Anteprima "Ordine ed Equilibrio" - Klemens von Metternich

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Klemens von Metternich

Ordine ed Equilibrio Antologia di scritti Traduzione, introduzione e note a cura di Giulio De Rosa

Edizioni Scientifiche e Artistiche



i Miti 2



Klemens von Metternich

Ordine ed Equilibrio antologia di scritti titolo originale (ordnung und gleichgewicht) ausgew채hlte schriften

traduzione, introduzione e note a cura di

Giulio De Rosa

EDIZIONI SCIENTIFICHE E ARTISTICHE


Copertina: Thomas Lawrence, Ritratto di Klemens von Metternich, Kunsthistorisches Museum, Vienna. 1820-1825 ca.

Progetto grafico ed impaginazione: Helix Media

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ISBN 978-88-95430-32-4 E.S.A.

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Edizioni Scientifiche e Artistiche

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a Clara e Antonio riferimento costante

Un ringraziamento particolare va al prof. Luigi Albigi per gli illuminanti suggerimenti donatimi durante la stesura del volume



Nota preliminare al testo*

Molto della documentazione riguardante Metternich è ovviamente conservata nello Staatsarchiv di Vienna e nell’archivio privato. Quest’ultimo, fino alla seconda guerra mondiale, fu ospitato nel castello di famiglia di Plasy in Boemia (dove lo stesso Metternich è sepolto), dopodiché fu trasferito a Praga nella IV sezione dell’archivio di stato. Qui, nel 1966, consultando le carte, la signora Maria Ulrichova ha rinvenuto una parte del carteggio tra Metternich e Wilhelmine von Sagan, importante documento per capire alcuni aspetti del carattere del grande statista, (pubblicato con il titolo Metternich-Wilhelmine von Sagan. Ein Briefwechsel, 1813-15, Graz-Koln 1966.) e dal quale abbiamo riportato una lettera nell’ultimo capitolo del libro. Tuttavia la fonte più completa resta l’immensa raccolta di memorie, lettere e documenti basati sui cosiddetti Acta Clementina, lasciati in eredità da Metternich e pubblicati dal figlio Richard tra il 1880 e il 1884, in ben otto volumi, sotto il titolo Aus nachgelassenen Papiere-8 Bände-Wien 1880-84. La maggior parte degli scritti contenuti in essa è in francese, ma quasi subito fu fatta una traduzione in tedesco ed una ridotta in inglese in quattro volumi. Sebbene, come affermano molti autorevoli studiosi1, appaia spesso inattendibile e tendenziosa soprattutto per quanto 1 - Così afferma Wolfram Siemann nel suo recente saggio su Metternich: “…in der Wiedergabe aber vielfach unzuverlassig und in der Auswahl tendenzios, die so genannte “Autobiographische Denkschrift” im ersten Band ist eine in dieser Form vom Herausgeber gegenuber den Vorlagen eigenmachtig veranderte Kompilation”. (Wolfram SiemannMetternich-Staatsmann zwischen Restauration und Moderne -Munchen 2010, pag. 124). Secondo Guillame de Bertier de Sauvigny quest’opera riporta fedelmente gli scritti ufficiali, la corrispondenza diplomatica e la corrispondenza di carattere pubblico in genere, ma non si può dire altrettanto della corrispondenza privata. Lo stesso Bertier de Sauvigny cita l’esempio delle lettere inviate da Metternich a Dorothee von Lieven, dove il figlio Richard ha sostituito il molto confidenziale “Du” con un meno compromettente “Sie”. Ciò sarebbe dovuto sia al grande rispetto che Richard nutriva per il padre che all’ossesione per la purezza dello stile. (Guillame de Bertier de Savigny -Metternich- Staatsmann und Diplomat für Osterreich und den Frieden- Gernsbach 1988, pag. 553).

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INTRODUZIONE

Metternich: la Politica oltre la Storia di Giulio De Rosa

1. Il politico metafisico Da sempre la figura di Metternich in Italia è stata oggetto di travisamenti o di una certa trascuratezza come dimostrano le scarse opere su di lui apparse o tradotte nella nostra lingua.1 Ciò è dovuto sicuramente al fatto che il diplomatico austriaco viene ancora considerato come l’eminenza grigia della Restaurazione europea che si oppose energicamente ai disegni del nostro Risorgimento, fino al punto da essere quasi esclusivamente ricordato come colui che in una celebre frase, definì l’Italia “una semplice espressione geografica”. È anche vero, però, che l’interpretazione prevalente nella storiografia italiana, che vede soprattutto nella prima metà dell’800 il trionfo della religione della libertà2, ha certamente contribuito a gettare un’ombra ancora più sinistra su di un personaggio che si giustifica e si risolve solo come momento di quel “negativo della illibertà” nello stesso attuarsi della libera e positiva attività dello spirito.3 1 - Infatti la monumentale opera dello Srbik, considerata ancora oggi, la più completa tra quelle dedicate a Metternich, non è stata ancora tradotta. Rimandiamo il lettore all’originale in tedesco: Heinrich R. Von Srbik, Metternich: Der Staatsmann und der Mensch, 2 voll., München, 1925. In Italia sono apparse la monografia abbastanza documentata di Herman e quella di Franz Herre: Arthur Herman, Metternich, Milano, 1955; Franz Herre, Metternich, Milano, 1984. Per la verità è abbastanza poco per una figura così significativa. Ampi capitoli sono dedicati, al grande statista, da alcune opere, apparse in italiano già da un po’ di tempo, dedicate al mondo asburgico. Citiamo fra queste: Robert A. Kann, Storia dell’Impero asburgico, Roma, 1988 e Jean Berenger, Storia dell’Impero asburgico, Bologna, 2003, in particolare riferimento al capitolo X (L’era Metternich, pagg. 211-234). 2 - Ci riferiamo al celeberrimo testo di Benedetto Croce, la Storia d’Europa nel secolo XIX. 3 - B. Croce, Storia d’Europa nel secolo XIX, Bari, 1972 pag. 12.

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ORDINE ED EQUILIBRIO

La pubblicazione di questa raccolta che riguarda spunti, pensieri, riflessioni ed alcune delle più importanti questioni affrontate da Metternich lungo un periodo di circa sessant’anni, si propone di offrire un’immagine più esauriente del grande statista e, comunque, sottratta ai soliti cliché di cui spesso è stata vittima. Leggendo questi scritti si ha, prima di tutto, l’impressione di trovarsi di fronte ad un individuo sempre padrone della situazione, vigile e sicuro, capace non solo di passare al setaccio attraverso la lente d’ingrandimento del suo acuto ingegno la complessa e intricata matassa delle vicende del suo tempo, ma di fornire sempre delle risposte che, riflettendo il suo punto di vista, sono sempre le più lucide e coerenti possibili. Questa coerenza rappresenta l’altro dato inoppugnabile della personalità di Metternich, il quale non smentisce mai le sue convinzioni; anzi senza dare adito a ripensamenti o a cedimenti improvvisi, trova sempre l’occasione per ribadirle con forza anche nei momenti più drammatici della sua esistenza, così come avvenne nelle concitate ore del 13 marzo del ’48 quando, costretto alle dimissioni, mise fine alla sua quasi quarantennale vicenda politica.4 Esse ruotano attorno ad alcune idee fondamentali che guidano tutta la sua opera di statista e di “pensatore”. Come noterà il lettore, Metternich, sia quando parla della rivoluzione o della questione tedesca o della situazione interna dei vari stati europei, ricorre insistentemente e ripetutamente ad esse, indicandole come l’unica soluzione ai mali del suo tempo. In tal senso, malgrado la notevole distanza temporale e la differente temperie che li separa, possiamo dire che questi saggi sono una sorta di variazione su un unico tema, dove spesso si incontrano espressioni prolisse o delle opinioni già incontrate in precedenza5, non perché 4 - Proprio perché i temi affrontati sono sempre gli stessi e si rincorrono costantemente in tutta l’opera, abbiamo preferito non trattare, in questa introduzione, singolarmente i capitoli ma il pensiero dell’Autore complessivamente, attingendo liberamente alle citazioni del libro, dove ci sembra opportuno e senza rispettare l’inquadramento cronologico degli stessi capitoli. 5 - Metternich stesso ricorda questo drammatico episodio, ne “Il mio ritiro”, quando contro chi giudicava le sue dimissioni un atto generoso, replicò “Nella Nazione solo l’Imperatore può essere generoso, io agisco solo in conseguenza del mio amore per la giustizia e del mio senso del dovere” (in Metternich, Ordnung und Gleichgewicht-Wien, Leipzig, 1995 pag. 67). È ancora il Metternich deciso ed inflessibile, che non si scompone neanche nei momenti che decretano la sua scomparsa ufficiale dalla scena, rivendicando or-

