Un Natale diverso dal solito di AA.VV. - Edizioni Scudo - Collana Long Stories SF (fantascienza)

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Cosimo Crea - Lorenzo Gallus - Fabrizio Melodia

Un natale diverso dal solito

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Il dono di Fabrizio Melodia

PROLOGO Il fuoco scoppiettava allegro e forte nel piccolo falò che il vecchio Wolff aveva approntato per trascorrere la notte vicino alle sue pecore. Era arrivato il momento di chiudere gli occhi e il suo fedele cane Sandor, un pastore tedesco particolarmente dispettoso ma combattivo e attento, avrebbe tenuto lontano i lupi che imperverversavano in quei luoghi montani. I lupi ovviamente non si avventuravano in cerca di prede fino al piccolo paese che si era da poco costituito, troppi rischi e troppi occhi a vederli, meglio puntare su prede più accessibili, come le sue. Tuttavia, Wolff, per combattere quei predatori oscuri, aveva con sé il suo fido bastone di legno solido e nodoso; nessuno avrebbe mai osato avvicinarsi con cattive intenzioni, perché lui lo maneggiava con estrema sapienza e perizia. Wolff amava la sua vita da pastore. Un tempo era stato il proprietario di una delle più grandi banche della città di Losanna, stimato e rispettato in tutta l’alta società. Un giorno però aveva fatto bancarotta, a causa di investimenti sbagliati di cui era stato imputato come principale responsabile. Da allora tutto cambiò. In poco tempo, il d’ali di una farfalla, perse tutto ciò per cui aveva lottato nella vita. Posizione, denaro, prestigio, la tanto sudata villetta col giardino, tutti i suoi possedimenti gli si sciolsero tra le dita, come neve al sole. Finì in galera e vi restò per un quarto di secolo; un gigantesco e clamoroso errore giudiziario per cui non ebbe alcun risarcimento. Ne uscì solo dopo che fu scoperto, grazie al lavoro coscienzioso e certosino del suo avvocato, il vero colpevole. Il suo socio, suo fratello di sangue. Così perse anche la fiducia e la gioia dell’amicizia, perse l’amore per i propri simili, anche perché nessuno si era preoccupato di stargli vicino nel momento del bisogno. Dopo che aveva rovinosamente sceso i gradini della scala sociale, fu abbandonato dalle istituzioni e da tutte le sedicenti amicizie che aveva coltivato. Ma questo ora, per lui aveva così poca importanza, che avrebbe preferito restare dietro alle sbarre. Così decise di esiliarsi, di confinarsi in un isolamento volontario. Una mattina si alzò di buon grado, prese le sue cose e partì verso le montagne, con l’intenzione di rimanerci. Dopo aver vagato in quei luoghi, trovò il posto isolato che faceva per lui, una radura aperta, circondata da pini alti e robusti, solcata da un fiero e attivo ruscello. Ivi si costruì la sua piccola baita, grazie anche all’aiuto di un boscaiolo del posto, con il legno che il bosco gli offriva rigoglioso. E poiché il suo cuore non si era davvero indurito, per risarcire il bosco vi trapiantò degli alberi giovani in proporzione maggiore a quelli che aveva tagliato per la costruzione. Finalmente iniziò a vivere di pastorizia, da cui traeva tutto per il suo sostentamento. Oltre al latte delle sue capre, al formaggio, alla carne, ai prodotti del piccolo orticello che aveva vangato, la natura gli forniva anche un po’ di pesce di fiume, oltre alla possibilità di attingere acqua fresca e purissima per tutte le sue esigenze. Un giorno, in una radura, trovò un pastore tedesco, intrappolato nella tagliola di qualche cacciatore di frodo, forse sfuggita a qualcuno la povera bestiola aveva fatto una gran brutta fine, intrappolata al posto della preda designata. Wolff vide gli occhi pieni di dolore del cane, il suo latrare lamentoso, la zampa spezzata e sanguinante; l’osso della zampa era esposto e doveva fargli un male del diavolo. Il pastore lo liberò con l’aiuto del suo bastone e lo tenne con sé, imponendogli il nome Sandor, in onore del suo amico boscaiolo, immigrato dalla lontana Ungheria. Da allora il cane, riconoscente, non lo abbandonò più, aiutandolo a tenere il gregge unito e ordinato.


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Lentamente il vecchio Wolff cominciò a riscoprire il significato della parola “amicizia”. E per lui le sorprese non si limitarono a quella piacevole rivelazione, in quel luogo trovò davvero qualcosa che per tutti gli anni della sua vita sociale, ingannandosi, aveva pensava di avere. Aveva raggiunto una sorta di felicità e adesso non voleva lasciarsela sfuggire per niente al mondo. Da quei giorni erano passati dieci anni e la vita scorreva tranquilla e rilassata. L’unico lusso che si era concesso, oltre alla stufa a legna che aveva costruito con i grossi sassi del torrente, era il suo diario personale, in cui annotava quotidianamente ogni sua osservazione sulla natura. Inoltre la casa traboccava di libri, che facevano bella mostra di sé sopra agli scaffali in legno di quercia che Wolff si era costruito con pazienza. Li aveva avuti barattando i suoi prodotti con Klaus, il libraio del paese dove periodicamente il pastore faceva capolino. Lo aveva conosciuto per caso, durante le sue apparizioni in occasione del grande mercato del villaggio. Vi andava sporadicamente, con un mulo che trainava il suo carretto e il fedele Sandor sempre alle calcagna. La gente era stupita di vedere quest’uomo vestito di pelle, con le scarpe di cuoio lavorate a mano e lo sguardo allegro e sorridente. Lo rispettavano e gli tributavano amicizia. Gradualmente, grazie alla felicità e alla serenità raggiunta, Wolff riprese a frequentare i suoi simili. Andava alla taverna del paese, portava un po’ di prodotti che gli avanzavano, giocava a carte e parlava pochissimo. Pensava fosse meglio non rischiare di esporsi troppo, ma il mondo però era destinato a non rimanere indifferente a lui ancora per molto tempo. La notorietà irruppe nuovamente nella sua vita e con un evento talmente epocale che lui non mancò certamente di annotarlo sul suo prezioso diario, un prodigio di cui ancora non si dava una spiegazione e che lo aveva scioccato. Accadde poche ora prima dell’albeggiare, quando Wolff, pesantemente addormentato, fu svegliato dall’abbaiare insistente e spaventato di Sandor e da un fischio assordante, simile a quello di una gigantesca macchina a vapore. Atterrito, corse fuori dalla capanna e vide una luce bianca sfavillare nel cielo terso di quella notte invernale. Poco dopo, quella luce, con un tonfo violento, cadde poco distante da dove si trovava lui, provocando uno spostamento d’aria che divelse molti alberi e lo sbalzò a parecchi metri di distanza. La neve si alzò come fosse una gigantesca onda acquatica, ricadendo però nel piccolo avvallamento sottostante. Stordito ma illeso, Wolff si rialzò e scosse dagli abiti la massa bianca. Prese Sandor saldamente al guinzaglio, intimandogli con gentilezza di portarlo dove era avvenuto quel terribile impatto. Con il bastone nell’altra mano, Wolff si recò a passo deciso verso il luogo dell’incidente. Arrivò infine dove prima si trovava una lussureggiante boscaglia, ora ridotta a un cumulo di sterpi carbonizzati. Al centro, un avvallamento profondo, una buca molto larga che prima non esisteva. Chiuse gli occhi, tossendo violentemente per il fumo acre, che stava infastidendo anche il suo fido Sandor. Si obbligò a guardare, mettendosi però un fazzoletto di stoffa sulla bocca, per proteggere alla meglio le vie respiratorie. Alla fine la vide. La strana cosa si palesò al suo sguardo e godeva di una propria magnificenza e maestosità, tanto che lui sentì che doveva proteggerla perché attorno a essa, s’erano formati dei piccoli focolai. Dunque corse a prendere il secchio, lo riempì d’acqua e s’avvicinò rapido ma con prudenza all’immenso cratere che l’oggetto aveva formato, accompagnato da Sandor che digrignava con forza i denti, ringhiando sommessamente all’indirizzo del fenomeno. Dentro il cratere il vecchio Wolff riuscì finalmente a capire qualcosa riguardo al maestoso manufatto. Ai suoi occhi appariva simile nella forma a una slitta gigantesca, però fatta di metallo solido, come una delle nuove locomotive che andavano costruendo in quel periodo. Un portello era aperto e a Wolff parve sentire un lamento sommesso provenire dall’interno. Dal canto suo, il piccolo Sandor si diresse verso l’entrata, con tutti i sensi all’erta. Non sapen-


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do cos’altro fare, Wolff lo seguì, spegnendo i fuochi davanti a sé e quello che vide lo lasciò senza fiato. C’era una specie di grande poltrona, tutta tondeggiante come una ninfea di uno stagno , con dei fili rossi e gialli collegati alla base. Davanti aveva qualcosa di strano, un bracciolo fatto di un materiale simile all’ambra, ma che era vivido e brillante, con molte luci di diverso colore che s’accendevano a turno, in una danza caleidoscopica. Sandor abbaiò in continuo, avvicinandosi alla poltrona, si issò sulle zampe posteriori e appoggiò quelle anteriori sul bracciolo, annusando freneticamente ciò che vi era seduto. Il suo padrone camminò piano, un passo alla volta, finché non riuscì a vedere la sorgente da cui proveniva sempre più distinto il lamento roco e strozzato. La visione lasciò il vecchio Wolff a bocca aperta, gli parve un prodigio incredibile, nella sua vita non aveva mai visto nessuno come l’entità che si mostrava infine al suo sguardo meravigliato e atterrito. Sembrava un elfo delle leggende scandinave, simile a un uomo dalla folta barba bianca, massiccio ma ben formato, con un vestito rosso a fasce bianche che lo vestiva da capo a piedi. In testa portava uno strano cappello, con i disegni di stelle ben impressi sulla fronte. Giaceva riverso e rantolante, e del sangue gli scendeva da sotto il cappello; sembrava più morto che vivo ma respirava ancora. Wolff non sapeva bene come comportarsi, non voleva guai, tanto meno da creature inusuali come quella. La creatura smise di colpo di lamentarsi e aprì gli occhi. Wolff vide dei profondi occhi azzurri, spaventati, sperduti, che emanavano inoltre una immensa sensazione di solitudine. Wolff la conosceva bene quella luce, che ogni tanto appariva nel suo sguardo, ma che lui ricacciava dentro, a viva forza. La figura cercò di parlare, i suoni uscivano a fatica, sembravano provenire da una lingua straniera, tanto risultavano incomprensibili. Poi iniziò a comprendere qualcosa: quell’essere doveva proprio stare male e non riusciva a parlare bene, pensò preoccupato Wolff. La creatura in rosso lo ringraziò di cuore e gli chiese in quale luogo si trovasse. Egli proveniva infatti da un luogo in cui regnava il freddo e il gelo più assoluto. Prima che potesse dargli risposta, l’uomo chiuse gli occhi. Costernato, Wolff immaginò che dovesse trattarsi del Polo Nord da come poteva comprendere. Lo sganciò da quella poltrona, lo caricò in spalla e lo portò via da quel luogo. Non fece altre domande e pensò solo a rimetterlo in forze. Cosa che avvenne poco tempo dopo, tanto che il misterioso viaggiatore disse al vecchio Wolff di voler riprendere il viaggio. Avendo visto la faccia scontenta del vecchio, che gli si era affezionato, l’essere promise che sarebbe tornato ogni anno a portare dei doni per la gente del luogo, in segno della sua eterna gratitudine. Dopo aver riparato e pulito per bene il carro volante, come lo chiamava il suo ospite, Wolff riuscì a tirarlo fuori dal cratere con l’aiuto di alcuni buoi che si era fatto prestare. Così il misterioso individuo riprese la sua strada. Ma il venticinque dicembre di ogni anno il carro volante, simile ad una slitta, portò al vecchio Wolff dei bellissimi doni, che l’uomo prontamente condivideva con la comunità. Il paesino nella vallata crebbe a dismisura, grazie agli aiuti che il vecchio elargiva a piene mani e la gente molto incuriosita, volle sapere come l’eremita potesse portare simili regalie senza pretendere nulla in cambio. Così Wolff raccontò loro dell’uomo massiccio vestito di rosso che volava nel cielo con il suo carro volante e che aveva aiutato a ristabilirsi. I capi anziani del villaggio vollero vederci chiaro e, il dicembre successivo, chiesero al pastore di accompagnarli a vedere il luogo dell’incontro tra lui e il magnifico signore. Quando arrivarono non videro nulla, se non la presenza di altri doni, che prontamente furono portati via ed elargiti nella consueta festa di Natale. Il vecchio Wolff non abbandonò mai la sua vita solitaria ma quando morì lasciò tutto quanto alla cittadinanza. Nessuno però trovò mai il suo corpo, e tutti pensarono che fosse salito sul carro


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dell’Uomo del Natale e fosse andato ad aiutarlo a fabbricare quei bei doni. Da allora nella terra di Elvenhold nacque la leggenda di Babbo Natale.

1 La mano di Hannah Celan chiuse lentamente il libro, vedendo la sua figlia più piccola, Lilletta, serrare piano gli occhi e scivolare in un buon sonno ristoratore. «Ecco che Wolff fu la prima persona ad incontrare Babbo Natale, lo soccorse e ne ricevette l’imperitura benevolenza e protezione per tutto il paese e i suoi singoli abitanti. Babbo Natale diventò il nostro protettore e ha continuato a vegliare su di noi per tutti questi lunghi anni. Lui protegge e ama i nostri bambini, che sono il sale delle terre montane, e da allora noi gli tributiamo dei piccoli regali, in segno di gratitudine per i suoi.» «Sempre li proteggerà e curerà da tutte le malattie e le disgrazie, perché uno di noi è stato buono con lui e anche noi dobbiamo volerci bene gli uni con gli altri,» concluse Lilletta con voce assonnata che si spense sulle ultime parole. Alla fine il respiro corto e regolare informò la madre che la bimba si era addormentata. La storia di Natale, dalle leggende di quelle montagne, era stata raccontata; Hannah non avrebbe mai mancato a quella ricorrenza, nemmeno se fosse caduta la luna sulla Terra. Rimboccò le coperte alla figlia, stringendosi nella morbida e pesante vestaglia di lana azzurrina. Hannah aveva freddo e continuava a tremare. Presentava già da parecchi giorni una fastidiosa e persistente febbre e non riusciva a farla passare con nessun tipo di antibiotico. Purtroppo il peso delle troppe ore passate in piedi e del digiuno forzato cui era costretta dal suo stomaco contratto si fece sentire puntuale con la grazia di un elefante. Si mise la mano alla bocca per trattenere un conato, corse al bagno ma non fece in tempo ad arrivare che i succhi gastrici presero ad uscire con la violenza di una cascata, lordando i vestiti, il tappeto e il pavimento. «Mamma, cosa succede?» la voce apprensiva della figlia maggiore, Helga, si fece strada nella sua mente annebbiata. La donna non riuscì a proferire parola, troppo vergognosa di trovarsi in quello stato. Per Helga le parole non servivano. «Vieni mamma, ti aiuto ad alzarti,» fece con gentilezza. «Adesso ti porto in bagno e ti faccio fare una doccia calda, stai tremando,» continuò aiutando la madre a togliersi la vestaglia e gettandola nel capiente cesto della biancheria sporca. «Poi andiamo a vedere Babbo Natale che viene a portare i doni, bambina mia?... Ma che dico, ormai sei in età da fidanzato,» scherzò a fatica Hannah Celan, guardando il corpo snello da sedicenne della figlia mentre entrava anche lei, dopo essersi rapidamente denudata del pigiama e degli indumenti intimi, nel capiente vano doccia. «Perchè no? Se ti sentirai meglio, potremo anche scendere in slittino fino alla vallata più in basso, come facevamo una volta. Ti piaceva tanto,» replicò dolcemente Helga, passando la spugna ben insaponata con il bagnoschiuma al sandalo sul petto nudo della madre, solcato da una vistosa cicatrice all’altezza del seno. Un lampo di tristezza solcò il viso di Hannah Celan e la figlia se ne avvide immediatamente. Mordendosi le labbra, per paura di dire una sciocchezza che avrebbe potuto peggiorare la situazione, lasciò andare ogni freno. «Appena finisce l’inverno, mamma, andremo al mare, in quel posto della costa ligure che ti piaceva tanto e ti riprenderai prestissimo, il peggio è ormai passato,» fece allegramente la ragazza, massaggiandola con delicatezza, come le aveva insegnato il medico. «Anzi, dobbiamo assolutamente andare in quel negozio fantastico che hanno aperto sulla Via del Mercato; ha dei costumi da bagno da schianto, ne ho visto uno intero color grafite che ti fascerebbe come una seconda pelle.» La madre la guardò piena di gratitudine, non riuscendo a trattenere le lacrime, poi abbracciò la figlia, stringendola con forza a sé. La ragazza ricambiò a sua volta, sentendo che sua madre aveva smesso di tremare.


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Pregò in cuor suo che i brutti pensieri se ne andassero con l’acqua della doccia, senza fare più ritorno. «Forza, mamma. Domani puoi dormire un po’ di più, ho preparato io tutto l’occorrente per il pranzo di Natale,» Helga non voleva piangere, la madre non ne aveva assolutamente bisogno in quel momento. «Ormai non hai più bisogno di me, piccola mia,» fece la donna, dopo aver smesso di piangere. «Puoi mandare avanti tu la baracca e prenderti cura del papà e della tua sorellina, mentre io rimarrò spaparanzata in divano a sorseggiare un succo di frutta, guardando i miei film preferiti». «Non dire assurdità, mamma!», s’arrabbiò la ragazza. «Devo ancora decidere cosa fare come prima portata, sono terribilmente indecisa e ho tanto bisogno del tuo aiuto… E poi ho gli allenamenti di Biathlon, devo esercitarmi fino a farmi male alle mani con la carabina, se voglio piazzarmi per le giovanili! Voglio vincere la medaglia d’oro per la mamma più in gamba del mondo… Inoltre, tu sei molto più brava di me con quella piccola peste di Lilletta, non riuscirei mai a gestirla con la fermezza che hai tu. A volte mi verrebbe voglia di prenderla a schiaffi», si rese conto di essersi eccessivamente infervorata mentre parlava, sperò in cuor suo che la madre non se ne fosse risentita. Subito dopo però un sorriso apparve sulle labbra di Hannah, il viso tornò a illuminarsi, in un attimo era accaduto un piccolo miracolo dell’agire quotidiano. «Che stupida!» disse la donna battendosi il palmo della mano sulla fronte. «Tra poco hai le selezioni per le gare di Biathlon giovanile. Non puoi nemmeno immaginare quanto io sia fiera di te, piccola mia. Certo mai mi sarei immaginata che avrei avuto in casa una ragazza come te. Invece delle serate in discoteca con gli amici, preferisci i fucili e le corse sugli sci. Comunque con tua sorella sei davvero brava, con tutti gli alti e bassi che rientrano nella normalità. Comunque preferisco come sai cucinare tu, hai preso tutta la mano di tua nonna. Girati ora che ti lavo la schiena!» detto ciò, prese con fermezza la spugna dalla mano della figlia e cominciò a passarla piano sulle spalle della ragazza, scendendo lentamente sulle natiche alte e sode. «A volte vorrei esserne davvero convinta di far bene con quel piccolo tsunami vagante. Voglio che tu e papà siate orgogliosi di me e aiutarvi in casa è il minimo che possa fare per ringraziarvi del vostro amore,» replicò Helga, avvampando subito le guance. «Bene, allora sbrighiamoci a farci belle,» affermò con vigore Hannah. «Voglio aiutarti a preparare un pranzo meraviglioso, anche se mi sento ancora un po’ giù. Io dirigo e tu produci, che ne dici?» continuò in tono scherzoso. Helga sorrise e si lasciò massaggiare con la spugna insaponata dalle affusolate e lunghe mani della madre, si sentiva al settimo cielo per averla tirata su di morale, ma sapeva che era semplicemente l’estremo sforzo di una persona meravigliosamente combattiva. Non riusciva ad accettare la realtà, preferiva pensare che il momento sarebbe venuto tra secoli e secoli e non tra un paio di mesi; una scadenza che inevitabilmente si avvicinava sempre di più, come un esercito in marcia. Tenne gli occhi chiusi, come per erigere una muraglia fisica alle lacrime che le stavano salendo con prepotenza agli occhi, così non s’accorse di una piccola figura, vestita pesantemente e con un piccolo zainetto di Hello Kitty sulle spalle, che attraversava silenziosamente la sala, dopo aver richiuso silenziosamente la porta della propria camera. La piccola figura era riuscita a guadagnare la porta senza difficoltà, sua madre e la sorella erano in bagno e il papà era già andato a letto dopo una giornata pesantissima al soccorso alpino. Domani però è a casa ed è festa anche per lui, starà con noi tutto il giorno, pensò Lilletta. Si avviò a rapidi e piccoli passi verso il luogo dove venivano portati i doni per l’arrivo di Babbo Natale. Doveva fare presto, non mancava moltissimo all’ora fatidica e le strade erano completamente innevate; persino gli stradini erano rimasti nelle case cantoniere in occasione della ricorrenza tradizionale. In quella notte di Natale, la neve cadeva persistente sopra i coppi dei tetti, come per stendere una fredda ma tenera coperta sul piccolo paese montano.


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Elvenhold, abbarbicata sul versante di un monte presso le Alpi svizzere, a circa milleduecento metri sopra il livello del mare. Famosa per l’antica chiesa in stile gotico dalle alte guglie adornate di magnifici doccioni simili a elfi, era segnata in tutte le guide turistiche, per il mercato nella piazza centrale, per le case antiche in legno di abete, per il vetro artigianale e per la sua sontuosa festa di Natale, durante la quale i bambini portavano in offerta a Babbo Natale i rinomati biscotti allo zenzero della città. Elvenhold era abitata da circa un migliaio e mezzo di anime, ora tutte indaffarate per preparare in pompa magna l’amata festa natalizia. La cena comune della vigilia era andata benissimo e i bambini, dopo aver mangiato a sazietà con le famiglie, si erano riuniti nella cattedrale al centro della piazza principale, dove troneggiava un grande albero adornato con addobbi realizzati dai mastri vetrai del posto. Alla fine della messa, tutti i bambini avevano ricevuto dei piccoli doni dal parroco, soprattutto dolci cotti nel miele e piccoli mandorlati dal profumo invitante. Un gruppo di loro si era poi riunito alla maestra di scuola per intonare canzoni natalizie tradizionali, alternandole ad allegre ballate locali e ad invenzioni verbali adatte allo loro voce squillante. Non molto tempo dopo la festa cominciò a disperdersi e il parroco decretò che era giunto per i bambini il momento di coricarsi nei propri caldi ed accoglienti letti, cullati dalle ninne nanne delle loro mamme. L’ora di Babbo Natale era vicina e la tradizione voleva che se anche un solo bambino fosse rimasto sveglio ad ammirare l’arrivo della slitta, sarebbe accaduto qualcosa di funesto e terribile. In meno che non si dica, il paese cadde nel silenzio totale, mentre il grande albero troneggiava nella pubblica piazza ad attendere come un faro dei naviganti la slitta trainata dalle dodici renne. Sicché nessuno si avvide della bambina che si era nascosta dietro a un carro ornamentale. La piccola Lilletta, che attese che tutti si disperdessero e poi si andò a nascondere proprio sotto il palco dei regali, dietro ad alcune botti ricolme di grano e cereali. Si era avvolta per bene in una coperta imbottita di piume d’oca, però. Non poteva rischiare di prendersi una polmonite, l’indomani doveva essere in gran forma per la sua famiglia. Con sé aveva una torcia elettrica, un termometro e un thermos di tè caldo che il papà aveva preparato alla mamma prima di andare a dormire. Nessuno si era accorto che era sparito, insieme a una tazza, dalla credenza. Inoltre aveva indossato anche i suoi scarponi con calzari pesanti, per evitare di congelarsi i piedi nelle ore di attesa notturna. Nonostante tutto ciò, stava battendo i denti, così trasse di tasca una delle tavolette di cioccolato di cui sua sorella Helga era golosissima; lei gliela aveva data per merenda ma la bambina invece l’aveva nascosta, già pensando al suo folle piano. Con uno strappo secco, l’aprì ad uno dei due lati e l’addentò con avidità. Arrivò a finirla che aveva smesso di tremare, mentre uno strano senso di tepore e sonnolenza si era impadronito lentamente dei suoi dolci occhi azzurri. La notte fonda e silenziosa aveva portato con sé una brezza, via via sempre più forte, e neve che ghiacciava sempre di più. Gli occhi di Lilletta, dopo il lauto pasto, stentavano a tenersi aperti. Quanto avrebbe resistito? Cominciò un poco a dubitare della bontà del suo piano. Purtroppo doveva vederlo assolutamente, tra un mese avrebbe compiuto undici anni e avrebbe perso qualsiasi possibilità. Secondo i racconti dei suoi genitori, solo chi ancora possiede occhi di bambino, può vedere di persona Babbo Natale. E lei lo voleva con tutte le sue forze, prima che l’età adulta le impedisse di sentire le campanelle della slitta fatata, trainata da possenti e briose renne volanti dal naso rosso. Ad ogni costo voleva conoscere Babbo Natale. Doveva vederlo e parlargli. Per l’occasione aveva pensato a cosa dirgli, ma durante le prove che aveva fatto davanti allo specchio della sua camera, impacciata e balbuziente, aveva capito che la cosa migliore sarebbe stata la sincerità. Infatti, doveva chiedere un regalo importante a Babbo Natale, il più grande regalo che le avesse mai fatto in tutti quegli anni in cui aveva atteso con trepidazione l’arrivo della slitta incantata.


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Il dono in questione consisteva in un poco di salute in più per sua madre Hannah, anzi a dirla tutta, voleva che il grande vecchio dalla lunga barba bianca la guarisse completamente. Se quella non era una cosa di vitale importanza, cosa poteva esserlo? Da troppo tempo sua madre Hannah continuava a tossire senza tregua. La cosa era iniziata con una brutta polmonite, che costrinse sua madre a letto per quasi un mese. L’aveva contratta quando una tremenda bufera di neve aveva sorpreso lei e il suo papà mentre soccorrevano una cordata di turisti italiani rimasti intrappolati sul costone del monte nelle vicinanze del paese. Hannah e Hermann Celan erano riusciti a portarli al sicuro dentro una piccola grotta, ma prima di raggiungerla un muro di neve si era improvvisamente staccato dal costone, precipitando proprio sul gruppetto. Hermann Celan era riuscito a mettere in salvo i turisti, ma sua moglie, rimasta alla retroguardia, era stata travolta da un’ondata bianca, che l’aveva trascinata a valle. Via radio, Hermann trasmise subito una accorata richiesta di soccorso e prontamente una squadra, nonostante la nevicata, si portò sul luogo per mezzo delle moto da neve. Il GPRS personale di Hannah inviava ancora un debole segnale, ma fu sufficiente. Subito, tramite sonde, riuscirono a portare l’aria alla malcapitata, poi presero a scavare tutti insieme, come un esercito di fanteria lanciato alla carica. Finalmente riuscirono ad estrarla e la portarono subito al pronto soccorso dell’ospedale. Hannah restò ricoverata per molto tempo, era robusta, ben allenata e aveva riportato solo alcune escoriazioni, ma l’assideramento in cui l’avevano trovata le aveva provocato una polmonite. Dopo essere uscita dall’ospedale, i medici affermarono che avrebbe sofferto per un po’ di bronchite ma che, assumendo le medicine prescritte, sarebbe tutto andato a posto nel giro di poco tempo. Invece, l’avventura non rimase senza conseguenze e lei da quel giorno non fu più la stessa persona che scalava le montagne come uno scoiattolo. Non solo la bronchite non passava, ma sentiva in continuo uno strano dolore al petto. Le radiografie ai polmoni non rivelavano nulla, sembrava tutto a posto. Così continuarono a curarla per una malattia cronica, ma le sue condizioni peggioravano di giorno in giorno. Di giorno tossiva, la notte non dormiva, trovando spesso al risveglio tracce di sangue sul cuscino e sulla lenzuola. Infine i dottori avevano sentenziato che l’esposizione al freddo e la conseguente polmonite, avevano favorito notevolmente il peggioramento di una malattia ben più grave già presente nell’organismo della donna. La mancanza di sonno, nonostante i forti antidolorifici e antibiotici, la lasciava sempre più debole e il suo viso era diventato come una foglia secca d’autunno. La piccola di nascosto aveva sentito il papà e la mamma parlare a lungo di queste cose. Papà Hermann era furibondo, aveva appena avuto in mano tutte le carte delle indagini che aveva fatto svolgere al Centro Ricerche Ambientale di Losanna in collaborazione con la Guardia Forestale dello Stato e il documento conteneva notizie terribili. Riportava incontestabilmente che tutte le falde acquifere che portavano l’acqua alla vallata erano fortemente avvelenate dagli scarti di una vicina fabbrica di pelli, la “Raynard S.P.A.”, che dava lavoro a moltissime persone dei dintorni e oltre. La malattia della madre era stata sicuramente causata da questo veleno e già in paese altre persone morivano rapidamente dello stesso funesto morbo della moglie. Purtroppo la fabbrica dava lavoro a troppe persone e il proprietario era un magnate ben protetto, con le mani in pasta in tanti ambienti della politica, e si sentiva persino tronfio della propria influenza sulle decisioni della regione. Era lui che dettava legge e se ne lavava elegantemente le mani se le conseguenze delle proprie azioni portavano alla morte qualche migliaio di potenziali dipendenti della sua fabbrica mastodontica. Lilletta ricordava la preoccupazioni, le litigate e i pianti dei suoi genitori, che spesso per il troppo stress, arrivavano a non parlarsi per giorni. Allora lei si faceva forza stringendosi a sua sorella Helga, che era sempre allegra e sorridente, e che sdrammatizzava tutto cercandone gli aspetti positivi. Con lei si sentiva così al sicuro che nulla


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al mondo avrebbe potuto turbarla. Casualmente, una notte l’aveva sentita piangere da sola, con le cuffiette del lettore mp3 che suonavano sommesse la sua canzone d’amore preferita e lei si ripromise di essere sempre forte e positiva, come sua la sorellona, che mai gli aveva rivelato le sue debolezze. Poi la cosa si aggravò. I genitori, qualche sera prima di Natale, avevano chiamato a sé lei ed Helga, si erano seduti davanti ad una tazza fumante di tè ed avevano cominciato a parlare. Le avevano spiegato tutto per filo e per segno con calma, in modo semplice e diretto, ma il risultato non cambiava. La mamma era ammalata, troppo malata. Doveva iniziare un periodo di cure presso l’ospedale di Losanna. La mamma le spiegò inoltre che avrebbe dovuto operarsi al seno. In Lilletta si fece strada, lentamente ma con fermezza, la solenne decisione: avrebbe cercato l’uomo che portava i più bei doni del mondo alle persone povere e bisognose. Avrebbe chiesto un dono simile a un miracolo. Avrebbe aiutato sua madre ad ogni costo. Ma tutto questo non poteva di certo chiederlo per lettera. In quel modo non si riesce sempre a far capire davvero cosa si vuole dire, non si riesce sempre a dare il giusto valore alle parole. Adesso le lancette dell’orologio della piazza scandivano lentamente gli attimi che la separavano dall’incontro con l’uomo magico. Il fiato era sempre più pesante e gli occhi non volevano saperne di rimanere aperti. Se avesse chiuso soltanto le palpebre, senza addormentarsi, si sarebbe riposata ma comunque avrebbe mantenuto vigile l’attenzione. Qualora le campanelle di Babbo Natale avessero rotto il silenzio perfetto della notte magica, li avrebbe riaperti subito. Li chiuse. Non udiva alcun suono, la realtà si era ridotta al solo pungolare lieve ma persistente della neve sul suo viso. Il vento le sferzava il nasino che la lunga sciarpa di lana color dell’arcobaleno, ricamata da mamma Hannah, non riusciva a riparare completamente. Un suono strano, quasi di flauto dolce, si fece sentire, tenue ma distinto; riaprì gli occhi di scatto come fossero stati delle molle trattenute troppo a lungo. Intorno non si vedeva anima viva. I suoni si fecero più chiari e definiti, aumentando di volume gradatamente, si mantennero per un po’ su di una tonalità alta e infine scemarono. Udì di seguito un tintinnio cristallino, un crepitio elettrico sul terreno e si mise tutta attenta a percepire il minimo fruscio. Lo risentì, più forte e nitido, quel suono di campanelle d’argento, ma non proprio, ora le pareva più come un insistente ronzio d’api, che aumentava sempre di più, quasi si stesse avvicinando con passo cadenzato di marcia. Aprì gli occhi.

