a cura di Antonio Mussari e Maria Antonietta Selvaggio
Da scugnizzi a marinaretti L’esperienza della Nave Asilo “Caracciolo” 1913-1928 Mostra foto-documentaria
Edizioni Scientifiche e Artistiche
Progetto Memoria 1
Il Progetto editoriale “Memoria” della Fondazione Thetys - Museo del Mare, diretto da Antonio Mussari e Maria Antonietta Selvaggio, intende offrire un contributo alla riflessione sul ruolo del mare e della cultura marinara nella storia di Napoli, della Campania e del Mezzogiorno d’Italia. In questa prospettiva, e grazie alla partecipazione di specialisti ed esperti, il Progetto integra il più ampio impegno scientifico e culturale del Museo nell’ambito della conservazione, valorizzazione e divulgazione del patrimonio marittimo sia materiale che immateriale. L’attività di reperimento, catalogazione e archiviazione di tale patrimonio non può procedere disgiunta da una capillare opera di diffusione che allarghi sempre più il pubblico di visitatori e fruitori del Museo. Rientra in tale finalità la pubblicazione di testi-cataloghi, repertori di fonti, saggi, memoriali, diari, epistolari, etc. - che focalizzino l’attenzione di un vasto numero di lettrici e lettori su temi e argomenti relativi alla civiltà del mare nei suoi molteplici aspetti: ambientali, economici, politici, culturali.
Corvetta scuola della Regia Marina italiana “Caracciolo� 1869-1907
a cura di Antonio Mussari e Maria Antonietta Selvaggio
Da scugnizzi a marinaretti l’esperienza della Nave Asilo “Caracciolo” 1913-1928
Mostra foto-documentaria
EDIZIONI SCIENTIFICHE E ARTISTICHE
Copertina: Locandina della mostra a cura di Antonio Mussari.
Quarta di copertina: Giulia Civita e i suoi figli. Foto dall’Archivio fotografico del Museo del Mare di Napoli “Carte Civita-Labriola-Aubry”
Questo volume è stato pubblicato con il contributo della Regione Campania, Settore Musei e Biblioteche.
I diritti sono riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta, archiviata anche con mezzi informatici, o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico, con fotocopia, registrazione o altro, senza la preventiva autorizzazione dei detentori dei diritti.
ISBN 978-88-95430-19-5 E.S.A.
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Edizioni Scientifiche e Artistiche
© 2010 Proprietà letteraria artistica e scientifica riservata www.edizioniesa.com info@edizioniesa.com
Indice Presentazione di Eleonora Puntillo
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Prima parte 1. Il Progetto memoria del Museo del Mare e la valorizzazione del patrimonio culturale immateriale di Antonio Mussari
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2. “Da scugnizzi a marinaretti”: viaggio nella memoria di un’esperienza straordinaria di Maria Antonietta Selvaggio
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3. Il “sistema Civita” tra riscatto sociale e formazione umana di Antonia Maria Casiello
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4. Giulia Civita Franceschi e il suo mondo di Monia Valeriano
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5. Notes on school ships in Great Britain di John Robinson
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6. I caracciolini: immagini di una memoria napoletana di Pino Bertelli
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7. Storia delle fondazioni ed istituzioni assistenziali della Marina. Il caso delle Navi Asilo di Francesco Loriga
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Seconda parte La mostra: i percorsi
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I. Il metodo II. L’istruzione e la formazione professionale III. La comunità dei “caracciolini” IV. I ritratti, le pagine autobiografiche, la corrispondenza
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Fonti documentali e riferimenti bibliografici della mostra Appendice: immagini e documenti Le autrici / gli autori
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Presentazione
Gli scugnizzi marinai Suscita una singolare sensazione positiva vedere portati alla luce eventi storici che hanno avuto eco e riflessi anche nella propria famiglia, e non solo perché rinvigoriscono la personale memoria; rievocano infatti legami di amicizia e di cultura che afferiscono a valori civili condivisi, a pratiche sociali che tali valori riproducono e tramandano. Dev’essere stata questa la sensazione che ha commosso alcuni antichi “scugnizzi” divenuti “caracciolini” o loro figli quando sono stati rintracciati e intervistati nella fase preparatoria della mostra presso il Museo del Mare, splendida filiazione dell’Istituto nautico “Duca degli Abruzzi” con sede a Bagnoli, e poi del presente volume che documenta questo importante brano di storia napoletana. Si tratta della straordinaria avventura di Giulia Civita Franceschi che per 15 anni, dal 1913 al 1928, raccolse e ospitò sulla sua Nave Asilo “Caracciolo” nel porto di Napoli ben 750 ragazzi “pericolanti” (usciti dal carcere o in procinto di entrarvi), orfani o abbandonati, togliendoli dalla strada per farli diventare marinai. E molti diventarono anche valorosi ufficiali di Marina. Per chi come me ha imparato a leggere con le lettere ritagliate dal quotidiano “Risorgimento” nell’immediato dopoguerra e ha conosciuto poi da vicino Olga Arcuno, collega dei genitori docenti nei licei, e Lieta Nicodemi, madre di una compagna di ginnasio, quel nome e quella vicenda nascosti nella memoria familiare in questa occasione sono riemersi nella loro più corretta dimensione storica. E anche con una valenza politica notevole nel momento in cui la scuola italiana invece di ricevere massicci investimenti per l’espansione e l’efficacia dell’offerta educativa destinata a creare cittadini liberi e pensanti, viene trattata come un settore meritevole solo di drastico e cieco risparmio statale. Furono proprio la Arcuno e la Nicodemi, nel 1947, a raccontare sul “Risorgimento” e su “Solidarietà” l’esperienza educativa di Giulia Civita Franceschi, alla quale poi toccò alla fine di giugno 1947 nel Congresso delle Donne napoletane l’intervento più duramente profetico sul drammatico problema dell’infanzia abbandonata “… che torna oggi a imperversare in questa nostra martoriata città e vi imperverserà tanto maggiormente quando gli anni renderanno più visibili le conseguenze del passaggio di due eserciti, l’uno di padroni, l’altro di vittoriosi”. 9
La sua impresa educativa sempre vittoriosa fu stroncata nel 1928 dal fascismo, che pretese di integrare la scuola per marinaretti nell’Opera Nazionale Balilla, di fatto estinguendola, giungendo perfino a relegare i giovani ospiti della nave nel Riformatorio; ugualmente stroncato fu il tentativo dell’indomabile Giulia di istituire una scuola marinara femminile per “scugnizze” in quel di Miseno. Tutto era cominciato nel 1911, in piena “Belle Èpoque” quando su sollecitazione di una schiera di signore della buona ma non frivola società il ministro Pasquale Leonardi Cattolica donò la nave, una vecchia “pirocorvetta” a tre alberi che stava per essere smantellata, e istituì la scuola marinara. La schiera era formata, fra le altre, da Enrichetta Chiaraviglio Giolitti, Antonia Nitti (rispettivamente figlia e moglie degli statisti Giovanni e Francesco Saverio), Lucy Re-Bartlett, Elvira Levi-Morenos che con il marito David aveva già istituito una scuola per orfani di pescatori a Venezia, sulla nave “Scilla”. E poiché all’epoca una donna non poteva dirigere una scuola tecnica, la Giulia fu dichiarata diretta delegata di David Levi-Morenos e poté così assumere, primo e unico caso in Italia, la direzione della “Caracciolo”. Il “sistema Civita” suscitò l’ammirazione di Maria Montessori, che a Milano nella scuola istituita alcuni anni prima dalla Società Umanitaria aveva innovato profondamente i metodi di educazione dell’infanzia. E anche su Giulia Civita Franceschi, come sulla Montessori, si appuntò l’attenzione di pedagogisti, giuristi, educatori di tutto il mondo: la nave “Caracciolo” fu visitata perfino da una delegazione del governo giapponese che raccoglieva in Europa esempi da imitare nel paese del Sol Levante. Il “sistema” consisteva nella cosiddetta “educazione naturale”, con la scuola trasformata in una comunità dove ciascun ragazzo veniva rispettato, incoraggiato, aiutato a svilupparsi in modo armonico (oltre che sfamato) e soprattutto reso consapevole dei propri doveri e responsabilità nella comunità. Cosa ovvia, direte voi oggi; non lo era affatto nel 1913 in tempi di atroci differenze di classe, divenne un pericolo nel 1928, in tempi di fascismo perché creava uomini liberi capaci di pensare e agire. E non è difficile vedere in questo avvicendamento le coincidenze con tempi infelici per la scuola italiana. Eleonora Puntillo giornalista
febbraio 2010
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1. Il Progetto Memoria del Museo del Mare e la valorizzazione del patrimonio culturale immateriale di Antonio Mussari
Il Progetto Memoria Il Progetto Memoria del Museo del Mare di Napoli prende l’avvio da una nuova sensibilità verso il bisogno che ha ogni comunità di ricercare le proprie radici e ritrovare una propria identità. Di qui l’esigenza di riscoprire la nostra civiltà marinara, un patrimonio storico e culturale ricchissimo, sviluppatosi soprattutto dal Settecento al Novecento e che rischia di scomparire. Il Progetto Memoria, quindi, nasce senza formule codificate, evoca eventi accaduti, richiama una lunga catena di avvenimenti, di storie private, pubbliche e collettive, ma non si è dato inizialmente un protocollo definito. Tra i vari problemi di una ricerca come la nostra, va tenuto presente il rischio di una falsa ricostruzione storica o di una celebrazione mitologica, folkloristica del mondo marinaro, che andrebbero a falsare così la storia dei paesi della costa con operazioni - nostalgia tendenti a contrapporre una presunta società tradizionale alla società moderna e post-moderna. Perciò il nostro appello alla memoria, oggi, non rientra in un trend culturale di moda, privo di interesse reale, ma vuole individuare percorsi di ricerca, ad esempio, sul ruolo avuto dal mondo della pesca e dei pescatori, dei cantieri e dei mestieri ad essi collegati, nel processo di sviluppo dell’economia della regione e nelle trasformazioni sociali e culturali degli stili di vita. La trasformazione tumultuosa del secolo XX ha agito in maniera molto visibile sul paesaggio costiero, determinando a volte cambiamenti così radicali che oggi è difficile rintracciare nelle città costiere le radici delle comunità marinare che le hanno prima fondate e poi abitate nel corso dei secoli. Il recupero della civiltà marinara in tutti i suoi aspetti, l’indagine sulle fonti, la conoscenza del patrimonio della cultura materiale dei cantieri e delle tecniche della pesca, la conoscenza storico-sociale della società marinara, costituiscono una priorità assoluta nel progetto di recupero del patrimonio culturale immateriale e della cultura materiale della nostra regione. Ciò soprattutto per il rischio di perdita 11
Da scugnizzi a marinaretti
