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L’ALLIEVO E Il MAESTRO
Il primo passo importante per il giovane che intenda iniziare lo studio del canto, oltre che avere passione e voce, è la ricerca di un insegnante serio e preparato.
A chi rivolgersi, allora? Una possibilità sarebbe quella di recarsi, alla fine di una recita, nel camerino di qualche cantante molto noto per farsi consigliare nella ricerca. Una seconda di farsi indirizzare dal direttore di un buon conservatorio o, ancora, dal direttore artistico di un teatro di livello.
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Certamente spesso vi consiglieranno ex cantanti o cantanti nella parabola discendente della loro carriera, perché nel pieno dell’attività raramente un artista ha il tempo e le forze per insegnare. In questo caso occorre tener presente che, se il cantante potrà aiutarvi nella ricerca della posizione vocale e di una respirazione adeguata, avrà qualche problema a insegnare a un allievo di un’altra tipologia vocale e di sicuro non conoscerà bene gli altri repertori. E non sempre il cantante di gran nome è un buon insegnante, mentre può succedere che un modesto comprimario si riveli poi un ottimo maestro di canto.
Mi rendo conto che sto suggerendo metodi che possono apparire empirici e discutibili. Se qualcuno ne ha di migliori, l’ascolterò con attenzione!
Una volta fatta la scelta – un insegnante privato o un percorso di studio in conservatorio – potreste scoprire, in qualche caso, che il maestro al quale vi siete affidati non è all’altezza. Se è così, cambiatelo.
Come accorgersene? È importante osservare con molta attenzione la situazione e non “innamorarsi” dell’insegnante, per non cadere in una sorta di dipendenza acritica che blocca il giudizio. È un fenomeno più frequente di quanto si pensi. È vero che è fondamentale avere una certa fiducia nel docente scelto, ma il dialogo deve sempre essere bilaterale. Dovete poter esprimere le vostre sensazioni, le vostre difficoltà, le vostre preferenze, e non essere ostaggio di regole rigide che mai valgono per tutti. L’unica possibilità è quella di verificare i risultati. Se in pochi mesi otterrete qualche miglioramento tangibile – una maggior facilità di emissione, un allungamento dell’estensione vocale, un buon controllo della respirazione, la ricerca di un modo artistico di emettere i suoni – siete sulla strada giusta. Altrimenti è meglio cercare di cambiare, anche diverse volte, finché non troverete un insegnante con cui ottenere i primi risultati che tutti dovrebbero raggiungere dopo qualche mese di studio.
Affinché si possa formare un buon cantante, tuttavia, per prima cosa bisogna che l’allievo abbia a disposizione la stoffa, cioè la voce; poi la predisposizione a una respirazione e fonazione naturalmente poco faticose, una musicalità più o meno chiaramente già presente, un carattere che spinga a cercare la perfezione anche nelle piccole cose, e una grande perseveranza. Insomma il maestro, secondo la maieutica socratica, può solo accompagnare l’artista nella ricerca dei risultati, aiutandolo a far emergere le sue doti migliori. Per far questo, chi insegna dovrebbe possedere, oltre che un bagaglio musicale solidissimo, la capacità di discernere il suono bello e giusto, confrontandosi con le sensazioni dell’allievo e stimolandolo nella ricerca di un canto espressivo.
Poiché la preparazione musicale è elemento fondamentale, il maestro dovrà curare con attenzione questa parte della formazione, abituando l’allievo a un rigore oggi indispensabile per confrontarsi con il direttore d’orchestra. Lo studio della musica è necessario anche se si sceglie un percorso privato. Il maestro deve quindi possedere cognizioni ampie, forgiate da anni di lavoro sul campo e mediate dalla capacità, a propria volta, di esprimersi artisticamente. Noi artisti, infatti, sappiamo che talvolta la difficoltà tecnica si supera pensando all’interpretazione. Nella mia lunghissima esperienza – ho iniziato a lavorare con i cantanti intorno agli 11-12 anni quasi mai ho visto primeggiare cantanti poco musicali, anche se in possesso di voci importanti e tecnicamente mature. Una musicalità salda e originale, al contrario, ha favorito le carriere di artisti meno dotati a livello vocale.
Naturalmente i fuoriclasse possiedono ambedue le caratteristiche: voci ben forgiate, di ampi volumi, elastiche, e musicalità evidente. Ma, come tutti possono verificare, sono i casi più rari da trovare.
Circolano molte leggende sulla formazione dei cantanti lirici. La più diffusa sostiene che il giovane aspirante alla carriera teatrale debba sobbarcarsi molti anni di studi e duri sacrifici (!) prima di potersi presentare adeguatamente sul palcoscenico. Questa convinzione manifesta una scarsa conoscenza dell’attitudine al canto e alla musica, nell’idea che un giovane non possa avere già capacità innate: una sorta di paternalismo sciocco che nega il talento. Forse deriva anche dall’opportunità, per alcuni didatti, di impinguare in proporzione il proprio portafoglio se l’allievo impiega molti anni a studiare.