2 Una scarica di fulmini si fece strada all’altezza della piazza, rimanendo però a qualche metro da terra, come il bagliore di una cometa. Le scariche sopra di lei divennero continue, formando una specie di nucleo globulare, che emetteva un rumore intenso di campanellini e risuonava nell’etere terso e frizzante. La luce fredda, simile ad un ovale perfetto, s’appoggiò piano sulla terra, facendo comparire una serie di scalini d’energia che la collegarono in quel modo al suolo. Il lieve scampanio era scomparso e nell’oscurità rinvigorita da un poco di luna, timida e sorridente, non si muoveva più una foglia. La neve aveva smesso di cadere. Dall’ovale di luce si stagliò un’ombra massiccia e alta, una sagoma in nero che s’avvicinava sempre di più all’uscita. Sembrava circondata quasi da un alone angelico, si fece avanti con passo lento e della stessa lunghezza fino a conquistare l’uscita, per poi uscire sui gradini energetici. Lilletta rimase per qualche secondo a bocca aperta e con gli occhi spalancati, aveva davanti a sé, a meno di una ventina di metri, una figura imponente e alta, vestita completamente di rosso con


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fasce bianche, in testa qualcosa di simile ad un casco, guanti della stesso colore e stivali simili a quelli che aveva il suo papà quando andava sulla neve. Non stava più nella pelle dall’eccitazione. Trasse un profondo respiro, una volta, due volte, tre volte poi dandosi della sciocca, si alzò e fece un cenno con la mano in direzione del misterioso individuo. «Babbo Natale, sei tu?» chiese la piccola Lilletta con voce strozzata, agitando veloce la mano destra. In quel momento si accesero rapidamente dei fanali di automobile, da quelle vetture di colore nero scesero in fulmineo ordine tre coppie di individui tutti vestiti uguali, completo nero giacca con una camicia grigia senza taschini e pantaloni jeans scuri senza risvolti, teste rasate, occhiali scuri. Lilletta fu terribilmente spaventata quando si rese conto che i signori appena arrivati brandivano dei piccoli mitragliatori con una canna più grossa. Li riconobbe grazie alla passione di Helga per le armi da fuoco: degli Ingram Mac 10 silenziati, piccoli e letali. Pensare che la sua sorellina, che avrebbe voluto fare da grande la poliziotta, sarebbe andata in estasi per cose del genere. Che testa le aveva fatto! I Fantasmi Neri, come la bambina li aveva chiamati, tenevano sotto tiro la figura vestita di rosso, la quale era rimasta come impietrita, non avrebbe saputo dire se era per la sorpresa o per la noncuranza della questione, come se quelle persone non fossero lì in totale assetto di guerra. Tra loro si fece avanti una figura femminile, con passi lenti e cadenzati, che risuonavano attenuati dalla neve, nonostante indossasse dei pesanti stivali neri con i tacchi alti, legati al piede con dei lacci e una fibbia al polpaccio. Il lungo soprabito nero di pelle le scendeva come una seconda pelle, mettendo in risalto i fianchi pronunciati, si chiudeva in alto con tre grossi bottoni, tenendolo talmente stretto che non si poteva non notare il piccolo seno sodo al di sotto. Aveva il viso ovale un poco ossuto ma incorniciato da una lunga chioma ramata ampiamente ondulata, che le scendeva un po’ al di sotto delle spalle strette ma ben disegnate. Il viso era nascosto da due grossi occhiali scuri e da un cappello borsalino posto di traverso, le labbra sottili a cuore erano sottolineate da un rossetto vinaccia che brillava alla luce dei lampioni. Al fianco destro portava una grossa fondina attaccata alla cintura con una borchia d’argento lavorata, rappresentante un simbolo strano, che Lilletta non conosceva. Dalla fondina spuntava uno strano calcio di pistola a forma di conchiglia, che Lilletta non conosceva per niente, sembrava un disintegratore come quelli che vedeva nei film di fantascienza. Tra le labbra teneva una sigaretta fumante, che passò nella sua mano destra. Il tempo sembrava essersi fermato all’entrata di Capelli di Fuoco, ma la cosa durò solo per il tempo di un respiro. La sua voce risuonò alta e forte nel silenzio che si era creato. «Non muovere un muscolo, straniero in rosso! Non so da quale sfilata d’alta moda sei arrivato ma ti consiglio caldamente di inginocchiarti mettendo con calma le mani dietro la nuca! Non fare scherzi o i miei uomini avranno l’ordine di migliorare la tua respirazione interna. Sono stata chiara!?» Babbo Natale sembrò non rendersi conto per niente dell’avvertimento, fissò gli occhi in direzione di Lilletta, la squadrò per qualche istante, poi si girò su sé stesso e s’incamminò verso la luce fredda, che lo aveva avvolto poco prima. «Va bene, ti avevo avvertito. Sparate alle gambe, ragazzi! Fuoco!», l’ordine perentorio fu seguito da una precisa gragnola di proiettili, tutti sparati con precisione verso il basso. Avrebbero falciato inesorabilmente le gambe del bersaglio segnato ma nessuno aveva notato la scia indistinta lasciata da una piccola figura che fino a poco prima era rimasta ben nascosta dietro di loro e che, con la rapidità di un fulmine, si portò sulla linea di tiro, mettendosi in mezzo tra loro e il bersaglio vestito di rosso. Lilletta apparve come dal nulla, quasi come se la neve l’avesse vomitata, aprendo le braccia come se volesse fermare una valanga. Ricevette un colpo prima nella spalla sinistra, che lacerò il vestito, poi un altro nella gamba destra e l’ultimo andò a conficcarsi con la forza di un pugno all’altezza dell’addome. La bambina fu scossa come fosse stata presa da un vortice, fece movimenti scomposti, muoven-


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do le braccia in alto e in basso, la testa ebbe uno scatto verso l’alto per poi essere seguita da tutto il resto del corpo, che eseguì una perfetta parabola all’indietro, atterrando con una strana delicatezza nel manto nevoso. La coltre bianca fu inondata del sangue della bambina, che sgorgava copioso dalle ferite inferte dai Fantasmi Neri. «Cessate il fuoco, maledizione! Cessate il fuoco!», urlò furibonda la donna dai capelli rossi, che poi parlò in una ricetrasmittente. «Abbiamo un civile a terra, ripeto, civile a terra con gravi ferite d’arma da fuoco.» Babbo Natale non era stato nemmeno sfiorato dalla scarica d’artiglieria e sul suo viso si dipinse un’espressione di autentico terrore, quando vide il lago di sangue intorno al corpo di Lilletta. Le corse incontro e s’inchinò su di lei. Le condizioni della bambina gli parvero davvero brutte, tremava vistosamente per il dolore e il trauma, era pallidissima, il respiro era quasi assente, lui doveva fare qualcosa immediatamente. «Allontanati subito da lei, maledetto pagliaccio! Subito!» la voce della donna risuonò alquanto sgradevole alle orecchie di Babbo Natale, che non pensò minimamente a prendere in considerazione quell’ordine. Sentì in compenso piantarsi nel suo corpo dei grossi aghi attaccati a dei fili. Poi fu attraversato da una terribile scarica elettrica, che gli strappò un gutturale urlo di dolore, costringendolo a terra. «Continuate così con quei taser, ragazzi!» disse Capelli di Fuoco. «Quanto manca al medico per arrivare qui, dannazione?» Due uomini si avvicinarono a Babbo Natale, sempre tenendo attivati i taser, qualsiasi altra persona sarebbe morta ma l’uomo in rosso continuava a dibattersi. Da dietro s’avvicinavano altri due uomini con gli Ingram spianati, pronti a far fuoco al minimo gesto inconsulto. Appena i due taser si spensero, Babbo Natale fu circondato da un’aura azzurra che iniziò a propagarsi lentamente. Gli uomini si guardarono allarmati e spararono in direzione del bersaglio ma i proiettili rimbalzarono contro quella luce, come fosse ricoperta d’acciaio. Gli altri due cercarono di riattivare i taser, ma si ritrovarono presto in mano due aggeggi completamente bruciati, distrutti da un’onda di ritorno che gli provocò una brutta ustione alla mano. «Fuoco, ragazzi! Non lasciatelo scappare!» grido la donna. Poi estrasse dalla fondina la sua pistola e fece fuoco all’indirizzo del bersaglio, accompagnata da una scarica di mitragliatori. Dei lampi verdi di energia si sprigionarono rapidi e colpirono la massa energetica, che accusò il colpo. Babbo Natale si ritrovò riverso a terra, tenendosi la testa tra le mani. Vedendo il sogghigno di Capelli di Fuoco, comprese che doveva sbrigarsi o per lui era la fine. Tese la mano, dalla quale si sprigionò un vortice di energia cinetica che prese gli uomini in nero, scaraventandoli contro le pareti dei vicini uffici comunali. Capelli di Fuoco perse la sua arma, che rotolò lontano, mentre l’uomo in rosso scaricava un raggio energetico contro le auto, incendiandole. Improvvisamente una strana forza li staccò dalle pareti e prese a turbinare verso l’alto, alzandoli sempre di più. Poi s’interruppe di botto, facendo precipitare da una decina di metri dal suolo Capelli di Fuoco e i suoi uomini. L’urto fu duro e persero tutti i sensi, mettendo fine per il momento al cruento duello. Babbo Natale si precipitò su Lilletta, che nel frattempo era diventata fredda come il marmo e completamente esangue in viso, la prese delicatamente in braccio e ritornò verso l’ovale luminoso, scomparendo in esso, lasciandosi dietro una scia di uomini battuti e feriti. Si trovava ora in un grande salone, con le pareti che ricordavano una caverna, completamente spoglia eccetto una vasca con del liquido trasparente all’interno, nella quale lentamente danzavano grosse bolle. Tolse piano alla bambina il cappotto lacerato, riponendolo in una fessura simile ad un forno, che si era aperto nella parete; fece lo stesso con il maglione, i pantaloni e tutti gli indumenti di Lilletta che così incontrarono lo stesso destino. Poi adagiò quel corpicino grondante all’interno della vasca, con molta delicatezza, bagnandola ripetutamente prima di immergerla completamente in quel liquido caldo e ospitale.


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I capelli lunghi della bambina si sparsero galleggiando come un’aureola intorno a quel corpo, che sembrò brillare di uno strano alone, mentre le ferite si rimarginavano lentamente, dalle labbra uscivano delle piccole bolle e il petto si contraeva lentamente, con decisione. Babbo Natale camminava avanti e indietro per la sala, mentre aspettava i risultati della camera di contenimento, sperava di non essere arrivato troppo tardi, non se lo sarebbe mai perdonato. Altre domande affollavano la sua mente, riguardo alla squadra che gli aveva teso l’agguato. Chi erano? Perchè volevano catturarlo? Si era forse sbagliato in tutti quei lunghi anni sulla bontà degli uomini? Improvvisamente la vasca iniziò a brillare, l’operazione era finita, tra poco la bambina avrebbe ripreso conoscenza e avrebbe avuto fame, doveva prepararle qualcosa. Agitò la mano verso un punto della parete e subito dal pavimento si materializzò un tavolino, su cui erano ordinatamente disposte una tovaglia bianca a motivi floreali ricamati ai lati, una bottiglia contenente uno strano liquido aranciato, due piatti fumanti di spaghetti al sugo, posate d’argento e un pezzo di formaggio, con due pagnotte che sembravano appena tolte dal forno. Prese anche un asciugamano grande e uno piccolo. Fece un gesto con la mano e la piccola Lilletta iniziò ad emergere, ritrovandosi a fluttuare nell’aria, priva di peso. Atterrò delicatamente nell’asciugamano grande, in cui Babbo Natale l’avvolse con cura. Le raccolse i capelli lunghi in quello più piccolo e la tenne tra le braccia finché la bambina non riaprì piano i dolci occhioni azzurri. Dapprima sembrò completamente spaesata, poi sul suo viso apparve una luce di felicità, quando si rese conto di chi la stesse tenendo tra le braccia. La figura di rosso vestita ebbe dapprima un moto buffo del capo, angolandolo a novanta gradi, quasi stesse misurando con un regolo in corpicino che si presentava al suo sguardo indagatore, poi si chinò e la fissò intensamente. «Babbo Natale... sei proprio tu?» fece debolmente Lilletta. «Beh, non sono proprio la persona delle leggende ma un suo valido sostituto.» Gli occhi della ragazzina si riempirono di lacrime e cominciò a singhiozzare sommessamente. «No, non piangere, ti prego!» L’uomo fece un profondo respiro quasi rassegnato. «È stato orribile! Chi erano quelle brutte persone che volevano ucciderti?» la bambina tirò su col naso, ricacciando le lacrime all’indietro, doveva mostrarsi grande e forte, solo così Babbo Natale l’avrebbe presa sul serio. «Non lo so, bambina. Speravo fossi tu a dirmelo.» Lilletta lo guardò stupita, poi improvvisamente sentì di non avere i suoi vestiti addosso, ma di essere avvolta in un asciugamano molto caldo e confortevole. «Cosa mi è successo?» chiese la bambina. «Mi hai salvato la vita e ti sono debitore. A proposito, come ti chiami?» replicò Babbo Natale. «Elisabetta, ma tutti mi chiamano Lilletta. Piacere di conoscerti, Babbo Natale!» «Mia dolce salvatrice, sei a bordo della mia casa viaggiante, con la quale ormai da più di duecento anni umani vengo a portare dei doni ai suoi simpatici ed ospitali abitanti che molti anni addietro mi aiutarono quando ne ebbi un disperato bisogno.» «Ricordo di aver sentito tanto male...» fece Lilletta. «Sei stata ferita gravemente, io ti ho portato nella mia nave per curarti, per fortuna sono arrivato in tempo,» Babbo Natale tirò un sospiro di sollievo. «I miei vestiti? La mamma si arrabbierà molto se non li riporterò a casa,» chiese la bambina. «Eccoli,» disse Babbo Natale, porgendoglieli. «Li ho riparati, puliti e asciugati. Quegli sciagurati non hanno avuto remore a sparare. Certo che hai compiuto un’impresa eccezionale, da quello che le mie macchine hanno potuto appurare di te è che sei dotata di particolari capacità che stanno esplodendo con l’età. Ne sapevi niente?» «No, davvero,» rispose Lilletta costernata, rivestendosi velocemente, non mettendo però cappotto e sciarpa. «Non ho idea di cosa ho combinato, so solo che non potevo lasciare che quei cattivoni ti facessero del male, dovevo parlarti.» «Ti sei spinta fino a qui perché dovevi parlarmi?» Babbo Natale la fissò stupito.


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«Sì, ma dopo ciò che ho visto non ci capisco assolutamente più un piffero,» Lilletta scosse la testa sconsolata. «Se tu sei Babbo Natale che porta i doni ai bambini buoni e guarisce dalle malattie e dalla tristezza che cos’è questo posto e chi era quella gente che voleva farti del male? Poi questa non è una slitta volante e tu di sicuro non usi renne per volare e forse non fai neppure miracoli. È così?» Lilletta aveva gli occhi tristi e lucidi che scrutavano nel profondo la figura rossa che le stava davanti. «Non è esattamente come raccontano nelle leggende, ma sono proprio io, Babbo Natale. È una storia lunga, e io sono terribilmente curioso di sentire la tua, devi avere un motivo più che valido per rischiare la tua vita. Vieni, sediamoci a tavola e parliamo, sarai affamata dopo la tua permanenza nella vasca di sospensione,» con un cenno elegante della mano, Babbo Natale invitò la bambina a sedersi al tavolo. «Wow! Adoro gli spaghetti, mi sento affamata come un leone, pancia mia fatti capanna!» Babbo Natale sorrise, nel vedere come Lilletta si era rimessa in sesto. Mangiarono tutto, anche il buon formaggio di pecora. Dopo aver bevuto la strana bevanda contenuta nella bottiglia, che la bimba non seppe assolutamente definire, Babbo Natale iniziò a parlare. «Ti è piaciuto tutto?» chiese. «Sì, grazie, era tutto buonissimo, anche se questa bevanda non so assolutamente cosa sia,» replicò Lilletta. «È una bevanda dissetante ed energetica fatta con un mix di frutti del mio mondo, non si trovano qui da voi, ma ho pensato di festeggiare degnamente la mia nuova ospite, è la festa di Natale, che diamine,» l’uomo fece un largo sorriso, sottolineato dalla sua lunga barba bianca. «Dal tuo mondo? Da dove vieni? Sono curiosissima, i miei genitori non mi hanno detto tutto, allora,» la bambina si accoccolò bene sulla sedia, continuando a sorseggiare quel nettare corroborante. «Arrivai su questa terra più di duecento dei vostri anni addietro. Ho avuto qualche problema con quella che voi chiamaste slitta volante e sono dovuto atterrare velocemente prima che la situazione diventasse davvero brutta. Mi avete accolto ferito e sperduto, i vostri avi mi hanno curato e aiutato a rimettere in sesto la mia nave, che era rimasta danneggiata dall’interferenza subspaziale con il campo gravitazionale di una stella troppo vicina. Purtroppo i danni erano troppo estesi e la vostra arte troppo arretrata per permettermi di fare meglio, non posso più tornare nel mio mondo, sono prigioniero di questa dimensione subspaziale, il mio trasduttore mi permette di nascondermi nelle pieghe nascoste della vostra dimensione ma non posso più viaggiare attraverso di esse. Ormai questa terra avvolta nel freddo è diventata la mia nuova dimora e vivo nascosto ai vostri occhi, tranne in questo periodo dell’anno, che a voi è tradizionalmente molto caro. Purtroppo sembra che il mio segreto sia venuto meno, dopo i fatti di questa sera e non so davvero se devo cominciare a preoccuparmi e trovarmi un rifugio ancora più sicuro entro breve tempo.» La bambina sgranò gli occhi stupita, tutto quello che i suoi genitori le avevano sempre insegnato si stava rivelando solo un cumulo di menzogne. Non riusciva a concepire che i suoi cari le avessero mentito, forse però l’avevano fatto in buona fede, poiché qualcuno aveva mentito per primo a loro. «Sei molto intelligente, piccola Lilletta! In effetti neanche i tuoi genitori sanno esattamente come stanno le cose, poiché le mie origini, alla gente di quel tempo, erano qualcosa di inconcepibile.» Lilletta lo fissò con occhi penetranti. «Posso leggere i tuoi pensieri, come posso in parte influenzare le vostre menti, o generare dei campi magnetici grazie al mio metabolismo e ad un congegno accumulatore che portò impiantato vicino al mio cuore, come tutta la mia gente usa per sopravvivere in ogni frangente. Anche tu, ancora in modo latente, disponi di capacità simili, anche se non sei del mio quadrante.» «Dov’è il tuo mondo?» domandò Lilletta incuriosita da questo Babbo Natale ultraspaziale, un poco sfortunato e con delle renne davvero malandate. Anche a lui capitavano cose brutte, non era solo alla sua famiglia che la sfortuna attribuiva un trattamento di favore. «Vengo da un mondo di ghiaccio, dove tutto è attanagliato da una morsa gelida terrificante,


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causata dall’insensatezza e dall’arroganza di coloro che detenevano le decisioni importanti. Avevano pensato solo al proprio interesse, senza tenere in alcuna considerazione il vero bene di tutti. È stato dopo la terribile esplosione dei mille soli e sopraggiunse il lungo inverno, che imparammo finalmente a comunicare realmente tra noi, riscoprendo le facoltà sepolte nella profondità del cervello.» Lilletta era rapita dalla voce calda e suadente del suo interlocutore, era sazia e ben riposata, ora voleva sapere come andava a finire quella bellissima ed avvincente favola. «Avete costruito tante case di legno con la stufa per proteggervi dal freddo? Come avete fatto, se non arriva mai la primavera e non si pianta il grano né si pascolano le mucche?» Babbo Natale sorrise da sotto i baffoni di cotone fiorito. «No, ci siamo ritirati nelle viscere della nostra terra, a grande profondità, dove il cuore del nostro mondo pulsava ancora del suo calore pieno. Abbiamo sfruttato il calore delle sue pietre e ci siamo costruiti dei rifugi, usando quelle nuove capacità che il disastro ci aveva donato. Molti di noi sono morti ma alla fine abbiamo imparato,» raccontò Babbo Natale, contrito e con occhi velati di tristezza. «Cosa?» la bimba era sempre più presa, le sarebbe piaciuto vedere quel mondo sotterraneo, dove erano esplosi mille soli e la gente si nutriva di pietre e non vedeva mai il sole e dove si poteva rotolarsi nella neve per tutto l’anno. «A fidarci l’uno dell’altro, a collaborare per il bene di tutti e a usare le nostre forze, senza appoggiarci alla tecnologia, che tanto male aveva fatto, per l’arroganza e l’insensatezza collettiva che ci aveva preso al culmine della nostra civiltà.» «Adesso vivete bene? Perchè allora sei venuto qui?» disse Lilletta, con trepidazione. «No, piccola mia, non viviamo bene, troppi di noi muoiono per gli stenti e le terribili onde magmatiche presenti nell’instabile sottosuolo che ci ospita, purtroppo non possiamo nemmeno trovare conforto nell’esterno, coperto dai ghiacci eterni. Per questo convinsi la mia gente a permettermi di usare uno degli ultimi carri da battaglia del nostro esercito ancora funzionanti a trasduzione sub spaziodimensionale e, con l’aiuto dei pochi scienziati sopravvissuti alla caduta dei mille soli, riparai il sistema di navigazione e riuscii a partire, alla ricerca di un mondo nuovo, che ci potesse ospitare. Non ti dico l’emozione del vedere la mia povera terra dall’alto, ricoperta da quel lenzuolo bianco,» una lacrima scese giù dagli occhi del vecchio, stava ripensando a una casa e a persone care che non lo avrebbero visto mai più. Lilletta prese una delle grosse mani di Babbo Natale tra le sue, stringendola con tutta la forza che aveva. «Mi dispiace tanto! Davvero! Spero tu possa riparare il tuo carro volante e riuscire a ritornare da dove sei venuto, anche se questo significa che non verrai mai più a farci visita e non avremo più i tuoi regali. Va bene, mi sacrifico davvero con gioia, se questo vuol dire saperti felice con persone che ti amano. Non mi hai ancora detto come ti chiami,» Lilletta aveva parlato con la solita sconcertante sincerità. «Beh, il mio è un nome complesso nella tua lingua. Potresti chiamarmi Imperatore del Ghiaccio, anche se a dire il vero non mi piace molto. Puoi chiamarmi Imperatore Bianco, dato che vengo da un mondo avvolto in questo algido e scostante colore. Ti piace?» «No, preferisco chiamarti Babbo Natale, mi piace tanto e per me sarai sempre e solo tu. Perché fai questo, poi? Perché porti tanti regali?» Babbo Natale aggrottò la fronte, sembrava molto concentrato, poi la sua voce calda risuonò ancora una volta. «Beh, non potendo più tornare nel mio mondo a causa del guasto alla mia slitta, ho pensato di far del bene qui con la mia abilità, per ringraziarvi dell’ospitalità e per i cibi che mi avete dato quando ero ferito e che ancora mi date. Credo sia il minimo che possa fare, non trovi? Inoltre sto cercando ancora di riparare il carro da guerra. Molti degli oggetti che mi portate mi sono utili per migliorare il mio mezzo di locomozione personale. Forse un giorno riuscirò nel mio intento, anche se adesso considero questo mondo meraviglioso la mia casa e non vorrei dover ripartire.» «Perché non vuoi che qualcuno ti veda?».


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«I fatti che sono accaduti questa sera sono anche troppo eloquenti riguardo a questo argomento. Come vedi ci sono troppe persone ansiose di conoscermi, come quelle contro cui mi sono appena scontrato. Forse sperano di poter ottenere il segreto della mia tecnologia per aumentare il loro potere, ma non potranno mai ottenere niente di tutto questo da me. Vedi, Lilletta, con la mia abilità riesco a interagire con l’anima delle persone, producendo illusioni oppure instillando un sonno ipnotico indotto. È semplice e mi consente di accedere al vostro mondo senza colpo ferire. A quanto sembra non funziona su tutti, in particolare su soggetti telepatici forti come te, che resistono alla mia opera di interazione. Davvero non sai nulla di questa tua capacità?» «Sì, te lo giuro, Babbo Natale, non ne so nulla, sono venuta qui per parlare di altre cose.» «Già, volevo sapere anche riguardo a questo. Perché ti sei messa ad aspettarmi al freddo? Non lo sai che potevi beccarti una brutta malattia?» La guardava ora con uno sguardo severo e corrucciato. Lilletta parlò in fretta, le parole le uscirono come un fiume che aveva appena rotto gli esigui argini. «Mia mamma sta molto male, il papà mi dice che ha una brutta influenza che la fa sempre tossire, io li ho sentiti e la mamma piangeva che non voleva lasciarci ed il papà s’arrabbiava perché diceva sciocchezze. Volevo chiederti come regalo se potevi guarire la mia mamma. Ti prego, dimmi che lo puoi fare.» La bambina fu scossa da singhiozzi, non riusciva più a trattenersi. L’uomo la prese tra le braccia e la tenne stretta fino a quando non si calmò. «Calma, bambina mia, vedrò quello che posso fare. Adesso chiederò al grande oracolo della slitta volante cosa posso fare e vedremo di darti tutto l’aiuto possibile, anche a tornare nel tuo mondo, al sicuro da quei brutti tipacci, che non si spiegheranno come mai sei ancora viva,» disse sorridendo dolcemente il grande uomo dalla barba fiorita. «Sono così impaurita, Babbo Natale, non voglio che mamma soffra così tanto. Ho pensato di tentare il tutto per tutto per non farla andare via ma ho perso tutte le mie speranze. E poi… Ho sentito tanto male e tanto freddo, credevo davvero di morire, eppure tu mi hai salvata. Grazie,» Lilletta diede un bacio sulla guancia all’uomo che la stringeva con tanta dolcezza tra le braccia, quella stretta con cui veniva coccolata dai suoi genitori prima che iniziasse il loro calvario. «Vedrò di farti arrivare a casa al sicuro… Ma fammi vedere di là, sul ponte principale, dovrebbe esserci qualcosa che possa donare la salute a tua madre.» Babbo Natale si prese la lunga barba tra le mani all’altezza del mento, quasi stesse riflettendo. Alla fine si alzò di scatto, fece uscire dal vano ancora una volta la vasca di sospensione, prese una boccetta piccola e la riempì con un poco del liquido. Dopo la porse a Lilletta, sembrava che all’interno non ci fosse nulla. «Ecco, questo dovrebbe essere sufficiente a rimettere in sesto la tua dolce mamma. Ricordati di darglielo subito appena arrivi a casa, poiché in questi casi l’unica cosa che manca è la tempestività,» Babbo Natale strizzò l’occhio e il suo volto sembrò rasserenarsi. «Tua madre starà benissimo, vedrai,» continuò. «Ciò che mi preoccupa di più sono le persone che si sono presentate questa sera. Temo che le cose non saranno più come prima, soprattutto per te, povera bambina, dovrai crescere un po’ troppo in fretta, d’ora in poi. Per questo ti chiedo di non rivelare la nostra conversazione a nessuno. Sarà il nostro piccolo segreto. In questo modo potrò starti vicino e aiutarti nel migliore dei modi. Va bene?». «Speriamo solo che quei cattivoni in nero siano andati via da dove mi hai raccolta. Ho fretta di tornare a casa per dare la medicina alla mamma,» rispose Lilletta. «A questo ho già pensato io, vieni con me,» la esortò l’uomo. Lilletta lo seguì per la sala tenendolo per mano, lo guardava di sottecchi, la colpivano gli occhi sereni ma un po’ tristi e il gran sorriso che emanava. Arrivarono presso una cabina tondeggiante, con l’apertura a vetro scorrevole. Babbo Natale l’aprì con un gesto secco della mano destra. Dentro si trovavano parecchi oggetti dalla forma più strana e dalle dimensioni più svariate. La bambina non capiva come quel piccolo armadio potesse contenerli tutti. «È lo stesso funzionamento del mio motore a propulsione dimensionale, solo ne è invertito il


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funzionamento per riprendere il proprio corso seminaturale», disse distrattamente Babbo Natale. Lilletta lo guardò senza comprendere. «Volevo dire che funziona sul principio di un buco nero a comando, posso infilarci dentro quanti oggetti voglio e poi tirarli fuori secondo un ordine stabilito con la meccanica quantistica. Un po’ come avere una biblioteca grande come tutto il pianeta, con la possibilità di archiviare esattamente tutte le cose che ti servono e recuperarle in un secondo, per mezzo di una ricerca incrociata e simultanea. Forte, vero?» Babbo Natale sorrise, quasi ridacchiando fra sé e sé. Lilletta era sempre più affascinata da tutto ciò che le stava intorno, ma non riusciva a togliersi dalla testa sua mamma. Cominciò a sbadigliare ripetutamente, gli occhi iniziarono a lacrimare, passo le mani per pulirli ma senza risultato. «Sei stanca, piccola? Adesso ti porto in un letto comodo fino a domani mattina ma prima ho una cosa da darti,» Babbo Natale allungò la mano dentro l’armadio, la quale sembrò scomparire inghiottita da tutti gli oggetti che stavano nella prima fila, per poi riemergere con qualcosa stretta nella grande mano. Lilletta si ritrovò davanti agli occhi uno strano medaglione, lo prese ed iniziò a rigirarselo tra le mani. Era circolare, con il disegno stilizzato di una molecola di neve inciso con delle pietre bianche sfavillanti. Tutto l’oggetto sembrava fatto di un materiale simile all’argento, ma era molto leggero e non sembrava nemmeno di averlo per le mani. «Che cos’è, Babbo Natale? Un altro regalo per me?» chiese la bambina. «Qualcosa di più,» precisò il vecchio. « Viene dal mio mondo lontano e sarà il nostro modo di rimanere sempre in contatto e ti aiuterà quando si presenteranno degli avvenimenti che non riuscirai a spiegarti. Si chiama Gravirex, nella mia lingua,» spiegò Babbo Natale. «Gravirex?» ripeté la piccola, sbadigliando. «Significa pietra di neve e nelle mie terre è simbolo di unione e salute. Quando vorrai parlarmi, in qualsiasi momento, alzalo al cielo e pensa intensamente a me. Le altre potenzialità di questo talismano le scoprirai strada facendo, non spaventarti per nessuna ragione se ciò che ti si presenterà davanti ti sembrerà assurdo,» Babbo Natale la prese tra le braccia, la bambina stava crollando. «Me lo ricorderò. Ho tanto sonno.» Babbo Natale la prese in braccio e lei appoggiò la testa sulla spalla destra dell’uomo in rosso. «Adesso ti porto a letto, domani mattina sarai a casa. Non ti dimenticare di me e passa un buon Natale, piccola mia», disse il vecchio saggio. Babbo Natale agitò la mano e le luci iniziarono ad abbassarsi delicatamente e con l’altra prese più strettamente la piccola Lilletta, una lacrima gli scendeva dal viso. Le orecchie della piccola iniziarono a ronzare sommessamente, mentre la luce diminuiva sempre di più, avvolgendo in un velato abbraccio la figura imponente che ancora la stava coccolando con tanto affetto. Il ronzio diminuì di colpo e il buio più nero avvolse completamente la stanza come un caldo mantello, mentre una musica dolce si perdeva nell’ambiente, fino a scomparire.