delle ultime tracce di un inestimabile patrimonio di tradizioni sospese tra memoria e oblio, tradizioni che comprendono tecniche, saperi e percorsi biografici di maestri d’ascia, carpentieri, calafati, pescatori, pescivendoli ecc.. Spesso, infatti, la memoria del paesaggio costiero, delle economie basate sulla piccola pesca, sul piccolo cabotaggio o sui cantieri temporanei che sorgevano là dove venivano costruite le imbarcazioni (paranze, gozzi, tartane, feluche, martingane) che hanno caratterizzato la maggior parte dei porti dei nostri paesi costieri, si rintraccia solo in antichi documenti, in cronache locali o negli ultimi racconti di una memoria orale che si è ritrasmessa fino ai giorni nostri ed è ormai giunta alle ultime generazioni dei testimoni oculari. Le sempre più rare testimonianze sia della cultura materiale che della memoria orale delle esperienze lavorative sono spesso decisive per la corretta ricostruzione del rapporto tra comunità locali ed economia del mare, poiché l’evoluzione tecnologica ha determinato un processo molto rapido di sostituzione dei mezzi e delle competenze degli uomini di mare. Con il Progetto si intende promuovere azioni che possano mettere in primo piano il patrimonio di ricordi e di testimonianze presenti in tutte le famiglie di origine marinara a cui il Museo attribuisce tuttora grande importanza ai fini del recupero della memoria collettiva della marineria della Campania e della più completa interpretazione della storia passata, perché possa essere tramandata l’identità di una comunità che è stata una delle realtà marinare più importanti d’Italia durante tutto l’Ottocento. Anche se la marineria campana è stata attiva soprattutto nei paesi della Penisola Sorrentina e in quelli dei Campi Flegrei, tutti gli abitanti della regione sono stati coinvolti, a vario titolo, nelle fortune o sfortune vissute su tutti i mari del mondo. Abbiamo l’ambizione di voler rivalutare l’identità marinara negli abitanti della regione dopo anni di continua rimozione collettiva. Si vuole che questa operazione sia condivisa da tutta la popolazione, perché la condivisione porta alla rivalutazione e questa alla conservazione. Si distrugge per ignoranza, finché non si diventa coscienti di essere in possesso di conoscenze o beni cui altri annettono importanza. Se finora il Museo del Mare ha svolto azioni finalizzate alla conservazione del patrimonio materiale, ora si sente pronto a lanciare questa nuova iniziativa per la promozione del patrimonio culturale marinaro sia materiale che immateriale diffuso su tutto il territorio della Campania. È un progetto di ricerca, di raccolta e di catalogazione delle testimonianze di una civiltà che potrebbe estinguersi con grave danno per la ricchezza del territorio. 12
1. Il Progetto Memoria del Museo del Mare
Pertanto il Museo del Mare sarà grato a tutti coloro che saranno disposti a donare (o a consentire di farne copia) documenti utili alla più ampia divulgazione e alla corretta trasmissione della cultura marinara alle generazioni future. La memoria culturale che si vuole così rigenerare viene intesa come luogo dell’anima da cui accostarsi al passato, motivando adulti e giovani cittadini alla più complessa conoscenza storica. I materiali documentali raccolti andranno a costituire un archivio specialistico che consentirà di entrare in contatto con le tradizione marinare campane, quali tessere del grande mosaico della nostra cultura. Le azioni di promozione del Museo del Mare con le quali si intendono coinvolgere i mondi della ricerca e della cultura nella valorizzazione del patrimonio marinaro sono: • indagini sulle fonti e sulla conoscenza del patrimonio culturale materiale attraverso l’individuazione dei possibili soggetti donatori di beni musealizzabili; • recupero e trasferimento al Museo di reperti di proprietà pubblica o privata ancora non musealizzati; • indagine bibliografica che porti al recupero di studi e pubblicazioni già editi, studi inediti e tesi di laurea, prodotti audiovisivi, atti di convegni scientifici già svolti, ecc.. Il ruolo della fotografia come fonte storica e l’Archivio fotografico della Nave Asilo “Caracciolo” La tradizione orale è stata, e lo è ancora, un mezzo per tramandare le nostre storie personali ed è un mezzo che, fino a quando l’uomo sarà capace di parlare, sopravvivrà a tutti i disastri, siano essi naturali o artificiali. La voce è il tramite della trasmissione della memoria ancora prima dell’uso di dipingere scene di caccia sulle pareti delle caverne. E l’uomo, che ha sempre avuto necessità di comunicare, perché la sua memoria non si perda, ha inventato tutta una serie di strumenti: tavolette di creta, papiri, manoscritti, libri. Tra tutti, c’è un elemento che primeggia: l’uso delle immagini, presenti fin dai tempi antichi, nelle caverne, nei manoscritti, negli atlanti, nei libri di viaggio sotto forma di incisioni, disegni, quadri, xilografie, fotografie. Le immagini sono le protagoniste della nostra epoca, del nostro vivere, e sono anche il metodo moderno di raffigurare il passato. Sono uno strumento fondamentale di comunicazione, senza dimenticare che stanno all’interno di un contesto “di scelta”. Chi dipinge, chi fotografa o crea un film lo fa da una determinata angolazione, la sua. 13
2. “Da scugnizzi a marinaretti”: viaggio nella memoria di un’esperienza straordinaria di Maria Antonietta Selvaggio
Le fonti e il recupero della memoria La mostra foto-documentaria che qui si presenta è frutto di un lavoro di ricerca storica e di recupero della memoria, durato alcuni mesi ma maturato in un più lungo periodo e destinato a protrarsi ancora nel tempo. Si capirà meglio il senso di queste parole chiarendo le circostanze che hanno reso possibile la realizzazione della mostra. Essa nasce da un archivio privato, di proprietà di Ornella Labriola (figlia di Arturo Labriola e di Nadina Skortzova) deceduta nel 1991, ora patrimonio del Museo del Mare di Napoli, a cui è pervenuto attraverso un iter particolare che ha il suo snodo decisivo nei discendenti di un “caracciolino”. La famiglia Aubry-Grassi, infatti, è l’artefice della donazione: Gabriella Aubry è la figlia di Gennaro1, uno degli 1 - Di lui ci parla, tra gli altri, il giornalista Franco Avati, autore di un articolo scritto in occasione della morte di Giulia Civita Franceschi, avvenuta il 27 ottobre 1957. “Dei marinaretti che crebbero sulla ‘Caracciolo’ alcuni divennero ufficiali, altri prestarono con onore servizio in Marina […] Gennaro Aubry raggiunse il grado di capitano di macchina e venne decorato di due medaglie d’argento. Per Gennaro Aubry la signora Giulia aveva avuto sempre un debole, s’era accorta che quel ragazzo non l’avrebbe abbandonata mai. E Gennarino, sempre si recò a salutare la sua grande amica. Era il più assiduo […] Quattro dei suoi ragazzi – Buono, Di Iorio, Aubry e Ernano – hanno voluto portare a spalla la sua bara; molti altri l’hanno accompagnata all’estrema dimora”. (Ricordo di Giulia Civita Franceschi. Di una vecchia nave borbonica fece una casa per 700 “scugnizzi”, in “Il Messaggero”, 9 novembre 1957, p. 3. Archivio Museo del Mare di Napoli, d’ora in avanti AMMN - Carte Civita-Labriola-Aubry, Rassegna stampa). “Tra i settecentocinquanta ufficiali e sottufficiali di marina che si recarono a rendere l’ultimo saluto a ‘mamma Giulia’, - scrive Vittorio Paliotti nella sua corrispondenza da Napoli - il più commosso era forse il capitano Gennaro Aubrì (sic), un uomo sulla cinquantina, piccolo, bruno, sulla cui divisa spiccavano i nastrini di due medaglie d’argento al valor militare. ‘Avevo appena sette anni quando donna Giulia mi prese a bordo della nave Caracciolo’ – raccontava il capitano Aubrì; ‘ebbi subito il grado di mozzo ma mi pareva un sogno aver finalmente trovato della gente buona che si prendeva cura di me…’. Superstite di tre affondamenti e valoroso combattente delle guerre di Spagna, di Etiopia, e dell’ultimo conflitto mondiale, il capitano Aubrì deve tutta la sua fortuna nella vita a Giulia Civita Franceschi. Quando
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Da scugnizzi a marinaretti
allievi prediletti della “Caracciolo”, legatissimo alla signora Giulia Civita Franceschi con la quale intrattenne un rapporto filiale e di collaborazione molto stretto fino alla fine. Dopo la morte della signora Giulia, rimasto amico di Ornella Labriola, insieme a lei curò la custodia delle “Carte Civita” cercando anche di ordinarle in apposite “cartelle”. I titoli e gli svariati appunti manoscritti evidenziano la preoccupazione di facilitarne la lettura e di rendere così pienamente comprensibile il valore di un’impresa educativa per molti aspetti straordinaria. L’archivio, acquisito in una prima fase nella parte fotografica, si è ora completato con la donazione al Museo dell’intera documentazione, comprendente una ricca corrispondenza, una rassegna stampa con articoli pubblicati sulla “Caracciolo” in varie occasioni (visite da parte di autorità nazionali e personalità estere, riconoscimenti e testimonianze), alcuni volumi a stampa, documenti ufficiali, materiale relativo all’istituzione, all’amministrazione e alla gestione della nave, appunti personali e minute di Giulia Civita, testi di interventi pronunciati in manifestazioni pubbliche. Il tutto finalmente è oggetto di ricerca e questo lavoro ne costituisce un primo rendiconto, anche se in una misura ancora parziale. Devo però aggiungere che la mostra non sarebbe stata possibile al di fuori della cornice e dello spirito del Museo del Mare, soprattutto senza la volontà determinata e tenace del suo direttore Antonio Mussari, il quale ha immediatamente compreso che le Carte Civita-Labriola-Aubry rientravano perfettamente nel Progetto Memoria già avviato dal Museo. Scopi del Progetto, infatti, sono la conservazione e la trasmissione alle nuove generazioni della memoria storica di tutto ciò che riguarda la cultura marittima e il rapporto che nel tempo gli abitanti della Campania hanno avuto con il mare. Nel Progetto si afferma che il Museo intende “recuperare e salvaguardare un patrimonio rappresentato dalla più varia documentazione marittima: fotografie, libretti di navigazione, diari di bordo e tutto quanto è legato alla vita della gente di mare” e che “molti oggetti, conservati finora come ricordi di famiglia, possono svolgere un ruolo fondamentale per la trasmissione della cultura marinara e, se affidati in custodia al Museo del Mare, potranno essere valorizzati nella maniera più appropriata”. L’esperienza della Nave Asilo “Caracciolo”, ispirata al principio del “mare redentore”2, non poteva che acquistare uno spazio privilegiato nel Progetto. sedicenne, fu dimesso dalla nave asilo Caracciolo, donna Giulia lo mandò a frequentare l’Istituto nautico e poi l’Accademia navale” (Su una vecchia nave una donna allevava scugnizzi, in “Oggi”, 24 novembre, 1957, p. 23. AMMN – Ibidem). 2 - Riprendiamo qui la felice espressione usata da Jack La Bolina nel suo articolo La nave scuola
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2. “Da scugnizzi a marinaretti”: viaggio nella memoria di un’esperienza straordinaria
Ma è opportuno, a questo punto, fornire una informazione storica intorno alla vicenda che la mostra narra prevalentemente con il linguaggio rievocativo della memoria. Negli anni tra il 1913 e il 1928, Napoli fu al centro dell’interesse pedagogico internazionale per un esperimento educativo originale e di avanguardia, che si realizzò sulla Nave Asilo “Caracciolo”. A dirigere la “Caracciolo”, che accolse oltre 700 bambini e ragazzi di strada sottraendoli a una condizione di abbandono e restituendoli a una vita sana, civile e dignitosa, fu chiamata la signora Giulia Civita Franceschi (1870-1957). Il suo metodo, apprezzato da grandi personalità come Maria Montessori, Édouard Claparède, Enrico Ferri e da numerosi osservatori italiani e stranieri, i quali visitarono la Nave in quegli anni, viene descritto e illustrato in questa mostra grazie a un insieme di fonti documentali e di materiali fotografici, che ben si prestano a esemplificare attraverso le parole di protagonisti e testimoni e le immagini dei tanti “caracciolini” l’ammirevole “sistema Civita”. Con questa espressione s’intende un metodo educativo, adatto al recupero e all’integrazione di minori a rischio di delinquenza ed esposti a ogni tipo di malanno sia fisico che morale, che poneva al centro la conquista della dignità legata al lavoro, alla solidarietà e agli affetti. La “Caracciolo”, infatti, non si limitò a funzionare come scuola di addestramento ai mestieri marittimi, ma fu piuttosto una “comunità”, in cui – secondo l’impostazione di Giulia Civita – ogni fanciullo, conosciuto e rispettato nei propri bisogni nonché incoraggiato e valorizzato nella proprie attitudini, veniva “aiutato individualmente a migliorarsi e a svilupparsi in modo armonico”. Per questi tratti caratteristici la Civita predilige la definizione di educazione naturale.
