Il destino della Bellezza La Bellezza nella prospettiva delle scienze umanistiche Conferenza Internazionale, Università San Tichon (Mosca, 17-19 aprile 2012) in collaborazione con l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano
a cura di Alessandro Rovetta e Marija Desjatova
edizioni di pagina
Indice
Saluto del rettore dell’Università San Tichon Arciprete Vladimir Vorob’ev
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Prolusione. La teologia della bellezza Metropolita Ilarion di Volokolamsk
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Messaggi augurali Mons. Paolo Pezzi, Ambasciatore Antonio Zanardi Landi, Ministro Lorenzo Ornaghi, Prof. Franco Anelli
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Il destino della Bellezza Stefano Alberto La bellezza come superamento del dualismo moderno
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Aleksandr Saltykov Il concetto di bellezza nella cosmologia biblica
39
Tat’jana Kasatkina Il mondo lo salverà la bellezza
51
Marco Rossi La bellezza dell’Incarnazione nella pittura medievale in Italia fra tradizione orientale e occidentale
63
Alessandro Rovetta Il divenire della forma come esperienza della bellezza nell’opera di Michelangelo
77
Natal’ja Vaganova “Il cadavere della bellezza” cento anni dopo
Indice
91
Konstantin Rubinskij La poesia creata dai bambini: ricerca dell’immagine del bello
101
Ignacio Carbajosa «Ho cercato di prendermela come sposa, mi sono innamorato della sua bellezza» (Sap 8, 2). La bellezza della sapienza nella Bibbia
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Anton Nebol’sin La bellezza nell’Apocalisse e dell’Apocalisse
123
Adriano Dell’Asta Si può ancora parlare di arte e di bellezza dopo Auschwitz e la Kolyma?
133
Francesco Braschi Il bello come categoria teologica e morale in alcuni scritti di sant’Ambrogio di Milano
143
Georgij Zacharov La figura della Luce Trinitaria nell’opera di san Gregorio Nazianzeno: aspetti teologici ed estetici
157
Costantino Esposito Che cosa ci fa conoscere la bellezza
165
Aleksandr Filonenko La bellezza e il ritorno della realtà: nuove possibilità di una teoestetica
181
Konstantin Sigov Nuove forme di bellezza nell’opera di Valentin Sil’vestrov
193
Indice
Stefan Vanejan Spazio e liturgia. Aspetti dell’ambiente sacro
201
Ol’ga Januskjavicˇene Possibilità di sostegno pedagogico per far emergere la bellezza dell’immagine di Dio nell’uomo
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Svetlana Divnogorceva La cultura pedagogica della famiglia ortodossa in Russia nel contesto degli ideali della bellezza
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Uberto Motta Tra esperienza e desiderio. Il tema della bellezza nella Commedia di Dante
229
Elizaveta Materova Alla ricerca della perfezione: la poesia del Rinascimento carolingio
249
Timofej Voronin La concezione del bello nel mondo artistico di Žukovskij e di Puškin
261
Maria Cristina Gatti La bellezza sub specie linguistica
269
Irina Celyševa Gli aggettivi di valutazione estetica dal latino alle lingue romanze
279
Tat’jana Kasatkina*
Il mondo lo salverà la bellezza
Per affrontare il tema evocato da questa celebre frase tratta dal romanzo L’idiota, parto dall’analisi di una citazione, anch’essa molto nota, dai Fratelli Karamazov, che è incentrata proprio sulla bellezza Infatti – a differenza della frase di Vladimir Solov’ëv – la frase di Dostoevskij posta a titolo del mio intervento non tratta innanzitutto della bellezza ma della salvezza del mondo. Ecco, invece, quello che afferma Dostoevskij nei Fratelli Karamazov quando parla direttamente della bellezza: La bellezza è una cosa spaventosa e terribile! Spaventosa perché indefinibile, e non la si può definire perché Dio ha posto soltanto degli enigmi. Qui è dove tutte le rive convergono, dove convivono tutte le contraddizioni. Io, fratello, sono molto ignorante ma ci ho pensato a lungo. C’è una quantità spaventosa di misteri! L’uomo