PROFILO DELL’OPERA Il volume prende in esame le questioni dedicate da uno dei più autorevoli maestri di teologia della seconda metà del XIII secolo, Enrico di Gand, alle problematiche morali e a quella che gli stessi medievali chiamano vita activa. L’indagine del pensiero etico enrichiano viene condotta studiando dapprima le coordinate teoriche che regolano e determinano l’agire pratico (i rapporti tra la volontà e l’intelletto, ovvero delle potenze dell’anima che sovrintendono alla sfera della prassi e ne determinano la libertà, e la dottrina delle virtù morali) e quindi considerando i testi dedicati da Enrico alla sfera economica, a quella politica e alla deontologia del maestro di teologia. Il magister theologiae è, secondo Enrico, l’«architetto» della vita della Chiesa e dell’intera società laica; egli opera e guida in ogni suo aspetto la vita activa, ovvero quella sfera di esistenza in cui gli esseri umani possono realizzare su questa terra la virtù più perfetta, ed aspirare così alla felicità. AUTRICE Marialucrezia Leone è ricercatrice a tempo determinato di Storia della filosofia medievale presso il Dipartimento di Filosofia dell’Università «La Sapienza» di Roma. Dopo il periodo di formazione universitaria (Bari) e di dottorato (Lecce), ha lavorato presso le Università di Leuven, Berlino e Colonia. I suoi principali campi di interesse scientifico riguardano Agostino d’lppona, Enrico di Gand e l’etica del XIII secolo, su cui ha pubblicato numerosi articoli. Per le Edizioni di Pagina ha già curato la traduzione italiana del libro di Stephen Gersh, Da Giamblico a Eriugena (2009); al momento è impegnata a completare le edizioni del Quodlibet VIII di Enrico di Gand e dei Quodlibeta di Servais du Mont-Saint-Eloi.
Indice del volume
Prefazione 9 Introduzione 11 1. Una dottrina della vita activa in Enrico di Gand?, p. 11 - 2. La vita activa e il conseguimento della virtù, p. 15 - 3. La vita activa e il maestro di teologia, p. 32 - 4. Sulle tracce del pensiero pratico enrichiano: l’articolazione della ricerca, p. 34
Parte prima Le coordinate teoriche dell’agire morale Capitolo 1. All’origine della scelta morale: la volontà e/o l’intelletto?
40
1. Introduzione 40 2. Il “volontarista” Enrico e le condanne di Tempier 47 3. La volontà e l’intelletto a confronto 54 4. L’automovimento della volontà 82 5. Conclusioni 103
Capitolo 2. Le virtù morali
106
1. Introduzione 106 2. Una morale della volontà? 109 3. Quando un’azione è moralmente buona o cattiva? Il ruolo dell’intenzione 133 4. L’esempio di una virtù: l’amicizia 143 5. Conclusioni 147
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Indice del volume
Parte seconda Enrico di Gand e la funzione sociale del pensiero pratico Sezione prima Le opere della vita activa praticate dall’uomo propter se ipsum L’etica dell’“economia”
152
1. Introduzione 152 2. Il bene comune è sempre da preferire? 157 3. Enrico di Gand vs. le pratiche “economiche” degli Ordini Mendicanti 168 4. La regolamentazione della ricchezza 182
4a. L’esercizio del commercio, p. 183 - 4b. L’usura, p. 189
5. Conclusioni 213
Sezione seconda Le opere della vita activa praticate dall’uomo propter proximum Capitolo 1. L’etica del potere politico
216
1. Introduzione 216 2. La legge 223 3. La comunità dei cittadini, il potere del sovrano laico e il potere del papa 236 3a. Il potere politico del princeps e quello della civitas, p. 244 - 3b. Il potere del papa, p. 252
4. La guerra giusta 267 5. Esempi di etica politica 272 6. Conclusioni 280
Capitolo 2. Il compito del teologo e la vita activa
282
1. Introduzione 282 2. La deontologia professionale del magister universitario 287 2a. Il maestro di teologia nella Summa, p. 287 - 2b. Il maestro di teologia nei Quodlibeta, p. 306
Indice del volume
7
3. Il teologo, ovvero il garante della sfera pratica di Enrico di Gand 312 4. Conclusioni 318
Conclusioni generali 321 Bibliografia 327 Fonti primarie, p. 327 - Fonti secondarie, p. 330
Indice dei nomi 355
Introduzione