“Caracciolo”. Mare di Napoli, redentore, in “Il Secolo XX”, n. 8 – Anno XIV, 1914, pp. 713-722. J. La Bolina, al secolo Augusto Vittorio Vecchj (1842-1932), era figlio del garibaldino Candido Augusto Vecchj (1814-1869). Dopo aver lasciato la marina militare con il grado di luogotenente di vascello, si dedicò all’insegnamento e alla scrittura. Con lo pseudonimo di Jack La Bolina, tratto da L’ultimo dei Mohicani di Fenimore Cooper, diede corpo a un’ampia produzione letteraria e saggistica, in cui riservò al mare, alla scienza navale e alla marina militare un posto centrale; fondò nel 1894 la Lega Navale Italiana, pubblicò a lungo articoli e interventi sul periodico della L. N. I., sulla “Rivista Marittima”, e su altri giornali; s’interessò di letteratura per ragazzi, rivolgendo all’infanzia parte della sua ricca produzione letteraria; collaborò a “Il Giornale dei Bambini” di Ferdinando Martini e al “Giornalino della Domenica” di Vamba (al secolo Luigi Bertelli). Fu tra gli amici e sodali più fedeli di Giulia Civita; con lei e con il figlio Emilio intrattenne una regolare e lunga corrispondenza.
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Da scugnizzi a marinaretti
Come nacque la Nave Asilo? Va detto che il disegno di legge per cui il Ministero della Marina fece dono alla città di Napoli della “Caracciolo” fu opera del ministro Pasquale Leonardi Cattolica. Dopo l’approvazione della legge (13 luglio 1911, n. 724) e l’istituzione del Consorzio pro Nave Asilo con relativa approvazione dello statuto (Regio Decreto 23 giugno 1912, n. 758), la Nave fu inaugurata nell’aprile del 1913. La ricostruzione della vicenda, tuttavia, sarebbe incompleta se non venisse ricordato l’impegno di altri personaggi che in vario modo sollecitarono, ispirarono e resero possibile la realizzazione del progetto, quali Enrichetta Chiaraviglio Giolitti, David ed Elvira Levi-Morenos, Antonia Persico Nitti, Lucy Re-Bartlett, il deputato Dentice d’Accadia, relatore della legge alla Camera dei deputati, il marchese di Campolattaro, primo presidente del Comitato cittadino pro Nave Asilo ed altre figure di filantropi/e. Né va dimenticato uno dei primi propugnatori del trasferimento in Italia dell’esperienza inglese dei training ships, quale fu fin dal 1878 Pasquale Villari, profondo conoscitore dei buoni risultati conseguiti con quel sistema in Inghilterra. In un suo articolo leggiamo uno degli argomenti in favore di quelle istituzioni: “I fanciulli vengono separati affatto dalla Società in cui si trovavano e messi sopra a bastimenti ridotti addirittura a edifizi scolastici nei quali ricevono colla istruzione elementare un perfetto tirocinio marinaresco riuscendo così mozzi e marinai eccellenti. Imparano tutto ciò che è necessario a condurre una nave mercantile o una nave da guerra non escluso il maneggio del cannone e si educano alla vita di mare e alla navigazione”3. Villari insiste sulla necessità che il problema dell’infanzia abbandonata e derelitta vada affrontato curando “l’origine del male” e ricorda che l’idea di “Bastimenti-Scuola” era già stata suggerita da Jessie White Mario nel suo saggio La miseria in Napoli. Qui la giornalista inglese, figura illustre del nostro Risorgimento, scriveva: “L’Italia parmi l’unica nazione al mondo che possa nel tempo futuro rivaleggiare con la ‘Regina del mare’, e che oggi possa adunque prendere dall’Inghilterra stessa esempio e modello. I fanciulli, quivi educati per mozzi a bordo dei bastimenti, sono orfani, miseri, derelitti, raccolti prima che siano divenuti rei, e tale n’è la riuscita, che tutti i capitani fanno ricerca di questi mozzi e a 16 anni li pagano come uomini. Uno degl’Ispettori dei Training Ships Chichester e Arethusa, ove erano allevati 400 mozzi, scrive che in un anno ogni ragazzo in media aveva guadagnato 7 chilogrammi in peso, 15 centimetri in altezza e 20 centimetri in larghezza di petto”4. 3 - P. Villari, Una proposta utile, in “Rassegna Nazionale”, 2 settembre 1878. 4 - J. White Mario, La miseria in Napoli, Capitolo settimo “I Bastimenti-Scuola”, Firenze, Le Monnier, 1877, p. 260.
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2. “Da scugnizzi a marinaretti”: viaggio nella memoria di un’esperienza straordinaria
Quando fu inaugurata la “Caracciolo”, l’iniziativa presentava già due precedenti in Italia: la Nave Officina “Garaventa” a Genova, attiva dal 1883 e finalizzata ad accogliere giovani che avessero scontato delle pene carcerarie, e la Nave Asilo “Scilla”, promossa a Venezia da David ed Elvira Levi-Morenos fin dal 1906 e funzionante come scuola di pesca per gli orfani dei pescatori dell’Adriatico5. La “Caracciolo”, diversamente, fu destinata ad accogliere sia gli orfani dei marittimi sia i fanciulli abbandonati di Napoli – “pericolati” e “pericolanti” nel linguaggio criminologico del tempo –, meglio noti in Italia e nel mondo col nome di “scugnizzi”. La Direttrice, Giulia Civita Franceschi, salì a bordo della nave nell’agosto del 1913, all’età di 43 anni, e vi rimase fino al 1928, l’anno in cui fu allontanata dal fascismo che, nel suo intento totalitario, volle inserire questo istituto educativo nell’Opera Nazionale Balilla, interrompendone così la peculiare funzione. La signora Giulia era nata a Napoli il 16 aprile 1870, primogenita dello scultore Emilio Franceschi e di Marina Vannini, trasferitisi da Firenze nella città partenopea nel 1867. Sposò l’avvocato penalista Teodoro Civita ed ebbe un unico figlio, Emilio, che fu uno dei suoi più validi collaboratori nell’avventura della “Caracciolo”. Morì all’età di 87 anni il 27 ottobre 1957. Il giornalista Franco Avati la ricorda come “un essere senza pace e senza ambizione” che “aveva sofferto molto per una lunga infermità del marito” che “l’aveva gettata in uno stato di profondo scoramento”, dal quale si risollevò solo quando “Donna Antonia Nitti e Donna Enrichetta Chiaraviglio Giolitti” non pensarono “di fare qualcosa che potesse ridonarle la fiducia in se stessa”6. È un ritratto che non rende pienamente merito alla figura della Civita e non ne riconosce il carattere e la forza d’animo; inoltre l’allusione a vicende intime e familiari contrasta decisamente con lo stile di rigorosa discrezione tipico della “madre dei caracciolini”. Si leggano a riprova di ciò, le seguenti note autobiografiche – asciutte ma cariche di orgogliosa consapevolezza - scritte in terza persona da lei stessa molto probabilmente su richiesta di Lieta Nicodemi, in procinto quest’ultima di scrivere un articolo che ne ricordava l’opera di geniale educatrice7.
5 - Per un quadro completo delle Istituzioni di assistenza promosse dal Ministero della Marina, si veda il contributo di Francesco Loriga, infra pp. 104-117. 6 - F. Avati, cit.; per un’attenta ricostruzione del profilo biografico di Giulia Civita Franceschi, si veda il contributo di Monia Valeriano, infra pp. 70-90. 7 - L’articolo di Lieta Nicodemi, dal titolo E’ stato fatto una volta per gli scugnizzi: si potrebbe ritentare oggigiorno per tutti i BIMBI SPERDUTI di Napoli?, comparve nel “Risorgimento”, dome-
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3. Il “sistema Civita” tra riscatto sociale e formazione umana di Antonia Maria Casiello
La cultura pedagogica di riferimento L’esperimento educativo realizzato sulla Nave Asilo “Caracciolo”, animato dalla straordinaria personalità di Giulia Civita Franceschi, dalla sua intelligenza, cultura e sensibilità, costituisce un’esperienza estremamente interessante non solo come modalità di intervento socio-educativo per il recupero e l’integrazione di minori a rischio di delinquenza, ma anche dal punto di vista dei suoi contenuti educativi e metodologici. I presupposti educativi alla base dell’esperienza della Nave Asilo “Caracciolo” sono espressione delle più avanzate elaborazioni pedagogiche del tempo: anche se non v’è stata una vera e propria teorizzazione di quello che viene definito “sistema Civita”, questo si rivela in linea con le idee e principi diffusi dal movimento di rinnovamento che tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento ha attraversato il dibattito culturale e pedagogico e le esperienze educative più innovative. La prima parte del Novecento, in particolare, è stata inconfondibilmente segnata dal movimento in favore dell’educazione nuova e della pedagogia dell’attivismo che si prefiggevano di tradurre sul piano dei comportamenti educativi quella nuova visione dell’infanzia che si era andata generalizzando nel corso del secolo precedente. Una traiettoria culturale che parte dall’eredità russoiana, dalle riflessioni dei teorici delle utopie socialiste, dalle elaborazioni della pedagogia tedesca (da Pestalozzi a Froebel), dalle denunce sociali di ampi settori progressisti della cultura (si pensi ai romanzi di C. Dickens, per esempio) ma anche dallo sviluppo della psicologia scientifica (G.S. Hall, A. Binet…) e conduce ad una più avvertita sensibilità nei confronti dell’infanzia che, superando la concezione adultista, ne valorizza la specificità1.
1 - Cfr. Giorgio Chiosso, Novecento pedagogico, Brescia, La Scuola, 1997, p. XXX.
