Indice
Introduzione di Alessandro D’Amato L’Inghilterra di Giuseppe Cocchiara: giornalismo etnografico ed eredità intellettuali
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1. Il quadro generale. Nota biografica (1928-1929), p. 7 - 2. «...articolacci su questo o su quel giornale», p. 13 - 3. A Oxford, p. 18 - 4. Giornalismo etnografico inglese, p. 23 - 5. L’eredità britannica, p. 34 - Riferimenti bibliografici, p. 44
Saggi di giornalismo etnografico (1930-1933) di Giuseppe Cocchiara Oxford
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1. Oxford e Cambridge (maggio 1930), p. 53 - 2. Posta di Oxford (2 giugno 1930), p. 57 - 3. Gli studenti di Oxford (19 ottobre 1930), p. 60 - 4. I paradossi di Oxford (31 ottobre 1930), p. 62 - 5. Oxford e Cambridge santuari dello sport (3 febbraio 1931), p. 66 - 6. Gioconda vita studentesca a Oxford (11 giugno 1931), p. 70 - 7. Oxford la gaia città degli studi (12 giugno 1931), p. 74 - 8. Americanine di passaggio (4 marzo 1932), p. 76 - 9. Caccia all’uomo (17 marzo 1932), p. 80
Vita inglese 1.Vigilia di Natale (23 dicembre 1930), p. 84 - 2. La funzione dello sport nella vita inglese (10 gennaio 1931), p. 87 - 3. Private Hotel, ovverosia Pensione inglese (10 maggio 1931), p. 91 - 4. La melanconica fine della domenica (29 giugno 1931), p. 95 - 5. Gli orrori d’una metropoli (24 luglio 1931), p. 98 - 6. La via della perdizione (25 luglio 1931), p. 101 - 7.Tragedia della “season” (6 agosto 1931), p. 105 - 8. Matrimoni e divorzi in Inghilterra (17 gennaio 1932), p.
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108 - 9. Quando l’inglese è in compagnia (4 aprile 1932), p. 112 10. Spine nel cuore dell’Impero (14 luglio 1932), p. 116 - 11. Scotland Yard (26 agosto 1932), p. 120 - 12. Psicologia dell’inglese (16 giugno 1933), p. 124 - 13. Chiese senz’altare (13 ottobre 1933), p. 126
Impressioni di viaggio
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1. La città dell’amore e del giuoco (8 luglio 1930), p. 130 - 2. L’isola di Wight, oasi di riposo (27 ottobre 1930), p. 134 - 3. Castelli, fantasmi e ombre (15 aprile 1931), p. 139 - 4.Visita a Eton (14 luglio 1931), p. 143 - 5. Brighton spiaggia di Londra (17 luglio 1931), p. 145 - 6. Fiori e sorrisi del Sussex (20 luglio 1931), p. 150 - 7.Visione antica (22 luglio 1931), p. 152 - 8. Quello che manca nelle guide (26 luglio 1931), p. 156 - 9. L’isola delle meraviglie (28 luglio 1931), p. 159 - 10. Soggiorno in campagna (3 agosto 1931), p. 163 - 11. Piccolo mondo in mezzo all’Oceano (15 dicembre 1931), p. 168 - 12. La canzone del mare. Il re delle isole e il culto dell’acqua (3 agosto 1933), p. 172 - 13. Canti e danze nella notte (20 settembre 1933), p. 176
L’Italia e gli italiani in Inghilterra
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1. L’Italia a Oxford (7 gennaio 1930), p. 181 - 2. Un pioniere d’italianità nell’Inghilterra dell’Ottocento (18 gennaio 1930), p. 184 - 3. Un’opera di italianità. La scrittura beneventana e la Dalmazia (22 febbraio 1930), p. 187 - 4. Il romanzo e il salotto di Lady Holland (14 marzo 1931), p. 190 - 5. Una grande amica di Garibaldi (16 maggio 1932), p. 194 - 6. Profezie di un esule parmense (18 agosto 1933), p. 197
Tra antropologia e letteratura
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1. Resurrezione di Balder (5 gennaio 1930), p. 201 - 2. L’avvocato del diavolo (26 settembre 1930), p. 203 - 3. Re Lear in Italia (21 gennaio 1931), p. 207 - 4. La leggenda d’Artù in Italia (19 febbraio 1931), p. 211 - 5. Decadenza di Darwin (28 aprile 1932), p. 215 - 6. L’ultima di G.B. Shaw (29 aprile 1932), p. 218 - 7. Fascino del mare (22 marzo 1933), p. 221
Tavola sinottica
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Indice dei nomi
