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Porpora Marcasciano

AntoloGaia Vivere sognando e non sognare di vivere: i miei anni Settanta



Tracce



AntoloGaia

Vivere sognando e non sognare di vivere: i miei anni Settanta Porpora Marcasciano Prefazione di

Laura Schettini


Foto di copertina: Lina Pallotta - www.linapallotta.com Prima edizione: © 2007 Il dito e la luna Per favorire la libera circolazione della cultura, è consentita la riproduzione di questo volume, parziale o totale, a uso personale dei lettori purché non a scopo commerciale. © 2014 Edizioni Alegre - Soc. cooperativa giornalistica Circonvallazione Casilina, 72/74 - 00176 Roma e-mail: redazione@edizionialegre.it sito: www.edizionialegre.it Nuova edizione riveduta e corretta

Analisi, notizie e commenti www.ilmegafonoquotidiano.it


Indice

Prefazione 7 L’insostenibile leggerezza del genere tra storia e biografia di Laura Schettini Capitolo uno Le début (1973-1976) Da qualche parte in Occidente Le tracce dei sogni La fonte della coscienza Il coming out Succedeva Trip Altre dimensioni Cambiare il mondo L’Underground Prove tecniche di resistenza La meglio gioventù La musica ribelle Esodi, spostamenti, transiti Fuga

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Capitolo due Il ’77: il sogno e l’utopia La prima lesbica Vogliamo tutto Alice nelle città, trasversalismo, situazionismo, fantasia Fragole e sangue Tra coscienza di classe e coscienza di genere Le tribù nomadi

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Cotta Continua Valli verdi e lagune blu Piazza Maggiore era troppo piccola Il travestito grida vendetta al cospetto del fallo Porporino La dolce vita Lud Con i froci o con i coatti Sopraffazioni Flora e fauna Buongiorno notte Il Calendimaggio Angoscia e autocoscienza Vivere sognando e non sognare di vivere Zanza Capitolo tre Extravaganza (1978-1982) Valentina Sanna Cortese Il Narciso Il Festival dei poeti a Castelporziano Capo Rizzuto e i campeggi gay L’attivismo gay e il suo primo convegno Mario Mieli La famiglia reale e le tecniche di autodifesa Monte Caprino Extravaganza Pisa Desideranti Bologna e il Gran Ducato di Pistoia Lesbiche e/o femministe Il Punk Cominciavano gli Ottanta Valerie Il teatro Il 1981 e il primo capodanno gay

102 105 107 111 113 118 122 126 128 130 134 137 142 144 149 149 154 156 160 163 170 173 177 178 187 190 192 194 198 201 203 207 214 217


Manifestazione trans per la 164 Occupazioni gaie Spiagge Il Cassero

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Capitolo quattro Transito, passaggio epocale (1983...) E si fece notte! La peste gay Colpi al cuore

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Ringraziamenti

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Appendice Cronologia generale Associazioni e collettivi Locali e ritrovi Radio Riviste e giornali Personaggi Juke-box Transessuali e travestite Spettacoli, libri e rappresentazioni teatrali Parole chiave Cronologia vita di Porpora Marcasciano Pubblicazioni di Porpora

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Prefazione

L’insostenibile leggerezza del genere tra storia e biografia di Laura Schettini

Porpora non è la prima ad aver giocato, sperimentato, osato, comunque a essere riuscita. Prima di Porpora, negli anni e indietro per secoli, altri uomini e altre donne hanno cambiato genere nel corso della propria vita. Per gioco o per bisogno, per desiderio, talvolta per paura, per passione, per necessità, come forma di erotismo o gesto politico, delle volte per sedurre. Sante travestite, donne pirati, la vergine in uniforme, la donna barbuta, le mollies, l’uomo-donna, la Fregoli in gonnella, il Belfiore, le tribadi virili, la monaca alfiere, gli effeminati, le butch, le frocie... La storia è piena di esempi che non risparmiano classi sociali, luoghi e culture, di manipolazioni del proprio genere per un’occasione o per una vita intera e che si sono sedimentate in un ricco repertorio di neologismi e appellativi che danno conto proprio della varietà e plasticità del fenomeno. Se la produzione dei generi, l’assegnazione all’uno e all’altro sesso di funzioni, compiti, attitudini, ma finanche desideri diversi e specifici, è uno dei terreni più fertili su cui si basa e si è storicamente basata l’organizzazione sociale, la trasgressione di questi codici è avvenuta e avviene in molti modi diversi e per le più svariate ragioni e circostanze. Al punto che da una parte riesce insoddisfacente trovare una categoria storica abbastanza esauriente che racchiuda tutte queste infrazioni (travestitismo? Ambiguità di genere? Soggetti eccentrici? E più recentemente: transgender? Drag? Queer?), dall’altra risulta pressoché velleitario parlare di “una” storia di ciò che nel passato è sfuggito ai modelli di genere dominanti. 9