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Introduzione - Metternich: la Politica oltre la Storia

2. Il politico medico Una volta Palmerston rinfacciò a Metternich che la differenza tra un conservatore e un sostenitore dell’immobilismo come lui, stava nel fatto che i conservatori si proclamano tali “perché consigliano di fare concessioni, riforme e miglioramenti, quando la pubblica opinione li richiede e li giudica necessari, mentre voi li respingete. Quando la pace e l’ordine regnano tra di voi allora ritenete utili le concessioni”.17 Così, Guizot nel suo “Memoires pour servir à l’histoire de mon temps” ebbe a dire di lui che “Nessuno ha mai congiunto in se stesso una simile agilità mentale con una così grande dedizione alla difesa dell’immobilità”.18 In entrambi i giudizi, che rispecchiano più o meno fedelmente l’opinione che non solo i contemporanei nutrirono verso l’attività politica di Metternich, emerge la figura di uno strenuo sostenitore dello status quo e della stagnazione politica, sordo a qualsiasi apertura o riforma e privo, soprattutto, del senso irreversibile della storia. Si ha proprio l’impressione che quest’uomo, di grande intelligenza come riconosce Guizot, abbia voluto congelare il tempo e l’Europa in una dimensione che era forse, nelle intenzioni, quella del dispotismo illuminato della seconda metà del XVIII secolo ma che in realtà non era mai esistita. Egli appare come uno statista fuori dal tempo, al di là della logica spicciola del do ut des, che concede le riforme non quando la gente urla, o sotto la minaccia della rivoluzione, ma quando il popolo è in pace e gli individui si dedicano tranquillamente alle proprie occupazioni. In realtà, a ben guardare, le cose stanno un po’ diversamente sia perchè egli, comunque, assicurò la pace all’Europa fino praticamente alla metà del secolo XIX e sia anche perché l’edificio che fu costruito a Vienna nel 1815, del quale egli fu il principale artefice, rimase sostanzialmente in piedi fino al 1914, cioè alla data che segna la fine del “mondo di ieri”. Inoltre è lo stesso Metternich a sgombrare il campo dai fraintendimenti, quando riconosce “nella ragione e nella giustizia, e non nell’esclusivo calcolo dell’utile, i principi fondamentali della politica” mentre “una politica senza riferimenti [costituisce] l’anarchia dello spirito che si puni17 - Arthur Herman, Metternich, op. cit., pag. 258. 18 - Ibid., pag. 359.

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ORDINE ED EQUILIBRIO

cendo coincidere gli interessi del paese che rappresentava con quelli dell’intero continente. In tal senso ha anticipato i grandi statisti del secondo dopoguerra, che diedero vita alla nascita dell’Europa. La sua è una visione sinottica, poiché gli stati non sono individualità astratte ed isolate ma sono legati indissolubilmente l’uno agli altri in un destino comune. Egli antepone la parte alla totalità intesa come ordine, così come aveva nella vita interna degli stati anteposto gli individui alle leggi. Gli stati individuali e chiusi non hanno ragione di esistere, così come non ha senso “applicare il termine società ad una compagine che si sforza di individualizzare tutti gli elementi che la compongono”.33 A differenza di Napoleone, nel quale trovava dei punti in comune (come ci documenta il bel ritratto che gli dedica più avanti34) e che diede vita ad un ordine basato sull’egemonia francese, difendibile solo attraverso uno stato di guerra permanente, egli diede vita ad un ordine forse difensivo che, però, non solo non si fondava su alcuna egemonia, non richiedendo la collaborazione di tutti gli stati per la sua conservazione, ma aveva come fine proprio l’eliminazione della guerra come strumento politico. Molte delle sue intuizioni, quali il mantenimento di una forte alleanza con la Russia, pur nella diversità degli interessi, o la conservazione da parte degli imperi centrali di un ruolo di mediazione nell’area mitteleuropea, forse, se fossero state raccolte dai poco lungimiranti politici che gli succedettero, avrebbero dato all’Europa un’epoca di maggiore stabilità e non l’avrebbero lasciata logorare nelle tragedie del XX secolo.

3. Il politico tragico Metternich amava ripetere che la sua condotta si condensava nella formula “Forza nel diritto”. Gli piaceva talmente da sceglierla come motto per il proprio emblema. In essa manifestava la sua avversione per qual33 - Metternich, Ordnung und Gleichgewicht, op. cit., pag. 28. 34 - Ibid., op. cit. pgg. 43-57. Metternich ci presenta il Napoleone che ama ricordare, quello che, malgrado gli avesse fatto al primo incontro avvenuto a Saint Cloud, la goffa impressione di un parvenu, in un certo qual senso aveva neutralizzato la rivoluzione, facendosi portavoce di un nuovo assolutismo forte ed energico, e che provava ammirazione per il futuro Luigi XVIII.

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Introduzione - Metternich: la Politica oltre la Storia

lità, al quale bisogna strenuamente aggrapparsi per sentirsi ancora membri dell’umanità. E allora giù a costruire muraglie cinesi, costi quel che costi, anche a soffocare la vita civile, per fare del suo ordine una roccaforte inespugnabile, che malgrado tutto, consenta ancora di andare avanti. Ma evidentemente non gli bastò. Giulio De Rosa

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CENNI BIOGRAFICI

1773 - Il 15 maggio nasce a Coblenza, Klemens Wenzel Lothar Metternich. I Metternich erano una famiglia dell’aristocrazia renana, fedele all’Impero, che contava nel suo passato quattro principi elettori. 1788 - Metternich si iscrive all’Università di Strasburgo per studiare diplomazia sotto la guida del professor Cristhoph Wilhelm von Koch, allievo di Kant e sostenitore dell’equilibrio europeo. L’anno successivo assiste nella città alsaziana all’assalto del municipio da parte di una banda di popolani che svuotarono perfino le botti. 1790 - Lo scoppio della rivoluzione lo porta dapprima a Francoforte e poi a Magonza, dove continua gli studi interessandosi soprattutto alle lezioni del professor Niklas Vogt, autore di una europäische Republik, nella quale il principio aristocratico deve mediare tra democrazia e monarchia. 1792 - Partecipa come Zerimoniemeister all’incoronazione, avvenuta a Francoforte, dell’Imperatore Francesco II. 1793 - Segue il padre Franz Georg, plenipotenziario per gli affari dei Paesi Bassi, a Bruxelles. 1794 - Primo soggiorno a Londra, dove conosce, fra l’altro, Edmund Burke, autore delle Reflections on the Revolution in France. Intanto i Francesi invadono di nuovo il Belgio, il governo dei Paesi Bassi viene sciolto, mentre Franz Georg, osteggiato negli ambienti influenti di corte per la sua condotta durante l’invasione, viene allontanato. 1795 - Sposa Eleonore von Kaunitz nipote del Primo ministro di Maria Teresa.

