August Strindberg
Drammi della storia universale Misticismo della storia universale cura e traduzione di Franco Perrelli
UniversitĂ degli Studi di Torino
Indice
Strindberg e la storia: il dramma, il caos e il disegno di Franco Perrelli Misticismo della storia universale
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Drammi della storia universale Attraverso i deserti verso la terra promessa [Mosè]
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Ellade [Socrate]
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L’agnello e la bestia [Cristo]
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Strindberg e la storia: il dramma, il caos e il disegno di Franco Perrelli
1. In una sezione della raccolta narrativa di Fagervik e Skamsund (Fagervik och Skamsund), scritta nel maggio-giugno 1902, ovvero nell’ampio Secondo racconto dell’Ispettore di quarantena (Karantänmästarns andra berättelse), August Strindberg riprende e adatta il materiale di un precedente romanzo, Il chiostro (Klostret). Questo racconto autobiografico (che risaliva all’autunno del 1898) trattava sostanzialmente le vicende del secondo matrimonio dello scrittore con la giornalista austriaca Frida Uhl ed era, quindi, una rievocazione creativa di eventi di quei primi anni Novanta, che, nella vita di Strindberg, preludono alla grande crisi esistenziale – all’incirca fra l’agosto del 1894 e la fine del 18961 –, trasfigurata narrativamente in un più celebre romanzo, Inferno (1897), e da esso poi denominata Infernokris. È significativo osservare – in un passaggio del Secondo racconto – la trasformazione che il testo del 1902 presenta rispetto a quello del 1898 (da noi posto fra parentesi quadre), nel quale il protagonista è descritto come una specie di scrittore-scienziato: Che mestiere: star seduto a scorticare il prossimo e poi offrirne la pelle, con la pretesa che debbano comprarla. Come un cacciatore 1 Secondo l’ormai classica datazione di G. Brandell, Strindberg in Inferno, Cambridge (MA), Harvard University Press, 19742, p. 75.
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che morto di fame tagli la coda al proprio cane e, cibatosi della carne, getti le ossa, le sue ossa all’animale. Aggirarsi a spiare i segreti degli uomini, tradire le origini del migliore amico, usare la propria moglie come cavia per la vivisezione, devastare come un croato, abbattendo, violentando, bruciando e vendendo! Che schifo! In tanta desolazione, si mise a stendere sulla base di appunti un piano generale sulle principali epoche della storia universale [sul rapporto degli elementi chimici con le relative reazioni], credendo o convincendosi nel suo stato di bisogno di riuscire ad avere successo tramite questo lavoro e individuare una nuova strada nel campo storico [nel campo delle scienze naturali], il suo originario ambito giovanile prima di diventare scrittore (SV 50, pp. 95; 258)2.
Insomma, il protagonista del Secondo racconto dell’Ispettore di quarantena è diventato uno studioso di storia e l’autore – con sottolineatura autobiografica – può senz’altro asserire di avere così realizzato la propria vocazione, se si considera che, negli anni Settanta, Strindberg aveva cominciato a scrivere per il teatro, assecondando un’epoca in cui il dramma storico era in effetti in gran voga (cfr. anche infra, p. 28, nota 35 e p. 64, nota 109)3. Se il 13 maggio 1902 Strindberg aveva scritto al suo fidato traduttore tedesco Emil Schering: «Me ne sto indolente e credo di essermi esaurito – come nel 1892» (SB 14, p. 187), il 1° dicembre quello sprofondamento nelle atmosfere e nelle inquietudini dei primi anni Novanta si rivelava, in realtà, tutt’altro che inerte: Dopo Fagervik [e Skamsund], credo sia subentrata una pausa nella mia scrittura e, per passare il tempo, leggo sulla storia universale. Questo strano Gesichte [racconto], che mi è sempre sembrato un 2 Le opere di August Strindberg saranno citate, nel testo, dai 72 voll. dell’edizione critica Samlade Verk, a cura di L. Dahlbäck et al., Stockholm, Almqvist & Wiksell-Norstedts, 1981-2013, con sigla SV; con SB, invece, ci si riferirà all’edizione dell’epistolario, Brev, 22 voll., a cura di T. Eklund e B. Meidal, Stockholm, Bonniers, 1948-2001. Le note manoscritte di Strindberg saranno indicate, per consuetudine, con la sigla SgNM. 3 Vedi W. Johnson, Strindberg and the Historical Drama, Seattle, Washington University Press, 1963, p. 18.
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romanzo brigantesco [Röfvarroman]4, mi si prospetta ora come dettato da una Volontà Cosciente [En medveten Vilja], sicché ci trovo una Logica nelle sue Antinomie. Una Risultante dalle sue contrastanti Componenti. Così, mi è parso subito evidente che dapprincipio lo Spirito del Mondo [Världsande] si sia manifestato contemporaneamente in diversi posti sulla terra senza che essi fossero in relazione reciproca. Per esempio: contemporaneamente alla legge di Mosè sul Sinai (1300 a.C.), l’India ebbe i Rigveda, la Grecia Orfeo, Lino, e la Cina Shi-King5. Questo non è un caso!... Ho continuato sincronicamente le ricerche e la “Volontà Cosciente” nella Storia è stata verificata (SB 14, pp. 231-2).