sulla terra è oppresso dai troppi enigmi! Risolvili, se ne sei capace, e uscirai asciutto dall’acqua. La bellezza! Io poi non riesco affatto a sopportare che un uomo, perfino superiore quanto a cuore e di grande intelligenza, parta dall’ideale della Madonna per finire con l’ideale di Sodoma. E mi fa ancor più spavento chi ha già nell’animo l’ideale di Sodoma eppur non nega quello della Madonna per il quale il suo cuore arde, e arde davvero, veramente, come negli anni innocenti della giovinezza. No, è vasto l’uomo, fin troppo vasto, io lo restringerei. Lo sa il diavolo che cos’è, infine! Quello che alla mente pare una vergogna, per il cuore è tutta bellezza. Forse che la bellezza si trovi a Sodoma? Credimi, per la stragrande maggioranza degli uomini la bellezza è rinchiusa proprio a Sodoma. Eri al corrente di questo mistero o no? Ciò che è terribile è che la bellezza non è solo spaventosa, ma anche misteriosa. Qui il diavolo lotta con Dio e il campo di battaglia è il cuore dell’uomo. E peraltro, la lingua batte dove il dente duole. * Presidente della Commissione per lo studio dell’opera di F.M. Dostoevskij presso l’istituto di Letteratura Mondiale dell’Accademia Russa delle Scienze. F.M. Dostoevskij, I fratelli Karamazov, parte I, libro II.
Tat’jana Kasatkina
Occorre notare che Dostoevskij ha sempre scritto la parola Sodoma con la maiuscola – siamo nel campo dei problemi di testologia – e questo non è rispettato, ad esempio, nell’edizione integrale delle sue opere in 30 volumi. È un dettaglio fondamentale perché, iniziando a scriverla con la minuscola, finiamo subito per comprenderla in senso metaforico, mentre per Dostoevskij, come sempre, non c’è alcuna metafora. Quasi tutti i filosofi russi che hanno analizzato il brano in questione si sono arroccati sulla convinzione che il personaggio di Dostoevskij stia parlando di due tipi di bellezza. E alla stessa conclusione giunge l’autore di un recentissimo studio, che afferma: «In queste riflessioni Dmitrij contrappone due tipi di bellezza: l’ideale della Madonna e l’ideale di sodoma». Si sostiene, quindi, che Dostoevskij parli della bellezza e della sua imitazione – della sua falsificazione – e che lo faccia (operazione molto spesso attribuita allo scrittore) prendendo in prestito la voce del suo personaggio; che si riferisca alla donna vestita di sole e alla meretrice che cavalca la bestia, e così via. Di fatto, allo scopo di spiegare il testo, sono state identificate e, sostanzialmente, applicate al testo stesso delle coppie (apparentemente analogiche) di metafore. E anche il testo in sé è stato ridotto a un susseguirsi di metafore, poiché i filosofi si sono avventurati nella sua interpretazione senza prima sottoporla a una vera lettura, cioè a quell’analisi filologica che deve necessariamente precedere l’analisi filosofica, ogniqualvolta si tratti di svolgere una riflessione di carattere filosofico su un testo letterario. Hanno inteso che si stesse parlando di qualcosa che già conoscevano. Questo testo, invece, richiede una lettura precisa, matematica, e, se lo leggiamo così, capiamo che Dostoevskij con le parole del suo eroe sta dicendo una cosa assolutamente diversa dalle disquisizioni dei filosofi. E. Novikova, «Mir spaset krasota» F.M. Dostoevskogo i russkaja religioznaja filosofija konca XIX - pervoj treti XX vv. («Il mondo lo salverà la bellezza» di Dostoevskij e la filosofia religiosa russa fine XIX - inizio XX sec.), in T.A. Kasatkina (a cura di), Dostoevskij i XX vek v 2 tomach (Dostoevskij e il XX secolo in 2 tomi), Mosca 2007, t. 1, pp. 97-124. Ju.A. Romanov, Fenomen krasoty v interpretacii Dmitrija Karavazova (Il fenomeno della bellezza nell’interpretazione di Dmitrij Karamazov), in Dostoevskij i sovremennost’. Materialy XXIV Mežnarodnych Starorusskich cˇ tenij 2009 goda (Dostoevskij e la modernità. Materiali dalla XXIV Conferenza Internazionale a Staraja Russa, 2009), Velikij Novgorod 2010, p. 229.
