Lorenzo Declich
Siria, la rivoluzione rimossa Dalla rivolta del 2011 alla guerra
Sulla frontiera
Siria, la rivoluzione rimossa Dalla rivolta del 2011 alla guerra di
Lorenzo Declich Prefazione di
Girolamo De Michele
Per favorire la libera circolazione della cultura, è consentita la riproduzione di questo volume, parziale o totale, a uso personale dei lettori purchÊ non a scopo commerciale. Š 2017 Edizioni Alegre - Soc. cooperativa giornalistica Circonvallazione Casilina, 72/74 - 00176 Roma e-mail: redazione@edizionialegre.it sito: www.edizionialegre.it
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Indice
Prefazione di Girolamo De Michele 9 Introduzione Rivoluzione sì, rivoluzione no, quale rivoluzione L’ecologia dell’informazione in Siria e sulla Siria Silenzio, barbarie e speranza
25 26 36 43
Capitolo uno Il regime Muwatana (cittadinanza) Karama (dignità) Hurriyya (libertà)
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Capitolo due La rivolta La rivoluzione al rallentatore Il giorno della rabbia e il venerdì della dignità La propaganda e la rivoluzione Hillary Clinton e il caso a sé Il discorso di Bashar al-Asad
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Capitolo tre La repressione La violenza del regime Le scelte del regime e di Bashar al-Asad La sedia del dittatore La guerra nella rete e fuori
51 61 74
91 100 112 119 130 135 138 149 155 158
Capitolo quattro La rivoluzione La memoria rivoluzionaria Una rivoluzione La rivoluzione e la violenza Jisr al-Shughur e la rivolta armata Esercito siriano libero
185 189 199 213 221 225
Capitolo cinque 233 Guerra La stratificazione del conflitto 238 Il mosaico siriano e la guerra 242 L’economia nella guerra 250 Le diserzioni e l’esercito lealista 255 La “deriva confessionale” 263 Internazionalizzazione e guerra per procura 267 Radicalizzazione 273 Stato islamico di Iraq e Levante 279 Rojava e Aleppo. Due casi paradigmatici 288 A. Il Rojava 289 B. La battaglia per Aleppo 293 Conclusioni 301 L’elefante nella stanza 304 Luci 313
Prefazione di Girolamo De Michele
Fino a qualche tempo fa circolava (e non è escluso che circoli ancora) una foto con il senatore McCain accanto ad alcuni esponenti dell’opposizione anti-Asad. Fra questi il generale Salem Idris dell’Esercito siriano libero, col quale McCain aveva appena avuto un incontro, e alcuni esponenti di un’altra organizzazione armata ribelle, il Northern storm. La foto, è bene dirlo subito, fa parte di un pacchetto di immagini consegnate dallo stesso staff del senatore alle televisioni americane all’indomani di quel meeting, che quindi con molta fantasia può ancora essere definito “segreto”: fra il 27 e il 29 maggio 2013 tutti i principali organi di informazione hanno mostrato e commentato questa immagine, intervistando il principale collaboratore di McCain nel frangente, Mouaz Moustafa. Nondimeno la storia di questo scoop che non è uno scoop è istruttiva di come vengano prodotte e diffuse certe bufale sul conflitto siriano. Il 30 maggio 2013 una testata libanese, il Daily Star, lancia un’accusa: «Questa settimana, durante una breve e molto pubblicizzata visita in Siria, McCain è stato fotografato con un noto membro del gruppo ribelle responsabile del rapimento di undici pellegrini sciiti libanesi un anno fa».1 Il Daily Star non indica alcuna fonte (come accadrà sempre in questo 1 Lauren Williams, McCain crosses paths with rebel kidnapper, «The Daily Star», 30 maggio 2013.
