POESIE ALLA SPINA: DALL’ALTRO LATO DEL BANCONE di Elena De Luca
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Elena De Luca
POESIE ALLA SPINA: DALL’ALTRO LATO DEL BANCONE
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INDICE La catena. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 Venerdì sera. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6 Gli uomini che bevono troppo perdono il proprio fascino. . . . 7 Lo scoglio. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8 Scusa, ma -. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 0 Ma stai zitta, va. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 1 Simone!. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 2 Se potessi. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 3 Un barista dietro le spine. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 5 Migliaia di cessi. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 6 Càpitano, con l’accento sulla a. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 8 Morire serve. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 9 Stabilità. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2 0 Le porte chiuse. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2 1 Ho paura delle persone che litigano. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2 2 Cose di donne. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2 3 Fatemi una diagnosi. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2 4 La consolazione di chi non riceve. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2 5 Non mi chiedere di restare. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2 6 I cambiamenti non sono per nulla pazienti. . . . . . . . . . . . . . . . 2 8 La risposta è NO. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2 9 Fisica - metafisica 1:0. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 0 Eddai, mamma. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 1 Il geranio. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 2 Dai che ci sono quasi. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 3 5
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La catena Per andare dal tizio col quale scopavo persi la catena della bici (che avevo pagato la bellezza di tredici euro e che non sarei riuscita a ricomprare prima della prossima busta paga): fu come fare sesso a pagamento (e le prestazioni non furono neanche chissĂ cosa) e fu lĂŹ che mi resi conto che la mia vita iniziava ad andare a puttane.
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Venerdì sera Sapore di lattice in bocca, ripetendosi: mai più mai più mai più (che poi questo mai più chissà quando arriverà). Mentre Bologna festeggia il suo solito venerdì sera, e io qua sola delusa stanca.
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Gli uomini che bevono troppo perdono il proprio fascino Erano in quattro, e li ho visti bere Per tutta la sera, fino a chiusura. Scolarono litri di birra, E ruppero un bicchiere. Parlavano gridando di cazzi e di culi, Discorsi maschili, E continuavano a dare del tedesco a uno di loro (In realtĂ era austriaco). Poi, tornando a casa dopo chiusura, Ne incrociai uno, il Rosso (Gli altri chissĂ che fine avranno fatto): LĂŹ, solo, accasciato a un muro, Ricoperto dal suo stesso vomito bianco, Non sembrava per niente un bel ragazzo.
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Lo scoglio Tornai dopo un anno: di cambiato, non v'era nulla (Ale sposò Gemma, ma tanto convivevano già da una vita). Stesso ambiente, stessi ritmi sballati, stesse facce conosciute, stessi argomenti triti e ritriti, stesse battute, stesse due pinte di Harp Strong a sette euro al Papero a un quarto d'ora dalla chiusura, con i soliti discorsi di calcio e politica di contorno. E forse è una sorta di certezza, questa, fonte di serena stabilità, solida terra in mezzo a un mare burrascoso, ma non è quello che vado cercando; e le fioche luci delle lanterne che si riflettono nelle bottiglie di Oban, Tallisker e Jameson oramai da un pezzo hanno smesso, coi loro sbrilluccichii voluttuosi, di far sognare il mio cuore annoiato. Quella che voi chiamate terra ferma, signori, altro non è 10
che uno scoglio malefico sul quale la mia imbarcazione (non nobile vascello, bensĂŹ umile e sgangherata zattera) rischia inesorabilmente ogni giorno sempre piĂš di frantumarsi.