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Cenni biografici 1797 - Nasce la figlia Maria. 1798-99 - Partecipa al congresso di Reichstatt. Il 22 febbraio del ’98 nasce il figlio Georg che muore appena un anno dopo. 1801-03 - Viene nominato ambasciatore a Dresda. Nel gennaio del 1803 nasce il figlio Viktor. Conosce Friedrich von Gentz, autore delle Briefe an Pilat e della traduzione in tedesco delle Reflections che eserciterà un notevole influsso sulle sue idee. 1803-05 - Viene nominato ambasciatore a Berlino. Nel 1804 nasce la figlia Clementine. Nel settembre del 1805 viene organizzata la terza coalizione ma il 15 dicembre dello stesso anno, l’esercito austriaco viene duramente sconfitto ad Austerlitz. 1806-1809 - Viene nominato ambasciatore a Parigi. A Saint Cloud, in occasione della presentazione delle credenziali al governo francese, incontra per la prima volta Napoleone. 1809 - Il 7 ottobre viene nominato ministro degli esteri. Da allora, ininterrottamente per quasi quarant’anni, reggerà le sorti politiche dell’Austria. 1810 - Matrimonio tra Napoleone e Maria Luigia figlia di Francesco II. Questa fu un’abile mossa ispirata da Metternich per risollevare le sorti della monarchia. 1811 - Nasce la figlia Leontine. 1813 - Capovolgimento dell’alleanza. Entrata in guerra dell’Austria a fianco della Russia. La cosiddetta battaglia delle nazioni combattuta a Lipsia dal 16 al 18 ottobre, segna l’inizio della fine per l’impero napoleonico. Il 26 ottobre Metternich viene elevato da Francesco II alla dignità di principe. 1814 - Entrata degli alleati a Parigi ed il 6 aprile abdicazione di Napoleone. Nel settembre comincia il congresso di Vienna, Metternich ne assume la presidenza, mentre a Gentz vengono affidati i compiti di segretario. 1815 - Il 9 giugno vengono promulgati gli atti del congresso, che subisce un’interruzione a causa della fuga di Napoleone dall’Elba. Il 18 Napo-

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I Sulla necessità di un generale riarmo dei popoli ai confini della Francia da parte di un amico della pace

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Pamphlet del conte Clemens von Metternich dato alle stampe anonimo nel 1794 La rivoluzione francese sembra aver raggiunto un livello tale da minacciare la fine per tutti gli stati europei. Il suo scopo è la diffusione di un’anarchia totale ed enormi sono i mezzi a sua disposizione. Malgrado il dissesto interno e tre anni di guerra trascorsi a combattere contro le grandi potenze, essi non sono ridotti. Senza denaro, senza governo, senza un esercito disciplinato, senza unità, non si dà vita alla rivoluzione in nessuna classe, né essa è in grado, quotidianamente, di minacciare gli altri popoli. Si riteneva tutto questo incendio che si era consumato, insignificante e lontano - ma d’un tratto ci si ravvide. Una generale invocazione d’aiuto risonò in tutti i regni, si impugnarono le armi e furono inviati dei piccoli eserciti. Una prima sfortunata campagna militare fece accrescere la paura; si credette nella necessità di mezzi più energici mentre si rimaneva attoniti di fronte alla forza del cosiddetto “potere della libertà”. Splendido fu l’inizio del 1793: eserciti che combattevano contro eserciti, a conferma che da sempre si segnalano i mesi di marzo negli 1 - Questo scritto risale al primo soggiorno inglese di Metternich, poco dopo la sua nomina a plenipotenziario dell’Aia da parte dell’imperatore Franz. Tale carica si rivelò poi inutile dal momento che, durante il suo soggiorno, i Paesi Bassi furono occupati dalle armi francesi. In questo scritto Metternich accenna indirettamente all’operato del padre, inviso ad alcuni membri influenti della corte, poiché aveva tentato di coinvolgere, senza successo, i contadini nella difesa di quel territorio contro le inarrestabili orde dell’esercito francese.

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ORDINE ED EQUILIBRIO

Governanti e popoli siate così strettamente legati da interessi reciproci! Ogni giorno vi avvicinate sempre di più alla fine del vostro ordine. Vi restano ancora pochi momenti; poi vi pentirete, forse troppo tardi, della vostra colpevole inerzia. Quest’ultima decide del vostro destino e dei vostri discendenti. L’esempio di tre inutili campagne militari vi insegna la necessità di mezzi più risoluti per la prevenzione di un pericolo così incombente. Infatti dovrete servirvi di quegli stessi mezzi che i vostri nemici, di entrambe le parti, fino ad ora hanno ricevuto. Padri di famiglia e proprietari combattete a fianco dei valorosi difensori della vostra patria, del vostro principe e della vostra proprietà. Davanti a voi uniti si daranno alla fuga le orde di masnadieri, mentre a voi si accompagneranno i migliori di ogni popolo. L’Europa vi ringrazierà per la sua salvezza e le generazioni future per la loro tranquillità.

Note originali * - Un giovane che si era particolarmente distinto nella difesa di Templeuve nelle Fiandre occidentali aveva ricevuto questa dalle mani del maggiore d’Aspre. La persona fregiata di questa pubblica onorificenza al valore personale, lo sfarzo con cui era stata preparata la cerimonia, stanno a testimoniare nel modo più elevato le buone disposizioni dei contadini. Ogni contadino voleva diventare eroe, ognuno portava una banda bianca e rossa all’occhiello. Il giorno seguente si trovarono più volontari per i pattugliamenti più rischiosi di quanti ne occorrevano. Principi! Con quali piccoli mezzi, a quanto pare, potete raggiungere i più grandi fini! ** - Questo è il motivo per il quale la Convenzione impedirà sempre di avviare qualsiasi trattativa di pace. *** - Risponde a questa verità la recente obiezione della maggior parte dei diplomatici citati sopra: “Che cosa sarebbe delle nostre masse -si domandano- se venissero schierate contro quelle francesi più avvezze alla guerra? Che cosa sarà di una moltitudine, già libera di per sé, che lotta per la difesa della sua proprietà contro un’altra costretta a sacrificarsi da alcuni odiosi tiranni?”.

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II La natura delle sette nella Mitteleuropa Firenze, 28 giugno 1817 Un fenomeno che oggi deve attirare l’attenzione dei governi è lo sviluppo delle sette le quali cominciano a minacciare la pace in molte parti d’Europa e soprattutto nel cuore di essa.1 L’animo umano abitualmente si compiace nelle cose estreme: un secolo di miscredenza, nel quale dei presunti filosofi con le loro false dottrine tentarono di sostituire tutto ciò che legava l’umana saggezza con gli eterni principi della morale, doveva necessariamente essere seguito da un’epoca di reazione religiosa e politica. Lo spirito di reazione è sempre falso ed ingiusto e, solo i saggi, che sono anche le personalità più forti, non furono mai vittima né dei falsi filosofi né divennero il trastullo di falsi predicatori. Ci sarebbe da dubitare sullo stretto collegamento tra il mondo morale e quello materiale e, a tal proposito, certamente ci sono prove sul corso e sul progresso di certe malattie dello spirito, le quali presentano tutte i sintomi di una vera epidemia. 1 - Metternich in questo periodo era molto preoccupato per l’attività sovversiva che avveniva, soprattutto in Germania, contro i regimi e le istituzioni vigenti da parte delle sette, delle società segrete e delle organizzazioni giovanili e studentesche. Premesso che di queste ultime si tratterà più diffusamente nel capitolo successivo, in questo breve scritto Metternich punta il dito contro le prime, le quali erano molto diffuse oltre che nel Sud della Germania, anche in Svizzera, ed erano colpevoli di mascherarsi dietro innocenti programmi salvifici, diffondendo, così, anche quelle idee di eguaglianza e di giustizia, che mettevano in discussione l’ordine tradizionale fondato sulla proprietà. La loro pericolosa attività viene considerata pari a quella dei giacobini, anzi sembra che queste sette siano un’emanazione stessa del giacobinismo.

