HELPLESS REVISITED di Falconiere Del Bosco
Da quasi 60 anni si chiama Fausto Marchetti, ma quando scrive preferisce apparire come Falconiere del Bosco, nick scelto insieme ai suoi figli quando hanno deciso di lanciarlo su Facebook convinti di perderlo per sempre. È lì che al perito industriale, fornaio da trent’anni, è venuta la voglia di scrivere. Un suo racconto fa parte della raccolta Cronache dalla fine del mondo per i tipi di Historica Edizioni. Altri racconti sono apparsi qua e là ma non si ricorda dove perché è una persona con la testa tra le nuvole, anche se da una decina di anni le batoste della vita gli hanno tagliato le ali. La sua passione principale è la musica rock blues degli anni migliori: ‘67/74. Dal 2009 scrive racconti sul suo blog http://falconieredelbosco.wordpress.com
HELPLESS REVISITED
Di chi sono le voci che incidono il mio sonno in questa notte di primavera? L’aria dello scirocco proveniente da sud est, mischiandosi con quella umida del mare, porta tempo freddo e soffia via il rumore dei veicoli in transito sull’autostrada alle mie spalle. È una delle rare volte in cui riesco ad ascoltare le grida dell’uccello prigioniero nella voliera tra le mura dell’antico convento. Il pavone paupula dalla stagione degli amori fino in autunno, quando con la muta perderà le bellissime penne dello strascico bronzo-rame. La sua voce sgraziata proviene da un buio profondo contrastando la bellezza della livrea sventagliata alla luce del giorno. L’urlo scongela la memoria e scioglie il laccio dei ricordi inghiottiti dal tempo, rimasti lì, dipinti su una tela impolverata in soffitta. Ascolto le voci... arrivano dall’oltre, da un’oscurità in cui i pensieri assumono una forma immaginaria e [17]
le persone non corrispondono esattamente alla realtà che è stata, ma più precisamente che hanno avuto o che hanno acquistato nel tempo scandito dai suoni che segnano il trascorrere della vita. È la stessa sensazione che provo quando sento cantare Kurt Cobain. Il particolare vocalism acido, struggente e strozzato del carismatico leader dei Nirvana, arrancando si arrampica dal plesso solare prima di districarsi tra i rovi e i nodi della gola per arrivare a far vibrare le corde vocali, mentre la sua chitarra alterna note lancinanti e cristalline armonie. Metto a fuoco le immagini che avanzano nel buio della notte: due ragazzi del ’67 camminano tra le nuvole; Kurt e Michele non si sono mai incontrati ma l’italiano sapeva tutto del coetaneo yankee. Una canzone nella memoria procede con loro. Il suono d’armonica accompagna una ballata country-folk, un malinconico rimpianto dei luoghi dell’infanzia, quando al tempo della guerra del Vietnam nei cieli al posto degli uccelli volavano caccia bombardieri. Mi lascio trasportare dalla voce di Neil Young; probabilmente negli anni della prima infanzia il bambino di Aberdeen l’ascoltava a tutto volume. Nella casa del bambino italiano sicuramente no, era tutt’altra musica là. Bambini tristi e sensibili, con comune e disperato desiderio di una famiglia tranquilla.
Grandi uccelli volano nel cielo gettando ombre sui nostri occhi… Ci lasciano indifesi, indifesi, indifesi. Le catene sono serrate e legate alla porta. [18]
Disperazione e angoscia pesano, bloccano e frustrano ogni movimento. Il cantautore canadese esorta a sostenerci gli uni agli altri per farci sentire:
Piccolo, riesci a sentirmi ora? Piccolo, canta con me in qualche modo. We are helpless helpless helpless.
Indifesi. Marines tra i bambù sulle rive del Mekong. Indifesi. Kurt e Michele tra mura domestiche d’incomprensione. Indifesi. In una guerra dove parole e silenzi bruciavano come il Napalm. Il ritornello si ripete nella mia mente e mi accompagna a rincorrere i pensieri. Mi libro in aria per cercare posti che si visitano solo nei sogni ad occhi aperti accostando una tessera accanto all’altra per ricomporre un puzzle del quale non si conosce ancora l’immagine completa. Forse il musicista dei Nirvana cominciò a manifestare interesse per il rock proprio da bambino ascoltando Helpless; sicuramente fu in quel periodo che iniziò a mostrare il suo talento musicale. Michele ascoltò la stessa canzone per la prima volta a casa mia, verso la fine degli anni ‘80, quando dopo aver visto alcuni miei lavori mi contattò per chiedermi consiglio in merito alle scene per una rappresentazione teatrale che stava allestendo con una compagnia di coetanei. Mi mostrò alcuni disegni conservati dall’infanzia: ognuno raffigurava un angelo le cui ali rosse infiammavano un cielo dipinto di nero. Mentre sfogliavo i suoi lavori, mi venne da sorridere al pensiero che me li presentasse capovolti e mentre glielo facevo notare mi disse: «Sei tu che li stai guardando al con[19]
trario.» Era vero. Gli angeli stavano precipitando. Quel pomeriggio MTV trasmetteva The Last Waltz, il film di Martin Scorsese sul concerto d’addio della Band. Dopo aver ascoltato la performance di Neil Young, il ragazzo afferrò per il manico la mia dodici corde coreana e mi chiese se sapevo suonarla. Re La Sol, tre accordi semplici per Helpless. Il mio giovane amico volle provare a strimpellare e quando rimboccò fino al gomito la manica della camicia, notai alcuni segni e lividi sul suo braccio che immediatamente classificai come buchi da eroina. Non sapevo cosa dire, lo conoscevo appena. Scrollando la testa mormorai che avevo perso da poco un amico per overdose. Replicò con una frase di Kurt: se vuoi sapere com’è la vi-
ta nell’aldilà, mettiti un paracadute, sali su un aereo, riempiti le vene di una buona dose d’eroina e a quel punto salta. O, in alternativa, datti fuoco, e per smaltire il mio disagio
mi chiese di suonare qualcosa d’altro. Sempre dell’ex Buffalo Springfield gli feci ascoltare My my, hey hey, con altrettante posizioni facili delle dita sui capotasti per suonare gli accordi. Questa seconda canzone, incisa nel ‘79 per l’album Rust never sleeps, è una riflessione sui mutamenti musicali del tempo; nata dall’evidenza che un artista deve continuare a produrre sempre musica simile a quella che l’ha reso celebre, pena l’uscita dalle scene.