1. Una dottrina della vita activa in Enrico di Gand? Alla fine del XIX secolo, nel redigere una delle prime rilevanti monografie sul pensiero di Enrico di Gand, Maurice De Wulf1, insieme ad alcune indicazioni sulla vita e sulle opere del teologo fiammingo, individuava «les points plus remarquables» della dottrina enrichiana in sette importanti argomenti, che nelle vicende successive della storiografia gandavense avrebbero per lo più costituito i principali orientamenti di studio e di indagine: i rapporti sussistenti tra teologia e filosofia, la teoria della materia e della forma e quindi l’analisi psicologica della sensazione e del pensiero, l’esemplarismo e la dottrina dell’illuminazione, la teoria degli universali ed il problema dell’individuazione, l’analisi della scienza divina, il ruolo della volontà e i rapporti di questa facoltà con l’intelletto. Soltanto nelle conclusioni del suo testo, De Wulf arrivava anche ad accennare brevemente ad alcuni elementi della morale enrichiana, preoccupandosi di spiegare che, caratterizzato da «un esprit éminemment métaphysique», «le docteur solennel ne semble pas fort préoccupé de cette partie de la philosophie», e così «s’il touche à quelque controverse sur la fin de l’homme, sur la moralité des actes humains, sur la distinction du bien et du mal, il le fait incidemment et sans entrer dans de longs exposés»2. L’originalità della dottrina del maestro parigino, che De Wulf si impegnava a rivendicare, risie1 Cfr. M. De Wulf, Études sur Henri de Gand, Uystpruyst-Dieudonné-Félix Alcan, Louvain-Paris 1894 (si tratta della parte dedicata ad Enrico di Gand nella contemporanea Histoire de la philosophie scolastique dans les Pays-Bas et la Principauté de Liège jusqu’à la Révolution Française, «Mémoires couronnées et autres mémoires publiées par l’Academie Royale des Sciences, des Lettres et des BeauxArts de Belgique», 51 [1894-1895]). 2 Cfr. De Wulf, Études sur Henri de Gand cit., pp. 220; 221.
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deva ed andava quindi essenzialmente individuata nelle ricadute teoretiche e metafisiche di questa stessa, visto che, nei suoi percorsi di indagine, il pensiero enrichiano sembrava negare la possibilità di una riflessione su quella che gli stessi medievali denominano la vita activa. La lettura della dottrina di Enrico proposta da De Wulf trova una conferma negli anni successivi alla sua monografia: uno sguardo all’ultima completa raccolta della bibliografia prodotta sul maestro fiammingo mostra chiaramente come l’immagine storiografica rivestita da Enrico di Gand lungo i secoli sia stata fondamentalmente proprio quella dello studioso speculativo, e solo di tanto in tanto quella del pensatore dedito ad argomenti di carattere etico3. Senz’altro si deve anche ammettere che questa interpretazione del pensiero enrichiano trova un suo fondamento nel fatto che, al contrario di alcuni dei suoi colleghi, Enrico non ha mai scritto un’opera interamente incentrata sulla sfera pratica4. All’interno della sua produzione, non sembra cioè esserci uno spazio ben preciso riservato alla trattazione di una teoria morale. Anzi, il suo lavoro principale, la Summa quaestionum ordinariarum, è per lo più caratterizzato da temi teologici e teoretici, visto che risulta completato soltanto nella prima parte, dedicata a Dio, ed è invece incompiuto nella seconda, riguardante le creature5. Nei suoi quindici Quodlibeta poi, la discussione teorica
3 Cfr. P. Porro, Bibliography, in W. Vanhamel (ed.), Henry of Ghent. Proceedings of the International Colloquium on the Occasion of the 700th Anniversary of His Death (1293), Leuven University Press, Leuven 1996 («Ancient and Medieval Philosophy», I/15), pp. 405-434; Id., Bibliography on Henry of Ghent (1994-2002), in G. Guldentops / C. Steel (eds), Henry of Ghent and the Transformation of Scholastic Thought. Studies in Memory of Jos Decorte, Leuven University Press, Leuven 2003 («Ancient and Medieval Philosophy», I/31), pp. 409-426. La fortuna stessa di Enrico all’interno della storia del pensiero è pure legata ad interventi relativi alla sfera teoretica (metafisico-teologica), che hanno contribuito, in alcuni casi, anche alla formazione ed all’elaborazione di ulteriori dottrine metafisiche. Tra le tematiche più caratteristiche, la distinzione intenzionale tra esse existentiae ed esse essentiae sarebbe stata ad esempio determinante per la formazione del sistema cartesiano: cfr. J. Paulus, Henri de Gand. Essai sur les tendances de sa métaphysique, Vrin («Études de philosophie médiévale», 25), Paris 1938; G. A. Wilson, Henry of Ghent and René Descartes on the Unity of Man, «Franziskanische Studien», 64 (1982), pp. 97-110; il concetto di Dio come primum cognitum nell’intelletto umano a motivo della sua assoluta indeterminatezza e la dottrina dell’analogia che ne è alla base, avrebbe invece affascinato Tommaso Campanella: cfr. A. Lamacchia, Notion et structure de l’être chez Tommaso Campanella, «Journal Philosophique», 9 (1986), pp. 244-267, in part. p. 254. Cfr. anche l’articolo di Hoffmann sull’influenza della metafisica di Enrico su quella di Scoto: T. Hoffmann, Henry of Ghent’s Influence on John Duns Scotus’s Metaphysics, in G. A. Wilson (ed.), A Companion to Henry of Ghent, Leiden, Brill 2011, pp. 339-367. 