Pablo Iglesias Turriòn
Pablo Iglesias Turriòn
Democrazia anno zero Il manifesto politico del leader di Podemos Con un’intervista a
Maurizio Landini Democrazia anno zero A cura di Matteo Pucciarelli e Giacomo Russo Spena
Tempi moderni
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Il manifesto politico del leader di Podemos di
Pablo Iglesias Turriòn A cura di Matteo Pucciarelli Giacomo Russo Spena Con un’intervista a
Maurizio Landini Traduzione dallo spagnolo di Dario Di Nepi
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Edizione originale: Pablo Iglesias Turriòn, Disputar la democracia, © 2014 Ediciones Akal, S. A. Per favorire la libera circolazione della cultura, è consentita la riproduzione di questo volume, parziale o totale, a uso personale dei lettori purché non a scopo commerciale. © 2015 Edizioni Alegre - Soc. cooperativa giornalistica Circonvallazione Casilina, 72/74 - 00176 Roma e-mail: redazione@edizionialegre.it sito: www.edizionialegre.it
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Indice Intervista a Maurizio Landini La socialdemocrazia non esiste più Matteo Pucciarelli e Giacomo Russo Spena
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Prologo Podemos: futuro anteriore
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Prefazione Perché dobbiamo lottare per la Democrazia
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Introduzione Munizioni politiche per tempi di crisi
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Capitolo uno La politica. Il pessimismo della ragione e l’ottimismo della volontà Avvertenze sulle malattie infantili Avvertenze sulle malattie senili Power is power. Si gioca a scacchi o a boxe? La violenza Il Diritto Realpolitik e ragion di Stato La lotta per l’egemonia Antisistema e prosistema
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Capitolo due 67 La Storia. Il Futuro ha un cuore antico La battaglia per la democrazia (da più di cento anni) 67 Canovas: il padre della destra spagnola che disprezzava la Spagna 68 Bipartitismo, oligarchie e caciques: il banchetto della minoranza 71 Il ’98 e la “rigenerazione della politica” 74 L’irruzione del movimento operaio e dei nazionalismi regionali 76 Politici al servizio delle élite economiche e crisi di regime 79
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Una dura lezione per la sinistra 85 Il triennio bolscevico e la fine dell’alternanza 87 La dittatura di Primo de Rivera 90 La Repubblica 97 La fascistizzazione della destra spagnola e la Rivoluzione delle Asturie 103 La vittoria del Fronte Popolare 106 La guerra civile: la prima battaglia della Seconda Guerra Mondiale 109 Il terrore 111 Il consolidamento del franchismo 114 La Transizione 118 Capitolo tre La Crisi. L’economia è politica Introduzione: il Partito di Wall Street Una crisi globale Ti ricordi di Billy Elliot? E così è arrivato il “colpo di Stato” Non vale la pena pensare, a Bruxelles lo fanno per noi Ricchi e poveri nella provincia spagnola Chi ci sta derubando?
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Capitolo quattro Il Regime. Il potere e la casta Introduzione. Una crisi di regime Vi ricordate il 23F? La corruzione come forma di governo La Casta La legge è uguale per tutti? Le divise La lobby cattolica I padroni dell’informazione
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Epilogo Vincere le elezioni non significa prendere il potere
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Ringraziamenti
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Prologo
Podemos: futuro anteriore
Una buona parte di questo libro è stato scritto alla fine dell’estate del 2013. Allora Podemos era solo una vaga ipotesi senza nome che immaginavo in modo ben diverso dai termini in cui si è poi effettivamente realizzata. Il progetto che sta scuotendo la politica del nostro Paese e ha cambiato la vita di coloro che vi si sono impegnati, allora consisteva solo in una serie di conversazioni e riflessioni tra alcuni compagni. Volevamo passare all’azione, ma non avevamo calcolato la dimensione che avrebbe assunto quello che stavamo cominciando a costruire. Terminata l’estate, prima degli impegni che avrei avuto nel nuovo progetto, avevo pensato di finire il libro durante le vacanze di Natale. Non molto tempo prima erano stati pubblicati due miei libri sul cinema e sulla politica, e stava per uscire Abajo el Régimen, una