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Aria per violoncello
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Berlino Ovest, 1988. La mamma mi aveva detto che prima non esisteva. Io non ci credevo, però. Il muro aveva un aspetto così vecchio, doveva essere lì dai tempi dei dinosauri. Abitavo in quella casa da quando ero nato. Insieme ai miei amici, Sacha e Olga, a volte giocavamo a pallone contro quel muro, ma la mamma non voleva che mi avvicinassi troppo.
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I miei genitori lavoravano tanto e io rientravo presto da scuola. Spesso, quando ero a casa da solo, andavo in solaio. Avevo trovato la piccola botola attraverso cui ci si arrivava, appena sopra il bagno. La raggiungevo dandomi un po’ di slancio e m’intrufolavo su. Il solaio era immerso nell’oscurità. Solo qualche raggio di sole entrava da un piccolo lucernaio. Salivo su di un vecchio baule per riuscire a sbucare con la testa e vedere che cosa accadeva giù in strada, dall’altra parte di quel muro, al tempo stesso così lontana e così vicina. A volte vedevo delle persone e non mi sembravano diverse da noi. C’erano meno automobili e meno negozi, questo sì.
Allora perché quel muro ci separava? Il nonno e la nonna materni vivevano di là. Li avevo visti soltanto una volta. Avevano avuto un’«autorizzazione speciale», mi aveva spiegato mamma. Non ero mai andato da loro, era troppo rischioso, dicevano i miei.