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1. Oxford e Cambridge [Sopratitolo] I santuari della scuola inglese* Pittoresca e unica nel suo genere, la vita di Oxford e Cambridge ha sfumature così intense e passaggi così rapidi che è difficile poterli cogliere e fissare nel loro insieme. Si sa: Oxford e Cambridge sono i due maggiori centri universitari inglesi, dove la stessa organizzazione, completamente diversa da tutte le altre Università, ha una struttura che si potrebbe ben chiamare corporativa, essendo, qui, l’Università la risultante dei collegi. Sacri centri: e, però, fra Cambridge e Oxford, le due eterne rivali, non v’è solo una diversità di carattere della rispettiva supremazia culturale – Cambridge, infatti, è il centro degli studi matematici e tecnico-artistici mentre Oxford è la fucina degli studi umanistici e sociali – ma vi è anche una notevole differenza di consuetudini e, soprattutto, di esteriorità locali. Si tratta, in sostanza, di due centri, nei quali si chiude una casta limitatissima: certo si è che Cambridge è assai meno snobistica di Oxford, dove la vita è, semplicemente o esclusivamente, un privilegio degli aristocratici inglesi e dei democratici americani. Non mancano i rappresentanti di tutte le altre nazioni, dalla Cina al Giappone, dall’Africa all’India, i quali, del resto, superano, di gran lunga, gli stessi inglesi.Ad ogni modo, se vi sono due categorie di persone che vivono a Oxford e a Cambridge, le une estranee alle altre, potremmo di* «La lettura. Rivista mensile del Corriere della Sera», XXX, 5, maggio 1930, pp. 461-464.
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re che anche fra gli studenti vi son pure due categorie, alla prima delle quali appartengono in linea di massima i vincitori delle borse di studio, estere e nazionali, o quelli che vogliono procurarsi un impiego, ché, infatti, un laureato di Oxford o di Cambridge è sempre il preferito, ed è questa l’aristocrazia dell’ingegno; mentre la seconda è formata dall’aristocrazia non sempre dell’ingegno. I vincitori delle borse, sia per la loro spiccata posizione sia per altre ragioni di carattere pratico, son quelli che studiano di più e che dividono la loro giornata fra il seminario della scienza che coltivano e le biblioteche pubbliche. Quasi sempre, essi saranno i futuri docenti universitari del paese che li ha scelti. Ai secondi basta, invece, l’orgoglio di poter dire domani che sono uomini di Oxford o di Cambridge, sebbene spesso essi vengano a Oxford o a Cambridge per fare delle conoscenze che domani saranno loro utili o indispensabili nel commercio o nella politica, alle cui attività si dedicheranno. Questa, forse, è la ragione per cui centri come Oxford e Cambridge – nei quali si fondono i risultati del più intenso prestigio nazionale – rimangono chiusi a un ambiente ristretto. Contro questo stato di cose, non sono mancati attacchi a volte profondi e a volte sarcastici. In un libro famoso, Mr. Stephen Leacock ha scritto, ad esempio, parole degne di essere messe all’indice. Oxford, egli ha scritto, «è una nobile Università. Ha un grande passato. È, nientemeno, la più grande Università del mondo: è possibile che abbia un avvenire». E, poi, con un passaggio rapido e incalzante: «I suoi corsi non valgono niente. Ha dei professori che non insegnano mai e degli studenti che non studiano mai. Non vi è né ordine, né piano, né sistema». Ora, in queste parole, ripetute recentemente, con amabile sorriso, da Bernardo Shaw, v’è, non dirò della malafede ma, senza dubbio, della esagerazione. Consideriamo i due primi lati del quadrato disegnato dal Leacock: il passato dell’Università e il suo avvenire. Legata alle condizioni religiose e commerciali della città, l’Università di Oxford – se pur di Università si può parlare – è in questo legame che trova la sua piena ragione di vita. Sulla sua fondazione c’è, è vero, una leggenda che l’attribuisce al re Alfred ma essa è in rapporto coll’altra leggenda di Arturo, fondatore dell’Università di Cambridge. Asserzioni mitiche, ché la storia dell’Università di Oxford (e Cambridge segue in parte il suo sviluppo) considerata come corpo organizzato, con i suoi collegi e con i
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suoi statuti, comincia col secolo XIII, cioè quando due grandi Università avevano imperato nel mondo: l’Università di Bologna e la Sorbonne di Parigi. Nelle sue origini, ha una fisionomia inconfondibile: sorge con un ideale religioso e poco dopo ecco che usurpa gli stessi diritti della municipalità. Nel suo sviluppo c’è un arresto momentaneo e sanguigno: la guerra delle Due Rose. La cultura, allora, decade, sicché un viaggiatore italiano, il nostro Poggio, può ben dire che gli inglesi ai loro poeti preferiscono i loro cavalli. Da qui il ritardo delle correnti spirituali. Anche l’Umanesimo, ad esempio, arriva tardi in Inghilterra; anzi, proprio quando il movimento, in Italia, era al declino. Però, quando vi arriva mette radici salde e profonde: è il secolo di Shakespeare e della Regina