conversazione politica con Nega, cantante dei Los chicos del Maiz. Non aveva senso quindi finire il nuovo libro troppo velocemente. Ma all’arrivo del Natale si era già innescato quel vortice che ci avrebbe portato, nel mese di gennaio, a sovvertire tutti gli schemi. Da quel momento è diventato quasi impossibile trovare il tempo per finire il libro; oltre che occuparmi della campagna elettorale e a continuare a esser presente nei media, dovevo dare lezione all’Università e presentare i programmi televisivi La Tuerka e Fort Apache. Il mio impegno con l’editore mi costringe ora a rivisitare, rivedere e completare il testo originale. Rileggendolo scopro che il suo significato è cambiato completamente. Il suo obiettivo 23
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iniziale era quello di diffondere le riflessioni politiche di un professore universitario e presentatore di due programmi televisivi di due piccole emittenti che, da alcuni mesi, era riuscito ad aprirsi un varco nel grande pubblico come commentatore politico anche in qualche importante televisione. Quelle riflessioni, che all’epoca avrebbero potuto essere di un certo interesse (limitato ad ambiti molto specifici), ora sono le riflessioni del portavoce di una forza politica che ha ottenuto 1,2 milioni dei voti alle elezioni europee e che tutti i sondaggi collocano tra le prime tre forze politiche del Paese. Sono consapevole di questo e vi confesso che non mi sento perfettamente a mio agio mettendomi a scrivere. Podemos, nei primi mesi di vita, è stata segnata dalla mia popolarità mediatica al punto che i responsabili della comunicazione della campagna elettorale hanno scelto di mettere la mia faccia nelle schede elettorali, cosa che ci ha procurato tante critiche (in molti casi giuste) ma, visti i risultati, si è rivelata un successo e un chiaro indicatore del nostro stile politico; uno stile che, provocatoriamente, potrebbe essere riassunto nel motto: “Se vuoi vincere, non fare quello che farebbe la sinistra”. Anche se la mia esposizione mediatica rimane enorme, la necessità iniziale di collegare la nostra forza politica alla mia faccia e alla mia voce è stata superata: sono sempre di più i portavoce di Podemos che mostrano ai mezzi di comunicazione la solidità del progetto. Inoltre, la nostra crescita e il nostro consolidamento organizzativo garantiscono in futuro un molto più auspicabile e ragionevole protagonismo collettivo. A volte i giornalisti mi chiedono dove mi piacerebbe essere tra qualche anno. Rispondo sempre ad insegnare, ma devo aggiungere che, mantenendo una responsabilità politica, mi piacerebbe non essere in una posizione così esposta alle luci dei riflettori, per poter scrivere, tra l’altro, libri come questo. La gioia e la speranza per il successo politico di Podemos e le prospettive di cambiamento che ha aperto nel nostro Paese sono però inversamente proporzionali alle sensazioni che mi consegna il mio lavoro da “saggista”. Scrivere non può più essere 24
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Prologo
solo il frutto del mio modesto lavoro da politologo, e ancor meno l’espressione di una ribellione che ho sempre cercato di esplicitare con uno stile rigoroso ma, allo stesso tempo, provocatorio e irriverente. Adesso tutto ciò che scrivo viene guardato con la lente di ingrandimento. Anche i miei compagni, quelli più vicini, che mi conoscono bene, sono costretti di tanto in tanto a farmi notare, con un po’ di ironia e un po’ di serietà, che non posso più essere l’enfant terrible di un tempo. Ma ora dobbiamo parlare di questo libro. Rileggendolo trovo elementi che oggi mi saltano agli occhi. Non è un lavoro intellettualmente eccezionale, ma ha la freschezza di esser stato scritto senza compromessi e servirà, senza dubbio, a far conoscere il mio punto di vista senza le sfumature imposte dalla responsabilità politica, consentendo ai lettori di conoscere anche una parte del “futuro anteriore” di Podemos. Santos Juliá – sulle pagine del País – ha scritto, con l’affascinante rancore di chi è passato dall’altra parte, che le mie risposte all’intervista che ho avuto con il giornalista Jacobo Rivero «davano l’impressione di essere state riviste prima di essere mandate in stampa». Il ladro d’altronde crede che tutti sian fatti come lui. Non ho modificato una virgola della trascrizione dell’intervista che Jacobo mi ha mandato; se ci sono