Lev Trotsky
Storia della Rivoluzione russa La Rivoluzione di febbraio
Marxiana
Storia della Rivoluzione russa La Rivoluzione di febbraio di
Lev Trotsky Traduzione di
Livio Maitan Prefazione di
Volume
Enzo Traverso
Per favorire la libera circolazione della cultura, è consentita la riproduzione di questo volume, parziale o totale, a uso personale dei lettori purchÊ non a scopo commerciale. Š 2017 Edizioni Alegre - Soc. cooperativa giornalistica Circonvallazione Casilina, 72/74 - 00176 Roma e-mail: redazione@edizionialegre.it sito: www.edizionialegre.it
Indice
Volume primo - La Rivoluzione di febbraio Nota dell'editore 9 Prefazione di Enzo Traverso 11 In bilico tra fare e scrivere la storia Nota bibliografica di Livio Maitan 45 Prefazione
53
Capitolo uno Particolarità dello sviluppo della Russia
61
Capitolo due La Russia degli zar e la guerra
77
Capitolo tre Il proletariato e i contadini
97
Capitolo quattro Lo zar e la zarina
119
Capitolo cinque L’idea di una rivoluzione di palazzo
133
Capitolo sei L’agonia della monarchia
149
Capitolo sette Cinque giornate (23-27 febbraio 1917)
175
Capitolo otto Gli uomini della Rivoluzione di febbraio
215
Capitolo nove Il paradosso della Rivoluzione di febbraio
235
Capitolo dieci Il nuovo potere
265
Capitolo undici Il dualismo di poteri
293
Capitolo dodici Il comitato esecutivo
305
Capitolo tredici L’esercito e la guerra
339
Capitolo quattordici Il gruppo dirigente e la guerra
363
Capitolo quindici I bolscevichi e Lenin
381
Capitolo sedici Il riarmo del partito
411
Capitolo diciassette Le «giornate di aprile»
431
Capitolo diciotto La prima coalizione
461
Capitolo diciannove L’offensiva
477
Capitolo venti I contadini
497
Capitolo ventuno Spostamenti tra le masse
519
Capitolo ventidue Il congresso dei soviet e la manifestazione di giugno
549
Conclusioni
571
Appendice uno Particolarità dello sviluppo della Russia
575
Appendice due Il «riarmo del partito»
587
Appendice tre Il congresso dei soviet e la manifestazione di giugno (Lettera al professor Kahun dell'Università di California)
597
Nota dell'editore
La traduzione di Storia della Rivoluzione russa che presentiamo è opera di Livio Maitan (1923-2004) e uscì per la prima volta in Italia nel 1964 per SugarCo Edizioni, per poi essere ripubblicata in varie edizioni da Mondadori tra il 1969 e il 1978. L’opera di Trotsky, senza dubbio uno dei più grandi e documentati libri scritti sulla Rivoluzione, è introvabile sul mercato italiano da quasi venticinque anni, ossia dall’edizione economica uscita nel 1994 per Newton&Compton (in cui per altro non era menzionato il traduttore). Livio Maitan, storico dirigente della iv internazionale e successivamente tra i protagonisti in Italia di Rifondazione comunista, è stato il principale traduttore di tutta l’opera di Trotsky nel nostro paese. La sua traduzione fu eseguita dall’edizione francese curata da Maurice Parijanine che Trotsky ebbe modo di elogiare in prima persona e dall’edizione inglese di Max Eastman che fu riveduta e corretta dallo stesso Trotsky prima della pubblicazione. Per quanto ci riguarda dobbiamo ringraziare Marco Maitan, figlio di Livio, per aver messo a disposizione la traduzione. Per la presente edizione, che esce in occasione del centenario della Rivoluzione, abbiamo fortemente voluto la prefazione di Enzo Traverso. Lo ringraziamo per aver accettato e per aver contribuito con uno sguardo originale e approfondito ad analizzare l’opera e l’evento storico in modo critico, illuminando alcuni aspetti decisivi per rileggere il passato e guardare al futuro. 9
Storia della Rivoluzione russa
