Valerio Renzi
La politica della ruspa La Lega di Salvini e le nuove destre europee
Tempi moderni
La politica della ruspa La Lega di Salvini e le nuove destre europee Valerio Renzi
Per favorire la libera circolazione della cultura, è consentita la riproduzione di questo volume, parziale o totale, a uso personale dei lettori purchÊ non a scopo commerciale. Š 2015 Edizioni Alegre - Soc. cooperativa giornalistica Circonvallazione Casilina, 72/74 - 00176 Roma e-mail: redazione@edizionialegre.it sito: www.edizionialegre.it
Analisi, notizie e commenti www.ilmegafonoquotidiano.it
Indice Introduzione
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Capitolo uno Fascioleghisti
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Capitolo due Dalla destra plurale alla destra populista
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Capitolo tre Tra web e realtà
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Capitolo quattro Dall’etnoregionalismo alla destra nazionale
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Capitolo cinque L’Europa vira a destra
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Capitolo sei Nel laboratorio verdenero
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Capitolo sette 101 “Prima gli italiani”, differenzialismo e razzismo senza razza Capitolo otto L’invenzione della “teoria del gender”
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Capitolo nove Sognando Putin
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Conclusioni
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Bibliografia
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Ringraziamenti
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La politica della ruspa
Open your eyes, time to wake up Enough is enough is enough is enough.
Introduzione
Se ne va in giro su e giù per l’Italia su una ruspa, a volte è vera a volte solo metaforica. Con il suo Caterpillar il leader leghista Matteo Salvini vuole abbattere i campi rom, spianare i centri d’accoglienza, spazzare via il governo Renzi e l’euro. Qualcosa non va? E allora ruspa! Tabula rasa, e chi se ne importa delle macerie. La sua ruspa Salvini se la porta anche in televisione e sui palchi di mezza Italia, stampata sulla maglietta d’ordinanza, calzata sopra la camicetta o in versione giocattolo. La ruspa è la metafora della politica di Salvini: radicale e semplice da comprendere, una macchina fieramente populista e popolana. Una retorica irragionevole e spesso irrazionale, politicamente scorretta: prima spianare poi discutere. Per prima cosa Salvini ha rivolto la sua ruspa verso il suo stesso partito, facendo scordare gli scandali della “vecchia Lega”, seppelliti sotto una valanga di slogan, selfie e post su Facebook, portati via assieme all’iconografia del popolo padano. Via la canotta ecco la t-shirt, senza rinunciare al celodurismo del vecchio capo. Invece di avviare un’impresa di movimentazione della terra, Salvini con la sua ruspa è diventato un ambizioso imprenditore politico: pronto a raccogliere le macerie del berlusconismo per edificare un centrodestra a trazione “Lega della Nazione”. E sulla ruspa che corre forte nei sondaggi provano a salire tutti: trombati e riciclati, e camicie nere senza neanche il doppio petto. Quei neofascisti che Salvini frequentava quando era solo un consigliere comunale o un europarlamentare 11
La politica della ruspa