state correzioni sono state quelle del correttore di bozze. Modifiche che hanno adattato l’intervista parlata a un testo scritto. I contenuti sono rimasti intatti. Tuttavia una cosa è vera: nell’intervista parlavo da politico, portavoce di Podemos. Qui no. Ecco perché questo libro è così particolare. Né le mie riflessioni, né lo stile con cui è scritto, sono condizionati in nessun modo da responsabilità politiche equivalenti a quelle che ho ora. Questo è il suo valore e la sua unicità. Questo libro infatti esce perché era già scritto e perché mi sono impegnato a farlo uscire. Non risponde alle esigenze politiche del presente. Per questo spero che tutti i lettori possano usufruirne, soprattutto chi da mesi si sforza di “farmi le pulci” su ogni cosa. Io sono qui, pronto a combattere nel recinto del bestiame con il mio ultimo sorriso da enfant terrible. Approfittatene, perché non potrò darvi molte altre opportunità. 25
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Prefazione
Perché dobbiamo lottare per la Democrazia
Nel suo discorso alla Convenzione Nazionale del 7 febbraio 1794, Maximilien Robespierre disse che «la democrazia è uno Stato in cui il popolo sovrano, guidato da leggi frutto della sua opera, agisce per conto proprio ogni volta che è possibile, e tramite i suoi delegati quando non può agire da solo». Più di 2.000 anni prima gli ateniesi avevano unito i termini demo (popolo) e kratos (potere), definendo un sistema politico diverso dalla monarchia (il governo di uno solo) e dall’aristocrazia (il governo di pochi). Per questo possiamo definire la democrazia il movimento che ha come obiettivo quello di strappare il potere a chi se ne è impossessato (il monarca o le élite) per distribuirlo al popolo, che è chiamato a esercitarlo in prima persona o tramite suoi delegati. Quel movimento di socializzazione del potere è parte dello spirito delle rivoluzioni moderne e della lotta per l’estensione del suffragio universale. La Rivoluzione francese strappò il potere ai nobili e al Re per consegnarlo al Terzo Stato. Da lì sono emerse le nozioni politiche di destra (i difensori dei privilegi) e sinistra (chi metteva la sovranità nazionale al di sopra di qualsiasi altro potere). I sanculotti e Robespierre vollero andare oltre e i cordeliers (la gente comune), con Marat e Danton in testa, lottarono per l’introduzione del suffragio universale maschile contro i girondini, sostenitori dei privilegi e del suffragio per censo. Questo processo rivoluzionario di socializzazione del potere inaugurava una nuova era di cui sia i liberali che i socialisti sono 27
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figli. La rivoluzione, infatti, ha fondato le basi ideologiche della politica moderna: l’uguaglianza, la libertà e la fraternità. Lo sviluppo degli avvenimenti ha trasformato il concetto di uguaglianza in un diritto puramente formale, costituzionalizzando le relazioni materiali determinate dalla proprietà privata. Ad Haiti i giacobini neri si dimostrarono i migliori rappresentanti della tradizione democratica della rivoluzione, riuscendo a sconfiggere, per un certo periodo di tempo, le potenze schiaviste dell’epoca e venendo condannati per questo alla repressione e alla povertà, ossia le condizioni che i difensori dei privilegi riservano ai rivoluzionari quando riescono a sconfiggerli. Poi sono venuti il movimento operaio e il socialismo (i movimenti in assoluto più democratici), che hanno lottato e ottenuto l’estensione del diritto di voto e dei diritti sociali. Infine fu la volta delle rivoluzioni anticoloniali, che hanno sfidato il razzismo europeo e hanno imposto l’idea di nazione come massima espressione della sovranità popolare. Va detto chiaramente: la lotta democratica è sempre stata un processo di socializzazione del potere. I socialisti, nelle loro diverse tradizioni, hanno assunto come nozione di Stato quella che lo rappresenta come consiglio di amministrazione della classe economicamente dominante (la minoranza) contro le classi subalterne (la maggioranza). Solo l’assunzione del potere da parte della maggioranza poteva rompere questo rapporto asimmetrico tra le classi e rimuovere così le basi materiali della disuguaglianza. Non c’è dubbio però che, nella maggior parte dei casi, la cosiddetta dittatura del popolo rappresentato dal proletariato sia diventata il governo di un partito e, infine, il governo delle élite di quel partito, disposte a vendersi al miglior offerente come hanno dimostrato molti burocrati dell’ex blocco sovietico, riciclatisi spesso come imprenditori di successo o come leader dei processi di transizione ai sistemi ultraliberisti. Ma il fallimento e gli orrori delle esperienze del socialismo reale non fanno passare in secondo piano gli orrori delle diverse forme di capitalismo, a partire dai crimini presenti e passati del colonialismo, passando per il fascismo europeo, le bombe nucleari e al napalm sganciate 28
