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Il caro energia come un fl agello Sebastiano Corona

La spending review degli Italiani, in modo anche sorprendente attivata su altri comparti, non ha ancora toccato il cibo. Sono 24 milioni e mezzo i nostri connazionali che, nonostante l’aumento dei prezzi, non sono disposti a scendere a compromessi nelle loro scelte alimentari.

17% dichiara invece l’intenzione di farlo con l’arrivo dell’autunno. Comunque sia, sarà per tutti un esercizio quotidiano che, oltre ai grandi capitoli di spesa, colpirà soprattutto il superfl uo di tutti i giorni, come bar e ristoranti, abbigliamento e intrattenimento extradomestico e comporterà anche il rinvio di viaggi e vacanze e il posticipo degli acquisti di prodotti tecnologici e arredo.

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Intanto il lavoro è sempre più povero e, soprattutto, lavorare non basta più. Nel rapporto tra costo del-

la vita e stipendi medi l’Italia è il fanalino di coda tra le principali

economie europee, con un salario del 33% più basso di quello dei Tedeschi, per esempio, che hanno un costo della vita equiparabile al nostro, mentre guadagniamo come gli Spagnoli, che hanno un costo della vita del 19% inferiore. Un occupato su 5 tra coloro che hanno contratti part-time è oggi a rischio povertà (era uno su sei nel 2010) e un dipendente su 10 full-time corre lo stesso rischio. A conti fatti sono 900.000 in Italia oggi i lavoratori che guadagnano meno di 1.000 euro al mese, il doppio rispetto a 15 anni fa.

Questo scenario diffi cile è terreno fertile per problemi di altro tipo: molto più che in passato gli Italiani si dichiarano dipendenti da smartphone e social (rispettivamente il 45% e il 28% del campione), guardano compulsivamente le serie TV (31%), inseguono esperienze ad alto tasso di adrenalina (12%) e prestano il fi anco ad abitudini negative come l’eccessivo consumo di alcolici, le scommesse e i giochi.

Nel frattempo quintuplica l’uso di psicofarmaci e si quadruplica l’uso di droghe. Anche le disfunzioni alimentari aumentano e colpiscono soprattutto i ceti più fragili.

La tempesta perfetta — così più volte ribattezzata — non poteva infi ne risparmiare la fi liera del cibo, anzi, ha trovato proprio nelle catene di approvvigionamento globali uno dei suoi principali epicentri. Oggi il mercato italiano sembra manifestare una dinamica infl attiva dei prodotti alimentari lavorati prossima alla doppia cifra, ma ancora in ritardo rispetto ad altri Paesi europei (da noi un +10% a fronte del +13,7% della Germania o del +13,5% della Spagna). Allo stesso tempo, in maniera inattesa, nonostante questa spinta dei prezzi, i volumi di vendita hanno tenuto (+7,8% primo semestre 2022 vs 2019), complice la calda e lunga estate italiana, il ritorno del turismo straniero e la capacità della Distribuzione Moderna di imporsi sugli altri canali di vendita specializzati. Il mercato italiano è però al momento l’unico a mantenere un trend positivo dei volumi (+0,5% contro –5,4% del Regno Unito, –3,7% della Germania, –2,3% della Francia e –1,3% della Spagna) e questa differenza, come il ritardo all’incremento dei prezzi, sembra presagire ad una inversione di tendenza imminente.

La spending review degli Italiani, in modo anche sorprendente attivata su altri comparti, per la prima volta da decenni non ha ancora toccato il cibo. Sono 24 milioni e mezzo i nostri connazionali che, nonostante l’aumento dei prezzi, non sono disposti a scendere a compromessi nelle loro scelte alimentari e nei prossimi mesi prevedono di diminuire la quantità ma non la qualità della propria dieta. Probabilmente, col peggiorare della situazione, anche il carrello della spesa per il cibo subirà contraccolpi, ma attualmente gli Italiani non sembrano disposti a rinunciare ad alimenti sobri e basici, senza orpelli e sovrastrutture, possibilmente italiani e sostenibili. Semmai tendono a diminuire gli acquisti di cibi etnici, le varie tipologie di “senza” (senza glutine, senza, ecc…), i cibi pronti. E anche il bio, dopo anni di indiscussa ascesa, pare subire una battuta d’arresto. La quota di Italiani che segue uno stile alimentare biologico è infatti diminuita del 38%. Le stesse marche leader sembrano sacrifi cabili: rispetto al 2019 hanno registrato una contrazione della quota di mercato, passando dal 14,9% di quell’anno al 13,1%, nel 2022 (–1,8). Mentre

la marca del distributore continua la sua avanzata, con una quota di mercato che nel 2022 sfi ora il 30%

(+2,0 rispetto al 2019).