3 Sentì sul proprio viso il calore, una voce alta e potente che la chiamava e qualcosa che la scuoteva come un frullatore. Lilletta aprì gli occhi di scatto, domandandosi dove fosse finita. Girò lo sguardo intorno ancora intontita dal sonno e dall’essere stata svegliata in quel modo. Era l’alba dorata del giorno di Natale ed un signore alto e imponente la stava scuotendo dal suo rifugio. Era interamente coperta dalla neve ed era ancora appoggiata alla botte di legno. «Cosa diamine ci fai sdraiata qui fuori in una coperta pesante, Lilletta? Ti ha dato di volta il cervello? I tuoi genitori lo sanno che sei qui tutta ricoperta di neve come un pupazzo?» La bambina cerco di mettere a fuoco l’immagine, alla fine vide che si trattava di uno dei suoi


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maestri di scuola, il vecchio Hans Ortler. «Maestro Hans,» biascicò la bimba, «scusi, devo correre a casa, ho una medicina urgente da dare alla mamma, anche questa notte ha continuato a tossire, la prego, devo fare più in fretta possibile, mi accompagni,» supplicò la bambina. Il vecchio Hans la squadrò da capo a piedi, passando gli occhi ora dal vestito, poi alla coperta e ancora alla torcia elettrica nera che giaceva inerte ai piedi della bambina. Passò lo sguardo poi sulla mano destra della bambina, che brandiva con forza un’ampolla di vetro contenente qualcosa di incolore. Passò di nuovo gli occhi sui vestiti, poi rivide l’ampolla e poi incrociò gli occhi di Lilletta. E alla fine fece l’unica cosa che secondo lui, in quel preciso istante, fosse l’unica scelta saggia e corretta da compiere. La prese in braccio e la portò di corsa alla sua casa. Bussò vigorosamente, sembrava quasi volesse buttare giù la pesante porta di legno massiccio. Papà Hermann corse subito in basso e rimase di sasso quando aprì la porta. «Lilletta, cosa diavolo ci fai fuori casa, a quest’ora? Dove l’ha trovata, maestro Hans?» balbettò più per la rabbia che per la sorpresa. «Non la sgridi, Hermann, questa bambina si è beccata tanto di quel freddo per portare la medicina alla tua dolce Hannah, che penso meriti una colazione di Natale come non si è mai visto a memoria d’uomo. Ora la saluto, devo correre dalla mia famiglia, altrimenti chi la sente, la mia dolce consorte. Buon Natale!» replicò tutto d’un fiato l’anziano maestro elementare. Detto ciò, strinse la mano a Hermann, diede un bacio a Lilletta e scomparve in men che non si dica in mezzo alla piccola folla che stava riempiendo lentamente le strade innevate. «Buon Natale anche a lei, maestro! Grazie infinite di aver riportato la bambina,» gridò Hermnn, guardando di sottecchi la piccola peste, che sembrava molto divertita dall’insolita situazione. Rimase ancora più stupito quando la bambina gli porse una boccetta di vetro perfettamente trasparente. «Dalla subito alla mamma nel suo tè e non farle mancare i suoi biscotti con il miele. Dille che è un regalo di Babbo Natale. Ti voglio bene, papà!» sussurrò quelle parole con fermezza, guardando il padre fisso negli occhi, senza mai abbassare lo sguardo. Hermann sorrise e prese l’ampolla dalle mani della bimba. L’abbracciò sorridendo vigorosamente, in men che non si dica la portò davanti al caminetto che aveva acceso poco prima e che ora scoppiettava allegramente con guizzi intensi di fiamme che danzavano allegre, che contribuì a far ballare di più gettando molta legna secca nel braciere. Lasciò la bimba assopita e si diresse in cucina a preparare la colazione del Natale. Avrebbe aggiunto una fetta di panettone e avrebbe preparato la cioccolata calda per sua figlia. Se lo meritava, anche se aveva fatto un’enorme sciocchezza, ad avventurarsi sola nella notte. Chissà dove aveva trovato quell’ampolla. A prima vista era completamente vuota. Sorrise divertito e al tempo stesso vergognandosi un poco del proprio volo di fantasia, gli sembrava di essere Peter Pan e di far apparire con il pensiero piatti ricolmi delle più squisite pietanze per tutti i bimbi sperduti. Dopo aver versato quell’incorporea sostanza di polvere di fata, preparò con cura il vassoio: vi pose sopra con lentezza rituale una grossa tazza adornata di motivi floreali con la teiera fumante a forma di papera, un piattino ricolmo di panciuti biscotti al burro, fette biscottate e marmellata di prugne fatta in casa. Camminò lentamente portando passo dopo passo il suo tesoro verso la sala. Pose il tutto sul tavolino davanti al caminetto e si chinò a baciare le esangui labbra della moglie. Hannah aprì debolmente gli occhi, presa subito da un forte accesso di tosse, che si calmò dopo qualche minuto lasciando parecchi schizzi di sangue. L’operazione al torace non aveva dato i risultati sperati, la chemioterapia le aveva portato anche conati di vomito, c’erano giorni in cui non riusciva a mangiare niente. In aggiunta a questo, era terribilmente depressa per lo stato in cui versava il suo corpo, privo ormai anche dei lunghi capelli biondo cenere che tanto erano piaciuti al marito, oltre alla mancanza del seno destro. Lui ebbe un moto di compassione ed impotenza negli occhi, guardandole il viso consumato e il fazzoletto colorato che le nascondeva la testa ormai completamente calva. Poi ricordò le parole


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della figlia e porse il tè ad Hannah. Se tua figlia ti chiede di fare una cosa anche senza senso, dei farla, perché quando te ne chiederà conto devi poter risponderle senza mentire. La donna, ormai diafana, lo bevve con gratitudine e amore sincero, le guance rigate di lacrime e il viso raggrinzito, invecchiato e scavato. Subito dopo averlo bevuto, fece un profondo respiro di sollievo a pieni polmoni, il volto sembrò distendersi e improvvisamente fu vinta da un sonno pesante. Hermann non credeva ai propri occhi: sua moglie ora pareva più rilassata, la pelle si stava distendendo sotto i suoi occhi, il corpo stava riconquistando volume, come una pianta appassita ritrova le originarie forme quando riceve la giusta quantità d’acqua. «Helga, vieni subito qui con Lilletta, per favore!» mormorò l’uomo con un bel sorriso sulle labbra. La figlia maggiore, scuotendo la lunga treccia bionda, arrivò nella stanza ancora in vestaglia da notte e rimase impietrita sulla porta. «Papà, cos’è successo alla mamma? Mi sembra stia molto meglio, guarda il viso come sembra più liscio...» non riuscì a terminare la frase che Lilletta irruppe nella stanza avvolta dalla coperta multicolore. «Babbo Natale ha esaudito il mio desiderio, ora la mamma starà benone e non avrà più problemi. Contenti?» dichiarò. Un’espressione di profonda gioia e sorpresa solcarono il delicato viso triangolare di Helga, gli occhi verdi brillarono ludici di lacrime. Abbracciò la sorellina, accarezzandole delicatamente i capelli. «Sapete cosa vi dico, ragazze? Andate subito in paese a comprare la più bella torta di Natale che la pasticcera del paese ha preparato e poi tornate qui per il pranzo, che dobbiamo festeggiare in grande stile il dono di Babbo Natale,» Hermann prese il portafoglio e diede il denaro a Helga, dicendole sottovoce: «Passa da Zarro e compra quel vestitino che Lilletta ha visto la scorsa settimana… e per te le scarpette rosse con il tacco alto, che tanto ti piacevano… Poi prendi anche per tua mamma quel bel servizio di tazze in porcellana dipinto a mano dal nostro amico Jan.» Vedendo lo sguardo stupito della figlia, aggiunse: «Voglio festeggiare questo Natale con qualcosa di speciale, voglio che rimanga sempre un ricordo meraviglioso di tutto ciò. Forza, andate, altrimenti si fa tardi, cosa aspettate?» Helga era troppo contenta per cercare di capire. Prese i soldi, diede un caldo bacio sulla guancia del padre, spinse vigorosamente la bambina fuori dalla stanza, la vestì con il cappotto e insieme uscirono dalla pesante porta di casa. Hermann le salutò scuotendo il braccio destro poi ritornò rapidamente nella stanza, dove sua moglie dormiva beata: aveva ripreso corpo, sembrava ringiovanita di vent’anni. La svegliò con un bacio. Lei aprì gli occhi e ricambiò con tenerezza, stringendolo forte a sé. «Dov’è nostra figlia, caro?» proferì Hannah con una strana forza nella voce. «Le ho spedite entrambe in paese a fare acquisti natalizi, mia cara!» esordì affabilmente, «la nostra dolce Lilletta è uscita prestissimo per andare a comprarti un ingrediente particolare da sciogliere nel tuo tè del mattino, ha detto che doveva essere un regalo a sorpresa da parte di Babbo Natale.» «La bimba è uscita da sola all’alba? Non me ne sono proprio accorta,» esclamò con una punta di preoccupazione la donna. Però si sentiva rinvigorita, la colazione l’aveva davvero rimessa in piedi, aveva voglia di fare qualcosa di particolare, troppo tempo era passato dall’ultima volta che era riuscita a fare qualcosa in casa. «Eri completamente sfinita, se ricordi avevi passato tre notti in bianco e la bimba era tanto dispiaciuta che non riusciva a stare tranquilla,» spiegò Hermann. «Sarà andata a quella malga a mezz’ora di camminò da qui, dove la padrona prepara quei particolari infusi di erbe. L’avrà presa con i soldini che le abbiamo messo nel salvadanaio.» «Sarà sicuramente andata così, quella piccola birichina, sa che non deve allontanarsi senza dirci nulla. Però è stata davvero gentile, ad andare a chiedere il regalo a Babbo Natale in persona,» Han-


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nah sorrise dolcemente e si alzò dal divano con uno scatto felino. Le cadde il fazzoletto dalla testa e una zazzera di capelli biondo cenere le cadde ad incorniciare le spalle modellate. Hermann rimase a bocca aperta, non riuscendo davvero a proferire una sola parola, pensò solo tra sé e sé che avrebbe voluto ringraziare personalmente Dio per il miracolo che stava avvenendo dinanzi ai suoi occhi. «Che hai, tesoro? Sei bianco come il nostro lenzuolo, Sembra che tu abbia visto un fantasma!» scherzò Hannah. «No, cara, è che... ti sei guardata, oggi?» balbettò Hermann. «Mi sento benissimo, caro e non c’è alcun bisogno di guardarmi allo specchio perché so quanto brutta sono. Che ne dici di darmi una mano in cucina? Voglio prepararvi un pranzo di Natale che rimarrà nella storia della nostra scompaginata famiglia, che ne dici?» Hannah era davvero allegra, Hermann ebbe un tuffo al cuore e le lacrime gli sgorgarono copiosamente, dopo tanta sofferenza trattenuta a stento nel corso del tempo «Certo che ti aiuto, Hannah, è solo che mi sembra incredibile, ti amo tanto!» disse Hermann. «Sai che stamattina sei davvero strano, amore? Non fa niente, mettiamoci al lavoro, c’è talmente tanto da fare e il tempo scorre velocissimo, quando ti diverti,» rispose Hannah. Si precipitarono in cucina, tenendosi stretti mano nella mano, aprì il frigorifero, trovando tutte le cose che aveva preparato Helga la sera prima, compreso uno splendido panettone fatto in casa farcito di cremosa crema pasticcera. Mancava solo da mettere sul fornello la pentola a pressione per il brodo. Helga aveva già preparato i tagli di carne, inoltre aveva impastato due polpettoni da far cucinare insieme al brodo. Hannah ne fu commossa, Helga era diventata davvero brava in cucina e per lei era stata davvero una spalla su cui sapeva di poter contare in ogni momento. Allora Hannah pensò di realizzare una gustosa pasta e fagioli: avrebbero gustato il brodo la sera o il giorno dopo. Il marito prese dal pensile della cucina il tirapasta, fissandolo alla tavola. La moglie dietro di lui impastava in una grossa ciotola gialla la farina con acqua, menando poi colpi forti all’impasto per far uscire tutta l’aria, facendo tremare il tavolo per i vari urti. Hermann le si avvicinò, cingendole i fianchi con le mani, baciandole dolcemente più di una volta il collo candido. «Ehi, tenerone, stai attento che ti sporchi tutto!» esclamò ridendo la donna, poi si girò e mise le braccia dietro la nuca del marito, tirandolo a sé: fu un bacio profondo, assaporando ogni istante di quel contatto. Si separarono con riluttanza, vide che la vestaglia di Hannah si era aperta, lasciando intravedere qualcosa che lo lasciò a bocca aperta. «Hannah, tesoro, guardati il petto!» balbettò Hermann. Hannah abbassò lo sguardo. «Mio Dio, è un miracolo!», escalmò Hannah a voce altissima, quasi un vulcano di energia che scaturiva dai polmoni troppo tempo trattenuti nelle catene della malattia: i bei seni sodi e pieni di Hannah erano entrambi al loro posto e troneggiavano spavaldi e fieri, quasi deridessero la sorpresa della donna. Squillò il telefono, che li distolse da tutte le riflessioni che in quel momento affollavano caoticamente le loro teste. «Pronto, Hannah, sono l’avvocato Jurgen Kleist, come va?» recitò la voce dall’altro capo dell’apparecchio. «Oh, Jurgen, che piacere sentirla,» rispose Hannah, «qualche buona nuova per il giorno di Natale?» «Mi sarebbe piaciuto poterglielo dire di persona, a lei e a suo marito, ma la questione è grave e non potevo perdere altro tempo a rimandare.» Hannah e Hermann trattennero il fiato, quella giornata era già stata fiorente di tante belle cose e sarebbe stato un peccato rovinarla con qualche brutta notizia da parte del Tribunale per il caso che stavano portando avanti contro la fabbrica di pelli.


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«Beh, non sto tanto a tergiversare,» continuò Jurgen Kleist, con tono formale e distaccato, «il Tribunale della Corte di Giustizia ha rigettato completamente la difesa della fabbrica e l’ha condannata a risarcire le famiglie colpite dalla sua condotta criminale. Ci vorranno ancora alcuni mesi di perizie, accertamenti e quant’altro ma il più è fatto. Il paese e i suoi abitanti avranno il giusto risarcimento e la fabbrica, oltre a doversi adeguare, dovrà pure bonificare a spese sue tutto ciò che ha inquinato. In più pagherà tutte le spese legali. Contenti?». Le lacrime si fecero strada e scesero copiose dagli occhi di Hannah, che si accoccolò sulla spalla sinistra di Hermann, che avrebbe voluto correre in strada a piedi nudi, per urlare al mondo la gioia incontenibile che lo pervadeva. «Mi hai fatto venire un colpo, avvocato! Grazie infinite, di tutto! Questo è il più bel regalo che potesse mai essere fatto al paese. È ora che imparino che nel nome del proprio tornaconto personale non si può distruggere il tesoro più prezioso che possiamo lasciare ai nostri figli, un domani!» esclamò esultando la donna, ormai calmatasi dal pianto. «Di nulla, Hannah, ho fatto solo il mio lavoro. Ora godetevi questo Natale e non pensate ad altro che a divertirvi e a stare in compagnia! Auguri ancora e a presto,» l’avvocato riattaccò e Hannah si strinse al marito. Le sue mani risalirono al viso ben rasato di Herman e lo tirarono a sé, rinnovando quella gioia di sentirsi uniti, come non la provavano da troppo tempo.

EPILOGO Nel frattempo, Helga e Lilletta stavano ritornando a casa di buon passo, dopo aver giocato a palle di neve. Portavano una montagna di roba e ridevano a più non posso. Helga era troppo felice, la serenità era ritornata e qualcosa le diceva che non sarebbe più andata via, nemmeno se fosse caduto un meteorite proprio sulla cima della montagna. «Dai, Lilly, che papà ci aspetta per il pranzo, di questo passo non arriveremo mai,» disse incalzando la sorellina, che a ogni piè sospinto trovava la scusa per rotolarsi nella neve alta e soffice. Lilletta non sapeva se quello che aveva visto era solo un sogno o se era stato tutto vero. Nella fialetta davvero sembrava non esserci nulla, ma aveva voluto dire una piccola bugia a fin di bene a suo padre, come spesso gli adulti fanno con quelli piccoli come lei. Sembrava avesse funzionato e la mamma aveva compiuto un miracolo grazie alla forza dell’amore che li univa. Era sicura di questo, l’amore è come il mare, tutto accarezza e protegge, tutto nutre e tutto sopporta. Era felice e sperava che alla fine la sorella avrebbe detto sì al povero Heinrich, suo compagno di scuola che le faceva una corte spietata ormai da due anni. Ora che era così adulta, non aveva più scuse per rimandare. «Arrivo, sorellona, non correre troppo, non ho le gambe come le tue,» disse la bambina, «Facciamo a chi arriva per primo e si prende la fetta di torta dell’altro?» scherzò Helga. «Guarda che ti batto io, questa volta,» rispose Lilletta. Helga rise e fece per mettersi a correre, quando i suoi occhi si posarono su di un’automobile nera. Sembrava un modello Wolkswagen Passat, ma non fu in grado di affermarlo con assoluta certezza, poiché la sua visuale fu coperta completamente da un gruppo di ragazzi con gli slittini. Dopo il loro passaggio, l’auto non c’era più. Scomparsa nel nulla. C’era mai stata o era solo frutto della sua fervida immaginazione? «Forza, sorellina! Chi arriva per ultimo fa le pulizie in casa per un mese intero!» la voce squillante di Lilletta la ricondusse alla realtà. «Ehi, così non vale, sei davvero sleale, piccola peste!» lanciandosi all’inseguimento a rotta di collo, con i pacchi che le ondeggiavano dietro. Ogni cosa sembrava incastonarsi al punto giusto.


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Lilletta avvertì però una strana sensazione, che le percorreva la spina dorsale come una fastidiosa scossa elettrica. Si voltò di scatto e i suoi occhi incrociarono un riflesso lontano, come un vetro sul quale i raggi del sole brillano e si dividono in tanti spicchi. Lo sguardo di Lilletta sembrò attraversare tutta la distanza e penetrare in quello della persona che stava scattando una sequenza di foto continue da parecchio tempo. La bambina comprese che qualcuno la osserva con eccessiva attenzione. Ebbe paura in un primo momento, non aveva mai avuto sensazioni così, ma subito dopo le scacciò dalla mente. Aveva percepito che la persona che stava dall’altra parte non poteva nuocere. Aveva visto un’immagine mentale della spia che la stava pedinando, un uomo completamente vestito di nero dalla testa ai piedi, con la testa rasata e con una macchina fotografica digitale in mano. Dal canto suo, l’uomo in nero si sentì trapassare la vista fino ad arrivare al cervello, era stato addestrato per quei momenti, sapeva che doveva erigere un muro interiore di difesa, ma in quell’istante lo scandaglio penetrò violentemente con la forza di un maglio, scuotendo la sua mente nei suoi recessi più profondi. Comprese che la bambina lo stava percependo distintamente, ma che non riusciva a capire la percezione che arrivava al suo cervellino irrequieto. Riuscì ad arginare quel trapano mentale sforzandosi al massimo, gocce di sudore scesero dalla fronte mentre contraeva i muscoli per lo sforzo, i denti stretti in una smorfia di dolore. La bambina lo aveva sentito, e sperava tra sé e sé che tutto ciò non avrebbe compromesso in modo irreparabile l’esito della missione. Appena rientrato alla base, avrebbe subito dovuto far rapporto al capo. Una voce pesante e affannata lo riportò alla realtà. «Ehi, Cowen, hai finito di scattare quelle dannate foto?» disse l’individuo corpulento all’interno dell’abitacolo scuro. «Non farmi fretta, Stinger!» replicò rivolto al suo compagno di missione, cercando di dissimulare la sua manchevolezza. «Il capo vuole una documentazione fotografica di prim’ordine. Non possiamo lasciare nulla al caso, se vogliamo capire ciò che la bambina ha fatto», rispose secco l’individuo calvo e smilzo che stava al posto del passeggero nella Wolkswagen Passat di colore nero. «Secondo me, Cowen, il capo ha preso solo un colossale abbaglio e tutta questa storia si risolverà solo in una gigantesca bolla di sapone. È solo un caso di remissione spontanea, non ci sono stati interventi dall’alto,» cachinnò Stinger, stringendo le mani sul volante. Cowen ripose la reflex digitale Nikon D200 con teleobiettivo, tolse la scheda e la mise nell’apposito dispositivo collegato al suo portatile IBook Macintosh. Scaricò tutti i files archiviati, aveva riempito la scheda con più di quattrocento foto, dopo le avrebbe stampate nella loro camera d’albergo. «Potrebbe anche essere, Stinger,» rispose l’uomo chiamato Cowen. «Sono quasi certo però che tutta questa storia non sia una bufala e che presto avremo prove solide a sostegno delle tesi del capo. Miss Capelli di Fuoco sta lavorando da troppi anni a cercare conferme alle leggende che girano in questi luoghi e, per la prima volta, sembra che ci troviamo vicinissimi ad un punto di svolta grazie a quella bambina.» «Se lo dici tu, mio caro Cowen,» sentenziò Stinger. «Sono convinto che se non ha trovato nulla in questi anni, a maggior ragione potrà avere qualcosa di concreto partendo dal presupposto che quella bambina abbia visto il Babbo Natale mitico di questi luoghi.» Era inutile, pensò l’uomo chiamato Cowen. Il buon vecchio e saggio Stinger era un ottimo elemento, aveva lavorato con lui a centinaia di casi tutti portati a buon fine ma era anche un inguaribile scettico ad oltranza. «Avvia la macchina che ci andiamo ad appostare fuori dalla casa di quella piccola peste, Stinger! Dobbiamo continuare a tenerli d’occhio nel modo più discreto possibile,» ordinò imperiosamente Cowen. Il motore rombò silenzioso e l’automobile si mosse piano, mentre sul cruscotto risuonavano i


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segnali delle due ragazze, tracciate da un sistema GPRS integrato. Cowen non voleva correre il rischio di perderle. In particolare, proprio la piccola Lilletta poteva rivelarsi la depositaria di un segreto custodito da tempo immemore solo dagli anziani del paese. Lo avrebbe scoperto. Avrebbe accertato se la bambina costituiva un pericolo oppure la possibilità di conoscere i misteri insondabili dell’universo. La giornata prometteva bene. Era davvero un bianco e splendente Natale.


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L’erede di Babbo Natale di Cosimo Francesco Crea

A Lucia Alessandra Di Prisco, il mio amore, che mi ha sostenuto e permesso di portare a termine questo racconto molto importante per entrambi, poiché galeotto fu il racconto...

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Polo Nord, un uomo magrissimo, con una lunga barba, gli occhi rossi e un vestito nero incontra un folletto e gli chiede: «Come è andata la tua missione?» Il folletto gli risponde: «Bene. Ho iniziato ad avvelenarlo e a iniziato a sentirsi male. I folletti non sanno che cosa fare. Ha iniziato a delirare… chiede di sua moglie…» L’uomo vestito di nero scoppia a ridere e dice: «Non si ricorda che gliel’ho portata via! Bene quando morirà, avvertimi cosicché io possa prendere il mio legittimo posto e possa premiarti come conviene al migliore tra i miei servitori.» Il folletto spaventato dice: «C’è un problema, mio signore.» L’uomo gli punta addosso i suoi occhi rossi e gli chiede: «Che tipo di problema?» Il folletto spaventato gli risponde: «Ha chiesto ad un suo fedele folletto di portare al villaggio il suo erede.» L’uomo gli chiede: «E chi è il suo erede?» Il folletto allarga le braccia e gli dice: «Non lo so, questo è un segreto tra lui e il capo dei folletti, Anius. Devi chiedere a lui.» L’uomo si accarezza la barba per qualche secondo e poi dice: «Lo farò molto volentieri. Tu torna al villaggio e continua la tua opera di avvelenamento.» L’uomo salta sulla sua slitta trainata da un orso bianco e dopo aver dato il segnale sfreccia sulla neve. Il folletto torna al villaggio e va a casa di colui che un tempo era il suo capo, entra e gli chiede: «Babbo, come stai?» Il Babbo, che un uomo grosso dalle guance rosse e con una barba lunga ma ben curata gli dice: «Male, quando Anius torna dalla legna digli di venire da me. Gli devo affidare una missione importante.» Il Babbo tossisce e sputa dalla bocca sangue, il folletto corre a sostenerlo e gli dice: «Non dovresti affaticarti.» Il Babbo lo guarda affettuosamente e gli dice: «Non preoccuparti per me, Luxor. Tutti noi dobbiamo morire prima o poi e io non sono un’eccezione. Devo solo preparare la mia successione… fai venire Anius quando torna dalla sua pesca.» Non molto lontano Anius sta pescando attraverso un buco nel ghiaccio, quando sente un rumore, si volta e vede un orso bianco avvicinarsi verso di lui. Non ha paura perché nessun anima aggredisce un folletto. Quando però osserva l’orso negli occhi e vede che sono rossi capisce che quello è un servo del nemico del suo padrone. Il folletto abbandona la canna da pesca e tira fuori il suo arco, lo tende e dice: «Torna dal tuo padrone, se non vuoi morire.» Distratto dall’orso non si accorge che un’ombra gli è scivolato dietro le spalle e che lo afferra per il collo alzandolo da terra. Anius vede il suo aggressore e spaventato gli chiede: «Demone del ghiaccio, che cosa vuoi?» Il demone del ghiaccio, che non è altro che il vecchio magro che parlava con Luxor, gli risponde: «Voglio riprendermi ciò che è mio! Chi è il successore di Babbo Natale? Dimmelo così che possa andare ad ucciderlo!»