Abbiamo inserito poche note aggiuntive alla traduzione originale per aiutare il lettore nella comprensione del testo, e abbiamo curato l’indice dei nomi in calce al secondo volume per orientarsi nell’enorme affresco di eventi e protagonisti racchiusi in soli otto mesi. Per la nostra piccola redazione si è trattato di un lavoro di cura enorme, per questo ci teniamo a menzionare tutti quelli che, in momenti e con ruoli diversi, hanno contribuito a un lavoro durato diversi mesi: Giulio Calella, Salvatore Cannavò, Pietro De Vivo, Alessio Melandri, Giada Simone e Bianca Irene Perin. Quest’opera è frutto anche di un percorso collettivo di crowdfunding che abbiamo chiamato “Road to Revolution”, il nostro modo per tornare a pronunciare la parola “rivoluzione”. Tale contributo ci ha permesso materialmente di portare a termine la pubblicazione. Di seguito l’elenco dei sottoscrittori senza i quali questo sforzo non sarebbe stato possibile: Luigi Albonetti, Leonardo Annulli, Antonio Ardolino, Roberto Aureli, Marta Autore, Salvatore Balzano, Luca Barbuto, Guido Bartalucci, Laura Bartolini, Daniele Bassi, Michele Bencivenni, Niccolò Benvenuti, Giovanni Bertaiola, Federico Bozzo, Filippo Calamoneri, Giuseppe Cesaria, Claudio Coletta, Daniele Colombari, Danilo Corradi, Elisabetta Crippa, Anna D’Angelo, Gianni De Giglio, Raffaele De Vivo, Roberto Derobertis, Aurora Donato, Andrea Erra, Emanuele Fambrini, Marianella Fioravanti, Danilo Forastiere, Alessandro Frigeri, Alberto Gallina, Fabio Gatto, Luca Gavagna, Massimiliano Gobetto, Luca Gori, Giulia Heredia, Giuseppe Ideni, Maurizio Imperiali, LaCoRi (Laboratorio Cooperazione e Ricerca), Enrico Lancerotto, Massimiliano Lipari, Paolo Lucarelli, Gigi Malabarba, Damiano Maragno, Ilaria Mardocco, Antonio Montefusco, Massimo Monti, Carla Pagliero, Silvio Paone, Marco Pettenella, Oreste Pezzi, Andrea Pinzani, Marco Pizio, Michela Puritani, Francesco Russo, Lello Saracino, Marco Simionato, Aljossa Stramazzo, Paolo Tenti, Giuseppe Teti, Margherita Toccacieli, Giacomo Tognon, Gianluca Tomei, Stefano Ulliana, Roland Vacher, Alberto Zanetti. 10
Prefazione
In bilico tra fare e scrivere la storia di Enzo Traverso
In cent’anni sulla Rivoluzione russa è nata un’immensa letteratura memorialistica, storiografica e politica che tende a diluirla nella lunga durata dell’Unione sovietica. Il nostro sguardo retrospettivo fatica a dissociare il regime che ha attraversato l’intero xx secolo dalla cesura storica che lo ha generato. Per l’insieme della storiografia conservatrice la continuità lineare che li unisce è ovvia: l’ottobre del 1917 è il logico inizio di una parabola totalitaria che si conclude settant’anni dopo con la disintegrazione dell’Unione sovietica. Benché ne rovesciasse il giudizio di valore la storiografia comunista ortodossa condivideva questa visione monolitica in cui rivoluzione e regime costituivano un solo blocco.1 La cosiddetta storiografia “revisionista” – in questo caso l’aggettivo non è peggiorativo, ma designa soltanto una storia sociale distinta sia da quella sovietica sia da quella anticomunista2 – ha restituito autonomia all’evento inscrivendolo in un ciclo che, a seconda della prospettiva adottata, si conclude negli anni Venti con la fine della guerra civile, o negli anni Trenta con il grande terrore, la collettivizzazione delle campagne e la stabilizzazione del regime di Stalin. 1 Le affinità paradossali tra queste due scuole, che attribuiscono entrambe un ruolo demiurgico al partito comunista, sono sottolineate da Claudio Sergio Ingerflom, “De la Russie à l’Urss”, in Michel Dreyfus (et al.), Le siècle des communismes, Editions de l’Atelier, Parigi 2000, p. 121. 2 Cfr. Sheila Fitzpatrick, Revisionism in Soviet History, «History and Theory», vol. 26, n. 4, 2007, pp. 77-91.