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Da scugnizzi a marinaretti
L’esigenza diffusa di rinnovamento pedagogico che ne conseguiva, anche in connessione con le trasformazioni economico-sociali del secolo XIX determinate dalla seconda rivoluzione industriale, aveva dato luogo a molteplici iniziative ed esperienze promosse da educatori e studiosi di tutto il mondo, non certo collegati da una base programmatica compatta e strutturata ma pur sempre convergenti su una sorta di minimo comune denominatore. Malgrado la loro eterogeneità, queste iniziative ed esperienze erano accomunate dal bisogno di rispondere ai nuovi problemi sociali attraverso l’impostazione dell’azione educativa sulla base di una più attenta e scientificamente fondata conoscenza della età evolutiva e il superamento della tradizionale divaricazione tra formazione umanistica e tecnico-professionale, delineando con ciò una convergenza tra i temi proposti dalla scuola nuova e il progressivo diffondersi della scuola di massa verso una società basata sulla partecipazione democratica2. I motivi ricorrenti, largamente condivisi in tutte le esperienze di questo tipo di scuola, scaturiscono essenzialmente dall’affermazione che il bambino, i suoi bisogni e le sue capacità sono al centro del processo educativo. Da questa centralità, definita con il termine “puerocentrismo”3, consegue che: • l’educazione deve essere basata sul “fare” come struttura portante del conoscere; • al centro del processo di formazione va posto l’ambiente, nell’insieme dei suoi significati, e non il sapere codificato da trasmettere con un insegnamento rigidamente formalizzato, verbale ed epistemologicamente articolato in “materie” preordinate; • l’educazione indiretta viene individuata come strategia di gran lunga più efficace di quella diretta in quanto è la vita, più che i precetti dell’educatore, che forma la personalità; • la scuola tende a farsi vita4. Il confronto di queste idee chiave, sommariamente delineate, con i principi esplicitamente praticati nell’esperienza della Nave Asilo “Caracciolo” e riassunti in modo organico e sistematico nell’intervento di Giulia Civita Franceschi al Con-
2 - Cfr. Renato Tisato, L’esigenza di una scuola nuova e la nascita della pedagogia scientifica, in Ludovico Geymonat (a cura di), Storia del pensiero filosofico e scientifico, Milano, Garzanti, 1971, vol. V, pp. 466- 468. 3 - Il termine “puerocentrismo” deriva dalla metafora di John Dewey della “rivoluzione copernicana” che pone il centro di gravità del processo formativo nel bambino soggetto e non oggetto della formazione. Cfr. John Dewey, Scuola e società, (1915), Firenze, La Nuova Italia, 1977 pp. 26-27. 4 - Cfr. Francesco Cambi, Le pedagogie del Novecento, Bari, Laterza, 1998, pp. 14-19.
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3. Il “sistema Civita” tra riscatto sociale e formazione umana
gresso delle donne napoletane del giugno 19475, evidenzia la puntuale corrispondenza tra il “sistema Civita” e l’orizzonte culturale dell’attivismo pedagogico. Il puerocentrismo, come riconoscimento del valore e della specificità della età infantile, della centralità dell’individuo nel processo educativo e della conseguente necessità di individualizzazione, è il punto di partenza della relazione del 1947: il sistema educativo della “Caracciolo”, afferma l’autrice, risponde alla gioia ed al diritto di vivere secondo la propria età, richiede “… uno studio continuo delle differenze individuali, un’attenzione fissa e concentrata sulla diversità…”, richiede, inoltre, di “… conoscere a fondo i singoli individui” affinché ognuno possa “essere aiutato individualmente…”. Alla centralità della persona nel processo di formazione che, nell’esperienza della Nave Asilo “Caracciolo” è contemporaneamente un processo di riscatto sociale, si connette logicamente il principio, che potremmo definire olistico, dell’individuo come unità psico-fisica. Il riferimento a questa concezione, anch’essa eredità della pedagogia attivista che aveva recuperato aspetti formativi per lo più trascurati quali quelli connessi alla affettività ed alla socializzazione, costituisce un filo conduttore del discorso del 1947 e si esprime nel riconoscimento della necessità di “… sanare fisicamente e moralmente i fanciulli...”, in quanto i “ … beni fondamentali della vita… [sono la] salute del corpo e dello spirito…”, nella valorizzazione dei rapporti interpersonali tra pari, nella rappresentazione della comunità formativa come comunità familiare, nell’affermazione dell’interdipendenza tra educazione morale e intellettuale. Nel “sistema Civita” l’adulto educatore6, più che dare ordini e comandi, consiglia, aiuta, stimola, evitando i tradizionali premi e castighi, svolge una funzione di sostegno e di aiuto nei confronti degli allievi impegnati in un processo che è sostanzialmente di autoeducazione. È un’eco dell’idea russoiana di educazione negativa e, soprattutto, della concezione montessoriana per cui la vera educazione è autoeducazione: i principi teorici, il metodo, l’educatore sono tutti mezzi ausiliari per la realizzazione di un “io” interiore, strumenti che devono aiutare l’allievo a servirsi delle sue risorse per esprimersi e svilupparsi.
5 - Cfr. Giulia Civita Franceschi, Un esperimento educativo. La Nave-Asilo “Caracciolo”. Relazione inaugurale, Congresso delle donne napoletane, 29-30 giugno 1947, Napoli, Tipografia A. Caldarola, 1950. 6 - Sarebbe più esatto dire l’educatrice, perché nel “sistema Civita” è centrale la figura femminile. Questo, insieme ad altri temi (dall’educazione del cuore, alla scuola come comunità familiare), è un evidente lascito della pedagogia di Pestalozzi e delle esperienze delle scuole di Neuhof e Yverdon.
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Da scugnizzi a marinaretti
Il concetto di lavoro educativo Il progetto lungimirante della Nave Asilo “Caracciolo” per il recupero e l’integrazione di minori a rischio di delinquenza rivela, dunque, un background culturale aperto alla nuove sensibilità nei confronti dell’infanzia, consapevole dell’esistenza di infanzie diverse7 e nutrito delle istanze più avanzate prodotte dalla cultura pedagogica internazionale. Questa dimensione di apertura a un orizzonte culturale internazionale è particolarmente significativa nell’elaborazione che il “sistema Civita” fa del concetto di lavoro educativo. Un elemento determinante del percorso di riscatto sociale e di formazione umana della Nave Asilo “Caracciolo”, infatti, è dato dall’esperienza del lavoro sulla Nave che si inscrive certamente nel solco delle tradizioni dei mestieri di mare e dei training ships inglesi, ma, soprattutto, nel recupero e nella valorizzazione del valore formativo del lavoro manuale operato dal pensiero pedagogico dell’attivismo. Questo, infatti, considera lo sviluppo del pensiero non solo sul piano della riflessione teorico-astratta, ma in termini più ampi come intelligenza operativa e pratica: la consapevolezza che nell’infanzia i processi cognitivi si intrecciano all’operare e al dinamismo anche motorio del bambino comporta la necessità di evitare una separazione tra conoscenza e azione, tra attività intellettuale e attività pratica e, quindi, la necessità di un ambiente educativo che non svaluti più dal punto di vista formativo le attività manuali e aiuti il bambino a manifestare liberamente le sue inclinazioni primarie attraverso attività non esclusivamente intellettuali, ma anche di esplorazione e manipolazione. Il lavoro educativo è stato un tema ricorrente nel dibattito culturale e politico che nel corso dell’Ottocento ha accompagnato l’organizzazione del sistema scolastico dell’Italia unificata. Il rapporto tra cultura e lavoro, in particolare, è stato oggetto della riflessione pedagogica del positivismo: l’ingresso nelle aule del lavoro manuale poteva risolvere la frattura tra cultura e lavoro e riportare a unità la formazione morale dei fanciulli8. L’idea che l’introduzione del lavoro manuale potesse essere un correttivo del7 - Accanto a quella dei figli della borghesia c’è quella dei figli dei ceti popolari ove prevale il lavoro precoce, l’alta mortalità, la cattiva alimentazione, un sistema di “cure” non pedagogizzate. 8 - Cfr. Dina Bertoni Iovine, La scuola italiana dal 1870 ai giorni nostri, Roma, Editori Riuniti, 1967, pp. 42-48.
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3. Il “sistema Civita” tra riscatto sociale e formazione umana
l’impostazione intellettualistica dell’insegnamento era largamente condivisa9 e, in ambito istituzionale, il dibattito sul lavoro nella scuola aveva portato, nella seconda metà del secolo, ad effettuare una serie di ricognizioni in Europa. Pasquale Villari, per conto del Ministero della Pubblica Istruzione compì alcuni viaggi di documentazione nei Paesi del centro nord Europa10 allo scopo di conoscere da vicino le diverse esperienze di lavoro educativo. La conclusione cui giunse Villari, nel confronto con realtà economiche e industriali più moderne rispetto alla situazione nazionale, fu quella che l’inserimento del lavoro manuale nella scuola elementare italiana, ove l’obbligo, quando era rispettato, si fermava a nove anni, fosse troppo precoce: occorreva, piuttosto, un maggiore impegno per rendere effettivo l’obbligo scolastico e per una legislazione rigorosa sul lavoro dei fanciulli11. Il ministro dell’istruzione Michele Coppino12 incoraggiò la realizzazione di esperienze di lavoro nella scuola come quella di Emidio Consorti che a Ripatransone (Ascoli Piceno) fondò una scuola elementare in cui il lavoro veniva introdotto nell’ambito delle attività di apprendimento13. Alcuni tentativi di sperimentazione, ancora, furono avviati nel corso degli anni Ottanta del secolo. Queste esperienze, tuttavia, furono caratterizzate da “una certa genericità di intenti, e dalla mancanza di un concreto impegno organizzativo e finanziario”. In breve tempo si dovette “prendere atto dello scarso successo dell’esperimento”14. L’insuccesso riguardò soprattutto le scuole maschili, ove venivano
9 - L’idea che il lavoro manuale potesse costituire un pilastro del rinnovamento dell’educazione era oggetto di crescente interesse nel dibattito culturale e pedagogico del tempo. Al riguardo D. Bertoni Iovine, cit., p. 42, nella nota 1 evidenzia: “Nel congresso pedagogico di Napoli (1871) il tema fondamentale fu questo: in quali limiti e con quali mezzi il lavoro manuale potrebbe essere associato, in Italia, all’Istruzione elementare, senza che la scuola diventi opificio?”. 10 - Frutto del viaggio del Villari fu il saggio Il lavoro manuale nelle scuole elementari, in Pasquale Villari, Nuovi scritti pedagogici, Firenze, Sansoni, 1891. 11 - Cfr. P. Villari, cit., pp. 126-130. 12 - Michele Coppino, Ministro della Pubblica Istruzione dal 1876 al 1879 durante il primo ed il secondo governo Depretis, fu il promotore della Legge 3961 del 15/07/1877 che fissava l’obbligo scolastico fino a 9 anni di età e, per la prima volta, definiva le sanzioni per gli inadempienti. 13 - D. Bertoni Iovine, a proposito dell’esperienza della scuola di Ripatransone sottolinea: “Ma al lavoro manuale del Consorti mancava un elemento fondamentale perché potesse inserirsi proficuamente nella vita nazionale: mancava cioè qualsiasi legame con i problemi della produzione e dell’economia, con la realtà del lavoro vero. Esso offriva a questi problemi una soluzione tutta estrinseca e quindi astratta”. Cfr. D. Bertoni Iovine, cit., p. 46. 14 - Cfr. Ester De Fort, La scuola elementare dall’Unità alla caduta del fascismo, Bologna, il Mulino, 1996, p. 141.