L’affermazione: Detta är icke slump! («Questo non è un caso!») si fa immediatamente associare al finalismo che matura in Strindberg proprio negli anni Novanta, quando il protagonista del Chiostro/Secondo racconto giunge a qualificarsi, «per definirsi in qualche modo, un provvidenzialista», ovvero qualcuno che «credeva in Dio, senza precisamente riuscire a specificare cosa intendesse con ciò» (SV 50, pp. 107; 269). Si trattava di una tappa preliminare, visto che, allo sbocco dell’Infernokris, nel 1898, lo Sconosciuto, protagonista del dramma Verso Damasco I (Till Damaskus I), affermerà: «Non è più come prima, allorché vedevo solo cose e fatti, forme e colori, adesso vedo anche pensieri e significati. L’esistenza, ch’era un enorme nonsenso, ha assunto un significato e noto un’intenzione dove vedevo soltanto il caso [slumpen]» (SV 39, p. 18). Genere letterario tedesco ispirato alle atmosfere dei Masnadieri schilleriani e quindi del romanzo Rinaldo Rinaldini di C.A. Vulpius (1798), caratterizzato da generosi banditi che proteggono i bisognosi contro i ricchi. 5 Lino è un leggendario poeta e musico, inventore del ritmo e della melodia, spesso assimilato a Orfeo. La sua figura è attestata da varie leggende: una lo vuole figlio di Psamate e Apollo, sacrificato dalla crudeltà del nonno Crotopo, re di Argo; un’altra (tebana) lo vede figlio di Anfimaro e di una delle Muse, rivale di Apollo nel canto e da questi annientato. Un’ulteriore variante lo vorrebbe ucciso da Eracle, suo scadente allievo. Quanto a Shi-King, cfr. infra, pp. 88-9. 4
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Questo passaggio dalla percezione di un cosmo senza senso a quella di un cosmo quantomeno orientato, anche in ambito storico – come suggerisce il confronto fra Il chiostro e Il secondo racconto dell’Ispettore di quarantena –, ha presupposti lontani e intrecciati con la passione di Strindberg per le scienze naturali. Almeno dagli anni Ottanta, infatti, l’autore – che la stampa francese, nel 1895, si abituerà a definire «dramaturge doublé d’un alchimiste» (cfr. SV 36, pp. 14; 22) – aveva cominciato a sviluppare un’ampia speculazione in senso monistico e ilozoistico, approdando nel 1893 con Antibarbarus all’applicazione del darwinismo alla chimica e all’idea che gli elementi chimici siano condensazioni di un’unica sostanza fondamentale, per cui «tutto è in tutto!» («allt är i allt!»; SV 35, p. 25). In Sylva sylvarum (1895), Strindberg potrà così affermare: «Io sono Trasformista come Darwin e Monista come Spencer e Haeckel» (SV 35, p. 162)6. Pertanto, se «omnia in omnibus» e «omne omne est»7, sarà pure possibile che un elemento ne contenga un altro (per esempio, che «lo Zolfo» sia «una combinazione ternaria composta di carbone, ossigeno e idrogeno»; SV 37, p. 36) e possa dare adito a una trasmutazione in termini pressoché alchemici, approdando – come leggiamo in un intervento giornalistico del 1895 – al «problema fatale della fabbricazione artificiale dell’oro», con tutti i rischi personali e sociali che un’operazione di tale portata potrebbe implicare (SV 36, p. 10). Alquanto radicalmente, a questo punto, tutti i confini, per Strindberg, si fanno piuttosto labili non solo all’interno della materia, fra elementi chimici, ma persino fra organico e inorIn Bandiere nere (Svarta fanor, 1904), si legge: «L’alchimia della fine del secolo nasceva pertanto dalla teoria evoluzionistica e dal monismo, anche se i darwinisti, al solito ottusi, si bloccarono perplessi di fronte alle conseguenze delle loro stesse teorie che definivano medievali, superstiziose e alchemiche» (SV 57, p. 171). 7 Questo il motto che Strindberg antepone al saggio del 1895, Introduction à une Chimie unitaire (SV 36, p. 26). 6
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ganico (potendo i metalli esistere sia in forma organica che inorganica) e fra mondo animale e vegetale (dove le piante presenterebbero nervi e anch’esse una sensibilità, se non una psicologia)8. È a questo punto che salta anche l’ultima barriera, quella che separa la materia dallo spirito, e, nell’agosto del 1896, Strindberg potrà definirsi di conseguenza: «Ockultismens Zola» (SB 11, p. 307) ovvero un naturalista-occultista, proponendosi implicitamente come un autore in grado di gettare un ponte poetico tra la dimensione spirituale e l’espressione materiale del cosmo. Già in Antibarbarus, Strindberg si appoggiava ad antiche correnti di pensiero, che dimostravano «un certo rispetto per la materia, attribuendole una misura di anima ovvero d’impulso creativo» (SV 35, p. 23). In Inferno, leggiamo riassuntivamente: «Mi spinsi oltre, tirando le conseguenze ultime della teoria ed eliminando le frontiere fra la materia e ciò che si definisce spirito. È così che nel volume Antibarbarus nel 1894 [sic!] avevo trattato la psicologia dello Zolfo, che ho mutato in ontogenia, vale a dire sviluppo embrionale dello Zolfo» (SV 37, pp. 54-5). Nei saggi di Sylva sylvarum, l’autore – «giunto nel mezzo del cammin della [sua] vita» – affrontava il problema dell’universo e, «colmo di vergogna e d’onore, di gioia e sofferenza», si chiedeva: «E dopo?». Dopo, «tutto si ripeteva con una monotonia disperante, tutto si rassomigliava, tutto ritornava. Gli antichi avevano affermato: l’Universo non ha più segreti; abbiamo trovato le risposte per tutti gli enigmi». Nonostante questo, restavano ancora molti territori da esplorare e «una generazione che aveva avuto il coraggio di sopprimere Dio, di demolire lo Stato, la Chiesa, la società e i costumi, s’inchinava ancora innanzi alla scienza. E là, in quella scienza nella quale avrebbe dovuto regnare la libertà, la parola d’ordine era: Credi nell’autorità o 8 Così in Jardin des Plantes (1896) (SV 35, pp. 199 ss.), dove Strindberg immagina pure un Orfeo che ridiscenda nelle viscere della terra «a ridare vita alle pietre che non sono morte, ma solo dormono!» (p. 187).
