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Š 2014, Pagina soc. coop., Bari
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Danilo Zardin
i fili della storia
incontri, letture, avvenimenti
ProprietĂ letteraria riservata Pagina soc. coop. - Bari
Versione digitale (pdf) ISBN 978-88-7470-382-1
Il libro Viaggiare nei paesaggi sconfinati della storia e della cultura del mondo moderno è una avventura piena di sorprese inaspettate. Si può credere di conoscere già molte cose, ma ancora di più sono quelle da riscoprire, o che si possono guardare in una luce diversa. Per fare questo, occorre una bussola per cominciare a orientarsi. I fili della storia propongono dei sentieri da percorrere e invitano a sostare su alcuni punti fermi di passaggio. Aiutano a mettere a fuoco l’impianto della società, che continua a cambiare, nel tempo, la sua fisionomia. Descrivono il ruolo e gli ideali delle istituzioni del potere. Più ancora, fanno incontrare con gli uomini che hanno animato la vita dell’Occidente degli ultimi secoli, mostrando tutta la ricchezza delle loro attese, dei loro bisogni e delle loro speranze: un destino da costruire, una fede religiosa a cui appoggiarsi, la dialettica con altre visioni della vita alternative, una concezione di sé e del valore della realtà che si è tradotta in arte, in bellezza, in capacità di iniziativa e impegno operoso per fare del mondo uno spazio da rendere sempre più abitabile, anche passando attraverso lotte, perdite e conflitti.
L’autore Danilo Zardin è professore ordinario di Storia moderna presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dove coordina il dottorato in Storia e letteratura dell’età moderna e contemporanea. Fa parte dei Consigli direttivi dell’Accademia Ambrosiana - Classe di studi borromaici e della Fondazione Maccarrone per la «Rivista di storia della Chiesa in Italia» ed è responsabile del comitato scientifico di «Lineatempo. Itinerari di storia, letteratura, filosofia e arte». Al centro dei suoi studi è il sistema culturale e religioso dell’Europa di Antico Regime, con speciale riferimento a Milano e alle terre lombarde. Ha di recente curato: Il cuore di Milano. Identità e storia di una capitale ‘morale’ (2012) e Lombardia ed Europa. Incroci di storia e cultura (2014). L’ultimo volume autonomo è Carlo Borromeo. Cultura, santità, governo (2010).
Prefazione «Mettiti al centro; e tutto vedi insieme» Angelus Silesius, Il pellegrino cherubico, II, 183a
I «fili della storia», al plurale, è formula che vuole alludere alla molteplicità dei temi toccati in questa raccolta di scritti brevi. Non si intende, evidentemente, proporre una sintesi globale; piuttosto, si offre una mappa di orientamento nei meandri della storia e della cultura, quindi nell’impianto della società e della visione del mondo tipici dell’epoca moderna, con le cui eredità e i cui esiti maturi dobbiamo oggi fare i conti. La chiave di volta può facilmente essere individuata in una idea forte che conviene esplicitare subito qui in apertura. Si parte da una opzione convinta a favore dell’interesse, del valore intrinseco, e in un certo senso della ‘ricchezza’ di ogni tappa del cammino della storia. I fatti storici sono il risultato della confluenza di tante spinte diverse, spesso contrastanti. Ogni avanzamento implica per forza di cose anche perdite, conflitti, squilibri. Ma tutto concorre, per vie che di sicuro non si incanalano sempre in un concerto armonioso, alla costruzione della strada che porta fino al nostro presente. In ogni piega, anche la più dolorosamente problematica, anche nella violenza degli urti che si abbattono sui paesaggi preesistenti e sconvolgono gli schemi di un ordine più o meno consolidato, si nascondono apporti che poi contribuiscono a compaginare una nuova fisionomia del sistema del vivere, capace, se trova il ritmo e le energie giuste per il