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6. I caracciolini: immagini di una memoria napoletana di Pino Bertelli
Questo scritto è dedicato a quei ragazzi di strada che ho conosciuto bene e si sono persi ai quattro venti della terra o sono volati nella vita sognata degli angeli… avevano i pantaloni corti con le toppe, una bretella di traverso e rubavano i baci al profumo di tiglio...! e a un poeta che un’estate degli anni ’50 mi fece comprendere che l’amore è nella strada e solo l’amore aiuta gli uomini e le donne a essere un po’ meno soli… per l’amore come per la libertà non ci sono catene... si chiamava Pier Paolo Pasolini.
La Nave Asilo “Caracciolo” La fotografia muore di fotografia, perché l’umanità è guardata sempre (o quasi) attraverso la propria ignoranza e la propria paura. La sola fotografia buona è quella che possiamo vedere due volte, senza bruciarla. Il mercimonio di ogni arte bruttura l’uomo e lo rende prono a ogni potere. Una storia e coscienza di classe1 della fotografia non c’è stata e tutti i luoghi di marginalizzazione forzata (ghetti, carceri, manicomi, campi di sterminio, periferie invisibili delle città…) entrano nella schedografia fotografica ma raramente sono studiati a fondo, quando non indicati come “modelli” da superare… La fotografia di strada è un atlante di conoscenze, che vanno ben oltre le immagini scippate alla vita quotidiana, è il superamento della logica economica mercantile della moda, della guerra, dell’avanguardia, come strumenti invasivi e persuasivi della società dello spettacolo. “Lo spettacolo è un rapporto sociale fra persone, mediato dalle immagini […] lo spettacolo è il capitale a un tal grado di accumulazione che diventa immagine”2. Lo spettacolo è l’insieme della comunicazione umana trascolorata in merce. La storia insegna che sovente la gioventù più bella muore in galera o costretta all’esilio; l’amore di sé e per gli altri è il solo mezzo per abolire lo stato presente delle cose ed esigere non solo il pane, ma anche il profumo dell’acacia rosa. 1 - György Lukács, Storia e coscienza di classe, Roma, Sugar Editore, 1967. 2 - Guy Debord, La società dello spettacolo, Firenze, Vallecchi, 1978.
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Da scugnizzi a marinaretti
Il pudore della fotografia sociale muore con l’innocenza e l’autenticità dei bambini di strada di Napoli e del mondo (non solo) nei primi del Novecento… può parlare di fame solo chi la fame l’ha conosciuta o chi l’ha aiutata a superare e a sconfiggere. Una signora della buona borghesia napoletana, Giulia Civita Franceschi (18701957) è stata l’artefice di un “sistema pedagogico” che porta il suo nome - “sistema Civita” -. Era un metodo educativo singolare, si trattava di recuperare i bambini senza famiglia nelle strade di Napoli, ragazzi abusati in molti modi che venivano sottratti alla sicura delinquenza ed esposti a ogni tipo di malattie. Era un metodo che poneva in primo piano i valori di accoglienza, dignità, solidarietà e faceva dei piccoli sbandati futuri uomini, era un’educazione del cuore che aiutava ogni bambino a riconoscersi nei propri valori e nei propri talenti. Il Ministero della Marina fece dono alla città di Napoli della nave “Caracciolo”, che tra il 1913 e il 1928 fu destinata ad accogliere gli orfani e i fanciulli abbandonati di Napoli (750 anime belle) chiamati da giornalisti, storici e fotografi scugnizzi. Una delle maggiori e originali forme di pedagogia, apprezzate in tutto il mondo ancora oggi, cadde nell’oblìo, ma non c’è nessun potere, per quanto oppressivo sia, che possa soffocare lo stupore e la bellezza dei buoni poeti (come Salvatore Di Giacomo) o di angelesse della povertà (come Giulia Civita Franceschi) capaci di sconfiggere i falsi valori dominanti (compresi quelli della chiesa). Gli scugnizzi divenuti marinaretti sulla Nave Asilo “Caracciolo”, in un primo tempo, erano accolti e lasciati liberi di muoversi e scoprire gli altri, poi avviati all’apprendimento della pesca e alla coltura dei mitili nel lago di Fusano. Alla scuola affiancavano l’iniziazione al lavoro come meccanici, falegnami, marinai. La loro età era compresa tra i 6 e i 16 anni; dormivano in brande attaccate ai soffitti; la signora Civita era sempre a bordo della nave e infondeva nei ragazzi un’atmosfera di fraternità e solidarietà. I “caracciolini”, come testimoniano giornali, documenti, cartoline resteranno fortemente legati e riconoscenti alla loro “madre” e innumerevoli sono i visitatori, anche internazionali, che si avvicenderanno sulla nave per conoscere il “sistema Civita”. Alcuni “caracciolini” moriranno in guerra, altri troveranno un posto nella “società civile”, altri ancora faranno fortuna come imprenditori della loro intelligenza: nessuno dimenticherà mai la signora Civita Franceschi, né la Nave Asilo della loro salvezza. Il primo“linguaggio” è stato il toccare, la prima “lingua” il canto, l’immagine poi ha raccontato che là dove le strade dei poveri s’incrociano i loro cuori si danno del tu! “A queste creature la nave donò una seconda nascita. Vi arrivavano laceri, 96
6. I caracciolini: immagini di una memoria napoletana
pallidi, sperduti e vi ritrovarono il sorriso e, quasi sempre, la salute del corpo, insieme a quella dello spirito. La famiglia, che non conoscevano, apparve ad essi come una improvvisa rivelazione. Dimenticarono prestissimo le vedute turpitudini, l’eloquio volgare della strada, e le qualità sopite di gentilezza e di bontà raffiorarono, man mano che il corpo e l’anima rifiorivano in un ambiente, che, volutamente si intonava alla fanciullezza, sommersa da conoscenze intempestive o da pericolose libertà […] questo popolo infantile, disperso nel vento e nel sole, nella miseria, è una caratteristica della nostra città” (Giulia Civita Franceschi, 1947). Gli scugnizzi non furono solo “futuri soldati della patria” (Andrea Viggiani, sacerdote, 1914), più di ogni cosa i “caracciolini” sono stati l’espressione di una comunità amorosa che ha dato voce e corpo (immagine) a chi non l’aveva mai avuta. “Ciò che ogni giorno ci uccide - diceva un saggio - non è la morte ma l’avvilente vita” (Edmond Jabès). I “caracciolini” ci ricordano ciò che non è più: i loro volti, i gesti, gli sguardi erano colmi di speranze che alimentavano domani migliori… hanno colto le rose della vita e mostrato più tardi di essere uomini liberi e creatori dei propri sogni, al di là del bene e del male. Gli scugnizzi/caracciolini: immagini di una memoria napoletana La storia della fotografia è storia di realtà tradite, menzogne e mercimonio. La fotografia sociale, quando è grande, parla di se stessa nel ricordo e nello stupore di un’epoca. Le immagini dei “caracciolini”, degli scugnizzi napoletani, sono opera di fotografi-artigiani e al di là dell’occasionalità e dell’ordinazione esprimono una sapienza fotografica fatta di rispetto e dignità per i piccoli ritrattati. Ci passano negli occhi ragazzi sporchi, coperti di stracci, impauriti, poi vestiti da marinaretti e infine da marinai o in abiti borghesi. C’è una fierezza particolare in quei volti e una malinconia antica che commuove… qui la fotografia si lascia attraversare dai corpi e va oltre il cartolinesco (scugnizzi che mangiano gli spaghetti con le mani per i fotografi di qualche club aristocratico), oltre il patetico (scugnizzi che in cambio di un avanzo di pane fanno capriole sulle rotaie della stazione per sconfiggere la noia di viaggiatori in attesa di partire con Napoli nel cuore) o l’oleografico (scugnizzi sulle banchine del porto che si buttano in mare per andare a pescare sui fondali i pochi soldi gettati dai turisti). L’estetica del miserabilismo, che tanta fortuna ha avuto negli annali della storiografia fotografica, è bandita dalla presa di una realtà che “buca” la storia e riporta l’eterna miseria di questi ragazzi maleamati a interpreti di straordinaria bellezza. In questa iconografia dell’infanzia violata non c’è traccia nemmeno di quel senso di sublimazione dei corpi (nudi) 97
7. Storia delle fondazioni ed istituzioni assistenziali della Marina. Il caso delle Navi Asilo di Francesco Loriga
Le opere assistenziali della Marina Il mare è sempre stato un elemento particolare, anzi… molto particolare, capace di suscitare emozioni fortissime ed essere fonte di grande felicità per coloro che ne sono a contatto, sia perché ci vivano o ci lavorino sia perché lo incontrino per semplice diletto. Ma il mare è anche un elemento che può essere terribilmente feroce, rude, duro da vivere e da subire. Ciò è tanto più vero quanto più il mare è vissuto da coloro che con esso hanno rapporti quotidiani, ovvero i marinai, cui sono legati anche momenti tragici, tanto per chi li vive quanto per chi rimane, ovvero gli amici, i familiari, le persone care. Ecco perché quello degli istituti che hanno offerto assistenza e conforto ai familiari, figli essenzialmente, ma anche madri, vedove e così via, è un argomento cui la Marina e la marineria in genere sono sempre state estremamente sensibili. Voglio citare, a tal proposito, alcune delle Fondazioni ed Istituzioni di beneficenza che si occuparono di tale meritoria opera. Il primo, in ordine di tempo, era l’Orfanotrofio della Regia Marina, fondato nell’anno 1831 col patrimonio dell’antico Monte delle vedove degli Ufficiali della Reale Marina Borbonica ed alimentato da proventi e cespiti vari, nonché dal contributo degli Ufficiali che si iscrivevano all’Orfanotrofio stesso attraverso il versamento di due mensilità di stipendio lordo. Scopo dell’Istituto era quello di sovvenire le orfane nubili degli Ufficiali iscritti mediante pensioni fisse, maritaggi e sussidi straordinari in caso di malattia grave. La sede era a Napoli, in via Santa Lucia, ed era retto da un Consiglio di Amministrazione nominato direttamente dal Ministro della Marina. Vi era poi l’Istituto Nazionale per le Figlie dei Militari, fondato nell’anno 1866 sotto gli auspici del Re Vittorio Emanuele II con oblazioni dell’Esercito e della Marina, nonché di Province, Comuni, Corpi morali e privati cittadini. Scopo dell’Istituto era quello di provvedere all’educazione ed all’istruzione delle figlie dei militari più benemeriti e specialmente di quelli morti o feriti in guerra. 104
7. Storia delle fondazioni ed istituzioni assistenziali della marina. Il caso delle Navi Asilo
La sede era a Torino, in via Figlie dei Militari, ed era un istituto che ora si definirebbe “interforze”, potendovi accedere le figlie di militari sia di terra che di mare dopo un concorso apposito nell’ambito del quale la Marina concedeva posti gratuiti alle figlie, con preferenza alle orfane, dei propri militari. Era retto da un Consiglio Direttivo composto da rappresentanti dei Ministeri dell’Interno e della Guerra e del Municipio di Torino, ed era posto sotto l’alto patronato di un Consiglio di ventiquattro Dame sotto la presidenza di Sua Maestà la Regina. Proseguendo, vi era l’Asilo Nazionale per gli Orfani dei Marinai Italiani, istituito nell’anno 1900. Scopo dell’Istituto era quello di ricoverare gli orfani di sesso maschile, figli di marinai italiani bisognevoli di soccorso, per educarli ed istruirli – limitatamente al conseguimento della licenza delle scuole tecniche – in modo da renderli utili al Paese ed alle loro famiglie. Potevano essere ammessi anche orfani che usufruissero di borse di studio, nonché figli di gente di mare italiana dietro pagamento di una retta annua. La sede era a Firenze, in viale Mazzini, ed era retto da un Consiglio di Amministrazione presieduto dal Prefetto di Firenze e composto dal Prefetto di Livorno e da rappresentanti dei Ministeri della Marina e della Pubblica Istruzione e del Comune di Firenze, nonché da un rappresentante nominato dalla Casa Principi Strozzi. Vi era poi l’Istituzione “De Mesteer”, fondata nell’anno 1901 con un lascito da parte del donatore, destinato a beneficio degli orfani dei Sottufficiali della Regia Marina. Scopo dell’Istituto era quello di preparare gli orfani possibilmente al conseguimento della licenza tecnica, all’arruolamento fra gli allievi marinai o specialisti oppure all’avviamento alla carriera militare in una delle categorie del Corpo Reale Equipaggi Marittimi. A tale scopo l’Istituto assegnava le piazze gratuite istituite al proprio nome presso il già ricordato Asilo Nazionale per gli Orfani dei Marinai Italiani di Firenze. La sede era a Roma ed era amministrato da una Commissione Esecutiva nominata dal Ministro della Marina. Altra istituzione “interforze” era l’Opera Nazionale “Emanuele Filiberto di Savoia”, istituita nell’anno 1913 con lo scopo di soccorrere gli orfani poveri di ambo i sessi dei militari morti in Libia a seguito di ferite e malattie colà contratte per effetto della campagna di occupazione del 1911. Il soccorso consisteva in un sussidio annuale durante la minore età ed in un premio finale al conseguimento della maggiore età. L’Istituto aveva proprie rendite ed un patrimonio costituito da un capitale iniziale accantonato dalla speciale Commissione nominata per la gestione delle somme a favore delle famiglie dei militari morti e feriti nella guerra contro la Turchia, aumentato dalle successive oblazioni e sovvenzioni di privati e di Enti 105
Da scugnizzi a marinaretti
Nave Scuola “Scilla”: istruzione marinaresca.