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Anius sorride e gli dice: «Non puoi fare nulla, perché il successore di Babbo Natale si trova lontano dal Polo Nord, da cui tu non puoi andartene.» Il demone sorride di rimando e dice: «Prima o poi lo porterai al Polo Nord e prima che si possa fare lo scambio delle consegne, io lo avrò mangiato. Per stavolta non ti ucciderò, torna al villaggio del tuo padrone.» Anius corre verso il villaggio di Babbo Natale, mentre il demone pensa: Molto presto riavrò ciò che mi è stato tolto, molto presto vendicherò la memoria di mio padre! Anius entra nella stanza di Babbo Natale e gli dice: «Red (questo è il nome vero di Babbo Natale) c’è un problema. Il demone del ghiaccio è venuto a conoscenza della tua malattia e ha intenzione di impedire la successione. Il tuo erede corre un serio pericolo.» Babbo Natale tenta di alzarsi dal letto, ma la malattia lo ha reso troppo debole e crolla per terra. Anius corre in suo aiuto e gli dice: «Non devi affaticarti.» Babbo Natale triste gli dice: «Devi partire immediatamente, le forze mi abbandonano. La mia fine è vicina, devi portare il mio erede qua adesso che posso difenderlo da uno dei suoi attacchi.» Anius lo aiuta a rimettersi a letto e gli dice: «Vado immediatamente.» Babbo natale gli dice: «Se Luxor vuole venire con te, portatelo.» Luxor che stava origliando corre via e esce dal villaggio dove incontra il demone e gli dice: «Babbo Natale vuole che io vada con Anius.» Il demone si gratta la barba ispida e dice: «Vai con lui, se c’è la possibilità di uccidere il suo erede prima che arrivi al Polo Nord per noi sarà meglio.» Luxor però gli dice: «Ma se non continuo a dargli il veleno, l’organismo di Babbo Natale potrebbe guarire.» Il demone gli dice: «È più importante il fatto che non possa avere un successore, perché così gli altri folletti non potranno che riconoscere me. Continuerai la tua opera di avvelenamento, quando sarai tornato e dirai a Babbo Natale che il suo erede è morto.» Luxor torna al villaggio dove incontra Anius che gli chiede: «Vuoi venire con me fuori dal Polo Nord?» Luxor gli chiede di rimando: «Per fare cosa?» Anius gli risponde: «Per trovare l’erede di Babbo Natale.» Luxor fingendosi preoccupato gli chiede: «È morto? Le mie medicine non hanno avuto effetto?» Anius gli risponde triste: «No, non siamo a quel punto ma Babbo Natale sente la vita sfuggire dal suo corpo. Dobbiamo trovare il suo successore prima che posso accadere il peggio.» Luxor gli chiede: «Ma non possiamo trovare il suo erede dopo la sua morte? Mi sembra che stiamo abbandonando la speranza di rivederlo guarito.» Anius credendolo sincero gli dice: «Non stiamo abbandonando la speranza ma è meglio che la successione sia fatta lo stesso, altrimenti potrebbe succedere un guaio.» Luxor curioso gli chiede: «Che guaio?» Anius gli risponde: «Il fratello maggiore di Babbo Natale potrebbe essere il suo successore.» Luxor gli chiede: «E chi sarebbe?» Anius gli risponde cupo: «Il demone del ghiaccio.» Luxor terrorizzato gli chiede: «Ma come fa Babbo Natale ad essere il fratello di quell’essere malvagio?» Anius gli dice: «È una lunga storia che un giorno conoscerai, allora vuoi venire a cercare questo erede?» Luxor gli risponde: «Sì, ma dove dobbiamo cercarlo?» Anius gli risponde: «A New York.» Nella sua stanza da letto Babbo Natale tossisce, sa che la sua vita è quasi al termine e non può fare a meno che pensare alla sua vita passata, a suo padre da cui ha ereditato la sua importante carica, a sua moglie che ha stravolta la sua vita e a suo fratello. Il suo acerrimo nemico. Non può permettere che sia lui a essere il suo erede, deve vivere a sufficienza per poter dare la sua eredità al suo prescelto. Anius fa in fretta!


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2 Un uomo con addosso dei vestiti molto costosi sta camminando tranquillamente per le strade di New York, quando un ragazzo che sta messaggiando gli finisce addosso e si scusa. L’uomo gli dice: «D’accordo, ma la prossima volta guarda dove vai!» Il ragazzo si scusa e se ne va, mentre l’uomo pensa: «Questi ragazzi di oggi, sempre che mandano messaggi con i cellulari. Accidenti, ho una fama pazzesca! Devo trovare un chiosco di hotdog. Ehi! Il mio portafoglio è scomparso! Quello stronzo di ragazzo deve avermelo rubato!» Un paio di chilometri più in là il ragazzo dopo aver preso i soldi butta il portafoglio nel cestino dell’immondizia. Il ragazzo li conta e pensa: «Credo che per oggi basteranno, ma domani è Natale… come faccio?» Il ragazzo si guarda il cellulare e continua a pensare: «Non l’ho mai fatto, ma non ho altra scelta.» Vede una donna piena di buste contenenti dei pacchi regalo e decide che quella sarà la sua vittima. La segue e quando crede che sia arrivato il momento opportuno le si avvicina e le punta il cellulare sulla schiena. La donna di trent’anni si spaventa e cerca di voltarsi, ma il ragazzo le ordina: «Non girarti e fa tutto ciò che ti dico, se non vuoi un buco nella schiena. Vai verso quel vicolo.» La donna fa quello che le viene ordinato e giunta nel vicolo prega il ragazzo: «Ti prego non violentarmi e non uccidermi!» Il ragazzo la rassicura: «Voglio solo i tuoi soldi e le buste con i regali.» La donna rimane interdetta e gli chiede: «Le buste con i regali? Perché li vuoi? Sono per i miei figliastri.» Il ragazzo le dice: «Sei una matrigna molto premurosa… glieli ricomprerai. Fa come ti dico.» La donna senza voltarsi dà le buste e i soldi e il ragazzo dice: «Bene, adesso io me ne vado e tu puoi tornare alla tua vita. Non urlare o ti sparerò in testa.» Il ragazzo corre via e la donna si gira e vedendolo che invece di una pistola, tiene in mano un cellulare inizia ad urlare al ladro. Il ragazzo bestemmia e inizia a correre più forte, due poliziotti iniziano a seguirlo e gli urlano: «Nicholas fermati! Nicholas non puoi fare sempre così!» Nicholas riesce a seminare i due poliziotti, ma finisce contro qualcuno e cade a terra. Il ragazzo si rialza e vede che è finita contro una donna, che conosce molto bene, è un poliziotto anche lei, si chiama Ketty e lo ha tenuto in centrale per un paio di ore. Cazzo! Non gli poteva andare peggio! Ketty gli ordina: «Sali in auto.» Nicholas esegue l’ordine, sa che tentare qualsiasi cosa con lei è inutile, ma dice: «È possibile che con tutto ciò che succede in città, tre poliziotti perdono tempo con un delinquente comune?» Ketty gli sorride e gli dice: «Ti porto al solito posto?» Nicholas sorride e le risponde: «Sì, grazie, ma prima devo andare al supermercato. Non ti preoccupare non rubo, ho i soldi.» Ketty gli dice: «Soldi rubati!» Ketty porta Nicholas davanti a un supermercato e questo dopo mezz’ora esce con un carrello pieno di mangiare. Quindi Ketty lo porta davanti a un magazzino abbandonato e gli dice: «Io oggi non ti arresto, ma tu mi fai entrare.» Nicholas scuote la testa e le risponde: «Non posso farlo, anche se in gamba sei sempre un poliziotto.» Ketty gli dice: «Ti arresto?» Nicholas rassegnato: «D’accordo, ma devi far finta di non vedere.» Nicholas entra nel magazzino e urla: «Ragazzi, sono tornato, vedete che abbiamo visite, quindi comportatevi bene.» Da tutte le parti dieci bambini corrono ad abbracciare Nicholas e gli urlano: «Sei tornato! Pen-


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savamo che ti avessero arrestato di nuovo! Chi è quella?» Nicholas risponde: «Un poliziotto.» Tutti i bambini la guardano male e le dicono: «Vattene strega!» Nicholas dice: «Calmatevi! È una persona a posto. Mi ha evitato un paio di arresti. Sapete ho incontrato Babbo Natale che mi ha dato questi regali per voi perché siete stati buoni. Li aprirete domani, adesso prendete le buste della spesa e iniziate a mangiare.» Ketty è rimasta incredula a ciò che stava vedendo e Nicholas le dice: «Vieni in quell’angolo così possiamo parlare.» Ketty non appena si siede gli chiede: «Chi sono questi bambini?» Nicholas le risponde: «Ragazzi di strada, scappati dagli orfanotrofi e dalle loro famiglie affidatarie, come me. Mi prendo cura di loro, cerco di non fargli mancare il mangiare, ma non posso fare di più.» Ketty gli dice: «Dovresti dirlo agli assistenti sociali, non possono vivere in queste condizioni.» Nicholas le risponde: «Stanno meglio con me che in strada da soli. Gli assistenti sociali li riporterebbe negli orfanotrofi e loro scapperebbero di nuovo. Lo so che non sono male, ma questi bambini sono dei fuggitivi, hanno deciso che non vogliono stare negli orfanotrofi o stare con altre famiglie. Non sai cosa ho dovuto fare per conquistarmi la loro fiducia e falli venire a stare con me.» Ketty gli dice: «Quindi tu sei un novello Robin Hood, rubi ai ricchi per dare ai poveri.» Nicholas preoccupato le chiede: «Allora che farai?» Ketty gli risponde: «Nulla, ma non fatti beccare da uno dei miei colleghi. Io quando posso tornerò e vi porterò qualcosa.» Ketty se ne va e Nicholas va dai bambini e dice: «Mi avete lasciato qualche cosa?» Una bambina con i capelli biondi, gli occhi azzurri e la faccia sporca gli porge un panino e Nicholas le dice: Grazie, Sofy. La bambina vorrebbe dirgli prego e che gli vuole bene, ma non può farlo perché è muta dall’età di cinque anni, adesso ne ha dieci. Nicholas l’aveva trovata a sei anni in mezzo ad una strada che moriva dal freddo, le si era avvicinata e lei aveva iniziato a tremare dalla paura, le aveva dato una coperta e se ne era andato. Ogni giorno le portava qualcosa da mangiare e lei aveva smesso di avere paura in lui e aveva iniziato a seguirlo da per tutto. Un giorno davanti alla vetrina di un negozio di televisori, c’era un conduttore di un telegiornale che faceva vedere la foto di una bambina scomparsa. Era Sofy e i genitori erano preoccupati. Nicholas le aveva chiesto se voleva tornare a casa, ma lei aveva iniziato a tremare e a scuotere la testa. Quella famiglia che sembrava così preoccupata e per bene, le aveva fatto qualcosa di male. Che cose orribili facciamo ai bambini! Dopo un po’ qualcuno bussa alla porta e Nicholas pensa: «Cazzo! Ketty mi ha imbrogliato ed è tornata con i rinforzi, ma forse è tornata solo per aiutarci.» Ai bambini gli dice: «Andate a nascondervi.» Nicholas apre la porta del magazzino ma non vede nessuno e pensa che si tratti dello scherzo di qualche ragazzino. Chiude la porta e sente di nuovo bussare. Apre di nuovo la porta e non vedendo nessuno dice: «Smettetela deficienti di fare scherzi!» Sente del dolore alla gamba e si abbassa e vede due nani con delle strane orecchie dei quali uno gli ha appena dato un calcio allo stinco. Nicholas dice dolorante: «Chi cazzo siete voi!» Il nano che gli ha rifilato il calcio sorridente gli dice: «Siamo gli elfi di Babbo Natale.»

3 Nicholas sgrana gli occhi e rimane con la bocca aperta, mentre Anius gli dice: «Tutto bene?» Nicholas si riprende e gli risponde: «Sì, certo come no. Non vedete che sono povero e abito in un magazzino abbandonato, non mi interessa la pubblicità di qualche centro commerciale.» Luxor si volta verso Anius perplesso, mentre questo gli dice: «Non siamo dei finti elfi. Siamo i


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veri elfi di Babbo Natale.» Nicholas mette la testa fuori dal magazzino per vedere se c’è qualche telecamera e poi dice: «È uno scherzo televisivo, vero?» Luxor sotto voce chiede a Anius: «Che cosa è uno scherzo televisivo?» Anius allarga le braccia e dice a Nicholas: «No, è tutto vero.» Nicholas seccato chiede: «Allora che cosa vogliono gli elfi di Babbo Natale da me?» Anius soddisfatto dalla domanda gli risponde: «Babbo Natale ti ha scelto come suo successore.» Nicholas si colpisce con la mano in fronte e dice: «Perché mi chiamo Nicholas? Su ragazzi lo scherzo è bello quando dura poco.» Anius scuote la testa, sa che per convincerlo deve fare qualcosa di estremo e così decide di fargli vedere la sua vera forma. Diventa un troll alto due metri e afferra Nicholas per il colletto della camicia. Sbattendolo contro il muro gli dice: «Adesso capisci che tutto ciò che ti stiamo dicendo è la verità?» Nicholas spaventato dice: «Che cosa volete da me?» Anius scocciato gli risponde: «Che tu diventi il nuovo Babbo Natale!» Nicholas piangendo gli chiede: «Perché io? Sono solo un ragazzo di diciotto anni.» Nel volto di Anius si dipinge un sorriso maligno e poi gli risponde: «No, non lo sei. Tu sei un ragazzo speciale. Possiamo parlare dentro il tuo magazzino?» Nicholas fa di si con la testa e Anius torna il folletto carino e piccolo di prima e gli dice: Non voglio spaventare i bambini. Nicholas fa entrare i due folletti nel magazzino e i bambini li circondano e iniziano a scherzare con loro. Ha paura che i due folletti si possano arrabbiare e che rivelino la loro mostruosa natura, ma questi in realtà sembrano divertirsi molto. Dopo un po’ Anius dice ai bambini: «Adesso noi due dobbiamo parlare con Nicholas, poi torneremo a giocare con voi. Mi raccomando, bambini, fate i bravi.» Nicholas fa sedere i due folletti e chiede: «Quindi voi siete folletti o siete dei troll?» Anius gli risponde: «Io sono un troll, mentre Luxor è un vero folletto.» Nicholas gli chiede: «Che ci fa un troll in mezzo ai folletti di Babbo Natale?» Anius gli risponde: «È una storia lunga, se accetterai di venire con noi al Polo Nord potrei raccontarla.» Nicholas gli chiede: «Per diventare il successore di Babbo Natale? Perché io? Credevo che Babbo Natale non morisse mai.» Anius inizia a rispondere alle sue domande: «Prima di tutto molte cose su Babbo Natale sono false. Ti racconterò tutta la verità, se tu hai intenzione di accettare. Si, siamo venuti per questo. Siamo venuti per te. Tu sei speciale. Sei speciale per via della tua vita. Tu su questo pianeta hai conosciuto la malvagità. L’hai toccata con le tue mani, ma non ti sei sporcato. Anzi adesso aiuti i bambini che erano nella tua stessa condizione.» Nicholas ci riflette su e poi dice: «Anche se mi piacerebbe diventare una leggenda vivente, c’è un problema: non posso abbandonare i miei bambini.» Anius gli dice: «Non dovrai farlo. Una volta che sarai l’erede di Babbo Natale potrai tornare a prenderli con la slitta e le renne e portarli al villaggio di Babbo Natale.» Nicholas chiede: «Se non dovessi accettare che cosa succederebbe?» Luxor pensa: «Speriamo che decida di non farlo. Avremo un problema in meno.» Anius gli risponde: «Posso solo dirti che molti bambini potrebbero morire.» Nicholas sgrana gli occhi e gli dice: «Stai minacciando i miei bambini?» Anius scuote la testa e gli dice: «No, non hai capito. I bambini in generale potrebbero morire. Non posso dirti di più. Decidi di diventare l’erede di Babbo Natale e ti racconterò tutto.» Nicholas abbassa la testa e gli dice: «Non posso abbandonare i miei bambini per un sacco di tempo, soprattutto a Natale.» Anius gli chiede: «Non c’è nessuno che possa guardarteli?» Nicholas ci pensa e poi contento gli risponde: «Forse c’è qualcuno. Voi guardate i bambini, mentre io vado a cercarla.»


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Luxor guarda preoccupato Anius che gli dice: «Non preoccuparti, non sarà così difficile.» Nicholas incontra Ketty e le dice imbarazzato: «Ti devo chiedere una cosa…» Ketty divertita gli dice: «Mi vuoi chiedere di uscire con te?» Nicholas incredulo le risponde: «No, volevo chiederti se potevi guardare i bambini per un paio di giorni. Sono costretto ad andare fuori città. So che ti chiedo troppo. » Ketty gli dice: «Non c’è alcun problema.» Nicholas le chiede: «Comunque, se ti avessi chiesto di uscire, come mi avresti risposto?» Ketty gli risponde: «Quando me lo chiederai, conoscerai la risposta.» Mentre i due si incamminano per arrivare nel magazzino, Ketty pensa: «Trascorre le vacanze di Natale in un magazzino con dei bambini! Perché ho accettato? Potevo stare con i miei amici a fare baldoria… è colpa sua che mi affascina così tanto. Perché?» Al magazzino Nicholas dice ai bambini: «Io devo andarmene per un paio di giorni. Si occuperà di voi Ketty, non fatela arrabbiare e fate i bravi. Tornerò non appena posso e con tanti regali, d’accordo?» Sofi corre verso di lui, gli abbraccia la gamba destra e gli dice: «Torna presto!» Nicholas rimane stupito e con le lacrime agli occhi le dice: «Non ti preoccupare, tornerò e potremo finalmente farci delle lunghe chiacchierate.» Nicholas vorrebbe darle un bacio in fronte, ma questa spaventata se ne va. Nicholas stringe i pugni e pensa ai bastardi dei suoi genitori che le hanno fatto provare paura anche per un bacio. Nicholas dice ai due folletti: «Possiamo andare. Ketty, abbi cura di loro. Quando tornerò, te lo chiederò.» Usciti dal magazzino, Nicholas chiede: «Allora dove avete nascosto la slitta?» Anius gli risponde: «Non abbiamo nessuna slitta.» Nicholas gli chiede: «E allora come andiamo al Polo Nord?» Anius gli risponde: «Con un aereo privato e durante il volo ti racconteremo tutta la storia fin dall’inizio.»

4 Sull’aereo privato Nicholas incredulo chiede ad Anius: «Come fa Babbo Natale a permettersi una slitta?» Anius con un sorriso maligno gli risponde: «Questa è la tua prima domanda, ne puoi fare altre due.» Nicholas cerca di controbattere: «Ehi, non lo sapevo! E poi perché posso fare solo tre domande?» Anius gli risponde: «Sono un troll e qui le regole le faccio io. La tua domanda è sciocca, ma non mi aspettava di meglio da un umano. I diritti d’autore che la Coca-Cola paga a Babbo Natale lo rendono uno degli uomini più ricchi sulla faccia della Terra.» Nicholas gli dice: «Stai scherzando?» Anius gli chiede: «E la tua seconda domanda?» Nicholas si sbriga a risponde: «No, però tu devi rispondere alle mie domande dicendo la verità, giusto?» Anius gli risponde: «Da me, avrai solo risposte sincere. Allora pensa bene alle tue due prossime domande.» Nicholas ci pensa su e alla fine gli chiede: «Chi è Babbo Natale?» Anius fingendosi stupito gli dice: «Oh, hai fatto una buona domanda finalmente! Dimentica tutto quello che sai su Babbo Natale innanzitutto. A questa domanda ci possono essere tre risposte giuste e io te le dirò entrambe. Alcuni uomini sanno chi è Babbo Natale e si tramandano tra di loro questa leggenda: La leggenda narra di un sant’uomo, non si conosce il nome, qualcuno lo identifica con San Nicola ed è per questo che c’è stata confusione e di un demone che terrorizzava il popolo insinuandosi nelle case attraverso le canne fumarie durante la notte, aggredendo e uccidendo i bambini in modo orribile. Il santo uomo con il suo carisma costringe il demone a fare ammenda e


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a portare casa per casa dei doni per i bambini. Alla fine il demone si converte e convince elfi e folletti ad aiutarlo.» Nicholas gli chiede: «Babbo Natale è un demone e io devo prendere il suo posto?» Anius arrabbiato gli risponde: «Hai fatto una domanda, aspetta che io ti risponda completamente. Questa è una leggenda degli uomini, la meno sbagliata riguardo alla figura di Babbo Natale, ma non è tutta la verità. C’è un’altra risposta alla tua domanda ed è quella degli elfi e folletti comuni. Babbo Natale è un demone che uccideva i bambini in maniera orribile, ma un giorno incontrò una donna. Babbo Natale che in realtà si chiama Red, si innamora di questa donna talmente tanto da diventare succube. La donna lo converte e lo costringe a fare dei regali ai bambini. Alla fine Red diventa buono e generoso con tutti. Si redime completamente e riunisce intorno a se folletti, elfi e anche il suo antico amico troll. Vi è infine un’altra risposta, quella delle persone più vicine a Babbo Natale ed è soprattutto la mia risposta, che sono stato il suo amico nel bene e nel male. Sei pronto ad ascoltarla?» Nicholas non è molto convito di voler ascoltare la storia, la prima dalla seconda non ha cambiato la situazione e pensa che nemmeno la terza cambierà la situazione: Babbo Natale era un demone che mangiava i bambini e che si è convertito. Perché era stato scelto lui? Anche lui doveva mangiare dei bambini per diventare l’erede di Babbo Natale? Voleva davvero essere l’erede di un mostro? Comunque non volle fare arrabbiare Anius e fece si con la testa. Anius si alzò in piedi e come un attore iniziò a declamare la sua storia. Esisteva al Polo Nord un demone, il suo nome era Clod. Questo demone possedeva un mantello rosso che gli permetteva di entrare nelle case dalla canna fumaria, inoltre il mantello lo faceva volare e così il demone in una notte poteva fare il viaggio di tutto il mondo! Clod aveva due figli Red e il Demone del Ghiaccio e quando sentì che stava per morire volle mettere alla prova i suoi due figli. Dovevano ognuno di loro uccidere e mangiare un bambino, ma visto che per loro era la prima volta potevano farsi aiutare da qualcuno. Red scelse il suo amico troll, Anius mentre il Demone del Ghiaccio scelse un orso polare. Red e Anius entrarono nella casa sfondando la porta. Anius si occupò del padre e della madre, mentre Red legò il bambino al letto. Lo torturò prima fisicamente graffiandolo con le sue lunghe unghie e poi psicologicamente ordinando a Anius di uccidere i suoi genitori facendoli urlare. Il bambino per la paura svenne e Anius gli disse: «Adesso mangiatelo!» Ma Red non voleva ancora e svegliò il bambino. Voleva che fosse vigile mentre si mangiava la sua carne. Il primo morso glielo diede all’orecchio per non ferirlo gravemente, ma solo per farlo urlare dal dolore. Ad ogni urlo sembrava divertirsi e non voleva smettere di torturarlo. Credo che morì dalla paura piuttosto che dal dissanguamento. Era un vero spettacolo. Nicholas era incredulo, spaventato e non voleva più ascoltarlo ma Anius gli disse: Non ti impressionare, era un demone, uno dei migliori, era normale che si comportasse in quella maniera. Non era normale che si innamorasse di una mortale e si convertisse. È questo che lo rende speciale. È questo che lo rende Babbo Natale. Dove ero rimasto? Ah si! La grande prova! Il demone del Ghiaccio e il suo orso polare entrarono in casa della loro vittima. Il Demone del Ghiaccio lasciò che si occupasse di tutta la faccenda l’orso, che uccise tutti e poi lo costrinse a cibarsi della carne umana. La prova era finita e Clod doveva decidere a chi passare il suo mantello magico. Scelse Red perché faceva le cose di persona ed era malvagio, anche se non era calcolatore come il Demone del Ghiaccio. Clod diede il mantello a Red e poi aspettò che il figlio se lo mangiasse, come diceva la tradizione. Nicholas sgranò gli occhi e Anius capendo il suo dubbio gli disse: «No, tu non dovrai mangiare nessuno. Il Demone del Ghiaccio finse di accettare l’esito della prova, ma in realtà provava rancore e non aspettava altro che il momento opportuno per uccidere il fratello.» Luxor pensa: Non è vero! Il Demone del Ghiaccio fu sempre fedele a Red finché lui fu fedele al padre, quando quella donna lo rimbambì, lui si ribellò. Voleva continuare la tradizione del padre, la tradizione che Red stava distruggendo. Ci ha costretto tutti a portare a degli uomini dei doni, quando dovevano essere loro a dare dei doni a noi, a darci loro stessi!


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5 A New York, nel magazzino di Nicholas, Ketty entra con le buste della spesa e dice: «Sono tornata bambini, adesso so perché Nicholas si dà ai furti, per mantenervi non mi basterebbe mai il mio stipendio da poliziotto.» In quel momento dal nulla escono tutti i bambini che iniziano ad assaltarla e in men che non si dica Ketty si trova alleggerita da tutte le buste della spesa. I ragazzi più grandi iniziano a preparare la tavola e a disporre il cibo, mentre gli altri guardano divertiti. Solo una è distante e non sembra essere interessata a quello che sta succedendo, Sofi. Lei guarda in direzione della porta e ha uno sguardo triste. Ketty le si avvicina e le dice: Non ti preoccupare, Nicholas tornerà presto. La bambina la guarda per qualche secondo con i suoi grandi occhi tristi e poi torna a guardare la porta. Ketty le appoggia la mano sulla testa per accarezzarla, ma questa si ritrae spaventata. Ketty la guarda negli occhi di nuovo e ora capisce perché sono così tristi. Un tempo anche lei ce li aveva così. Ketty la guarda e le dice: Anche a me è successo quello che è successo a te. Non è colpa nostra se i nostri padri, sono dei bastardi. Una lacrima scorre sul viso di Ketty e la sua mente va ai ricordi dell’infanzia. L’infanzia che dovrebbe essere l’età più bella da ricordare per lei è sempre stata un inferno. Aveva cinque anni quando era iniziato il suo inferno su questa terra, che si era concluso a dodici con un colpo di pistola. Un colpo di pistola e poi con un uomo in divisa che sorridente le tendeva una mano salvatrice. L’aveva presa e da quel giorno il suo inferno era diventato un purgatorio almeno. Il suo inferno però non l’aveva mai abbandonata. Ogni dolce carezza, ogni bacio, ogni momento d’amore non faceva altro che ricordarle quelli viscidi che aveva ricevuto durante l’infanzia. Era stata rovinata. Senza preoccuparsi della reazione di Sofi, l’abbraccia forte e questa prima cerca di liberarsi ma poi sconfitta rimane ferma come una statua. Poi le appoggio la sua testa al corpo della poliziotta e inizia a piangere. Quindi sollevata, le dice: Ti voglio bene, Ketty. Il cuore di Ketty si riempie di gioia, una gioia che mai aveva pensato di poter provare e le dice: Grazie. Le due poi mano nella mano vanno verso la tavola pronta per la cena. Sull’aereo privato di Babbo Natale, Anius dice: «Adesso conosci i prima passi di Red, non ti resta che conoscere in che modo si è redento.» Nicholas a queste parole si sente indignato e dice: «Redenzione? Ha torturato e mangiato dei bambini come può un essere redimersi portando doni ai bambini che ha risparmiato? È come se Hitler gli fosse stata data una villa e dei regali e fosse poi stato costretto a dare dei regali a gli ebrei! No, non c’è redenzione per questo genere di azioni!» Anius divertito dalla filippica di Nicholas si accarezza la barba e poi gli dice: «Tu non capisci. Gli demoni e gli angeli non sono come gli umani. Non hanno il libero arbitrio, sono creati per fare del male o del bene, per assecondare la loro natura e nessuno di loro può andare contro la propria natura.» Nicholas gli chiede: «E quindi Red è stato costretto a fare del bene e quindi la sua non è una vera redenzione.» Anius gli dice arrabbiato: «Vedi? Se non mi fai rispondere a una domanda esaurientemente, tu fai delle domande inutili che avrebbero comunque ricevuto risposta. Aspetta la fine del mio racconto e solo quando avrò detto The End, se non hai capito qualche cosa, fa delle domande. Non le conterò come terza domanda, capito?» Nicholas fa di si con la testa e Anius dice: «Molto bene, adesso devo raccontarti di come è avvenuta la conversione del mio padrone. Una notte mentre il mio padrone e Anius andavano a caccia…» Nicholas lo interrompe: «Perché parli di te in terza persona?» Anius dice spazientito: «Perché in fondo tutta la mia vita è stata vissuta da me come se fossi solo uno spettatore, un appendice del mio padrone e nient’altro. Se mi lasci continuare, finirò il racconto prima che l’aereo atterri. Grazie… Una notte Red e Anius arrivano davanti ad una casa. Red chiese al suo accompagnatore: «C’è


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qualcuno qui dentro?» Anius gli rispose: «Sì, un padre e una ragazza. Ha quindici anni, non credo che sarà di suo gusto.» Red gli disse: «Anius, stanotte non voglio viaggiare oltre. Entrerò in questa casa e assaggerò la carne di questa bambina cresciuta, ma non troppo». Red afferrò con forza Anius e insieme entrarono dalla canna fumaria, approfittando del potere del mantello rosso. Red chiese al suo servo: «Dove si trova la preda?» Senza fiatare ma indicandola con il suo indice, Anius gli mostrò la porta della stanza. Red si avvicinò e l’aprì delicatamente. Quando la vide per qualche secondo Red titubò. Non aveva avuto nessun ripensamento, ma anche lui era rimasto affascinato dalla sua bellezza e anch’io che considero tutti gli umani repellenti, posso dire che quella ragazzina rispetto a voi altri aveva qualcosa che non disprezzavo. Red si avvicinò al suo letto e l’accarezzò delicatamente. Voleva che fosse sveglia e la ragazzina si svegliò e iniziò ad urlare. Con un’ascia entrò subito il padre e Anius non ebbe il tempo di fare nulla, gli passeggiò di sopra e si diresse verso Red. Red gli prese l’ascia e poi sbatté l’uomo alla parete, gli conficcò l’arma vicino al collo. L’uomo cercava di muoversi, ma gli era impossibile. La bambina continuava ad urlare, ma Red le disse: «Se continui ad urlare, ucciderò tuo padre.» Red glielo aveva detto perché pensava che la ragazzina non avrebbe smesso, lui avrebbe ucciso il padre e lei si sarebbe sentita in colpa. Stupendolo la ragazzina smise di piangere. Red la guardò divertito e poi le sussurrò: «Credi davvero di riuscire a non urlare?» La ragazzina aggrottò gli occhi in segno di rabbia e di sfida, quella ragazzina gli stava facendo provare qualche cosa che mai aveva provato con le sue vittime precedenti. Era eccitato. Iniziò a graffiarle il viso e le disse: «Nessun uomo vorrà giacere con te con un viso sfigurato. Sei bella ma non lo sarai più. Mi fermerò se mi urlerai di fermarmi.» La ragazzina non emetteva nemmeno un gemito, anzi per essere più sicura che nemmeno un respiro potesse uscire dalle sue labbra, se li morse. Se li morse così forte che le sanguinarono. Dopo averle graffiato il corpo da per tutto, Red era incredibilmente attratto da lei perché non si piegava e lui voleva che si piegasse. Non gli restava che fare un’ultima cosa, una cosa che per voi uomini sembra essere così deprecabile in questi tempi, ma che un tempo praticavate molto: violentarla. Toglierle la verginità e la sua purezza. Le strappò i vestiti di dosso, le allargò le gambe e iniziò a penetrarla. All’inizio sembrò resistergli, lo guardò con il suo sguardo di sfida. Poi che cosa accadde? Esattamente non so spiegarlo. Posso solo dire una cosa, entrambi si legarono l’uno all’altro. Non posso spiegarlo in un'altra maniera. La ragazzina si innamorò del suo torturatore e il torturatore della sua preda. Mentre veniva entrambi, il padre urlava: «Maledetto! Mi vendicherò di te! Nemmeno la morte mi fermerà dall’avere la mia vendetta su di te e su tutta la tua progenie! Nemmeno la morte!» Red si voltò verso di lui e divertito gli disse: «È vero sono maledetto! Ma credo che la mia e la tua progenie saranno unite per sempre da oggi.» Dopo l’amplesso la ragazzina svenne e Anius gli disse: «Padrone che cosa vuoi fare? Mangiarla?» Red la guardò e poi mi disse: «Non dire stupidaggini, oggi io sono stato sconfitto. Lei ha piegato me, non io lei. Per sempre sarò il suo servitore.» Anius non capiva, ma gli chiese: «E del padre?» Red gli disse: «Mio suocero? È meglio che muoia oggi, ma non posso ucciderlo io. Fui io ad ucciderlo e per questo la mia nuova padrone ebbe dell’astio verso i miei confronti. Il suo nome era Elizabhet e divenne la moglie di Babbo Natale. Gli fece cambiare tutte le sue abitudini e lo fece diventare un benefattore. Fu sempre lei ad accordarsi con la Coca-Cola. Non un santo convertì Babbo Natale, ma una donna che provò amore per il suo violentatore. Una grande donna, devo ammetterlo. Ecco chi è Babbo Natale e il tuo compito sarà quello di sostituirlo, di portare i doni ad ogni bambini nel giorno più santo di tutti. Nulla di mostruoso, nulla di orribile. Quei tempi sono passati.»