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Scusa, ma Ancora, ancora, ancora. Frasi abortite, abbandonate a metĂ , buttate lĂŹ come si buttano i mozziconi, senza guardarsi indietro a vedere con che traiettoria cadranno per terra: Scusa se scappo come un ladro, ma Scusa se sono durato poco, ma E io, seduta nuda sul letto, cercando di sorridere (nonostante il buio rendesse i miei sforzi vani) a guardarlo rivestirsi in fretta e furia, e a sussurrare le solite convenzioni: Ma va, stai tranquillo, capita, buonanotte. E pensando nel frattempo, tra me e me: Scusa se mi sono di nuovo illusa, ma -
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Ma stai zitta, va Lo so. Non dirmelo, non serve. Dovrei essere davvero l'ultima tra gli ultimi a sporger lamentela. Ho quattro mura dentro le quali rifugiarmi, ho degli amici sulle spalle dei quali piangere, ho un lavoro dove posso ubriacarmi, e ho un paio di passioni (anche di più), e niente di tutto ciò è poi così male. Eppure, eppure... Eppure.
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Simone! Lo chiamai da dietro il bancone, Gridai: “Simone!” Si avvicinò, io gli chiesi “Come va con la ragazza?” Mi guardò sospetto, rispose che si eran lasciati da un po'. Non persi tempo e gli proposi di scopare, Quella sera stessa. Lui arrossì e iniziò a balbettare qualcosa (non capii molto bene, ero un po' brilla). Sentii soltanto che non voleva far tardi perché il giorno dopo doveva far presto. Io feci spallucce e servii un altro cliente.
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Se potessi Se potessi mi innamorerei follemente di qualcuno: smetterei finalmente di scriver stronzate (anche se poi scriverei d'amore, il che forse è peggio). Se potessi passerei le giornate alla finestra, a guardare la pioggia scivolare lungo i vetri sporchi, E a sospirare, E a struggermi per un amato irraggiungibilmente lontano. Se potessi aizzerei il mio cuore imbestialito contro un amico, un collega, un coinquilino; perderei la ragione per uno sguardo rubato tra i corridoi universitari, o per un brillo luccichio d'occhi in Piazza Verdi; sfibrerei la mia già magra anima rubandole l'ultima polpa di vita rimasta, e lasciandola, crudele, a patire in agonia, a gridare, a disperarsi, e a strapparsi i lembi contro le appuntite spine dell'amore, fino a fare di lei uno straccio lercio e bucato. 15
Se potessi ma non posso -
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Un barista dietro le spine Pavimento di assi di legno raggrinzite, impregnate di anni di vomito e birra versata da clienti disattenti o spintonati, Tavolini bassi di legno graffiati da iniziali di nomi che chissĂ se si amano ancora, E il bancone massiccio di ebano scuro, solcato da migliaia di pinte sbattutevi sopra dalla solita, misteriosa forza dell'alcool. Vecchia gente esce, nuova gente entra, ma un barista dietro le spine ci sarĂ sempre, ad osservare vecchia gente uscire, nuova gente entrare, e ad offrire il solito ultimo giro di cicchetti poco prima la chiusura.
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Migliaia di cessi Ho pisciato in migliaia di cessi, nella mia vita. Ho pisciato in cessi che eran veramente di tutti i tipi e per tutti i gusti: sporchi o puliti, alla turca o col bidet, in alberghi a quattro stelle o in luride bettole di periferia; ho pisciato da sola o in compagnia, sobria o un po' meno, d'estate o d'inverno, in treno o in aereo, a Bologna o a San Francisco, e qualche volta ho persino pisciato per strada, accovacciata fra le macchine parcheggiate (non la reggevo proprio pi첫). Ho pisciato in migliaia di cessi, in vita mia, e ho sempre pensato (da brava cinica quale sono) che avrei potuto farla persino sulla Luna, ma sarebbe pur sempre rimasto un cesso. Poi, ieri, fermandomi nella toilette di un ristorantino a Ferrara (ambiente pulito e profumato, piastrellato di bianco e di azzurro) vidi, dentro la tazza, per dei strani giochi di luce, - giuro 18
un arcobaleno. Rimasi immobile per un istante, esitante, indecisa sul da farsi. Poi pensai Macchissenefrega, abbassai i pantaloni e ci pisciai sopra.