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III Università e stampa Metternich a Friedrich von Gentz1, Perugia 17 giugno 18192 Lo studente, preso singolarmente è un bambino e la loro associazione un teatrino di dilettanti. Anch’io non ho mai -e lei me ne è testimone- par1 - Friedrich von Gentz (1764-1832), fratello del famoso architetto classicista Heinrich von Gentz, a partire dal 1810 divenne il più stretto collaboratore di Metternich, per il quale spesso scriveva i discorsi. Nel 1815 fu il segretario ufficiale del congresso di Vienna. Tale mansione lo impegnò anche nei successivi congressi dell’Alleanza fino al 1822. Fu l’ispiratore della politica di repressione e della censura praticata da Metternich e dai principi tedeschi contro i movimenti e i moti liberali in Germania negli anni ’20. Per questo egli, al pari dello statista austriaco, divenne l’odioso simbolo della reazione del Vormärz. Dopo la rottura con Metternich nel 1830, si ritirò a vita privata. La sua fama è legata soprattutto alla traduzione in tedesco, nel 1793, della celebre opera di Edmund Burke The reflections on the revolution in France. Si disse, allora, che fu proprio la traduzione di Gentz ad operare nella società tedesca, e non solo nelle classi più moderate, un decisivo ripensamento in chiave negativa circa gli esiti della rivoluzione. 2 - Metternich si trovava a Perugia al seguito di Francesco I che aveva fatto visita alla città. Durante il suo soggiorno alloggiò a palazzo Donini. In questa lettera ci offre delle anticipazioni, se non un vero e proprio abbozzo dei provvedimenti in materia di censura e di limitazione della libertà di stampa in Germania, che verranno presi nel successivo congresso di Karlsbad (6-31 agosto 1819) e che saranno appunto denominate “die Karlsbader Beschlusse” (le risoluzioni di Karlsbad). All’assise tenutasi nella città termale boema, ristretta alla partecipazione dei più importanti stati della confederazione tedesca, fu decisa inoltre l’imposizione a tutti gli atenei tedeschi di commissari governativi aventi funzioni di controllo su tutta l’attività di insegnamento. Da molto tempo, si avvertiva negli entourage più conservatori, l’esigenza di un maggiore controllo sulla stampa e di una maggiore sorveglianza sui professori che manifestavano delle dottrine troppo radicali, poiché entrambe aizzavano i giovani ed in generale l’opinione pubblica contro le istituzioni vigenti. La goccia che, però, fece traboccare il vaso, spingendo Metternich a prendere delle misure

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ORDINE ED EQUILIBRIO

5. Le norme ordinarie, che prevedono la registrazione del nome dell’editore o quanto meno del luogo di edizione e del nome dell’autore, devono essere assolutamente osservate. Senza queste condizioni nessuna rivista in Germania può essere esposta nelle librerie. Ogni scritto anonimo è soggetto alla confisca. Queste, dunque, sono le mie principali opinioni in merito e non credo che ci sia da obiettare qualcosa di ragionevole contro di esse. Certamente deploro il fatto di non poter disporre dell’esercizio della censura per tutti gli scritti senza eccezione; sono tuttavia convinto che esso possa trovare in molti stati tedeschi una grossa resistenza, se lo si volesse applicare alle opere effettive. Sicuramente l’applicazione alla lettera delle mie proposte preverrebbe il più incombente dei mali e non dubito che queste vengano accettate dagli eminenti Majora. I più importanti stati tedeschi come la Prussia, la Baviera, la Sassonia, l’Hannover e lo stesso Baden non devono fare un passo indietro riguardo alle leggi fondamentali, giacché ancora non prevedono né ordinariamente, né in casi eccezionali, la censura sulla stampa. In Baviera la legge riguardo a quest’ultima è ancora costituzionale; il governo è dunque da ritenersi, a causa della sua incomprensibile indulgenza, ancora più colpevole di qualsiasi altro.

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Confidenze allo zar Alessandro - 1820

“Oggi l’Europa -diceva qualche tempo fa un celebre scrittore- incute compassione ad un uomo di spirito e terrore ad uno virtuoso”. Sarebbe difficile in poche parole fornire un’immagine esauriente della situazione nel momento in cui stendiamo queste righe! I sovrani calcolano già le chance della loro sopravvivenza per l’immediato futuro; le passioni si sono scatenate e si sono congiunte per abbattere tutto ciò che la società ha 1 - Questo documento testimonia uno dei momenti di massima intesa politica e spirituale tra Metternich e lo zar Alessandro. Al contrario, in passato, sia nel corso della campagna finale contro Napoleone nel 1813 che durante il congresso di Vienna, sulla questione dell’annessione del principato di Varsavia nel 1815, si erano manifestati forti dissapori e notevoli divergenze tra i due al punto tale da spingere lo zar ad affermare che Metternich era l’unico individuo di tutta l’Austria ad assumere un atteggiamento ribelle nei suoi confronti. In quel 1820, però, l’onda generata dallo scoppio delle rivoluzioni in Spagna ed a Napoli, dalle rivolte dei muziky e dell’ammutinamento di alcuni reparti d’elite dell’esercito nella stessa Russia, spinse sempre più Alessandro ad avvicinarsi alle posizioni di Metternich, considerandolo l’unico capace di tenere a bada il demone rivoluzionario, “quel genio del male (che) tenta di riconquistare il suo funesto imperio (che) già incombe su parte dell’Europa (e) già accumula misfatti e sventure” (in Henry Troyat, Alessandro I, Milano, 2001, pag. 381). Il risultato di questa nuova collaborazione fu il congresso indetto a Troppau dal 20 ottobre al 17 dicembre 1820, al quale aderirono tutti i membri della Santa Alleanza preoccupati di fronte alla piega rivoluzionaria presa dagli avvenimenti e che si concluse con un protocollo che, in pratica, sanciva la legittimità dell’intervento militare in quegli stati membri, come la Spagna e Napoli, in cui era minacciato l’ordine vigente. In questo scritto il cancelliere risponde alle preoccupazioni dello zar, spesso dettate da una vena di misticismo, con un’analisi articolata e realistica, nella quale definisce la natura di questo male, illustra le cause che l’hanno provocato ed infine indica i rimedi più adeguati a debellarlo. Appare evidente che, l’arroganza, lo spirito illuministico ed egualitario affermatosi in Francia nel XVIII sec. nonché la capacità di reazione e la perseveranza dei governi, costituiscono, per sommi capi, rispettivamente la definizione, la causa ed i rimedi secondo Metternich. Sulla loro più ampia trattazione, rimandiamo all’Introduzione.