Elisabetta. Non è la riforma, si dirà, della cultura umana: è, invece, una riforma religiosa. Non importa: ed ecco che dall’Italia, dopo il 1447, C.Vitelli porterà la voce, un po’ affievolita, del nostro primo risorgimento. Dopo l’Umanesimo: la Riforma. Ma, a volta a volta, tutto prende e lascia un’impronta: la Riforma, il Puritanesimo, l’Anglicanesimo e il Modernismo. Finché, nel secolo XIX, l’Università di Oxford (e così pure quella di Cambridge) può vantare il suo assestamento vitale, mentre, giornalmente, si accrescono le numerose oblazioni private. Così, a Oxford e a Cambridge, il popolo che aveva navigato tutti i mari e compiuto tutte le conquiste ammassava le ricchezze del sapere umano, che è infinito come il mare e pericoloso come le conquiste. Se consideriamo, poi, gli altri lati del quadrato dobbiamo, subito, dire che, oggi come oggi, gli attacchi contro Oxford riguardano non solo l’utilità delle materie insegnate nelle diverse facoltà e i metodi, a volte, ritardatari, ma soprattutto l’esclusivismo sociale e lo snobismo della città universitaria. Infatti, impressiona a prima vista, il contrasto vivissimo che esiste fra la vita dei collegi, organizzata quale si poteva concepire e si concepiva in pieno Medioevo e la vita quale si svolge non solo negli stessi collegi ma anche fuori del collegio. Spesso, a fine di ogni term, molti collegi organizzano delle sontuose feste da ballo, sebbene, pure alla fine dei terms, feste da ballo si organizzino dovunque, nelle case e negli alberghi. Allora, il volto di Oxford si trasforma e la città severa diventa una spiaggia mondana, ché se dalle case e dagli alberghi vengono, a folate, echi di canto e di suono, per tutte le vie è uno sfilare continuo di abbigliamen-
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ti sontuosi e fastosi. Dove sono, dunque, lo studente e la dolce collega che, negli altri giorni, abbiamo visto, svelti e dritti, colla toga che li copre, fratelli lontani dei vaganti clerici? Eccoli: l’uno a braccio dell’altra, allegri e spensierati, inappuntabili nei loro vestiti da sera. Eppure, togati o no, c’è qualcosa che ci sfugge della loro anima, come ci sfugge tutta l’organizzazione culturale, se noi non penetriamo nei collegi, corpi costituiti ma distinti, i quali sono il vero santuario della vita di Oxford e di Cambridge. Le mura sono invulnerabili e le porte di ferro: ma noi ci contenteremo di passare per una piccola porta, che è la porta sacra agli ospiti. – Sembriamo tanti monaci che vivono in un monastero – mi diceva, recentemente, R.R. Marett, dinanzi all’Exeter College, di cui egli è appassionato rettore. Infatti, è proprio questa l’impressione che si ha davanti ai collegi di Oxford e di Cambridge, palazzi alti e grigi, edifici che si prolungano nelle loro torri agili e svelte, magnifici centri di studio se si vuole, e sempre, si voglia o no, centri di sport. Lo sport, a Oxford e a Cambridge, è il motivo dominante della vita: ordinato, disciplinato, corretto, esso regola la vita stessa, le infonde un ritmo, più che un giuoco è un’arte, comunque una superiorità riconosciuta dagli stessi capi del collegio. È la vita, insomma: vien prima dello studio, sebbene anche lo studio sia non solo disciplinato ma anche guidato e sorretto (ogni studente, oltre ai professori dai quali ascolta le conferenze ha il suo tutor che è il vero foggiatore delle anime). Così, entrati in collegio con spavento, i giovani si abituano a questa vita, nella quale l’ozio è severamente bandito: soli nei primi giorni, senza che i colleghi degli anni superiori si degnino di guardarli, dopo una settimana sono iniziati ai misteri del tè, dopo due reclamano l’automobile delle loro case, i più modesti si compreranno una bicicletta, e, allora, ai misteri del tè si aggiunge quello dello sport, al quale tutti si sottopongono con entusiasmo, come, con entusiasmo o no, si debbono sottoporre alle regole universitarie, suggestive e paradossali. È severamente proibito, ad esempio, a uno studente di Oxford o di Cambridge di bere liquori o birra in un pubblico caffè, ché se voi entrate in un caffè di Oxford o di Cambridge vi domandano sempre se siete uno studente universitario. Lo studente dell’Università, nella sua stanza, però, può tenere tutti i liquori che vuole e quanta birra gli piaccia. Né gli è permesso di avvicinare donne che non si possono avvicinare eccetera eccetera.