11
Storia della Rivoluzione russa
Questi cicli non sono privi di rotture e mutamenti profondi, che caratterizzano tutte le rivoluzioni. La Rivoluzione francese – uno spartiacque storico che ha cambiato la faccia dell’Europa durante il lungo Ottocento – è un processo che si snoda tra il 1789 e il 1814, tra la presa della Bastiglia e il Congresso di Vienna, dopo la caduta di Napoleone. In modo analogo la Rivoluzione russa è un sisma che si propaga lungo tutto il Novecento ma si assesta una ventina d’anni dopo il suo inizio, con l’avvento del regime di Stalin. L’impero napoleonico aveva sotterrato lo spirito liberatore della repubblica giacobina e lo stalinismo quello dell’ottobre del 1917, ma entrambi erano l’esito di un processo avviato dalla rivoluzione.3 Questa breve premessa ha il solo scopo di indicare che la Storia della Rivoluzione russa di Trotsky non va letta con gli stessi criteri con i quali si possono esaminare i lavori della più recente storiografia, basati su vastissime fonti documentarie e tesi a storicizzare un evento appartenente a un passato concluso, archiviato, separato dal presente, lontano sia dai nostri ricordi che dalle nostre categorie mentali, inscritto in una traiettoria di cui si possono distinguere nettamente le tappe e i momenti di svolta. Dire che il libro di Trotsky è “datato” o “superato” non ha molto senso, sebbene l’equivoco possa sorgere dal fatto che si tratta di uno dei primi tentativi di storicizzare la rivoluzione quando la scossa del 1917 non si era ancora assestata. Egli ne era pienamente cosciente quando sottolineava nell’introduzione che la generazione di chi aveva partecipato a quella vicenda era ancora in vita, attiva e fortemente implicata nelle forme sociali e nelle istituzioni che ne erano scaturite.4 Trotsky scrisse questa Storia della Rivoluzione russa fra il 1929 e il 1932, poco dopo il suo arrivo nell’isoletta di Prinkipo, 3 Sheila Fitzpatrick, The Russian Revolution, Oxford University Press, New York 1994, p. 3. 4 Lev Trotsky, Storia della Rivoluzione russa, Alegre, Roma 2017, vol. 2, p. 618 (d’ora in avanti Srr).
12
Prefazione
in Turchia, di fronte a Istanbul, in seguito alla sua espulsione dall’Unione sovietica. Non lavorava come uno storico immerso negli archivi ma disponeva della più ampia documentazione allora disponibile (pubblicata dall’Istituto di storia della rivoluzione di Mosca) e soprattutto attingeva alla sua memoria, quella di uno dei principali protagonisti dell’evento che si apprestava a narrare. Da questo punto di vista il suo libro è unico e difficilmente catalogabile secondo criteri convenzionali. Non è una testimonianza, poiché non è scritto in prima persona e non si presenta come il racconto di un’esperienza vissuta. L’autore parla di sé in terza persona, chiamandosi per nome, ponendosi sullo stesso piano degli altri attori di un gigantesco affresco storico. Non nasconde il vantaggio epistemologico legato al suo statuto di protagonista, riconoscendo quindi implicitamente la parte di memoria che alimenta e pervade il libro, ma insiste sul carattere oggettivo della sua ricostruzione, rigorosamente confermata dalle fonti, e sulla volontà di tenere a distanza le tentazioni individualistiche. Già nella prefazione alla sua autobiografia, scritta poco dopo l’arrivo a Prinkipo, metteva in guardia contro i tranelli della memoria, che non è una “calcolatrice automatica” e tende anzi a cancellare episodi sgradevoli o poco edificanti della vita di una persona. Essa non andava certo rimossa, ma si rivelava tanto ricca e insostituibile quanto ingannevole, poiché soggettiva e intrinsecamente limitata, unilaterale; non poteva quindi essere usata senza essere sottoposta a una verifica permanente.5 In questa Storia della Rivoluzione russa Trotsky non vuole erigere il proprio monumento né giustificare a posteriori le proprie scelte; cerca piuttosto di mettersi a distanza e di interpretare criticamente il proprio ruolo. Evita ovviamente di abbozzare un autoritratto e di definire la propria personalità, a differenza di come fa nei confronti di tutti gli altri protagonisti, dallo zar Nicola ii a Kerensky, dai leader menscevichi 5 Lev Trotsky, La mia vita, a cura di Livio Maitan, Mondadori, Milano 1976, p. 40; e anche Srr, vol. 1, p. 57.