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Piuttosto, sembra più appropriato parlare di tante storie, tanti filoni e diverse tradizioni: alcune che confermano le gerarchie sociali e altre che, al contrario, le minano. Ci sono, ad esempio, le storie delle sante travestite, decine, redatte prevalentemente tra il IV e il VI secolo all’interno delle comunità monastiche, che raccontano le gesta eroiche di giovani donne che, mosse da una fede che si fa passione e poi abnegazione, “si fanno” uomini per sfuggire a matrimoni combinati e quindi preservare la verginità e potersi dedicare alla Chiesa, ma soprattutto per partecipare alla vita monastica o farsi eremiti.1 Se facciamo un salto di secoli arriviamo sulla soglia delle Molly houses, veri e propri club per omosessuali approntati in case private o in taverne, fiorite in Inghilterra già a partire dalla fine del Seicento. Qui gli uomini ascoltano musica, danzano, si incontrano e, spesso, si appartano in sale private. I frequentatori adottano movenze e soprannomi femminili, che spesso rimandano al loro mestiere, e parlano in falsetto. Benché non sia prerogativa di tutti gli avventori, il travestimento in abiti femminili è diffuso e conosce il suo apogeo a dicembre, mese consacrato alle feste mascherate.2 Se passiamo ancora a qualche secolo dopo e dall’Inghilterra a Napoli, si sente inaspettatamente ancora qualche eco di queste serate. Nel 1904 la polizia fa irruzione in un appartamento dove sospetta abbiano luogo incontri tra «pederasti» e il cui proprietario, Giuseppe C., è conosciuto niente meno che come Peppe ’a 1 Uno dei testi più completi dedicati al travestitismo in età medievale, dove si trovano molte notizie della seconda ondata di “sante travestite”, quelle celebrate tra XI e XII secolo, è Valerie R. Hotchkiss, Clothes Make the Man. Female Cross Dressing in Medieval Europe, Garland Publishing, New York-London, 1996. Si veda anche C. Mazzucco, ‘E fui fatta maschio’. La donna nel Cristianesimo primitivo (secoli I-III), Le Lettere, Firenze, 1989. 2 Uno studio ricco dedicato alle Molly houses è R. Norton, Mother Clap’s Molly House: The Gay Subculture in England 1700-1830, Gay Men’s Press, London, 1992; l’autore è anche curatore di un sito web dove ha pubblicato integralmente una vasta mole di fonti processuali utilizzate per le sue ricerche e, in generale, dedicate all’omosessualità durante l’Ottocento in Inghilterra: Homosexuality in Eighteenth-Century England: A Sourcebook, a cura di R. Norton: http://www.infopt.demon.co.uk/eighteen.htm. Si veda anche M. Kaplan, Sodom on the Thames. Sex, Love, and Scandal in Wilde Times, Cornell University Press, New York, 2005.

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Signora: «In un salottino si vedevano sdraiati alcuni giovanotti vestiti da donna, che si scambiavano carezze coi loro amanti ed avventori. […] Sopra alcune poltrone stavano alla rinfusa abiti di seta da donna, parrucche simulanti acconciature muliebri, mammelle ed anche di carta pesta, coperte, per simulare la carnagione, di cera rossiccia. Busti di seta e scarpini ricamati in oro stavano accantonati sopra una sedia a sdraio».3 Non conosciamo per i secoli passati analoghi ritrovi femminili, ma questo non vuole affatto dire che non siano esistite donne che si sono travestite o finte uomini per amore o desiderio di un’altra donna, né quelle che hanno giocato con gli accessori e i simboli maschili come esercizio di seduzione ed erotismo. Di questo filone potremmo nominare Cornelia Gerrits van Breugel ed Elisabeth Boleyn, processate a Leida nel 1688 perché si sono sposate tra loro, una fingendosi uomo4, ma anche Caterina Vizzani, una delle poche travestite italiane di cui si sia conservata notizia, implacabile Don Giovanni degli anni Quaranta del Settecento.5 Ugualmente possiamo pensare alle artiste e scrittrici che animavano la festosa comunità di Capri, dove nei primi anni del Novecento, intorno ad alcune sontuose ville, hanno intrecciato passioni, anche tempestose, alcune tra le più celebri omosessuali del periodo, molte delle quali con il vezzo per gli abiti e gli accessori maschili, primi fra tutti il monocolo e il sigaro: Romain Brooks, Natalie Barney, 3 A. De Blasio, Andropornio, in “Archivio di Psichiatria, Scienze penali ed Antropologia criminale per servire allo studio dell’uomo alienato e delinquente”, 1906, pp. 288-292. Del caso si occupò anche la stampa napoletana: L’arresto di Peppe ’a Signora, in Il Mattino, 14-15 aprile 1904. 4 Si veda a questo proposito il testo classico per la storia del travestitismo in età moderna: R. Dekker-L. Van De Pol, The Tradition of Female Transvetitism in Early Modern Europe, London, MacMillan Press, 1989. Per il riferimento al caso citato vd. pp. 59-60 e passim anche per altri casi. Si veda pure L. Faderman, Surpassing the love of men, New York, Morrow, 1981. 5 La sua storia è stata raccolta e tramandata da Giovanni Bianchi, il medico che ha eseguito l’autopsia del suo cadavere e che per varie traversie l’aveva conosciuta come uomo. Il libello che narra le vicende della giovane travestita romana è G. Bianchi, Breve storia della vita di Catterina Vizzani romana che per ott’anni vestì abiti da uomo in qualità di servitore, la quale dopo vari casi essendo in fine stata uccisa fu trovata Pulcella nella sezione del suo cadavero, Simone Occhi, Venezia, 1744. Si veda ora M. Barbagli, Storia di Caterina che per ott’anni vestì abiti da uomo, Bologna, il Mulino, 2014.