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Vita rigorosa? No: ma nemmeno vuota o inutile, come si vorrebbe far credere. Appunto per questo sarà difficile che i collegi un giorno subiscano delle trasformazioni e, intanto, così come sono, essi, con tutti i loro difetti, son delle fabbriche: fabbriche di uomini. Qui il passato e l’avvenire di Oxford e di Cambridge: città lineari, vie dritte dalle case fiorite. 2. Posta di Oxford Si riapre il «term» – Il Parlamento degli studenti – Il club degli italiani* Oxford, maggio Ormai è da quasi due mesi che Oxford rimaneva silenziosa, deserta, cupa. Quando gli studenti sono lontani, nelle loro case o spesso in viaggio, Oxford perde il suo carattere e la sua fisionomia: diventa una delle tante contee, nelle quali la vita si svolge uguale, piuttosto monotona, con quelle domeniche che non finiscono mai, anche se sulle piazze le bande protestanti si propongono di salvare e di redimere l’anima dei fedeli da ogni tentazione e da ogni peccato. L’anno oxoniense, potremmo dire, si divide in sei stagioni: le prime tre corrispondono ai terms e le altre tre alle vacanze. Il primo term si apre in ottobre e si chiude in dicembre; il secondo si apre verso la metà di gennaio e si chiude in marzo; il terzo, infine, si apre agli ultimi di aprile e si chiude alla fine di giugno. Così siamo, oggi, all’ultimo trimestre e a frotte gli studenti spuntano da ogni via, con le valigie fra le mani, contenti e beati come al solito, pronti a indossare la toga e a inaugurare il term con una sbornia solenne. Prima della sbornia (tema obbligatorio per uno studente degno di questo nome) viene la visita al tutor. Attesa lunga, snervante: e poi, occhi fra occhi, i tutors si congratuleranno con gli studenti che nel bimestre passato hanno ottenuto una promozione, faranno le solite raccomandazioni e, accertatisi dell’arrivo di ogni studente, manderanno, poi, tutti nella cappella del rispettivo collegio... perché si facciano benedire. Parlo, qui, degli studenti in genere: cioè genere femminile e genere maschile. * «La Stampa», 2 giugno 1930, p. 3.
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Invece della benedizione, quasi sempre lo studente oxoniense si occuperà della sua macchina che dorme al garage; poi rivedrà la sua dolce e immancabile collega; e infine l’indomani, piova o faccia bel tempo non importa, riprenderà il suo sport preferito. Le lezioni, quelle a cui bisogna andare e quelle a cui non bisogna andare, contano assai poco per non dir nulla. Ancor prima delle lezioni, del resto, viene il Parlamento, dove ogni studente è deputato e dove le discussioni, interrotte qua e là da battute spiritose, sono seguite col massimo interesse. Se, infatti, moltissime lezioni (quando ci si va) passano sul capo degli studenti (adopero una frase inglese) le discussioni parlamentari hanno una sorte diversa: interessano e preparano. Né si tratta, intendiamoci, di un Parlamento alla buona, ché in esso oltre il seggio del Governo e i banchi dei deputati vi sono anche le tribune riservate agli spettatori. E, poi, non mancano le sale di lettura, gli uffici, il ristorante: divisi dal Parlamento da un giardino pieno di alberi e di fiori. È qui che hanno iniziato la loro carriera tutti i grandi uomini politici dell’Inghilterra, sicché il Parlamento oxoniense e quello di Cambridge sono, davvero, l’anticamera... della Camera dei Comuni. Insieme al Parlamento, e pure intimamente