13
Storia della Rivoluzione russa
come Martov e Dan a quelli bolscevichi come Lenin, Zinoviev e Kamenev. Non occorre essere uno psicoanalista per riconoscere la parte di soggettività presente in quest’opera. Chiunque si interessi ai rapporti fra storia e psicoanalisi ammetterà probabilmente che questa metamorfosi del testimone in storico di sé stesso presenta difficoltà e limiti evidenti, ma offre anche qualche vantaggio non trascurabile. Da un lato sollecita la vigilanza critica del lettore e dall’altro gli consente di accedere a un osservatorio assolutamente unico e affascinante. Il suo libro si presenta come un vasto affresco storico in cui la forza dell’interpretazione critica e la seduzione del racconto di avvenimenti vissuti si compenetrano a vicenda; si tratta insomma di uno sguardo sia interno che esterno all’evento narrato. Nel terzo volume della sua famosa biografia di Trotsky, Il profeta disarmato, Isaac Deutscher dedica un capitolo al rivoluzionario russo come storico che si apre con queste parole: «Come Tucidide, Dante, Machiavelli, Heine, Marx, Herzen e altri pensatori e poeti, Trotsky raggiunse la sua piena maturità come scrittore soltanto in esilio, durante i pochi anni di Prinkipo».6 Più avanti compara gli scritti storici di Trotsky a quelli di Karl Marx e Winston Churchill. Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte, resoconto della rivoluzione francese del 1848, sta alla Storia della Rivoluzione russa come «una miniatura a un vasto affresco murale»; Marx è superiore al suo allievo russo per «la forza del suo pensiero astratto e della sua immaginazione gotica», ma quest’ultimo lo supera come «artista epico» per la sua capacità di delineare «un ritratto grafico delle masse e degli individui in azione».7 L’autore di The World Crisis, protagonista e storico della Seconda guerra mondiale, condivide invece con Trotsky «la stessa miscela di realismo e romanticismo, la stessa tenacia e capacità di far 6 Isaac Deutscher, The Prophet Outcast, Verso, Londra 2004, p. 176. 7 Ibid., p. 177.
14
Prefazione
correre lo sguardo oltre la propria classe e il proprio ambiente, la stessa volontà di fare e scrivere la storia», ma a differenza del conservatore britannico il rivoluzionario russo possiede una filosofia della storia che ne approfondisce l’orizzonte e ne acuisce il giudizio critico.8 Si può dubitare che Trotsky amasse essere paragonato a uno dei più acerrimi nemici della Rivoluzione russa ma è certo che concepì il suo libro come un’opera d’arte. Nella prefazione al secondo volume cita Proust e Dickens e rivendica il diritto dello storico, oltre che a costruire un discorso critico sul passato analizzando la concatenazione dei fatti e interpretando il ruolo degli attori, a restituirne i sentimenti. Non è vero che per comprendere il passato lo storico debba sottoporlo a un procedimento “anestetico”, neutralizzando i sentimenti dei protagonisti e rimuovendo la propria emotività. Il riso e il pianto fanno parte della vita e non possono essere cancellati dai drammi collettivi che scandiscono il ritmo della storia. Lo stato d’animo, le passioni, i sentimenti degli individui, delle classi, delle masse in movimento meritano la stessa attenzione con la quale Proust sonda, in decine di pagine, gli umori e la psicologia dei suoi personaggi. Un racconto fedele delle battaglie napoleoniche, scrive Trotsky, dovrebbe andare oltre la geometria degli schieramenti, la razionalità e l’efficacia delle scelte strategiche e tattiche degli stati maggiori; non dovrebbe trascurare gli ordini incompresi, i generali incapaci di leggere una carta, il panico e anche le coliche di paura che colgono soldati e ufficiali prima dell’assalto.9 Il tratto saliente della Storia della Rivoluzione russa risiede nella sua forza narrativa, nella sua capacità di far rivivere gli eventi in tutta la loro intensità, di ricostruire in un quadro d’insieme l’intreccio dell’azione dei protagonisti e l’ampiezza delle collettività in movimento. L’ambizione del 8 Ibid., pp. 178-9. 9 Srr, vol. 2, pp. 1187.