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Luxor pensa: «Per colpa di quella puttana umana Red ha tradito suo padre, suo fratello e tutti noi. Per questo il Demone del Ghiaccio poi l’ha uccisa. Pensava che poi Red sarebbe tornato il demone di un tempo, ma si era sbagliato. Quel grasso buono a nulla era ormai perso per sempre e quindi il Demone del Ghiaccio iniziò a pensare ad un modo per sostituirlo e a far dimenticare a tutti la nuova tradizione di Babbo Natale e non mancherà molto che ci riusciremo. Quando Red morirà e il Demone del Ghiaccio prenderà il suo mantello, tutto il mondo conoscerà la verità. Tutti i figli di Adamo ed Eva verranno divorati o schiavizzati. Adesso però devo essere io ad agire. Devo impedire che Nicholas venga designato ufficialmente come erede di Babbo Natale.»

6 Anius lo guarda e gli chiede: «Puoi farmi un’altra domanda.» Nicholas ci pensa bene e poi gli chiede: «Perché io?» Anius sorride divertito e pensa che Nicholas è uno dei pochi umani intelligenti sulla faccia della Terra, mentre Luxor pensa: «Bene, questa è un’informazione molto importante, agirò dopo aver ascoltato la risposta.» Anius gli risponde: Non lo so. «È l’unico segreto che ha Babbo Natale con me. Bene, adesso non puoi farmi più nessuna domanda.» Nicholas infastidito gli dice: «Non vale! Questa non è una risposta!» Anius gli dice offeso: «Sì che lo è! Ti ho risposto ad una domanda dicendoti che non conosco la risposta.» Nicholas vorrebbe dire qualcosa ma sa che con quel troll sarebbe solo tempo perso. Luxor guarda Anius deluso e pensa: «Maledizione! Comunque adesso è tempo di agire. È ora di far esplodere la bomba!» Luxor preme un pulsante e tutti sentono esplodere qualcosa, Anius guarda fuori dal finestrino e dice: «Cazzo! L’ala è saltata in aria! Stiamo per precipitare!» Nicholas gli urla: «Ti avevo detto che non aveva senso prendere un aereo, quando puoi usare una slitta volante! Adesso che facciamo? Io non voglio morire! Stupido di un troll!» Anius gli urla: «Perché credi che io voglia morire?» Luxor interviene: «Io non morirò di sicuro.» I due si voltano a guardare Luxor e lo vedono con indosso un paracadute e sorride malignamente. Anius gli dice: «Luxor, che stai facendo? Dallo a Nicholas!» Luxor gli fa vedere il dito medio e gli dice: «Prima di andarmene, voglio rispondere io a una domanda che non mi avete posto. Io sto avvelenando Babbo Natale e io ho ucciso il suo erede! Perché? Perché così potrò tornare a comportarmi come un vero nano! Tornerò a tormentare gli uomini, come è giusto che sia!» Luxor si lancia fuori dall’aereo e Nicholas dice ad Anius: «E adesso che facciamo?» Anius gli dice: «Lasciami pensare! Lasciami pensare! Cazzo! Cazzo e Merda!» Nicholas gli dice: «Sei un nano di Babbo Natale non dovresti dire parolacce e poi a che serve?» Anius si mette le mani in faccia e dice: «C’è solo una persona che ci può aiutare, merda, ma, porca troia, non voglio chiedergli aiuto!» Nicholas lo prende per il colletto e gli dice: «È meglio morire?» Anius gli risponde: «Forse… maledizione! Solo perché ho detto a Babbo Natale che ti avrei portato da lui e io faccio sempre quello che mi dice Babbo Natale… Minny? Minny? Ci sei?» Dal nulla appare… una fatina? Nicholas la guarda attentamente: «È alta come lui, ha un tutù, un paio di ali ma… ha la barba e non solo quella!» Minny la fatina transessuale dice: «Anius, dolcezza, come mai mi hai chiamato? L’ultima volta che ci siamo visti, mi avevi detto che mi avresti ucciso, solo se avessi visto un piccolo pelo della mia folta barba.» Anius cerca di spiegare la situazione al/alla nuovo/a venuto/a il più velocemente possibile:


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«Minny, ho bisogno di te. L’aereo sta per precipitare e ci devi aiutare!» Minny gli accarezza con la mano il mento e gli dice: «Perché dovrei farlo? L’ultima volta ti sei comportato da maleducato e cafone!» Anius gli/le indica Nicholas e dice: «Lui è l’erede di Babbo Natale, non può morire!» Minny si accarezza la lunga barba e dice: «D’accordo, aiuterò lui perché Babbo Natale mi ha sempre trattata bene, ma lascerò morire te.» Anius gli/le dice: «D’accordo, devi portarlo al villaggio di Babbo Natale! Fa in fretta però perché devi arrivare prima di un nano traditore!» Minny guarda Nicholas e sbattendo le lunga sopracciglia gli dice: «Dammi la mano!» Se molti, cioè i pochi lettori, si stanno chiedendo perché ancora l’aereo non si è sfracellato al suolo, una risposta sensata sarebbe che Anius con i suoi poteri da troll sta rallentando la caduta dell’aereo, in realtà però l’aereo non si è ancora schiantato perché si sa che ciò succederà solo dopo pochi secondi che i protagonisti della storia si saranno salvati. Nicholas gli/le dice: «Non ti do la mano.» Anius gli urla: «Non è il momento di fare lo schizzinoso!» Nicholas gli dice: «Non vengo se non vieni anche tu, sei o no il mio trolly?» Minny scocciata dice: D’accordo, datemi entrambi le mani, non voglio morire anch’io per colpa vostra! Comunque Anius mi devi una cena.» Anius gli/le dice: «D’accordo, ma muoviamoci!» Nicholas chiede: «E il pilota?» Anius non capendo gli chiede: «Quale pilota?» Nicholas gli risponde: «Quello dell’aereo che sta precipitando, idiota!» Anius gli dice: «Hai ragione… Bolt, lascia i comandi e raggiungici!» Il pilota abbandona i comandi e va da loro. Nicholas sgrana gli occhi quando lo vede: una renna che cammina sulle zambe posteriori con il giubbotto da top gun e un cappello da pilota dal quale escono le corna. Minny gli dice: «Bolt dai la zampa ad Anius!» Anius afferra la zampa di Bolt e qualche secondo prima che l’aereo si sfracelli (Che vi avevo detto?) i quattro scompaiono dall’aereo per ricomparire in una vastissima distesa di neve. Anius dà un calcio sullo stinco a Minny e gli/le dice: «Dove ci hai portato? Questo non è il villaggio di Babbo Natale! Sei la solita fatina pasticciona!» Minny gli dà un pugno sulla testa e gli dice: «Dovresti ringraziarmi che ti ho salvato! Non sono la fatina di Cenerentola io!» Bolt interviene: «State zitti! Non siamo comunque lontani dal villaggio di Babbo Natale!» Non molto lontano il Demone del Ghiaccio dice: «È arrivato! Non ci si può fidare dei nani, comunque ancora non è arrivato da Red e io posso ucciderlo!»

7 Polo Nord Nicholas chiede: «Allora dove siamo?» Anius gli risponde: «Siamo nel regno del Demone del Ghiaccio, non ci poteva andare peggio.» Nicholas spaventato gli chiede: «Ci ucciderà?» Anius scuote la testa e gli risponde: «Il Demone del Ghiaccio non uccide mai nessuno, lui delega sempre. Questo non vuol dire che siamo al sicuro. Minny non puoi teleportarci nel villaggio di Babbo Natale?» Minny gli risponde: No, il mio potere è insufficiente. Nicholas chiede: «Quindi adesso che cosa facciamo?» Anius gli risponde: «Ci mettiamo in cammino, direzione: villaggio di Babbo Natale.» Nicholas gli chiede: «È molto lontano?» Anius gli risponde: «Dodici ore a piedi circa.»


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Nicholas chiede a Minny: «Puoi fare apparire una slitta, così la attacchiamo alla renna e ci porta lui?» Bolt lo guarda male e gli dice: «Per chi mi hai preso? Io non traino nessuna slitta! Io guido aerei!» Anius chiede a Minny: «Un paio di motoslitte? Uno spazzaneve?» Minny allarga le braccia imbarazzata/o e dice: «Mi dispiace ma non ho più potere per oggi. L’ho usato per salvarvi le chiappe!» Anius gli/le dice: «Hai fatto un bel lavoro dalla padella alla brace… non verrò a cena con te.» Minny stizzita/o gli risponde: «Sei tu a perderci!» Bolt interrompe la discussione e dice: «D’accordo signori e signore, è meglio che smettiamo di parlare e ci mettiamo in cammino.» Non molto lontano il Demone del Ghiaccio entra dentro una caverna e inizia a dire: «Re Groot ci sei?» Dalle ombre della caverna escono fuori prima le lunghe corna, poi la testa mostruosa e infine il corpo peloso di un krampus che dice: «Come osi entrare in casa mia? Dopo tutto quello che hai fatto alla mia specie? Tu meriti di morire!» Il Demone del Ghiaccio sorride sornione e gli dice: «Calmati re Groot! Io non ho fatto nulla e questo tu lo sai. Io a quel tempo ero un consigliere del Grande Demone del Polo Nord, cosa altro potevo fare se non assecondare i suoi ordini? Lui voleva schiavizzarvi tutti e io ho trovato il modo per farlo, ma non ho provato nessun piacere a farlo.» Groot afferra il Demone del Ghiaccio e gli urla in faccia: «Il tuo padrone adesso usa la mia specie per servire gli umani! Ci avete snaturati, luridi bastardi!» Il Demone del ghiaccio abbassa lo sguardo e fingendosi afflitto gli dice: Lui vi ha snaturati, io non sono stato d’accordo con la sua politica, mi sono rivoltato contro di lui e sono diventato un suo nemico. Adesso vengo da te per offrirti un’alleanza. Insieme possiamo vendicarci del Grande Demone del Polo Nord. Groot gli chiede: «In che modo?» Il Demone del ghiaccio gli risponde: «Non molto lontano da qui ci sono i suoi quattro più potenti alleati, uccidili e ferirai mortalmente anche il Grande Demone del Polo Nord.» Groot lo guarda e gli chiede: «E tu che cosa farai?» Il Demone del Ghiaccio gli risponde: «Io ucciderò il Grande Demone del Polo Nord e lo sostituirò.» Groot con le sue unghia affilate si gratta la lunga barba e dice: «E io da questo alleanza che vantaggi avrò?» Il Demone del Ghiaccio gli risponde facendo finta di non capire: «Ti sbarazzerai del tuo nemico.» Groot gli dice: «Non mi basta!» Il Demone del Ghiaccio sorride e gli dice: «D’accordo, quando sarò io il Grande Demone del Polo Nord libererò tutti i krampus e tu tornerai ad essere il loro re, contento?» Groot annusa l’aria e dice: «Molto bene, considerali già morti.» New York il Sole è tramontato lasciando il cielo alla Luna. Nel magazzino abbandonato di Nicholas, i bambini e Ketty hanno preparato quasi tutto per il pranzo di Natale. Ketty guarda i bambini contenti e pensa: «Accidenti questi mocciosi non fanno altro che pensare a mangiare! Però stare con loro è così…» Il flusso dei suoi pensieri viene però interrotto dal rumore di una suoneria. I bambini la guardano perplessa e lei capisce che la suoneria è quella del suo telefonino. Lo prende in mano e guarda il display. È Michael. Chi è Michael? Le brutte esperienze, che ha dovuto affrontare nella sua giovinezza con suo padre, l’hanno resa insicura e debole nelle sue relazioni con l’altro sesso. Ogni volta ha trovato uomini che la trattavano male, che la facevano sentire una pezza da piedi e che la usavano solo per una cosa. Michael era uno di questi uomini. Vorrebbe non rispondere, ma non ci riesce. Dice: «Ciao Michael.»


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Michael dall’altra parte le dice: «Ehi… ascolta ho un’ora di libera perché non vieni a casa mia, ho voglia di scoparti.» Questa era la solita telefonata di Michael. La invitava a casa sua ogni volta per fare del sesso e poi la faceva rivestire e la faceva uscire. Nessun bacio, nessuna carezza, nessuna frase dolce. Anche a lei stava bene così. Non voleva avere con Michael una relazione seria, non voleva averla con nessun ragazzo una relazione seria. Aveva sofferto troppo. Di solito a questa telefonata, Ketty abbandonava tutto quello che stava facendo e andava da Michael. Perché? Perché Michael la sapeva scopare come nessun altro al mondo. Vuole dirgli di si, ma poi guarda i bambini e pensa che non può abbandonarli e gli dice: Non posso adesso, sono impegnata. Perché non facciamo domani? Michael stizzito le risponde: «Allora non hai capito, adesso io ho una voglia matta di fotterti quindi o muovi subito il tuo bel culo e vieni qui da me oppure non ci sentiamo più.» A questa frase il suo amor proprio esce fuori, il suo orgoglio inizia a parlare: Ascoltami tu, brutto deficiente, mi hai preso per una puttana? Guarda che scopare con te non è il mio lavoro e se ti dico che ho da fare, ho da fare. Se non puoi tenere a bada il tuo uccello, puoi o chiamare veramente una professionista, sono sicura che ne conosci molte, o usare la tua mano. A me non importa cosa fai! Se mi fai un’altra di queste chiamate, stronzo, ti farò vedere in che modo tratto i criminali con cui ho a che fare! Ketty chiude il telefono e vede che i bambini la stanno guardando divertiti, poi tutti iniziano a battere le mani e Ketty si sente meglio e dice: «D’accordo, adesso andiamo a mangiare!» Non molto lontano dal magazzino però un uomo annusa l’aria e dice: «Lo sento, il suo maledetto odore è vicino. Finalmente avrò la mia vendetta!» Al villaggio di Babbo Natale, Luxor si fionda nella stanza di Babbo Natale disperato e dice: «Signore, signore è successa una cosa terribile! Il Demone del Ghiaccio ha lanciato i suoi orsi contro di noi. Il tuo erede e Anius sono morti! Io mi sono salvato perché sono scappato come un codardo, mi dispiace signore… puniscimi, ti ho deluso!» Red lo abbraccia e gli dice: «Non è colpa tua, se sono morti. Dovevo mandare più nani e folletti in questa missione, anche qualche krampus. Ho fatto un grave errore di valutazione, ma non credevo che il Demone del Ghiaccio conoscesse il mio piano… comunque non credo di aver bisogno ancora del mio erede, ne potrò scegliere un altro con più calma. Le tue medicine stanno facendo effetto, mi sento meglio.» Luxor lo guarda preoccupato e gli dice: «Sì, ma dovrai continuarle a prendere fin quando non sarai completamente guarito.» Red sorride e gli dice: «Allora preparami il tuo intruglio.» Luxor prepara il suo veleno, glielo mette in una ciotola e gli dice: ecco, bevila tutta in un fiato. Red la guarda esitante ma poi la beve e dice: «Perché Luxor?» Luxor non capendo gli dice: «Signore, perché cosa?» Red triste gli chiede: «Perché mi hai tradito? Perché mi hai ucciso?» Luxor spaventato e incredulo gli dice: «Tu lo sapevi? Allora perché hai bevuto?» Red sorride e gli risponde: «Perché è giunta la mia fine. È destino che Nicholas prenda il mio posto e tutto ciò che farete tu e il tuo padrone non servirà a nulla. Lui è ancora vivo e verrà a prendersi il suo mantello prima che il tuo veleno mi uccida del tutto. Perché mi hai tradito?» Luxor gli risponde: «Perché ci hai schiavizzati, ci hai snaturati… perché voglio essere libero.» Red sorride e gli dice: «Non sei stato forse libero di tradirmi? Te l’ho forse impedito? Da mio fratello non avrà una cosi grande liberta. Credi davvero che gli altri mi ubbidiscono perché li ho schiavizzati? Forse è stato così all’inizio, ma adesso sono contenti di poter decidere se essere dei mostri o no. Ti ho dato il libero arbitrio, quando per natura non ti spettava, e tu per avere una libertà vuoi ricadere nel determinismo legato alla tua natura. Tutto ciò è ironico, ma va bene così. Luxor hai compiuto la tua missione, non mi resta molto. Puoi lasciarmi solo. Puoi andare e vedere se ho usato davvero le catene nel mio regno. Puoi andare e scoprirai che sei stato ingannato. Tutti noi siamo ingannati dalla vita. È questo il bello di essere vivi.»


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8 Polo Nord. Il gruppo eterogeneo guidato da Anius procede tranquillamente, quando sentono un ruggito. Minny salta in braccio ad Anius e gli dice: «Che cosa è stato? Un orso? Caro, io ho paura, mi proteggi tu?» Anius gli/le risponde: «Non sono il tuo caro… comunque si tratta del ruggito di un krampus.» Minny esclama: «Oh cazzo!» Anius lo/la tranquillizza: «Sembrano cattivi, ma servono fedelmente Babbo Natala da quando li ha sottomessi. Solo il vecchio Groot ha deciso di ribellarsi quando Red ha conosciuto sua moglie.» Minny gli dice: «E non può essere lui?» L’urlo: «Io sono il re Groot! Preparatevi a morire!» Bolt dice: «Bé, adesso non ci sono dubbi chi è che ruggisce e che cosa vuole farci. Nicholas con gli occhi sgranati chiede: Che cosa è un krampus e come facciamo a ucciderlo prima che lui uccida noi?» Anius scoppia a ridere e poi dice: «Stai scherzando, vero? I krampus sono dei diavoli e nessuno può uccidere un diavolo.» Nicholas gli dice: «E perché ridi? Ci vuole uccidere!» Minny chiede: «Se è così potente perché non ci ha già ucciso?» Anius lo/la guarda perplesso e poi gli/le dice: «Ma che fatina sei? Non lo sai che ai diavoli piace divertirsi con le loro vittime? È quello che vuole fare lui. Ci ucciderà ma prima si vorrà divertire con noi.» Bolt indica una montagna e dice: «L’ho visto! Cioè ho visto il suo corno per qualche secondo.» Nicholas afferra Anius e gli chiede: «Perché sei così tranquillo?» Anius sorride e gli risponde: «Perché se fossi in preda al panico come la nostra fatina, farei il suo gioco e non ho alcuna intenzione di giocare con lui.» Bolt dice: «Io dico di sfidarlo e affrontarlo. Un duello fino all’ultimo sangue, almeno moriremo come degli eroi.» Nicholas gli dice: «Col cazzo! Perché ci vuole uccidere?» Anius gli risponde: «È un diavolo, ci deve essere un motivo per volerci uccidere? Nicholas inizia ad urlare: Perché ci vuoi uccidere?» Un urlo gli risponde: «Perché se vuoi morirete, io potrò finalmente liberare il mio popolo dall’oppressione del padrone.» Anius risponde offeso: «Il tuo popolo non è oppresso! Adesso sono felici di aiutare Babbo Natale.» Un altro urlo: «Osi infangare il nome dei krampus con queste menzogne? Mi sono stancato quasi quasi vengo ad uccidervi adesso.» Anius gli urla: «Hai mai chiesto a qualcuno della tua gente se era felice o meno?» Groot appare per qualche secondo e quando scompare urla: «Non c’è bisogno! Siamo fatti per fare del male! Se non lo facciamo, come possiamo essere felici?» Nicholas gli chiede: «Tu sai chi sono io?» Groot gli risponde: «Un alleato del Grande Demone del Polo Nord.» Nicholas gli dice: «Hai sbagliato! Io sono il suo erede!» Una risata riecheggia nelle montagne e poi Groot urla: «Meglio ancora! Ora capisco perché il Demone del Ghiaccio vuole che io ti uccida.» Anius stringe i pugni e dice: «Lo sapevo che avrebbe delegato!» Nicholas urla: «Io posso dare la libertà al tuo popolo, se mi lascerai arrivare da Babbo Natale!» Groot appare su una montagna e dice: «Davvero? Ha detto lo stesso il Demone del Ghiaccio e uccidere mi piaci di più del non uccidere, quindi credo che la sua proposta sia molto più allettante.» Nicholas gli volta le spalle e gli dice: «Fa pure, se ti fidi del Demone del Ghiaccio…» Anius astutamente prende la palla al balzo e dice: «Già, come fai a fidarti dell’essere che ha tro-


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vato il modo di schiavizzare il tuo popolo? Vuoi sapere veramente come è andata quel giorno? Io c’ero te lo posso raccontare.» Groot adesso si è avvicinato a quattro metri dal gruppo e tutti lo possono ammirare nel suo aspetto immenso e mostruoso. Con una sola zampata potrebbe uccidere tutti e quattro. Per fortuna non lo fa, si siede come fanno gli indiani e dice: «Raccontami questa storia, ma se non mi piacerà, vi ucciderò all’istante.» A New York. L’essere misterioso sotto il suo cappuccio osserva Ketty che mette al letto i bambini e pensa: «Eccola! È lei! Le assomiglia incredibilmente… ucciderò anche lei. Prima però di affrontarla, devo cibarmi. Il viaggio per arrivare in questa città mi ha stancato e sono troppo debole per poterla affrontare.» L’essere misterioso sente delle urla di paura e di dolore, con incredibile velocità corre verso esse e arriva in un vicolo. Nel vicolo un uomo punta con una mano il coltello alla gola di una donna per farla stare ferma e l’altra la insinua sotto la gonna per abbassarle le mutandine. Le dice: «Sta zitta o ti ammazzo, non ti preoccupare ti piacerà anche a te.» L’essere misterioso in meno di un secondo fa i dieci metri che li separa dai due e si ferma a qualche centimetro dalla faccia del violentatore. Quando il criminale si volta e si accorge di lui salta in aria e dice: E tu da dove cazzo sei sbucato, figlio di puttana! Vattene se non vuoi prendere una coltellata. Il violentatore guarda per qualche secondo gli occhi dell’essere misterioso e poi scappa terrorizzata, mentre la donna fa un respiro di sollievo e abbracciando l’essere gli dice: «Grazie, grazie! Mi ha salvato!» L’essere abbassa il cappuccio e le dice mostrando un largo sorriso: «Non mi deve ringraziare.» La donna gli dice: «Sì invece! Sarei morta senza il suo aiuto, non credo che possa fare qualcosa per riuscire a sdebitarmi con lei.» L’essere la guarda con i suoi occhi verdi che all’improvviso diventato rossi e le dice: «Sì che ti sdebiterai con me, mi darai la tua vita.» La donna non dice nulla, i suoi occhi sembrano spenti e nessun muscolo del suo corpo fa alcun movimento. Sembra esseri pietrificata. L’essere la guarda compiaciuto poi i suoi canini si allungano e li affonda nel collo della donna che emette un leggero gemito. Dalla ferita inizia a uscire un rivolo di sangue che scorre lungo il braccio, arriva alle dita e sgocciola per terra. Dopo qualche minuto il vampiro lascia la donna, che priva di vita cade a terra, si lecca le labbra e dice: «Un altro po’ e poi sarò pronto ad affrontarla.»

9 New York. In un vicolo il vampiro sta succhiando il sangue ad un’altra sua vittima, ma non si accorge che qualcuno lo sta osservando. Questo qualcuno è un barbone pellerossa con una bottiglia di alcol in mano. Non appena capisce ciò che è successo, scappa via e va in un posto dove sono riuniti un paio di barboni intorno al fuoco. L’indiano va diritto al fuoco e ci butta dentro una polvere rossa. Il fuoco fa una fiammata e dalla fiamma appare il volto di Red molto debole che dice: «Che cosa vuoi mio Sciamano?» Nel frattempo tutti gli altri barboni sono scappati spaventati e lo Sciamano gli risponde: «Mi dispiace, signore, disturbarti in questo momento ma l’ha trovata.» Red spaventato gli dice: «Devi proteggerla a qualsiasi costo, sei libero di sorvolare sui miei ordini precedenti.» Lo Sciamano sorride e dice: «Finalmente.» Nel magazzino Ketty riceve un’altra chiamata e risponde: «Capo, non sono in servizio.» Dall’altra parte il suo capo le risponde: «Non me ne fotte un cazzo se non sei in servizio. Abbiamo trovato due donne uccise nella stessa maniera. C’è un serial killer in città e voglio risolvere


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questo dannato caso prima che scoppi qualche sorta di scandalo. Mi hai sentito? Stacca la tua figa dall’uccello a cui si era attaccata e porta il tuo culo sodo alla centrale.» Questo era il modo ordinario con cui il suo capo le parlava e ormai se ne era fatta l’abitudine. Informò i bambini che doveva andare a lavorare e affidò ai più grandi il compito di badare ai più piccoli. In meno di quindici minuti arrivò alla centrale di polizia. Era in stato d’allarme. Nella sala delle riunioni il tenente Maria Batista stava illustrando il caso mentre il capitano Charles Derrer, il capo di Ketty, un uomo di cinquanta anni, abbastanza robusto, con i baffi bianchi e con una camicia a mani corte hawaiana, le stava vicino e ascoltava senza interromperla. Maria: «Le due vittime sono state trovate in dei vicoli isolati. Sono delle donne benestanti che di solito non dovrebbero trovarsi in quei punti della città e non sappiamo come ci siano arrivate. Sicuramente quello è il luogo del delitto. Le vittime sono morte dissanguate, avevano due profonde ferite al collo. Lo so che state pensando ai vampiri, ma cercate di non lavorare con la fantasia. La scientifica è già al lavoro per raccogliere delle prove, i detective invece andranno dai conoscenti delle vittime e ci parleranno. Forza, mettiamoci al lavoro.» Tutti escono dalla stanza compresa Maria che, passando vicino a Ketty, la fulmina con uno sguardo. Ketty va invece dal capitano e gli chiede: «Che cosa devo fare io?» Charles si siede alla sua poltrona e le fa segno di avvicinarsi e poi le dice: «Tu verrai con me a casa di una delle vittime.» Ketty sapeva che non era vero. Charles Derrer era un vecchio grasso porco, purtroppo per Ketty aveva anche delle grandi qualità, era bravissimo nel suo lavoro e soprattutto era un eroe per tutta la città di New York. La disciplinare conosceva molto bene quali erano i suoi vizi, ma chiedeva un occhio. Charles Derrer era il miglior capitano che la città aveva e nessuno si poteva permettere di lasciarlo a casa. Ketty e Charles vanno nel parcheggio della polizia e Charles prende la sua auto. Mentre guida Charles le chiede: Da quanto è Ketty che non mi succhi l’uccello? Il cuore di Ketty si ferma per qualche secondo nel suo petto, stringe i pugni, vuole dargli uno schiaffo, ma si arrende e gli risponde: «Da due settimane.» Charles scende la cerniera dei suoi pantaloni, tira fuori il suo organo e le dice: Allora dobbiamo recuperare il tempo perso. Non ti preoccupare, non mi distrarrò dalla guida. Ketty vuole piangere ma invece si tende verso il lato del guidato e abbassando la testa glielo prende in bocca. Charles inizia a gemere, poi mette la mano destra sulla testa di Ketty e l’aiuta nei movimenti. Le viene in bocca all’improvviso e Ketty è costretta a ingoiarlo. Tossisce e torna nel suo lato del passeggero non dicendo una parola. Charles invece inizia a parlare: «Sei sempre la migliore e anche se ogni volta fai l’offesa, quella che si vuole ribellare, lo so che ti piace anche a te. Comunque non hai ancora finito, mia troietta personale.» Ketty guarda verso la strada e non può fare a meno di pensare alla prima volta che si era concessa ad Charles. Il suo secondo padre adottivo era da poco morto. Era il miglior amico del capitano Charles Derrer, l’aveva aiutato a fare entrare la figlia in polizia nonostante la sua fedina penale. Lei era in debito con lui e il giorno dopo del funerale glielo aveva detto. All’inizio non aveva capito e gli aveva risposto che con il suo lavoro lo avrebbe ripagato. Lui sorrise e le disse: «Certo, ma con il tuo lavoro extra.» Si era calato i pantaloni e dopo averle fatto vedere l’organo eccitato, tutto le era chiaro. Aveva iniziato a protestare e che l’avrebbe denunciato. Lui la sbatté contro un muro e le elencò tutti i motivi per cui sarebbe stata una deficiente a farlo: Era una criminale e nessuno le avrebbe creduto e se anche le avessero creduto, lo aveva fatto a tante altre poliziotte. Qualcuna lo aveva anche denunciato, ma la disciplinare aveva sempre chiuso gli occhi. Con lei non sarebbe stato diverso e sarebbe stata sbattuta fuori dalla polizia.


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I suoi argomenti erano veri ed eccellenti, quindi si concesse a lui. Comunque Charles non era violento come il suo il primo patrigno e non era nemmeno una cattiva persona, eccetto quando voleva fare sesso era anche gentile con lei, se no la chiamava troia. Più di una volta aveva pensato che Charles si eccitava solo in quelle condizioni e la prova l’ebbe quando una volta fu lei a farsi avanti e a voler fare sesso con lui. Lui la cacciò da casa, poi però il giorno dopo la chiamò troia e se la sbatté nel suo ufficio. Al Polo Nord Luxor, dopo aver fatto il giro al villaggio di Babbo Natale, stava tornando deluso nella stanza di Red. Dopo essersi seduto vicino al suo letto, gli dice: «Mi dispiace, sono stato uno sciocco. Comunque non sono come gli altri, sono per natura malvagio e ti ho ucciso, però…» Red gli chiede: «Però?» Luxor gli risponde: «Però non mi sento felice come dovrei.» Red sorride e gli risponde: «Per natura nessuno è malvagio, per questo ti senti male.» Luxor si butta nel suo letto, lo abbraccia e piangendo gli dice: «Mi dispiace… perché non mi hai fermato?» Red gli risponde: Perché anche se siamo liberi di fare del bene e del male, il cosmo ha dei piani per noi e il cosmo con me aveva finito. Se la mia morte per mano tua ti ha aperto gli occhi, questa è la miglior morte che potevo scegliere tra le tante che il cosmo aveva preparato per me. Adesso torna dagli altri tuoi amici e ti prego, quando arrivano Anius e Nicholas falli venire immediatamente da me. Negli ultimi istanti della vita, la vista scompare e non possiamo vedere più il nostro destino. Non so se ci sarà l’incontro tra me e il mio erede, spero però che ci sia. Luxor imbarazzato gli dice: «Posso darti una medicina che rallenta l’effetto del veleno.» Red gli dice: «Grazie, amico mio.» Luxor piangendo gli dice: «Dovrei dirti io grazie… la medicina però ti farà soffrire molto.» Red gli dice: «Soffrirò.»

