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Scadenza fa rima con spreco Guido Guidi

Obiettivi raggiunti e consumatori tutelati

Etichette: rapporto UE sull’indicazione di origine obbligatoria per le carni

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L’ indicazione obbligatoria del Paese di origine o del luogo di provenienza delle carni della specie suina, ovina o caprina e di volatili (uniformandole alle carni bovine) è in vigore dal 1o aprile 2015 come parte del Regolamento (UE) n. 1169/2011, ovvero la normativa dell’UE sulla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori (Food Information to Consumers Regulation). L’obbligo riguarda la carne fresca, refrigerata o congelata non trasformata e preimballata in qualsiasi taglio e include la carne macinata. L’articolo 26, paragrafo 4, del Regolamento FIC prevede che, entro 5 anni dalla data di applicazione delle nuove norme, la Commissione presenti al Parlamento europeo e al consiglio una relazione per valutarne l’attuazione e l’impatto.

La suddetta relazione è stata pubblicata il 10 agosto scorso ed è basata principalmente su uno studio di supporto esterno, completato dal parere delle parti interessate raccolto durante diverse consultazioni. La valutazione si concentra sull’attuazione e sull’impatto del regolamento in relazione alla sua effi cacia, effi cienza, coerenza, pertinenza e al valore aggiunto dell’UE.

Non vengono affrontate altre considerazioni sulla questione generale dell’etichettatura d’origine e la possibile estensione ad altre categorie di prodotti (carne non preimballata o carne usata come ingrediente in preparazioni e prodotti trasformati), poiché esse saranno trattate da specifi che valutazioni d’impatto che la Commissione efI consumatori considerano l’etichettatura di origine un’informazione importante per le loro decisioni di acquisto di carne e accettano le regole stabilite nel regolamento. La maggior parte tende a preferire la carne di origine nazionale, considerando la carne prodotta nel proprio Paese più sicura o di migliore qualità e il livello di soddisfazione per le informazioni riportate sull’etichetta è stato generalmente elevato.

fettuerà nel quadro della strategia Farm to Fork.

Una relazione di valutazione sullo stesso argomento ha concluso che tutti gli obiettivi delle norme sull’etichettatura di origine sono stati raggiunti e che la loro introduzione non ha creato perturbazioni commerciali, evidenti aumenti dei prezzi per i consumatori e oneri inutili per gli operatori e l’amministrazione. La valutazione ha concluso che gli obiettivi del regolamento sono stati raggiunti e sono rimasti rilevanti nonostante un contesto mutevole, e in particolare per la crescente domanda da parte dei consumatori di maggiori informazioni sulle etichet-

te degli alimenti. La valutazione ha inoltre confermato la coerenza del regolamento con altre normative comunitarie e nazionali.

I consumatori considerano l’etichettatura di origine un’informazione importante per le loro decisioni di acquisto di carne e accettano le regole stabilite nel regolamento. La maggior parte tende a preferire la carne di origine nazionale, considerando la carne prodotta nel proprio Paese più sicura o di migliore qualità e il livello di soddisfazione per le informazioni riportate sull’etichetta è stato generalmente elevato.

Tuttavia, la loro comprensione dei termini e delle definizioni utilizzati sulle etichette è scarsa, il che mette in dubbio la chiarezza e l’utilità fi nale delle informazioni fornite ai consumatori. In particolare, sussiste una scarsa comprensione delle espressioni “allevato in” e “origine”. La maggior parte dei consumatori tende a interpretare l’espressione “allevato in” come il Paese in cui l’animale ha trascorso tutta la sua vita o come il Paese di nascita dell’animale.

È quindi probabile che alcuni consumatori si considerino (involontariamente) fuorviati dall’etichettatura per quanto riguarda il periodo di allevamento. Di conseguenza non si può concludere che le informazioni siano pienamente chiare e utili per i consumatori.

Le informazioni sull’origine/ provenienza sono suffi cienti per garantire una corretta etichettatura delle carni e possono essere generalmente verifi cate (controllate) dalle autorità competenti degli Stati Membri. Sebbene non siano stati individuati problemi sistemici, sono emerse differenze tra gli Stati Membri nella solidità dei controlli e del monitoraggio.

I costi di monitoraggio relativi al regolamento sono stati contenuti, poiché sono stati per lo più integrati dagli operatori in modifi che più ampie al monitoraggio richieste nel Regolamento sui controlli uffi ciali (UE) 2017/625.