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perisci!»9. Di fronte a ciò, Strindberg si dichiara desolato e addirittura tentato dal suicidio, ma poi, con uno scatto umorale, s’impone di «riflettere sul grande disordine», nel quale finirà «tuttavia per scoprire una coerenza infinita» (SV 35, pp. 125-6). Il passaggio è cruciale: Strindberg vorrà affrontare un’indagine soggettiva, anzi immaginativa – ché «senza immaginazione, non riusciamo a fare un passo al di là del mondo puramente animale» –10 su un universo asistematico («... la natura non crea secondo i sistemi»; SV 35, p. 162), ma non privo di una coerenza che si rivelerà progressivamente e, si direbbe, per un accumulo d’ipotesi. Strindberg sancisce, insomma – con espliciti accenti danteschi –, il destino del poeta come analogo a quello di chi, erraticamente, rimodella il caos di un universo vivente (ilozoistico appunto), quasi ribollente, in direzione di un senso, che – incrociando l’occultismo parigino contiguo al simbolismo di fine secolo – non insiste solo sull’essenzialità della sostanza unica, ma anche sulla forza o sull’insieme di forze da cui tutto si origina e che rende animata ogni espressione della natura. 9 Paul K. Feyerabend cita questa frase di Strindberg (attribuendola erroneamente ad Antibarbarus), nel noto saggio Contro il metodo (1975), nel contesto della formulazione d’una contro-teoria anarchica della scienza, di cui l’autore svedese è certo un campione. L’ampia ambizione scientifica strindberghiana può, infatti, senz’altro inquadrarsi nel «desiderio di accrescere la libertà» e nel «tentativo di scoprire i segreti della natura e dell’uomo, [che] comportano quindi il rifiuto di ogni norma universale e di ogni tradizione rigida». In parallelo, essa implica anche «il rifiuto» (reciproco) «di gran parte della scienza contemporanea» (P.K. Feyerabend, Contro il metodo, Milano, Feltrinelli, 20053, p. 18). Va altresì precisato che le teorie di Strindberg (talvolta popolarmente trattate come sintomo d’instabilità mentale) erano normalmente riprese e discusse anche su importanti organi di stampa parigini (cfr. SV 36, pp. 10 ss.) e il loro monismo di fondo coincideva con il diffuso «tentativo da parte di alcuni scienziati» dell’epoca (il menzionato Ernst Haeckel, tra gli altri) «di far valere anche per la materia le conseguenze delle teorie di Darwin, sostenendo per esempio che non solo gli organismi viventi, ma pure gli elementi fondamentali ubbidivano alla legge dell’evoluzione» (H.G. Carlson, Genom Inferno, Stockholm, Carlssons, 1995, p. 227). Cfr. altresì, supra, p. 10, nota 6. 10 Citazione dal fisico John Tyndall (SV 35, p. 163).
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Non siamo, quindi, distanti dal Baudelaire (ispiratore dei simbolisti) del saggio su Victor Hugo, che – sulla scorta esplicita della suggestione del mistico svedese Emanuel Swedenborg – recepisce la figurazione del cielo come «un très grand homme», dispiegando l’idea che «tutto, forma, movimento, numero, colore, profumo, nello spirituale come nel naturale, è significativo, reciproco, convertibile, corrispondente». Insomma, anche per Baudelaire, il mondo fisico corrisponde a quello spirituale, per cui, alla fine, «tout est hiéroglyphique» ed è proprio del poeta farsi «un traducteur, un déchiffreur»11. Nel corso della sua crisi spirituale, anche Strindberg incrocia Swedenborg – «il Budda del Nord» (SV 37, pp. 284-5) – e ne resta segnato. Nell’ottobre del 1896, può così citare il Talmud: «“Se vuoi imparare a conoscere l’invisibile, osserva a occhi aperti il visibile”», ma assicurare in parallelo di essere «cresciuto di una spanna, studiando Swedenborg, dove ho trovato il termine “Corrispondenze”, che ha dato la chiave al mio metodo: vedere analogie dappertutto. Queste esistono, e motivatamente» (SB 11, pp. 356-7). La logica aggregante del monismo trovava ora un avallo anche nell’inusitato rispecchiamento delle somiglianze e l’«originario fatalismo» (e relativismo storico)12 di Strindberg poteva «ormai tradursi in provvidenzialismo» (SB 12, p. 273). Nel primo dei tardi Libri blu (Blå böckerna, 1907-1912), al termine del percorso che abbiamo sommariamente disegnato, il Creatore, pur nella sua assoluta onnipotenza e libertà di «artista», rivelerà una finalità positiva e persino estetica, «incompren11 C. Baudelaire, L’Art romantique, a cura di L.J. Austin, Paris, GarnierFlammarion, 1968, pp. 306-7. 12 Nella quarta parte dell’autobiografia del 1886, Il figlio della serva (Tjänstekvinnans son), questo primo relativismo è così espresso: «La narrazione storica oggettiva non può esistere, soprattutto perché non esiste un soggetto obiettivo attraverso il cui vaglio gli avvenimenti esterni possano essere valutati senza essere colorati dai modi di vedere acquisiti d’individui e d’epoche. La storia è pertanto solo la storia di quel periodo di tempo durante il quale la storia viene scritta» (SV 21, p. 137).