che cantava goliardicamente “o vesuvio lavali col fuoco”, ora lo osannano come “il capitano”, pronti a partecipare entusiasti al lavoro di demolizione, imbarcati da un leader politico che finalmente li rappresenta. Il Bossi in canottiera e gli slogan contro i terroni diventano così ingiallite foto di repertorio, così come i militanti vestiti da celti o druidi pronti a farsi immortalare al rito pagano dell’ampolla del Po. Le immagini sbiadite della Lega che fu, scorrono via assieme a quelle del Nord produttivo, dei distretti della piccola e media industria che crescono al pari o di più dell’economia tedesca. Un mondo cancellato dalla crisi economica, dalla finanziarizzazione dell’economia e dalle politiche di austerità. Così nel serbatoio della sua ruspa Salvini può mettere tutto il risentimento sociale in circolazione, ben miscelato con le paure di chi vede il proprio mondo crollare e il futuro sempre più incerto. Tutto questo fa da carburante per la macchina leghista, mentre dal tubo di scappamento escono i gas tossici della microfisica dell’odio. “Tutti a casa loro”, mentre si prende cappuccino e cornetto; “a loro danno trenta euro al giorno e agli italiani niente”, quando si è in attesa alla fermata dell’autobus; poi in fila alle poste si sente dire “pensa che hanno protestato perché non vogliono la pasta, loro nell’albergo al mare e io scemo che pago l’affitto”. Non è la banalità del male ma la banalizzazione della realtà. E ogni tanto capita che qualcuno non si accontenti più di borbottare al bar e passi dalle parole ai fatti. Quando “la misura è colma” e il piccolo schermo e gli appelli irti di punti esclamativi su Facebook indicano l’obiettivo da colpire. L’uomo nero è accucciato negli anfratti delle nostre città, e spesso e volentieri è anche negro, o rom, che poco cambia. E la ruspa passa, raccogliendo poi ciò che ha seminato. Dietro il carro cingolato di Salvini c’è un popolo indistinto, senza classi sociali, un unico corpo armato di forconi e torce, pronto a dar sfogo ai propri istinti. Ma per capire come e perché la ruspa si sia messa in moto non basta scavare nel torbido dell’animo italico. Serve invece prendere un po’ di distanza e provare a ripercorrere le vicende 12
Introduzione
delle destre italiane almeno negli ultimi vent’anni. Se è presto per storicizzare il ventennio berlusconiano, possiamo però vederne i frutti davanti ai nostri occhi. Caduto il satrapo, la retorica della ruspa sembra rappresentare un piano B. Gli slogan di Salvini non vengono dal laptop di qualche pubblicitario senza scrupoli, ma sono inseriti nella storia delle idee delle destre radicali in Italia e in Europa. Per questo c’è bisogno di ricostruirne la genealogia, senza fermarsi allo sdegno o liquidarli come “becero populismo”. Non basta affibbiare a un programma politico un giudizio morale per disinnescarlo, se non si capisce prima capire da dove nasce la sua efficacia, in quali fenomeni reali si inserisce e quali narrazioni produce. Bisogna scavare a fondo per comprendere come la ruspa si sia messa in moto, da dove abbia iniziato la sua corsa. Alzare l’orizzonte per scoprire cosa accade in Europa. Tra i memorandum imposti alla Grecia e i miliardi di euro versati dal quantitative easing per salvare il sistema creditizio e gli interessi dei debitori, l’Europa dei falchi del rigore sembra preferire la regola aurea del 3% tra deficit e Pil alla democrazia e al benessere sociale. Insieme agli effetti sociali delle politiche di austerità, assistiamo all’avanzata dell’estrema destra, dalla ricca Svezia alla Francia di Marine Le Pen, dalla Grecia di Alba Dorata alle marce del movimento anti immigrati tedesco Pegida. Quello delineato fin qui è grosso modo il compito che ci siamo posti scrivendo questo volume, che vuole essere un contributo a capire nella sua complessità e con una prospettiva di medio e lungo periodo non solo l’ascesa di Salvini come leader della Lega, ma il più complessivo fenomeno delle nuove destre a livello europeo. Una cassetta degli attrezzi per smontare la ruspa e vedere come girano le rotelle degli ingranaggi.