4 Si pensi ad esempio alle numerose opere di carattere etico di Tommaso d’Aquino (le ultime tre parti della Summa theologiae, il De malo, il Commento all’Etica di Aristotele, etc.), così come al De summo bono di Boezio di Dacia, o al Tractatus de natura boni, De bono e De homine di Alberto Magno, etc. 5 Sembra molto probabile supporre che Enrico avesse deciso di riservare la discussione relativa alla sfera morale proprio in questa parte.
Introduzione
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di problematiche morali, come ad esempio quella relativa alla definizione, classificazione e connessione delle virtù, sembra essere risolta e sbrigata nello spazio di poche questioni. Eppure, accanto a questi elementi che sembrano avallare il giudizio di De Wulf, ve ne sono altri che sembrano suggerire il contrario. Innanzitutto, si potrebbe affermare che la disamina di una filosofia pratica è già in qualche modo implicata dal tipo di disputa prediletto da Enrico per veicolare il proprio pensiero, ovvero la Disputa quodlibetale. La “forma libera” che caratterizza i Quodlibeta (appunto de quolibet ad voluntatem cuiuslibet) rispetto alle dispute ordinarie, così come il pubblico, costituito non solo dai membri dell’università, ma anche da soggetti esterni legati all’ambiente cittadino, fa sì che molti degli argomenti sottoposti alla discussione siano rappresentati, oltre che da questioni di ordine teoretico-speculativo, anche (e soprattutto) da tematiche morali, socio-politiche e didattico-pastorali6. A prova di ciò, uno sguardo ai quindici Quodlibeta enrichiani mostra chiaramente che il maestro fiammingo è di continuo stimolato ad intervenire su casi concreti dell’agire umano, come ad esempio a decidere sugli scambi “economici”7, o a determinare problemi di natura giuridica e politica. L’interesse di Enrico per la sfera pratica non è tuttavia soltanto attribuibile alla struttura delle stesse Dispute quodlibetali che, come ogni più importante maestro dell’epoca, egli impiega per «rivendicare l’autonomia del sapere e l’indipendenza della funzione intellettuale in rapporto a tutti i tipi
6 Cfr. G. Ceccarelli, “Whatever” Economics: Economic Thought in Quodlibeta, in C. Schabel (ed.), Theological Quodlibeta in the Middle ages. The Thirteenth Century, Brill, Leiden-Boston 2006, pp. 475505; R. Lambertini, Political Quodlibeta, in Schabel (ed.), Theological Quodlibeta in the Middle ages cit., pp. 439-474; Cfr. E. Marmursztejn, A Normative Power in the Making: Theological Quodlibeta and the Authority of the Masters at Paris at the End of the Thirteenth Century, in Schabel (ed.), Theological Quodlibeta in the Middle ages cit., pp. 345-402. 7 Il termine “economia” indica la scienza della ricchezza delle nazioni solo nell’accezione moderna del termine. L’espressione greca oikonomia, resa nel latino con oeconomica (così come la impiegano gli stessi medievali), va invece piuttosto ad indicare, a partire dall’etimologia della stessa parola greca, l’arte del governo della casa. Anche i tre trattatelli noti sotto il titolo di “Oeconomica”, arrivati nell’Occidente latino nel XIII secolo ed erroneamente attribuiti ad Aristotele, affrontano in generale le questioni relative al governo della casa e della famiglia (rispettivamente Primo e Terzo Trattato), accennando solo brevemente alle tecniche con le quali gli uomini politici si procurano ricchezze (Secondo Trattato). Su questa tematica cfr. spec. P. Blažek, I beni della casa. Temi etico-economici nei trattati medievali di «oeconomica», in R. Lambertini / L. Sileo (a cura di), I beni di questo mondo. Teorie etico-economiche nel laboratorio dell’Europa Medievale, FIDEM («Textes et Études du Moyen Âge», 55), Porto 2010, pp. 67-95. Nel seguente lavoro si impiegherà il termine “economia” (così come le espressioni connesse a questa disciplina) nel senso moderno del termine, per una migliore comprensione delle problematiche prese in esame.