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sibile per la scienza, che non vede mai il bello, ma solo l’utile» (SV 65, p. 275). Inoltre, sottolineerà Strindberg: «Swedenborg non ha mai trovato alcuna contraddizione fra scienza e religione perché ha scoperto l’armonia in ogni cosa, la corrispondenza del più basso nel più elevato, l’unità negli opposti e, come Pitagora, ha visto il Legislatore nelle Leggi, l’artefice nella creazione, Dio nella natura, nella storia e nella vita dell’uomo» (SV 65, p. 34). Nella natura, nella storia e nell’esistenza umana sarà quindi possibile cercare di rintracciare un’impronta del divino e quest’indagine costituirà il livello più elevato (e avventuroso) d’una scienza onnicomprensiva. Nelle Miniature storiche (Historiska miniatyrer) del 1905 – opera nella quale culmina la speculazione strindberghiana sulla storia universale –, si leggerà: «Tutto ciò ch’è creato ha le sue corrispondenze [motsvarigheter] in alto in cielo e in basso sulla terra, perché tutto è uno, e il Signore di tutto è uno, uno e lo stesso!» (SV 54, pp. 13-4)13. 2.Nella primavera del 1896 – nel pieno quindi dell’Infernokris –, alle prese con la compilazione di un «diario di strane coincidenze» (ovvero il Diario occulto, Ockulta dagboken), Strindberg pensa ancora di scrivere qualcosa simile a Jardin de Plantes al fine, una volta di più, di cercare di trovare un ordine dietro la confusione dei fenomeni. Nello stesso periodo, la gestazione del romanzo Inferno corre parallela a progetti (non portati a termine) relativi a un libro dal suggestivo titolo La Création du Monde, nel quale i miti della creazione s’intrecciano con le leg13 Si è comunque giustamente puntualizzato che «le corrispondenze di Swedenborg sono verticali, quelle di Strindberg orizzontali. Ma anch’esse mirano in alto, non alle corrispondenze individuali spirituali e divine, ma direttamente a un comune creatore delle cose, che è un artista che modella liberamente. L’idea di Dio come artista non trova apparente riscontro in Swedenborg e Strindberg ha trascurato la sua teoria della creazione come sistema di serie e di gradi, che si elevano alla massima compiutezza. Dalle corrispondenze fra le cose si è indirizzato direttamente, senza intermediazioni, al creatore» (K.Å. Kärnell, Strindbergs bildspråk. En studie i prosastil, Stockholm, Almqvist & Wiksell, 1962, p. 283).
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Misticismo della storia universale*
* La traduzione di Misticismo della storia universale è stata condotta sul vol. 71 dell’edizione critica (SV), a cura di C. Svensson.
I. Allorché il popolo d’Israele abbandonò l’Egitto, quel paese era governato da un faraone della diciottesima dinastia1. Con questo esodo s’avvia la costituzione del piccolo Stato della Palestina dal quale l’Europa avrebbe tratto la propria cultura, una volta che la civiltà greco-romana fosse fiorita, appassita, trasformandosi in un letto di strame nel corso della semina. Nello stesso anno, raccontano oscure leggende che dall’Ellade una possente spedizione fosse allestita al fine di scoprire terre ignote verso nord e nord-est. Quest’esplorazione è nota, nelle leggende, con il nome di Spedizione degli Argonauti2. Davvero curioso! Ma contemporaneamente, proprio come uno spaventoso terremoto senza causa apparente si estende in una precisa direzione, sembra che la favolosa principessa degli Assiri Semiramide sia entrata in India3, dov’era in corso un immenso sommovimento, visto che pure gli Indù avevano cominciato a muoversi verso Oriente e queste Thutmosi III (1479-1425 a.C.) (cfr. anche infra, pp. 155-6, nota 2). Nel manoscritto del suo saggio, Strindberg data comunque l’esodo dall’Egitto al 1350 a.C. 2 La spedizione degli Argonauti, capitanata da Giasone, alla conquista del vello d’oro, che mosse avventurosamente da Pagase alla Colchide. 3 La regina Semiramide, fondatrice di Babilonia, è accreditata, attorno all’800 a.C. circa, di sfortunate campagne militari in India. 1
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due genie si sarebbero affrontate nei possenti conflitti che sono descritti nel Mahabharata. Il movimento si estese ulteriormente verso est, verso la Cina governata dalla dinastia Yin4. Lì sorse un enorme conflitto e popolazioni meridionali premevano verso nord; s’accesero guerre di successione e il reggente trasferì la capitale da Chen-si a Ho-nan e viceversa, esattamente come Mosè muoveva nel deserto gli accampamenti d’Israele. Dunque, ci si chiede: si tratta dello stesso movimento che si scatena dal delta del Nilo ai delta del Danubio, dell’Eufrate, del Punjab e del Fiume Giallo? Oppure questi rivolgimenti sono sorti contemporaneamente in diversi punti isolati, generati dalla medesima sconosciuta fonte di energia? Supposto che queste migrazioni degne d’un cataclisma possano scatenarsi, per via cosiddetta naturale, con un iniziale moto dal Nilo, diventa ancor più difficile spiegare i possenti sommovimenti nella vita spirituale che hanno avuto contemporaneamente luogo nel mondo civilizzato allora noto. Allorché Mosè peregrinò quarant’anni nel deserto, invece di dirigersi in due settimane in Palestina sulla strada delle carovane, aveva un determinato proposito che noi conosciamo. A premessa della sua – cosciente o incosciente – epopea storicouniversale, sale sul Sinai (che fra parentesi ospitava templi egiziani e aveva miniere di rame attive), e, sul Sinai, scambia i patti di Noè5 con i Dieci Comandamenti. Il primo di questi comandamenti, giustamente interpretato, esprime il grande segreto del monoteismo, la dottrina unitaria, il monismo – un solo Dio, Padre di tutti, nel cui nome tutti i popoli saranno un giorno riuniti. Attorno allo stesso momento, la tradizione ha collocato l’immigrazione di Cecrope dall’Egitto alla Grecia con l’introduzione del seme della cultura. Gli studiosi non riconoscono Cecrope6, ma, proprio nel nostro caso, potrebbe essere considerato complementare alla spedizione degli Argonauti. 4 Questa dinastia governò la parte centrale della Cina fra il 1500 e il 1040 a.C.