15
Storia della Rivoluzione russa
libro è annunciata fin dall’inizio: «La storia della rivoluzione è per noi, innanzi tutto, la storia dell’irrompere violento delle masse sul terreno dove si decidono le loro sorti».10 La sincronizzazione improvvisa tra i mutamenti cumulativi intervenuti nel corso dei decenni e il risveglio della coscienza collettiva produce un cataclisma che cambia il corso della storia. Trotsky dedica molte pagine all’analisi della crisi del regime zarista, alle contraddizioni che attraversavano il governo provvisorio nato dal sollevamento di febbraio, ai conflitti ideologici e politici che separavano menscevichi e bolscevichi e che dividevano questi ultimi ancora alla vigilia dell’insurrezione, infine alle accese discussioni durante il secondo congresso dei soviet, ma il protagonista che campeggia al centro della narrazione sono le masse in movimento. E le masse che fanno la rivoluzione non hanno nulla in comune con quelle che, negli stessi anni in cui egli pubblicava il suo libro, invadevano la scena europea diventando un contrassegno dei fascismi: le masse sottomesse, eterodirette, manipolate, inquadrate, disciplinate, plasmate per annullarsi nel culto della loro guida carismatica. Non sono le masse “ornamentali” che divennero oggetto di studio della sociologia politica di matrice weberiana, della psicologia sociale, delle teorie del totalitarismo e delle indagini di antropologica politica.11 Alle radici di massa del fascismo Trotsky dedicherà altri lavori12 e la confusione fra queste due masse radicalmente distinte è tipica di una cattiva letteratura che da anni le accomuna sotto l’etichetta di uno dei concetti più vuoti del nostro lessico politico: “populismo”. Le masse rivoluzionarie che egli descrive in questo libro sono attori coscienti della storia; sono le classi subalterne che, 10 Ibid., vol. 1, p. 54. 11 Si vedano ad esempio Wilhelm Reich, Psicologia di massa del fascismo, Sugarco, Milano 1996; Hannah Arendt, Le origini del totalitarismo, Einaudi, Torino 2009; Elias Canetti, Massa e potere, Adelphi, Milano 2015. 12 Lev Trotsky, Scritti contro il nazismo 1930-1933, AC Editoriale, Milano 2010.