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Renata Borgatti, Mimì Franchetti, Checcha Loyd, Baby Soldatenkov, Faith Mackenzie.6 L’elenco degli esempi di tradizioni di travestimenti più o meno caratterizzate che si sono susseguite nel tempo può essere ancora molto arricchito: c’è la radicata tradizione delle attrici e cantanti che impersonavano sulla scena ruoli maschili e che poi travasavano questa prerogativa anche nella vita quotidiana. Come Julie d’Aubigny, passata alla storia con il nome di Mademoiselle de Maupin, girovaga e spadaccina in abiti mascolini prima, e cantante acclamata dell’Opera di Parigi poi, celebrata un secolo dopo la sua morte dal romanzo di Théophile Gautier Mademoiselle Maupin (1835). Altra figura leggendaria di travestita, in questo caso attrice teatrale, è senz’altro l’inglese Charlotte Charke, anch’essa debitrice della sua celebrità più all’eccentricità della sua vita, narrata nell’autobiografia A Narrative of the Life of Mrs. Charlotte Charke (1755) e spesa in gran parte in abiti maschili, che alla sua carriera teatrale, ferocemente ostacolata dal padre.7 La personificazione di ruoli dell’altro sesso non è un’anomalia all’interno della storia del teatro o dell’opera,8 piuttosto 6 Una recente opera che ricostruisce dettagliatamente le comunità e frequentazioni omosessuali di Capri è C. Gargano, Capri Pagana. Uranisti e Amazzoni tra Ottocento e Novecento, Edizioni La Conchiglia, Capri, 2008. Si veda anche R. Aldrich, The Seduction of the Mediterranean: Writing, Art and Homosexual Fantasy, Routledge, London, 1993. Si devono poi allo scrittore scozzese Compton Mackenzie, marito di Faith, due romanzi che raccontano le passioni, gli intrighi, la vita sull’isola di questa comunità di donne: Vestal fire (1927) e Extraordinary Women (1928), tradotti in italiano solo decenni dopo. 7 Si veda C. Charke, Vestita da uomo. Un resoconto della vita della signora Charlotte Charke, a cura di Sylvia Greenup, Pisa, ETS, 2012. 8 Anche se non si tratta di travestitismo, in questo discorso merita di essere menzionata anche la grande diffusione dei cantanti castrati in Italia durante l’età moderna. Se la giustificazione ufficiale per questa pratica è il proposito di ovviare al divieto imposto alle donne di calcare le scene, non si può ignorare il fascino che le tonalità peculiari raggiunte dalle voci bianche esercitano nelle corti e sulle scene europee fino ad Ottocento inoltrato, quando ormai l’opera è aperta anche alle donne. Nello stesso secolo, poi, in molte opere liriche, dal Rigoletto di Verdi alle Nozze di Figaro di Mozart, si registra il successo dei personaggi dal genere indefinito. Il Cherubino di Mozart, per fare un esempio, è maschio, ma la sua voce deve essere da mezzosoprano. La trama, poi, prevede che nel secondo atto egli si travesta da donna per ingannare il conte. Ecco allora che sulle scene si ritrova una donna che interpreta un personaggio maschile che però ad un certo punto si traveste da donna. Per alcune note sul tema si veda: N. André, Voicing Gender. Castrati, Travesti, and the Second Woman in Early-Nineteenth-Century Italian Opera, Indiana University Press, Bloomington-Indianapolis, 2006 e En Travesti. Women, Gender Subversion, Opera, a cura di C.E. Blackmer – P.J. Smith, Columbia University Press, New York, 1995.