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Cà pitano, con l’accento sulla a Ma devo essere sincera: capitano, seppur raramente, giornate strane, estemporanee, astratte, che non hanno legami con la normalità e non ne cercano. In questi giorni si sta come all'alba, tra le lenzuola, i sognatori. Capitano, in questi giorni, cose strane, strane al punto che, ricordandole poi, par quasi siano stati davvero dei sogni: barboni sorridenti che raccolgono fiori, clienti ubriaconi che ordinano Coca-Cola, macchine della polizia che si fermano alle strisce pedonali, e io, (ma solo per giornate di questo genere) beata, tra le sue braccia.
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Morire serve Morire. Morire. Morire ancora. Per poi risorgere. Risorgere. Risorgere ancora.
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StabilitĂ Sono stabile come un flute sul bordo del bancone affianco al gomito di un ubriaco.
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Le porte chiuse Indifferente, guardo la punta della mia sigaretta, mentre aspetto che si liberi il bagno: il tabacco che brucia al suo interno arde piÚ del mio cuore spento. Alla fine d'interminabili minuti d'attesa, scopro che in bagno non c'era nessuno (certe porte andrebbero lasciate aperte). E' solo di un abbraccio che ho bisogno, qualche endorfina sparata nel corpo: è forse molto quel che vado chiedendo?
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Ho paura delle persone che litigano Raggomitolata in un angolo della mia stanza, l'orecchio contro il muro, ascoltavo i miei litigare. Sentivo i pianti di mia madre e la voce fredda e pacata di mio padre, e tremavo di paura al pensiero di una fine imminente. A dieci anni di distanza, un'altra stanza, un altro muro, un'altra coppia, ma i pianti son gli stessi, e stessa è la voce gelida che proclama sentenze, e stesso è il tremore che mi percuote le membra. Capisci, ora, perchÊ non ho fiducia nell'amore?
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Cose di donne Sangue, sgocciola lentamente sull'interno coscia: cos'è questa, se non, ogni mese, una piccola morte?
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Fatemi una diagnosi A volte penso che se non posso avere la celebrità , per le mie pene, che mi diano almeno una malattia mentale. Vanno cosÏ di moda oggi, e son cosÏ comode da portare addosso: coprono le colpe che è una meraviglia.
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La consolazione di chi non riceve Una pacca sulla spalla, un bacio sulla guancia (io a lui; non importa, a volte, il ricevere, quanto il dare; oppure, semplicemente, il dare è la consolazione di chi non riceve): posso andare a dormire felice. D'altronde, ora, cosa ho di meglio?
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Non mi chiedere di restare Via. Stanziare è penoso; ogni sosta è una lama che affonda nel teso tessuto della vita. Via, via. Il viaggio crea una parvenza di miglioramento sufficiente a coprire il polveroso strato di noia. Via, via, via. Ché per noi (nati per caso, senza una patria, né ombelico, orfani prim'ancora di nascere, spiriti liberi – un eufemismo per non dire “barboni” che il senso d'appartenenza non sappiamo nemmeno cosa sia, e tantomeno il patriottismo), per noi (cresciuti tra stazioni e aeroporti, con più notti passate in case altrui che non in quella propria, nomadi, forse?, assuefatti agli addii, senza più lacrime 28
per tutti i cari lontani, e neanche un briciolo di umana compassione), per noi, restare è assai piÚ crudele che andare.
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I cambiamenti non sono per nulla pazienti Provai a chiamarlo. Non c'era tempo, dovevo parlargli. Era arrivata l'ora X, era lì che ci attendeva; il cambiamento era già sull'uscio, valigia in mano, a controllare nervosamente l'orologio. Dovevo parlargli. Provai a chiamarlo: per tre volte, una signorina insensibile e fredda mi propose di lasciare un messaggio in segreteria. Per tre volte, rifiutai. Dovevo parlargli, ma a voce. Scoprii che era con l'altra, lei gli aveva preparato da mangiare, e sedevano conversando amabilmente. Il cambiamento si stufò di aspettare, si girò sui tacchi e uscì, sbattendo la porta.