suo sviluppo, di assestarsi in forme stabilizzate, di continuare a resistere nel tempo, di ramificarsi in nuove direzioni e generare, così, nuovi frutti. Questo tipo di approccio è orientato in primo luogo a capire, evitando di chiudere nelle nostre griglie sommarie di giudizio la profondità inesauribile del passato che si svela sotto i nostri occhi nel momento in cui cerchiamo di ricomprenderlo nel circuito della nostra memoria. È una prospettiva che dovrebbe aiutare a rileggere in modo più aperto e curioso – spero anche più adeguatamente penetrante – la lenta metamorfosi che ha segnato il passaggio dalla società tradizionale architettata nel mondo antico e nei primi secoli dell’Occidente cristiano agli approdi che definiscono ora v
l’orizzonte della nostra esperienza collettiva. Su tale fronte siamo diventati spettatori di una trasformazione che ha gradualmente rivoluzionato l’intero spettro dei modi secondo cui si orchestravano la vita degli uomini e la comunità di cui essa è parte. Il trionfo del mercato, il lavoro per il profitto, la conquista di un dominio economico sempre più globalizzato in senso planetario, l’estendersi delle leve di controllo delle impalcature dello Stato, la centralizzazione e l’uniformazione dell’amministrazione della giustizia, i diritti e le libertà dell’individuo, la desacralizzazione della natura, le ideologie e le teorie che ne sono derivate per piegare al nostro servizio ciò che esiste: sono solo alcuni dei fattori che, combinandosi tra loro e sostenendosi a vicenda, hanno radicalmente modificato lo scenario delineatosi con il susseguirsi delle fasi storiche premoderne. La famiglia ha ridisegnato in profondità il suo volto. Sono cambiati i volti della città, il teatro della casa, i codici che regolano la nostra vita quotidiana, i quadri delle norme etiche, gli stili di comportamento, i modelli della strutturazione giuridica e politica dell’organismo sociale nel suo insieme. Si è prodotta una forza clamorosa di crescita materiale e di espansione, che ha lanciato l’Occidente figlio della cristianità europea in una corsa quasi senza rivali (ma le sorti, in un futuro molto prossimo, potrebbero rovesciarsi decisamente). La posta in palio era l’assorbimento di un mosaico intricato di popoli e di civiltà sotto il mantello di un indirizzo di governo, alla prova dei fatti, largamente vincente. Trasformare, ristrutturare, ha voluto dire fare anche delle scelte senza ritorno. Quanto si è aggiunto di nuovo ha preso il posto di realtà vecchie, ritenute logore e sorpassate. Il progresso economico e civile, che indubbiamente c’è stato, e ha portato con sé una quantità enorme di benefici, ha incrinato, o comunque sbilanciato, l’ossatura che faceva da cornice al panorama di un’Europa ancora alle soglie del suo straordinario decollo. Tanto si è guadagnato in positivo, altrettanto si è accumulato sul versante delle crisi e delle contestazioni, innalzando montagne di detriti da smaltire. La nascita della modernità – argomento centrale dei sondaggi qui riuniti – non può che essere abbracciata, in altre parole, come un processo ambivalente. Si tratta di un processo che non ha un unico segno di polarità, solo positivo o solo negativo: non è stato né una curva di decadimento rovinoso, dalla pienezza di uno stato di vita primordiale, tutto raccolto in una cultura ricca di alti e invidiabili valori, nutriti da una fede che trasfigurava la povertà e la precarietà assoluta di mezzi di una società umana vi