Il mondo lo salverà la bellezza
Innanzitutto, bisogna notare che la bellezza viene definita dai suoi “antonimi”: è una cosa spaventosa, terribile. Perché spaventosa? Nel testo troviamo la risposta: «Perché è indefinibile» (peraltro, definire una cosa attraverso i suoi antonimi è un modo geniale di sottolinearne l’indefinibilità). La bellezza descritta dal personaggio di Dostoevskij non può essere interpretata allegoricamente come hanno fatto i nostri filosofi. L’unico simbolo adeguato a rappresentarla è la famosa Iside velata: spaventosa e terribile proprio perché non la si può definire. C’è tutto dunque, in questa bellezza; in essa convivono tutte le contraddizioni, le rive opposte convergono, e una tale pienezza dell’essere non è definibile in termini di distinzione, di reciproca opposizione tra due parti di un intero, in termini di bene e male. La bellezza è spaventosa e terribile per il fatto di provenire da un altro mondo, presente, contro ogni speranza, nel mondo a noi dato e manifesto; è una cosa propria del mondo precedente alla caduta del peccato originale, precedente al pensiero analitico e alla percezione del bene e del male. Tuttavia, per qualche ragione gli ideali «di Sodoma» e «della Madonna» di cui parla Dmitrij Karamazov vengono ostinatamente intesi come due tipi di bellezza opposti l’uno all’altro, estrapolati in modo assolutamente incomprensibile da qualcosa che è indefinibile (che, cioè, letteralmente, non ha limiti e, di conseguenza, non è nemmeno soggetto a divisione), da qualcosa che si identifica in una convergenza, in un’unità inscindibile di tutte le contraddizioni, un luogo in cui le contraddizioni coesistono, e cioè smettono di essere contraddizioni... Una simile violazione della logica non si addice affatto a un pensatore rigoroso come Dostoevskij o come – notiamolo – i suoi personaggi: non siamo davanti a due bellezze, definite e contrapposte tra loro, ma a due modalità con cui l’uomo entra in rapporto con l’unica bellezza. Per Dostoevskij l’ideale della Madonna e l’ideale di Sodoma – e di questo troviamo piena conferma nel romanzo stesso – rappresentano due modi di guardare la bellezza, di percepire la bellezza, di desiderarla. L’ideale si trova nell’occhio, nella mente e nel cuore di chi è davanti alla bellezza; essa poi si consegna a chi ha di fronte senza difendersi e con un’abnegazione tale da permettergli di dare alla sua originaria indeterminatezza una forma che corrisponda a quell’ideale. Permette che la si veda nel modo in cui chi le sta davanti è in grado di vederla. Credo che quanto detto non sembri convincente. Siamo troppo abi-
Tat’jana Kasatkina
tuati al fatto che non siano le nostre capacità di percezione a contrapporsi, ma proprio i tipi di bellezza, come ad esempio l’angelo biondo dagli occhi azzurri che si contrappone alla diavolessa dagli occhi infuocati, secondo un immaginario diffuso già dai romantici. Ma se per definire cosa sia l’ideale di Sodoma noi ci rivolgessimo al testo di partenza (che Dostoevskij non nomina mai invano), allora scopriremmo che a Sodoma non si recarono uomini depravati e tentatori, demoni: a Sodoma giunsero gli angeli, ricettacoli e prototipi del Signore, e proprio Loro i sodomiti – l’intera città – bramavano “conoscere”. Persino la Madonna – ricordiamo il Cantico dei Cantici: «terribile come un vessillo di guerra», «avvocato», «muro incrollabile» – non è affatto riconducibile a un solo tipo di bellezza. La sua pienezza, la sua capacità di riunire in sé «tutte le contraddizioni», è messa in luce dal grande numero di soggetti e varianti tipologiche delle icone che raffigurano i diversi aspetti della Sua bellezza. Una