Genesi, 9, 1-17. Cioè, non lo riconoscono come personaggio storico, essendo il primo leggendario re di Atene, fondatore dell’acropoli. 5 6
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È invece certo che in assoluta contemporaneità con la promulgazione della legge mosaica, gli Indiani hanno riunito i loro Libri Vedici, in particolare il Rig-Veda7. In questa raccolta di codici è pure annunciato il monoteismo, poiché gli Indiani dichiarano che le loro varie divinità sono soltanto simboli: «C’è un solo Dio», affermano i Veda in parecchi passi, «lo spirito supremo, il Signore del mondo». Questo momento della storia indiana è indicato come quello nel quale si verifica il passaggio dalla religione naturale (Indra) a quella speculativa (Brahma). Fra parentesi, contrariamente alla religione mosaica, i Veda affermano che «tutte le religioni debbono essere gradite a Dio, il quale avrebbe altrimenti fondato un’unica religione». Questo avvenne in India nel 1300 a.C., contemporaneamente a quando pure, nel Kashmir, viene fissata la nascita di Budda, mentre Cinesi e Giapponesi ne stabiliscono la data all’anno 1000 e altri al 600 o 6508. Se la prima fosse quella giusta, diventa anche più notevole che il buddismo, anticipando il cristianesimo, insegni l’espiazione attraverso il dolore e la rinuncia, imponendo l’amore per il prossimo. Questo amore per tutti, che si è voluto considerare un esclusivo imperativo cristiano, si ritrova in ogni religione e anche nell’Antico Testamento d’Israele, poiché il Levitico, 19, 17-18, afferma espressamente: «Tu non odierai il fratello... Non ti vendicherai... Amerai il prossimo tuo come te stesso...». Ma che accade intanto in estremo Oriente, in Cina? Nel 1324, quando Mosè è al venticinquesimo anno di peregrinazione nel deserto, chi governa è Wu-Ting, che fa la sua comparsa, nel pieno della crisi, a riformare i costumi e a legiferare9. Questo 7 La datazione di questi libri è discussa, ma posta generalmente all’incirca al 1500 a.C., sebbene fossero trascritti dalla tradizione orale attorno al 300 a.C. 8 Budda, ovvero Siddharta Gautama, visse nell’India settentrionale nel VI secolo a.C. 9 Wu-Ting avrebbe governato in Cina verso il 1100 a.C. Quanto a Mosè, cfr. anche supra, p. 85 , nota 1.