alle prese con il dramma della sua sopravvivenza materiale, né, in senso opposto, lo si può immaginare come un salto prodigioso dalla primitività ingenua di un mondo ancora limitato e mitologico, verso la rottura dell’incantesimo che ha consentito di sprigionare le risorse intellettuali non meno che lo spirito di intraprendente iniziativa operosa grazie ai quali ci si è lanciati nell’impresa di fare spazio alla pubblica felicità diventata regola-guida nel regno della contemporaneità. Soprattutto, gli interessi di studio di cui questa raccolta è uno specchio convergono nel sottolineare la tesi che l’evoluzione della società dell’Occidente medievale, avviata a un destino di potenziamento e di emancipazione, in molti campi cruciali, già dai primi secoli dopo il Mille, il suo disporsi in senso moderno, le torsioni e i riadattamenti che ha subito, insieme al transito finale verso un nuovo ordine configurato partendo dalle basi di un lascito avuto in consegna, non possono più essere letti solo come un fenomeno di rottura. Lo schema dualistico della modernità, concepita come alternativa totale all’universo antico/medievale, poteva forse valere, nel passato, per difendere ciò che di buono e vitale è stato posto in essere anche prima dell’esplosione del progresso moderno, così come, di quest’ultimo, aiutava a smascherare i punti deboli e i lineamenti aggressivamente devastatori, tutt’altro che teneri nei confronti dei mondi sociali e culturali che la modernità in ascesa si è trovata a subordinare al proprio dominio, lungo una trafila accidentata di lotte e contrasti anche molto aspri e spigolosi. Oggi, però, la transizione alla modernità appare sempre meno riducibile a una fioritura improvvisa, tale da essere stata in grado di spezzare la continuità della storia. Gli scarti, le deviazioni e persino le distruzioni richiedono di essere visti anche come strappi che hanno rimesso in moto equilibri statici e costretto a riformulare l’assetto di un mondo bisognoso di allargarsi su nuovi orizzonti. Si sono aperti dei vuoti e qualcosa è stato combattuto duramente; molto è andato perso per strada, abbandonato come zavorra che paralizzava la navigazione nel mare delle sfide sollevate dai tempi inediti che si profilavano. Ma simultaneamente, si sono anche liberate risorse feconde che hanno consentito di attrezzarsi con strumenti più efficaci per affrontare i compiti del governo della natura e dell’ordinamento della vita della società. Gli elementi di una modernità assimilatrice si sono sovrapposti ai quadri delle vecchie strutture e dei vecchi codici di pensiero, che ancora potevano agire come bussole per orientarsi nei labirinti della realtà, vii
offrendo parole e concetti rimasti a lungo insostituibili per articolare il discorso dell’uomo alle prese con le domande poste dalla sua esistenza nel mondo. Le risorse della tradizione, al contrario di come la dipingevano i suoi nemici, non erano ridotte a una gabbia nient’altro che soffocante, che minava lo stato di salute dell’organismo collettivo gravandolo sotto un peso reso ormai insopportabile. Gli antichi maestri della cultura allestita sui pilastri del classicismo umanistico, aggiornato e messo a contatto con i dati del sistema teologico cristiano, continuavano a parlare alla vita dell’uomo moderno. Entravano a comporre la trama del sapere chiamato a misurarsi con la vastità del mondo reale da conoscere e da assoggettare. Da lì si traevano i materiali per interagire con i problemi del presente, nell’ambizione di legittimare le risposte che si azzardavano, ancorandosi a ipotesi e spiegazioni che poi consentivano di muovere passi anche molto decisi in avanti, su terreni che potevano essere pressoché del tutto inesplorati. Le fratture e i salti di discontinuità si sono così annodati in modo assolutamente inestricabile alle forze di persistenza, ai legami che tenevano uniti il vecchio e il nuovo che avanzava reclamando il suo spazio conquistatore, senza però avere la forza di annullare del tutto i risvolti positivi che l’aggancio alla cultura, alla religione e all’ordine politico-sociale della tradizione mostrava di saper ancora esercitare sui suoi lati migliori. I fili di un tessuto che restava in parte intatto e continuava a esercitare la