bellezza che opera nel mondo e lo trasfigura. L’affermazione di Mitja è estremamente significativa: «Forse che la bellezza si trovi a Sodoma? Credimi, per la stragrande maggioranza degli uomini la bellezza è rinchiusa proprio a Sodoma». Dal punto di vista linguistico, le parole sono scelte con grande cura: la bellezza non si trova, non risiede a Sodoma. E Sodoma non costituisce la bellezza. La bellezza a Sodoma «è rinchiusa» – cioè imprigionata, è tenuta segregata nel carcere di Sodoma dagli sguardi degli uomini. Proprio in questo mistero che Mitja comunica ad Alëša è celato il cuore dell’interesse di Dostoevskij per la figura della santa meretrice. «Tutte le contraddizioni convivono». E la bellezza prigioniera a Sodoma non può assumere alcun altro sembiante. In tutto ciò vi è qualcosa di essenziale. In Dostoevskij la parola Sodoma appare sia in Delitto e castigo che nell’Idiota, nei punti più significativi della storia. Marmeladov la pronuncia descrivendo il luogo in cui abita la sua famiglia – «Proprio una Sodoma, la più orribile, ...mmm... sì» –, come anticipando il racconto Ct. 6, 10. Pensiamo ad esempio a Sonja e Lizaveta in Delitto e Castigo, o a Sofja nell’Adolescente. F.M. Dostoevskij, Delitto e castigo, parte I, capitolo II.
Il mondo lo salverà la bellezza
della prostituzione di Sonja: la trasformazione della vita di Sonja ha origine nel fatto che la sua famiglia dimora a Sodoma. Nel romanzo L’idiota il generale Epancˇ in ripete: «Questa è Sodoma, Sodoma», quando Nastasja Filippovna, per dimostrare al principe che non vale abbastanza per lui, prende per la prima volta i soldi dall’uomo che cerca di comprarla. Ma prima di questa esclamazione il generale aveva già capito dalle parole di Nastasja Filippovna che anche la figlia Aglaja era coinvolta nella compravendita – benché l’avesse solennemente negato all’inizio del romanzo, costringendo il principe a scrivere a Ganja nell’album: «Io non mi presto a mercanteggiamenti». Anche se non è lei l’oggetto del commercio, è con lei che mercanteggiano, e questo segna l’inizio del suo ritrovarsi a Sodoma: «Ma tu, Ganecˇ ka, ti sei fatto sfuggire Aglaja Epancˇ ina, lo sapevi o no? Se tu non avessi mercanteggiato con lei, ti avrebbe senz’altro sposato! Dovreste fare tutti così: frequentare o le donne oneste, o quelle disoneste. Bisogna scegliere altrimenti ci si confonde...». Ma se Nastasja Filippovna cerca di abbassarsi davanti ad Aglaja, questa, nonostante il desiderio di umiliare la rivale, non crede fino in fondo che Nastasja Filippovna le sia inferiore e per questo la considera una rivale. All’inizio entrambe appaiono come oggetti di un commercio, alla fine come oggetti di scelta, e in questa gara in cui, per definizione, non possono esserci vincitori (come possono vincere degli oggetti?) a vincere non sarà certo Aglaja... Durante l’ultima Conferenza studentesca su Dostoevskij, lo scorso aprile, una relatrice ha dato un giudizio significativo su Nastasja Filippovna, affermando che «è depravata perché tutti ne fanno oggetto di mercanteggiamento». Io penso che questo perché sia molto appropriato. La donna che in Dostoevskij è portatrice di bellezza è spaventosa e colpisce proprio per la sua indefinibilità. Nel rapporto con il principe, che non la tratta come una merce, Nastasja Filippovna «non è così», mentre con Rogožin, che la presume tale e la mercanteggia, lei «è proprio così». Nel romanzo questi «è così-non è così» sono le definizioni principali di Nastasja Filippovna – della bellezza incarnata... e dipendoF.M. Dostoevskij, L’idiota, parte I, capitolo XVI. Ivi, parte I, capitolo VII. Ivi, parte I, capitolo XVI. Ivi, parte II, capitolo III.