16
Prefazione
in circostanze storiche straordinarie, rovesciano un potere da sempre apparso soverchiante e ineluttabile, prendono in mano il proprio destino e ricostruiscono la società su nuove basi. La rivoluzione riscatta secoli di oppressione e dominio. Non è escluso che Walter Benjamin si ispirasse a questo libro di Trotsky, di cui fu un lettore entusiasta, quando definì la rivoluzione come redenzione del passato attraverso la sua improvvisa e violenta irruzione nel presente, una collisione che paragonava alla fissione nucleare, capace di sprigionare, moltiplicandole, le energie racchiuse nel passato.13 Questa visione delle masse non è affatto mistica – in questo senso Deutscher la distingue dalla prosa di Thomas Carlyle e, potremmo aggiungere, di Jules Michelet sulla Rivoluzione francese –14 poiché si inscrive in una visione marxista della storia come «processo oggettivamente condizionato» in cui gli esseri umani agiscono certo in base alle proprie scelte, ai propri obiettivi e alle proprie passioni, ma entro una cornice data, non immutabile ma neppure eludibile.15 Chiaroveggente o miope, risolutrice o nefasta, l’azione degli individui appare nel libro di Trotsky come un’agitazione superficiale che riposa sullo strato ben più solido e profondo del movimento di massa. La rivoluzione è una scossa tellurica che gli uomini vivono e incarnano collettivamente, che singole personalità possono in misura più o meno grande influenzare e dirigere, ma che non possono in alcun modo creare o impedire. Nella sua autobiografia Trotsky offre una descrizione eloquente del suo rapporto con folle di Pietrogrado che quasi quotidianamente si stipavano nel Circo d’inverno per ascoltare i suoi comizi. Durante le giornate d’ottobre 13 Walter Benjamin, I “Passages” di Parigi, in Id., Opere complete, a cura di Rolf Tiedemann, Einaudi, Torino 2000, vol. ix, p. 518. 14 Isaac Deutscher, The Prophet Outcast, cit., p. 189. Si veda Thomas Carlyle, The French Revolution: A History, Modern Library Classics, New York 2002; Jules Michelet, Histoire de la Révolution française, Folio-Gallimard, Parigi 2007, 2 voll. 15 Srr, vol. 2, p. 963.
17
Storia della Rivoluzione russa
del 1917 egli aveva l’impressione di essere diventato un “ventriloquo” che parlava ispirato da una forza nascosta dentro di sé. «L’inconscio risale dal suo nascondiglio profondo e sottomette il lavoro cosciente del pensiero, assimilandolo in una sorta di unità superiore».16 Il discorso preparato in anticipo svaniva e cedeva il posto a una parola spontanea che sembrava emanasse direttamente dalla folla circostante. Le barriere psicologiche convenzionali cadevano e l’inconscio collettivo prendeva forma, si articolava in una serie di argomenti razionali che corrispondevano alle esigenze del momento e, al contempo, ad alcune tendenze storiche profonde. La rivoluzione riusciva a fondere due processi, uno individuale e l’altro collettivo, il conscio e l’inconscio, «l’istinto e le più elevate generalizzazioni della mente».17 In un certo senso un procedimento esattamente inverso rispetto al “plagio” delle masse tipico del potere carismatico. Non la massa che annulla sé stessa identificandosi empaticamente col leader, ma il leader che si dissolve nella massa diventandone il portavoce. * * * Secondo Trotsky le rivoluzioni possiedono proprie “leggi” che ne regolano lo svolgimento, e alle quali si conforma l’azione delle masse. Le “leggi della storia” sono una delle ossessioni del marxismo di fine Ottocento, l’età del positivismo trionfante, in seno al quale si era formato il rivoluzionario russo.18 Afferrare queste leggi significava penetrare il segreto della storia e controllarne il movimento. Compito dello storico marxista, di conseguenza, era «la deduzione scientifica 16 Lev Trotsky, La mia vita, cit., p. 425. 17 Ivi. 18 Cfr. Karl Korsch, “The Marxist Ideology in Russia”, in Id. Marxist Theory, University of Texas Press, Austin 2013, pp. 158-164; Eric Hobsbawm, “The Influence of Marxism, 1880-1914”, in Id., How to Change the World: Reflections on Marx and Marxism, Yale University Press, New Haven 2012, pp. 211-260.