sua funzione di appoggio non erano semplicemente salvaguardati e lasciati sussistere, congelati nella fissità del loro venerato prestigio. Questi stessi cardini di ancoraggio alla continuità del sistema sociale e culturale che costituiva il codice genetico dell’Occidente europeo, esponendosi all’ondata dilagante delle nuove correnti moderne, sono stati ripensati, ridiscussi a fondo, investiti da processi di riorganizzazione e di rilancio come quelli che hanno interessato il consolidamento e la ramificazione delle istituzioni del potere, i flussi dominanti della vita economica, l’inquadramento dei rapporti della società umana con la sfera del sacro e le espressioni consuetudinarie del sentimento religioso trasmesse dalla cristianità medievale: uno degli assi centrali, quest’ultimo in particolare, intorno a cui si ostinava a ruotare l’insieme di una società legata più alle sue matrici arcaiche che non ai canoni in via di definizione di una modernità ancora in fieri, per un ampio tratto rimasta incompiuta. Quel che più importa non è tanto il fatto che gli involucri del passato abbiano continuato ad accompagnare l’evoluzione viii
del progresso moderno, reagendo alle realtà nuove che cominciavano a prendere piede, contribuendo al loro stesso sorgere e organizzarsi (invece di limitarsi a fare da scudo per blindare i bastioni del vecchio edificio da porre sotto tutela). Ancora più rilevante è che il patrimonio di una tradizione consolidata sia stato introdotto in una nuova vitalità, continuando a crescere su di sé, conoscendo prolungamenti e nuove elaborazioni. Quello che è avvenuto nel campo della religione, con la nascita di nuove sintesi del pensiero cristiano (e delle Chiese separate, in lotta fra di loro, che dal Cinque-Seicento se ne sono fatte promotrici), è analogo – e al contempo collegato da un incrocio complicato di nessi reciproci – agli slittamenti che, inoltrandosi nel cuore dell’Antico Regime preilluminista, hanno riconfigurato la logica del pensiero filosofico, la concezione del cosmo e della natura, la visione dell’uomo e del suo fine ultimo, i valori politici, la scienza e le forme molteplici dell’arte. Le continuità, i fenomeni di ripresa, i legami mantenuti saldi con le eredità del passato che hanno imbrigliato (e d’altra parte nutrito) l’ingresso nella piena modernità sono il segnale rivelatore di una tenacia non ancora dissolta. Il patrimonio normativo del passato restava ben più che un relitto imbalsamato semplicemente da presidiare contro ogni rischio di erosione e di messa ai margini, come un inerte reperto da museo. E da un altro punto di vista ancora, se il passato ha continuato a incunearsi dentro la nuova orbita creata dalla trasformazione della civiltà europea degli ultimi secoli, scavando solchi di sotterraneo collegamento tra il ‘prima’ e il ‘dopo’, dobbiamo anche riconoscere, una volta per tutte, che le vecchie letture portate a esaltare, in senso trionfalista, la novità assoluta dei «rinascimenti» che hanno spianato il terreno per il progresso moderno sono da aggirare pure rivedendo il nostro sguardo su quanto ha preceduto il loro affermarsi. La capacità di ‘progresso’, infatti, non è stata una invenzione del mondo avviato a prendere il posto della cristianità medievale. Già la cristianità tradizionale era una società in sensibile dinamismo. Molti germi della nostra modernità sono stati abbozzati nel suo seno, e senza i suoi apporti, dalla sfera della cultura a quella della religione e del diritto, nel settore delle forme economiche e politiche, nei quadri della vita sociale, a partire dai fondamenti della «civiltà materiale», il balzo verso l’apogeo della modernità sarebbe stato molto più impervio e faticoso. Non siamo noi moderni che abbiamo creato la prima rete delle istituzioni ix