10 Re Groot impaziente gli dice: «Allora quando inizi la tua storia?» Anius gli risponde: «Calmati! Devo raccogliere i ricordi… sono passati tantissimi anni ormai e la mia memoria non è quella di un tempo. Devi però sapere una cosa: È tutta colpa del demone del ghiaccio. Red infatti non aveva alcun bisogno di schiavi, agiva sempre in prima persona, non delegava mai. Un giorno però arrivò il Demone del Ghiaccio che gli disse che era meglio se voi foste al suo servizio, che così sarebbe diventato il demone più potente sulla faccia della Terra. Adesso tutti i demoni hanno un’unica ambizione, giusto? Essere il più potente fra tutti i propri simili e il Demone del Ghiaccio agendo proprio su questo desiderio di Red lo convinse a schiavizzarvi. Fu sempre lui ad indicare a Red il modo con cui schiavizzarvi, ossi farvi ubriacare durante una festa e poi marchiarvi con il suo simbolo. Come mai tu, Groot, non c’eri alla festa?» Re Groot arrabbiato gli risponde: «Io sono re Groot! Non ero venuto alla festa perché quel giorno avevo qualcosa di più importante da fare.» Anius gli chiede: «Cioè? Sterminare un villaggio di eschimesi?» Re Groot diventa rosso in faccia e gli risponde: «No, dovevo andare a fare visita alla mia mamma. Il venerdì sera andavo sempre a trovare mia madre, adesso non più. È morta da un po’, che Dio l’abbia in gloria.» Anius perplesso gli fa notare: «Era una krampus, sicuramente è tornata all’inferno.» Re Groot infastidito gli dice: «Non la mia vera madre, ma quella umana che mi ha adottato quando ero bambino.» Nicholas incredulo gli chiede: «Vuoi dire che una donna ha avuto il coraggio di adottarti?» Re Groot asciugandosi una lacrima dice: «Sì, era una donna strana ma buona. Dunque è colpa del Demone del Ghiaccio? E perché lo avrebbe fatto?»


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Nicholas ci pensa su e gli risponde: «Perché quando sarà lui l’erede di Red, diventerà anche il signore dei krampus e con un esercito di diavoli sicuramente sarà il demone più potente sulla faccia della Terra.» Re Groot lancia un urlo che fa tremare tutti i ghiacciai del Polo Nord e poi dice: «Mi ha ingannato, quel lurido figlio di puttana, ma non appena lo prendo lo ucciderò.» Anius gli porge la mano e gli dice: «Bene, benvenuto nella comitiva dunque. Dubito che il demone del Ghiaccio adesso si faccia avanti. Il nostro viaggio sarà tranquillo da adesso.» Il Demone del Ghiaccio che ha visto tutta la scena dice: «Maledizione! Proprio un krampus che prima di colpire lascia parlare i suoi avversari mi doveva capitare? Adesso che cosa posso fare?» Dal nulla appare una vecchia con un occhio solo che gli dice: «Devi impedirgli di raggiungere Red! Che altro vuoi fare?» Il Demone del Ghiaccio irritato le risponde: «Questo lo so, ma come? E poi tu, vecchia, chi diavolo sei? La vecchia fa un sorriso diabolico e gli dice: Forse sono proprio il diavolo! Devi affrontarli, idiota! Devi smetterla di delegare e di ingannare, tu non sei me. Tu sei un demone e dentro di te c’è la forza bruta. Io posso farla uscire fuori… mi devi solo baciare.» Il Demone del Ghiaccio fa una faccia disgustata e le risponde: «Ma se sei vecchia e brutta come un’arpia! Non so chi tu sia, ma non intendo dare un bacio per nulla ad una persona repellente come te.» La vecchia diventa un’alta e snella bionda ragazza dagli occhi verdi e dal seno prorompente che gli dice: «Adesso va meglio, stupido idiota?» Il Demone del Ghiaccio spalanca la bocca dallo stupore e dice: «Dunque sei veramente lui? Mi renderai più forte?» La donna bellissima gli dice: «Baciami!» Stavolta il vecchio Demone del Ghiaccio la bacia molto volentieri ma dopo qualche secondo inizia a sentirsi male. La gola gli brucia e teme di star per morire, ma dopo qualche secondo il dolore passa e il demone del ghiaccio diventa un demone muscolo alto tre metri con due lunghe zanne che gli escono dalla bocca. La donna gli porge l’ascia e gli dice: «Con questa sarai inarrestabile. Fa ciò che devi!» Il demone del ghiaccio si allontana ringhiando mentre la donna diventa un uomo e inizia a sputare per terra dicendo: «Che schifo! Almeno una volta all’anno la bocca se la poteva lavare. È stato troppo facile ingannare quell’idiota. Adesso non mi resta che aspettare.» Nel villaggio di Babbo Natale Red inizia ad urlare dal dolore e gli elfi, i nani e i krampus preoccupati si fermano e pregano che il loro signore guarisca presto. Quando però esce Luxor triste e desolato, tutti iniziano a piangere. Luxor li guarda e pensa: Sono stato un idiota a non vedere cosa aveva fatto per tutti noi Babbo Natale. Red mi ha perdonato, ma io non merito il suo perdono. Sono stato io a ucciderlo. Non riesco a sopportarlo. Luxor disperato corre fuori dal villaggio e giunto vicino a un burrone si butta giù. Quando precipita, il suo ventre si squarcia e tutte le sue interiora si spargono per terra. Red sente che Luxor è morto e scoppia a piangere e si dispera per non essere riuscito a non farlo sentire in colpa.

11 Polo Nord. La comitiva di Nicholas sente delle urla che fanno tremare tutte le montagne e Nicholas chiede: «È un orso?» Anius ascolta bene per un po’ e poi gli dice: «No, è il Demone del Ghiaccio ed è molto arrabbiato.» Dopo un po’ la comitiva vede il mostruoso Demone del Ghiaccio correre verso di loro brandendo un’enorme ascia e urlando. Anius dice: «Non me lo ricordavo così grosso.»


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Groot sostiene la sua frase: «Già, quando lo avevo incontrato io era un vecchio rachitico.» Nicholas gli dice: «Si vede che ha preso gli steroidi dei demoni. Noi però abbiamo Groot, un krampus e ai krampus nessuno può ucciderli.» Groot lo guarda perplesso e poi gli chiede: «Credi che lui lo sappia?» Anius interviene: «Non abbiamo tempo da perdere con lui. Io e Groot lo combatteremo, mentre voi andrete al Villaggio di Babbo Natale.» Bolt si morde le labbra, ma alla fine dice: «Minny, fai apparire una slitta che possa trainare!» Minny spara un raggio con la sua bacchetta da fatina su Bolt e poco dopo questo è imbrigliato ad una slitta. Nicholas ci salta sopra e gli dice: «Finalmente sei una vera renna!» Bolt lo fulmina con lo sguardo e gli dice: «Lo ha detto anche mia moglie quando l’ho trovata al letto con un’altra renna, mi ha detto: Finalmente sei una vera renna! Adesso hai anche le corna!» Nicholas imbarazzato gli dice: «Non lo sapevo, mi dispiace… e tu poi che cosa hai fatto?» Bolt ermetico gli risponde: «Ho fatto ciò che avrebbe fatto una vera renna…» Non molto lontano “l’uomo” che aveva potenziato il Demone del Ghiaccio stava osservando la scena. I suoi pensieri sono troppo complicati perché io li possa capire, però sembravano tutti molto malvagi. Quando vede la slitta allontanarsi dice: «Sapevo che quel vecchio non ti avrebbe potuto fermare, mio caro Nicholas, ma ho ancora una freccia alla mia faretra e stavolta dovrai combattere.» A New York- Charles ammanetta Ketty sul letto e questa perplessa gli chiede: «Sei sicuro che possiamo usare il letto della vittima?» Charles gli risponde: «Sta zitta, troia!» Ormai Charles è entrato nella sua parte di dominatore e niente o nessuno sarebbe riuscito a riportarlo alla realtà. Va verso Ketty, le tira via i pantaloni e le mutandine, quindi inizia a penetrarla. Lei inizia a gemere e pensa: Anche se Charles è un vecchio bastardo, sa come scopare. Ma mentre loro due stanno svolgendo le loro attività investigative, non si accorgono che qualcuno è entrato nell’appartamento con un passò così leggero che sembra che in realtà stia volando sul pavimento. Quando vede la scena, il nuovo arrivato si imbarazza molto, vorrebbe tornare più tardi per non disturbare. Volta le spalle ai due e si dirige verso l’uscita, ma allora si volta verso uno specchio e vede qualcosa, cioè non vede nulla, che lo fa pensare: «Cazzo! Sono un vampiro! Adesso entro in quella stanza e li ammazzo tutti! La mia vendetta finalmente sarà completa.» Entra nella stanza, salta sul letto, spezza il collo ad Charles e dopo averlo buttato dal letto, guarda Ketty e le dice: «Ciao, bellezza, sei pronta morire?» Ketty terrorizzata inizia ad urlare, ma il vampiro la guarda intensamente e le dice: «Sta zitta!» Lei continua ad urlare e il vampiro dice: «Maledizione! Con lei il mio potere ipnotico non ha effetto. Va bene, la ucciderò per farla stare zitta.» Inconsciamente o per estinto di sopravvivenza Ketty si ammutolisce e poi gli chiede: «Chi sei tu? Perché mi vuoi uccidere?» A questo punto il vampiro fu colto da un terribile dubbio: Ucciderla subito o fare come tutti i cattivi e rispondere alle ultime domande delle loro vittime e mostrare così di essere logorroico. Cosa fare? Non gli piaceva comportarsi come tutti gli altri cattivi, ma che vendetta era senza che la sua vittima sapesse il motivo per cui doveva morire? Mentre lui tenta di rispondere a questo dilemma shakespeariano, l’anima di Charles sta guardando il suo corpo ormai privo di vita e chiede: «Che cosa è successo?» SEI MORTO Charles si volta, vede qualcuno vestito di nero che ha in testa un cappuccio e una falce in mano e gli chiede: «Tu chi sei?» SONO LEI Charles balbetta: «Lei? Lei Lei?» SI, PROPRIO LEI


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Charles le dice: «Non è giusto! Non ero ancora venuto!» MMM…ADESSO VERRAI CON ME Charles le chiede: «Andrò all’inferno?» FORSE Charles le chiede incredulo: «Non lo sai?» NON È’ COMPITO MIO SAPERLO, IO DEVO SOLO PORTARTI CON ME Charles le chiede: «Dove?» DALL’ALTRA PARTE Il vampiro decide di essere logorroico e le dice: «Sono un vampiro ovviamente. Era una risposta al quanto semplice visto i miei canini e a cui ci potevi arrivare facilmente. Ma la risposta può essere più completa se ti dico: Io sono Ahhhh! tuo padre. Ahhhh! Ketty!» Il vampiro stava cercando di fare ironia, ma pensate che una donna pronta a morire possa coglierla? Ketty gli chiede: «Davvero?» Il vampiro sorride e le dice: «No, in realtà sono tuo nonno. E questa risposta ci porta alla seconda domanda. Voglio ucciderti perché mia figlia era una zoccola che si è unita ad un demone e ho giurato che avrei sterminato tutta la sua discendenza.» Ketty incredula gli dice: «Cosa?» Il vampiro stanco di rispondere le dice: «Adesso basta spiegazioni, puoi morire tranquillamente.» Charles chiede all’essere vestito di nero: «Non dovresti aspettare per prendere anche lei?» NON È IL SUO TEMPO E POI IO SONO SOLO LA MORTE DEGLI UOMINI Charles perplesso le chiede: «Vuoi dire che c’è anche una morte delle donne?» NO, DI QUELLI CHE NON SONO UOMINI. ADESSO BASTA DOMANDE

12 New York. Il vampiro sta per saltarle al collo, quando lo sciamano sfonda la porta e gli dice: «Fermati mostro! Non ti permetterò di ucciderla!» Il vampiro si volta vede il barbone e gli dice: «Torna a casa tua perché non stai vedendo nulla!» Lo sciamano gli dice: «Ma sta zitto! I tuoi poteri con me non funzionano, io sono uno sciamano!» Il vampiro mostra i suoi lunghi canini e dice: «Molto bene, allora anche tu dovrai morire.» Lo sciamano si trasforma in un essere alto più di tre metri (infatti sbatte la testa contro il soffitto), il suo corpo diventa completamente ricoperto di peli. Il vampiro sgrana gli occhi più di quanto li aveva già sgranati per ipnotizzarlo e dice: «Ma tu sei un Wendigo! Bene, se vuoi mangiartela per me non importa. Io voglio solo vederla morta!» Intanto Ketty alla vista di tutto questo da palesi segni di isterismo, gridando come una pazza, tanto da essere udita dai vari palazzi vicini e ovviamente i loro abitanti fanno finta di non sentire. Il vampiro si volta e le intima di stare zitta, ma Ketty gli risponde: Col cazzo che sto zitta! Il Wendigo dice al vampiro: «Me la voglio mangiare io.» Il vampiro è soddisfatto dalla risposta dell’altro mostro leggendario e gli lascia il posto. Il Wendigo afferra Ketty per il collo, la solleva dal letto e la osserva attentamente. Il vampiro impaziente gli dice: «Che la osservi a fare? Te la devi mangiare, non devi mica scopartela!» Il Wendigo fa l’occhiolino a Ketty, se la mette sotto il braccio destro e poi dice al vampiro: «Mi dispiace, ma io sono vegetariano.» Il mostro si lancia dalla finestra distruggendola e poi inizia a scappare saltando da un tetto ad un altro. Il vampiro, che è rimasto di stucco, si riprende e dice: «Un wendigo vegetariano? Ma un uomo non diventa un wendigo quando compie degli atti di cannibalismo? Che mondo del cazzo! Adesso


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mi tocca pure combattere contro un mostro alto tre metri, quando potrò finalmente compiere la mia vendetta?» Il Wendigo si ferma su un tetto, mette giù Ketty e le dice: «Stai bene?» Ketty che ha solo la maglietta indosso gli risponde: «Sì, per ora, ma sono completamente nuda. Ti ringrazio per non avermi mangiata e per avermi salvata da un vampiro, ma non ho alcuna intenzione di fare sesso con te.» Il Wendigo le dice: «Non ti ho salvata per fare del sesso, ma perché me lo ha ordinato tuo padre.» Ketty si arrabbia e colpendolo con il dito al petto gli dice: «Dì a mio padre, dovunque si trovi, che non ho nessun rimpianto per avergli sparato e che non intendo perdonarlo per tutto quello che mi ha fatto.» Il Wendigo le dice: «Non mi manda un tuo padre adottivo, ma tuo padre naturale.» Ketty stupita gli chiede: «E chi sarebbe?» Il Wendigo le risponde: «Babbo Natale.» A questa notizia Ketty scoppia a ridere. Tutto questo, pensa, deve essere un sogno. Deve aver fatto sesso con Charles e poi si è addormentata. Non c’è altra spiegazione. Figlia di Babbo Natale, come no! Al Polo Nord. Re Groot dice ad Anius: «Hai qualche arma?» Anius diventato un trollo gli risponde: «Ho la mia clava a chiodi.» Re Groot sorride e gli dice: «Vediamo di annientare questo dannato Demone del Ghiaccio.» Non molto lontano l’essere che ha potenziato il Demone del Ghiaccio, entra dentro una caverna e dice: «Salve, ultimo gigante del ghiaccio.» Il gigante apre i suoi immensi occhi e dice: «Che cosa vuoi, signore dell’inganno?» Il signore dell’inganno gli risponde: «Voglio farti un favore. Voglio aiutarti a realizzare la tua vendetta.» Il gigante gli dice: «Cosa vuoi dire?» Il signore dell’inganno gli risponde: «Non molto lontano da qui, c’è il tuo nemico. Devi ucciderlo adesso che non sa chi è veramente, prima che riesca a scoprire la sua vera identità e diventi troppo potente per te.» Il gigante annusa l’aria e dice: «Sì, lo sento. Che cosa vuoi in cambio, signore dell’inganno?» Il signore dell’inganno gli risponde: «La tua fedeltà.» Il gigante gli dice: «L’avrai.» Intanto Bolt traina la slitta e si lamenta: «Quanto ci vuole ancora ad arrivare al villaggio di Babbo Natale? Non ho mai trainato una slitta e sono stanco! Io sono un pilota di aerei.» Minny gli risponde: «Non manca molto, ancora qualche chilometro.» Bolt le/gli dice: «E la stessa cosa che hai detto, qualche chilometro fa.» Minny, vedendo che Nicholas è stato molto taciturno per tutto il viaggio, gli chiede: «Che cosa hai?» Nicholas gli/le risponde: «Non faccio altre che rischiare la vita e non so il motivo. Ma quello che più mi preoccupa non è la mia vita, sono i miei bambini. Li ho lasciati con una ragazza, ma non so se lei è in grado di occuparsi di loro. Se dovessi morire, chi si occuperà di loro?» Minny lo tranquillizza: «Non appena potrò riutilizzare i miei poteri, andrò a vedere come se la stanno cavando i tuoi bambini e te li porterò tutti al villaggio di Babbo Natale.» Nicholas lo/la guarda perplessa e gli/le risponde: «Conoscendo la tua bravura, è meglio di no.» Minny gli volta le spalle e gli dice: «Allora cavatela da solo!» Non appena finisce la frase, Bolt vede avvicinarsi un UFO e quando è abbastanza vicino riesce a vedere che si tratta di un enorme masso e riesce a schivarlo. Nicholas gli/le dice: «Sei stata tu?» Minny scuote la testa e con la bocca aperta gli indica il gigante del ghiaccio che si trova su una montagna ed è pronto a lanciare un altro enorme masso.


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New York. Ketty gli dice: «Allora quando è che finisce questo sogno?» Il Wendigo le risponde: «Questo sogno non finisce mai, perché questo non è un sogno. Vieni, dobbiamo andare a casa mia e aspettare là l’alba.» Ketty gli dice: «Col cazzo che vengo a casa tua! E poi da quando i Wendigo hanno una casa?» Il Wendigo torna al suo aspetto da uomo e dice: «Da sempre.» Ketty lo guarda e esclama: «Sei completamente nudo.» Lo sciamano le dice: «Anche prima lo ero, solo che ero coperto di peli.» Ketty gli dice: «Bé è vero che non c’era molta differenza, visto che comunque riuscivo a vedere la tua eccitazione, ma almeno non vedevo il resto. Due persone nude su un grattacielo a New York. Speriamo che non ci veda nessuno.» Lo sciamano le dice: «Speriamo che non ci veda il vampiro. Allora vuoi lasciarti aiutare da me o credi di poter affrontare tutta questa storia da sola?» Ketty ci pensa su e poi gli risponde: «La tua casa è lontana?» Lo sciamano le risponde: «No, si trova qui sotto.» Ketty stupito gli chiede: «Hai un attico? Perché prima di trasformarti eri vestito come un barbone?» Lo sciamano le risponde: «Perché faccio penitenza. L’attico me lo ha prestato tuo padre.» Ketty gli chiede: «Babbo Natale?» Lo sciamano le risponde: «Sì, quando saremo al sicuro ti racconterò tutta la storia.» Dieci minuti dopo, Ketty ha finalmente indossa delle mutandine e chiede: «Come mai hai dei vestiti da donna?» Lo sciamano sorride e le risponde: «Si vede che sei una poliziotta. Non fai altro che domande. Ho dei vestiti da donna perché anche se faccio penitenza, non vuol dire che non possa amare qualcuno.» Ketty imbarazzata gli dice: «Mi dispiace. Anche lei è una Wendigo? Perché fai penitenza?» Lo sciamano divertito le risponde: «No, in realtà è una coniglia mannara. Quando c’è la luna piena diventa una playmate e viene a trovarmi. Faccio penitenza perché devo espiare il crimine che mi costringe a essere un mostro mangia uomini, anche se io non vorrei. Tuo padre in questo mi aiutato.» Ketty infastidita gli dice: «Mio padre a quanto sembra aiutata tutti, ma non ha mai aiutato me. Babbo Natale non è mai venuto a portare i regali a sua figlia. È il colmo, no? Non ha mai ricevuto le lettere in cui gli chiedevo di far smettere il mio padre adottivo di violentarmi? No?» Lo sciamano l’abbraccia e le dice: «Mi dispiace, ma tuo padre non poteva per nessun motivo starti vicina, altrimenti ti avrebbe messa in pericolo.» Ketty scoppia a piangere e gli dice: «Rischiavo di correre un pericolo più grande di un padre pedofilo?» Lo sciamano le risponde: «Il pericolo che ti minacciava ti ha trovata stasera.» Ketty si siede sul letto e gli dice: «Raccontami tutto, anche il tuo peccato, devo potermi fidare di te.» Lo sciamano le dice: D’accordo. Il mio più grave peccato è quello di aver mangiato carne umana. Sono stato costretto a farlo. Qualche centinaio di anni fa, un orso mi aggredì e fui in fin di vita. Mio padre, lo sciamano della mia tribù, aveva perso ogni speranza. Tutti i suoi rimedi non aveva avuto effetto. Così decise di provare con la carne umana. Si tagliò un braccio e lo cucinò. A piccolissimi pezzettini mi diede la sua carne. All’improvviso ripresi conoscenza, ma la mia tribù non c’era più. Erano stati tutti fatti a pezzi. Erano tutti morti eccetto mio padre che mi raccontò ciò che avevo fatto. Questo è il mio peccato. Ketty gli dice: «Ma non eri in te, non ti dovresti sentire in colpa.» Lo sciamano le dice: «Dovevo controllare la mia trasformazione, come ci riesco adesso, ma non ci riuscii. Non sono stato abbastanza forte, questo è il mio peccato. Puoi fidarti di me?»


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Ketty fa cenno di si con la testa e gli dice: «Adesso raccontami questa storia che sono figlia di Babbo Natale.» Lo sciamano le dice: «Devi sapere che in realtà Babbo Natale era un demone che mangiava i bambini. Un giorno però incontrò una bambina, tua madre, che lo convertì. Non so come riuscì a farlo. Prima che ci riuscisse, però aveva ucciso il padre della bambina e questo prima di ispirare gli aveva detto che si sarebbe vendicato su di lui e su tutta la sua stirpe. Il padre della bambina tornò in vita e diventato un vampiro iniziò a dare la caccia ai tuoi genitori. Tuo padre intanto aveva iniziato a convertirsi e a diventare il buon Babbo Natale che il mondo conosce. Il suo unico fratello, il Demone del Ghiaccio, un essere malvagio però non aveva alcuna intenzione di seguire il nuovo corso di Babbo Natale e così iniziò a tramare nell’ombra per poterlo distruggere. Seppe dell’esistenza del vampiro e lo informò che sua figlia era diventata la moglie del demone che lo aveva ucciso. Il vampiro si infuriò, ma non volle desistere dalla sua vendetta, anzi intendeva uccidere per prima proprio sua figlia. La considerava una traditrice. Il Demone del Ghiaccio l’attirò fuori dal villaggio di Babbo Natale e il vampiro la uccise. Non c’è altro da dire. Poi il Demone del Ghiaccio tornò da Babbo Natale e lo informò di ciò che era successo. Babbo Natale sapeva che il vampiro non avrebbe smesso di tentare di uccidere anche la sua unica figlia e così ti dovette dire addio. Quando Babbo Natale rimase solo, il Demone del Ghiaccio pensò che sarebbe tornato a fare il demone malvagio, ma si sbagliò. Suo fratello era diventato buono e il Demone del Ghiaccio rivelò la sua vera natura e giurando che un giorno lo avrebbe fatto morire, lo abbandonò. Babbo Natale ti affidò a un suo gnomo di nome Anius e gli disse di trovarti una bella famiglia. Purtroppo Anius fu trovato dal vampiro e per salvarti fu costretto a lasciarti davanti ad un orfanotrofio di suore. Quando Babbo Natale andò all’orfanotrofio per riprenderti, ormai eri stata data in adozione. Ti cercò in tutto il mondo, ma non riuscì mai a trovarti. Questo voleva dire che non ci era ancora riuscito nemmeno il vampiro. Poi Babbo Natale incontrò me e sapendo delle mie ottime abilità di cacciatore, mi chiese di trovarti. Per me non fu difficile. Il Wendigo è un cercatore di tracce più bravo di qualsiasi vampiro, lupo mannaro o demone. Quando ti trovai, eri già una poliziotta. Vidi i tuoi occhi tristi e non riuscii più a dimenticarli.» A queste parole, Ketty si ricorda degli occhi di Sofi e si ricorda anche che deve badare a tutti gli altri bambini, glielo aveva chiesto Nicholas, e gli dice: «Devo andare, ci sono dei bambini che hanno bisogno di me.» Lo sciamano scuote la testa e le dice: «Non puoi, ancora non si è fatto giorno.» Ketty gli dice: «Sono dei bambini sfortunati, non posso lasciarli soli la vigilia di Natale.» Lo sciamano si arrende e le dice: «Va bene, ma se incontriamo il vampiro devi scappare. Hai qualche croce?» Ketty gli dice: «No, non sono cristiana.» Lo sciamano le dice: «Nemmeno io, ma fatto sta che le croci li tengono lontani dal tuo collo. Prendi la mia, non credo che ne avrò bisogno.» Ketty imbarazzata gli chiede: «Un’ultima domanda: è vera la storia della coniglia mannara?» Lo sciamano sorride e le risponde: «No, è solo una playmate che viene a trovarmi ogni tanto. Spero solo che non venga oggi.» Ketty però si era dimenticata della morte di Charles e non sapeva che cosa era successo a riguardo. Maria Batista era andata a casa della ragazza uccisa per le sue indagini, quando aveva visto il suo capo nudo e morto con il collo spezzato e non aveva visto a Ketty, aveva pensato che la sua collega o si era finalmente decisa a ribellarsi o avevano fatto un gioco sessuale finito male, in ogni caso per lei Ketty era colpevole e quindi aveva fatto diramare un mandato di cattura su di lei. Maria Batista sta facendo la sua ronda, quando vede Ketty uscire da un grattacielo bellissimo insieme ad un indiano. Ha una gonna cortissima rossa e una camicetta bianca trasparente e sembra alquanto contrariata con l’uomo. Ketty infatti gli sta dicendo: «Non avevi altri vestiti più lunghi? Sembro una pornostar pronta a girare qualche scena!» Lo sciamano le risponde: «Te l’ho detto che viene a trovarmi una playmate, che vestiti di donna credi che potessi avere?»


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Maria Batista vuole arrestarla subito, ma tutto le sembra così strano che decide di seguirla per vedere dove sta andando.

14 Al Polo Nord. Anius vede il Demone del Ghiaccio avvicinarsi minaccioso e dice: Re Groot, adesso avrai la tua vendetta. Re Groot gli risponde: «Adesso non sono così sicuro di volerla avere.» Il Demone del Ghiaccio cala la sua enorme ascia contro Re Groot che riesce a fatica a fermare con le mani la lama a pochi centimetri dalla sua testa. Anius stringe forte con entrambe le mani la sua clava e colpisce l’avversario allo stomaco scagliandolo a qualche metro di distanza. Il troll chiede a Re Groot: «Come stai?» Re Groot gli risponde: «Sto bene, ma quello lì sembra molto più forte di noi.» Il Demone del Ghiaccio si rialza e scoppiando a ridere dice: «Stupido troll, non mi hai fatto nulla! Non vi permetterò che raggiungiate mio fratello!» Il Demone del Ghiaccio si lancia di nuovo all’attacco, stavolta Re Groot non riesce a fermare l’ascia e viene tagliato a metà all’altezza dell’addome. Anius invece con la sua clava riesce a parare un primo colpo, ma poi un secondo gli distrugge l’arma. Anius guarda l’arma ormai inutilizzabile e buttatela a terra inizia a correre. Il Demone del Ghiaccio gli corre dietro e gli urla: «Lurido codardo! Dove credi di andare? Ti raggiungerò comunque.» Anius pensa: «Che cosa posso fare? Che cosa posso fare?» Intanto Re Groot afferra con le braccia la sua parte inferiore e cerca di riattaccarla. Dopo un paio di secondi Re Groot torna tutto integro e inizia a pensare ad una soluzione: «Cazzo! Non sono bravo a pensare!» Nel frattempo Anius nella sua fuga si ritrova davanti a un vicolo cieco, si volta e vede arrivare il Demone del Ghiaccio che rallenta e dice: «Stavolta per te è finita.» Il Demone del Ghiaccio inizia a mulinare per aria l’ascia e ad avvicinarsi ad Anius che pensa: Credo che sia opportuno iniziare a pregare… quale dio pregano i troll? Ecco cosa succede a non andare al catechismo quando si è dei piccoli troll, che poi nei momenti critici della vita non saia quale dio votarti. Quando per Anius tutto sembra perduto, il Demone del Ghiaccio viene incornato alla schiena da Re Groot e sollevato da terra. Il Demone del Ghiaccio però è troppo pensate e gli cade addosso schiacciandolo al suolo. Il Demone del Ghiaccio riesce a liberarsi dalle corna e con la sua ascia inizia a colpire Re Groot che urla dal dolore. Anius alle urla del suo alleato abbandona il suo torpore e si lancia contro il suo avversario, saltandogli sulla schiena e iniziandolo a colpire sulla testa con i suoi pesanti pugni. Il Demone del Ghiaccio vorrebbe colpirlo con la sua ascia, ma questa è bloccata dentro il corpo maciullato di Re Groot, che sorride soddisfatto. Il Demone del Ghiaccio lascia la sua arma e con le mani libere riesce a staccare Anius da sé e lo scaraventa contro una parete di ghiaccio, quindi estrae l’ascia dal corpo di Groot e urla tutta la sua potenza. Sta per fare a pezzi Anius quando sente un terribile dolore al petto e perde la presa sull’ascia che cade pesantemente al suolo. Il Demone del Ghiaccio dolorante dice: «Che mi sta succedendo? Perché Sto tanto male? Oh no, sono stato ingannato. Quello che mi ha reso più potente, mi ha consumato. Sto anch’io per morire.» Anius stupito gli chiede: «Chi ti ha ingannato?» Il Demone del Ghiaccio gli risponde: «Il signore degli inganni… il diavolo.» Re Groot anche se dolorante scoppia a ridere e dice: «Tutti sanno che il Diavolo non esiste.» Anius perplesso gli chiede: «Tu non sei un diavolo?»