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V Napoleone Bonaparte. Un ritratto - 1820

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Non molti uomini che rivestirono un ruolo indipendente da quest’individuo eccezionale, hanno avuto con lui tanti contatti e incontri ravvicinati quanti ne abbia avuti io. Nelle diverse fasi di questo rapporto la mia opinione su Napoleone non è mai cambiata. Ho avuto modo di conoscerlo e di studiarlo a fondo non solo nei momenti del suo massimo splendore ma anche nella fase del crepuscolo. Pur 1 - In questo ritratto, Metternich, mette in risalto quei tratti del pensiero di Napoleone che lo accomunano sia alle sue idee in materia di religione che alla legittimazione del potere. Dalla lettura del testo si evince una vena di compiacimento che, ad esempio, accompagna Metternich nel ricordare la reverenza di Napoleone per “la regalità” e la fermezza del futuro Luigi XVIII, cosa che rende i “legittimi” diversi dagli altri uomini. Il medesimo compiacimento si riscontra nell’estrema puntualità a riesumare il giudizio di Napoleone su Luigi XVI incapace, per la sua debolezza, di mantenere il trono, cosa che allo statista austriaco faceva venire in mente la fiacchezza dei sovrani e la mancanza di energia, mostrata dai governi, nel fronteggiare le vicende del proprio tempo. Ne viene fuori una personalità molto più vicina o indulgente all’assolutismo di quanto si creda, così come testimonia il ricordo di una discussione che riguardava l’imperatore austriaco ed in particolare il suo titolo di “Sua Maestà Imperiale”, dove l’imperatore dei Francesi, non perde l’occasione per affermare l’origine divina del potere. Va anche sottolineato, però, il distacco con cui tratta il cinismo di questo imperatore-parvenu, divoratore di uomini e mezzi, pronto a scaricare gli individui una volta che questi non servono più ai suoi scopi, che non si preoccupa di sacrificare migliaia di vite per i suoi progetti. In fondo, in Napoleone, si coglie l’immagine del sovrano totalitario moderno, differente dal sovrano inteso come il prodotto dell’assolutismo tradizionale: mentre questi è il pastore del suo gregge e opera al servizio di un’idea superiore, di un ordine da realizzare per il bene esclusivo del suo popolo, egli è l’homo novus esaltato e osannato dalle masse e da intere generazioni di individui; goffo e impacciato come un uomo comune, vittima dei suoi stessi familiari nella vita privata, privo di “quella regalità” o “aristocraticità” che invidiava a i suoi avversari. Costoro però, non sapevano disgiungere il destino dei loro popoli dal proprio, la grandezza del proprio paese dalla propria, ed erano incapaci di distaccare la propria vicenda dalla volubilità della storia.

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ORDINE ED EQUILIBRIO

L’imponente edificio, che aveva creato, fu esclusivamente opera sua, anzi, egli stesso ne fu la chiave di volta. A questa gigantesca costruzione, però, mancavano prima di tutto le fondamenta, mentre i materiali di costruzione erano costituiti dalle macerie di altri edifici, di cui uno era marcio e gli altri instabili sin dal principio. Quando la chiave di volta venne rimossa, tutto l’insieme precipitò da sé. Questa è, in poche parole, la storia dell’Impero francese: ideato e costruito da Napoleone, esistito grazie a lui solo e con lui costretto a perire.

Agli occhi di Metternich gli uomini come Napoleone non rappresentano lo “spirito a cavallo” né l’hegeliana incarnazione dello “spirito del mondo”. Per questi uomini non valgono le virtù propriamente regali della sovranità, ma, piuttosto, la virtù del “genio- fortuna”, cioè la capacità di mettersi in sella sfruttando, anche con l’ausilio della fortuna, le contraddizioni, le confusioni e le illusioni di un’epoca, senza tuttavia interpretarne i bisogni. Proprio per questo il loro destino di comandanti-parvenu, ovvero di leaders della modernità, non può che essere effimero come i castelli di carta da loro costruiti.

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VI 1

Il mio ritiro. 1848 (redatto nel 1852)

“nei periodi di grande turbamento sono massimamente odiati e denigrati coloro che non portano alcun odio nel cuore e non fanno male a nessuno” Io

Il decorso della malattia, che portò alla morte l’imperatore Franz il 2 marzo 1835, fu rapido.2 A lui, infatti, rimase solo il tempo, poche ore prima 1 - Questo scritto, fu compilato da Metternich alcuni mesi prima del suo rientro definitivo a Vienna avvenuto il 24 settembre 1851, dopo un esilio durato tre anni e mezzo. Dal marzo 1848 aveva soggiornato a Londra, Bruxelles e infine nella sua tenuta sul Reno a Johannisberg. Durante questi anni vissuti all’estero, non più da protagonista della politica europera, egli ebbe l’occasione di riflettere sulle cause che portarono al crollo del suo sistema (il cosiddetto metternich’sche System) che aveva contrassegnato la storia del vecchio continente per più di trent’anni. Il risultato fu questo breve e lucido resoconto sulla situazione che si era delineata nelle alte gerarchie dell’Impero dopo la morte di Francesco I, sulle mancate riforme dell’amministrazione e sulle cause che portarono alle giornate di Marzo del ’48. Al centro di questo intreccio di eventi, comunque, campeggia sempre la sua cristallina chiarezza con la quale affronta ogni situazione, nonché la grande padronanza di sé che gli permette, anche nelle ore drammatiche precedenti le sue dimissioni, di tener testa con assoluta fermezza ad un’assemblea di Grandi a lui ostile. 2 - Francesco I (1768-1835), col titolo di Francesco II, come Imperatore del Sacro Romano Impero fino al 1806, anno dell’abolizione di quest’istituto, fu imperatore d’Austria dal 1792 come successore di Leopoldo II. Il suo quasi quarantennale regno fu dominato soprattutto dalla figura di Metternich, al quale però non concesse mai l’investitura ufficiale di Cancelliere. Fortemente consapevole della missione divina del suo ufficio, fu uno spi-

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esse rinunciano a loro stesse.” Trovo nell’analogia tra le mie affermazioni e quelle di de la Hodde la conferma dell’affinità tra il febbraio parigino e la rivoluzione di marzo a Vienna. L’amore per la verità mi costringe, d’altra parte, a considerare la colpa del nostro governo più grave di quelle della pseudomonarchia francese. Dopo le dimissioni dalla mia carica non avevo più motivo di prolungare il mio soggiorno a Vienna. La mia posizione nei riguardi della rivoluzione era assolutamente singolare, poiché se essa mi aveva prescelto personalmente come suo bersaglio, è anche vero che un individuo non può tener testa da solo ad una rivoluzione. Dopo che io, pienamente cosciente di questa situazione, avevo rimesso nelle mani di sua Maestà l’imperatore nella tarda serata del 13 marzo le mie dimissioni, trasferii la mattina del 14 marzo la direzione degli affari della corona e della cancelleria di stato al presidente ad interim di queste mentre, tranquillo, mettevo ordine nelle altre faccende. Più tardi assieme a mia moglie sono andato a pranzo dal conte Taaffe, dopo di che decisi di recarmi in carrozza a Feldsberg per sistemare le mie faccende private, per le quali occorreva un certo periodo di tempo. Dopo un lungo soggiorno a Feldsberg, proseguii il viaggio in treno fino a Praga passando per Olmutz e poi di nuovo con il postale fino a Dresda passando per Teplitz. Da Dresda mi sono trasferito con il treno, nel quale ho trascorso un viaggio confortevole, a Minden passando per Hannover e da lì mi sono recato di nuovo con il postale ad Arnhem in Olanda. Dopo una permanenza in questa città di otto giorni, ho ripreso il cammino per Amsterdam e l’Aia (dove ho trascorso molti giorni) fino a raggiungere Londra. Sto annotando questi dettagli, poiché tutto quello che venne riferito sul mio precipitoso viaggio, appartiene all’aneddotica. Certamente non la paura di fronte al pericolo dovuto all’importanza della mia posizione mi ha indotto alle dimissioni, né il timore degli uomini mi ha allontanato dal regno, bensì l’impressione che la mia permanenza avrebbe favorito l’uno o l’altro nemico dell’ordine, aggravando di conseguenza la posizione dei suoi sostenitori. Il mio ritiro dalla carica che ho esercitato per 39 anni al fine di mantenere la pace nell’impero tra le tempeste di un’epoca particolarmente travagliata, ha segnato il momento in cui la mia persona dovette cedere ad una forza superiore. Il così denominato sistema metternichiano non era 102


VI. Il mio ritiro. 1848

un sistema ma un ordine mondiale. Le rivoluzioni toccano i sistemi, ma le leggi eterne stanno al di sopra ed al di fuori di ciò che a ragione ha valore di sistema. Tanto chiaramente veniva allora indicato il mio ruolo personale nel precedente ordine, quanto a stento ora mi so riconoscere un ruolo nel periodo di transizione da un ordine già delineato ad un altro che deve ancora essere creato.