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come già evidenziato in numerosi studi, essa ha rappresentato una variante particolarmente apprezzata sia per l’appeal che esercitava sul pubblico, sedotto dal virtuosismo degli attori, sia perché interpretava puntualmente il grande tema che è al fondo del teatro: la riflessione sulla rappresentazione e l’identità. Le opere di Shakespeare, per fare solo uno degli esempi più celebri, abbondano in tal misura di giochi ed equivoci riguardo l’identità di genere dei protagonisti, che la lunga storia della loro messa in scena annovera un copioso elenco di attrici en travesti. Sorte a cui non è sfuggito neanche l’Amleto, che annovera tra le migliori interpretazioni del principe quelle di Sarah Siddons e Sarah Bernhard e solo nel corso dell’Ottocento è stato portato sulle scene da almeno cinquanta attrici professioniste.9 Attrici che spesso hanno travasato la libertà di costumi di cui godevano sulle scene, l’attitudine a giocare con identità e destini diversi che lì sperimentavano, nella vita quotidiana, diventando figure dal fascino indiscutibile: viaggiatrici, indipendenti economicamente, anticonformiste e talvolta mascoline nei modi e nei costumi, esse hanno rappresentato spesso un modello di libertà per altre donne, come dimostra l’intreccio tra movimento emancipazionista di fine Ottocento e una certa scena artistica di quegli anni, sapientemente rievocato in diversi studi da Laura Mariani.10 Altre storie di travestimenti si potrebbero aggiungere, e almeno un riferimento, in ultimo, a quella delle donne-soldato, forse una delle più longeve e celebrate tradizioni di travestimenti femminili che l’Europa abbia conosciuto. I casi di donne-soldato in età moderna abbondavano, così come le celebrazioni tributate a figure particolarmente valorose o care a certi immaginari nazionali. Sono diventate molto popolari, 9 Cfr. M. Garber, Interessi truccati. Giochi di travestimento e angoscia culturale, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1994, in particolare il Capitolo I. 10 Si vedano a questo proposito: L. Mariani, Sarah Bernhardt, Colette e l’arte del travestimento, il Mulino, Bologna, 1996; Eadem, Il tempo delle attrici. Emancipazionismo e teatro in Italia fra Ottocento e Novecento, Mongolfiera, Bologna, 1991.

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ad esempio, le gesta e la biografia di Catalina de Euraso,11 nota come la “monaca-alfiere” che nella Spagna del XVI secolo si trasforma da novizia a soldato e giunge fino in America del Sud; Phoebe Hessel, che serve come soldato privato in molti paesi europei durante la prima metà del Settecento; Sarah Emma Edmonds, una delle più famose donne soldato della Guerra civile americana; Nadezhda Durova, la donna russa che, ovviamente sotto mentite spoglie, prese parte alle guerre napoleoniche servendo nella cavalleria, per poi rimanere in servizio nell’esercito altri dieci anni; il dottore James Barry, nata Miranda, ispettore medico delle colonie inglesi; Dorothy Lawrence, un’ambiziosa giovane reporter, che nel 1915 si arruolò per scrivere delle sue esperienze al fronte occidentale, e molte altre ancora.12 Memorie a stampa, ballate, teatralizzazioni, racconti orali coevi e successivi hanno tramandato il mito di queste donne e delle tante che hanno compiuto imprese analoghe. Tra la metà del Seicento e la metà dell’Ottocento le gesta di almeno cento donne-soldato sono state cantate in circa mille variazioni di ballate circolate in Gran Bretagna e America.13 Analogamente, dall’analisi di circa trecento testi teatrali messi in scena a Londra tra il 1670 ed il 1700, è stato calcolato che almeno 89 hanno rappresentato donne che sono diventate soldato.14 11 Per la storia di Catalina de Erauso si veda anche la sua autobiografia: C. De Erauso, Storia della monaca alfiere scritta da lei medesima, Sellerio, Palermo, 1991. 12 Per le figure appena evocate e più in generale per maggiori approfondimenti sul tema delle donne-soldato si vedano tra gli altri: J. Wheelwright, Amazons and Military Maids: Women Who Dressed as Men in the Pursuit of Life, Liberty and Happiness, Pandora Press, London, 1989; D. Danna, Amiche, compagne, amanti. Storia dell’amore tra donne, Mondadori, Milano, 1994, in particolare le pp. 56-61. Per un altro celebre caso di donna in uniforme, quello di Valerie (alias Victor) Baker, si veda anche J. Vernon, ‘For Some Queer Reason’: The Trials and Tribulations of Colonel Barker’s Masquerade in interwar Britain, in “Signs: Journal of Women in Culture and Society”, 2000, n. 1, pp. 37-62. Le memorie di Nadezhda Durova originariamente pubblicate nel 1836 sono state in anni recenti tradotte e pubblicate anche in Italia, con il titolo Memorie del cavalier pulzella, Sellerio, Palermo, 1988. 13 D. Dugaw, Dangerous Examples: Warrior Women and Popular Balladry, 1650-1850, Cambridge University Press, Cambridge, 1994. 14 S. Shepherd, Amazons and Warrior Women: Variety of Feminism in Seventeenth Century Drama, Harvester, Brighton, 1981; L. Jardine, Still Harping on Daughters: Drama in the Age of Shakespeare, Harvester, Brighton, 1983.