legati all’Università che ne sorveglia l’andamento generale, non vanno, poi, dimenticati i vari club che, in un certo senso, integrano l’azione del Parlamento. Qui tutti i temi debbono convergere sulla politica inglese o straniera: nei club la politica v’è severamente bandita (sebbene cacciata dalla porta vi entri dalla finestra) ché il loro compito è quello di svolgere un’attività letteraria o scientifica che riguardi il paese rappresentato. E fra questi, sebbene abbia appena tre anni di vita, uno dei più attivi e fattivi è senza dubbio l’Oxford University Italian Club. La sua sorte, il suo andamento e il suo sviluppo sono curati da un Comitato che si rinnova a ogni due o tre terms: ma se si rinnova il Comitato, i fautori di esso rimangono sempre Cesare Foligno che è il professore ordinario di Letteratura e di filologia italiana all’Università e E.R.P.Vincent che ne è il lettore. Presidente onorario del club è S.E. Bordonaro, Ambasciatore d’Italia a Londra: e, attualmente, segretari infaticabili (i segretari, si sa, sono sempre tali, ma questa volta lo si può dire davvero) sono Vivyan Eyles e Federigo Tollemache. Perché, ora, si abbia un’idea delle discussioni svoltesi nel club basterà
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sfogliare gli Atti, i quali sono racchiusi in un quadernetto lindo e pulito tenuto col massimo ordine, e col resoconto di tutte le sedute. In una di queste, ad esempio, Cesare Foligno, che è, dopo tutto, l’ambasciatore italiano a Oxford, ha tenuto una interessante lettura su questo tema: «Che cosa direbbe un poliziotto di Ugolino». E a sua volta il prof.Vincent propose che il club potrebbe fare simili indagini... da poliziotto su altri personaggi della storia e della letteratura. Non sappiamo se la proposta abbia avuto successo. In un’altra seduta, però, i membri del Comitato hanno dato, a nome dei personaggi più illustri della letteratura e della politica, le opinioni sulla leggenda di Paolo e Francesca: allora s’è visto Vincent rappresentare Ugo Foscolo e Caggiati Benito Mussolini. Due donne rappresentavano, rispettivamente, Giusti e D’Annunzio. Una terza seduta è stata dedicata alla vita campestre in Italia: conferenziere Luigi Villari a cui Foligno rimproverò l’avere omessa la cultura del tabacco, dovuto al fatto che il conferenziere non fuma. Altre conferenze, fra le tante, sono state tenute da Giuseppe Gallavresi (Napoleone e l’Italia), da Vincent (Il palio di Siena) e da Camillo Pellizzi (La poesia dialettale). Ricca di aneddoti e assai curiosa una conferenza su Cornelia Knight e l’Italia, tenuta da Vivyan Eyles, la quale ha avuto il coraggio di dirci che senza dubbio all’epoca del Risorgimento gli «uomini liberali» portavano la barba perché il liberalismo (avviso a Guido de Ruggero) è sempre servito a farla crescere. In questo bimestre sono, intanto, annunciate una conferenza di Giuseppe Cocchiara sul problema della poesia popolare e una lettura di Padre Sciolla sui primitivi dell’Africa. Programma ricco e vario, come si vede: ma al tempo stesso le conferenze si allontanano tutte dai soliti schemi, inserendosi, perfettamente, nella atmosfera oxoniense, dove la cultura non pesa come non pesano gli insegnamenti, ché quando pesano, ripeto, passano sul capo. Si dice, è vero, che a Oxford professori e studenti parlano e chiacchierano troppo. Sarà vero? Nel caso affermativo, non per nulla tanto i primi quanto i secondi portano la toga.
