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Prefazione
• oltre alla chiusura dei cicli fisici per oggetti, atomi e molecole in vista del loro riutilizzo, bisogna aggiungere il ciclo della responsabilità. I produttori sono gli “ultimi proprietari responsabili” degli oggetti che producono; hanno la conoscenza tecnica, ne traggono profitto e in fin dei conti dovrebbero avere la responsabilità di “chiudere il cerchio”. Una Responsabilità legale estesa del produttore (Extended Producer Liability – EPL) fornirebbe gli incentivi finanziari per agire alla fonte e condurre a un’economia sostenibile.
I cicli chiusi di responsabilità sono già la norma per gli attori economici che operano in una performance economy vendendo prestazioni, beni e molecole come servizi piuttosto che come merci. Questo modello di business è stato la regola nei trasporti, sia quando ha assunto la forma dell’uso condiviso (bus, treni, aerei) sia quando è stato un uso ricorrente (hotel, taxi, noleggio automobili). Mantenendo la proprietà degli oggetti, gli attori economici devono internalizzare tutte le responsabilità e i costi dei rischi e dei rifiuti. Per massimizzare i profitti, le incertezze che un oggetto deve affrontare durante il suo ciclo di vita devono essere considerate già durante le fasi di progettazione. Il libro Limits to certainty – Facing risks in the new service economy, che ho scritto assieme a Orio Giarini, delineava questo ripensamento dell’economia, dopo che Schumacher, nel 1973, si era già espresso per un cambiamento analogo nel suo libro Piccolo è bello. Uno studio di economia come se la gente contasse qualcosa. Nel 2016, Wijkman e Skanberg hanno quantificato i benefici macroeconomici della CIE nei loro report sugli impatti sociali di una CIE. Oggi disponiamo di stime esatte sulla sostituzione di energia ed emissioni di gas serra con forza lavoro nella CIE, tenendo presente che quest’ultima opererà sempre in simbiosi con la produzione e che ciò è necessario per estendere i progressi scientifici e tecnologici agli stock esistenti. L’obiettivo di ogni economia circolare è utilizzare al meglio gli stock di beni o capitali, siano essi naturali, umani, culturali, industriali o finanziari,
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e mantenerne il valore. Ma considerando che la natura è un sistema auto-organizzato di cicli virtuosi, la CIE è un sistema guidato da imprenditorialità, innovazione, regolamentazione, desideri umani, politica, valori e responsabilità, e tra questi l’economia della performance è quella con il modello di business più sostenibile. Sono lieto di presentare l’edizione aggiornata di questo libro di Emanuele Bompan e Ilaria Nicoletta Brambilla, un contributo positivo al dibattito sull’economia circolare. Mancano ancora approcci di ampio respiro all’economia circolare e questo libro potrebbe aiutare i lettori a orientarsi nella lunga transizione della nostra economia.
Stefano Ciafani *
Il 2021 è l’anno della consacrazione istituzionale della transizione ecologica nel nostro paese. Finalmente. Si tratta, infatti, di un concetto a noi molto caro, che emergeva chiaramente nelle pubblicazioni della nostra associazione già negli anni Ottanta. Ora, nonostante il cronico e insopportabile ritardo italiano, è un tema al centro dell’agenda politica nazionale, grazie soprattutto alla spinta europea del Green Deal prima e del Next Generation EU poi. La nascita del governo Draghi è stata caratterizzata proprio dall’istituzione del nuovo ministero che ha unito il dicastero dell’Ambiente, del territorio e del mare alle direzioni generali che si occupavano di energia allo Sviluppo economico. Alla sfida epocale della transizione verde è dedicata la parte più importante del Piano nazionale di ripresa e resilienza varato dall’esecutivo, obbligato a rispettare la percentuale minima del 37% delle risorse europee stanziate per far ripartire l’economia dopo lo shock causato dal COVID-19, da destinare al processo di decarbonizzazione continentale entro il 2050. La grande sfida dell’economia circolare dovrà essere uno dei pilastri della transizione verde italiana al centro delle politiche del neonato ministero. Questa innovazione, spinta dalle istituzioni europee, ha portato all’approvazione del pacchetto di direttive sull’economia circolare e al varo del nuovo piano d’azione. Si tratta, nei fatti, di una nuova rivoluzione indu-
* Presidente nazionale di Legambiente.
striale che mette ai margini secoli di cicli produttivi inquinanti, prodotti pensati per durare sempre meno, impianti di smaltimento di rifiuti di ogni genere. Ora è il momento di spingere su ricerca accademica e industriale, riprogettazione di beni e cicli manifatturieri, valutazione del ciclo di vita dei prodotti, economia a basso contenuto di carbonio e sistemi produttivi che minimizzano l’uso di materie prime. L’Italia su questo fronte non è proprio l’ultima arrivata. Anzi. Possiamo, infatti, contare su esperienze industriali con leadership mondiale nel nuovo paradigma della bioeconomia. L’unico impianto al mondo in grado di produrre il butandiolo dalla materia rinnovabile e non dal petrolio, per esempio, non è in Germania o negli Stati Uniti ma è in Italia, più precisamente ad Adria, in provincia di Rovigo. Per fronteggiare la strutturale carenza di materie prime e diffondere su tutto il territorio nazionale le esperienze uniche nel panorama mondiale che il nostro paese può vantare, è fondamentale sviluppare al massimo tutte le potenzialità dell’economia circolare. Un vantaggio competitivo che non conserveremo a lungo senza una strategia e, soprattutto, risorse adeguate. Su questo fronte, invece, ancora non ci siamo, sia per quello che concerne i finanziamenti pubblici alla ricerca sull’economia circolare sia per un’impostazione culturale ancora arretrata di gran parte del mondo imprenditoriale italiano. Si devono valorizzare sempre di più le numerose esperienze positive, condividere le conoscenze e promuovere le competenze di un settore che ha ancora grandi potenzialità di sviluppo. Nei prossimi anni si potrà creare nuova occupazione, portare risparmi per le imprese e benefici per la qualità dell’ambiente e il clima, bonificare aree industriali e riconvertire impianti obsoleti. Le “eccezioni” dei campioni mondiali made in Italy di questo settore devono diventare al più presto pratica ordinaria nel settore della chimica, nella produzione dei biocarburanti veri, quelli a filiera corta che non impattano sulle colture alimentari e sulla biodiversità, nella siderurgia e nella metallurgia, nell’agroalimentare. Serve però un cambio di paradigma affinché si completi la transizione