media molto bassa, patologie professionali importanti e diffuse ed una quasi assoluta mancanza di sostegni sociali portarono il Morenos, anch’egli come il Garaventa filantropo di grandissimo spessore, a proporre l’istituzione di convitti galleggianti ove poter dare sostegno ed una speranza di futuro ad un’infanzia derelitta, gli orfani dei pescatori e dei marinai costretti all’indigenza e all’ignoranza, con l’obiettivo di formarne gente di mare e di pesca. Per realizzare ciò egli ottenne, nel 1904, una vecchia unità in disarmo, la “Scilla”, ove applicò assieme alla moglie Elvira, i propri principi di scuola professionale marittima (la “scuola attiva”, come egli la chiamava), facendo affluire a Venezia orfani da ogni parte d’Italia, compresi anche alcuni superstiti del terremoto di Messina nel 1908. Come si vede, anche se da basi diverse, il risultato finale fu il medesimo a Venezia come a Genova. Nei primi anni di vita la “Scilla” aveva una popolazione di circa 40 unità, ma essa crebbe notevolmente negli anni successivi. Nel 1928, a causa della sua vetustà e delle precarie condizioni di sicurezza e di scarsa ricettività, essa fu sostituita con lo scafo della ex Nave Scuola “Amerigo Vespucci”, appena radiata dalla Marina Militare, che assunse anch’essa l’onorato nome di “Scilla”. Nel 1936, anno in cui cessò la propria attività con il trasferimento di tutti gli al110
7. Storia delle fondazioni ed istituzioni assistenziali della marina. Il caso delle Navi Asilo
Nave Scuola “Scilla”: lezione a bordo.
lievi a Sabaudia, come vedremo successivamente a proposito della “Caracciolo”, essa aveva a bordo 236 piccoli marinaretti. Grazie alle positive esperienze sopra ricordate, nel 1911 il Parlamento italiano emanò un’apposita legge, presentata dall’Onorevole Pasquale Leonardi Cattolica, già Direttore dell’Istituto Idrografico della Marina, per costituire Navi Asilo in altre città italiane, tra cui Napoli. Come già ricordato, poi, nel 1914 venne fondata l’Opera Nazionale di Patronato per le Navi Asilo e, successivamente, con lo svilupparsi ed il diffondersi dell’istruzione marinara, Levi-Morenos promosse il Consorzio delle Scuole Professionali per la Maestranza Marittima, eretto ad Ente Morale nel 1920, di cui fu Segretario fino alla morte. Tale modello fu assunto anche da altri Paesi nel mondo. L’esperienza della “Caracciolo” A Napoli, a similitudine di quanto già avvenuto in altre grandi città costiere italiane, intorno al 1913 prese vita una benemerita istituzione che si incaricò di raccogliere, allevare ed istruire i giovanissimi della città abbandonati a se stessi, preparandoli inoltre alla vita di mare. 111
Da scugnizzi a marinaretti l’esperienza della Nave Asilo “Caracciolo” 1913-1928
La mostra: i percorsi
Mostra foto-documentaria a cura di Antonio Mussari e Maria Antonietta Selvaggio La mostra è realizzata dalla Fondazione Thetys - Museo del Mare di Napoli Progetto di allestimento: Antonio Mussari Contributo all'allestimento: Giovanni Caputo Coordinamento ricerca e testi: Maria Antonietta Selvaggio Si ringraziano per il contributo al reperimento e alla consultazione del materiale bibliografico e archivistico Marina Azzinnari (Archivio Provinciale di Stato Napoli) Eugenio Baldi (Ufficio Stato Civile del Comune di Napoli) Emilio Civita (Archivio Famiglia Civita) Francesco Di Iorio (Archivio Famiglia Di Iorio) Mauro Giancaspro (Dr. Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele III di Napoli) Claudia Mattia (Archivio Centrale UDI Roma) Eduardo Nappi (Archivio del Banco di Napoli) Alessia Nastri (Museo del Mare di Napoli) Arturo e Olga Nicodemi (Archivio Famiglia Nicodemi) Paolo Rastrelli (Centro Studi Tradizioni Nautiche - Napoli) Filomena Savarese (Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele III Napoli) Archivio fotografico Proprietà di Ornella Labriola (1908-1991), ora patrimonio del Museo del Mare con la denominazione “Carte Civita-Labriola-Aubry”; per la donazione si ringraziano i curatori testamentari Franco Grassi e Gabriella Aubry. Ottimizzazione del materiale fotografico: Marco Esposito Cura grafica e tipografica: Antonio Mussari I curatori ringraziano tutti coloro che hanno contribuito con la loro disponibilità alla realizzazione della mostra Antonia Casiello, Fortuna Ernano, Mario Langella, Irma Saccone ed ancora le Istituzioni e gli Enti Regione Campania; Comune di Napoli; Archivio Centrale UDI Roma; Archivio del Banco di Napoli; Biblioteca Nazionale “Vittorio Emanuele III” di Napoli; Emeroteca “V. Tucci” di Napoli; IISS “Duca degli Abruzzi” di Napoli.
1. Il metodo
Il primo percorso è dedicato all’illustrazione del metodo pedagogico della signora Civita e ai principi che lo ispirarono. Le didascalie sono tutte tratte da discorsi e interventi della stessa Civita e/o di altri personaggi che furono tra i principali promotori e collaboratori dell’esperimento educativo. Ma le figure in primo piano sono sempre i veri protagonisti dell’esperienza: i “caracciolini”, ripresi nei diversi momenti in cui era scandita la loro giornata e nelle varie attività, sia lavorative che di svago. Si richiama l’attenzione soprattutto sull’arrivo a bordo e sulla prima accoglienza, che prevedeva un Giulia Civita periodo di “osservazione” in cui il bambino o il ragazzo veniva lasciato libero di muoversi e relazionarsi. Una fase esplorativa, che precedeva qualsiasi forma di disciplinamento, per consentire all’ “accolto” di acclimatarsi e agli educatori (soprattutto alla Direttrice) di conoscerne il carattere e le disposizioni. 121
Da scugnizzi a marinaretti
Due foto di Giulia Civita
“Dunque mercé la signora Chiaraviglio e la signora Nitti, la chiave di volta dell'edifizio redentore ed educatore è una donna […] È spediente che la madre dei marinaretti della Caracciolo sia napoletana, perché mondare l'anima di fanciulli esposti fino dalla prima infanzia ai contatti deleteri di Napoli è tale compito che solo una donna napoletana può assolvere: solo un cuore di donna napoletana riescirà a sanare ferite non del tutto cicatrizzate in piccoli cuori napoletani”. Jack La Bolina, 1914 “All'educazione del cuore, pensa, con sublime intelletto di amore, una donna di altissimi e nobilissimi sentimenti: la Signora Giulia Civita Franceschi. Tutto che questa eletta Signora impiega nell'educazione dei marinaretti è compendiato in una tenerezza inarrivabile, grande di sacrificio e di abnegazione. […] La Nave Asilo ha acquistata, con la Signora Giulia Civita Franceschi, la gentilezza femminile, mentre il suo spirito forte che non concepisce mollezze, reggimenta e disciplina con fermezza onesta e sana, i marinaretti del nostro mare, i futuri marinai della Patria”. Sacerdote Andrea Viggiani, 1914 122
La mostra. Percorso 1. Il metodo
Scugnizzi Poesia di Pasquale Ruocco dedicata a Salvatore Di Giacomo I Quando Don Ciro Esposito e gli agenti, percorrendo le strade col furgone, li trassero tremanti e sonnolenti da un buco, da una banca, da un androne, qualcuno protestò, qualche altro rise; ma uno scugnizzo, il piccolo Ziracchio, riconobbe le guardie alle divise e fece un solennissimo pernacchio! II Sotto un carro, appoggiato ad una ruota, vegliato dal silenzio e dalle stelle, Suricillo dormiva: a pancia vuota, ma con le tasche piene di formelle. Fu riscosso pel braccio, tutt’a un tratto; si destò, vide, accanto, un questurino Ma che maniera è chesta?... ch’aggio fatto?... Proprio mentre durmevo a suonno qino! E seguendo le guardie a malincuore: I’stevo accussì bello sott‘a rota! Me sò sunnato ch’ero n’u signore Mannaggia!... E chi s’ò sonna n’ata vota!... III Il noto Peppeniello ‘e Forerotta, rannicchiato, col capo su una mano, dormiva come Diògene int’à votta, e sognava l’amico Castellano. Ma gli agenti lo scòprono, Resiste. Urla un ragazzo: Forza, Peppeniè!... Ma Peppeniello è vinto. E geme, triste: Si ‘nce steva ‘a bonanema ‘e Bebè... 123
Da scugnizzi a marinaretti
Una bella foto di uno scugnizzo
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Da scugnizzi a marinaretti
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La mostra. Percorso 1. Il metodo