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Prefazione
dagli Usa contro i civili, fino al totalitarismo del libero mercato responsabile di molti colpi di Stato, della situazione di povertà in cui si ritrova la maggior parte della popolazione mondiale, e del degrado ambientale arrivato ormai a livelli insostenibili. Gli avanzamenti sociali hanno dovuto attraversare orrori provenienti da esperienze diverse, ma è innegabile che l’aspirazione del movimento socialista fosse quella di ottenere conquiste sociali, democrazia e diritti umani. Chi ha in mano il potere, i loro intellettuali e la loro casta politica, continuano a dire che la democrazia non è altro che un processo di selezione delle élite che eserciteranno il controllo dell’amministrazione pubblica. Per loro è sufficiente che si possa scegliere tra il partito A e il partito B per avere una democrazia compiuta. Questa nozione di democrazia limitata e sotto tutela dei potenti non è una novità, e hanno accettato lo stesso uso della parola “democrazia” solo perché non avevano altra scelta. La pressione democratica esercitata dai movimenti socialisti e di liberazione nazionale ha fatto rinunciare i liberali al suffragio per censo e, alla fine, le Costituzioni democratico-liberali hanno sancito che la democrazia, in quanto sistema politico, è un insieme di procedimenti che garantiscono le elezioni a suffragio universale dei propri rappresentati a intervalli regolari, la divisione dei poteri, la supremazia del diritto di proprietà sui diritti sociali e la garanzia di alcune libertà civili che permettono l’esistenza di diverse opzioni elettorali. Senza dubbio i liberali hanno sempre cercato di resistere all’avanzamento della socializzazione portata dalla democrazia. Sieyès, nei suoi scritti sulla rivoluzione, diceva che i non proprietari non erano altro che una folla senza libertà né moralità. In effetti, tutte le tradizioni su cui si sono costruite le fondamenta delle Costituzioni liberali, hanno considerato la proprietà privata l’asse giuridico su cui orientare le relazioni tra politica ed economia. I padri fondatori negli Usa costruirono un regime politico che si basava sulla protezione degli interessi dei proprietari di terre e schiavi. Come disse John Adams, il secondo presidente degli Stati Uniti, «nel momento in cui 29
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si diffonde l’idea che la proprietà non sia sacra come le leggi di Dio iniziano l’anarchia e la tirannia». I liberali hanno sempre identificato l’uomo politico con l’uomo proprietario. E in fondo continuano a pensarla così. Per i liberali puri la libertà è permettere ai ricchi di esercitare il loro potere di coercizione sul resto della società senza nessun tipo di controllo. Limitare la democrazia al diritto di votare diversi partiti, nonostante in termini storici rappresenti un notevole avanzamento, è del tutto inaccettabile per noi che ci definiamo democratici, e per questo dobbiamo rifiutarne questa nozione minima. Il fatto che si possa votare è importante ma non sufficiente. Per far sì che ci sia democrazia è necessario che la maggioranza detenga il potere e che spariscano i privilegi della minoranza. Se i privilegi si socializzano si trasformano nei diritti alla base della libertà. Per questo chi attacca i diritti civili e i diritti sociali va contro la democrazia. Chi trasforma il diritto all’assistenza sanitaria, all’istruzione, a pensioni di vecchiaia o invalidità, a lavorare in condizioni dignitose, in un privilegio per pochi, sta di fatto attaccando la democrazia. Dopo l’estensione del suffragio universale ottenuta dal movimento operaio, la sconfitta del fascismo e le vittorie dei movimenti di liberazione nazionale, la democrazia è diventata il concetto politico più valorizzato. Qualsiasi regime politico, indipendentemente dalle sue caratteristiche, qualsiasi