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storytelling): nondimeno la notizia viene ripresa just in time da BuzzFeed, che peraltro riporta la smentita del portavoce di McCain,2 e rilanciata sul Daily Beast. L’indomani lo stesso Daily Beast smentisce questo “John McCain Whoops”: i due oppositori ritratti nella foto non sono Mohammad Nour e Ammar al-Dadikhi, sospettati del rapimento avvenuto l’anno precedente.3 E svela la fonte di questa fake news: l’emittente radiofonica libanese Al Jadeed TV, vicina ad Hezbollah, dunque interessata a sabotare il sostegno del governo americano ad alcune frange dell’opposizione siriana. La rana si sgonfia. Ma nell’agosto del 2014 la foto riemerge, con una rivelazione sconcertante: accanto a McCain nella foto non ci sarebbe al-Dadikhi (con buone ragioni: a dispetto dei riconoscimenti effettuati un po’ dappertutto, il fotogenico al-Dadikhi nel maggio 2013 era già stato ucciso), ma addirittura Abu al-Bakri, ovvero il califfo nero Al Baghdadi. A lanciare la prima bomba è, il 19 giugno, il blog destrorso WeaselZippers,4 secondo il quale: «L’Isis posta online delle foto con alcuni suoi membri in Siria insieme a John McCain»; inutile a dirsi, senza fornire alcuna fonte di questa presunta pubblicazione su un ipotetico organo di stampa dell’Isis. Che ha invece appena lanciato un proprio magazine, Dabiq, sul quale viene invece pubblicato un duro attacco al “crociato” McCain.5 2 Rosie Gray, McCain Wasn’t Posing With Rebel Kidnapper, Spokesman Says, «BuzzFeed News», 30 maggio 2013. 3 Josh Rogin, Who Was That with McCain? Not Syrian Kidnappers, NGO Says, «The Daily Beast», 31 maggio 2013. 4 ISIS Posts Photo Online Of Their Members Hanging Out W/ John McCain In Syria, «WeaselZippers», 19 giugno 2014, http://bit.ly/2sYJN5k. Pochi giorni dopo la notizia è riportata, con molto scetticismo, dal blog Wonkette (avverso alle politiche di guerra dell’amministrazione statunitense): «Ed è qui che inizierai ad essere scettico: la fonte iniziale di questa affermazione sembra essere il blog di destra WeaselZippers (che non cita fonti), e fino ad ora la maggior parte delle condivisioni sono state da parte di blog “mattoidi” che l’hanno trionfalmente presa come prova del fatto che non esistano “musulmani moderati”»: Here’s A Picture Of John McCain Hanging Out With ‘ISIS’ (NotISIS) Freedom Fighters In 2013, «Wonkette», 26 giugno 2014, http://bit.ly/2suOphY. 5 In the words of the Enemy, «Dabiq», n. 2, 27 luglio 2014, p. 31.
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Prefazione
Il 19 agosto – lo stesso giorno in cui viene reso noto il video della decapitazione di James Foley – l’accusa è rilanciata dal blog VoteVets.org, e da lì rimbalza in diversi siti, anche in Italia: Franco Fracassi, su Popoff, la definisce «la pistola fumante». Sempre, ça va sans dire, senza citare una sola fonte.6 E, di blog in blog, comincia a gonfiarsi un’altra rana: che fra i ribelli raffigurati nella foto ci sarebbe al-Baghdadi. Come prove sono forniti fantasiosi accostamenti con l’immagine del califfo nero nella moschea di Mosul: nelle quali, a dire il vero, fra barba e copricapi, del volto di al-Baghdadi si vede ben poco. Anche perché raffronti incrociati con la foto segnaletica di al-Baghdadi durante la prigionia ad Abu Ghraib mostrano particolari inconfutabili – la distanza naso-labbro superiore, l’attaccatura dei capelli, la base del naso, il colore degli occhi – che attestano la non corrispondenza fra le due immagini.7 E sul New York Times l’11 settembre Rick Gladstone pubblica un «fairly conclusive debunking» (una “confutazione abbastanza concreta”) – e di nuovo la rana sembra sgonfiarsi.8 E invece il 16 settembre il senatore Rand Paul, in un’intervista al Daily Beast, rilancia: «È questo il problema: ha avuto [John McCain, n.d.r.] un incontro con l’Isis, è stato fotografato, e non sapeva cosa stava accadendo». Rand Paul è un tipo particolare: esponente del Tea party, è convinto di poter concorrere alla nomination repubblicana (si ritirerà dopo il primo Caucus nello Iowa, il 3 febbraio 2016, dopo aver ricevuto appena il 4,5% dei voti e un solo delegato),
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Franco Fracassi, Il patto Isil-Usa in una foto, «Popoff quotidiano», 23 agosto 2014.
7 Il blog di fact checking «Snoopes» pubblicherà in seguito una foto di al-Baghdadi del periodo del presunto incontro, nella quale il futuro califfo aveva già un’abbondante barba, a differenza del fake della foto: http://www.snopes.com/john-mccain-meetsisis-leader/. 8 Rick Gladstone, Try as He May, John McCain Can’t Shake Falsehoods About Ties to ISIS, «The New York Times», 11 settembre 2014. «Fairly conclusive debunking» è il giudizio di «Wonkette», in aggiornamento al post citato in nota 4.