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VII Il mio testamento politico (redatto tra il 1849 ed il 18551) “ci sono due specie di popolarità: l’una, la vera, scaturisce dai fatti; l’altra corre dietro l’impazienza senza mai raggiungerla.” Io

Il pensiero di lasciare ai contemporanei ed alle generazioni future questo scritto, non è dovuto al mio ritiro dalla vita pubblica, bensì all’opinione corrente, che attribuisce alla precedente condizione dell’impero asburgico lo status di un sistema che porta la mia firma. Il titolo di “Testamento politico”, che ho dato a queste pagine, è sufficiente ad indicare l’indirizzo che intendo perseguire durante la loro stesura. La posizione di un uomo, che ha posto il proprio sigillo sugli eventi, naturalmente, si distingue da quella dello storico, che disegna gli avvenimenti secondo l’orizzonte dei propri valori. Quello è responsabile per le sue azioni, mentre questi è responsabile dei propri giudizi. La condizione per una giusta interpretazione degli avvenimenti non sta nell’esito delle imprese bensì è la conoscenza dei contesti, dai quali esse si sono origi1 - Questo scritto vuole essere un’accurata difesa della propria opera fatta con l’ausilio delle fonti e dei materiali d’archivio. Come dice von Srbik: “Il testamento finisce in una difesa della propria parte e della propria opera. La sua coscienza lo assolve dagli errori nell’ambito politico e morale, separando intenzione e successo, volere e potere, princìpi ed applicazione” (H. Srbik, Metternich der Staatsmann und der Mensch, p. 441, Band II).

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ORDINE ED EQUILIBRIO

presente al suo animo, sia nella direzione giusta che in quella sbagliata, di ciò che voleva o che non desiderava, di ciò che raggiunse o non riuscì ad ottenere. Tutti quelli che hanno preso parte in un modo così eminente alle faccende dello stato, sottostanno a questo destino tanto più se esso deve gravare sul nome di chi diresse la politica di un gran impero in un’epoca così travagliata per un periodo di quasi quarant’anni. In quale momento è terminata la mia vita pubblica? Si dia uno sguardo alla situazione nella quale si trovavano il nostro impero e l’Europa tra il 1809 e il 1848 e se si può pretendere dalle cognizioni di un uomo di trasformare la crisi in una guarigione! Riconosco di aver compreso la situazione, ma anche l’incapacità di costruire nel nostro impero e in Germania un nuovo edificio, al quale, innanzitutto, avevo rivolto le mie cure per il mantenimento dell’ordine costituito. Agli inizi del 1848 gli stati della mitteleuropa sono caduti o sembrano traballanti, come se fosse avvenuto un violento terremoto. Tutto è partito, come sempre ormai accade dalla fine del secolo XVIII, anche questa volta, dalla Francia. L’effetto che si è manifestato ha assunto la cadenza delle leggi fisiche. L’impatto ha operato sulle grandi entità indipendenti e sui piccoli stati cuscinetto, incuneati tra di esse, in maniera diversa, dal momento che le prime lo hanno avvertito più violentemente. La Francia, la cui ricostruzione è stata fatta con materiale leggero, si è ricoperta di polvere, mentre nei grandi imperi centrali si è sparsa a terra una gran quantità di pietre e di travature, sotto le quali venne sepolto il vecchio ordine. Che anche a me dovesse toccare lo stesso destino era inevitabile. Ma raramente al destino di un uomo appartiene quello che è capitato a me: io ho vissuto e sono sopravvissuto al momento di svolta della storia mondiale. *** Ho fatto la storia e perciò non ho trovato il tempo per scriverla. Comunque non mi è stato concesso il potere di portare a termine questo doppio compito e, inoltre, ero già abbastanza vecchio per dedicarmi a ciò, dopo il mio ritiro. 112


VII. Il mio testamento politico

Lontano dalle indispensabili quanto necessarie fonti d’archivio, non mi sarebbe rimasto che affidarmi a i miei ricordi, ma ho voluto desistere, preferendo ad essa la forma che ho qui delineato. La storia dei miei quasi trentanove anni di attività al ministero giace in tre fonti diverse. 1 - Nell’archivio del dipartimento, che io diressi, e i cui atti coprono un arco di tempo che va dalla battaglia di Wagram dell’estate 1809 fino al 13 marzo 1848. 2 - In una raccolta di atti alla quale ho dato il titolo di “Materiali per la storia del mio tempo” e che lascio ai miei eredi. 3 - In corrispondenze e scritti che ho raccolto e curato durante il mio ritiro. Tutte assieme, queste fonti offrono abbondante materia per ricercatori imparziali. Né l’amor proprio, né la propensione alla prepotenza hanno alimentato il mio desiderio di divulgare pensieri e sentimenti che mi hanno accompagnato nel corso della mia attività. Piuttosto, la mia sensibilità si fonda su altri principi: vale a dire che nella mia personalità predominano l’elemento storico e il dovere della verità. Attribuisco a tutto quanto detto finora il valore di una disposizione testamentaria.

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VIII Carteggio con Donoso Cortes. 1851-52 1

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Il principe Metternich a Donoso Cortes Castello di Johannisberg, 5 agosto 1851 Signor marchese, il viaggio di un amico a Parigi mi dà l’occasione di ringraziarla per la copia della Sua nuova opera che Lei mi ha mandato.3 Non si meravigli del ritardo con il quale adempio a questo dovere: i Suoi scritti non appartengono a quelli che si leggono in fretta e furia, ma hanno bisogno di essere meditati. Nell’ammirevole Saggio sul cattolicesimo, il liberalismo e il 1 - Da Donoso Cortes, Saggi sul cattolicesimo, il liberalismo e il socialismo e altri scritti degli anni 1851-53, pubblicati da Gunter Maschke, Acta Humaniora, Weinheim 1989. 2 - Donoso aveva inviato a Metternich la prima edizione francese dei suoi Saggi. 3 - Juan Donoso Cortes, marchese di Valdegamas (Valle de la Serena 1809 - Parigi 1853). Politico e scrittore, tra i più acuti rappresentanti del pensiero conservatore di tutto il XIX secolo. Il suo percorso formativo lo conduce a soggiornare in città quali Salamanca, Caceres nonché Siviglia, dove consegue la laurea in giurisprudenza. Nel 1832 abbraccia la carriera politica diventando uno degli esponenti liberali più influenti, tanto da essere uno dei fautori del colpo di stato che porterà sul trono la regina Maria Cristina a discapito di Don Carlos sostenuto dalle forze clericali e reazionarie. L’attività politica si accompagna a quella di pubblicista in difesa della monarchia e dei principi liberali culminando nelle “dieci lezioni di diritto politico” tenute tra il ’36 e il ’37 che gli valsero il soprannome di “Guizotin”. Negli anni ’40 si assiste ad un ripensamento graduale ma inesorabile delle sue idee che alla fine del decennio lo condurrà su posizioni decisamente conservatrici. La costituzione del 1845, da lui principalmente architettata, rappresenta una testimonianza della revisione della sua concezione politica, alla quale certamente contribuirono i colloqui e le discussioni col musicista misticheggiante Santiago Masernau. Intanto gli incarichi politici si susseguirono dapprima come ambasciatore a Berlino e poi come plenipotenziario spagnolo a Parigi. Già malato, due anni prima della morte, nel 1851 pub-