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Re Groot gli risponde: «No, io sono un krampus, una specie di satiro nordico, anche loro vengono confusi per diavolo. Il Diavolo non esiste, è una favola che i genitori krampus usano con i loro bambini per farli stare bravi.» Il Demone del Ghiaccio gli dice: «No, così si è presentato.» Il Demone del Ghiaccio non dice più nulla e dopo qualche secondo si ritrova ad osservare il suo corpo privo di vita e dice: «Maledizione! Un ingannatore che viene ingannato! E ora che cosa succederà?» CIAO, QUELLO CHE SUCCEDERÀ ADESSO PER TE NON HA PIÙ IMPORTANZA Il Demone del Ghiaccio alla vista dello scheletro con la falce gli dice: »Dunque anche tu esisti? Va bene, dove mi porterai?» DALL’ALTRA PARTE. Il Demone del Ghiaccio gli chiede: «All’inferno?» In quel momento appare una donna con i capelli neri, pallida e con un lungo vestito nero senza maniche che sorridente dice: «Questo appartiene a me.» NE SEI SICURA? La donna gli risponde: «È un essere soprannaturale e ha aiutato mio padre in questo mondo, si ne sono proprio sicura.» SCUSAMI, A VOLTE NON E’ FACILE CAPIRE QUALE ANIME APPARTENGONO ALLA MIE GIURISDIZIONE. DEMONE DEL GHIACCIO È CON LEI CHE DEVI ANDARE Quando lo scheletro se ne va, il Demone del Ghiaccio chiede alla donna: «E tu chi sei?» La donna fa un largo sorriso e gli risponde: «Il mio nome è Hela, un tempo tutti conoscevano il mio nome e non usavano pronunciarlo.» Il Demone del Ghiaccio le dice: «Hela? Non ho mai sentito il tuo nome. Quindi devo venire con te? E dove mi porterai?» Hela gli risponde: «Verrai nel mio regno». Nel frattempo Anius si rimette in piedi e dice: «Abbiamo salvato il culo per miracolo, vero Re Groot?» Il krampus guarito si rialza e guardando tutto il sangue perso sulla neve dice: «Accidenti! Credo che debba farmi una trasfusione di sangue.» Anius scuote la testa e gli dice: «Non c’è tempo, dobbiamo raggiungere gli altri e poi dove lo trovo il sangue di krampus? Il vostro gruppo sanguigno è così raro… avete un gruppo sanguigno?» Re Groot ricade a terra e dice: «Non ce la faccio, ho perso troppe energie.» Anius impaziente gli dice: «Io devo raggiungere gli altri, Re Groot.» Re Groot gli dice: «Lo so, tu vai pure. Io tra un po’ riprenderò le forze e vi raggiungerò.» Anius sta per andarsene ma vede che le ferite di Re Groot si sono riaperte e non si chiudono più. Il suo alleato sta per morire. Sta per morire perché anche se ferito è corso in suo aiuto. Si è sacrificato per lui. No, non può lasciarlo morire da solo. Anius gli afferra la mano e gli dice: «Aspetterò con te, tanto loro ormai saranno già arrivati al Villaggio di Babbo Natale. Non hanno bisogno di me. Tu invece si… stai per morire.» Una lacrima bagna il volto del troll e il krampus sorridente gli dice: «Non sapevo che i troll piangessero.» Anius a fatica gli dice: «Non sapevo che i krampus potessero morire. Perché ridi?» Re Groot gli risponde: «Non lo so, forse perché non pensavo che un troll potesse piangere per me, un krampus.» Anius gli dice: «Non sto piangendo per un krampus, ma per un amico che ha sacrificato la sua vita per salvare la mia.» Re Groot gli dice: «Grazie amico… quando raggiungi Nicholas, ricordagli della promessa che mi ha fatto.» Anius gli dice: «Ti prometto che il tuo popolo sarà libero.» Re Groot chiude gli occhi e Anius scoppia a piangere ancora più forte. Lo spirito di Re Groot guarda divertito Anius e il suo corpo straziato e pensa: Non avrei mai pensato che potessi morire per salvare un troll fedele al mio peggior nemico.


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SI CHIAMA IRONIA DELLA VITA Re Groot si volta e vedendo Morte gli dice: «Io sono Re Groot, tu sei colui che mi accompagnerà nel mio ultimo viaggio?» SI, GROOT. SONO IO Re Groot arrabbiato gli urla: «Io sono Re Groot» NON PIÙ, ADESSO NON LO SEI PIÙ In quel momento sentono una voce arrabbiata che dice: «Ehi, che diavolo stai facendo?» Morte e Groot si voltano e vedono un diavolo che dice: «Questo è un krampus, mi appartiene.» HAI RAGIONE, CREDO Appare però anche un angelo che dice: «È morto facendo una buona azione, un sacrifico, non può andare all’inferno.» Le due creature soprannaturali iniziano a colpirsi a vicenda, mentre Morte si allontana. DEVO STUDIARMI DI NUOVO IL LIBRO SULLE MIE COMPENTENZE, ALTRIMENTI RISCHIO DI PERDERE TEMPO E LA MORTA NON PUÒ PERDERE IL TEMPO, AL MASSIMO LO PUÒ AMMAZZARE

15 Al Polo Nord. Nicholas sgrana gli occhi e chiede: «Questo è un gigante?» Minny gli risponde: «Un gigante del ghiaccio per l’esattezza.» Bolt scocciato dice: «Eh no! Mi sono umiliato a portare una slitta pur di farti arrivare in tempo e adesso ci si mette anche quel colosso a sbarrarci la strada. Cosa facciamo?» Minny gli risponde: «Lascia fare a me!» Il gigante sta per lanciare il masso, quando il raggio della bacchetta di Minny lo colpisce in pieno. La pietra si trasforma in fiori che gli cadono tutti addosso e il gigante si ritrova vestito con un tutù. Nicholas lo/la guarda stupito/a e gli/le dice: «E così pensi di poterlo fermare?» Minny gli risponde: «Per ora la mia magia è questa! Non posso fare di più!» Bolt intanto si è tolto l’imbracatura della slitta e rimessosi in piedi dice: «Mi sa che lo hai fatto arrabbiare ancora di più.» Nicholas chiede: «Qualcuno di voi due sa perché ci vuole morti?» Il gigante si strappa il tutù di dosso e indicando Nicholas gli urla: «Ti ucciderò!» Bolt si volta verso Nicholas e gli dice: «Credo che non ci vuole morti, ma vuole a te morto.» Nicholas spaventato urla: «Sta prendendo un altro masso!» Bolt dice a Minny: «Distrailo mentre io mi avvicino!» Minny gli chiede: «È un gigante! Che ti avvicini a fare?» Bolt gli/le risponde: «Fallo e basta!» Minny si colpisce con la sua bacchetta e diventa una cowgirl con le trecce bionde fino ai piedi, un cappellaccio bianco sulla testa (i buoni ce l’hanno sempre bianco) e una leggera barba, quindi da sotto il cappello guarda storto il suo avversario che è pronto a lanciare un enorme masso. Il Gigante urla per la rabbia e sta per lanciare il masso, che però viene colpito dal raggio di Minny e diventa un’enorme zucca, che si frantuma fra le sue enormi mani. Nicholas gli/le chiede: «Perché una zucca?» Minny gli risponde: «Perché sono una fatina e le nostre trasformazioni passano tutte quasi per le zucche, non hai mai letto la storia di Cenerentola?» Nicholas gli/le dice: «Però potevi trasformare quel masso in un missione che gli esplodeva tra le mani, no?» Minny sconsolato/a gli risponde: «No, non sono ancora tanto potente, dobbiamo affidarci a Bolt.» Bolt si è avvicinato abbastanza da colpirlo con le sue corna. Il gigante sente un leggero fastidio


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come se fosse stato punto da una zanzara, afferra Bolt e lo scaglia lontano. Il gigante ruggisce e inizia a scendere dalla montagna per affrontare da vicino il suo nemico. Nicholas gli/le chiede: «Hai qualche piano?» Minny ci pensa su e poi con aria raggiante gli risponde: «Sì, allontanarci di qui di corsa?» Nicholas gli/le chiede perplesso: «Scappare?» Minny gli risponde: «Chiamalo come vuoi, ma non possiamo fare altro. Guarda come scende veloce… è già sceso… cazzo, corre verso di noi!» Nicholas gli/le urla: «Allontaniamoci di qui di corsa!» Minny gli chiede: «Cosa?» Nicholas gli/le urla: «Scappiamo!» I due iniziano a scappare, ma poi Minny decide di fermarsi e tentare di ostacolare in qualche modo il gigante e inizia a colpirlo con la sua bacchetta. Gli mette delle pinne ai piedi e lo fa cadere. Se le toglie e ricomincia a correre. Gli benda gli occhi, ma lui si toglie la benda senza fermarsi. Adesso è troppo vicino, lo/a travolgerà. Invece gli/le passa vicino ignorandolo/a. Minny abbassa lo sguarda e dice: «Oh, mi devo cambiare, mi sono fatta la pipì nei collant.» Il Gigante si sta sempre di più avvicinando a Nicholas e quando crede di essere abbastanza vicino, prende un masso e glielo lancia contro. Nicholas vede l’oggetto cadergli addosso e si paralizza per la paura. Il masso lo schiaccerà. Chiude gli occhi in attesa dello scontro, poi sente una leggera spinta e quando li riapre, si ritrova a qualche centimetro dal masso. Sotto di esso però c’è Bolt, che lo ha salvato a scapito della sua. Nicholas disperato gli urla: «Che cosa hai fatto? Non dovevi. Io non me lo merito.» Bolt sorride e gli risponde: «Ah, ma che dici. Tanto ero già morto, avevo così tante malattie che non sono morto prima solo perché litigavano tra di loro a chi mi dovesse uccidere per primo…tu sei l’erede di Babbo Natale… adesso è l’ora di dimostrarlo. È il momento di affrontare quel lurido bastardo e fargli vedere quello che sai fare.» Nicholas sa che Bolt ha ragione, guarda il gigante con aria di sfida, stringe i pugni. Sembra pronto a saltargli addosso, ma poi allarga la bocca e scappa dentro una caverna. Bolt prima di spirare dice: Almeno io ci ho provato. Bolt si ritrova a guardare il suo corpo schiacciato e poi vedendo Nicholas entrare dentro una caverna dice: «Chissà perché Babbo Natale ha scelto quello lì…cosa succederà adesso? » LO SHOW CONTINUA Bolt vede lo scheletro con la falce e gli chiede: «Quindi sono morto e pensare che tra una settimana iniziava la stagione dell’accoppiamento per le renne, che sfiga!» FORSE NE TROVERAI MOLTE ANCHE DALL’ALTRA PARTE Bolt felice gli chiede: «Davvero? E ci si può accoppiare?» FORSE, NON LO SO Bolt stupito gli dice: «Tu sei Morte, non dovresti saperlo?» IO MI OCCUPO SOLO DEL TRAPASSO, NON DI CIO’ CHE VIENE DOPO In che quel momento arriva però una guerriera su un cavallo bianco alato che dice a Morte: «Che stai facendo?» IL MIO LAVORO, VALCHIRIA La valchiria gli dice: «Non stai facendo male! Perché lui è un guerriero morto in battaglia e quindi deve venire con me nel Walhalla!» NE SEI SICURA? NON MI PRENDI IN GIRO? GUARDA CHE QUESTO QUI E’ UNA RENNA, NON UN GUERRIERO La Valchiria gli risponde: «Ha combattuto contro un gigante del ghiaccio.» QUESTA È UNA PROVA IN TUO FAVORE, GIUSTO? La Valchiria fa segno di si con la testa D’ACCORDO, PUOI PRENDERLO CON TE La valchiria si porta con se Bolt mentre Morte si ferma per un attimo a pensare. NON DOVEVO ASSENTARMI DURANTE LE LEZIONI DI “GIURISDIZIONE FRA I VARI TRAGHETTATORI” PER ANDARE DIETRO LE VECCHIE SCHELETRE


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Il gigante entra dentro la caverna ma poi ne esce subito con una ferita al petto e cade a terra. Dopo qualche secondo Nicholas esce con in mano una lancia e mette un piede sul gigante ucciso. Minny gli dice: «Perché sei così teatrale? E dove l’hai presa quella lancia?» Nicholas gli/le risponde: «Si chiama Gungnir ed è stata lei a chiamarmi dentro la caverna. Voleva che la prendessi per combattere contro il gigante.» Minny gli dice: «Davvero? Comunque la magia mi è tornata completamente.» Nicholas gli/le dice: «Bene, allora portami nel villaggio di Babbo Natale.» Minny gli dice: «Non posso, qualcuno ha bisogno del mio aiuto.» Nicholas gli/le chiede: «Mi lasci solo?» Minny gli risponde: «Tutti dobbiamo affrontare le nostre più grandi prove da soli. Trova il villaggio di Babbo Natale e così dimostrerai di essere un suo degno erede.» Il signore degli inganni da una montagna urla: «Maledizione! Sono stato sconfitto! Con la lancia che lo protegge, non posso più fare nulla contro di lui. Speriamo solo che non scopra chi sia in realtà o per me sarà la fine.»

16 Maria ferma l’auto davanti al magazzino abbandonato e vede l’indiano e Ketty fermarsi per un attimo a parlare. È il momento giusto per intervenire? Sta per uscire dalla macchina, quando… Lo Sciamano dice: «Sento uno strano odore.» Ketty gli risponde: «Guarda che non ho avuto il tempo di farmi una doccia.» Lo Sciamano le disse: «Non sei tu, c’è una puzza di morto o meglio di non morto.» Il Vampiro si avvicina sorridente e con passo leggero e dice: «Ho seguito il tuo odore fino a qui e sono rimasto stupito nel vedere che cosa c’era dentro.» Ketty spaventata gli chiede: «Sei entrato? Li hai uccisi tutti?» Il Vampiro scuote la testa e le risponde: «Sono venuto per prendere la mia vendetta, non per uccidere dei bambini. Se tu ti consegni a me senza fare ostruzionismo, io non li toccherò.» Ketty gli dice: «D’accordo, farò come vuoi tu.» Il Vampiro è soddisfatto, il suo semplice piano ha funzionato, presto avrà la sua vendetta. Però proprio in quel momento i tre sentono una voce che dice: «Fermi o sparo!» Ketty sorpresa chiede: «Maria, che ci fai qui? Devi andartene subito!» Maria arrabbiata le risponde: «Tu non puoi darmi ordini. Ketty, sei in arresto per l’omicidio del commissario Charles Derrer.» Ketty stizzita le dice: «Cosa? Guarda che è stato questo qui!» Maria ribatte: «Allora ti accuso di complicità in omicidio.» Il Vampiro stanco dice: «Hai finito di dire cazzate!» Maria gli dice: «Sei arresto, lurido bastardo!» Il Vampiro sorride e poi si avventa contro Maria. La poliziotta non ha nemmeno il tempo di premere il grilletto che il Vampiro l’afferra per il collo e glielo spezza, quindi si volta verso Ketty e le dice: «Credo che sarai accusata anche di questo omicidio.» Maria guarda il suo corpo e dice: «No, ma come ha fatto?» TI HA SPEZZATO IL COLLO Maria vede Morte e gli dice: «Non posso essere morta, devo fare ancora molto nella vita.» ERI SOLO UNA COMPARSA Maria gli chiede: «Ma come ha fatto a muoversi così velocemente?» È UN VAMPIRO Maria stupita esclama: «Sono stata uccisa da un vampiro senza nemmeno essere stata morsa al collo? Che sfigata che sono! Adesso devo venire con te?» Morte riflette rigirando la sua falce tra le mani. NON SEI MORTA SERVENDO IL SIGNORE DEGLI INGANNI, VERO? Maria gli risponde: «Certo che no, sono una poliziotta.»


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NON SEI UNA CREATURA DEMONIACA, VERO? Maria gli risponde: «Certo che no, sono umana.» NON SEI MORTA IN UNA BATTAGLIA, GIUSTO? Maria ci pensa su e gli risponde: «No, credo che sono morta in un’aggressione.» Poco professionalmente lo scheletro sembra fare un sorriso, che però sembra qualcosa di mostruoso agli occhi di Ketty, quindi si guarda per vedere se c’è qualcuno pronto a intervenire. Non c’è nessuno, fa un sospiro di sollievo. SÌ, DEVI VENIRE CON ME. Intanto Ketty gli dice: «Perché lo hai fatto? Il nostro patto non vale più.» Il Vampiro sorride e le dice: «Molto bene, mi divertirò un sacco a fare a pezzi quei piccoli corpi.» Ketty gli dice: «Noi non te lo permetteremo!» Lo Sciamano chiede: «Noi?» Ketty gli dice: «Sì, sei tu la creatura soprannaturale, no?» Lo Sciamano le dice stizzito: «Sì, ma ho appena messo dei vestiti nuovi e puliti, non voglio strapparli!» Ketty gli chiede: «Vuoi farti fare a pezzi da lui?» Il Vampiro gli dice: «Bé cosa state…» Tutte e due si voltano arrabbiati verso di lui e gli ordinano: «Stai zitto tu! Stiamo parlando fra di noi!» Il Vampiro moggio abbassa la testa e per qualche secondo sta in silenzio, come se la maestra lo avesse messo in castigo, poi si rende conto della situazione e rialzandola dice: «Io sono il Vampiro! Non potete…» Il Vampiro non ha il tempo di sfogare la sua indignazione che il pugno peloso del Wendigo lo colpisce in pieno volto. Il Vampiro cade a terra e inizia a dimenarsi come un posseduto, poi si rialza e dice: Mi hai rotto il naso! Adesso ti faccio vedere di cosa sono capace! Il Vampiro colpisce con un pugno allo stomaco il Wendigo, mandandolo al tappeto e gli dice: «Ti finirò dopo, prima devo compiere la mia vendetta!» Ketty spaventata indietreggia ma mette il piede su una lattina di Coca-Cola e cade per terra. Il Vampiro la sovrasta e le dice: «Non ti spezzerò semplicemente il collo! Ti farò provare un dolore che non hai mai provato in vita tua!» Ketty è terrorizzata ma allora qualcosa scatta nella sua testa. E’ consapevole di essere spaventata e che sta facendo una brutta figura e in quel momento la paura viene sostituita dalla rabbia per quell’essere che l’ha umiliata. Gli occhi di Ketty diventano rossi, la sua pelle grigia, i suoi capelli diventano bianchi e si allungano fino alle ginocchia, dalla bocca le spuntano le zanne, sulla fronte due piccoli corni e nel petto altri due seni. Ketty pensa: «Il mio ex ragazzo ne sarebbe stato felice.» Il Vampiro è stupito dalla trasformazione, ma le dice: «Finalmente hai rivelato la tua natura diabolica, sarà più divertente ucciderti!» Oltre all’aspetto però Ketty è diventata anche più forte, con un balzo si rimette in piedi e inizia a sferrare colpi al Vampiro. Le due creature mostruose sembrano alla pari, ma poi sorge il Sole e il Vampiro inizia a bruciare e in pochi minuti di lui non resta che polvere. Lo spirito del Nonno guarda sconsolato la scena e dice: «Non è finita qua, mi vendicherò!» STAVOLTA NON MI FREGHI FACENDOMI CREDERE CHE CI SIA UNA BELLA SCHELETRA DIETRO DI ME Lui però gli dice: «Devo tornare, mi devo vendicare!» NON HAI PIÙIL CORPO, NON PUOI PIU’ TORNARE DA NESSUNA PARTE, PUOI SOLO VENIRE CON ME In quel momento però appaiono un diavolo e Hela che dicono insieme: «Questa anima appartiene a noi!»


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Il diavolo guarda Hela e le dice: «Appartiene a me!» Hela gli dice: «No, è mia!» Morte lascia che i due litighino e se ne torna a casa. CHE LAVORO DI MERDA… CHI SA SE DA QUALCHE PARTE CERCANO UN MIETITORE PER IL GRANO Lo Sciamano si rialza e le dice: «Ce l’hai fatto, brava ragazza.» Ketty si guarda le mani e gli chiede: «Ma adesso come torno normale?» Lo Sciamano le risponde: «Concentrati sul tu aspetto umano.» Ketty torna umana e dice: «Accidenti, il reggiseno si è rotto.» Lo Sciamano le dice: «Non c’è tempo per andare a prenderne un altro. Tuo padre sta per morire e ti vuole vedere almeno una volta in vita tua.» Ketty sorpresa gli chiede: «Davvero? Dove si trova?» Lo Sciamano le risponde: «Al Polo Nord.» Ketty sgrana gli occhi e gli dice: «Non ci arriveremo mai in tempo.» Lo Sciamano urla:«Minny! Minny!» Dopo qualche secondo appare Minny che dice: «L’hai trovata?» Lo Sciamano gliela indica e Minny dice: «Assomiglia tutta a sua mamma. Che bella che sei. Sei pronta a vedere tuo padre?» Ketty però si ricorda di qualcosa e dice: «Ma come faccio con i bambini di Nicholas?» Minny sorride e le dice: «Hai detto i bambini di Nicholas? Li porteremo tutti con noi!» Dopo un teletrasporto finalmente riuscito, Ketty entra dentro la stanza del padre che inizia a piangere. Ketty va da lui, l’abbraccia e gli dice: «Lo so che non è stata colpa tua.» Red le dice: «Sì, non dovevo uccidere tuo nonno. Le miei azioni passate non mi hanno permesso di essere un buon Babbo Natale, ma sono sicuro che il mio successore lo sarà e tu lo dovrai aiutare nel suo difficile compito.» Ketty gli dice: «Lo farò.» In quel momento entra Anius che dice: «Signore, ormai è vicino, meno di un’ora e sarà qui.» Red gli dice: «Per un’ora credo di resistere… figlia mia, ti presento il mio migliore amico, si chiama Anius e non ti fidare dall’aspetto di gnomo, in realtà lui è un troll. Non avere però paura, non è la nostra natura a determinare se siamo buoni o cattivi nel mio villaggio. Questo è l’insegnamento più grande che tua madre mi ha lasciato.»

17 Passata un’ora, Babbo Natale dice: «Non riesco più a sopportare il dolore, sto per andarmene. Anius dovrai fare tu il passaggio di consegna.» Babbo Natale sta per chiudere gli occhi, quando la porta si apre ed entra Nicholas. Babbo Natale si rianima un po’ e dice: «Posso resistere ancora qualche minuto. Ciao Nicholas.» Nicholas vede Babbo Natale, Anius, Minny e anche Ketty e stupito chiede: «Ketty, che si fai qui?» Ketty con le lacrime agli occhi gli risponde: «Sono venuta a salutare mio padre.» Nicholas stupito le dice: «Babbo Natale è tuo padre? Anius, dov’è Groot?» Anius abbassa la testa e gli risponde: «È morto. Si, Babbo Natale è suo padre.» Nicholas perplesso dice: «Allora perché ha scelto me, signore, se ha già un’erede? Non mi dica che il suo ruolo può essere fatto solo da un uomo.» Babbo Natale sorride e gli risponde: «No, ho scelto te perché era giusto che scegliessi te. Con te, Babbo Natale, avrà una nuova prospettiva al di fuori di quella demoniaca.» Nicholas gli chiede: «Perché proprio io e non un altro uomo?» Babbo Natale gli risponde: «Fai la domanda sbagliata. Dovresti chiederti: Perché non io?» In quel momento entra nella stanza Sofi che dice: «Ciao Nicholas, come stai?»


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Babbo Natale gli risponde: «Questa non vale più di ogni altra mia risposta… comunque c’è un motivo per cui ho scelto te. Lo vuoi veramente sapere? Vuoi sapere chi veramente sei?» Nicholas non può non rispondere: «Certo.» Babbo Natale gli dice: «Questo motivo dovrai scoprirlo da solo. Io posso solo metterti sulla strada giusta. Anius, quando sarò spirato, portalo alla Torre.» Anius fa segno di si con la testa e poi Babbo Natale si alza, prende il suo mantello di montone rosso e glielo mette sulle spalle dicendo: «Ecco, adesso tu sei il mio legittimo erede. Il mantello torna al suo legittimo proprietario. Buona fortuna, Viandante in cerca di Verità.» Babbo Natale cade a terra morto, Ketty lo abbraccia e scoppia a piangere. Anius versa una lacrima e poi dice a Nicholas: «Vieni, hai una lunga strada da fare.» Red osserva il suo corpo e dice: «Finalmente posso riabbracciare mia moglie.» Red si volta e vede una coda di creature soprannaturali e l’ultima è uno scheletro con una falce in mano. MA CHE SONO VENUTO A FARE? TANTO NON TOCCA A ME PRENDERE QUESTA ANIMA Il primo della fila è un diavolo che dice: Sei pronto a venire all’inferno? Red scuote la testa e le altre creature soprannaturali esultano di gioia. AVANTI IL PROSSIMO Hela gli dice: «Hai servito mio padre in passato e ti meriti un posto nel mio regno.» Red le risponde: «Vaffanculo te e tuo padre.» La Valchiria e l’angelo esultano. ADESSO SCEGLIERÀ UNO DEI DUE E IO POTRO’ FINALMENTE TORNARE AL MIO LAVORO. UN LAVORO DI MERDA, TUTTI CHE TI GUARDANO SEMPRE MALE, NON HAI MAI OPPORTUNITÀ DI FARE AMICIZIE PERCHÈ SONO DIFFIDENTI CON TE, PENSANO SEMPRE CHE LI VUOI DERUBARE E I TUOI COLLEGHI TI VEDONO COME UN AVVERSARIO E INVECE DI SALUTARTI SONO PRONTI A UCCIDERTI. È UN LAVORO INGRATO… PERÒ QUALCUNO DEVE PUR FARLO La Valchiria dice: «Il Walhalla ti aspetta, grande guerriero.» Red le risponde: «Non ho mai combattuto una guerra in vita mia.» L’angelo esulta e mostra il dito indice alla Valchiria. ACCIDENTI, QUESTA PAGLIACCIATA NON È ANCORA FINITA L’angelo gli dice: «Il Signore ti ha perdonato per i tuoi peccati, sei pronto a venire con me.» Red scuote la testa e gli risponde: «No, sarà Morte a portarmi dove devo andare.» L’angelo abbassa la testa sconfitto. PERCHÉ IO? Red gli risponde: «Perché solo tu puoi sapere dove è stata portata mia moglie.» LA CONOSCO BENE TUA MOGLIE, È STATA UNA DONNA GENTILE CON ME, FORSE L’UNICA. SAI QUESTO LAVORO È DIFFICILE, TUA MOGLIE LO HA CAPITO E MI HA ANCHE SORRISO Anius porta Nicholas nella torre e, dopo avergli aperto la porta, gli dice: «Da adesso sarai solo. Comunque è bella la lancia che hai trovato.» Nicholas entra e la porta si chiude alle sue spalle, apre due fiaccole per vedere all’interno della stanza buia. La stanza però è vuota, ci sono solo due corvi. Nicholas si rivolge a loro: «Allora bei pennuti, voi sapete chi sono?» I corvi annuiscono con la testa e Nicholas gli dice: «Allora ditemelo.» Uno dei due corvi inizia a dire: «Il mio nome è Huginn e il mio fratello si chiama Muninn. Noi sappiamo chi sei, tu sei il nostro padrone e signore. Vuoi conoscere veramente te stesso? Allora dovrai andare alla fonte magica di Mimir, la fonte dell’onniscienza, dove tutte le domande hanno risposta.» Nicholas decide di assecondare le regole di questo gioco e chiede: «Dove si trova questa fonte magica?» I due corvi volano e atterrano sulle spalle di Nicholas e Muninn gli dice: «Ti ci porteremo noi,


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grazie al tuo mantello rosso, saremo lì in pochi istanti.» Nicholas chiude gli occhi, vede l’immagine di un pozzo dove all’estremità vi è una testa decapitata, quando li riapre si ritrova proprio nel luogo che aveva visto nella sua mente. Nicholas va al pozzo per bere, ma non c’è acqua e dice: «Non c’è acqua, come faccio a bere?» La testa decapitata inizia a parlare e dice: «Salve mio signore, finalmente ci rincontriamo anche se tu non sai chi sono. Non è un problema però, basterà che tu beva da questa fonte e ricorderai tutto.» Nicholas gli dice: «Ma non c’è acqua… Mimir?» Mimir sorride e gli risponde: «Per bere l’acqua di questa fonte devi sacrificare qualcosa di te. Il sapere è un potere che richiede un enorme sacrificio, mio signore.» Nicholas allarga le braccia e gli dice: «A parte questo mantello, non ho nulla. Devo darti questo mantello?» Mimir gli risponde: «Un tempo un dio sacrificò per il sapere un occhio, visto che tra te e lui non c’è differenza, mio signore, credo che il tuo occhi sinistro andrà bene.» Nicholas sgrana gli occhi e gli dice: «Non posso farlo.» Mimir gli chiede: «Vuoi sapere chi sei?» Il signore dell’inganno appare dal nulla e gli dice: «Non farlo, la testa parlante ti sta ingannando. Non esiste nessuna fonte dell’onniscienza, solo delle persone che non vedono da un occhio.» Mimir gli dice: «Tocca a te decidere. Il sapere ha bisogno di un atto di fede.» Nicholas allunga le due mani tremanti verso il suo occhio sinistro, affonda le dita e urlando dal dolore inizia a tirarlo fuori. Quando l’occhio e fuori dalle orbite, un corvo con il suo becco lo aiuta a staccarlo e poi lo porta ai piedi del pozzo, che inizia a riempirsi. Nicholas non sente più nessun dolore e si ritrova con una benda sull’occhio, quindi va verso il pozzo, prende con le sue mani un po’ di quell’acqua e inizia a bere. Dopo un po’ dice: «Non funziona… non ho scoperto nulla e ho perso pure un occhio… sono stato un idiota a fidarmi di te, Mimir!» Ma l’illuminazione lo colpisce alla testa come una freccia, spalanca la bocca e dice: «Ora so chi sono. Io sono…»