partito politico, indipendentemente dalla sua ideologia, qualsiasi movimento sociale indipendentemente dai suoi scopi, rivendica di essere democratico. Ma la democrazia non è un significante vuoto, né un minimo comun denominatore della retorica di un qualunque attore politico, né tantomeno un insieme di procedimenti per la selezione delle élite. La democrazia può essere solo una caratteristica dell’organizzazione e della distribuzione del potere. Negli ultimi decenni si è prodotta una controrivoluzione che ha trasformato i sistemi democratico-liberali nella caricatura di sé stessi. Il trasferimento di potere sovrano (militare, economico, giuridico ecc.) dai cosiddetti Stati nazionali alle agenzie transnazionali, che di fatto hanno in mano gran parte 30
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Prefazione
del potere (la Troika, il G8, il Fmi, la Banca Mondiale, la Nato, le grandi multinazionali private, le agenzie di rating, ecc.), ha svuotato i poteri di quell’istituzione politica fondamentale in cui si supponeva risiedesse il controllo democratico: lo Stato. La crisi, su cui ci soffermeremo più avanti, non ha fatto che accelerare la controrivoluzione di una minoranza contro la maggioranza. Per questo è decisivo rivendicare la democrazia come asse della lotta politica per coloro che aspirano a una società più giusta. Questo libro vuole essere anche questo: una modesta cassetta degli attrezzi per la prassi politica di quelli che lottano per una società degna, un compendio di argomentazioni e tecniche di combattimento necessarie a spiegare la realtà delle cose e il cui obiettivo non è proporre un discorso politico che ci collochi sempre più a sinistra degli altri, ma che sia utile a essere gli interpreti e i difensori della democrazia.
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Introduzione
Munizioni politiche per tempi di crisi
In un’intervista telefonica nella puntata numero 100 di La Tuerka1, Inigo Errejòn2 disse che se avevamo ottenuto qualcosa con questo programma era stato diffondere “munizioni politiche” alle persone per le loro battaglie per la libertà. È stato questo, senza dubbio, il nostro più grande contributo. Grazie alla Tuerka molti degli argomenti definiti troppo radicali dalle élite mediatiche, politiche e accademiche hanno iniziato a far parte della discussione politica. Per la prima volta, nonostante tutte le difficoltà e i limiti, la sinistra poteva parlare da un proprio programma televisivo e, cosa più importante, cercava di non parlare solo a sé stessa. Il contesto certamente ha facilitato il nostro lavoro. La crisi stava iniziando a erodere gran parte dei consensi delle élite politiche dominanti e l’irruzione di una grande indignazione chiedeva a gran voce gli strumenti per combattere sullo stesso terreno dell’ideologia dominante. Il nostro programma, a poco a poco e con un proprio stile, ha iniziato a mettere in circolazione le argomentazioni che servivano alle persone indignate per la situazione, a discutere nei propri luoghi di lavoro, nei Bar, nelle facoltà o in qualsiasi altro luogo. Ma, soprattutto, le 1 Programma di dibattito politico e sociale trasmesso dalla televisione Canal 33 ed attualmente da Publico TV. 2 [Ricercatore universitario, tra i fondatori e dirigenti più importanti di Podemos, NdR].
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Isbn 978-88-98841-19-6
Pablo Iglesias Turriòn
«Di fronte a chi usa il termine “antisistema” come un insulto, possiamo affermare che quasi tutti gli avanzamenti politici dell’umanità si devono, in buona misura, all’azione dei movimenti antisistema. Paradossalmente, nella storia, a risultare impresentabili alla luce di qualsiasi progetto democratico sono stati proprio i “pro sistema”: difensori della schiavitù, del suffragio per censo, del razzismo, del lavoro minorile, contrari ai diritti sociali, difensori del fascismo, e un lungo ecc. ecc. I “pro sistema” di oggi sono i difensori delle istituzioni internazionali senza nessun controllo democratico, in cui organismi come il Fmi, la Banca Mondiale o la Troika comandano i governi nazionali; sono i sostenitori delle privatizzazioni dei beni comuni e della socializzazione delle perdite economiche causate dai fallimenti dei privati; sono i difensori di un sistema che continua a fondarsi sulla protezione dei privilegi di una minoranza rispetto ai diritti della maggioranza».