? - Bene – dico stravolto e sporco di terra. Recuperiamo la macchina e imbocchiamo la tangenziale che ci porta a Torino. In azienda recupero i miei vestiti, la borsa e il resto degli indumenti per lavorare. Prendo la metropolitana in direzione del centro. Sono stanco ma sollevato: avrò uno stipendio e ho un contratto con su scritto “Operaio letturista”. Tiro fuori dalla borsa il libro di poesie: compagno Majakovskij, ho un lavoro da operaio!

17



Grande Ala

Lo so, certo che lo so, posso trattenere il respiro per ore. Tutti gli esemplari della mia specie possono farlo. Respiriamo coscientemente, lo hanno scoperto da poco. Ci sono arrivati, lentissimi ma ci sono arrivati. Possiamo addormentarci con metà cervello, come dire che dormiamo con un occhio solo. L’incoscienza del sonno, per noi, è la morte. Come non poter soffiare, saltare, mangiare. Posso fare tutto questo e molto altro, se sto nel mare, ma qui dentro non posso fare niente. Mi innervosisco se non posso muovermi, se non respiro poi… Come ci sono finito? Perché? L’ansia comincia a salire. Vedo dall’alto la scatola in cui mi hanno rinchiuso, è arancione, squadrata ed enorme. In cima a una colonna di scatole più piccole arancioni, gialle e blu. Le scatole sono su una nave di ferro, intorno il mare immenso. Una lunga striscia bianca dietro la nave, e laggiù “soffia”. Voglio andare via. Muovo le pinne, la coda, do dei gran colpi con la testa contro la lamiera rovente. L’acqua si agita. 19


Con tutte le energie rimaste continuo a colpire e la scatola si sposta e scivola nel mare. Un tuffo di decine di metri, tonnellate di carne, ferro e acqua in caduta libera. La scatola affonda e non riemerge, va giù decisa. La nave si allontana. La scatola affonda, colonne di bolle d’aria vanno in su. Do ancora colpi, colpi che mi risuonano nella testa. Comincio a cantare ma i suoni sono deboli, il rumore dei motori della nave è ancora forte. Troppo forte. E la scatola va giù. Un peso enorme mi preme sul petto, blocca il respiro. La paura di morire mi dà la forza di piegare la lamiera, di spaccare la gabbia, piegare il ferro e uscire. Malconcio ma vivo, nuoto verso la superficie. Intorpidito ruoto le grandi pinne, do un colpo di coda e mi fermo a guardare la scatola che affonda. Riprendo a nuotare verso la luce e salto su, buco la superficie del mare, soffio l’aria e allargo le pinne ad abbracciare l’aria intorno e fermo il tempo. Resto in aria un tempo infinito per essere lungo diciassette metri, pesante trenta tonnellate. Ruoto su me stesso e piego la testa verso il mare. Cado sulla schiena, il mare si apre per accogliermi. Schiaffeggio l’acqua con la coda più volte e torno a respirare. Una gioia immensa mi esplode dentro, nei polmoni l’aria brucia. Mi sveglio di colpo respirando forte nel buio della camera. Mia moglie dorme tranquilla, i cani si tirano su e si avvicinano al letto, sento i loro nasi umidi sul dorso della mano. Il peso è sparito. Sono fuori dalla gabbia. Finalmente respiro.

20


21


ming 1 u W a d diretta oLLana diretta da Wu ming 1 C CoLLana

Dopo un’ora di lavoro ho imparato a tirare su dischi di ghisa da venticinque chili usando il palanchino e il cacciavite e la giusta dose di bestemmie. Continuiamo a lavorare a ritmo serrato fino alle quattro e mezzo. - Va bene, è ora – mi dice – sessanta letture sono un po’ poco ma vista l’ora in cui abbiamo iniziato non è male. Come va? - Bene – dico stravolto e sporco di terra. Recuperiamo la macchina e imbocchiamo la tangenziale che ci porta a Torino. In azienda recupero i miei vestiti, la borsa e il resto degli indumenti per lavorare. Prendo la metropolitana in direzione del centro. Sono stanco ma sollevato: avrò uno stipendio e ho un contratto con su scritto “Operaio letturista”. Tiro fuori dalla borsa il libro di poesie: compagno Majakovskij, ho un lavoro da operaio!

Isbn 9788898841127

22

16,00 euro


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.