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Babbo natale calibro 12 di Lorenzo Gallus Dopotutto mio padre lo diceva sempre, lo ripeteva continuamente: io non ho bisogno del plastico per fare saltare in aria tutto, io mi faccio tutta la dinamite che voglio, mi faccio la nitro, la nitroglicerina, se voglio e poi la mescolo con la farina fossile che compri a chili dove accidenti vuoi, e faccio dei fottuti candelotti di dinamite, altro che. È che poi era quasi sempre ubriaco per quella merda di liquore giallastro che tracannava tutto il giorno, troppo ubriaco anche solo per ricordarsi di essere stato uno studente della scuola per periti chimici. Spesso alzava le mani. Le alzava e poi le abbassava anche. Su di me e su mia madre. Io ero troppo piccolo per poter reagire in un qualunque modo. Mia madre avrebbe potuto ma non so perché non ha mai fiatato, non si è mai ribellata o neppure lamentata. Non è mai stata sfiorata dall’idea di denunciarlo. Sembrava quasi che le piacesse subire. Non l’ho mai chiesto. Ora non ne avrei più la possibilità. Forse esistono persone così. A volte dopo che le aveva prese si rintanava sul fondo della roulotte dove teneva appesi decine di crocefissi e rimaneva lì a riprendersi. Vedevo che cercava di truccarsi in qualche modo per mascherare le botte prese in faccia. Quando andavamo in chiesa cercava di non dare a vedere di essere stata picchiata e arrivava a negare l’evidenza. Mio padre, comunque, era grande e grosso e aveva fatto tre anni di servizio militare, sapeva quindi come picchiare senza fare troppi danni. Anche quando era ubriaco. All’epoca avevo solo una vaga consapevolezza della nostra situazione, anche perché era l’unica che conoscessi, e cercavo di non pensare troppo a dove ci trovavamo, intrappolati in mezzo al deserto, unico riferimento la cittadina dove andavo a scuola, dove c’era la chiesa e il supermercato, dove rimaneva in attesa lo sceriffo, l’incubo di mio padre, nel suo ufficio con annessa cella. Più di una volta mio padre e qualche suo occasionale amico avevano smaltito colossali sbornie tossiche dentro a quella piccola e linda cella, troppo ubriachi anche solo per stare seduti. Io stropicciavo le pagine patinate dei Difensori e dei Vendicatori, popolando le notti del deserto e la noia scolastica di lotte senza quartiere in presa diretta con le visioni di Lee e compagni. Ma poi ho iniziato a saccheggiare la collezione di libri della signorina Bessie, quelli con le Astronavi Aliene e il Triangolo Maledetto. Bessie era la segretaria della scuola, che doveva sempre andare in pensione ma che era poi sempre al suo posto, anno dopo anno, nel vecchio ufficio della scuola. Aveva iniziato con il prestarmi i libri di UFO e Alieni, ma poi mi aveva detto che potevo tenermeli dato che “li divori come li divoravo io da giovane”, e rideva per qualcosa che le ritornava alla mente e diceva che era troppo vecchia per quel genere di cose. Avevo tre libri preferiti, tra quelli della Bessie. Il terzo della mia lista personale era “UFO, i dischi del Mistero” una cosa strana di vari autori, poi veniva un libro che la Bessie definiva un classico del genere, di un certo Berlitz, “Bermude, il Triangolo Maledetto”, ma quello che preferivo in assoluto era “Area 51, il Segreto degli UFO” che spiegava chiaramente, in modo inequivocabile diceva la Bessie, come quelli del governo tenessero nascosta un’astronave aliena caduta nel 1947, in una base nel deserto, quella che chiamavano l’Area 51. Era chiaro che gli Alieni cercassero di andarsi a riprendere l’Astronave, e ogni tanto i loro dischi venivano abbattuti dalla contraerea e si trovavano Alieni grigi carbonizzati fra le carcasse dei loro UFO. Ai miei non parlavo mai di queste cose, mia Madre diceva che Lui non aveva mai parlato di UFO o stupidaggini simili e mio padre mi ripeteva che se avesse visto un UFO gli avrebbe fatto un buco in testa prima che questo potesse pronunciare la parola Klatuu. A scuola un mio compagno, un vero bullo, mi aveva strattonato dicendomi che ero un malato di mente, una volta. Tutti ridevano, meno Rob, il figlio del pastore, che mi aveva aiutato ad alzarmi in cortile prima che arrivasse la signora Russel, l’insegnante, a dividerci. Il bullo in questione ave-


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va una mezza ragione. Io sapevo di essere inserito in un programma di recupero per diversamente abili, ma non mi dava poi molto fastidio, anzi, a scuola potevo stare molte ore insieme alla signorina Pagani, una tipa strana e gentile di lontane origini italiane, che mi faceva da insegnante di sostegno, si chiamava proprio così il suo lavoro, e mi permettevano di usare gli appunti durante le prove scritte. A mio padre questa cosa non piaceva, lo si capiva, ma non ne parlava mai. Mio padre lo ricordo quasi sempre bevuto, ma anche abbastanza bene quelle rare volte in cui era sobrio. O quasi. Lo ricordo bene quel pomeriggio nell’aia quando mi ha fatto provare il calibro 22. Diceva che il calibro 22 era la base, l’ABC delle armi da fuoco, non il mio fucile a pallini ad aria, ma il suo vecchio calibro 22 monocolpo. Era una giornata maledettamente calda e nonostante tutto mio padre aveva deciso di fare una grigliata fuori, poco lontano dalla roulotte che insieme alle due tende perennemente issate al suo fianco costituivano casa nostra, mia, sua e di mia madre. Non che ci fosse poi molto da mettere a cuocere, ma l’ultimo affare di mio padre era andato abbastanza bene, e abbastanza voleva dire che lo sceriffo non lo aveva beccato e sbattuto al fresco o peggio, e quindi per un po’ di tempo qualche soldo ci sarebbe girato per le mani. Ogni tanto andava moderatamente male e allora mio padre tornava a casa con i segni di un pestaggio. Non avevo ancora capito che lavoro facesse, credevo che avesse a che vedere con il traffico dei clandestini, o con quello della droga o delle armi o tutte e tre le cose. Quando l’ho capito mi è andato in corto circuito il cervello, ma questa è un’altra storia. Mio padre diceva sempre che così vicino al confine non c’era niente da fare che non qualcosa che non sarebbe piaciuto allo sceriffo e a quelli come lui. Era qualcosa che avrebbe fatto piangere Nostro Signore, ma questo non aveva importanza perché anche se Lui avesse avuto qualcosa da ridire non avrebbe certo potuto fargli qualcosa come sparargli, lo sceriffo invece poteva sparargli, eccome. Inoltre Lui neppure all’inferno lo avrebbe potuto mandare perché c’era già e con la bottiglia di roba giallastra e puzzolente indicava mia madre e la roulotte e il deserto caldo come un forno a microonde scoppiato. E mia madre rispondeva, lei rispondeva sempre con la sua voce monocorde, credo si dica cosi, che era lui a doversi vergognare di bestemmiare il nome di Nostro Signore, e che questo lo avrebbe portato alla rovina. Allora mio padre bestemmiò sul serio, come sempre ma a bassa voce e andò a prendere il suo calibro 12 italiano e il vecchio calibro 22. Io pensai che con la pancia piena di grigliata, birra fredda e porcheria giallastra, sotto al sole a picco, il cervello gli fosse andato completamente in tilt e volesse sparare alla testa di mia madre. Il suo cannone le avrebbe fatto saltare il cranio spargendo cervello tutto intorno sulla polvere grigiastra che ricopre tutto, l’aia e la roulotte e il tessuto scolorito delle tende. Ma non sparò con il suo cannone italiano, mi disse invece che era ora che io imparassi a usarlo. Mise delle lattine di birra vuote sulla staccionata che sta in fondo, a dividere la nostra aia immaginaria dall’orizzonte popolato di miraggi roventi, quell’orizzonte oltre il quale si stendeva il deserto che ospitava la misteriosa Area 51 e i suoi segreti spaziali. Poi mi fece vedere come caricare il fucile prendendo il colpo da una vecchia scatola di cartone, mentre appoggiava per terra il suo cannone italiano calibro 12. Mi fece mettere in posizione, in piedi. Impiegò un sacco di tempo a spiegarmi tutto con calma. Non lo avevo mai visto così calmo. Di solito era sgarbato e sbrigativo. Ma non quella volta. Non lo dimenticherò mai. Quando fu convinto che io avessi capito tutto si fece ridare il fucile, mi fece spostare e si mise al mio posto. Sparò e una lattina volò via. Mi rimise in posizione chiedendomi se avevo visto bene come si era posizionato, se avevo capito tutto. Ripetemmo l’operazione altre due volte e altre due lattine volarono a terra. Disse che questo era tutto molto zen e che andava bene così. Disse qualcosa riguardo l’addestramento ricevuto durante i suoi tre anni di ferma ma io non riuscii a capire bene di che cosa parlasse. Ero ancora molto piccolo all’epoca. Mia madre guardava tutta la scena in silenzio, bevendo un Sgt. Pepper ghiacciato, seduta sui gradini della roulotte sotto alla piccola verandina con impressa su la bandiera, che Dio la benedica.


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Venne il mio turno. Dovetti caricare io, mettermi da solo in posizione, mirare e sparare. Mancai la lattina. Mi aspettavo uno schiaffo da mio padre come al solito quando sbagliavo qualcosa, ma quella volta mi disse solamente: «Riprova.» E mi diede un altro colpo. Caricai e sparai. Ancora. Ancora. Al quarto colpo feci centro. Feci centro ancora, e poi ancora. In tutto feci volare a terra tre lattine vuote. Lo schiocco secco del colpo che partiva, il rumore metallico del colpo che arrivava a segno. Avevo in corpo un’eccitazione mai provata. Sentivo qualcosa muoversi dall’altezza dei reni, da lì su a scaldarmi tutto il corpo e una strana sensazione su fino alla punta come un prurito ma non fastidioso anzi stranamente piacevole. Mio padre annuì verso di me soddisfatto poi mi fece posare il calibro 22 e mi chiese di posizionargli alcuni bersagli costituiti da vecchie grosse latte riempite di sabbia. Afferrò il suo cannone italiano nero come la notte, lucido come uno scarafaggio. Lo imbracciò e iniziò a spiegarmi. «Vedi, figliolo, questo non è un fucile, questo è il fucile. È un Franchi calibro 12 a pompa, semiautomatico, uno SPAS-12, a doppia modalità di fuoco. Sai cosa vuol dire figliolo? Che può sparare semiautomaticamente ogni volta che premi il grilletto fino a quattro colpi al secondo, oppure può funzionare come un normale fucile a pompa, a scanso inceppamenti, anche se di normale in quest’arma non c’è niente. Mica per altro ma è un’arma italiana e gli italiani fabbricano armi da più di duemila anni, avevano un impero loro. Può sparare otto colpi, ma per eliminare i problemi ne servono molti di meno. È calibro 12, e questo dice già tutto, è il fucile che usa Terminator, il nostro mito no? Terminator! Il nome stesso chiarisce tutto!» Era serio come non lo avevo mai visto mio padre, ma rideva nel frattempo. Poi mi ha mostrato come funzionava uno SPAS-12. Ha sparato otto colpi in semiautomatico in rapidissima successione, ha ricaricato con cura, poi ne ha sparati altrettanti con la pompa. Quando tirava la pompa e il carrello, si chiama proprio così, andava avanti e indietro, il rumore ti faceva pregustare il suono che avranno un giorno le trombe che annunceranno l’arrivo dei cavalieri dell’apocalisse. E poi il boato, poteva cancellare qualunque altra sensazione dalla tua testa, farti fermare il cuore per un istante e poi lasciarlo nuovamente ripartire, riluttante e come in attesa del colpo successivo, mentre i bossoli esplosi si accumulavano ai piedi di mio padre. Aveva letteralmente disintegrato i secchi di sabbia e si vedeva che faceva una fatica boia a tenerlo in mano quel cannone italiano… altro che il calibro 22! In effetti non credo che un Alieno Grigio sarebbe sopravvissuto all’impatto di quei proiettili micidiali. No, non credo proprio. Ho poi provato a sollevarlo io, il cannone, ma era veramente pesante e difficile da imbracciare. Mio padre ridendo, ancora, mi disse che il rinculo era bestiale, fortissimo e che non avrei potuto sparaci io, senza rompermi il braccio. Io gli ho chiesto se lui quel cannone aveva mai dovuto usarlo per il suo lavoro, e non so perché glielo chiesi perché era un argomento di cui non dovevo mai parlare con lui e stavo rischiando uno schiaffo. Ma quello è stato un giorno speciale. Mia madre ha appoggiato sul gradino il suo Sgt.Pepper e aspettava cosa sarebbe successo, e mio padre ha atteso per un attimo prima di decidere il da farsi. Poi ha scosso il capo e ha detto: «No, per fortuna no. Ma se qualcuno si mettesse sulla mia strada o provasse a mettere il naso in casa mia troverebbe una pioggia di pallettoni calibro 12 sulla sua strada!» E quella è stata l’unica volta in cui ricordo mio padre come una persona e non come un’ombra che pesava sulla mia giovane vita. C’era poi la sua mania degli esplosivi. In realtà deve avere provato solo una volta a produrre la nitroglicerina per farsi al dinamite da sé, si era procurato l’acido solforico da una batteria da camion e si era fatto l’acido nitrico, mentre la glicerina se la era comprata da un droghiere, poi però è prevalso un po’ di buonsenso, o così ha detto lui, e si è solamente divertito a fabbricare del fulmicotone, con delle garze tolte dalla cassetta del pronto soccorso, senza usare la glicerina. Però che bei botti che poi ha fatto scoppiare durante la fredda notte del deserto. Io e la mamma eravamo rimasti a guardarli scoppiare da dentro alla roulotte. I colpi erano stati secchi e forti e la luce dell’esplosione arancione e gialla. Sembrava la luce che devono fare i raggi mortali degli Alieni quando sparano dalle loro Astronavi.


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Era un nostro privato quattro luglio nel deserto, tra una lavoretto di mio padre, una sua sfuriata con me o una litigata con ripassata finale con mia madre. Un altro dei miei personalissimi ricordi di infanzia. Era l’anno in cui lo Shuttle Columbia è bruciato rientrando. Lo hanno fatto vedere alla tivù, mentre eravamo tutti e tre seduti a tavola. È bruciato qui sopra al deserto ma nessuno di noi lo ha visto cadere. Infine è venuto l’ultimo Natale, almeno per quanto mi riguarda. Faceva freddo anche di giorno da almeno due mesi oramai e una fottuta sera avevo visto arrivare mio padre alla guida della sua vecchia fuoristrada scassata ma con un motore sotto al cofano mantenuto in modo insospettabilmente efficiente. Stava guidando come se avesse il diavolo alle calcagna. Appena posteggiata l’auto nell’aia vicinissimo alla roulotte vi si è precipitato dentro. Non aveva neppure chiusa la portiera e il motore era acceso. Si intravedeva qualcosa nel sedile posteriore. Una cosa misteriosa. Che si trattasse del corpo di un alieno? Forse a bordo dello Shuttle Columbia c’era una misteriosa capsula trovata nello spazio con i corpi di alieni ed erano stati loro a farlo precipitare nel deserto in fiamme sperando di distruggerla ma invece l’aveva trovata mio padre? Forse era questo il suo lavoro, era una spia degli Uomini in Nero del governo in incognito? Mentre il 2500 benzina a V rombava sommessamente mi sono avvicinato al fuoristrada ed è stato allora che l’ho visto. Era piccolo e spuntava appena dal sedile posteriore. Era proprio quello che sembrava la gamba di un bambino sì e no della mia stessa età la scarpina gialla sporca e slacciata indossata su di un calzino sottile e grigiastro, si intravedevano un ginocchio ossuto e sbucciato e l’inizio di un paio di calzoncini corti beige e un lembo di tessuto pesante e marrone. Mi sono avvicinato al fuoristrada come calamitato e dal finestrino laterale posteriore l’ho visto, e l’ho guardato nell’unico occhio spalancato che mi guardava a sua volta. Se non ha aperto bocca è stato a causa del bavaglio, se non si è mosso è stato a causa dei legacci che si poteva intuire che lo immobilizzavano sotto alla coperta di lana marrone di fattura militare che lo copriva quasi completamente. In quel momento qualcosa mi si è spezzato dentro. Ma un’ombra mi ha fatto rapidamente tornare in me iperrealisticamente, questo l’ho letto su di una rivista, l’ombra proiettata da mio padre che furibondo si era materializzato dietro di me. Era uscito dalla roulotte ed evidentemente dentro aveva preso il suo cannone italiano calibro 12 e una cartucciera che tiene sempre pronta dentro all’unico armadio dotato di serratura di tutta la casa. Aveva la cartucciera appoggiata intorno al collo e il cannone in una mano. Con la mano libera mi colpì al volto. Non lo fece con uno schiaffo. Per la prima volta avevo assaggiato un pugno di mio padre. Stramazzai nella polvere. Cercai di rotolare lontano dalle ruote del fuoristrada, alla cieca, istintivamente. Mio padre partì con uno stridio spaventoso. L’auto urlò e anche io urlai. Urlai nella polvere, ma non per il dolore del colpo o per la paura, urlai per la rabbia di avere appena perso un padre. E anche una madre. Perché lei non poteva non sapere. Mi rivolsi a Lui. Fai che sia solo droga, che siano armi o clandestini, ma non quello, non quello. Ero ancora piccolo ma non abbastanza da non poter capire, almeno fino a un certo punto. Rientrai a casa, mia madre capì dal mio sguardo e non osò ricambiarlo. Quando mio padre tornò non disse nulla. Nessuno disse nulla. Chiuse il cannone nel suo armadio, poi fece una doccia e infine mangiammo. Quella sera mia madre non alzò la sua solita breve preghiera di benedizione del cibo. Nessuno se ne lamentò. Fu quella notte che chiesi un regalo. Lo chiesi a Babbo Natale. Perché lui sicuramente esisteva, comunque la pensasse mio padre, qualunque cosa dicesse mia madre. Era bianco e rosso e forte. Era amico dei bambini, lui, e sapeva tutto come quel Dio che piaceva tanto a mia madre, almeno sapeva tutto quello che c’era nel cuore dei bambini, se no come avrebbe fatto a giudicare se portargli o meno i regali, se erano stati mo-


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nelli o se avevano fatto i buoni? E a quel bambino che avevo visto legato nell’auto di mio padre in fuga, a lui, quale regalo avrebbe portato Babbo Natale questo Natale? O era un Alieno, un grigio Alieno precipitato con il Columbia in fiamme? Non ricordo più bene e poi, quale regalo? Ah, sì il regalo! Fu così che chiesi il mio regalo. Lo desiderai in modo assoluto. Ma faceva già molto freddo in quei giorni di fine anno e nella roulotte il freddo penetrava attraverso le pareti sottili, attraverso gli spifferi del lucernaio rattoppato, e anche se faceva più caldo che nelle tende, grazie alla stufetta elettrica perennemente accesa, io e mia madre avevamo le ossa doloranti e i muscoli intorpiditi. Finché potevo andare a scuola trovavo un ambiente caldo dove passare le mie giornate, ma eravamo in periodo di vacanze natalizie e la scuola era chiusa. Io dovevo combattere il freddo del deserto, terribile di notte, appena sopportabile di giorno, con mio padre sempre più ubriaco e assente quando non era in giro per lavoro. Mia madre aveva voluto addobbare un albero rinsecchito che avevamo portato insieme al suo vaso di metallo zincato fin dentro una delle due tende. L’effetto era triste e malinconico, ma lei appariva contenta in modo quasi fanciullesco. Io avrei fatto volentieri a meno del Natale ma quell’anno aspettavo il mio regalo con fiducia. Avevo fatto il bravo durante tutti i mesi trascorsi tra il nulla del deserto, le lezioni a scuola, mio padre e il vuoto di mia madre. Mi meritavo un bel regalo. Avevo anche scritto una lettera. E venne infine la notte di Natale. Era stata una giornata pessima, prima i miei avevano litigato con più violenza del solito per una videocassetta che mio padre aveva lasciato nel lettore della tivù della tenda piccola. Mia madre gli diceva che sarebbe andato all’inferno ma lui le aveva risposto che di quella roba non gliene fregava un cazzo, gli faceva venire il voltastomaco, ma era una specie di catalogo e doveva vederlo, almeno una volta, per capire non so bene più che cosa riguardo la merce che gli facevano trasportare. Le aveva anche detto di ricordarsi da dove arrivavano tutti i soldi di casa. Poi aveva messo la cassetta nell’armadio chiuso a chiave, quello con i fucili, ed eravamo usciti nuovamente, io e lui, che poi aveva litigato con un tizio con cui lavorava, infatti eravamo andati con il fuoristrada fino alla cabina telefonica del distributore di carburante del vecchio Jimmy, quello zoppo che aveva lasciato il tendine d’Achille in uno scoppio di una mina in Iraq, e mio padre aveva fatto delle telefonate urlando con qualcuno e bisbigliando e abbassando la testa con qualcun altro. Erano guai. Guai per lui e quindi per me e mia madre, di riflesso. Quel giorno stesso ero andato giù in centro in bicicletta e avevo trovato al scuola aperta, almeno l’ufficio di Bessie e la bidelleria dello Zio Tom, che si faceva chiamare così, ridendo come un pazzo, anche se era bianco come un cencio lavato, il nostro bidello originario della Svezia. Avevo parlato un po’ con Bessie. C’era la faccenda dell’Alieno, l’Alieno piccolo nella macchina di mio padre, che dovevo prima o poi raccontare a qualcuno, nonostante gli ordini e i ceffoni di mio padre. E anche della cassetta che aveva fatto imbestialire mia madre, forse mio padre vendeva gli Alieni piccoli a quelli dell’Area 51. Povero padre, qualche giorno prima mi aveva portato in città, all’armeria di Anderson, quella grande con le tre vetrine piene zeppe di ferri ben oliati, quella che ha sempre in vetrina il vecchio Winchester a pompa con la canna luccicante e cromata, con la scritta non in vendita ben in vista. Mi ha fatto un complimento e poi ha dato a mio padre un pacco, lungo e impacchettato con carta regalo. Lo aveva già preparato. Mio padre gli ha chiesto se c’erano anche le munizioni e il tipo del negozio ha risposto ovviamente, delle Target in piombo da 40 grani, con anche una cartucciera omaggio. Era il mio regalo, lo avevo capito. Probabilmente quel calibro 22 che avevamo visto su di una rivista di mio padre mesi prima, una carabina a dire il vero, non un fucile, che mi avrebbe permesso di usare nel deserto per il tiro al bersaglio. A modo suo mi voleva bene mio padre, ma non voleva bene agli Alieni, come a quello piccolo


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che trasportava legato e nascosto sotto ad una coperta nel sedile posteriore della sua fuoristrada. Anche secondo la signorina Bessie mio padre non amava gli Alieni piccoli. Ma mi aveva detto di non preoccuparmi e di scrivere pure la lettera a Babbo Natale, che sarebbe andato tutto bene. Chissà perché piangeva piano la signorina Bessie, mentre me lo diceva, ma sorrideva, anche. Era tutto molto strano, come durante una abduction. Alla fine però ci eravamo trovati tutti e tre insieme a cenare con l’albero addobbato nella tenda in attesa della mezzanotte, per potere aprire i nostri regali, il mio calibro 22, la giacca nuova per mia madre fasciata con carta azzurra e le fodere per l’auto di mio padre, nuove, fatte in legno di noce. Era stata una bella cena, ma io pensavo a che cosa avessero dato nel frattempo da mangiare al piccolo Alieno ovunque esso fosse. Poi aspettammo mezzanotte guardando uno show alla tivù. Sembravamo proprio una di quelle famiglie che si vedono nei telefilm, d’amore e d’accordo. A mezzanotte aprimmo i regali, ed eravamo tutti e tre molto soddisfatti. Lo si può essere anche nonostante tutto. Ma io non riuscivo a togliermi di testa il piccolo Alieno. Chissà se nell’Area-51 fanno esperimenti sui grigi anche nella notte di Natale? E Babbo Natale, perché tardava? Poi, mio padre annunciò, già un po’ brillo per il vino californiano che aveva tracannato durante la cena, che aveva preparato dell’altro fulmicotone per poterci fare il tiro al bersaglio, e che sarebbe andato a prenderlo. Prese il suo calibro 12 e mi disse di tenermi pronto con il mio calibro 22 che avremmo fatto faville quella notte. Prese anche una pesante torcia a batteria ricaricabile per illuminare i bersagli e andò nella roulotte piccola dove aveva messo il fulmicotone. Io uscii fuori ad aspettarlo e fra me e me ad aspettare l’arrivo di Babbo Natale. Finalmente lo vidi. Stava acquattato nel buio vicino alla roulotte, insieme ai suoi aiutanti che evidentemente portavano i regali. Non c’era traccia delle renne ma sicuramente le aveva lasciate lontano per non spaventare nessuno e fare la sorpresa. Un aiutante di Babbo Natale mi vide e mi chiamò. Quando mi fui avvicinato mi prese per il braccio che reggeva la carabina e mi mise una mano davanti alla bocca così non potei lasciarmi sfuggire nessun suono. Un attimo dopo ad un gesto di Babbo Natale due aiutanti aprirono la porta della roulotte prendendo in consegna mia madre. Mio padre lo si vedeva dalla finestra di plastica della tenda piccola. Mentre forti fari portatili si accendevano, con una voce baritonale e amplificata Babbo Natale tuonò: «Sono lo sceriffo. Non fare sciocchezze uomo, tuo figlio e tua moglie sono con noi. Vieni fuori con le mani alzate, sappiamo del traffico che pratichi, esci fuori immediatamente o sarà peggio per te.» Non conosceva mio padre, Babbo Natale, ma aveva letto la mia letterina, che avevo consegnato alla signorina Bessie affinché la imbucasse lei. Papà aveva già in mano lo SPAS-12, carico con ben otto pallettoni calibro 12/76 magnum, con 12 palle l’uno, dal peso complessivo di 40 grammi e di 9 millimetri di diametro l’una. Le conosco bene queste misure, mio padre a volte se le ripeteva come un mantra personale. Iniziò a sparare attraverso il telo delle tenda piccola con l’istinto del cacciatore e colpendo tre uomini, come si venne a sapere dopo, uccidendone due e ferendone gravemente un terzo. Una rosata mi passò vicino e un proiettile colpì mia madre alla cassa toracica mentre gli aiutanti di Babbo Natale la portavano al riparo. La notte si riempi di spari mentre gli altri assistenti di Babbo Natale rispondevano al fuoco con le loro armi che crepitarono e tuonarono nella notte. Colpito da più colpi, anche questo lo si seppe dopo, mio padre cadde a terra nella tenda piccola mentre questa saltava in aria accecandoci tutti nella notte scura, con un lampo giallo e rosso del fulmicotone che detonava colpito da un proiettile. So che riuscirono a salvare la cassetta dal fuoco che distrusse quasi tutta la mia casa roulotte tenda. Beh, il resto è un’altra storia, con la mamma per conto suo e io affidato all’istituto. Come dice, dottore? Che cosa avevo chiesto nella lettera a Babbo Natale? Beh, non dovrei dirlo, ma… sì, dai, avevo chiesto a Babbo Natale che facesse saltare mio padre con tutto il fulmicotone del cavolo, così non avrebbe più dato fastidio ai piccoli Alieni.


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BIOGRAFIE

Cosimo Francesco Crea Nato a Melito Porto Salvo in provincia di Reggio Calabria il 30 luglio 1988, diplomato al Liceo Classico Tenente Colonnello G. Familiari di Melito Porto Salvo, frequenta il corso di laurea di Società e Culture d’Europa all’Università di Lettere e Filosofia di Torino. Lettore fin dall’infanzia dei fumetti americani delle case editrici Marvel e DC Comics, nonché di scrittori come Terry Pratchett, Howard Phillips Lovecraft e Stephen King, quasi tutti i suoi lavori hanno un’ambientazione fantastica e subiscono l’influenza delle sue letture. Nel Gennaio del 2010 pubblica il suo primo romanzo intitolato “La fine dei tempi” pubblicato dalla casa editrice Albatros Il Filo, un fantasy i cui protagonisti sono le creature soprannaturali della cultura giudaico-cristiana.

Lorenzo Gallus Laureato in biologia, insegna scienze e si occupa di ricerca in campo biologico. Di tanto in tanto si cimenta con la scrittura di racconti brevi, generalmente di argomento fantascientifico o fantastico. Al suo attivo ha la pubblicazione di un racconto, dal titolo “Brucio rifiuti”, sulla rivista Futuro Europa n. 43 della Perseo, ora Elara, mentre un secondo è accettato e in attesa di pubblicazione. Ha pubblicato anche su Short Stories.

Fabrizio Melodia Nasce a Venezia nel 1976, frequenta il liceo classico dove impara ad amare la letteratura la filosofia e la storia, da subito s’innamora del fantasy, della fantascienza e dei giochi di ruolo. Inizia così il suo sogno di diventare scrittore, dapprima per gioco con gli amici, poi si cimenta con le poesie per passare al suo primo libro, che è la sua tesi di laurea, “Seconda stella a destra. La via della pace nella serie televisiva Strar Trek The next generation”. Altra sua passione sono gli anime giapponesi, la serie televisiva Star Trek, e la musica di tutti i generi. Dopo il primo libro, partecipa a vari concorsi vincendo nel 2007 il concorso indetto dal Filo Editore con un saggio sul razzismo nella fantascienza titolato “Canto l’uomo d’acciaio”. Scrive racconti e molteplici poesie che pubblica nel suo blog “Astrofilosofo” e nella sua pagina di Facebook. Attualmente lavora al suo primo romanzo fantasy.


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Edizioni Scudo www.shortstoriesmag.splinder.com www.innovari.it/scudo.htm Long Stories - Collana di romanzi del genere fantastico Copyright 2009 by Luca Oleastri e Giorgio Sangiorgi

Un natale diverso dal solito Prima edizione: Dicembre 2011 Copyright 2011 degli autori Copertina di Luca Oleastri Illustrazioni di Giorgio Sangiorgi Questo e-book è liberamente cedibile ad altri in varie forme, ma non deve essere oggetto di commercio professionale o tra i singoli soggetti Tutti i diritti per la realizzazione di pubblicazioni a stampa tradizionale sono riservati all’autore


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