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6. Fiori e sorrisi del Sussex [Sopratitolo] Itinerari inglesi* Lewes, luglio Evidentemente quando si afferma che a Londra ci appare l’Inghilterra, quale essa è nei suoi aspetti vari e multiformi, si ha dell’Inghilterra un’idea vaga e imprecisa. Idea da sedentari. Né sembri un paradosso. A Londra vi sono uomini che non hanno mai messo gli occhi sopra altre case che non siano quelle del proprio quartiere. È logico, quindi, che per essi l’Inghilterra sia Londra o, ancor meglio, quel dato quartiere che abitano. L’amo, così, è teso e non pochi viaggiatori vi abboccano. Ma muovetevi, uscite da Londra e allora vi apparirà una nuova Inghilterra: quella che in buona parte Londra non conosce. Londra, infatti, è una città di passaggio. Ci si impoverisce o ci si arricchisce e via. Finisce la season e via. Gioia di «cottage» Dove, invece, si svolge la vera vita degli inglesi è in provincia. Dicono loro in contea. Aggiungete, del resto, un shire che equivale appunto alla nostra provincia e alla loro contea al nome di una città e questa acquisterà un tono musicale. Pronunziate i nomi di Kent, di Surrey, dell’Essex e del Sussex: ed ecco che, quasi d’incanto, voi vi sentite in piena campagna, dove l’aria non vi è somministrata a gocce e dove un olezzante profumo di fiori vi fa credere di essere in un giardino interminabile. Qui, in queste contee, fra i fiori e gli alberi, sorgono i palazzi feudali dei nobili d’Inghilterra. Ma, lontani da questi palazzi, quasi nascosti dalle vie fiancheggiate da alberi, sorgono poi gli innumerevoli cottages dove, quieta e tranquilla, si svolge la vita di innumerevoli famiglie. Ognuno di questi cottages ha il suo nome – ma che cosa, in Inghilterra, non ha un suo nome? –. Spesso, poi, è in aperta campagna, vicino a un paesetto che per distinguerlo ha bisogno d’una buona appendice. Così, ad esempio, se voi avete un cottage a Barcombe e volete che un amico vi scriva bisognerà che all’indirizzo di Barcombe egli faccia seguire Lewes, con un near che significa vicinanze, e, per facilitare l’opera della posta, da un Sussex che sarebbe la contea dove si trova il tutto. * «La Stampa della sera», 20 luglio 1931, p. 2.
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Paesaggio vario Questa, diciamo così, l’ubicazione. Né è stata scelta a caso poiché è precisamente a Barcombe che noi siamo diretti. Siamo partiti da Brighton, in seguito a un invito cordiale e squisito fattoci da una delle più colte scrittrici che abbia l’Inghilterra. Dice l’invito: «ma se del Sussex scriverete qualcosa non parlate di me... e della mia sepoltura». – Sepoltura? Qui, il paesaggio è vario e ha qualcosa che ricorda la collina toscana. Ogni via è una serra di fiori e il profumo di essi vi rincorre, quasi vi dà fastidio, vi inebria. È troppo forte. Non so dove ho letto che, in Inghilterra, l’aria non è profumata. Eresia. Sono i mille giardini dei cottages del Sussex che profumano quest’aria. Né c’è, qui, un solo cottage dove non abiti un grande scrittore o un grande giornalista. – Vedete, qui vive lo scrittore tale che, per ora, prepara tale romanzo. – Lì vive il giornalista tale che, però, solo due volte per settimana va a Londra. Scommetto che Mario Praz vi saprebbe dire i nomi di tutti. Né certo l’idea di venirsene qui a lavorare è sbagliata o è falsa. Se si facesse, del resto, un censimento del luogo da dove ogni anno arriva sul mercato londinese la produzione letteraria, il Sussex sarebbe al primo posto. Quasi un’intervista Dopo aver girato in su e in giù e dopo essermi perduto in un bosco, eccomi, finalmente, nel cottage della mia ospite. La quale, sbrigatici dei convenevoli, mi porta nel suo giardino. – Vi piace il Sussex? – Non capisco come voi la possiate ritenere una sepoltura! – Ma no, non è il Sussex che mi dà l’idea di una sepoltura. È il mio stato d’animo. Silenzio. Poi, nel giardino, è un lungo sfilare di donne i cui sorrisi sono aperti come i boccioli di rosa. Si recano nella cappella vicina e siccome dovrebbero fare un giro assai lungo ogni domenica la mia ospite dà loro il permesso di passare dal suo giardino. Salutano, infatti, e passano come se la campana della chiesa le chiamasse, impaziente. – Qui capisco i vostri romanzi. – Ma più tardi capirete un’altra cosa. Perché in Inghilterra non c’è una vera crisi libraria. Chi fa la vita come la facciamo noi ha bisogno di