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di istituzione»8. Il calcolo numerico delle tematiche affrontate nelle Questioni quodlibetali di Enrico Gand, operata da Pasquale Porro qualche anno fa, ha infatti rivelato come, sorprendentemente, in queste Dispute la trattazione relativa alla sfera pratica e morale di fatto superi della metà quella riguardante l’ambito teoretico9. Questo significa che evidentemente, almeno nei Quodlibeta, con un’opzione strategica, Enrico sceglie consapevolmente di occuparsi più di temi relativi alla vita attiva, che non della sfera metafisica e gnoseologica10. Secondo inoltre Raymond Macken (iniziatore dell’edizione critica dell’Opera Omnia di Enrico di Gand), le questioni pratiche presenti in questi Quodlibeta enrichiani sono sicuramente più note al pubblico medievale che non a quello odierno e presentano senz’altro degli aspetti interessanti, almeno quanto quelli che caratterizzano le questioni di carattere speculativo11. Se volgiamo, poi, il nostro sguardo alla Summa, dobbiamo ammettere che diverse volte, l’orizzonte etico e politico sembra essere preso in considerazione più volte, ad esempio per spiegare o meglio chiarire i concetti legati all’universo speculativo (come quando, per una più esatta delucidazione del rapporto di Dio con le creature, Enrico approfondisce la relazione tra il princeps ed i suoi sudditi)12. Più di ogni altra cosa, poi, sono le particolari vicende biografiche di Enrico 8 Cfr. E. Marmursztejn, L’autorité des maîtres. Scolastique, normes et société au XIIIe siècle, Les Belles Lettres, Paris 2007, p. 30 (la traduzione è mia). 9 Come infatti fa notare Pasquale Porro, soltanto il 15.69% dei contenuti delle Questioni quodlibetali enrichiane riguardano Dio e le problematiche sul divino, mentre il 3.51% le creature angeliche. Al contrario, sorprendentemente, ben il 54.33% di esse sono incentrate su temi relativi alle creature umane. Per questo Porro arriva a concludere che i Quodlibeta di Enrico devono essere innanzitutto intesi come un’opera di antropologia, ed in particolare di antropologia pragmatica, nel senso kantiano del termine. Cfr. P. Porro, Doing theology (and philosophy) in the first person: Henry of Ghent’s Quodlibeta, in Schabel (ed.), Theological Quodlibeta in the Middle ages cit., pp. 171-231, in part. p. 217. 10 Enrico stesso dice di aver scelto intenzionalmente di confinare le tematiche concernenti alle creature nei Quodlibeta: «Ex his, ut aestimo, possunt patere quaecumque obscura reliquimus circa relationes, maxime in creaturis, de quibus per intentionem locuti non sumus alicubi nisi in quaestionibus de Quolibet» (Henricus de Gandavo, Quodlibet IX, q. 3, ed. R. Macken, Leuven University Press, Leuven / Brill, Leiden 1983, p. 88, ll. 11-13). Questo fa giustamente concludere a Porro in Doing theology (and philosophy) in the first person cit., p. 173, che ad un certo punto, Enrico ha cominciato a considerare i Quodlibeta come la parte non scritta della Summa relativa alle creature. 11 Cfr. R. Macken, The Sovereign, sometimes forbidden by the Divine Law to enjoy the Money granted to him by the Public Justice, according to the Philosophy of Henry of Ghent, in R. Macken (ed.), Essays on Henry of Ghent II, Editions Medieval Philosophers of the Former Low Countries, Leuven 1995, pp. 7-20, spec. p. 7: «Henry’s moral and political thought, more known in the Middle Ages than in our period, is perhaps as interesting as his metaphysics and other speculative thought, and certainly deserves to be more known to our contemporaries». 12 Cfr. Henricus de Gandavo, Summa, art. XXV, q. 2: «Utrum sit Deus tantum unus»; art. XXIX, q. 6: «Utrum Deus componitur cum alio ut finis cum ordinabili ad finem ad constituendum universum».