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I cambiamenti di genere, dunque, hanno una lunga e variegata storia, hanno tante storie, in molti casi sono diventate figure del repertorio teatrale e più in generale delle tradizioni culturali di molti paesi europei e non. Credo che già da questi cenni emerga quale intreccio di desiderio, libertà, emancipazione, gioco, sperimentazione, chiamassero in campo queste pratiche. Ma anche come per secoli i modi in cui autorità e società le hanno ricevute siano stati anch’essi estremamente eterogenei: celebrazione e condanna lasciavano l’una il posto all’altra, con molte sfumature, a seconda di variabili quali la classe sociale, la congiuntura politica o le stagioni culturali. A fronte di questo polimorfismo dei cambiamenti di genere, ma anche delle sue rappresentazioni e della ricezione di cui sono state oggetto nel corso dei secoli, il panorama tende a una decisa omogeneizzazione e sembra caratterizzato da una forte radicalizzazione dei toni e degli argomenti nel corso del lungo Novecento, quando intervengono importanti novità che tendono a oscurare questa pluralità e che ci portano fino a Porpora e al suo lavoro. Gli studi storici particolarmente attenti alla storia della sessualità e alla storia dei modelli, delle politiche e delle pratiche di genere concordano nel ritenere che gli ultimi decenni dell’Ottocento e i primi del Novecento costituiscano un passaggio chiave in queste narrazioni. Decenni in cui proprio la sessualità e la questione del confine tra maschile e femminile assumono una rilevanza pubblica inedita e, contestualmente, nelle società industrializzate, nelle nuove e confuse società di massa, dilaga una certa nuova ossessione per “l’identità”, soprattutto una brama di strumenti utili per definirla e fissarla.15 15 L’ossessione per l’identità nelle società occidentali in età contemporanea meriterebbe di essere discussa molto più ampiamente, qui è necessario però almeno riferirsi al fatto che non sono estranei a questa pulsione gli spaesamenti culturali e antropologici indotti dal colonialismo e dalle prime forme di globalizzazione legate alle innovazioni tecniche nei mezzi di trasporto e comunicazione, così come le esigenze di governo degli Stati nazione nell’età della nascente società di massa e che si concretizzarono nella nascita dei primi sistemi di segnalamento e identificazione.

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Nel volgere di pochi anni i cambiamenti di genere, le ambiguità di genere e sessuali, il travestitismo, ma anche l’ermafroditismo, vale a dire tutto ciò che rimanda all’infrazione dei confini tra maschile e femminile, siano essi considerati sesso biologico o fatti di costume, comportamenti, diventano una questione che accende gli animi, che trova spazio nella pubblicistica, nella vita quotidiana, che attira l’attenzione della pubblica sicurezza e della comunità scientifica, che, per alcuni versi, assume i tratti di una vera e propria emergenza sociale. Questo genere di vicende viene, allora, raccontato in maniera puntuale e ricorrente sulle pagine dei quotidiani, studiato da psichiatri e antropologi criminali, annoverato tra le espressioni di una patologia appena individuata, l’inversione sessuale. Come già alcuni importanti studi hanno ricostruito, l’assiduità con cui sono affrontate e discusse storie di mutamenti e ambiguità di genere e sessuali nei testi medici e nei quotidiani del periodo ha a che vedere con diverse ragioni di ordine culturale e sociale, piuttosto che con una ipotetica moltiplicazione di questi casi rispetto al passato.16 In primo luogo, questi sono gli anni della divulgazione e comunicazione scientifica e della stampa popolare, con una proliferazione di luoghi (tra i quali spiccano le riviste e i quotidiani), dove possono essere raccontati e registrati i più disparati studi e note cliniche, casi, cronache e avventure, facendo sì che un maggior numero di casi sia documentato. Soprattutto, però, è indubbio che a fine Ottocento medici, scienziati, investigatori sociali, giornalisti, attribuiscano maggiore importanza alle ambiguità di genere e sessuali rispetto al passato, che ne abbiano ricercato i casi con maggiore solerzia e che, intorno ad essi, abbiano spesso disputato per attribuirsene la paternità. Questo maggiore interesse per la determinazione del sesso e del genere sarebbe da legare ad alcuni grandi processi sociali del periodo e alle ansie che essi suscitarono nella cultura e nella società, soprattutto nelle classi dirigenti. 16 Si veda ad esempio A. Domurat Dreger, Hermaphodites and the Medical Invention of Sex, Cambridge, Harvard University Press, 1998.