Tat’jana Kasatkina
no esclusivamente dallo sguardo di chi la osserva. Dobbiamo notare la totale indefinitezza e indefinibilità di queste, cosiddette, definizioni. La bellezza è indifesa davanti a chi la guarda, nel senso che è l’osservatore a stabilire la forma del suo manifestarsi concreto (perché la bellezza non si rende manifesta se non c’è chi la vede). La donna si mostra agli occhi dell’uomo così come questi la vede: «Un uomo può insultare col suo cinismo una prostituta che si vende per poco» – Dostoevskij ne era convinto. Svidrigajlov si accende proprio per la verginità dell’innocente Dunja. Fëdor Pavlovicˇ prova libidine quando vede per la prima volta la sua ultima moglie, simile alla Madonna: «“Allora quegli occhietti innocenti mi avevano trafitto l’anima come una lama”, aveva detto in seguito, con la sua tipica risatina disgustosa». Si capisce dunque perché anche l’ideale della Madonna, se custodito in un’anima soggetta al trionfo dell’ideale di Sodoma, diventi spaventoso: diventa l’oggetto della lussuria per eccellenza. Quando invece l’ideale della Madonna ostacola la passione sensuale, allora esso diventa oggetto di negazione diretta e di scherno. In questo senso la scena, riferita da Fëdor Pavlovicˇ a Alëša e Ivan, acquista un enorme significato simbolico: Ma ecco te lo giuro davanti a Dio, Aleša, io non ho mai offeso la mia piccola strillona! Forse solo una volta, ancora nel primo anno di matrimonio: quanto pregava! Osservava soprattutto le feste della Madonna e allora mi scacciava lontano da sé nello studio. Penso, “adesso le faccio passare questo misticismo!”: «Vedi – le dico – vedi ecco la tua immagine, eccola, guarda, io la tolgo [facciamo attenzione proprio a come parla Fëdor Pavlovicˇ: è come se in quel momento strappasse da Sofja la sua immagine vera, la spogliasse della sua immagine]. Guarda, tu la consideri miracolosa, ma ecco io ci sputo sopra davanti a te e non mi succederà nulla!». Come lei mi vede, “Signore” penso “ora mi uccide”, ma lei balza soltanto in piedi, tira su le braccia e poi all’improvviso si copre il volto con le mani [come cercando di difendere l’immagine profanata], rabbrividisce tutta, cade sul pavimento e si accascia.
È significativo che Fëdor Pavlovicˇ non consideri tali le altre offese, sebbene la storia del suo matrimonio con la moglie Sofja sia letteralmente la storia dell’incarcerazione della bellezza a Sodoma. Per di più qui
F.M. Dostoevskij, I fratelli Karamazov, parte I, libro I. Ivi, parte I, libro III.
Il mondo lo salverà la bellezza
Dostoevskij mostra come l’incarcerazione esteriore diventi interiore, come dall’oltraggio si generi una malattia che deforma il corpo e l’animo di colei che è portatrice della bellezza. Non avendo ricevuto nessuna rimunerazione, Fëdor Pavlovicˇ non faceva cerimonie con la consorte e, approfittando del fatto che lei era, per così dire, colpevole davanti a lui, e che lui l’aveva quasi tolta dal cappio e approfittando inoltre della sua fenomenale sottomissione, calpestò i più elementari principi del decoro matrimoniale. In casa, proprio sotto gli occhi della moglie, si radunavano donne di facili costumi e si organizzavano orge. [...] In seguito l’infelice giovane donna, tormentata fin dall’infanzia, fu colpita da una qualche malattia nervosa femminile, di quelle che di solito si riscontrano in campagna nel popolino, tra le contadinottte che, a causa di questa malattia, vengono chiamate strillone. Questa malattia le causava terribili crisi isteriche che, alle volte, le facevano perfin perdere l’uso della ragione.