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ORDINE ED EQUILIBRIO

socialismo tutto è così eloquente come il Suo pensiero e lucido come la Sua intelligenza. È per me diventato una vera e propria questione di coscienza che quest’opera venga diffusa in Germania. Presto, qui, apparirà una traduzione, per mezzo della quale spero che si possa fare, agli ampi territori di lingua tedesca, tutto il bene che Lei si è proposto nella sua opera. Lei, signor marchese, continui, rendendomene degno, a mettermi al corrente dei Suoi lavori dedicati alla difesa della verità: mi annoveri sempre tra i Suoi più appassionati ammiratori e consideri l’attestazione della mia profonda ammirazione come tutt’altro che una semplice formula di cortesia.4 Metternich blicò l’opera che lo consacrò all’attenzione dell’opinione pubblica europea, per l’appunto il Saggio sul Cattolicesimo, il liberalismo ed il socialismo. In essa Donoso sostiene che lo storico finisce per evidenziare tutte le cose visibili, che si rendono tali solo grazie “ad un’armonia invisibile”, che le sostiene e le genera. La redenzione si concilia con la libertà dell’uomo per il fatto che “Dio opera e l’uomo coopera”. La libertà non va intesa come semplice libertà di scelta “perché questa lungi dall’essere la condizione necessaria della libertà ne è il pericolo, essendo ad essa congenita la possibilità di abbandonare il bene, di cadere nell’errore… solamente colui che perde questa facoltà può intendere il bene, volerlo e realizzarlo, e solo colui che la perde è perfettamente libero.” (Juan Donoso Cortes, Saggio sul Cattolicesimo, il liberalismo ed il socialismo, a cura di Giovanni Allegra, Rimini, 2007, p. 117). Dunque la libertà non consiste nel libero arbitrio, anzi ne è agli antipodi, ma consiste “nel volere e nell’intendere, in quanto l’uomo è dotato di volontà ed intelligenza; ma non è perfettamente libero perché non possiede un intelletto ed una volontà infinita e perfetta.” (Donoso Cortes, op. cit., p. 115). Dunque la vera libertà sembrerebbe la capacità di volere e di intendere un ordine che è trascendente, per cui quanto più si adegua nel presente o quanto più è in grado di tradursi nel piano della storia, maggiormente si attua la sua redenzione e la sua libertà. Se vogliamo tradurre sul piano politico questa equazione tra libertà, volontà ed intelletto, ciò significa che è libero solo “chi obbedisce al suo legittimo signore” (Donoso Cortes, op. cit., p. 116). A questo punto, si può comprendere chiaramente, come queste idee abbiano riscosso l’attenzione e l’entusiasmo di Metternich, che trovava in Donoso, inaspettatamente quasi alla fine della propria vita -quando oramai da tempo si era conclusa la vicenda politica- il teorico in un certo senso, di tutto ciò che aveva fatto, realizzato e professato, insomma, di tutta l’opera da lui creata. 4 - Metternich aveva incontrato Donoso Cortes a Bruxelles nell’aprile del 1851, vale a dire nell’ultimo scorcio del suo soggiorno nella capitale belga che abbandona, dopo quasi due anni, il 9 giugno 1851 per trasferirsi nei propri possedimenti di Johannisberg nei pressi di Coblenza, dove dimora per tutta l’estate in attesa del ritorno definitivo a Vienna che avverrà il 24 settembre dello stesso anno. Durante la sua permanenza a Johannisberg, oltre alla copia in francese dell’opera di Donoso, egli ricevette il 6 agosto, il giorno dopo la stesura

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VIII. Carteggio con Donoso Cortes. 1851-52

e così via. Solo il cattolicesimo è rimasto da sempre cattolico. Tutto ciò che, Principe, è balenato alla mia mente l’ho consegnato in questa risposta alle osservazioni di Vostra Altezza, dal cui ulteriore giudizio attendo di sapere se sono stato esauriente nelle mie riflessioni. È vero che molte cose sono accadute da quando ebbi l’onore da me lungamente sentito di manifestare a Vostra Altezza la mia ammirazione. Se devo dirle sinceramente cosa penso, mi sembra che gli avvenimenti di cui siamo stati testimoni8 non hanno procurato alcun cambiamento tale da rendere il futuro meno orribile di quanto lo furono i tempi recenti. Vorrei discutere, se fosse possibile, con Vostra Altezza della situazione attuale dell’Europa e comunque non credo che questo sia possibile, almeno non ritengo ancora per il momento, di affidare ad una lettera una così complessa ed ampia questione. Mi permetto soltanto di dire a Vostra Altezza, che la questione dei territori comincia a prendere il posto della causa rivoluzionaria o, per essere più chiari, che la rivoluzione, grazie ad uno di quei lampi che il suo genio demoniaco ogni tanto le suggerisce, aspira a tramutarsi in questione territoriale. In un certo qual modo le cose vanno in questa direzione, cioè che la rivoluzione alzerà la testa sopra di noi e risolverà la questione a suo vantaggio, annettendosi i territori. Rimetto questa considerazione alla saggezza di Vostra Altezza. Voglia Iddio, il quale si degna di preservarla in buona salute per il bene dell’Europa, suggerirLe dei saggi consigli per eliminare questo pericolo, che Vostra Altezza per lungo tempo ha scongiurato favorendo la tranquillità e il benessere dei suoi contemporanei. Con la più profonda stima e con sincera ammirazione, ho l’onore, Principe, di considerarmi il più ossequioso dei Vostri servitori. il marchese di Valdegamas

8 - Si riferisce al colpo di stato di Luigi Napoleone del 2 dicembre 1851.

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IX Metternich privato L’isolano Vienna, 2 luglio 1824 Sono in mezzo al caos, come un uomo che, un giorno, stando su un’isola, fosse stato risparmiato al sopraggiungere del diluvio universale. Rimango fermo al mio posto senza gettarmi nei flutti ma aspettando che la piena mi raggiunga o si ritiri. Grido ad uno di mettersi accanto a me, mentre imploro gli altri di non gettarsi inutilmente nell’acqua. Tutti mi sentono ma nessuno mi ascolta; ogni tanto mi si chiede di recedere dalle mie posizioni, ma io non chino la testa, anzi mi do da fare, a mettere una pietra sull’altra, per poter stare ancora più in alto. ***

Un uomo di successo Ischl, 31 luglio 1824 La stampa, che solitamente non mi dà un attimo di tregua, mi incalza ad ogni passo. Sarebbe gradito che i giornali sapessero e dicessero la verità, così si renderebbero conto che io non ho mai fatto una mossa senza un preciso motivo e prima di aver ottenuto un successo. Dubito fortemente che un mio solo successo possa suscitare compiacimento e soddisfazione nelle redazioni. La mia vita è stata una specie di apostolato, poiché io non ho cercato il successo là dove tanti intrusi svolgono la loro cattiva opera; proprio per questo, probabilmente, le opinioni di molti sono in sintonia con le mie. Soprattutto incontro un gregge di fedeli che 123


ORDINE ED EQUILIBRIO

chiamiamo amore. Come i nostri sensi hanno il potere di metterci in contatto con delle sostanze omogenee, così anche l’anima è in grado di cercare delle nature affini. Nulla, se non l’anima (questa entità, la quale è assolutamente indipendente dalla pesantezza e dalla materia dell’io) desidera scoprire le anime che ad essa sono legate (e le anime sono sicuramente legate reciprocamente in un contatto che si sottrae alla conoscenza poiché questa sfugge ai nostri sensi) senza che tutto ciò venga ancora avvertito dall’io soprastante e senza che, presumibilmente, percepisca mai qualcosa. Affinché la sfera corporea sia interessata da questo fenomeno, si devono verificare particolari circostanze concrete: incontro, sguardo e, quasi certamente, qualche tipo di influenza materiale. Se queste circostanze non si presentano, ci sarà una cognizione vaga e confusa solo a livello del pensiero e del desiderio. Se al contrario, tali circostanze si realizzeranno e l’incontro avviene, motivi esterni potranno ancora impedire che si realizzino soltanto pensieri e desideri di carattere spirituale, come ad esempio nel caso di un incontro tra persone di età molto diversa o appartenenti ad un rango differente oppure ad un ordinamento del tutto separato, come spesso avviene nella società. Tuttavia se non si presenta nessuno di questi ostacoli, se gli esseri si trovano nella stessa disposizione d’animo, vale a dire, se natura e condizione dei loro organi intellettuali sono gli stessi e l’incontro avviene, allora, cara amica, essi non potranno sfuggire l’uno all’altro. Le relazioni si instaurano tra coloro, che sembra già si conoscano. Tutto quello che scaturisce dall’essersi materialmente conosciuti, cioè fedeltà, rilassamento, sicurezza, si manifesta nel momento dell’incontro. Si prende atto solo di chi è conosciuto da un pezzo, soltanto ciò che è noto da lungo tempo viene creduto e infine è amato soltanto ciò che sempre fu amato.