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In particolare, bisognerebbe guardare all’emergere di nuove forme di visibilità e socialità femminili (e femministe), ma anche omosessuali, e più in generale ai grandi cambiamenti che l’industrializzazione e l’inurbamento innescano nei modelli di genere e sessuali. I nuovi percorsi di autonomia e realizzazione femminile aperti dalla scolarizzazione, dai nuovi modelli familiari, da una maggiore presenza nel lavoro salariato e nelle professioni, così come l’apparire di lavori e consumi non più di esclusivo appannaggio maschile, ma condivisi da uomini e donne, per fare solo degli esempi tra i tanti già ampiamente indagati dalla storiografia, sarebbero i fantasmi che agiterebbero buona parte dell’establishment culturale del periodo. Molta della pubblicistica, soprattutto quella positivista, rispecchia la preoccupazione che l’avvento della “civiltà moderna” porti con sé l’erosione delle gerarchie di genere nel mondo familiare e produttivo – fondamento tradizionale di una solida organizzazione sociale. Non stupisce, allora, che le teorie circa la naturale e stabile divisione tra i sessi servano in questi ambienti prima di tutto a legittimare l’idea che i confini sociali tra uomini e donne abbiano un fondamento naturale, biologico e inviolabile. L’ansia culturale che si sviluppa nel corso del Novecento per le identità mutevoli, per i giochi con le identità di genere sembra quindi vada ricercata nella metafora che la nostra società ha fatto del travestito, del transgender, della drag: minaccia alla divisione stabile tra i generi. Ma non solo. Marjorie Garber si è spinta oltre e ha ipotizzato che il travestimento disegna un campo che rimanda intrinsecamente alla credulità degli spettatori, al loro essersi fatti abbindolare, ma anche alla scoperta che la realtà non è quella che si era creduta; il travestimento, smascherato, rimanda così alla mutabilità delle categorie entro cui si organizza la realtà; in questo senso il travestito/la travestita rivestirebbero un ruolo fondamentale nella cultura occidentale: disegnano non solo la sfida alla divisione binaria e stabile tra maschile e femminile, ma rappresentano l’atto stesso della messa in discussione, lo spazio della crisi della realtà.17 17 Cfr. M. Garber, Interessi truccati, cit., in particolare si veda per questo l’introduzione al volume.

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Ma a mutare nel corso del Novecento non è solo l’intensità con cui l’ossessione verso chi tradisce la separazione tra maschile e femminile, la stabilità delle identità, si propaga nella cultura e nella società, ma è anche lo strumentario normativo che viene adoperato nei confronti di tali trasgressioni. A questo proposito credo sia opportuna almeno una considerazione: in Italia la sanzione delle trasgressioni di genere è stata storicamente demandata all’insieme delle misure di polizia amministrative e in quello delle misure di sicurezza, soprattutto a partire dalla promulgazione del Testo Unico di Pubblica Sicurezza (Tups) nel 1926 e del nuovo codice penale nel 1931 (il cosiddetto Codice Rocco, che rappresenta ancora il nostro complesso di norme di riferimento in materia penale). Fonti che per loro stessa natura e nelle loro differenze avevano due tratti comuni di grande rilievo: queste misure erano applicate a soggetti ritenuti “socialmente pericolosi” e, in secondo luogo, erano caratterizzate dall’indeterminatezza della misura applicata, che poteva essere rinnovata di volta in volta fino a quando il giudice di sorveglianza non decretava esaurita la condizione che aveva dato origine alla sanzione. Come non andare, allora, alla storia di Salvatore M.,18 un uomo che nei primi anni Trenta del Novecento è assegnato alle misure di sicurezza da scontare nella Casa di Custodia e Cura di Aversa perché ritenuto socialmente pericoloso. Nel decreto di assegnazione alla misura si legge che l’uomo era solito passeggiare per la città «con atteggiamenti ed acconciature muliebri» e che una «così grave inversione del senso» non è altro che un chiaro segno di «sconcerto psichico» e «pericolosità sociale», poiché l’uomo, sentendosi ed atteggiandosi come una donna, è incline ad adescare giovani uomini. A rendere Salvatore M. particolarmente pericoloso sono stati, dunque, soprattutto certi suoi giochi con l’identità di genere e la sua vita sessuale. 18 La Casa di Custodia e Cura di Aversa era annessa al locale Manicomio Giudiziario con il quale condivideva personale, spazi, funzionamento. La cartella clinica di Salvatore M. è conservata presso l’Archivio storico dell’Opg di Aversa. Le cartelle cliniche sono prevalentemente raccolte in faldoni ordinati per data di dimissione o morte dei reclusi. Salvatore M. è dimesso il 6-10-1933. I documenti citati in seguito sono tutti contenuti nella sua cartella clinica.