18
Prefazione
di queste leggi».19 Non c’è più separazione, da questo punto di vista, tra lo storico e il leader bolscevico; entrambi rendono cosciente, nell’azione come nella ricostruzione del passato, un processo oggettivo che ha una sua logica interna. Una di queste “leggi”, forse la più importante, definisce la storia come un lungo cammino verso il progresso, in cui la Russia passa dall’arretratezza allo sviluppo, dall’Oriente all’Occidente, dall’Asia all’Europa. Ebreo russo nato in un villaggio ucraino e vissuto per lunghi anni in esilio a Londra, Parigi, Vienna e New York, Trotsky era un occidentalista radicale, autentico marxista hegeliano come tanti intellettuali russi del suo tempo, in primo luogo Lenin. Ai suoi occhi la “dottrina slavofila”, che aveva affascinato Marx negli ultimi anni di vita e aveva nutrito il suo ricco carteggio con Vera Zasulic e Nikolai Danielson, il traduttore russo del Capitale, non era altro che il «messianismo di un paese arretrato».20 Il cammino che conduceva la Russia da Oriente a Occidente non era lineare, anzi piuttosto tortuoso e contraddittorio, seguiva il tracciato di uno «sviluppo ineguale e combinato» in cui le idee più avanzate e le forme sociali più moderne si mescolavano a un ritardo secolare e a un oscurantismo profondo.21 La Russia non era un’isola ma l’anello di una catena che ne inscriveva il destino nel futuro dell’Europa e del mondo. Di conseguenza il socialismo in Russia poteva saltare con un balzo poderoso le tappe della Riforma e del capitalismo industriale che si erano estese in Europa occidentale su quattro secoli. Ma questa visione della storia russa come parte di una totalità “dialettica” – Trotsky
19 Srr, vol. 2, p. 963. 20 Ibid., vol. 1, p. 65. Sulle discussioni fra Marx e i populisti russi cfr. Theodor Shanin (ed.), Late Marx and the Russian Road: Marx and the Peripheries of Capitalism, New York, Monthly Review Press, 1983. 21 Sulla teoria trotskista dello sviluppo ineguale e combinato si veda Michael Löwy, The Politics of Combined and Uneven Development: The Theory of Permanent Revolution, Haymarket Books, Chicago 2010.
19
Storia della Rivoluzione russa
ne aveva formulato i principî fin dal 1905 – descrive «la differenza del ritmo» senza rimettere in discussione la direzione generale del processo storico. Questo occidentalismo definisce anche l’orizzonte dell’immaginario storico di Trotsky, ne fissa i limiti e ne orienta la riflessione comparativa. Il suo libro è costellato di riferimenti alla rivoluzione francese – paradigma ineludibile di quella russa –, al 1848 e alla Comune di Parigi; in alcuni brillanti passaggi la comparazione è estesa a Cromwell e alla rivoluzione inglese del xvii secolo, ma né la rivoluzione haitiana né quella messicana sono mai menzionate. Eppure la violenza emancipatrice degli schiavi dei Caraibi alla svolta dell’Ottocento e quella dei contadini messicani, esattamente contemporanea della rivoluzione russa, avrebbero potuto offrire numerose analogie e un ricco materiale di confronto. Per Trotsky – come per Lenin, che amava questa metafora – la “ruota della storia” scorreva da Pietrogrado a Berlino, Londra e Parigi, non dalla sconfinata campagna russa a quella di Morelos o alle piantagioni delle Antille. Ma non bisognerebbe dimenticare – e anche questo paradosso rimane significativo – che saranno due intellettuali trotskisti a scrivere le opere più importanti sulle rivoluzioni haitiana e messicana. Sia I giacobini neri (1938) di C. L. R. James che La Revolución interrumpida (1971) di Adolfo Gilly adottano come modello la Storia della Rivoluzione russa, intrecciando con essa un dialogo fecondo.22 In un capitolo sul mondo rurale durante la rivoluzione Trotsky sottolinea che «la civiltà ha fatto del contadino una bestia da soma» e deplora che, nei libri di storia, i contadini siano solitamente ignorati, esattamente come i critici teatrali non prestano attenzione agli operai che, dietro le quinte, azionano il sipario e cambiano la scenografia: «La partecipazione dei contadini alle rivoluzioni del passato non è stata 22 C. L. R. James, I giacobini neri. La prima rivolta contro l’uomo bianco, DeriveApprodi, Roma 2015; Adolfo Gilly, La Revolución interrumpida, Era, Mexico 1994.