universitarie. Non spetta solo a noi la promozione del valore della ragione umana in dialogo, anche energicamente dialettico, con i dettati della religione rivelata, né solo sulle nostre spalle ricadono la rinascita della giurisprudenza di conio romano, l’avvio del recupero umanistico degli antichi, le tecniche finanziarie moderne legate alla incentivazione non usuraria dell’interesse, ai pagamenti a distanza, al traffico del denaro, alla mobilitazione dei capitali tramite le strutture bancarie, le borse, il tessuto delle fiere e dei mercati. Di nuovo si capisce che le periodizzazioni troppo rigide e la frantumazione del continuum sono schemi comodi per sezionare e analizzare i singoli momenti storici, ma risultano in sé insidiose e di fatto insufficienti. Più che procedere per tappe che si succedono l’una all’altra escludendosi a vicenda, la storia è la crescita di un organismo che si trasforma sviluppandosi e modificandosi, dentro una cornice che tende a riprodursi fin dove e fino a quando è possibile. Svolte e fratture si inseriscono inevitabilmente nel tragitto e non possono, senza dubbio, essere sottovalutate. In certe condizioni, possono verificarsi traumi che impongono drastici voltafaccia. Ma siamo oggi nelle condizioni di concentrare sempre meglio l’attenzione su una catena ‘genealogica’ che ha portato, dalle fasi di un passato a volte anche molto remoto, verso l’esito delle sue proteiformi discendenze, inserite nel cantiere di costruzione di ciò che poi è diventato il mondo etichettabile con il sigillo della modernità. Nei limiti di uno scavo per assaggi esemplari, non è logicamente possibile ripercorrere, in tutti i suoi andirivieni tortuosi, la gigantesca parabola di evoluzione storica che, dal mondo premoderno, ha portato al suo superamento senza mai troncare, soprattutto all’inizio della sua marcia, i vincoli da cui sono stati animati gli assemblaggi di elementi aperti all’incremento progressivo del nuovo. Nel volume che presentiamo, si trovano più che altro squarci e illuminazioni che mettono a fuoco alcuni snodi significativi di questa rivoluzione emblematica del panorama della storia. Alcuni ‘fili’ sono messi in particolare evidenza. Altri restano sullo sfondo, appena accennati. Non si pretende di sbandierare una nuova interpretazione riassuntiva, che chiuda tutti gli aspetti abbordati: si indica una via, e lo si fa partendo, come suggerisce il sottotitolo del libro, dagli incontri, dalle letture e dagli avvenimenti che, prima ancora di occupare lo scenario degli oggetti di cui si discorre, hanno orientato il viaggio dell’autore che qui scrive nel suo lavoro personale dentro la storia e la cultura del mondo x
moderno. Non si parla di tutto: si insiste su ciò che, a valle di un itinerario già battuto di verifica, si è imposto come prioritario e decisivo per fare presa sul tema che ci sta a cuore. Per favorire questo, si cerca sempre di sollevarsi a una visione d’insieme dei problemi: bisogna tendere a «vedere le cose in grande» per poter inserire i singoli dettagli dentro la struttura complessiva che li include. Bisogna partire dal ‘generale’ per cogliere il peso, il senso preciso del ‘particolare’. Anche nello studio scolastico e universitario, è utile procedere mettendosi in primo luogo «al centro», perché è dal centro di un sistema che si diramano i nessi e le giunture che fanno da collegamento fino agli anelli terminali delle periferie estreme. In sintonia con le competenze e gli interessi di chi scrive (cioè, di nuovo, nella scia degli incontri, delle letture e degli avvenimenti che hanno dato forma al mio sguardo sulla genesi e i caratteri della modernità occidentale), era quasi inevitabile che uno spazio rilevante venisse riconosciuto al punto nodale dei rapporti che il plasmarsi del mondo moderno ha stabilito con il retaggio della sua coscienza religiosa, dominata dall’impianto storico del cristianesimo latino. Voglio però rimarcare che non si