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POSTFAZIONE Cocchiere e medico dell’Europa di Jean-Jacques Langendorf

“Rappresentanza del visirato e della magnificenza! Ordine del ministero e della grandezza! Fortezza dell’onore e della maestà! Guida degli affari mondiali! Dominatore degli avvenimenti! Benedetto visir, il cui giudizio ha la stessa forza penetrante del pianeta giove! Degno e magnifico, potente e radioso, fermo e perseverante, il più grande dei visir e degli emiri! Il più eccellente, il più degno, il più avveduto, il più illustre, il più amato, il più caro! Immagine di tutti i grandi principi cristiani, modello di grandezza, per tutti coloro che credono in Dio! Il migliore, l’amico più benvoluto, principe di Metternich, gran visir dell’alta corte tedesca!”. Tutti i presenti a Vienna nella sala delle udienze il 6 febbraio 1819 dovettero a stento trattenersi dalle risa, ascoltando questa serie di ampollosi e poetici titoli che l’ambasciatore dello Scià di Persia leggeva solennemente ad alta voce. Il loro destinatario era una sola persona: il principe Clemens Lothar Wenzel Metternich che ormai da dieci anni reggeva i destini della politica e della diplomazia austriaca. Ci sembra, che questo pittoresco e orientale profluvio di parole abbia colto abbastanza bene l’essenza della sua attività, apprezzandola nella giusta misura. Egli non aveva mai peccato di modestia. Sin dalla giovinezza, senza manifestare nessuna forma di compiacimento, ma con quella calma che gli conferiva una notevole sicurezza, egli era consapevole dei suoi alti ed autentici valori. Scrive nel 1818: “Sono venuto a Francoforte come il messia per salvare i peccatori. In Germania e forse in Europa, sono diventato una specie di potenza morale. Una potenza che, quando un giorno scomparirà, renderà percettibile il vuoto”. Qualche anno dopo dirà: “La particolarità della mia po-

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ORDINE ED EQUILIBRIO

zione, la quintessenza del demoniaco. A questo desiderio di pulizia interna, se ne accompagnava un altro, esterno, di natura diplomatica: il mantenimento dell’equilibrio europeo. Anche in questo caso egli segue dei principi di assoluta semplicità: “Lo stabilire rapporti internazionali sulla base della reciprocità, ponendo attenzione ai diritti acquisiti e allo scrupoloso mantenimento della parola data, forma oggigiorno l’essenza della politica, di cui la diplomazia costituisce soltanto la quotidiana applicazione”. Metternich intraprende un’abile partita con le potenze europee, a vantaggio della dinastia che egli serve, prima di tutto, ritenendola la più monarchica fra le altre. Si guarda dalla instabilità della Francia, anche dopo la restaurazione; si pone di fronte alla barbarie ed alle tentazioni imperialistiche della Russia, contro la quale conta di utilizzare la Turchia, mentre l’Inghilterra deve costituire il necessario contrappeso alla Francia. Più di ogni altra cosa teme una Germania unificata, che al massimo, a suo avviso, dovrebbe rappresentare una federazione di stati indipendenti. E all’idea che la Prussia -per giunta uno stato protestante- potrebbe diventare la forza propulsiva di siffatta unione, ancora maggiormente diffida di essa. In alcun modo uno stato federale può subentrare ad una federazione di stati. Anche nei riguardi dell’imprevedibile Spagna mostra diffidenza, dal momento che essa è “o tremendamente monarchica o decisamente radicale”. Per quanto concerne l’Italia, la considera solo un’espressione geografica, mentre maledice la Svizzera che, allora, viveva una stagione liberale, come “la vera cloaca d’Europa”. Nel maggio del 1859 poche settimane prima di morire, ricevette nella sua casa viennese l’ambasciatore austriaco a Parigi, Hubner. Entrambi diedero vita ad un lungo, animato colloquio e quando il diplomatico si congedò, egli ripeté più volte all’anziano signore: “Io fui una roccaforte dell’ordine, una roccaforte dell’ordine”. Effettivamente ha tenuto testa alla rivoluzione del ’48 come una roccaforte, a quella rivoluzione che non solo suggellò la fine della sua egemonia, ma che significò anche l’iniziale crepuscolo di un mondo che egli aveva governato nel miglior modo possibile. Durante i 12 anni successivi al suo ritiro, non si lasciò impressionare da nessun avvenimento. Si può dire che egli ebbe ragione e gli eventi torto. Come medico e farmacologo, fece tutto il possibile per fermare la 136


Postfazione - Cocchiere e medico dell’Europa

follia che i dottrinari, i repubblicani e i bacilli nazionali avevano suscitato. Adesso è soltanto uno spettatore passivo che attende la sua fine. Egli non presagisce nulla di buono per l’Europa, finita nell’assenza di ordine e di equilibrio, la cui situazione è tanto più critica da quando ha perso l’unico uomo, lui stesso, capace, se fosse rimasto al suo posto, di guidarla sulla giusta via. Metternich fu uno statista di pace, filosofo della legittimità e diplomatico. Nell’ordine e nell’equilibrio vide la garanzia di quella pace che soltanto, beninteso, una monarchia è in grado di conservare. “Nessuno oggigiorno desidera una rivoluzione sociale, una caduta violenta dei governi legittimi e una loro sostituzione con delle incognite, poiché il mondo attuale è troppo interessato ai piaceri materiali ed ai profitti industriali, per mettere in gioco questi beni in favore di vuote teorie. Al contrario: quello che generalmente e decisamente si vuole, è una conciliante, tranquilla, comoda condizione di pace e chi garantisce questo al popolo è da esso considerato (…) il benvenuto” così scriveva alla fine della sua vita. In queste frasi risplende ancora una volta, in un mondo che è in pieno rivolgimento, il sole mite dell’Ancien Regime, che ci porta con la fantasia agli armonici, gioiosi paesaggi che si possono ammirare nelle tele di Claude Lorrain, modellati secondo i principi dell’ordine e dell’equilibrio.

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Indice

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Nota preliminare al testo

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Introduzione - Metternich: la Politica oltre la Storia

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Cenni biografici

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I - Sulla necessitĂ di un generale riarmo dei popoli ai confini della Francia da parte di un amico della pace

47

II - La natura delle sette nella Mitteleuropa

51

III - UniversitĂ e stampa

59

IV - Confidenze allo zar Alessandro - 1820

77

V - Napoleone Bonaparte. Un ritratto - 1820

91

VI - Il mio ritiro. 1848

105

VII - Il mio testamento politico

115

VIII - Carteggio con Donoso Cortes. 1851-52

123

IX - Metternich privato

129

Postfazione - Cocchiere e medico dell’Europa di J.J. Langendorf



Stemma araldico di Klemens Lothar von Metternich riportante la massima: “Kraft im Recht� (La Forza nel Diritto)


Finito di stampare presso Cangiano Grafica in Volla (NA) nel mese di Ottobre 2011

E.S.A. - Edizioni Scientifiche e Artistiche Š 2011 Proprietà letteraria artistica e scientifica riservata www.edizioniesa.com info@edizioniesa.com tel. 081 3593146 - 339 8774962



€ 12,00

ISBN 978‐88‐95430‐32‐4

9 788895 430324

> edizioniesa.com


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