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imperatore aveva a lungo cercato invano un ministro capace, finché in sogno non ebbe modo di vedere chi cercava. Dalla descrizione fece fare un ritratto e, sulla sua base, si trovò infine l’eletto proprio come Samuele trovò il suo Davide10. Si trattava di un carpentiere che stava riparando una chiusa. Fu condotto dall’imperatore, che gli si rivolse nello stesso stile di Davide a Natan11: «Mio caro Fou Yué, sei tu colui che il cielo ha scelto per aiutare me. Io ti considero come il mio maestro. Trattami come un grezzo specchio che devi lustrare o come un uomo fragile e vacillante sull’orlo dell’abisso che devi guidare o anche come un terreno incolto che devi far fruttare. Non mi adulare, non risparmiare i miei peccati...». Il carpentiere divenne un grande ministro che salvò il suo popolo, proprio come Mosè. «Discordia e concordia dipendono dai ministri», diceva. «Non si debbono attribuire incarichi a coloro che seguono le proprie passioni, ma ai meritevoli. Non si debbono attribuire onori ai malvagi, bensì ai saggi». E in altra occasione: «Se non si rende giustizia agli uomini, si è disprezzati; se non ci si vergogna di un errore involontario, sarà facile commetterne uno nuovo»12. Secondo la ricostruzione di alcuni studiosi, in questo secolo si cominciò a scrivere pure il cinese Shi-King, il Libro delle Odi, il terzo dei Libri sacri. Questo libro contiene di tutto e, a tratti, potrebbe competere per il suo stile impetuoso con l’Antico Testamento. Sebbene non appartenga al secolo di Mosè, può comunque valere come prova questa lamentazione di un ignoto Isaia cinese: «Il popolo non godrà né pace né prosperità, ché il regno è appestato dai furfanti, dagli iniqui che s’impossessano dei frutti delle sue fatiche. Mentre simulano d’essere uomini d’onore e affermano di detestare i crimini ch’essi commettono (nel Samuele, I, 16, 12-13. Vedi Samuele, II, 12. 12 La narrazione deriva dal volume del sinologo M.G. Pauthier, Chine ou description historique, géographique et littéraire de ce vaste empire, 1837, nella biblioteca di Strindberg del 1912 (H. Lindström, Strindberg och böckerna, I cit., p. 168; cfr. anche infra, p. 97, nota 36). 10 11
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nome della regia tirannia), sono intanto mentitori e farabutti. Perché si biasimano le mie accuse e me le vorresti soffocare in gola! Ma altri t’hanno già lodato e maledetto!»13. Se si vuole considerare che l’apparizione di Zoroastro in quest’epoca, secondo i dotti, si colloca fra il 1700 e il 1200 a.C.14, allora si avrà l’impressione che tutto il mondo al tempo civilizzato si sia risvegliato, in una volta sola, alla coscienza dei grandi fini e compiti comuni dell’umanità oppure che lo spirito del mondo [världssjälen], in una volta sola, sia penetrato nella coscienza delle masse, dimostrandosi e rivelandosi secondo le possibilità di ciascun popolo di comprenderlo ed esprimerlo. Non sappiamo come questo sia accaduto, ma i filosofi hanno cercato la soluzione in due modi diversi. Alcuni ritengono che la volontà e il movimento siano intrinseci e racchiusi dal principio nell’anima dell’umanità (immanenza); altri che questo spirito sia condizionato dall’esterno e modellato come uno strumento d’una volontà esistente al di fuori di noi (trascendenza), la quale dall’alto guida i destini dei popoli e dei singoli verso uno scopo cosciente che solo chi guida conosce completamente. L’Autore intenderebbe aderire a quest’ultima opinione, dopo averne trovato conferma percorrendo la storia universale. * Se, per esempio, consideriamo l’avvento del cristianesimo e il suo ingresso nella cultura occidentale, questo evento universale si rivela come un’azione pianificata ovvero come un piano di battaglia ben meditato, elaborato in anticipo e portato avanti secondo tutte le regole della tattica e della strategia. Per quanto riguarda l’idea di base del cristianesimo, l’«Espiazione» [Försoning], come abbiamo visto, non era nuova, e 13 Liberamente tradotto da un’edizione tedesca del 1880, presente nella biblioteca di Strindberg del 1912 (cfr. H. Lindström, Strindberg och böckerna, I cit., p. 143). 14 La datazione relativa a Zoroastro è ipotetica e può oscillare fra il 1500 e il 500 a.C.
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Drammi della storia universale*
* La traduzione della trilogia drammatica giudaico-classica sulla storia universale è stata condotta sul vol. 63 dell’edizione critica (SV), a cura di G. OllÊn.
Ellade [Socrate]1
Quadro 1 Un emiciclo marmoreo ai piedi dell’Acropoli di Atene, sulla cui cima sta la statua di Atena, illuminata dal sole al tramonto. Nell’emiciclo stanno seduti Pericle, Fidia, Euripide, Socrate. Platone in piedi dietro Socrate. Alcibiade fronteggia l’assise. Protagora, il sofista, siede sul rialzo d’un pozzo. Alcibiade. Abbiamo celebrato Salamina, il giorno in cui ci siamo salvati dal Barbaro, il re dei Persiani!2 E adesso siamo stanchi! Pericle. Ma non tanto stanchi da dimenticare il compleanno del nostro amico Euripide3, che ha visto la luce il giorno in cui il sole illuminava Salamina. Alcibiade. Brinderemo con le nostre coppe, quando saremo a banchetto e al coperto. Per il titolo alternativo, Sokrates, vedi SgNM 5: 4, 11. Dopo la sconfitta delle Termopili e la ritirata dell’Artemisio, la battaglia di Salamina durante la seconda guerra contro i Persiani (480 a.C.) portò alla vittoria degli ateniesi e dei loro alleati, guidati da Temistocle, che imbottigliò la flotta di Serse in uno stretto braccio di mare. 3 La nascita di Euripide il giorno della vittoria di Salamina (480 a.C.) pare piuttosto convenzionale. Secondo il Marmor Parium, il tragediografo più attendibilmente sarebbe nato nel 484 a.C. 1 2
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Protagora4. Siete sicuri che sia una fortuna essere liberi dal re dei Persiani? Siete sicuri che Salamina sia stata una giornata fortunata per l’Ellade? Eschilo, il nostro Sommo, non ha forse compianto e descritto con commozione la sventura dei Persiani? «Nome di Salamina, odioso nome! Ahi, quanto pianto, s’io ricordo Atene!»5. Alcibiade. Vergogna, Sofista, vergogna! Protagora. Non sto dicendo che il nome di Salamina sia odioso, lo dice Eschilo e io, com’è noto, mica sono Eschilo. Non ho neppure affermato che sia una fortuna servire il re dei Persiani, ho solo chiesto, e chi chiede non afferma alcunché! Vero, Socrate? Socrate. Vi sono asserzioni dirette e indirette: una domanda può essere un’asserzione indiretta, e Protagora ha fatto un’asserzione indiretta con la sua domanda. Alcibiade. Bravo, Socrate! Pericle. Protagora insomma ha asserito che voi ateniesi sareste stati più fortunati se sottomessi al re dei Persiani. Che si può fare con un uomo simile? Alcibiade. Gettarlo nel pozzo! Protagora. Faccio appello! Alcibiade. Alla plebe! Che ti dà sempre ragione! Pericle. Alcibiade, non si parla di plebe in democrazia! E, Protagora, non si cita Eschilo in presenza di Euripide. Visto che Fidia siede qui con noi, meglio parlare del suo Partenone e della sua Atena, il cui peplo sta ora sfolgorando al tramonto!6 La cortesia è il sale della vita di società!