20
Prefazione
affatto chiarita sino ad ora».23 Nel suo libro tuttavia i contadini appaiono perlopiù come una massa anonima. Non sono affatto trascurati ma sono osservati da lontano, con distacco analitico, senza empatia. Trotsky non aveva molta familiarità con il mondo contadino, il quale rimaneva un ricordo della sua infanzia a Ianovka, in Ucraina. Durante gli anni dell’esilio, vista dai caffè viennesi e dai boulevard parigini, l’immensa campagna russa doveva apparirgli lontana. Ma questa constatazione offre un criterio interpretativo approssimativo e impressionista. Le ragioni della sua prosa distaccata sono altrettanto oggettive ma ben diverse. L’epicentro della rivoluzione russa intesa come evento eruttivo (1917) e non come processo (la sequenza 1891-1924 studiata da Orlando Figes o quella 1917-1936 esaminata da Sheila Fitzpatrick)24 era Pietrogrado. Al cuore del grande affresco tratteggiato da Trotsky non ci sono i contadini ma le masse urbane in azione, composte essenzialmente da operai, e gli attori sul palcoscenico della politica sono tutti intellettuali (maschi). I “giacobini neri” erano schiavi che si erano organizzati e avevano sconfitto attraverso una lotta epica le più potenti nazioni europee del tempo; i leader della rivoluzione messicana erano contadini o piccoli proprietari appena alfabetizzati, come Emiliano Zapata e Pancho Villa, che seppero formare e dirigere un esercito, creare comuni contadine in tutto il paese, ma che si sentivano perduti a Città del Messico, sconosciuta e inafferrabile. Lo scenario del 1917 erano i viali e i palazzi di Pietrogrado; l’asse della rivoluzione si spostò verso le campagne durante gli anni successivi. L’immane tragedia che si abbatte sulle campagne sovietiche – e soprattutto ucraine – tra il 1930 e il 1933, non traspare 23 Srr, vol. 2, p. 1009. 24 Cfr. Orlando Figes, La tragedia di un popolo. La rivoluzione russa 1891-1924, Corbaccio, Milano 1997; Sheila Fitzpatrick, The Russian Revolution, cit. Si veda anche Andrea Graziosi, La grande guerra contadina in URSS. Bolscevichi e contadini (1918-1933), Edizioni Scientifiche Italiane, Roma 1998.
21
Storia della Rivoluzione russa
M
a
r
x
i
a
n
a
L’appassionante affresco degli otto mesi che trascorsero tra la rivoluzione di febbraio e l’insurrezione rivoluzionaria di ottobre. Otto mesi straordinari dal punto di vista storico e politico in cui il tempo accelerò bruscamente. Quella scritta da Trotsky tra il 1929 e il 1932, mentre era già costretto in esilio dallo stalinismo, è senza dubbio la più importante e completa ricostruzione storica dell’anno della rivoluzione. Uno studio approfondito del sostrato economico, sociale e politico all’origine degli avvenimenti del 1917, con protagoniste sempre le masse, la loro composizione sociale, le irruente mobilitazioni spontanee che portarono alla caduta del regime zarista e al dualismo di poteri tra soviet e governo provvisorio. Un testo che mostra il ruolo soggettivo dei bolscevichi nel permettere la presa del potere ma che decostruisce il mito dell’infallibilità del partito, preso alla sprovvista dall’esplosione di febbraio e attraversato da esitazioni fino agli ultimi giorni dell’ottobre. Trotsky smonta le tesi di chi riduce la rivoluzione al suo ultimo atto, la presa del palazzo d’Inverno, non a caso priva di spargimenti di sangue grazie alla maturazione degli eventi precedenti. L’autore, insieme a Lenin il principale protagonista di quei mesi, concepì quest’opera come un lavoro storico e non come una testimonianza, ma il suo ruolo soggettivo gli permette non solo di analizzare la concatenazione dei fatti ma anche di restituirne i sentimenti. Storia della Rivoluzione russa è il capolavoro letterario di Trotsky, con un’inesauribile ricchezza nello stile, un uso efficace di immagini e metafore, di sarcasmo e ironia, con un ritmo travolgente della narrazione, progressivamente pervasa di commozione e entusiasmo e capace di far rivivere gli eventi in tutta la loro intensità.
ISBN 978-88-98841-68-4
40,00 22
2 volumi indivisibili