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Sin da giovane, infatti, era conosciuto a tutti con il soprannome di Namminella, proprio per i suoi modi effeminati e perché aveva sempre mostrato una spiccata predilezione per le «faccende da donna», come quella di lavandaio. Con il passare degli anni, poi, continuò ad acconciarsi i capelli alla maniera femminile, adoperando forcine, e a fare sfoggio di collane e altra bigiotteria, nonché ad “intrattenersi” con giovanotti. Vale la pena sottolineare che Salvatore M. non diventò oggetto di attenzione da parte della pubblica sicurezza e dei giudici per altre ragioni: non ha commesso, ad esempio, furti o truffe. È solo l’insieme di queste abitudini, dunque, a rendere auspicabile per le autorità l’allontanamento dell’uomo dal suo ambiente e dalla città. Ad Aversa rimase per un anno e mezzo, fino a quando cioè il direttore dell’istituto non certificò che: «durante la lunga degenza in questo istituto non ha dato luogo mai a lagnanze circa il suo contegno sessuale, che è l’unica origine della sua pericolosità sociale». Ma come non andare a memorie più vicine, come quella della Romanina,19 che quarant’anni dopo Namminella, in piena età repubblicana, fu mandata al confino, anche lei allontanata dal suo ambiente, perché ritenuta socialmente pericolosa, armata di rossetto e parrucca. Memorie di cui Porpora si è già occupata in Tra le rose e le viole e a cui anche il volume che qui viene pubblicato, in una nuova edizione rivista, guarda seppur indirettamente. Al cuore di questo mio lungo excursus dei travestimenti nella storia, infatti, c’è l’intenzione di contribuire a enfatizzare alcuni elementi che spero e mi auguro possano contribuire alla lettura, su diversi piani, del lavoro di Porpora. Se sono andata così lontana per tornare a Porpora e al suo lavoro non è solo perché ciò che lei racconta in questo libro e come lo fa non ha bisogno, banalmente, di essere “introdotto”, ma soprattutto perché intendevo contribuire a restituire all’affresco degli anni Settanta che ci regala Porpora Marcasciano tutta la sua profondità storica. 19 R. Cecconi, Io, la “Romanina”: perché sono diventato donna, Firenze, Vallecchi, 1976.

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AntoloGaia

In primo luogo, AntoloGaia è una narrazione biografica del percorso che dalla provincia meridionale porta alla grande città, dalla comitiva porta ai collettivi, dall’adesione alla sinistra extraparlamentare conduce al movimento omosessuale, ai primi travestimenti e avventure, dalle domande e dai dubbi personali arriva alla dimensione politica e collettiva. Un percorso tortuoso, ma sempre appassionante e pulsante, dove si riconoscono le sedimentazioni di secoli di arte del travestimento, anche oltre le intenzioni dei protagonisti e delle protagoniste: dove teatro, performance, seduzione, desiderio, politica, ma anche trascendenza, si mescolano fino a sgretolare definitivamente e finalmente i confini tra queste tradizioni, fino a dimostrare che giocare con il genere è un’arte che va riconosciuta, che richiede impegno, preparazione, studio, coraggio, passione. In secondo luogo, l’epopea narrata da Porpora, la biografia sua e dei tanti personaggi indimenticabili che ci fa conoscere da vicino sono la chiave di volta per ricostruire varie questioni, prima di tutto gli anni Settanta da un punto di osservazione speciale, snodo di tanti diversi anni Settanta tradizionalmente raccontati l’uno giustapposto all’altro: quello dei militanti della sinistra extraparlamentare, dei creativi, delle femministe, degli omosessuali, dei ragazzi di provincia. La biografia, così, diventa uno strumento di indagine sociale – per dirla con Arnaldo Momigliano – e non un modo per sfuggire a essa. Queste biografie, che non si riferiscono a vite e storie esemplari, che non sono memorie di “uomini illustri” né di più o meno piccoli grandi leader “politici”, di organizzazioni, attraverso cui finora è stata raccontata la storia dei movimenti e della stagione della contestazione e della controcultura, rappresentano uno strumento per costruire l’indagine e la narrazione della realtà sociale, storica, culturale che non è condizionata più solo dalle politiche della memoria di soggetti e narrative mainstream, che trova nei margini e non più (solo) nel centro il punto di irradiazione della “verità” e del racconto stesso. In questo senso, biografie, memorie e narrazioni storiche come quelle che Porpora ci ha regalato diventano strumenti preziosi per intravedere i terreni dove agente storico e struttura sociale si intersecano e si modificano l’un l’altro, dove storia personale e storia collettiva si forgiano l’un l’altra. 20