Famiglia, amicizia, solidarietà “Il senso di famiglia nei 'Caracciolini', spontaneo in questa nostra gente, così proclive alle influenze del sentimento, si fondava su un senso di colleganza tra i coetanei, di protezione verso i più piccini e, in genere, verso gli esseri più deboli, che potevano ricambiare la difesa con l'amore”. Giulia Civita Franceschi, 1947 “Quali i risultati? In primo luogo una bella solidarietà tra gli scugnizzi redenti e i redimibili. […] un amico di uno scugnizzo ricoverato sulla Caracciolo si stabilì alla porta dell'Arsenale in attesa di Donna Giulia Civita per impetrare di essere accolto anche lui là dove già stava un amico suo. […] 'Signò, se vui non mi pigliate a bordo io mi meno a mare e mi affogo'. Allora Donna Giulia ne avvertì LeviMorenos il quale trovò i soldi necessari e uno scugnizzo in più fu redento”. Jack La Bolina, 1914
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Da scugnizzi a marinaretti
Altri amici: gli animali “Notevolissimo […] il senso di protezione per gli animali, particolarmente per i cani, che, festeggiati ed amati, divisero con gli allievi le vicende della vita di bordo”. Giulia Civita Franceschi, 1947 “Carissimi fratelli, noi siamo contenti delle vostre notizie. Abbiamo un cane che ha nome Fido, è molto carino, appena vede l'ufficiale gli salta addosso. Noi siamo contenti delle vostre fotografie, che le à portate la signora Giulia Civita. Abbiamo saputo che voi a bordo avete due cani che hanno nome, uno Totò e l'altro Frufrù [...]”. Fiol Angelo, un marinaretto della “Scilla” che scrive ai “caracciolini” Venezia 31 luglio 1914 (dal carteggio tra gli ospiti della Scilla e quelli della Caracciolo)
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La mostra. Percorso 1. Il metodo
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2. L’istruzione e la formazione professionale
Il secondo percorso presenta un repertorio di immagini relativo alle attività di istruzione e di formazione, in cui i marinaretti venivano impegnati non solo a bordo della nave ma anche all’esterno, in particolare nella pesca e nella coltura dei mitili nel lago Fusaro. Le foto mostrano le officine “per congegnatori, meccanici, falegnami ecc.” che si affiancavano alla scuola vera e propria. Ciò perché non si voleva che i “caracciolini” fossero tutti indirizzati forzatamente ai mestieri marittimi, ma ci si proponeva di rispettare le attitudini di ciascuno di loro. I fanciulli di età compresa tra i 6 e i 16 anni erano distribuiti in sei classi. A quattro maestre fornite dal Comune di Napoli erano affidate le classi elementari, dalla prima alla quarta. Un maestro che si occupava della quinta e della sesta classe era alle dipendenze dirette dell’Amministrazione della Nave Asilo. La Direttrice si occupava personalmente della classe di asilo o classe preparatoria. Si possono notare altre figure maschili: sei marinai, infatti, forniti dalla Regia Marina, erano addetti alla sorveglianza e un marinaio anziano, il sig. Catanzani, era addetto alla direzione disciplinare. Come ci informa il regio ispettore scolastico Guglielmo Ciarla, “Non ci sono aule apposite e separate per le rispettive classi. L’insegnamento s’impartisce in varii punti del gran salone nelle giornate rigide e piovose; sopra coperta, all’aperto, quando è bel tempo. Di notte il salone si trasforma in dormitorio: le brande si appendono al soffitto”. Questa sezione della mostra ritrae anche i luoghi in cui sorse la SPEM, in particolare i due laghi Fusaro e Mare Morto.
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Da scugnizzi a marinaretti
L’educazione “A bordo si lavorava e si studiava, si lavavano i pavimenti e si cucinava; ma che belle ore quelle in cui la Signora, seduta nel quadrato in mezzo ai suoi ragazzi, pronta a rispondere alle loro emozioni e ai loro sorrisi, leggeva Pinocchio e i racconti di Tolstoi; che fresca allegria quando si celebravano con tutta la debita solennità, le feste solenni dell'Assunta con una mangiata di cocomeri, la Piedigrotta con trombette e luminarie!”. Lieta Nicodemi, 1947
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La mostra. Percorso 2. L’istruzione e la formazione professionale
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La mostra. Percorso 3. La comunità dei “caracciolini”
La SPEM “Gli ottimi risultati della Sezione di pesca, svolta sulla 'Caracciolo' nel 1916, fecero sì che due anni dopo essa potesse trasformarsi in una Scuola di pesca: il Comune di Napoli stanziò centomila lire anche con l'obbligo di mantenere cinquanta orfani per conto del Comune. Nel 1921 la Scuola Asilo pescatori e Marinaretti SPEM divenne Ente morale e da quel momento un altro vasto orizzonte si schiuse per essa. Molte lotte, molte difficoltà, però, ne ritardarono l'attuazione!”. Olga Arcuno, agosto 1949
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La mostra. Percorso 3. La comunità dei “caracciolini”
Vita sana “A bordo della ‘Caracciolo’ la salute si ristabilisce e si sviluppa mediante una vita sana, attiva, pacifica, all’aperto. [...] Sopra tutto è ammirevole l’indirizzo dell’Asilo Caracciolo nell’educazione morale che ha annientato l’antico sistema di lezioni, di parole, di chiacchiere. La rieducazione morale dei caracciolini si compie da essi stessi, dalla loro vita, dal convincimento personale che lavorare onestamente non è vergogna né umiliazione ma orgoglio; è umiliante invece tender la mano agli altri per chiedere danaro senza averlo guadagnato”. Olisia Farina, 1923 “I ragazzi che tornano a sera stanchi, di una sana stanchezza e soddisfatti del loro lavoro, sono ragazzi sottratti alle forme insidiose o nascoste del vizio…”. “… nessuno sport, e cioè nessuno sforzo fisico a vuoto, vale a dire senza utilità, può sostituire il vero lavoro in questa lotta per il predominio degli istinti sociali superiori, per la formazione del senso dell'onore e della vera dignità umana”. Giulia Civita Franceschi, 1947
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Da scugnizzi a marinaretti
Scuola di pesca: la sede “Dal seno della Nave Asilo 'Caracciolo' scaturì la Scuola di pesca, prima rudimentale, poi sempre meglio organizzata, tanto da potersi infine costituire in Ente morale e assumere la gestione dei laghi Fusaro e Mare Morto, raggiungendo uno sviluppo che prometteva prossime magnifiche realizzazioni allorché anche qui come per la 'Caracciolo' intervenne il fascismo e tutto fu distrutto! Fra le sezioni di lavoro specializzato, istituite sulla 'Caracciolo' per preparare i giovani a professioni che un giorno avrebbero giovato alla loro vita e alla società, sorse presto una Sezione di pesca alla quale la Civita dedicò una particolare attenzione, per ragioni di vario tipo [...]”. Olga Arcuno, agosto 1949
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La mostra. Percorso 3. La comunità dei “caracciolini”
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4. I ritratti, le pagine autobiografiche, la corrispondenza
Il quarto percorso ci conduce dinanzi ai ritratti dei “caracciolini”, ripresi nella maggior parte dei casi nei due diversi momenti: quello in cui erano appena stati raccolti dalla strada e quello in cui, vestiti da marinaretti, erano ormai parte della comunità della Nave Asilo. Nella trasformazione dell’aspetto ma soprattutto negli sguardi si coglie la conquista della dignità, che è sottolineata da alcuni di loro nei profili autobiografici scritti di loro pugno. Un esercizio richiesto espressamente dalla signora Civita, che attribuiva alla riflessione autobiografica e alla narrazione della vita precedente condotta dagli scugnizzi una grande importanza, considerando ciò uno strumento prezioso sia in funzione della crescita del singolo ragazzo sia allo scopo di approfondire la conoscenza del fenomeno dell’abbandono dell’infanzia in tutti i suoi aspetti. In questa sezione si possono leggere anche frammenti e brani di corrispondenza, che testimoniano il legame duraturo che si stabiliva tra i “caracciolini” e la loro Direttrice, un legame che la stessa Civita riteneva la prova più efficace del successo del suo metodo.