4 Protagora (485 ca. - 410 ca. a.C.), esponente del relativismo sofistico e dell’agnosticismo religioso. Cfr. anche infra, p. 202, nota 35. 5 Dai Persiani, nella traduzione di F.M. Pontani, in Il teatro greco cit., p. 9. Eschilo fu tra i combattenti di Salamina e avrebbe celebrato la battaglia nei Persiani (472 a.C.). 6 Fidia (490 ca. a.C. - 430 ca. a.C.), sull’Acropoli di Atene, fra i Propilei e l’Eretteo, aveva innalzato, con il bottino di Maratona, una statua in bronzo di Atena Pròmachos di oltre 16 metri. Nel dramma di Strindberg, questa imponente sta-
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Protagora. Se la statua di Atena di Fidia deve trarre la sua doratura dal sole, può significare che l’oro concesso dallo Stato non è stato sufficiente e quindi che c’è stata trascuratezza? Vero, Socrate? Socrate. In primo luogo, significherebbe che la Statua deve trarre il suo oro dal sole, ma non essendoci evidenze cade il discorso su questa carenza d’oro7. Del resto, non si può trarre oro dal sole... le tue son solo chiacchiere, Protagora, cui è inutile dar risposte!... Se mai è Fidia che potrebbe aggiungere qualcosa: quando hai realizzato Atena sul Partenone, hai creato proprio Atena? Fidia. Ho creato la sua immagine. Socrate. Giusto! Hai creato la sua immagine, e secondo quale modello? Fidia. Secondo la mia interiorità! Socrate. Quindi, non secondo un’esteriorità! Hai visto la dea con i tuoi occhi? Fidia. Non con i miei occhi esteriori! Socrate. Allora ella esisteva fuori di te o dentro di te? Fidia. Se nessuno ci ascoltasse, risponderei: non esisteva fuori di me e pertanto non esisteva. Pericle. Sono divinità di Stato!... Attenzione. Socrate. Tu, Fidia, hai pure creato Zeus a Olimpia8, quindi non è lui che ha creato te! Pericle. Sono divinità di Stato!... Attenzione. Fidia. Aiuto, Protagora! Non so rispondere. Protagora. A mia conoscenza, Zeus non ha creato l’uomo,
tua si fonde comunque con l’Atena Parthènos di circa 12 metri, consacrata nel 438 a.C., ospitata nel sacello del Partenone, i cui lavori, per incarico di Pericle, furono sovrintesi da Fidia a partire dal 447 a.C. 7 Si sfiora uno dei principali temi delle future disgrazie di Fidia, il quale, attorno al 432 a.C., anche a causa della sua amicizia con Pericle, fu processato in prima istanza per un furto dell’oro relativo alla statua dell’Atena Parthènos (cfr. infra, p. 198, nota 24 e p. 206, nota 42). 8 La grandiosa statua crisoelefantina di Zeus a Olimpia (circa 450 a.C.) era reputata una delle sette meraviglie del mondo.
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questo l’ha fatto Prometeo, mentre Zeus ha conferito all’uomo imperfetto un senso del pudore e della giustizia9. Alcibiade. Protagora allora non è stato perfezionato da Zeus, mancando dei sensi sia di pudore sia di giustizia! Euripide. Consentitemi di parlare di Zeus e Prometeo e non vi sembri indelicato che citi il mio grande maestro Eschilo, dovendo discutere degli dèi. Pericle. Se i miei occhi non m’ingannano, ho notato un paio d’orecchie rizzate dietro la statua di Ermes laggiù, e quelle orecchie d’asino possono solo appartenere al famoso conciatore! Alcibiade. Cleone!10 Euripide. Che m’importa del conciatore, a me, che non ho paura delle divinità di Stato? Queste divinità, la cui decadenza da un pezzo è stata predetta dal nostro Eschilo. Il suo Prometeo non dice forse che l’Olimpio sarà deposto da suo figlio, generato da una giovinetta? Non dice così? Socrate? Socrate. Certo che sì! «... avrà un figlio che diverrà del padre più forte!»11. Ma chi sia e quando sarà generato, questo non lo dice.