Introduzione
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di Gand che ci inducono a supporre la presenza di una filosofia pratica nella sua dottrina: a) innanzitutto egli è uno dei più autorevoli magistri parigini, continuamente chiamato ad intervenire e a deliberare su problemi relativi non soltanto all’ambito ecclesiale, ma all’intera società in cui lavora. Come cioè ogni maestro di teologia del suo tempo, anche Enrico ricopre, per impiegare espressioni care ad Elsa Marmursztejn13, un prominente ruolo normativo ed una responsabilità sociale assoluta; b) non si deve inoltre dimenticare che Enrico proviene biograficamente dall’area fiamminga che conosce una delle esperienze comunali e commerciali più vive del periodo14; c) egli per di più opera in qualità di canonico e quindi di arcidiacono in due importanti realtà cittadine dell’epoca: Brugge e Doornik (Tournai). Tutti questi fattori hanno sicuramente determinato un interesse ed un coinvolgimento di Enrico nelle problematiche relative alla vita activa e ci inducono, in questo lavoro, ad intraprenderne uno studio.
2. La vita activa e il conseguimento della virtù A nostro giudizio un indizio fondamentale a favore di un interesse enrichiano per quello che con un linguaggio non medievale si potrebbe denominare “pensiero pratico”15 si ritrova nel fatto che, tutte le volte che Enrico interviene nei suoi testi ad esprimere un parere sulla sfera della prassi in quanto tale, nel confronto di quest’ultima con l’orizzonte speculativo, egli sembra tendere Cfr. Marmursztejn, A Normative Power in the Making cit.; Ead., L’autorité des maîtres cit. Cfr. G. de Lagarde, La philosophie sociale d’Henri de Gand et de Godefroid de Fontaines, in L’organisation corporative du Moyen-Age à la fin de l’Ancient Régime. Études présentées à la Commission Internationale pour l’histoire des Assemblées d’Etats, VII, Université de Louvain («Recueil de Travaux d’Histoire et de Philologie», sér. 3, n. 18), Louvain 1943, pp. 55-134; successivamente in «Archives d’histoire doctrinale et littéraire du Moyen Âge», 14 (1945), pp. 73-142, in part. p. 75: «Henri de Gand et Godefroid de Fontaines ont-ils pu l’ignorer? Ils nous viennent d’autre part l’un et l’autre d’un pays où l’esprit politique est une tradition déjà longue. De florissantes institutions urbaines y ont développé une conscience particulièrement vive des réalités de la vie collective. Nombreux sont déjà les maîtres flamands ou wallons que la philosophie politique a tentés. N’est-ce pas un Guibert de Tournai qui a rédigé pour la Comtesse de Flandre Marie de Dampierre, le premier traité politique du XIIIe siècle? N’est-ce pas un flamand, Guillaume de Moerbecke, qui a le premier traduit la politique d’Aristote? Et le célèbre averroïste parisien Siger de Brabant, qui a commenté le même ouvrage à la Faculté des arts de Paris, ne vient-il pas lui aussi de la seconde grande principauté des Pays-Bas?». 15 Come è noto, le espressioni “pensiero pratico” e “filosofia pratica”, al contrario di vita activa, non sono impiegate dai medievali, perché categorie filosofiche proprie del XX secolo, difese da autori come Leo Strauss, Eric Voegelin o Hans-Georg Gadamer, in nome di una “riabilitazione della prassi”, contro il positivismo e il divisionismo. Tuttavia, nel corso del lavoro esse saranno adoperate più volte per indicare in generale la riflessione dedicata da Enrico e dai suoi contemporanei all’orizzonte dell’actio; allo stesso modo “pensiero contemplativo” sarà impiegato per indicare la riflessione relativa all’ambito della sola teoresi e speculazione. 13 14