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La risposta è NO Un mio cliente arrivò mangiando una rosa, aveva un pezzo di petalo incastrato tra i denti; era quello che scriveva romanzi ma diceva di non essere uno scrittore (mi domando, allora, cosa fosse, e mi domando, soprattutto, se a questo punto io sia una poetessa o meno).
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Fisica - metafisica 1:0 Fumando, della cenere cadde nel bicchiere; avevo gli occhiali sporchi (me ne accorsi solo dopo): forse per questo vedevo appannato; e quella sera mi venne il ciclo: forse per questo stavo cosĂŹ male.
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Eddai, mamma Soffrire e farti soffrire e soffrire del tuo soffrire e vederti soffrire del mio soffrire per il tuo -soffriresoffriresoffrirefino a far perdere ogni senso Come si fa a capire quand'è che arriva il famigerato “troppo”? Tremare, come quando tremo nuda aspettando che esca l'acqua calda e consolarsi che almeno potrò usarlo come spunto (come se scrivere poesie servisse a qualcosa o a qualcuno) Prima o poi smetterò di farmi del male. Ma non ora, no, ti prego, altri cinque minuti e un altro paio di stupidi versi, e poi basta, solo cinque minuti, ti prego. 33
Il geranio Per la disperazione abbiamo pianto i nostri padri sulle tombe ammuffite di grigi cimiteri di campagna; per la disperazione abbiamo stretto la mano ai nostri figli nei letti di dogliosi ospedali e abbiamo pregato, e abbiamo aspettato. Ma nulla, nulla è successo. Forse, solo, il geranio è appassito: andrebbe innaffiato un po' di piÚ.
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Dai che ci sono quasi Ci sto riuscendo: son quasi arrivata a gettarti nel gorgogliante calderone del dimenticatoio dove si cuoce e si fonde il ricco minestrone dei miei uomini, di quelli amati e di quelli odiati, di quelli avuti e di quelli perduti di quelli che hanno dato sapore e di quelli che son solo serviti a far brodo. Ci sto riuscendo: son quasi arrivata a lanciarti violentemente via dai miei pensieri, a sfrattarti dai miei sogni, a sgomberare la mente che avevi occupato e a pattugliarla per evitare dei nuovi insediamenti. Mi sono convinta della tua felicitĂ con Lei, e della mia insignificanza nella tua esistenza e mi son riempita gli occhi e le orecchie di motivi per i quali io e te no mai e poi mai neanche per scherzo ma scherzi? Ci sto riuscendo: son quasi arrivata 35
alla consapevolezza dell'oggettiva realtà (che non so che cazzo voglia dire, ma fa effetto), alla verità assoluta, se vuoi, alla constatazione dei fatti così evidenti da far male, come uno schiaffo in faccia, e io da te non me lo sarei mai aspettata, una cosa così no, mai. Ci sto riuscendo: son quasi arrivata a ricordarmi di come tutto finisca prima o poi e meglio tardi che mai e quindi anche tutto ciò è destinato a crepare nei roghi dell'inferno che iniziano già con le loro lingue di fuoco a lambire i piedi del desiderio. Ci sto riuscendo, continuo a ripetere, son quasi arrivata, scandisco testarda. Ma non sono riuscita, e non sono arrivata a domare la bestia rabbiosa ch'è il mio cuore: continua a tirare il guinzaglio, e s'è già strappato via la museruola, e non riesco a zittirlo, non riesco a farlo smettere di ringhiare, di abbaiare furiosamente e di intonare strazianti ululati 36
la notte, quando tutto tace, insopportabile, tace. Come te, tace.
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Contattami! yemitr@gmail.com Stampato a Bologna settembre 2013
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Illustrazione in copertina: 40 dei vostri prodotti�, 2011 YM, “Controllate sempre la data di scadenza