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Capitolo uno
Fascioleghisti
Il 15 luglio 2015 cade nella settimana più calda dell’anno. La colonnina di mercurio sfiora i 40 gradi in tutto il paese e, forse proprio per il caldo che annebbia la mente, l’allarme invasione dà i sui frutti. Prima assistiamo al rifiuto istituzionale di sindaci di ogni schieramento a ospitare nelle proprie città rifugiati e richiedenti asilo, poi alla battaglia delle regioni del nord governate dal centrodestra – capitanate da Bobo Maroni – contro un’equa ripartizione del peso dell’accoglienza. «Ho deciso di scrivere una lettera ai Prefetti per diffidarli dal portare in Lombardia nuovi clandestini – tuona Maroni – e ho deciso di scrivere ai sindaci per dirgli di rifiutarsi di prenderli, mentre a quelli che dovessero accoglierli ridurremo i trasferimenti regionali, come disincentivo, perché non devono farlo e chi lo fa viola la legge».1 Al governatore lombardo si accodano subito i neoeletti Giovanni Toti in Liguria e Luca Zaia in Veneto. Poco importa che le tre regioni messe insieme ospitino meno migranti della sola Sicilia.2 Un clima avvelenato da un dibattito politico che vede da mesi al centro “l’emergenza migranti” e i campi rom: secondo i dati Demos raccontati su Repubblica da Ilvo Diamanti gli italiani che vedono nell’immigrazione un problema per la sicurezza 1 Giampiero Rossi, Maroni diffida i sindaci: basta immigrati. Cresce la tensione tra Regioni e governo, in “Corriere della Sera”, 6 giugno 2015. 2 Il Dossier n. 210 del Centro Studi del Senato dell’aprile 2015 offre i dati più aggiornati a disposizione sulla redistribuzione di migranti e rifugiati regione nelle Regioni italiane: http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/00912705.pdf
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La politica della ruspa
sono cresciuti del 9 per cento in sei mesi, passando dal 33 al 42 per cento.3 La strategia dà i suoi frutti a Treviso, dove nella notte tra il 15 e il 16 luglio vengono date alle fiamme per strada le suppellettili degli appartamenti dove devono essere accolti un gruppo di richiedenti asilo. Un operatore sociale viene aggredito, e la polizia resta a guardare. Il giorno dopo continuano le tensioni, con minacce di morte e l’intervento dei militanti di Forza Nuova che vorrebbero impedire la distribuzione del cibo ai migranti.4 I residenti di Quinto Treviso dicono di non essere razzisti, ma hanno paura che le loro case vengano svalutate dalla presenza dei rifugiati mentre ancora pagano il mutuo, e non vogliono che la loro quiete venga stravolta dai nuovi arrivati. Per evitarlo, sono pronti a tutto. Mentre il prefetto Maria Augusta Marrosu viene rimossa da Angelino Alfano, gli attivisti del centro sociale Django di Treviso manifestano pacificamente fuori dalla prefettura, ma vengono manganellati e portati in Questura.5 Cinque ragazzi si ritrovano agli arresti domiciliari mentre qualche giorno dopo la questura commina 19 fogli di via per i migranti. Sembrano lontane le scene di giubilo di chi fuori il palazzo del Comune festeggiava la “liberazione” da 19 anni di governo della città targato Lega, quando nel giugno del 2013 Giovanni Manildo, a capo di una coalizione di centrosinistra, conquistava la poltrona di sindaco contro lo “sceriffo” Giancarlo Gentilini, due volte sindaco e due volte vicesindaco. Evidentemente, dopo vent’anni di gentilinismo, il solo cambio di guardia istituzionale non è sufficiente a produrre un reale cambiamento. Giancarlo Gentilini è il primo a usare le ordinanze che può promulgare direttamente il sindaco per combattere degrado, 3 Ilvo Diamanti, Gli amplificatori della paura, in “la Repubblica”, 17 agosto 2015. 4 http://www.repubblica.it/cronaca/2015/07/17/news/la_rivolta_di_treviso_contro_i_ profughi_roghi_e_scontri_via_i_neri_da_qui_-119252034/ 5 http://www.globalproject.info/it/in_movimento/treviso-presidio-pacifico-solidaleper-i-profughi-sgomberato-con-violenza-37-attivisti-fermati-e-di-questi-5-in-stato-di-arresto/19273; http://www.globalproject.info/it/in_movimento/treviso-diritto-di-vendetta-laquestura-notifica-i-fogli-di-via-dopo-il-presidio-di-venerdi/19284