Ora, sia ben chiaro che non intendo dire che uno studio serio e accurato non sia più che indispensabile. Ma gli 8-10 anni, preceduti da altri anni di vocalizzi, che alcuni sedicenti insegnanti considerano necessari, sono una pura assurdità. A differenza degli studi musicali per diventare strumentisti – il pianoforte, il violino e altri –, che richiedono di allenare e quasi plasmare parti del corpo sin da bambini, lo studio del canto spesso viene iniziato da giovani dotati già di un talento ben strutturato ed evidente, che si sono allenati spontaneamente fin da ragazzi.
Quando un giovane si presenta all’insegnante che ha scelto, questi dovrà esaminare le possibilità canore e l’orecchio musicale del nuovo allievo, saggiandone l’estensione, il timbro e la bellezza del suono. L’estensione ideale, che si verifica con differenti tipologie di vocalizzi, dovrebbe essere di almeno due ottave. Il timbro determina l’appartenenza alla classe vocale: basso, baritono o tenore per gli uomini; contralto, mezzo soprano o soprano per le donne. Quanto all’orecchio musicale, già un vocalizzo può dare indicazioni. Ma l’esame può essere approfondito facendo cantare al futuro allievo qualche frase d’opera nota o insegnata al momento oppure anche una semplice canzone. Sarà importante per constatare la velocità d’apprendimento e il gusto musicale dell’allievo.
Per interrompere brevemente la monotonia di questi dettagli, racconterò dello sbigottito stupore che coglie il maestro di canto quanto si trova ad ascoltare un giovane che presenta chiaramente le stimmate del futuro grande cantante. È un’emozione rarissima, forse paragonabile a quella che può cogliere un ricercatore di diamanti che trova il Koh-iNoor. Questa emozione a me è capitata non più di cinque o sei volte volte nell’ arco di più di mezzo secolo. Dirò allora di un’audizione richiestami per telefono da un tenore che dichiarò di avere diciott’anni. Io ne avevo diciannove ed ero già considerato un esperto di canto lirico. Quando gli aprii la porta mi trovai di fronte a un giovane aitante, dall’espressione intelligente e con un sorriso accattivante.
Mi misi al pianoforte e gli feci iniziare una serie di vocalizzi. Man mano che saliva rimanevo sempre più stupito dalla facilità di quella voce limpida e cristallina. Giunti che fummo al Do acuto gli feci segno di ridiscendere.
«No, no, saliamo almeno fino al mi bemolle», disse con una certa spavalderia.
Ora, per i tenori lirici, come ormai avevo mentalmente definito la voce di quel ragazzo, salire al mi bemolle era come per una caravella del tempo antico avventurarsi oltre le colonne d’Ercole. Ma quel giovanotto saettò una nota così eccitante che mi fece sobbalzare sulla sedia.
Quando ci arrestammo mi chiese: «Cosa ne pensi? Ho qualche possibilità di fare il cantante? Perché io sono maestro elementare e sto facendo bene anche come assicuratore porta a porta. Anzi, se non sei ancora assicurato, ti propongo una polizza sulla vita estremamente vantaggiosa…», disse in modo sfacciato.
Riuscii ad arrestare quel fiume di parole.
«Ascoltami bene, mio caro…».
«Luciano», disse, togliendomi d’impaccio.
«Mio caro Luciano… ma sei il mio vecchio compagno di scuola! Tu frequentavi un’altra classe al San Giuseppe, dai salesiani».
«Sì, è vero! Mi ricordo anche che abbiamo giocato a calcio e la tua squadra prendeva sempre la paga dalla mia», puntualizzò con soddisfazione.
«Per tornare alla tua domanda, rispondo che se non farai il tenore sarà la più grande bestialità della tua vita. Però voglio ascoltare anche qualche romanza».
« Va bene se canto Tombe degli avi miei ? ». «Benissimo».
E anche la prova musicale confermò l’impressione estremamente favorevole che mi aveva dato nei vocalizzi.
Sì, c’erano alcune imprecisioni musicali, era abbastanza evidente che il brano era stato imparato a orecchio. Ma l’impianto generale era comunque buono e denotava un istinto da affinare ma già di grande personalità.
Ora, poiché tutti avranno compreso che quel ragazzo altri non era che Luciano Pavarotti, cerchiamo di trarre qualche utile insegnamento da quel lontano episodio.
Troppo spesso mi capita di ascoltare in audizione giovani che pretendono di studiare sprovvisti di qualsiasi conoscenza del repertorio lirico. La cosa mi lascia sempre basito. Com’è possibile, mi chiedo, che costoro, solo perché possiedono magari un po’ di voce, siano attratti da qualcosa che non conoscono?
Come mai non hanno ancora ascoltato nulla dei grandi cantanti e non hanno avuto la voglia di tentar di cantare qualche frase musicale d’opera?
Solitamente la vocazione per il canto e la musica si manifesta molto presto, la stragrande maggioranza dei grandi cantanti ha iniziato in giovane età; e quando dico iniziato, intendo proprio il debutto in palcoscenico. Più avanti presenterò un breve ma significativo elenco delle età anagrafiche di alcuni artisti al loro debutto, tema che tornerò a trattare perché reputo sia utile scardinare convinzioni che recano solo disturbo.