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La trasformazione “… la benefica istituzione tende a realizzare e realizza due alte finalità: quella di migliorare con l'ambiente morale e fisico l'anima del fanciullo e l'altra di trasformarlo da elemento di offesa in fattore di difesa sociale. Uscito dalla nave moralizzato, istruito, non dovrà vagare in cerca di lavoro fruttifero, lottare per la esistenza, ma gli si parerà aperta la via alla carriera militare marittima, all'esercito del mare, da cui la patria ricchezza, potenza, eroi ebbe ed attende”. Federico Celentano, Rappresentante del Ministero dell’Interno nel Consorzio pro Nave Asilo “Caracciolo”, 1914 “Per ogni 'caracciolino' la Civita redigeva con la massima scrupolosità le note caratteristiche fisio-psichiche. Dalla lettura delle note si apprendono: lo stato di famiglia, i precedenti della vita, le condizioni fisiche e mentali, i tratti tipici del carattere e le deficienze o le buone qualità morali, le tendenze personali. Sono messi in evidenza tutti gli elementi necessari per poter dare a ciascuno le cure fisiche e l'educazione corrispondenti al caso particolare”. Olga Arcuno, giugno 1949 Luigi Amendola
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Fonti documentali e riferimenti bibliografici della Mostra
Cartoline postali e illustrate (Archivio fotografico Civita-Labriola-Aubry, in AMMN) Consiglio di Amministrazione del Banco di Napoli, Verbale del 22 luglio 1914 (su concessione dell'Archivio del Banco di Napoli) ‘E marinarielli, canzone scritta per la Piedigrotta del 1921, riportata in L. ScateniE. Ferraro, Scugnizzi. Dalla strada alla dignità di persone nelle esperienze della Nave Scuola ‘Caracciolo’ e della ‘Casa dello Scugnizzo’, Napoli, Intra Moenia, pp.18-21 Legge 13 luglio 1911, per la sistemazione di due scuole elementari nautiche in Napoli e Venezia sulle navi “Caracciolo” e “Scilla” (Gazzetta Ufficiale del 20 luglio 1911, n. 169) Lettera/Giulia Civita Franceschi del 23 febbraio 1954 (su concessione dell'Archivio Centrale UDI Unione Donne in Italia, sezione tematica, quaderno n. 15 Infanzia) Lettera/Giulia Civita Franceschi del 7 giugno 1955 (su concessione dell'Archivio privato famiglia Di Iorio) Olga Arcuno, Giulia Civita Franceschi e la Nave - Asilo “Caracciolo”, in “Solidarietà. Mensile di educazione civile e politica”, n. 6 (55), anno VI, giugno 1949, p. 1 (Biblioteca Nazionale di Napoli, Fondo Arcuno) Olga Arcuno, La vita sulla Nave - Asilo “Caracciolo”, in “Solidarietà. Mensile di educazione civile e politica”, n. 7 (56), anno VI, luglio 1949, pp. 1-2 (Biblioteca Nazionale di Napoli, Fondo Arcuno) Olga Arcuno, Scuola Pescatori e Marinaretti, in “Solidarietà. Mensile di educazione civile e politica”, n. 8 (57), anno VI, agosto 1949, p. 1 (Biblioteca Nazionale di Napoli, Fondo Arcuno - su concessione del Ministro per i Beni e Attività culturali) Federico Celentano, La funzione sociale dei Patronati pei minorenni condizionalmente condannati e delle Navi Asilo. Comunicazione al IV Congresso per la Pubblica Moralità, riunione del 26 aprile 1914, Napoli, Jovene, 1914 (Estratto dalla Rivista “L'Anomalo”, anno XIII, fasc. II, 1914, Napoli, pp. 3-12 (Biblioteca Nazionale di Napoli, Raccolta Amalfi) 222
Fonti documentali e riferimenti bibliografici della Mostra
Federico Celentano, Patronato di Napoli pei minorenni condannati condizionalmente. Prima Relazione annuale. Statuto. Bilancio 1910-1911, Napoli, F. Lubrano, 1912 (Biblioteca Nazionale di Napoli, Raccolta Amalfi) Guglielmo Ciarla, La Nave Asilo “Caracciolo”, Estratto dal n. 3 del “Bollettino. La Scuola della Campania”, Napoli, Tip. La Nuovissima, 1924 (AMMN - “Carte Civita-Labriola-Aubry”, Materiali bibliografici Olisia Farina, La redenzione degli scugnizzi, in “Roma”, 14 dicembre 1923, p. 3 (Emeroteca “V. Tucci”) Giulia Franceschi Civita, Un esperimento educativo. La Nave Asilo “Caracciolo”. Relazione inaugurale al Congresso delle donne napoletane, 29-30 giugno 1947, Napoli, Caldarola, 1950 (Biblioteca Nazionale di Napoli, Fondo Arcuno) “Il Mezzogiorno”, Lo ‘stand’ della Nave Asilo Caracciolo, a. XI, 26 settembre 1923 Jack La Bolina, La nave scuola “Caracciolo”. Mare di Napoli, redentore, in “Il XX secolo”, a. XIV, 1914, pp. 713-722 (Biblioteca Nazionale di Napoli, Sezione Napoletana) Lieta Nicodemi, È stato fatto una volta per gli scugnizzi: si potrebbe ritentare oggigiorno per tutti i Bimbi Sperduti di Napoli?, in “Risorgimento”, 22 giugno 1947, p. 3. (Biblioteca Nazionale di Napoli, Emeroteca) Pasquale Ruocco, Scugnizzi, in “Lo Scugnizzo. Organo mensile della Casa dello Scugnizzo per la difesa e la salvezza degli scugnizzi di Napoli”, a. I, n. 2, ottobre 1951 Andrea Viggiano, Dalla “Nave-Asilo Caracciolo” a “Casa Bianca”, Conferenza tenuta il 21 aprile 1914 al Circolo Imperium, nella sala Maddaloni, pp. 1-21 (Biblioteca Nazionale di Napoli, Raccolta Mirabelli) Zietta Liù, Scugnizzo, in “Lo Scugnizzo. Organo mensile della Casa dello Scugnizzo per la difesa e la salvezza degli scugnizzi di Napoli”, a. I, n. 1, settembre 1951
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Appendice: immagini e documenti
Appendice: immagini e documenti
Ritratto di Giulia da giovane
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Da scugnizzi a marinaretti
Giulia con il padre, lo scultore Emilio Franceschi
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Appendice: immagini e documenti
“Ad bestias damnatus�, opera di Emilio Franceschi
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Le autrici / gli autori
Pino Bertelli, giornalista, fotografo di strada, film-maker, critico di cinema e fotografia, esponente di punta del neo-situazionismo italiano, fa parte di Reporters sans frontières; è direttore responsabile della rivista di critica radicale “Tracce”, della rivista letteraria “Il libro volante”, direttore editoriale della casa editrice “Traccedizioni”; collabora con “Le monde diplomatique”, “Fotographia”, “Sicilia Libertaria” e altre testate. Nel 2004 ha ricevuto il “Premio Internazionale Orvieto”, per il miglior libro di reportage: Chernobyl. Ritratti dall’infanzia contaminata. I suoi fotoritratti di strada si trovano in gallerie internazionali, musei e collezioni private. Tra le sue pubblicazioni: Né cinema né capitale, 1982; La dittatura dello schermo. Telefoni bianchi e camicie nere, 1984; Immagini di classe operaia 1972-1983, 1984; L’arma dello scandalo. L’anarchia nel cinema di Luis Buñuel, 1985. Antonia Maria Casiello, già dirigente scolastica, si è occupata di formazione e aggiornamento del personale docente presso l’IRRSAE Campania, contribuendo tra l’altro alla Biblioteca di Software Educativo del CISED dell’Università “Federico II” di Napoli. Ha partecipato, inoltre, a progetti europei nell’ambito dell’educazione interculturale ed ha promosso il Progetto Memoria della scuola elementare “Giacomo Leopardi”di Napoli, che ha dato luogo a una mostra fotodocumentaria ed al saggio-catalogo Gli anni della Leopardi 1900-1955 (a cura con M. A. Selvaggio), La Città del Sole, Napoli, 2007; con la Sovrintendenza Archivistica per la Campania ha curato il Progetto di Riordino dell’Archivio Storico della Scuola “Giacomo Leopardi”. Attualmente coordina l’Associazione “Amici del Museo del Mare di Napoli” e presso lo stesso Museo cura la catalogazione delle “Carte Civita-Labriola-Aubry”. Francesco Loriga, Capitano di Vascello, è entrato nel 1975 in Accademia Navale, uscendone nel 1979 con il grado di Guardiamarina e avendo conseguito la laurea in Scienze Marittime e Navali. Nella sua carriera ha prestato servizio su numerose 237
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unità della Marina Militare, tra le quali ha comandato il Pattugliatore Costiero “Palma”, le Fregate “Libeccio” e “Scirocco” ed il Cacciatorpediniere “Ardito”. Ha svolto numerosi incarichi presso lo Stato Maggiore della Difesa e lo Stato Maggiore della Marina. Il 19 dicembre 2007 è stato nominato Capo dell’Ufficio Storico della Marina Militare, incarico che ricopre tuttora. Antonio Mussari, già docente di fisica negli Istituti di istruzione superiore, fondatore e direttore del Museo del Mare di Napoli fin dalla sua nascita, nel 1992, si occupa di conservazione e recupero del patrimonio materiale e immateriale della cultura marinara. In qualità di direttore del Museo ha promosso e curato numerose mostre, tra le quali: “Ex voto della marineria campana - 2002”; “I Borbone costruttori di navi - 2004”; “Barche da lavoro del XIX secolo 2007”; “Pirati e corsari - 2008”; “Viaggio in Antartide di Giovanni AjmoneCat - 2009”. È membro dell’Associazione dei Musei del Mare dei Paesi del Mediterraneo; esperto di arte fotografica, di computergrafica e di tecniche multimediali, ha prodotto strumenti multimediali di supporto alla conoscenza dei materiali esposti nel Museo. Suoi lavori fotografici sono stati pubblicati, negli anni ’70, sulle riviste “Fotografare”, “Progresso fotografico”, “Vogue”. Promuove eventi culturali di livello nazionale e internazionale. Tra le sue pubblicazioni: Restauro di un modello di gozzo sorrentino del XVIII secolo, 2007. John Robinson, ha lavorato per più di venti anni in diversi musei della tecnica, specializzandosi in storia marittima e industriale, in particolare è stato impegnato presso il Museo della Scienza di Londra. Ha svolto attività per la Società della Ricerca Nautica e fa parte dell’Esecutivo dell’European Maritime Heritage; naviga, da diportista, su imbarcazioni d’epoca. È membro dell’Associazione dei Musei del Mare dei Paesi del Mediterraneo; è segretario dell’European Association for Traditional Ships in Operation e, in qualità di esperto, si occupa della conservazione delle navi storiche e della diffusione della loro conoscenza. Ha al suo attivo numerosi interventi e contributi in Convegni e Congressi internazionali, nonché pubblicazioni scientifiche su riviste specialistiche quali, ad esempio, la “The world ship review”. Tra i suoi studi, una ricerca, comunicata al 6° Congresso dell’European Maritime Heritage, Rotterdam 2007, sul carattere transetnico della cultura mediterranea marittima, che ha messo in luce le radici comuni presenti nel lessico marittimo mediterraneo (lingua franca adriatica). 238
Le autrici / gli autori
Maria Antonietta Selvaggio, ricercatrice di Sociologia presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi di Salerno. Tra le sue pubblicazioni: Vivevamo con le sirene. Bagnoli tra memoria e progetto (a cura con M. Albrizio), La Città del Sole, Napoli, 2001; Cosmocittadinanza versus cosmocrazia. Figure della cittadinanza democratica nella società globalizzata, in Globalizzazione e cittadinanze (a cura con N. Ammaturo), Ceim, Mercato S. Severino (SA), 2006; Gli anni della Leopardi 1900-1955 (a cura con A. M. Casiello), La Città del Sole, Napoli, 2007; Mettersi in gioco: relazioni e orientamenti, in Il consumo culturale dei giovani. Una ricerca a Napoli e a Salerno (a cura di N. Ammaturo), FrancoAngeli, Milano, 2008; Il diritto difficile. La cittadinanza delle donne e i limiti della democrazia (a cura), La Luna, Palermo, 2009. Dirige la collana “Percorsi di formazione” della casa editrice La Luna, Palermo. Monia Valeriano, laureata in Lettere moderne con specializzazione in Antropologia storica e catalogazione dei beni demoetnoantropologici, è docente di materie letterarie negli Istituti di istruzione superiore. Ha censito e riordinato il materiale documentario sparso dell’Archivio Storico del Comune di Formia, del quale ha redatto un elenco di consistenza (2001). Per il Museo demoetnoantropologico della Pietra di Ausonia (LT) ha contribuito alla stesura del catalogo dell’esposizione permanente (2006). Ha pubblicato Le tradizioni popolari di Formia e il costume femminile, vol. III della Storia illustrata di Formia, Sellino editore, 2000; Viaggio nei luoghi della memoria […] Monti Aurunci, Golfo di Gaeta, Isole Pontine, XVII Comunità Montana dei Monti Aurunci, ed. Graficart, 2009. Collabora dal 2007 al progetto “Il futuro della memoria: l’archivio didattico”, per la valorizzazione dei beni culturali e, in particolare, per la promozione nelle scuole della conoscenza dei documenti dell’Archivio Storico Comunale di Formia
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Finito di stampare presso Cangiano Grafica in Napoli nel mese di Aprile 2010 E.S.A. - Edizioni Scientifiche e Artistiche ISBN 978-88-95430-19-5 Š 2010 Proprietà letteraria artistica e scientifica riservata www.edizioniesa.com info@edizioniesa.com tel. 081 3593146 - 339 8774962
Giulia Civita e i suoi figli
â‚Ź 15,00
ISBN 978-88-95430-19-5
9 788895
> edizioniesa.com