E il primo attacco di questa malattia, come abbiamo visto, si era verificato proprio con la profanazione dell’immagine della Madonna... In forza di quanto detto, non possiamo separare l’incarnazione dell’ideale della Madonna nel romanzo né dalle contadine strillone, che erano considerate indemoniate, né dalla mentecatta Lizaveta Smerdjakova. Non possiamo separarla neanche da Grušenka, «la regina dell’insolenza», la primadonna «infernale» del romanzo, che «un tempo, la notte singhiozzava ricordando il suo offensore, quand’era sottile sottile e aveva sedici anni»... Ma se la storia di Sofja è quella dell’imprigionamento della bellezza a Sodoma, con Grušenka si tratta invece della scarcerazione della bellezza da Sodoma. È significativa l’evoluzione della percezione che Mitja ha di Grušenka, e lo vediamo attraverso gli epiteti e le definizioni usate nei suoi confronti. Inizia col chiamarla carogna e bestia, dice che ha sinuosità da scellerata, che è una tigre, che ucciderla sarebbe poco. In seguito, durante il viaggio a Mokroe, la definisce dolce creatura, regina dell’anima mia (e usa appellativi che, in genere, si riferiscono direttamente alla Madonna). Ma a un certo punto troviamo una espressione di tutt’altro genere, qualcosa di assolutamente fantastico: «fratello Grušen’ka».
Ivi, parte I, libro I. Ivi, parte IV, libro XI.
Tat’jana Kasatkina
Ripeto ancora che la bellezza si trova al di fuori di quella regione in cui inizia la distinzione tra bene e male: nella bellezza è presente il mondo ancora indiviso, intero, il mondo prima del peccato originale. E proprio rendendo manifesto questo intatto mondo primordiale, colui che vede la vera bellezza salva il mondo. Nella riflessione di Mitja la bellezza è una, onnipotente e indivisibile, come quel Dio contro cui combatte il diavolo, ma che, a sua volta, non combatte contro di lui: Dio permane, il diavolo attacca; Dio crea e il diavolo cerca di sottrargli il creato. Ma il diavolo stesso non ha mai creato nulla, e questo significa che tutto il creato è bene e che, al massimo, come la bellezza, può essere rinchiuso a Sodoma... Tornando alla citazione tratta dal romanzo L’idiota, notiamo che normalmente noi la ricordiamo in modo un po’ diverso, nella forma in cui la riprese Vladimir Solov’ëv: «La bellezza salverà il mondo». È una trasformazione simile a quella che a cavallo tra i due secoli i filosofi operarono sulla frase «qui il diavolo lotta con Dio» che, come tutti ricordiamo, diventò: «qui il diavolo e Dio lottano», e addirittura «qui Dio lotta col diavolo». Ma Dostoevskij dice precisamente che «il mondo lo salverà la bellezza», e forse la strada più semplice per capire quello che voleva dire è confrontare le due frasi per prendere coscienza della loro diversità. Che cosa comporta a livello di senso l’inversione di tema e rema? Nella frase di Solov’ëv la salvezza del mondo è vista come una proprietà della bellezza. La sua frase ci dice che la bellezza è salvifica. Dostoevskij non dice niente del genere, dice invece che il mondo sarà salvato dalla bellezza, cioè da una delle proprietà immanenti al mondo stesso. La prerogativa della bellezza non è quella di salvare il mondo ma quella di permanere in esso inesorabilmente ed è in questa immanenza inesorabile della bellezza nel mondo che è riposta la sua sola speranza. La bellezza, quindi, non è una forza trionfante che incombe sul mondo con funzione salvifica. No, la bellezza è qualcosa che è già presente nel mondo ed è poi proprio in virtù di questa sua presenza che il mondo sarà salvato.
V.S. Solov’ëv, Krasota v prirode (La bellezza nella natura), in «Voprocy filosofii i psichologii» (Problemi di filosofia e psicologia), n. 2 (1889). Dostoevskij, L’idiota, parte III, cap. V.