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leggere, di divorare. I giornali son di trenta pagine e non bastano. Ci vogliono romanzi a getto continuo. Ecco perché da noi una scrittrice può tenere un alto tono di vita sociale. Solo la lettura può scacciare la noia. Ora, per esempio, io son costretta a lasciarvi perché debbo scendere a Lewes. Ma voi che cosa fate? Ecco qui un libro. Rimasto solo depongo il libro su di una sedia di vimini e cammino su e giù per il giardino. Sulla tragedia alla mia ospite: due parole. Cattolica fervente, ella ha scritto, recentemente, un libro che è stato bandito dalla vita inglese. Questo il suo dolore. Ma, intanto, ecco che il giardiniere della mia ospite mi viene incontro borbottando con certe parole che debbono appartenere al cockney di Whitechapel. Che cosa ha? Passa anche lui, seguendo la stessa via solcata poco fa dalle donne. Poi si mette al suo lavoro senza che, però, i suoi occhi si levino dalla siepe del giardino circostante. Allora, con aria distratta, raggiungo la siepe e getto il mio sguardo nel giardino circostante.Visione idillica. In mezzo al giardino una bionda fanciulla, perfettamente nuda, offre il suo corpo al sole. Più tardi, la stessa fanciulla prende il tè dalla mia ospite e mi confessa, fra una chiacchiera e l’altra, che ella, ai bagni di Brighton preferisce i bagni di sole del suo giardino. Poi sorride: – Stamattina mi ha visto, però, il giardiniere e poveretto s’è scandalizzato a tal modo che si è messo a correre. Quando ci lascia mi fa una raccomandazione: – Se pernottate a Lewes spegnete presto il lume. Se no, molte farfalle si bruceranno le ali. 7.Visione antica [Sopratitolo] Panorami d’Inghilterra* Salisbury, luglio Sembra, apparentemente, uno dei tanti «circoli» di pietra e, invece, vi differisce quanto una casa moderna da una capanna tribale. Pietre: alcune hanno sfidato il tempo e sono ancora alte, maestose, larghe mentre altre * «La Stampa della sera», 22 luglio 1931, p. 2.
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giacciono a terra, quasi in riposo. Ma queste pietre hanno davvero un’anima. Sono, cioè, come la leggenda le raffigura, «personificazioni» di esseri puniti? Questa è opera del diavolo o dei saraceni, aggiunge la leggenda; e attorniata dalla leggenda che risuona con accenti suoi, da una pietra all’altra, ecco, davanti a noi, il più grande monumento megalitico dell’Inghilterra, del quale l’archeologia ha fatto un problema, e direi una questione personale. Spettacolo di bellezza Lasciata Salisbury, dove, oggi, c’è il mercato e per di più il Carnevale sulle vie – un carnevale, inutile aggiungerlo, che è fuori tempo – la campagna si distende piana. Man mano la pianura diventa più lineare ed è precisamente qui in mezzo che si trova Stonehenge la cui visione costituisce, senza dubbio, uno spettacolo meraviglioso. Non si tratta, dopo tutto, che di rovine, voi direte in lontananza e sotto quelle pietre, fra le rovine, vi sentirete come in un tempio greco o romano. Nel mezzo della pianura, Stonehenge domina la pianura stessa e sembra una forza soprannaturale che guidi le vicende del tempo. Se l’orizzonte fosse un punto fermo e con un compasso voi poteste misurare la distanza che v’è fra quel circolo di pietre e l’orizzonte che chiude la pianura, il diametro risulterebbe perfetto. Non vi sono degradazioni di colli, pendii o scoscesi: anche se essi vi sono, la pianura li annulla e l’occhio li supera. Spettacolo di bellezza, dunque, e al tempo stesso visione di secoli che si uniscono, si avvicendano, passano. Qui gli anni non contano, tanto che Stonehenge si fa risalire ai Druidi. Così, infatti, ve lo consacrano le guide scritte ed orali, sulla base di archeologi illustri e rinomati. Ancor prima, però, di quest’opinione che è, si può dire, generale, Goffredo di Monmouth, occupandosi della edificazione di Stonehenge ne aveva fatto un monumento eretto da Aurelio Ambrogio alle vittime del tradimento di Egisto. Questa tradizione, fino al Cinquecento, fu comunissima: esaltata nella poesia, avvalorata nelle opere. Più tardi, invece, fu creduta la tomba di Boudicca. La prima persona che pretese Stonehenge druidico fu John Aubrey. Dalle tenebre si passa, in questo modo, a una nebbia leggera, la quale rimane anche tale collo Stukeley. L’amore di quest’ultimo per Stonehenge non conobbe difficoltà. I Druidi, si può dire, assorbirono la sua vita e nel suo giardino, anzi, egli