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e sembra convinto che per farlo l’obiettivo da colpire sia McCain: ad esempio, sostenendo che questi abbia ammesso di essere in contatto permanente con l’Isis. A fare il fact checking delle sue improvvide dichiarazioni provvede il Washington Post: Abbiamo chiesto spiegazioni all’ufficio di Paul. Ci è stato inizialmente fornito un filmato di un’apparizione di McCain nella puntata del Sean Hannity Show del 15 settembre, in cui McCain, in un lapsus, ha sostenuto di aver incontrato l’Isis, mentre intendeva dire “Esercito siriano libero”. «Rand Paul è mai stato in Siria? Ha mai incontrato l’Isis? Ha mai incontrato qualcuna di queste persone?» ha chiesto McCain, cercando di controbattere all’affermazione di Paul che le armi fornite ai moderati siano finite nelle mani dello Stato Islamico. «Io conosco queste persone. Le conosco. Sono in contatto quotidiano con loro. Lui no. Lui no».9 Basta guardare il video per accorgersi del trucco di Paul: McCain afferma di essere in contatto con i moderati dell’opposizione siriana, Paul sostiene che i moderati dell’opposizione sono entrati a far parte dell’Isis, dunque McCain ammette(rebbe) «Sono in contatto permanente con l’Isis».10 Nel frattempo l’Isis, che ha scarso senso dell’umorismo, su Dabiq pubblica la famigerata foto in una pagina nella quale indica i principali nemici – «the apostate prozie» – nell’area: il Pkk, i Peshmerga, e l’Esercito siriano libero.11 Quanto al senatore Paul, viene inserito dal New York Times nell’elenco degli autori delle dieci più grosse bufale
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L’intervista a McCain è visibile a questo link: http://bit.ly/2suJOw6.
10 È il titolo che dà all’articolo l’ineffabile Franco Fracassi su «Popoff quotidiano» il 12 novembre 2014. 11
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«Dabiq», n. 4, 11 ottobre 2014, p. 41.
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dell’anno; elenco nel quale compare anche il “nostro” Alessandro Di Battista per aver dichiarato che in Nigeria «il 60% è in mano agli estremisti islamici di Boko Haram, il resto del paese è in mano ad Ebola».12 Nondimeno può capitare che quella foto ricompaia, che qualche carpa continui ad abboccare, o che qualche spacciatore di bufale, incurante della verifica dei fatti, continui ad avere interesse a gonfiare la rana. Intendiamoci: non si tratta di difendere McCain, la sua azione, la diplomazia di cui era esponente. Il punto è la modalità di fabbricazione e diffusione delle false notizie. In questo caso, in luogo di un qualsivoglia riscontro in ciascuna delle fasi della bufala, si propone una giustificazione a posteriori per cui, poiché chi scrive è favorevole all’interpretazione che la foto produce – che l’Isis sia un’emanazione diretta del governo statunitense, o giù di lì –, l’effetto diventa la causa “logica” di ciò che si dovrebbe dimostrare, in un paralogismo nel quale la logica è sostituita da una sorta di fede cieca, e l’ordine delle cose da una visione delle relazioni internazionali complottarda e paranoide: e la paranoia è sempre un correlativo oggettivo della concezione del mondo e della vita fascista. Né è secondaria la datazione dell’incontro: perché sostenere che da quel meeting sia nato l’Isis significa, di fatto, suggerire che la crisi siriana sia stata innescata dall’“intervento straniero” nelle vicende interne della Siria, e non sia l’esito di cause di lungo periodo che affondano le proprie radici in anni ben più lontani.13 Gli eventi che causano la rivolta siriana del 2011 hanno radici che partono quantomeno dal decennio precedente: 12 The Lies Heard Round the World, «The New York Times», 14. Febbraio 2015. La bufala di Di Battista (visibile a questo link: http://bit.ly/2tzB1HC), che citava Wikipedia (che però non diceva nulla del genere), era già stata smentita dal giornalista blogger Mazzetta il 14 ottobre 2014: http://bit.ly/2rW2Rkw. 13 Le pagine che seguono riprendono, con modifiche, il mio testo Aleppo deleta est. Cartagine, Aleppo e il compito dello storico, pubblicato il 9 gennaio 2017 su «Euronomade», http://www.euronomade.info/?p=8626.