9 Vedi Platone, Protagora, 321c-322e. Sebbene questo inciso (che diventa da questo momento un Leitmotiv del dramma), nel dialogo platonico, si collochi nell’ambito della nota disquisizione di Protagora sull’origine della civiltà (avendo assegnato Zeus all’umanità aidòs e dìke), nei Libri blu, Strindberg lo attribuisce a Socrate (o Platone-Socrate), cogliendo l’occasione per avvicinare – con e per simpatia – il filosofo greco al mistico Swedenborg: «Swedenborg non ha mai avuto una buona parola di consolazione e incoraggiamento? [...] Certamente, per esempio, quando ha detto: “Gli eletti son coloro che hanno una coscienza, i reietti coloro che non ce l’hanno”; il che corrisponde alla definizione di Socrate dell’uomo: “Colui che possiede il senso del pudore e della giustizia”» (SV 65, p. 84, ma anche p. 49, dove chi possiede queste virtù è precisamente «l’uomo religioso»). A tale definizione, Cristo avrebbe aggiunto la virtù della carità (cfr. SV 65, p. 42). 10 Nel corso della prima Guerra del Pelopponeso, Cleone (morto ad Anfipoli nel 422 a.C.) fu esponente del radicalismo democratico, vincente ad Atene dopo la morte di Pericle. Statista di origini plebee, fu uno dei bersagli della satira di Aristofane (I cavalieri) contro i demagoghi. 11 Cfr. il nostro saggio introduttivo, § 2.
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Euripide. Be’, credo che Zeus sia già finito. Pericle. Divinità di Stato!... Zitto! Cleone ascolta! Alcibiade. Io credo piuttosto che in punto di morte sia Atene! Mentre celebriamo Salamina, gli Spartani si sono mossi e scatenati a nord. Megara, Locri, Beozia e Focide stanno già dalla parte loro12. Pericle. Parli di fatti noti, Alcibiade, ma per il momento godiamo dell’armistizio e abbiamo trecento navi in mare!... Socrate, credi che corriamo pericoli? Socrate. Non mi occupo degli affari di Stato, ma se Atene fosse in pericolo, prenderei scudo ed elmo, come una volta... Alcibiade. ... quando m’hai salvato la vita a Potidea!13 Socrate è coraggioso quant’è saggio e per questo lo amo! Euripide. No, non c’è pericolo. Almeno il pericolo non sta a Sparta, ma qui. I demagoghi rimestano nella palude e tutto finisce per puzzare, ecco perché abbiamo pure la peste, peste sull’agorà e peste al Pireo14. Protagora. La peste al Pireo è certo la cosa peggiore: muoiono come mosche lì! Alcibiade. E io che le ragazze migliori ce le ho giù al porto! Le mie flautiste che debbono suonare al simposio stasera, per Ercole, ma nessuno qui ha paura della morte? Socrate? Socrate. Nessuno ne ha paura, nessuno la desidera, ma se hai altre ragazze, il piacere sarà maggiore. Magari ne ha Fidia?
12 Nella prima delle tre fasi della Guerra del Peloponneso (431 a.C.), il re di Sparta Archidamo (morto nel 427 a.C.) invase l’Attica. Questa fase si concluse con il compromesso della pace di Nicia (421 a.C.). 13 Vedi Platone, Simposio, 220d-220e (anche Apologia, 28d-38e) L’episodio sarebbe avvenuto nel corso della battaglia di Potidea nel settembre del 432 a.C., al principio della Guerra del Peloponneso, ma sono stati sollevati dubbi cronologici sulla sua effettiva storicità (cfr. M. Montuori, Socrate. Fisiologia di un mito, Milano, Vita e Pensiero, 19983, pp. 152-3). 14 Verso il 430 a.C., sulla base delle accuse di Cleone, i demagoghi istituirono processi contro Pericle, Aspasia e Fidia. In quel periodo, Atene fu effettivamente colpita da un’epidemia di peste.
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Fidia. Sì, ma Alcibiade ne ha di migliori, e poi la morte a tavola è come una spezia nel vino! Fatele venire. Protagora. A Euripide le ragazze non piacciono... Euripide. Bugie, le mogli non mi piacciono! Alcibiade. Neanche a me, tranne quelle degli altri! Protagora. Quand’era più giovane Alcibiade rubava i mariti alle mogli, adesso le mogli ai mariti!15 Pericle (si alza). Andiamo al banchetto e mettiamo dei muri attorno alle nostre conversazioni, e muri che non abbiano orecchie!... Dammi il braccio, Fidia, mi sento spossato!... Platone (a Socrate). Maestro, fammi portare il tuo mantello! Alcibiade. Spetta a me l’onore, ragazzo. Socrate. Spettava. Adesso è di Platone e sarà lui a rovesciare Zeus in futuro. Ricordatelo il suo nome! Platone! È un soprannome che deriva dalla sua fronte spaziosa: in realtà, si chiama Aristocle e appartiene alla famiglia dell’ultimo re Codro, che ha dato la vita per salvare e conciliare il suo popolo...16. Platone è di schiatta reale! Euripide. E Alcibiade della razza degli eroi, un Alcmeonide, come Pericle, fratello di sua madre!17 Bella comitiva! Pericle. Ma Fidia ha origini divine, ch’è di più! Protagora. Probabilmente io sono della razza dei Titani, ch’è ancor meglio. Ho detto probabilmente, perché in buona sostanza non si sa mai nulla, o quasi! Vero, Socrate? Socrate. Tu sai a malapena quel che dici! *
Frase tradizionalmente attribuita al filosofo cinico Bione di Boristene del III sec. a.C., cfr. Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, IV, 49. 16 Il leggendario ultimo re di Atene, discendente di Poseidone. Si sacrificò facendosi uccidere, travestito da mendicante in una scaramuccia, in modo che si avverasse la profezia dell’oracolo di Delfi, secondo la quale i peloponnesiaci avrebbero vinto la guerra contro Atene se non avessero ucciso il suo monarca. 17 La madre di Alcibiade era cugina di Pericle. 15
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