vuole, con questo, ribadire le vecchie tesi schematiche della totale coincidenza tra l’orizzonte della cristianità e il fenomeno storico della civiltà europea. Sono due realtà diverse, due livelli non perfettamente sovrapponibili scaturiti dall’impatto della fede ebraico-cristiana con la realtà dei popoli mediterranei e del continente che noi, oggi, chiamiamo Europa. Ma un conto è pensare che l’Europa moderna sia figlia, magari sfigurata e irriconoscente, dell’eredità di Roma e in un certo senso anche di Gerusalemme, dove si sottoscrisse l’Antico Patto da cui è fiorito per integrazione quello Nuovo. Un conto è ritenere, invece, che la nostra Europa, o il nostro Occidente euro-americano nella sua globalità, esauriscano in sé il destino dell’incarnazione storica del cristianesimo. Lo si vede già guardando alle fonti che hanno fatto prosperare il fenomeno della civiltà europea. Il fondamento religioso, e più specificamente cristiano, che ha costituito il terreno dove affondano le radici dell’Europa può essere negato solo dagli ideologi suicidi che vogliono un progresso senza anima e senza regole. Ma pensare che tutto ciò che è entrato a comporre il tessuto della modernità occidentale derivi unilateralmente, a senso unico, dal ceppo religioso è una semplificazione che distorce la verità della storia: quella del passato non meno che la storia dei nostri giorni. Fra xi
l’altro, implicazione non secondaria, sarebbe uno schematismo che nuoce alla stessa autocomprensione di ciò che è la natura del fatto cristiano come tale. L’Europa non è solo l’esito della trasformazione moderna dell’antica cristianità medievale. I fattori che hanno permesso di modellarla sono stati anche altri, già a partire dalla sua incubazione antica, e su questa piattaforma gli innesti cristiani, una volta assorbiti, venendo ‘metabolizzati’, sono stati reinterpretati, fusi con logiche estranee, rivestiti di nuove funzioni e di nuovi significati, spesso molto distanti da quelli originari del loro primo emergere. Sulla eterogenea costellazione europea di fatto non esiste più, piaccia o non piaccia – ma la realtà è questa –, un diritto di monopolio esclusivo rivendicabile da una fede teologica – e da una organizzazione di Chiesa sua paladina – innalzate in cima a una scala gerarchica capace di imporre automaticamente scelte, valori e programmi condivisi universalmente da tutti, costrittivamente, in un certo senso senza nessun margine residuo per smentite e deragliamenti. Il modello dell’egemonia post-costantiniana è definitivamente tramontato. Siamo usciti dall’orizzonte della cristianità che coincideva con la totalità di una comunità sociale e la riassorbiva nel suo grembo anche con mezzi a volte molto sbrigativi. L’esito storico della divaricazione tra religione e società moderna ha fatto anche riaffiorare la pluralità delle forze ispiratrici confluite nella costruzione del mondo occidentale. I soggetti animatori, le identità coinvolte, i bisogni e le visioni culturali, le modalità di impegno concreto nell’azione hanno attinto a tante sorgenti diverse. Ne riparleremo nei capitoli del libro. Arrivati a questo punto dello sviluppo (o forse della consumazione storica) della modernità occidentale, non possiamo più fare marcia indietro e ripiombare nell’esaltazione di un monismo religioso conservatore, alla Novalis, rivolto al culto di un passato romanticamente idealizzato1: sarebbe il tradimento della libertà da cui fiorisce l’adesione fiduciosa della fede, e nello stesso tempo la morte del confronto a cui l’identità cristiana è oggi chiamata nell’arena di un esasperato pluralismo politico-culturale, attraversato dalle oscillazioni e dalle presunzioni inappagate della secolarizzazione dell’homo technologicus.
1 Novalis, La cristianità o Europa (1799), prima ed. or. 1826, trad. it. Bompiani, Milano 2002 (ma anche in altre edizioni).