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che questo non sia non dico compreso, ma neanche indagato, è un segno del deperimento della capacità di analizzare cause di medio e lungo periodo tipico del sentire e dell’habitus della tarda modernità, che alla lezione di un Braudel preferisce la coppia cospirazione/paranoia e gli effetti estemporanei: la schiuma dell’onda, piuttosto che la lunga portata dell’onda stessa. Nondimeno, un compagno e amico che oggi non è più fra noi, con gli strumenti di analisi che gli erano propri, già alla fine del 2006 avvertiva che la Siria era sull’orlo della guerra civile – quella guerra che sarebbe esplosa cinque anni dopo.14 Quel compagno, che si firmava Sbancor, aveva una conoscenza professionale, oltre che militante – che metteva al servizio dei movimenti –, dei flussi economici, dell’economia finanziaria, dell’andamento del mercato del petrolio; questa capacità di analisi critica veniva incrociata con una rete di relazioni personali con esponenti della politica libanese. Di fatto Sbancor aveva informazioni paragonabili a quelle di un ottimo inviato giornalistico a Damasco o Beirut (non di quelli che stanno in albergo a sorseggiare liquori e si fanno tradurre dall’addetto alla reception il notiziario televisivo della sera), o di un console a Beirut: è pensabile che fosse il solo ad aver capito cosa stesse maturando in Siria e quali ne sarebbero state le conseguenze? Sarebbe il caso di ricordare che, in anni nei quali la politica libanese era ancora determinata da Damasco, uno dei contingenti di interposizione militare in Libano era composto da soldati italiani: il che avrebbe dovuto consigliare la presenza di antenne molto attente puntate su Damasco. Eppure, per alcuni anni, i nostri ministri hanno ritenuto prioritario appurare chi avesse acquistato una certa casa a Montecarlo, intrigandosi con malfamati faccendieri per 14 Sbancor, Il nuovo Medio Oriente. L’articolo, originariamente pubblicato su «Carmilla on line» il 1 dicembre del 2006, è leggibile a questo link: http://bit. ly/2typrwq.
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acquisire dossier taroccati, piuttosto che alzare il telefono e chiamare Damasco o Beirut. Le rivolte democratiche contro le dittature arabe sono state lasciate sole dai governi occidentali che hanno preferito affidarsi a improbabili garanti dello status quo internazionale come Morsi, o fingere di non vedere la doppia tenaglia dei macellai governativi e islamisti contro la componente democratica siriana. Ma ignorare questa tenaglia significa – non importa con quanta consapevolezza – lasciare che il destino delle moltitudini siriane sia determinato dalla punteggiatura dello storytelling e dai suoi presupposti politici. La guerra siriana viene fatta iniziare nel 2011, con la primavera siriana. Non al principio del millennio, quando il “laico, democratico e socialista” Bashar al-Asad avviò quella liberalizzazione dell’economia che ebbe catastrofiche conseguenze sulla popolazione: una fra tutte, la sostituzione delle colture tradizionali con grano e cotone, colture più redditizie (per i possessori dei terreni), ma meno resistenti alla ciclica siccità siriana, e soprattutto più bisognose di irrigazione, col conseguente insostenibile sfruttamento intensivo delle falde acquifere che ha provocato il crollo dei livelli delle falde sotterranee. Non con la drammatica carestia iniziata nel 2006 dovuta al combinato di cambiamenti climatici, imprevidenza del tiranno, e politiche orientate al profitto (privato) piuttosto che al mantenimento dell’equilibrio fra economia e ambiente – in altri termini, la globalizzazione dei rischi in cambio della privatizzazione dei profitti –, col conseguente spostamento di un milione e mezzo di contadini dalle campagne alle città, e in particolare alla periferia orientale di Aleppo.15 Non nel 2008, quando inizia a serpeggiare, e poi a manifestarsi, 15 Cfr. Iside Gjergji, Cosa c’entra la crisi alimentare con la “primavera araba”?, «La sinistra rivista», 5 settembre 2014, http://bit.ly/2tyMpUy; Simone Valesini, Siria, il ruolo dei cambiamenti climatici nella guerra, «Wired», 3 marzo 2015, http:// bit.ly/2s0dG01; Mauro Pompili, Sete e guerra in Siria, «EastWest», 11 giugno 2015, http://bit.ly/2rHiwja.