Il mondo lo salverà la bellezza
La bellezza – come Dio – non lotta ma permane, e la salvezza giungerà al mondo attraverso lo sguardo dell’uomo che saprà scorgerla in tutte le cose, che smetterà di rinchiuderla, di imprigionarla a Sodoma. Nei taccuini dei Fratelli Karamazov lo starec Zosima parla di questa permanenza della bellezza nel mondo affermando che «il mondo è un paradiso [e che] le chiavi le abbiamo noi», e ancora che «l’uomo è circondato dal mistero di Dio, dal grande mistero dell’ordine e dell’armonia». Possiamo descrivere l’azione trasfigurante della bellezza in questo modo: quando una persona realizza la bellezza che ha in sé dà come un impulso a che anche gli altri che ha intorno si manifestino nella propria bellezza (è quello che significano le parole di Adelaida a proposito della bellezza di Nastasja Filippovna: «con tale bellezza si può capovolgere il mondo»). L’armonia (l’armonia è il paradiso – il mondo nella sua condizione perfetta – la bellezza del tutto) è allo stesso tempo il risultato e il punto di partenza di questa trasfigurazione reciproca. Se in una persona la bellezza si realizza – conformemente all’idea di bellezza propria della lingua greca che indica validità – significa che quella persona ha trovato il suo posto. Ma quando anche solo un uomo trova il suo posto, si innesca una reazione a catena per cui anche gli altri ritrovano il loro (perché quello che ha trovato il suo posto offre a tutti un’indicazione ulteriore per riconoscere il proprio; come in un puzzle, quando si fissa il posto di un pezzettino diventa molto più semplice procedere per trovare il posto degli altri) e inizia realmente – non simbolicamente – a vedersi l’impetuoso movimento di costruzione del tempio del mondo che si trasfigura. È esattamente quello che affermava Serafino di Sarov: «Salva te stesso e intorno a te si salveranno a migliaia». Sostanzialmente il meccanismo della salvezza del mondo attraverso la bellezza è proprio questo. Perché – ripetiamolo – ognuno è bello quando è al suo posto. Quando si incontrano uomini così si desidera stare con loro e si desidera seguirli. A questo punto si può fare l’errore
F.M. Dostoevskij, Polnoe sobranie socˇ inenij v 30 t. (Opera omnia in 30 voll.), Nauka, Leningrado 1972-1990, vol. XV, p. 245. Ivi, p. 246. Dostoevskij, L’idiota, parte I, cap. 7.
Tat’jana Kasatkina
di cercare di mettersi “sulla loro carreggiata”, mentre l’unica vera possibilità di seguirli è quella di scoprire quale sia la propria. Ma si può sbagliare in modo ancor più radicale. L’impulso dato dalla bellezza di chi ci circonda, di una persona che suscita in noi il desiderio della bellezza e la tensione a raggiungerla, può portare (e purtroppo questo accade molto spesso) non alla scoperta della bellezza in se stessi – alla messa in atto della bellezza da dentro sé e cioè alla propria trasfigurazione – ma al tentativo di appropriarsi dell’immagine esteriore di quella bellezza che si è rivelata in un altro. In questo caso, quella tensione a donare la propria bellezza al mondo – tensione capace di creare armonia nel mondo e nell’uomo – si trasforma in un tentativo egoistico di impossessarsi della bellezza del mondo. E questo porta alla distruzione dell’armonia, all’opposizione e alla lotta. È quello che vediamo accadere nel finale dell’Idiota. Vorrei sottolineare ancora una volta che le cosiddette eroine «infernali» dei romanzi di Dostoevskij non sono strumenti dell’inferno bensì sue prigioniere. E a metterle in un inferno sono coloro che, al posto di dare se stessi in risposta all’inevitabile bellezza che immancabilmente si dona a loro (perché per Dostoevskij la modalità di esistenza della bellezza nel mondo è il dono di sé), cercano di appropriarsene, di imprigionarla, e su questa strada entrano immancabilmente in conflitto con tutti quelli che cercano di fare lo stesso. La scoperta della propria bellezza come risposta a una bellezza che si rivela è un cammino di sovrabbondanza, un cammino sul quale l’uomo diventa una sorgente di grazia per il mondo. Il tentativo di impossessarsi della bellezza di un altro è invece il cammino della miseria, della mancanza, sul quale l’uomo si trasforma in un buco nero che succhia la grazia dall’universo creato. Per Dostoevskij la possibilità di scoprire la propria bellezza dipende dalla disponibilità a dare tutto. Nel Diario di uno scrittore del 1877, infatti, descrive la frattura che caratterizza l’umanità proprio in questi termini: dare tutto porta alla trasfigurazione dell’umano mentre, quando sostiene che «comunque dare tutto non si può», l’uomo si fossilizza in una condizione d’esistenza non trasfigurata. E già molto prima – nelle sue Note invernali su impressioni estive – aveva scritto: Cercate di capirmi: sacrificare se stessi per gli altri, volontariamente, con piena coscienza e senza alcuna imposizione, è, a mio avviso, il segno dello
Il mondo lo salverà la bellezza
sviluppo massimo della persona, della sua massima potenza, del sommo governo di sé, del raggiungimento di una volontà supremamente libera. Dare volontariamente la propria vita per tutti, andare in croce, al rogo, per tutti, è possibile solo al massimo grado di sviluppo della persona. Una persona molto sviluppata, completamente certa del suo diritto di essere persona e che non provi più alcuna paura per se stessa, non può fare nient’altro della sua stessa persona – non può farne cioè altro uso – se non darsi a tutti, affinché anche tutti gli altri possano essere altrettanto retti in se stessi e felici. È una legge della natura: è ciò a cui tende l’uomo normale.