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1. Fascioleghisti
clandestini, rom e così via. Un esempio di utilizzo delle istituzioni che fa scuola. Si comincia, sempre in nome della sicurezza, col togliere le panchine dai parchi pubblici per impedire ai senza tetto di poterci dormire, per poi prendersela con i venditori ambulanti di fiori e portare avanti una campagna senza quartiere contro il “problema extracomunitari”. Il primo maggio del 2001 Gentilini espone al Messaggero la sua brillante formula per risolvere il problema dell’immigrazione: «Vagoni piombati per rispedirli da dove sono venuti». Una tra le tante sparate del sindaco sceriffo.6 A Quinto Treviso, mentre la tensione è ancora alta tra agenti in assetto antisommossa e cittadini in presidio permanente, si precipita il governatore Luca Zaia, ex ministro dell’ultimo governo Berlusconi ed ex presidente della Provincia di Treviso, appena riconfermato con oltre il 50 per cento dei voti alla guida della Regione Veneto. Zaia appoggia le proteste: nessun problema, i cittadini hanno fatto bene a fare quello che hanno fatto. «Stanno Africanizzando il Veneto», «il governo non deve mandare più neanche un solo profugo», «abbiamo già 571mila immigrati» , «questa è casa nostra decidiamo noi non i prefetti»7. Il vecchio adagio “padroni a casa nostra” vince, i migranti vengono sbattuti in una caserma in disuso, senza neanche un momento di riflessione sulla necessità di pianificare l’accoglienza, di diffonderla sul territorio per evitare la creazione di ghetti nel tessuto urbano. Del resto, solo due giorni prima Zaia dichiarava: «Questa gente non ha certamente muscoli da morti di fame. Li avete visti? Non venitemi a raccontare che gente che ha i muscoli così sviluppati, così tonici, sani e ben in carne, scappa dalla fame, non esiste questa pantomima».8 Insomma, se gli 6 Per una raccolta di frasi “celebri” di Gentilini: http://corrieredelveneto.corriere. it/veneto/notizie/politica/2013/10-giugno-2013/leprotti-vagoni-piombati-gay-frasicelebri-sceriffo-2221580964729.shtml 7 Andrea Montanari, Zaia attacca il prefetto. “Stanno africanizzando la nostra regione”, in “la Repubblica”, 17 luglio 2015. 8 http://tv.ilfattoquotidiano.it/2015/07/14/lega-zaia-profughi-sono-tonici-sani-e-incarne-non-hanno-muscoli-da-morti-di-fame/394510/
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La politica della ruspa
immigrati, i rifugiati, i profughi, non rispondono al cliché dell’africano pelle e ossa in fuga dalla siccità nel deserto, o lasciato morire di fame in un campo per sfollati da guerre feroci, non ha diritto all’accoglienza, o meglio, forse mente sulla sua provenienza e la sua storia. Parole simili a quelle di Simone Di Stefano, vicepresidente e volto della virata leghista di Casa Pound, per descrivere i migranti arrivati a Casale San Nicola: «Non sono rifugiati, sono semplici immigrati clandestini, presi in mezzo al mare e portati alla periferia di Roma, tanto questi chi li controlla? Dicono di essere rifugiati e va bene così. Erano giovani in salute, ci riprendevano con il telefonino ultimo modello, qualcuno ha mostrato il dito medio».9 Treviso chiama e Roma – e Casa Pound – risponde. Il 17 luglio un centinaio di cittadini tenta di impedire l’ingresso a diciannove migranti in un centro d’accoglienza approntato nel quartiere romano di Casale San Nicola. Anche in questo caso la geografia è importante. Siamo alla periferia nord di Roma, tra la Storta e l’Olgiata, nel cuore nero della Capitale. Un quartiere residenziale di villette a schiera, rifugio della borghesia romana “cafona”, niente lignaggio illustre, manager o grandi professionisti, ma persone che si “sono fatte da sole”, commercianti e piccoli imprenditori, magari titolari di una ditta edile con cui la casa se la sono costruita da soli. È qui che, in contemporanea alla rivolta di Quinto Treviso, va in scena lo psicodramma di una comunità che “non è razzista ma...”, qui gli immigrati non ce li vuole. Le donne si stringono in un cordone sotto il sole cocente, cantano l’inno di Mameli commosse di fronte ai poliziotti che gli intimano di spostarsi. Un uomo urla «lo facciamo per le nostre mogli, per le nostre figlie», perché l’assioma “extracomunitario = stupratore” sembra dato per scontato. Dietro gli occhiali da sole di marca una signora di mezza età urla singhiozzando davanti alle telecamere: «Pago un mutuo e a me questa casa non 9 http://www.ilprimatonazionale.it/politica/san-nicola-di-stefano-macche-profughiquelli-erano-clandestini-27601/