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la protesta anti-governativa fra quel 60% della popolazione colpita da siccità e carestia. In questo modo la primavera siriana del 2011 (così come quella egiziana) diventa un evento improvviso, e come tale inspiegabile, se non per l’intervento di “potenze straniere”. L’intervento ab origine delle “potenze straniere” sottintende un secondo assunto, ancor più evidente se si guarda alla primavera egiziana e a piazza Tahir: l’inammissibilità di una protesta moltitudinaria dal basso, costituita da reti orizzontali, nelle quali si mescolano forme tradizionali e forme nuove di concatenazione, dai sindacati di base all’uso dei social – ah, questi giovani arabi armati di Facebook e social che tanto piacciono ai media occidentali. In questa narrazione si incontrano, non a caso, i cultori della geopolitica – geopolitica is the new black, fra gli storytellers neo-imperiali – e i compulsatori dei Sacri Testi che negano la capacità di azione spontanea delle masse prive di un partito-guida o di un leader carismatico: gratta gratta, alla fine si scopre all’opera il paradigma reazionario che da Hobbes, attraverso Locke e Rousseau, arriva fino a Hegel (o forse fino a Schmitt, che con suo disincantato cinismo ne svela la natura): che pretende che la molteplicità sia ricondotta a Uno nella figura del sovrano oppure della Legge, della Volontà Generale o dello Stato – o, eventualmente, del partito. Che, insomma, sia destino delle moltitudini quello di assoggettarsi al potere disciplinante, mai quello di costituirsi come soggetti rivoluzionari capaci di libertà. «La rivoluzione siriana, come già quella egiziana, ha segnato anche la sconfitta temporanea dell’intellettualità europea più o meno “militante”, incapace di offrire una cornice interpretativa a questi eventi».16 Da questo punto di vista, questo libro non parla solo di Siria, almeno per chi ha orecchie per sentire. La sconfitta delle rivolte, determinata dall’azione genocida di Asad nei confronti di quel “popolo” che, in 16 Davide Grasso, Siria: rivoluzione teocratica o confederale?, «Nena News», 5 ottobre 2016, http://bit.ly/2sZasik.
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maggioranza non-alawita, il tiranno non sente come “suo” (posto che un tiranno provi mai sentimenti simili), e al quale non ha riconosciuto il diritto di presa di parola – il legittimo uso della parrhesia – ha fatto spazio all’afflusso delle milizie jihadiste in Siria: al-Qaida e Arhar al-Sham hanno allora fondato, con altri gruppi salafiti (ossia promotori della restaurazione della società islamica del vii sec. d. C.), l’alleanza per Aleppo “Ansar al-Shari’a”; Jaish al-Islam (anch’essa organizzazione salafita), invece, ne ha creata un’altra con gruppi minori, il cui nome è Fatah Halab. Queste due “cabine di comando”, alleate e coordinate tra loro, non hanno costituito soltanto la direzione armata delle migliaia di miliziani che si sono contrapposti al regime a ovest e ai curdi a nord in questi giorni, ma anche il potere brutale che ha controllato Aleppo est in questi ultimi due anni, provocando vessazioni, persecuzioni, discriminazioni e violenze inaudite sulla popolazione civile, la cui vita quotidiana è precipitata in un incubo inedito per la storia di Aleppo, città caratterizzata dalla sua profonda modernità, varietà sociale e diversità religiosa, ideologica e culturale.17
Nello storytelling neo-imperiale l’avvento delle milizie salafite e jihadiste – così come in Egitto la vittoria elettorale della Fratellanza musulmana – è fatto retroagire sugli eventi fissati come iniziali: se Daesh e al-Nusra prendono il controllo di Aleppo est, allora erano sin dall’inizio i promotori (per conto terzi, si aggiunge) degli eventi, dunque la rivoluzione siriana era malata sin dall’origine: l’“autoerotismo geopolitico” giunge qui all’orgasmo, dopo essersi concesso il lusso di fare il tifo per una fazione, a seconda dei casi battezzata come “buona” o “meno peggio”. Lo stesso vale per l’Egitto, dove la Fratellanza musulmana è elevata a dominus di una rivolta alla quale, inizialmente, 17 Davide Grasso, Aleppo: cosa è necessario sapere per prendere posizione, «Quiete o tempesta», 17 dicembre 2016, http://bit.ly/2tyovs9.
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Ho visto la rivoluzione e la guerra da lontano, e poi ho passato al vaglio centinaia di video e testimonianze, molte delle quali terribili, prima di decidere che dovevo fermarmi un po’ per non essere sopraffatto dalla disperazione, dalla rabbia e dall’impotenza. La scrittura di questo lavoro ha significato ritornarci, affrontare di nuovo quelle immagini e quei testi, cercando di tenere lontani i mille rivoli di odio che dalla Siria, in forme spesso trasfigurate, degradate o meschine, si espandono nella rete e fuori. Ne sono uscito con la convinzione definitiva che la Siria nel 2011 era un paese meraviglioso nonostante il regime di Bashar al-Asad. I suoi rivoluzionari, la maggior parte dei quali è di gran lunga più giovane di me, ne erano il cuore. Guardando alla forza, al coraggio e alla generosità di coloro che per la rivoluzione sono morti e di chi è ancora vivo e attivo, ho intravisto una luce alla fine del tunnel.
ISBN 978-88-98841-65-3
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