Le norme sull’indicazione obbligatoria dell’origine sull’etichettatura sono state applicate in modo effi cace ed effi ciente, senza oneri inutili per la fi liera della carne e le amministrazioni nazionali. Ciò è stato facilitato dalle deroghe per la carne macinata, le rifi lature e la carne importata. L’effetto delle regole sulle dinamiche del mercato e degli scambi è stato marginale, e il costo dell’adattamento è stato assorbito nella fi liera e non trasferito sui consumatori.

La relazione della Commissione europea al Parlamento europeo e al consiglio sarà anche rilevante per una valutazione più ampia dell’etichettatura degli alimenti e delle informazioni ai consumatori nell’ambito della strategia Farm to Fork.

Fonte: EFA News European Food Agency www.efanews.eu

Scadenza fa rima con spreco

In Europa ogni anno fi niscono in pattumiera circa 8 milioni di tonnellate di alimenti, molto spesso perché scaduti. Ma non è detto non siano più idonei al consumo, anzi

di Guido Guidi

Photo © mekcar – stock.adobe.com

Finalmente la questione riceve le attenzioni dell’EFSA, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, che dichiara: “informazioni chiare e corrette sulla confezione e una miglior comprensione e applicazione dell’indicazione della data appropriata sugli alimenti possono contribuire a ridurre gli sprechi, pur continuando a garantirne la sicurezza”. La Commissione europea stima infatti che fi no al 10% degli 88 milioni di tonnellate di cibo buttato ogni anno nell’Unione sia dovuto all’indicazione della data di scadenza sui prodotti alimentari, sempre più spesso mal interpretata. Le principali categorie di alimenti che finiscono nella spazzatura sono frutta e verdura (33%, dati Commissione europea), prodotti da forno (21%), carne e pesce (10%) e prodotti lattiero-caseari (10%). E poiché sempre più spesso sono gli alimenti confezionati a farla da padrone nello spreco alimentare, è urgente un intervento sul tema, che aiuti a fare chiarezza tra i consumatori, sul reale signifi cato delle date che danno indicazioni in merito ai termini ultimi del consumo.

Non si tratta solo di una questione etica, considerato che nel mondo occidentale si butta via tanto prodotto, mentre in altri parti del globo si muore ancora di fame. È anche un problema ambientale, perché se sprecato il cibo sarebbe responsabile dell’8% delle emissioni globali di gas serra, particolarmente dannose per il pianeta. Ed è pure un problema di sostenibilità e di economia domestica. Sono le espressioni “data di scadenza” e “termine minimo di conservazione (TMC)” che, troppo rigidamente o del tutto erroneamente interpretate, inducono in inganno il consumatore, il quale teme che oltre quel momento il prodotto diventi un vero e proprio pericolo per la salute.

In realtà — e gli addetti ai lavori lo sanno bene — il “termine minimo di conservazione” è la data fi no alla quale, in adeguate condizioni, il prodotto mantiene le sue proprietà intrinseche. Non a caso la dicitura è “da consumarsi preferibilmente entro il” e se nella data vengono riportati giorno, mese e anno l’alimento in sé avrà un periodo di conservazione inferiore a tre mesi. Lo stesso TMC può essere riportato con l’espressione “da consumarsi preferibilmente entro fi ne…”, seguita da mese e anno e nel caso l’alimento manterrà le sue qualità nutrizionali, sensoriali (fragranza, profumo, gradevolezza al palato, ecc…) e la sicurezza di consumo per un periodo di tempo compreso tra i 3 e i 18 mesi. Quando la confezione riporta unicamente l’indicazione dell’anno “di scadenza”, signifi ca che il prodotto si manterrà inalterato e sicuro oltre i 18 mesi dalla sua produzione.

La “data di scadenza”, invece, è quella data entro la quale il prodotto deve essere consumato. La formula impiegata dal produttore è, non a caso, decisamente più perentoria. Indica il giorno, il mese e l’anno entro cui è necessario consumare l’alimento e oltre la quale perde le sue caratteristiche organolettiche, ma anche quelle nutrizionali e sensoriali e, man mano che ci si allontana dalla data stessa, anche quelle di sicurezza della salute. La data di scadenza è infatti riferibile ai prodotti freschi altamente deperibili come latte, formaggi freschi (ad esempio ricotta, stracchino, ecc…),

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