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1. Fascioleghisti
me l’ha data nessuno, me la sono sudata, loro entrano qua e io sto proteggendo i miei tre bambini... È inutile che ci si nasconde, non si sta tranquilli con questa gente, io se loro entrano devo uscire, gli devo dare le chiavi di casa mia, me ne vado e sarò un’altra sfollata d’Italia».10 Poi le signore sdraiate per terra lasciano il campo a una trentina di militanti di Casa Pound che, caschi in testa e in diretta su Sky Tg 24, fronteggiano le forze dell’ordine che infine li caricano. Passano pochi minuti ed ecco puntuale la copertura politica di Matteo Salvini, scandita da una nota stampa battuta da tutte le agenzie: «Sono tensioni volute da un governo razzista. L’idea che mi sono fatto è che siccome il governo Renzi-Alfano non riesce a risolvere nessun tipo di problema, sta scaricando sugli italiani da Nord a Sud un’emergenza senza precedenti e aspettando una reazione da parte della gente per poi parlare d’altro». Quello che vediamo in azione il 15 e il 17 luglio del 2015 tra Roma e Treviso è ciò che definiamo fascioleghismo, o forse solo un assaggio. Per “fascioleghismo” non intendiamo un’alleanza politico-elettorale – o almeno, non solo questo – tra movimenti di estrema destra e Lega Nord, ma un dispositivo politico in cui agiscono attori differenti. Prima il dibattito pubblico del paese viene spostato sui temi cari alla Lega e ai suoi alleati, con una martellante campagna mediatica su rom e centri d’accoglienza; poi si raccolgono i frutti dei problemi che scoppiano sui territori, fomentati ed esacerbati dalle forze dell’estrema destra o dalla stessa Lega; infine gli attori istituzionali passano all’incasso legittimando dall’alto quello che apparentemente è scoppiato spontaneamente dal basso. Senza uno solo di questi elementi (sfera pubblica invasa ossessivamente da frame che creano senso comune; mobilitazione dal basso di forze militanti che organizzano disagi o proteste; mobilitazione dall’alto degli attori istituzionali) la miscela non funziona, e si riduce alla manifestazione d’intolleranza di qualche estremista o di qualche comitato estemporaneo di poche decine di persone. Questo non vuol dire ovviamente 10 http://youmedia.fanpage.it/video/aa/VakALuSw9ElyiuAY
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La politica della ruspa
che ogni episodio sia frutto di una strategia preordinata o che i diversi elementi si combinino sempre allo stesso modo, con la medesima efficacia o con la stessa consequenzialità cronologica. Fatto sta che da Nord a Sud si moltiplicano i comitati di cittadini contro la presenza degli immigrati. Si presentano come “né di destra né di sinistra”, ma vengono spesso animati dai militanti di estrema destra. A volte hanno una reale consistenza popolare e si mobilitano attorno allo specifico claim dell’opposizione all’apertura o alla permanenza di un centro d’accoglienza per rifugiati o richiedenti asilo, come a Casale San Nicola, altre volte sono solo gli stessi militanti “camuffati” da cittadini. Laboratorio del fascioleghismo ante litteram è stata la Verona governata da Flavio Tosi, il grande epurato dalla nuova Lega di Matteo Salvini. Lo stesso passato per moderato per aver scelto l’alleanza con Ncd e Udc. Proprio quello che voleva portare la Lega verso destra, magari in compagnia dell’amica Giorgia Meloni con cui a lungo ha favoleggiato di un tandem alle primarie (mai tenute) del centrodestra. Poi il crollo repentino di Berlusconi e l’astro nascente di Salvini che ha finito per oscurarlo, in una Lega Nord a trazione lombarda e sempre più a immagine e somiglianza del