Per Dostoevskij, il principio per cui si costruisce l’armonia e si ristabilisce il paradiso sulla terra non è quello di rinunciare a qualcosa allo scopo di essere confacenti al tutto e non è nemmeno quello di conservare il proprio tutto insistendo su una piena affermazione di sé, ma è quello di dare tutto senza condizioni. E allora il tutto restituirà alla persona quel tutto che le è proprio e di cui fa parte anche la persona stessa che, per la prima volta, fiorisce completamente proprio in questo donarsi. Notiamo come Dostoevskij descrive il realizzarsi dell’armonia di una nazione: Noi saremo i primi a proclamare al mondo che non vogliamo ottenere la nostra riuscita attraverso l’oppressione delle nazionalità degli altri popoli, ma che, al contrario, vediamo la nostra riuscita solo nello sviluppo sommamente libero e autonomo di tutte le altre nazioni e nell’unità fraterna con loro, un’unità che si completi vicendevolmente con l’innesto in noi di tutte le loro caratteristiche organiche e la consegna di alcuni rami coi quali offriremo loro la nostra anima e il nostro spirito, imparando da loro e insegnando loro, e sarà così finché l’umanità – integratasi della comunione universale dei popoli fino a raggiungere l’unità generale – come un grande meraviglioso albero irradierà di sé una terra felice.
Vorrei sottolineare che questa descrizione, apparentemente poetica, è in realtà molto tecnica. Qui Dostoevskij descrive in modo preciso fino al dettaglio il processo attraverso cui il corpo di Cristo (che è «entrato interamente nell’umanità») si compone nell’unione dei diversi aspetti Dostoevskij, Polnoe sobranie socˇ inenij v 30 t. (Opera omnia in 30 voll.), cit., vol. V, p. 79. Ivi, vol. XXV, p. 100.
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– eterogenei e spesso contrapposti gli uni agli altri – degli uomini e dei popoli. Per altro, sospetto che funzionino così tutte le descrizioni realmente poetiche. Un uomo che abbia realizzato la sua bellezza e sia circondato da persone ancora incompiute – da persone che non sono ancora diventate belle – si troverà inchiodata alla croce della loro imperfezione. È una crocifissione volontaria che si origina nell’impeto in cui si realizza il dono di sé, il dono della propria bellezza. Ma, allo stesso tempo, quell’uomo si troverà anche come rinchiuso in una gabbia a causa dei confini impenetrabili degli altri che pongono un limite al suo donarsi (lui si dona ma loro non sono in grado di accoglierlo), e questo rende la sofferenza della croce insopportabile. Così – con un’iniziale approssimazione – possiamo dire che Dostoevskij ci presenta un processo di trasfigurazione del mondo che è unitario ma composto di due movimenti interdipendenti che si ripetono innumerevoli volte nel corso del processo stesso abbracciando livelli sempre nuovi: la bellezza che si realizza nei singoli membri che compongono una comunione rende possibile l’armonia, e il realizzarsi dell’armonia del tutto rimette in libertà la bellezza stessa.