Il biennio 2022 e 2023 potrebbe essere il più diffi cile della storia della Grande Distribuzione Organizzata in Italia. Da un lato, infatti, le imprese retail devono fare i conti con l’eccezionale rincaro dei listini industriali e l’esplosione del caro energia, che le tocca direttamente e indirettamente. Dall’altro, con le diffi coltà della domanda fi nale e con la necessità di attutire l’effetto sulla capacità di acquisto del consumatore. Ad oggi, infatti, i prezzi dei beni alimentari venduti dall’industria

alle catene della GDO sono cresciuti del 15% rispetto allo scorso anno (variazione percentuale tendenziale luglio-agosto 2022 su 2021), mentre l’infl azione alla vendita nello stesso periodo ha fatto segnare un valore di poco superiore al +9% (il differenziale fra il prezzo all’acquisto e quello alla vendita segna un –5,7%, a tutto svantaggio della GDO).

E a schizzare in alto sono soprattutto i prezzi all’acquisto dei prodotti basici. Così l’olio di semi segna un +40,9%, quello di oliva un +33,1%, la pasta +30,9% e la farina +25,4%. Contemporaneamente, dopo lo tsunami energia che si è abbattuto anche sulla Grande Distribuzione, i costi energetici che nel 2019 valevano l’1,7% del fatturato sulla base dei futures sull’energia si moltiplicheranno almeno per tre volte raggiungendo nel 2022 un’incidenza del 4,7% e nel 2023 del 5,2%. Questo drammatico incremento dei costi è tanto più preoccupante se si considera che il retail alimentare è un settore strutturalmente a bassa redditività, dove piccole variazioni dei margini possono seriamente compromettere la tenuta dei conti economici. Basti qui ricordare che (dati: MEDIOBANCA) il Valore Aggiunto trattenuto in media dalle imprese della GDO nel 2021 è stato pari a 14,7%. Allo stesso modo, ogni 100 euro spesi dal consumatore l’utile netto per i retailer è stato appena superiore ad 1,5 euro.

Nel 2022 è il discount a registrare ancora una volta la maggiore crescita, mentre prosegue il declino del formato dell’ipermercato. E l’e-grocery che sembra aver perso quella spinta propulsiva, peraltro drogata dal lockdown, si mantiene su quote molto basse, soprattutto se paragonate al resto d’Europa; nel 2021 si attesta su un 2,9% con previsioni 2030 che non superano il 6% a fronte di ben altro dinamismo in casa degli Inglesi (dal 12% al 19%) o dei Francesi (dall’8,6% al 16%).

«Lo scenario delineato nel Rapporto 2022 ci restituisce l’immagine di un’Italia chiamata a affrontare sfi de molto impegnative che prendono il via da fattori economici e sociali assolutamente inusuali» dichiara MARCO PEDRONI, presidente di Coop Italia e di ANCCCoop (Associazione Nazionale Cooperative di Consumatori), che aggiunge: «dopo trent’anni è tornato il carovita, con un’infl azione che non si vedeva dagli anni Ottanta. Per molti consumatori e molte imprese è una situazione del tutto sconosciuta. Parimenti i salari rimangono congelati e colpisce nel Rapporto la divaricazione che si accentua fra una parte crescente del Paese che rimane fragile e le classi più agiate».

È evidente che sia una condizione decisiva quella che gli Italiani vanno affrontando e che determinerà il prossimo futuro. Nessuno solo un anno fa avrebbe potuto prevedere un ulteriore peggioramento di condizioni già diffi cili e completamente nuove nella storia recente. Eppure la situazione sembra destinata a complicarsi ulteriormente e ci costringerà ad azioni e comportamenti nuovi o che il benessere degli ultimi decenni ci aveva fatto dimenticare.

Sebastiano Corona

Il caro energia come un fl agello

La questione ha preso dimensioni fuori controllo. Non solo il problema è insostenibile, ma sembra non avere fi ne. E a poco servono le azioni messe in campo dal Governo, per quanto apprezzabili

di Sebastiano Corona

Di nuovo ci troviamo a trattare un tema in evoluzione di ora in ora, che genera l’imbarazzo di scrivere, oggi, cose che tra qualche giorno potrebbero apparire desuete. Eppure questa nostra diffi coltà aiuta a mettere in evidenza tutto il pericolo e la destabilizzazione che può emergere da una condizione nazionale ed internazionale di così forte precarietà. Quello dei costi delle risorse energetiche non è grave solo perché divenuto ormai insostenibile per famiglie e aziende, ma anche e soprattutto perché non sembra trovare un punto d’approdo. Il timore — più che fondato — è che non abbiamo ancora visto il peggio. La situazione è gravissima, ma la condizione di incertezza è persino un’aggravante e genera di per sé di tensioni nei mercati.