Il rock and roll è qui per restare. È meglio bruciare subito che svanire lentamente. Il rock and roll non potrà morire mai. Kurt aveva poca stima di sé e non riusciva a pensare di [20]
poter diventare una rock star e quando cominciò a suonare lo fece nel modo più arrabbiato possibile. L’unica cosa che riesco a fare é urlare dentro a un microfono, alzando al massimo il volume del suo amplificatore senza avere idea di cosa stesse facendo.
Fai dono della musica! Mettere il proprio nome su un disco non conta un cazzo. Chiunque lo può fare, ma c’è una grande differenza tra raggiungere la notorietà e conquistare il rispetto di sé attraverso la musica.
Nella città di Seattle, centro privilegiato nel consumo di eroina in quegli anni, i giovani si rifugiavano nella musica per sfuggire alla noia e al male di vivere. Kurt e Michele troppe volte hanno provato a infilare ali d’acciaio nelle loro braccia nel tentativo di superare gli ostacoli, alla ricerca di un posto in cui stare in pace, ma lo stesso destriero che li conduceva, dopo la corsa li disarcionava e con gli zoccoli li schiacciava a terra sprofondandoli sempre più nella sabbia e nel fango. Mi ritrovo a posizionare tessere nere, sono quelle degli anni che vanno da quel primo incontro con Michele fino all’inizio del ‘94. Un tempo nel quale la consapevolezza della mia impotenza di fronte al dramma che stava distruggendo giovani vite come la sua, mi aveva fatto allontanare dal suo progetto e dalla sua esistenza. Cosa avrei potuto fare per lui? Ho ignorato la produzione musicale dei Nirvana, mai ascoltato una loro canzone. Spazi vuoti. Nessuna collaborazione con Michele; quattro o cinque anni di buio completo, come se non fosse mai esistito, fino a quando mi giunse notizia che stava male. Gli feci visita [21]
nella sua casa al terzo piano. Mi disse che stava morendo di aids. Non chiesi nulla; mi sedetti sul divano accanto a lui e al suo cocker spaniel nero che mangiava caramelle gommose. Il ragazzo emaciato mi chiese di ascoltare con lui una canzone d’amore vecchio stile introdotta da un lungo assolo di chitarra: Come as you are.
Vieni come sei, come eri, come voglio che tu sia. Come un amico, come un vecchio nemico, come un vecchio ricordo. Vieni immerso nel fango, inzuppato di candeggina. Come voglio che tu sia.
Nota dopo nota, come lava da un vulcano, scaturì una micidiale mistura di angoscia, inquietudine, frustrazione e dolore. Michele finalmente aprì il suo cuore e con flebile voce liberò poche parole: «L’eroina mi serviva per annientare gli ostacoli che il mondo continuamente mi metteva davanti. L’ago d’acciaio, una spada nelle vene, un machete per farmi strada nella foresta e oltrepassare i confini di una realtà insopportabile. Gli angeli indifesi precipitano.» «Michele, cosa posso fare per te?» «Io sono indifeso e tu inerme, ma puoi fare solo una cosa... Ricordami con un’immagine.» Morì alla fine di marzo del 1994. Pochi giorni dopo, il corpo di Cobain fu ritrovato senza vita nella sua casa di Seattle, con un colpo di arma da fuoco in testa. Lasciò un messaggio che riportava uno dei momenti più drammatici del brano di My my hey hey, meglio bruciare che spegnersi lentamente, dello stesso Young che qualche giorno prima aveva cercato inutilmente di mettersi in contatto con lui per dirgli quanto amava le sue canzoni, [22]
spronarlo a continuare a fare ciò che più gli piaceva senza tenere conto delle aspettative del suo pubblico. Lo scirocco ha cambiato direzione; l’uccello prigioniero non canta più o forse è il traffico sull’autostrada a soffocare la sua voce. Ho messo insieme tutte le tessere che avevo; il puzzle è incompleto, ci sono troppi spazi vuoti, troppe cose che non ho voluto approfondire sulla vita di Michele e sulla musica di Kurt. Apro gli occhi. La radiosveglia segna le sei. Un raggio di sole filtra tra le ante della mia camera da letto; all’improvviso quello che era invisibile diventa visibile: minuscole particelle di polvere fluttuano nell’aria. Richiudo gli occhi e provo a completare. I due coetanei del ’67 si fondono in un’unica immagine simile a uno stupendo quadro di Chagall. Una fiamma trafigge l’oscurità e si abbatte sull’umanità indifesa; un angelo insanguinato sta cadendo sulla terra dove gli uomini continuano a commettere i loro orrori indisturbati. L’immagine si fa incendio. Emozioni di purezza, bellezza, armonia, disperazione. Un pugnale scanna la scelta di vivere: meglio bruciare
che spegnersi lentamente.
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