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i fili della storia
Indice
Prefazione
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1. Quella ‘rivoluzione’ di Gesù nel Getsèmani
3
2. La Chiesa si rinnova sempre. Chiedetelo alla sua storia
7
3. Le strade del pellegrino, il collante dell’Europa unita
11
4. «Cristo me trae tutto»: Iacopone e quel paradosso di un amore totale
14
5. Parole e canto: nelle laudi il ‘mistero’ di una devozione che accade in ogni tempo
18
6. Perché lo Stabat mater non smette di parlare al cuore in ascolto
21
7. Tota pulchra: dalla bellezza di Maria alla pietà del popolo cristiano
25
8. Così i monaci (e non solo loro) hanno plasmato la società dell’io e del noi
29
9. Le confraternite, quei ‘sindacati’ che scortavano le anime in cielo
33
10. Amare tutti o solo alcuni? Il caso strano delle confraternite
37
11. Dawson: quando esaltare (troppo) il cristianesimo fa male alla ragione
42
12. Dawson, Ratzinger e il ‘mito’ della società cristiana
46
13. Non fermarsi alla nostalgia del Medioevo. Ce lo insegna Kristeller
50
14. Claudel, attacco ai cattolici ‘antimoderni’
55
209
15. Leo Spitzer: dall’età classica al cristianesimo, il mondo come «armonia»
60
16. Abbiamo scartato l’unità e la bellezza del mondo
64
17. Cristianesimo e mondo moderno: incontri e scontri
69
18. Un ‘viaggio’ nel tempo per comprendere la via del cristianesimo che porta all’oggi
80
19. Il Concilio di Trento e il «cristianesimo dell’incarnazione»
84
20. San Carlo, il cristianesimo semplice che ama il popolo
89
21. Alla scoperta del ‘laboratorio’ culturale di san Carlo e Federico Borromeo
95
22. Quei cattolici ‘materialisti’ che han fatto l’Italia del Nord (e ben altro ancora)
98
23. Il rosario, quello strano intreccio tra carità e materia
103
24. La Passione del Colosseo, quel «sacro legno» che redime i pagani di ogni tempo
107
25. Il Seicento e l’arte del canto per ‘rivivere’ la passione di Cristo
113
26. Tommaso Ceva e quel poema su Gesù disprezzato dai ‘laici’ Croce e Carducci
117
27. Carlo Maria Maggi: raccomandazioni ai politici per non farsi odiare
122
28. L’Europa come cristianità: la lunga durata del dialogo tra identità in conflitto
128
29. Cristianesimo e Islam hanno davvero bisogno di una nuova Lepanto?
132
30. 12 settembre 1683. L’assedio di Vienna, lo scontro di civiltà e la tazzina di caffè
135
31. Quando autorità e libertà dell’individuo coesistevano
140
32. Perché l’uomo è più grande dei poteri che lo governano?
144
210
33. Dal rifiuto di Dio all’invasione dello Stato: la lezione di Gregory
148
34. Da Collodi a Melville, il «continente interiore» attende il nostro viaggio
152
35. Pasolini: cosa ci ha lasciato il passato che abbiamo tradito
154
36. La «Chiesa» di de Lubac: il segreto di una vita che continua
160
37. Daniélou, la Chiesa e quella logica del ‘segno’ che vince ogni scetticismo
165
38. Von Balthasar e quell’amore credibile che rivela Dio
169
39. La lezione di von Balthasar: così la Chiesa rinasce dai santi
173
40. Von Balthasar e Claudel: l’io può rinascere nell’amore umano
178
41. Vaticano II: le tre parole che spiegano il Concilio
183
42. La gratuità che ci salva: a margine delle meditazioni di padre Lepori
188
43. Può il cristiano fare a meno del silenzio?
192
44. Camisasca: nella creazione, il mistero dell’accoglienza
196
45. Ecco perché a Francesco non piace l’Ancien Régime
200
46. Dal Cantico dei cantici a Francesco: solo un bimbo può amare Dio...
204
211