Il problema è noto anche ai non addetti ai lavori. D’altronde qual è la persona che non abbia a che fare con una bolletta di energia elettrica o del gas completamente fuori controllo da tempo, sia essa di casa o dell’azienda? Nei primi 7-8 mesi del 2022 i costi energetici sostenuti dalle imprese sono triplicati, in certi casi quadruplicati, a parità di consumi, rispetto allo stesso intervallo temporale del 2021; l’incidenza media dei costi energetici in un’azienda oscilla oggi tra il 5% e il 15%.

Un problema, tra l’altro, non circoscritto ma trasversale, che falcia tutte le tipologie produttive e tutte le fi liere e che genera a sua volta l’aumento dei prezzi, ripercuotendosi a cascata sui portafogli del consumatore fi nale.

Le imprese del comparto agroalimentare, dalla produzione primaria al trasformato, non solo non sono estranee alla questione, ma nell’affrontarla e nell’ipotesi di ritoccare i propri listini devono anche spesso fare i conti con i ri-

svolti sociali ed etici del rincaro del cibo. Si pensi a pane, latte, pasta, carne, pesce: prodotti di prima necessità di cui nessuno dovrebbe mai essere costretto a privarsi per mancanza di denaro. Anche di questo, gli imprenditori del settore sono consapevoli.

Tuttavia il caro bollette è ormai una variabile fuori controllo per la condizione contingente, ma anche in prospettiva. Distrugge bilanci, redditività, competitività aziendale e patrimoni costruiti nei decenni. E, soprattutto, pone di fronte all’annoso dilemma tra continuare a lavorare — magari in perdita — o chiudere.

Se da una parte gli operatori che vendono direttamente al pubblico possono valutare aumenti proporzionati di prezzo, ma fanno i conti con una clientela già provata fi nanziariamente, chi si interfaccia con le insegne della Distribuzione Moderna fatica a modifi care gli accordi presi in tempi non sospetti. Tuttavia, se alcuni mesi fa la GDO si era mostrata particolarmente riottosa alla richiesta dei più di adeguare i listini, oggi anche le grandi catene commerciali — essendo imprese e a loro volta vittime del problema — tendono ad assecondare le richieste dei fornitori, oggettivamente stremati dagli aumenti delle materie prime, dei materiali per imballaggi e delle risorse energetiche.

Il dramma però è anche generato dalla consapevolezza che non si possano far ricadere completamente sul consumatore fi nale i costi di un meccanismo schizofrenico e completamente fuori controllo.

Si cerca di distribuire gli oneri un po’ su ogni anello della fi liera, nella certezza che il mercato non sia in grado di sopportare tutti gli aumenti senza subire contraccolpi pesanti.

Molte imprese stanno operando con estrema diffi coltà anche nella convinzione che in momenti come questi sia necessario mantenere quel patto col cliente che ogni produttore fa e tenere saldi rapporti costruiti negli anni, talvolta decenni, che sono il bene più prezioso per un’azienda.

La situazione è diffi cile e lo è diffusamente al punto che il tema ha dominato la recente campagna elettorale. Alcune azioni sono state messe in campo dal Governo, ma non appaiono suffi cienti, soprattutto per imprese che si confrontano con aziende straniere nei mercati globali dove “combattono” con le armi spuntate.

L’ultimo segnale che arriva dalla politica, nel momento, in cui scriviamo è il cosiddetto Decreto Aiuti Ter. Prevede un aumento della platea dei benefi ciari del credito d’imposta sulle bollette, includendo le imprese più piccole e non solo quelle fortemente energivore; incrementa le percentuali del credito e proroga fi no a novembre la possibilità di benefi ciarne.

Le aliquote sono state elevate sino al 40% per gli energivori e al 30% per chi impiega oltre 4,5 kw. Si stempera dunque il requisito relativo alla potenza minima che precedentemente era di 16,5 kWh. Inoltre l’agevolazione è riconosciuta anche alle imprese energivore che producono per l’autoconsumo l’energia elettrica.

Per le imprese agricole e della pesca e per quelle agro-meccaniche, il decreto prevede l’estensione al quarto trimestre 2022 del credito di imposta per acquisto di carburante, a parziale compensazione dei maggiori oneri effettivamente sostenuti per l’acquisto di gasolio e benzina, pari al 20% della spesa nel quarto trimestre solare del 2022.

Il credito di imposta riguarda anche l’utilizzo per il riscaldamento delle serre e dei fabbricati produttivi impiegati per gli allevamenti animali. Viene inoltre innalzato l’importo massimo dei fi nanziamenti garantiti ISMEA, con copertura 100% sino a 62.000 euro, per mutui in favore delle imprese agricole, della pesca e dell’acquacoltura che abbiano subito un incremento dei costi energetici.

Anche per le imprese gasivore e non il decreto apre ad un aumento del credito dal 25 al 40% per i consumi non termoelettrici.

Tra le altre misure incluse nel provvedimento si registra la proro-

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