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Pesca Il gozzo cilentano di Santa Maria di Castellabate Nunzia Manicardi

Il gozzo cilentano di Santa Maria di Castellabate

Fu importato dai Fenici, di cui ricalca la tipica “scialuppa”. Ancora oggi viene impiegato per la pesca, oltre a costituire un forte richiamo turistico grazie alle attività di recupero e valorizzazione promosse dalla “Casa dei Pescatori”

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di Nunzia Manicardi

Nel nostro viaggio tra le barche da pesca tradizionali italiane ci dedichiamo ora al gozzo, imbarcazione tipica della Liguria e della Campania, e in particolare del Cilento, ma che si trova anche in Sicilia, Puglia e Toscana. Ho potuto ammirarne alcuni la scorsa estate a Santa Maria di Castellabate, in provincia di Salerno, sulla magnifi ca costa cilentana dove ancora sono impiegati per la pesca locale. E proprio qui, nel piccolo museo del paese che raccoglie tanti reperti interessanti sulla marineria e sull’archeologia dei luoghi, ho potuto raccogliere informazioni tanto preziose quanto ancora poco conosciute perfi no dagli esperti del settore.

Ad informarmi con grande dovizia di notizie e trascinante passione per l’argomento è stato l’archeologo subacqueo dottor FRANCESCO ADAMO, che di questo museo, denominato “Casa dei Pescatori”, è il promotore e il punto di riferimento, così come lo è stato delle campagne di ricerca che, nel corso di ormai parecchi anni, hanno portato a far luce sul rapporto fra archeologia, storia e natura dell’Area Marina Protetta di Santa Maria di Castellabate. Grazie alla sua iniziativa si è costituita nel 2017 l’associazione archeologica culturale “Archeonautilus”, coinvolgendo l’associazione dei pescatori locali, i commercianti di zona e il Comune di Castellabate (con ASSUNTA NIGLIO, responsabile dell’Area Marina Protetta), grazie ai quali è stato possibile

In alto: il caratteristico gozzo (photo © Associazione Pescatori di Castellabate, Casa dei Pescatori). A sinistra: la spiaggia di Santa Maria di Castellabate.

fi nalmente riaprire l’Antiquarium comunale e farne la sede del Museo, istituito anche con la collaborazione della Soprintendenza alle Antichità della Provincia di Salerno e del Ministero dei Beni Culturali della Regione Campania.

Castellabate si trova lungo la costa del Cilento centrale in posizione equidistante della due antiche città greche di Poseidonia ed Elea (dai Romani chiamate poi Paestum e Velia). Questa zona, essendo ricca di approdi sicuri, materie prime e risorse idriche, fu frequentata dall’uomo fi n dal Paleolitico superiore, cioè oltre 12.000 anni fa. Il passaggio all’età storica, con l’introduzione dell’uso dei metalli e della scrittura, vide anche qui l’apparire tra il XIII e il XII secolo a.C. delle maggiori civiltà del Mediterraneo: quella minoicomicenea e quella fenicia. Furono i Fenici, provenienti dall’attuale Libano, che introdussero il gozzo su questo territorio. Grandi navigatori, essi per navigare sotto costa utilizzavano delle piccole imbarcazioni dette scialuppe, dotate di poppa e prua appuntite e rialzate rispetto al resto dello scafo. La medesima forma ancora oggi utilizzata dai pescatori cilentani! Per costruire queste imbarcazioni i Fenici incrementarono sulla costa cilentana la diffusione di una tipologia di albero nativo molto presente anche lungo le coste libanesi, il “Pino di Aleppo” (dal nome di una delle loro principali città), che costituisce la specie arborea più diffusa nell’attuale macchia mediterranea. Il gozzo è una barca a remi di piccole-medie dimensioni (dai 3-4 metri ad una decina, per una capienza da 4 persone in su) la cui struttura portante è una solida chiglia, che corre da poppa a prua, alla quale sono attaccate delle “costole” che compongono l’ossatura dell’imbarcazione, su cui viene appoggiato il fasciame costituito da una serie di tavole di legno. Il piano di calpestio è un semplice pagliolo. Alcune traverse (banchi) servono da sedile per i passeggeri. Con due coperture sull’estrema poppa e sull’estrema prua si possono ricavare due gavoni, delimitati da due paratie, dove riporre attrezzature nautiche e da pesca o oggetti anche di un certo peso. La timoneria è a barra.

I gozzi più grandi possono avere una sorta di cabina che ripara e protegge la timoneria (che in questo caso è a ruota) e può anche estendersi verso prua con alcune cuccette di fortuna (e allora la barca prende il nome di pilotina). I remi sono fi ssati su due o tre paia di scalmi che sono sempre a caviglia, cioè composti solamente da un perno verticale leggermente svasato verso l’alto, e dotati di un contrappeso (girone) per diminuire la fatica durante la vogata; l’accoppiamento tra remi e scalmi è ottenuto attraverso una legatura particolare detta stroppo.

I gozzi possono navigare anche a vela, montandone una latina su un unico albero a centro nave. Tengono bene il mare, grazie alla forma dello scafo, e sono adatti per vari tipi di piccola pesca, come quello alla traina per la quale è congeniale la bassa velocità, che si aggira mediamente sui 5/6 nodi. Ma l’avvento del motore, quasi sempre entrobordo diesel, ha cambiato la storia anche di questa imbarcazione, che adesso viene pure fabbricata in vetroresina anziché in legno. Anche per questo ci ha particolarmente emozionati ammirare il gozzo tradizionale che, nel rosso tramonto di Santa Maria di Castellabate, si dondolava placidamente nella piccola baia davanti alla “Casa dei Pescatori”, dopo aver deposto sulla spiaggia le reti ormai vuote.

Nunzia Manicardi

Vi aspettiamo ad AQUAFARM Pordenone, 25-26 maggio 2022

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