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volle erigersi un tempio druidico. Dicono, oggi, i suoi critici, che son molti e spietati, per ispirarsi e per accumulare i suoi errori. Né, d’altra parte, la questione druidica è la sola: per il fatto che Stonehenge è in relazione deliberata col movimento dei corpi celesti molti lo vollero addirittura un osservatorio astronomico. Quando passarono i Romani Ora, invece, riportando la questione su una base più solida – ed è oggi merito del Kendrick l’averlo fatto nel suo ottimo volume dedicato appunto ai Druidi – si vede subito che le teorie su Stonehenge sono basate, quasi tutte, su indovinazioni o su invenzioni.Vi sono tutte le ragioni per credere che il cosidetto tempio druidico abbia preceduto i tempi druidici. Anzi, vi sono delle buone ragioni archeologiche che avvalorano questo punto di vista. Lasciamo, da parte, la data o per meglio dire le date della costruzione. A leggerla sembra che si giuochi a bussolotti: 1700 prima di Cristo, 1680, 1500 eccetera. Invece, guardiamo bene il tempio che è, al di fuori di ogni questione, il maggior tentativo di grandezza e di bellezza che esista nell’architettura megalitica d’Europa. Quando i Romani passarono vittoriosi su questa pianura e più tardi quando cominciò la romanizzazione della religione gallica il tempio era, già, quasi distrutto ed era, comunque, un rifugio. Nessun dubbio, d’altra parte, può esservi nel ritenerlo un tempio dove si celebravano delle cerimonie di carattere tribale. Come tale, esso è il luogo di una religione preistorica in cui il culto del sole si unisce col sacrificio umano. Ma qui, tra le alte pietre di queste colonne, noi non pensiamo a date o a dati. Pensiamo, invece, all’uomo primitivo, il quale fa dei suoi errori una religione e una fede che egli applica inesorabilmente. La forza della Natura dipende dalla forza umana: quel che l’uomo farà in piccolo, la Natura, che ne è la madre, lo ripeterà in grande. Ecco l’errore che per lui è verità, prima magia e poi religione. Da qui il sacrificio, il quale prima di essere un fatto che si basa su dati sessuali è un portato di quella magia, secondo la quale il simile produce il simile. Il sole per accelerare il suo corso, quando esso lo compie, ha bisogno delle sue vittime e i sacrifici, appunto per questo, vengono maggiormente compiuti durante il solstizio o l’equinozio. Guardiamo, ancora, il tempio: un circolo grande concentrico e poi
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un secondo più piccolo in forma di cavallo. Una sola pietra piana e tabulare: l’altare. Questa pietra, bagnata dal sangue di migliaia di vittime, giace, oggi, sepolta fra le rovine. Nella direzione nord-est si trova, poi, la pietra del Sole, la pietra Elio, e il sole spunterà appunto da questa pietra, quando il suo sorgere è guardato dall’altare che, a sua volta, il sole illumina una sola volta all’anno. Altre due pietre, infine, sono pure in riferenza allo spuntare e al tramontare del sole e il diametro del tempio è largo quanto, oggi, lo è, a Londra, il duomo di San Paolo. Tempio e leggenda Nella costruzione del tempio c’è, dunque, la sua origine e il suo carattere. La tradizione popolare e la sapienza archeologica si uniranno sempre per continuare un volume che non è ancora finito. Opera soprannaturale, dirà la prima: e però in fondo alla tradizione, quand’essa parla di «personificazioni» ecco la confusione delle persone e delle cose, ecco la verosimiglianza dell’animato coll’animato, ecco, cioè, la mentalità del primitivo che sopravvive. L’archeologo studierà da dove vengono le pietre e ne cercherà i dati: ma anche qui, in fondo alle sue ricerche, ci sarà sempre un paragone e un raffronto. Da Stonehenge egli potrà andare – che so io – nell’Africa o nel Messico, dove i circoli di ogni pietra sono a ogni passo. Ma son questi dei raffronti coi quali bisogna andar molto cauti mentre ecco la tradizione che dell’origine del tempio ci ha conservato lo spirito. Due volte all’anno, infatti, si vien qui per assistere allo spuntare del sole e il pellegrinaggio dei fedeli aumenta di anno in anno. Questo di oggi, però, è un pellegrinaggio di turisti eccezionali. Pare che in mezzo a questo tempio, e in pieno luglio, si siano date convegno le più belle figlie di Albione. Capelli biondi al vento e sorrisi nell’aria. Oh, son, davvero, gli ultimi discendenti dei Druidi? A Salisbury, intanto, ci aspetta la regina del Carnevale e le nostre automobili, in fila, lasciano Stonehenge mentre il sole giuoca colle sue pietre e la pianura di Salisbury sembra un incendio che si propaga fra le vallate del Nadir per essere spento dall’Avon che scorre indorato.