nuovo segretario milanese. Flavio Tosi, nella città di Giulietta e Romeo, era però stato il primo a testare l’alleanza con le varie anime dell’estrema destra e a immaginare la Lega come progetto politico nazionale. Matteo Salvini segretario federale e Tosi leader era l’accordo tra i due rais di Lombardia e Veneto. La storia poi è andata diversamente. Forse non è un caso però che proprio Verona sia stata il laboratorio del “fascioleghismo”. È la città dei natali del Partito Repubblicano Fascista, l’erede del Partito Nazionale Fascista protagonista dell’esperienza della Repubblica Sociale di Salò. Qui il partito che fu di Bossi nasce dall’esperienza della Liga Veneta e non della Lega Lombarda; Liga Veneta che affonda le proprie radici nell’anima nera del Veneto che, negli anni Ottanta, aveva deciso di sperimentare nuove vie di consenso e organizzazione sociale. Ed è nel cuore del Nord Est, la regione delle fabbrichette e dell’Italia che produce, che va in scena una 20
1. Fascioleghisti
delle pagine più oscure della storia italiana recente: la Ludwig, organizzazione formata da due figli della buona borghesia veronese – Marco Furlan e Wolfgang Abel – che a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta in preda al delirio suprematista e neonazista inizia a uccidere barboni, omosessuali e prostitute, in nome di un progetto di “purificazione”.11 Verona è anche la città dove il 30 aprile del 2008 un ragazzo di 29 anni, Nicola Tommasoli, viene letteralmente ammazzato di botte da cinque giovani poco più che maggiorenni. La sua colpa? Avergli rifiutato una sigaretta, oltre al suo aspetto troppo “alternativo”. Gli assassini sono cinque ragazzi di “buona famiglia” cresciuti tra la curva dell’Hellas Verona e la vicinanza ai gruppi della destra estrema.12 Alle comunali del 2012 Tosi, che al termine del primo mandato era stato incoronato “sindaco più amato d’Italia”, attira molte critiche anche all’interno della stessa Lega per due ragioni: la prima è di puntare tutta la campagna elettorale sulla lista civica che porta il suo nome, mettendo in ombra il partito; la seconda riguarda i tanti nomi di “impresentabili” e provenienti dalla destra cittadina al posto degli esponenti della società civile che avrebbe dovuto ospitare la lista. Tra loro Andrea Miglioranzi, esponente del Veneto Fronte Skinhead di Piero Puschiavo, voce del gruppo nazirock Gesta Bellica, che nel suo repertorio ha una canzone dal titolo Il Capitano, dedicata niente di meno che a Erik Priebke, e rime che non lasciano spazio a fraintendimenti: «Tu, ebreo maledetto, giudeo senza patria» o «Furti, droga, musi neri, tutto questo non mi va: Potere bianco, sola possibilità». Miglioranzi dopo le elezioni viene addirittura messo a capo dell’istituto cittadino sulla Resistenza, un incarico che, dopo le proteste e le denunce, lascia quasi immediatamente. Quando nel 2008 Tosi viene condannato in primo grado assieme ad altri esponenti del Carroccio per istigazione all’odio razziale secondo la Legge Mancino, il Veneto Fronte Skinhead non può non dargli la propria solidarietà 11 Monica Zornetta, Ludwig. Storie di fuoco, sangue e follia, Baldini Castoldi Dalai, 2011. 12 http://corrieredelveneto.corriere.it/veneto/notizie/cronaca/2015/5-febbraio-2015/ omicidio-tommasoli-tutti-condannati-cinque-imputati-44-anni-carcere-230938955779.shtml
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Se ne va in giro su e giù per l’Italia su una ruspa, a volte è vera a volte solo metaforica. Con il suo Caterpillar il leader leghista Matteo Salvini vuole abbattere i campi rom, spianare i centri d’accoglienza, spazzare via il governo Renzi e l’euro. Qualcosa non va? E allora ruspa! Tabula rasa, e chi se ne importa delle macerie. […] Nel serbatoio della sua ruspa Salvini può mettere tutto il risentimento sociale in circolazione, ben miscelato con le paure di chi vede il proprio mondo crollare e il futuro sempre più incerto. Tutto questo fa da carburante per la macchina leghista, mentre dal tubo di scappamento escono i gas tossici della microfisica dell’odio.
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