Nota alla nuova edizione

Avevo programmato da tempo la ristampa di AntoloGaia, non solo per la significativa richiesta del testo divenuto oramai introvabile ma soprattutto per ragioni che riguardano la sua forma. Solo dopo la sua uscita nel 2007 ho scoperto che quella pubblicata era la versione originale, grezza senza alcun editing. Era la prima stesura di cui, per sicurezza, continuavo a conservare diverse copie nel mio computer e dischi esterni. Quando si trattò di inviare il lavoro finale, egregiamente editato da Nicoletta Poidimani, spedii quello primordiale. Anche quando la casa editrice, tranquilla per l’avvenuta revisione, mi inviò l’impaginato chiedendomi di rileggerlo, io per svogliatezza diedi l’assenso senza una lettura attenta. Mi scuso quindi con le lettrici e i lettori della prima versione per gli errori, i refusi e la forma chiedendo di inserire quella svista nella mia poetica o in quella di una generazione. Nella nuova edizione, oltre alla correzione della forma, avrei voluto aggiungere altro e altro ancora, approfondire meglio la parte finale sull’epoca dell’Aids ma sembrava di tradire il documento originale e non l’ho fatto. Resta per i nostri archivi e per la nostra storia un documento di quella grande rivoluzione, dentro un movimento che ho attraversato e mi ha attraversato, dentro, affianco e oltre me… nonostante me! Movimento, flusso in cui oggi più che mai fluisco, perché sono parte di esso ed esso è parte di me.



AntoloGaia

A Marcella Di Folco... Marcellona



Capitolo uno

Le début (1973-1976)

Scrivere è sempre nascondere qualcosa in modo che venga scoperto. Italo Calvino

Da qualche parte in Occidente Ci sono tanti inizi, lo sono tutti quegli eventi della vita che ci emozionano e non ci lasciano indifferenti. Ogni inizio è racchiuso in un momento, in una situazione, in una volta! E quale migliore inizio se non “c’era una volta”?! C’era una volta in Italia, come in tante altre parti del mondo, una realtà un po’ diversa da quella che conosciamo e immaginiamo oggi, una realtà in cui trans, gay, lesbiche, donne e non solo rivoluzionavano la propria vita e di riflesso quella del mondo. Era una scena ancora tutta da inventare, prima che altri l’avessero inventata per noi: bisognava dare senso, forma e soprattutto sostanza alla nostra liberazione. Se mi fossi dovuto attenere alle regole dello scrivere, dello scrivere dotto, non avrei potuto riportare la testimonianza di un periodo molto importante della storia Lgbt. Se avessi potuto lo avrei raccontato in versi, perché la poesia – meglio di ogni altra cosa – potrebbe descrivere quella scena su cui si muovevano artisti e sognatori, vagabondi e intellettuali, creativi e rivoluzionari, streghe, maghi, marziani e zingari felici. Un periodo intenso, ricco di avvenimenti, di idee, incarnato dalle figure di quelle che io definisco “pioniere” 25


T

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Per trip intendo il viaggio che comprende tutto il mio percorso, quello che avevo cominciato nel settembre del 1973, quando mi si spalancò davanti un nuovo mondo, quando cominciai a capire tante cose, a prendere coscienza, quando smisi di vergognarmi e compresi che tutto quello che mi era stato detto fino a quel momento era falso. Gli indiani non erano i cattivi, i comunisti non erano cannibali, gli anarchici non erano assassini e gli omosessuali non erano mostri, gli stronzi che vorrebbero fartelo credere sono invece autentici: stronzi, veramente stronzi.


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